Ticino Management: Settembre 2024

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Impegni pubblici

Il tempo sarà galantuomo?

AZIENDE

La garanzia del futuro nell’economia della fiducia

ANALISI

Una seconda ondata di grandi opportunità

SOSTENIBILITÀ

Alla scoperta di una dimensione più sociale

FINANZA

La materia prima di cui è fatta la passione

MOTORI

Un toro, due cuori: la velocità che scalpita

FINE WINE

Valori alternativi, performance assicurata

Società Editrice

Eidos Swiss Media Sagl

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Eleonora Valli evalli@eidosmedia.ch

Hanno collaborato a questo numero

Ettore Accenti, Florian Anderhub, Achille Barni, Alessandro Beggio, Ignazio Bonoli, James M. Bradburne, Luca Cattaneo, Elias Frühauf, Sergio Galanti, Marta Giordano, Giacomo Keller, Philippe Masset, David Mülchi, Frank Pagano, Stelio Pesciallo, Martino Piccioli, Tim Triptree, Thomas Zara Progetto e coordinamento grafico Veronica Farruggio grafica@eidosmedia.ch

Coordinamento Produzione

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Chiusura redazionale: 28 agosto 2024

Montblanc

Tesori perduti

l’estate va finendo, ed è tempo di rinnovamento, in più d’un senso e in più di una dimensione, a patto evidentemente che tale cambiamento si sia di buon animo nel volerlo accogliere. Questa nuova edizione intende esplorare quegli universi che si sono fatti protagonisti degli ultimi anni, dunque il mare magnum del debito pubblico, e la sostenibilità.

Il debito che gli Stati hanno ereditato dalla pandemia, che si somma al precedente, rimane una spada che chiunque fuorché Damocle è disposto a vedere, o solo a prendere in considerazione. Gestirlo è semplice a patto di qualche minimo accorgimento, redimerlo è ben più problematico, forse impossibile, ragion per cui è un’ipotesi aprioristicamente scartata. Eppure, prim’ancora di interrogarsi della sua sostenibilità, è bene domandarsi: che mondo sarebbe senza debito pubblico? Quali effetti ha la sua scarsità in quei rari Paesi che dell’essere eccezione fanno un vanto? Svizzera e Giappone si trovano agli estremi opposti, ma...

Al tempo stesso la sostenibilità, e ironia della sorte non quella dei debiti, si è ritagliata nel corso degli anni un ruolo da protagonista assoluta in tutti i salotti buoni, forse proprio in virtù dell’essere tutto e nulla, e in questo si è riscoperta incredibilmente moderna. Ciononostante, esistono realtà imprenditoriali e finanziarie che già in tempi non sospetti facevano di idee oggi assimilabili a ‘sostenibilità’ la loro forza. All’epoca la definivano semplicemente buon senso. Cosa è cambiato?

Se invece si guarda alla più banale delle tre dimensioni Esg, e dunque l’ambientale, un grande interprete che va distinguendosi nel campo può essere il principe degli investimenti alternativi, il Vino, con performance e volatilità che le asset class tradizionali sognano.

Stilografica Meisterstück

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La tradizione che si rinnova. Caro lettore, questa edizione è l’inizio di un nuovo percorso. Il rinnovamento è iniziato, e a piccoli passi arriverà presto a compimento, nel rispetto di un grande passato, ma guardando con fiducia al futuro. Una delicata rivisitazione della copertina è solo un inizio.

È piccola. È potente. È qui.

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Il nostro SUV più piccolo di sempre che si distingue per le sue prestazioni potenti, il suo design innovativo e l’impronta di CO₂ più bassa di tutti i veicoli Volvo.

Spesso la vera grandezza è nelle piccole cose.

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Debito, solo pubblico?

Gli oceani di debito su cui galleggia il mondo continuano a scaldarsi, ma quanto sono insostenibili? Farne e sottoscriverne è ormai la normalità, cosa succederebbe se si dovesse iniziare a rimborsarli? Un bel mistero.

Opinioni

12 Ettore Accenti. Lo scudo spaziale della Nato è una vecchia leggenda, fondamentale per impegnare, inutile da realizzare.

14 Luca Cattaneo. Le insidie tecnologiche non sono solo tecniche, anche legali.

16 Martino Piccioli. Può la crociata climatica mettere a repentaglio decenni di storia? Così parrebbe, ma con quale senso?

18 Stelio Pesciallo. La caccia al ricco finirà con il creare molti più danni di quanti ne volesse risolvere.

20 Ignazio Bonoli. L’incalzante frequenza dei referendum, con oggetti sempre più complessi, qualche mal di pancia sicuramente lo fa venire.

22 Elias Frühauf (in foto). App e digitale al servizio del sistema sanitario promettono grandi benefici.

Economia

38 Testimonianze. Emettere un’obbligazione digitale per il tramite di un token è già stato fatto in Svizzera, da un produttore di vino spagnolo.

48 Speciale Sostenibilità Alla scoperta dell’Esg, sociale.

49 Pkb. Innovazione territoriale.

50 BancaStato. Strategie sulla carta, obiettivi sostenibili, premi concreti.

Da sinistra, Gero Jung, Capo economista di Mirabaud Am, Thomas Wille, Cio di Copernicus Wealth, Arthur Jurus, Cio di Oddo Bhf Group , Raffaele Fink, Portfolio Manager di Wmm Gestioni Patrimoniali.

Osservatorio

83 Sfama. I fondi svizzeri.

84 Strategie. Il breve periodo è spesso un nemico subdolo, che distrae da ciò che conta.

85 Credito . Ottime le prospettive del segmento, e non solo sovrano.

86 Geopolitica. Sono molte le sfide all’egemonia americana, ma quali conseguenze economiche avranno?

88 Emergenti (in foto, Matt Williams). Ottimismo latino, sulle ali delle materie prime. Fattore determinante per i Paesi dell’America Latina.

90 Mercati. La scivolata agostana delle borse non è l’inizio di una nuova crisi, ma un semplice errore di percorso, con ampi e numerosi precedenti.

91 Tematici Esporsi all’Ia puntando sui tecnologici? Banale, perché non andare sugli energetici?

52 Banca del Sempione . Conti Green, e Green Division.

54 Positive Organizations. Anche la consulenza ha un ruolo.

56 Has. 40 anni nel Pharma.

58 Interroll. Campioni nella logistica.

60 Argor-Heraeus La sostenibilità se raffinata è una lega preziosa

62 Tech-Insta. Energia: consulenza per diventare sostenibili.

64 iRezz. Il legno è la chiave.

Eureka

66 Start up. Curare il dolore cronico senza farmaci è la nuova scommessa

68 Universitari. Arbitrato sportivo e diritti umani: svolta storica?

69 Digitale Al via l’era del phygital.

70 Digitale. In molti credono di essere, dove in realtà non sono.

72 Digitale. I veicoli del futuro, tra guida autonoma ed elettrificazione.

Questione di fiducia p. 42

Partner privilegiato di Governi, Banche Centrali e industria nella protezione di banconote, prodotti e marchi, la vodese Sicpa a servizio dell’economia della fiducia. A lato, Jean-Philippe Gaudin, Strategic Affairs Director di Sicpa.

Stato

p. 40

Se si volesse aprire una nuova attività a Singapore, quali dovrebbero essere i primi passi?

Le relazioni con la Svizzera sono più che ottime.

A lato, Marta Giordano, Managing Director di Fidinam Singapore.

Speciale Sostenibilità p. 47

Non solo green, la sostenibilità si esprime anche nelle altre due dimensioni della triade Esg: sociale e governance. Gli esempi di realtà virtuose che, oltre a eccellere nel proprio ambito, si impegnano a favore del loro territorio.

Sostenibilità

Finanza

74 Analisi. Le ripercussioni dell’invecchiamento del capitale umano.

80 Immobiliare. I bias sono il vero problema, anche nel mattone.

Cultura&Lifestyle

108 Mostre. Un secolo di surrealismo, al Centre Pompidou.

Première svizzera p. 46

Oltre sessant’anni di storia alle spalle, per un'azienda che continua ad essere innovativa, e ha fatto della velocità un marchio.

È Lamborghini.

A lato, Stephan Winkelmann, Presidente e Ceo di Lamborghini.

Materia di passione p. 76

Una piccola e giovane boutique svizzera con alle spalle oltre mezzo secolo di esperienza. Com'è possibile? È il potere della scelta. A lato, Paolo Kauffmann, Ceo e fondatore di Matherika Group.

Speciale Vino&Valore

Da collezionare, anche in portafoglio, come uno dei più appetibili fra gli Alternativi, con rendimenti sul medio e lungo periodo in crescita costante.

L'universo del Fine wine, fra economia e cultura vitivinicola.

112 Mostre. Fra utopia e realtà, un Ticino arcadico alla Fondazione Bally

115 Commento. Se l’identità visiva di un’istituzione culturale non decolla.

116 Orologi. Dalle profondità subacquee ai cieli, 120 anni di Oris.

118 Orologi La missione della Fondation Haute Horlogerie a tutela delle competenze del settore.

120 Orologi. Il tempo tridimensionale di Hautelance.

p. 93

126 I quaderni del golfista. Nella provincia di Almeria, alla scoperta del primo 'desert course’ in Europa.

10 Appuntamenti

124 Motori

La Città

Cover story

Il protagonista della finanza di oggi? Il debito pubblico al centro del dibattito. È sostenibile?

Eureka

La sezione dedicata all’innovazione, alla tecnologia e al Venture Capital.

Cultura

I protagonisti del grande mondo dell’arte, della

Opinionisti

Le voci degli esperti che accompagnano i lettori con costanza.

Finanza

Riflettori accesi su indipendenti, banche e asset management.

Eventi

La sezione web-only dedicata

Economia

Tutti gli articoli dedicati all’analisi di temi economici dalle aziende alla consulenza.

Osservatorio

La rubrica di approfondimento finanziario si amplia.

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Berna Chaïme Soutine Controcorrente

È stato uno dei grandi pittori del modernismo. I suoi ritratti empatici e al contempo spietati di persone semplici, i suoi potenti paesaggi pieni di colore e le sue enigmatiche nature morte raffiguranti carcasse di animali riflettono sia il conflitto sociale che quello tra visioni religiose e politiche del mondo radicalmente opposte. Mentre molti dei suoi contemporanei erano interessati all’astrazione, la pittura di Chaïm Soutine era figurativa, vivace ed espressiva, con uno stile caratterizzato da linee agitate e vibranti.

Cresciuto in una famiglia ebrea ortodossa in una piccola città non lontana da Minsk, nell’attuale Bielorussia, nel 1913, all’età di 20 anni, Soutine si trasferisce a Parigi per farne la sua seconda casa. Modigliani sarà fra i suoi amici più cari. Tuttavia, rimase sempre un outsider, inizialmente a causa della scarsa padronanza della lingua francese e il senso di estraneità da quella società. L’esperienza di fuga e migrazione che ha segnato profondamente la sua vita risuona nelle sue opere.

Sebbene Chaïm Soutine sia considerato uno dei maggiori artisti dell’arte moderna, rappresentato in molte importanti collezioni museali, è poco noto al largo pubblico. Una lacuna che il Kunstmuseum di Berna prova a colmare con questa mostra, in collaborazione con la Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf e il Louisiana Museum of Modern Art di Humlebæk, Danimarca. Circa 60 le opere presentate, riunendo tutti i generi preferiti dall’artista - ritratto, paesaggio e natura morta - con un focus sui suoi primi decenni di creazione. Alle sei della collezione del museo (tutte dal lascito di Georges F. Keller), sono affiancati importanti prestiti internazionali da musei francesi e internazionali.

Kunstmuseum Bern Fino al 1 dicembre 2024

Sopra, Chaïm Soutine, Lo zigano, 1926 olio su tela, 46 × 38 cm, Statens Museum for Kunst, Copenhagen. Sotto, in portoghese, “tipo passe”, titolo della fotografia, si riferisce alle foto per i documenti d’identità, di cui Edson Chagas mette in discussione la neutralità. Fra la cinquantina di artisti alla Biennale Images Vevey.

Vevey

Biennale Images Vevey (dis)connected

Dal 2008, la Biennale Images Vevey si è affermata come la principale biennale di arti visive della Svizzera e come punto di riferimento internazionale per la fotografia contemporanea. Ogni due anni propone installazioni fotografiche site-specific, sia in spazi esterni che interni, nelle strade e nei parchi di Vevey, sulle facciate dei suoi edifici, nei musei e nelle gallerie, e persino sul lago di Ginevra, da scoprire gratuitamente. Nel corso delle sue otto edizioni, è stata un catalizzatore di incontri e scambi culturali, presentando il lavoro di oltre 450 artisti provenienti da circa 60 Paesi in un formato unico. Celebri le installazioni fotografiche monumentali create in collaborazione con artisti come JR, Cindy Sherman, Martin Parr e Thomas Struth.

Per la nona edizione, dal 7 al 29 settembre 2024, affronta il tema del divario senza precedenti creato dalle tecnologie digitali. Ecologia, geopolitica, economia, arte, istruzione e tempo libero: ogni settore della società è interessato da questa rivoluzione.

I circa cinquanta progetti presentati da artisti di tutto il mondo creano legami tra la nostalgia per il passato e la curiosità per un futuro incerto. Sia all’interno che all’esterno, in tutta la città di Vevey, le proposte artistiche giocano sulla sensazione di connessione e disconnessione tra realtà tangibile e fantasia digitale. Sono attesi oltre 60mila visitatori.

Dedicato al sostegno della creazione artistica nelle sue varie forme, l’ecosistema Images Vevey include altre tre attività principali: L’Appartement - Espace Images Vevey: uno spazio permanente per la fotografia contemporanea; il Grand Prix Images Vevey: una delle più antiche borse di studio europee per la creazione fotografica; Éditions Images Vevey: una casa editrice di libri di fotografia. Biennale Images Vevey Dal 7 al 29 settembre 2024

Locarno

Olga Fröbe-Kapteyn: ar- tista-ricercatrice

Nel corso del XX secolo, la regione del Locarnese si è distinta come un fervido crocevia delle avanguardie artistiche e intellettuali europee. Sulla scia dell’esperienza del Monte Verità di Ascona, varie esperienze significative hanno riunito personalità illustri dell’ambiente culturale dei primi decenni del secolo scorso, creando un clima di intenso dialogo transdisciplinare. Tra i protagonisti spicca Olga Fröbe-Kapteyn, nata a Londra e formata come artista e storica dell’arte a Zurigo. Come fondatrice del Centro Eranos, ha promosso il dialogo tra discipline umanistiche e scientifiche e tra oriente e occidente. La sua visione del mondo olistica e umanista anticipa molte delle tematiche che caratterizzeranno l’evoluzione delle categorie dell’arte e del pensiero nel XX e XXI secolo.

La mostra proposta dal Museo Casa Rusca esplora il suo contributo unico all’arte e alla cultura del Novecento, presentando opere che ne riflettono l’intenso interesse per la simbologia e il misticismo. Per la prima volta vengono presentati in un’unica esposizione lavori emblematici delle varie fasi di ricerca dell’artista: una selezione di opere tratte dai suoi dipinti astratti, Tavole di meditazione (1926-34), disegni figurativi a matita e gouache, Visioni (1934-38) e alcuni estratti dal suo Archivio di Eranos per la ricerca sul simbolismo (1934-44).

In coincidenza con l’esposizione, è stata data alle stampe anche la prima monografia esaustiva dedicata a Olga Fröbe-Kapteyn (Edizioni Casagrande e Museo Casa Rusca in collaborazione con la Fondazione Eranos e la Kunsthalle Mainz) che ne approfondisce vari aspetti della produzione artistica integrati in una prospettiva storico-artistica più ampia, grazie a interventi di esperti dell’opera dell’artista, con l’obiettivo di diventare un punto di riferimento nella bibliografia di Fröbe-Kapteyn. Museo Casa Rusca Fino al 12 gennaio 2025

Sotto, Olga Fröbe-Kapteyn, Reincarnation, c. 1926-34, tecnica mista su cartoncino, 60,5 x 47 cm.

Milano

Obey: The Art of Shepard Fairey

Obey - in italiano obbedire - è la parola che Shepard Fairey (1970, Charleston) ha scelto come nome d’arte, per invitare provocatoriamente i suoi osservatori a sviluppare un senso critico e a disobbedire alle convenzioni sociali, quando necessario. Le sue opere lo hanno reso uno dei più influenti street artist internazionali, che questa mostra dà un’opportunità unica di esplorare. L’itinerario espositivo è stato ideato appositamente per la Cattedrale della Fabbrica del Vapore, concependo lo spazio come fosse una città: da una piazza centrale si diramano cinque percorsi che conducono lo spettatore alla scoperta delle tematiche più rappresentative dell’arte di Obey, attraverso una ricca collezione di opere personalmente selezionate dall’artista. Un compendio dagli inizi alle opere più sofisticate, tipiche della produzione degli ultimi anni. La sua tecnica, dopo oltre tre decenni, non ha mai perso l’animo punk rock. Alle forme geometriche e alla palette minimalista, composta prevalentemente da rosso, nero e beige, si aggiungono nelle nuove opere composizioni più armoniose e colori più caldi che diventano un piacevole espediente decorativo per bilanciare messaggi sempre più provocatori. Tra i molteplici lavori spicca Hope, realizzato per la campagna elettorale di Obama, che nel 2008 ha definitivamente consacrato l’artista al successo su scala mondiale. Ma di grande interesse sono anche gli ultimi lavori inediti del 2024 presentati qui in anteprima. Nonostante un’elaborazione più complessa, l’essenza dei soggetti iconici e identificativi di Obey rimane invariata e con essi l’artista auspica che la propria arte continui a stimolare nel pubblico una profonda riflessione su temi universali come la pace, l’uguaglianza la giustizia, la tutela dell’ambiente, l’universalità della musica e motivi a un cambiamento positivo. Cattedrale - Fabbrica del Vapore Fino al 27 ottobre 2024

Sopra, Hope, l’opera creata per la campagna di Obama nel 2008, che ha consacrato lo street artist Shepard Fairey (Obey).
Courtesy
Artist Obey Giant / Photo Jon Furlong
© Fondazione Eranos, Ascona

/ l’esperto di tecnologia

Il trappolone di Tucidide

Lo sviluppo tecnologico è trainato da migliaia di anni

dall’inseguimento di un’egemonia strategica rispetto alle altre potenze del momento. Il risultato? Effimero, ma decisivo.

Trattandosi di tecnologia non si può fare a meno di collegarla alla grande capacità che l’Homo quasi Sapiens, da sempre, sfrutta per farsi guerre. Una magnifica interpretazione la fece il grande Kubrik all’inizio della sua ‘Odissea nello Spazio 2001’, ma da allora, in termini tecnologici si è molto migliorati e si è giunti alla capacità di distruggere otto miliardi di persone in pochi minuti, veramente non male!

Ed ecco arrivare Tucidide, il famoso storico greco del 400 a. C., e la sua ‘trappola’ come la definì alla fine del secolo scorso l’importante scrittore e politologo americano Graham Allison.

Tucidide analizzò le guerre da quella di Troia a quella del Peloponneso e concluse come “le nazioni egemoni inevitabilmente entrano in conflitto con le nazioni che, crescendo, minacciano la loro egemonia come successe tra Sparta e Atene”.

La cosa non dovrebbe meravigliare e quando un nipotino, con aria interrogativa, mi chiede delle guerre, la risposta

non può che essere sempre: “so solo che se guardi il libro di storia non troverai una sola pagina che non parli di guerre!”.

Un po’ più scientificamente si potrebbe affermare che da quando il mammifero umano è uscito dall’Africa e ha conquistato le capacità tecnologiche per crescere, la sua sicurezza è passata dallo stare sugli alberi alla difesa armata del suo territorio, è così che “i nostri confini sono sacri e li difenderemo fino alla morte”.

Così è stato per millenni, solo che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, per la prima volta nella storia, è cambiato qualcosa di tecnologicamente mostruoso: l’atomica, un modo per distruggersi più velocemente, vincitori e vinti.

L’unico risultato è come afferma il romano Pontefice si fanno ‘guerre a pezzi’, al di sotto del tremendo ombrello dell’equilibrio strategico. Il termine ‘equilibrio’ racchiude un terrificante contenuto tecnologico, spesso non ben compreso ma che nella sua semplicità sottintende che la tecnologia militare deve progredire con-

Ettore Accenti, esperto di tecnologia. Blog: http://bit.ly/1qZ9SeK

A lato, il Nadge del Sessanta.

tinuamente e alla massima velocità perché la sua fine significherebbe o la sottomissione o l’annientamento di qualcuno.

Dal primo lancio nel 1956 di un missile intercontinentale dell’allora Urss si è entrati nella fase di come sopravvivere a un attacco, colpendo il nemico prima della propria distruzione: il nuovo equilibrio.

Chi scrive ha vissuto quel periodo: ho ritrovato un mio articolo degli anni Sessanta sul sistema americano Nadge, tratto da una rivista americana. Si trattava del “Nato Air Defence Ground Environment” un potentissimo sistema radar collegato a grandi computer Ibm collocato in Groenlandia per rilevare attacchi a sorpresa sovietici che si prevedeva dovessero passare sopra il Polo Nord. Non esistevano ancora satelliti spia e quel sistema permetteva agli Stati Uniti un tempo di reazione di almeno 30 minuti.

È bene ricordare anche che durante il loro primo test i computer rilevarono un grande attacco con molti missili che solo i tecnici umani compresero fosse il semplice riflesso radar proveniente dalla Luna che stava sorgendo.

Ben presto le tecnologie migliorarono da ambo le parti e, grazie a satelliti, sommergibili atomici e altre conquiste tecnologiche, negli anni Settanta si parlava di un equilibrio strategico di reazione che doveva essere di cinque minuti.

La famosa crisi di Cuba del 1962 era il tentativo sovietico di piazzare missili che partendo da quell’isola avrebbero abbassato il tempo di reazione a un attacco

verso gli Stati Uniti da 30 a pochi minuti. Non posso descrivere la miriade di fatti che ho potuto leggere e vivere in prima persona e per i contatti con industrie tecnologiche di mezzo mondo a partire dalla nascita dell’industria di semiconduttori a Taiwan, oggetto di contesa militare, alle sanzioni per la giapponese Toshiba che forniva eliche silenziose per i sommergibili atomici sovietici, all’abbattimento di un nuovissimo Mig21 in Vietnam contenente nel radar diodi microonde (che vendevo anch’io e che mi procurarono ispezioni da parte della Cia), ai quadrimotori a eliche che vedevo continuamente atterrare e decollare di fronte al Pacifico dal Moffet Field della Silicon Valley e che mi dissero tenevano ciascuno sotto tiro i sommergibili sovietici nel Pacifico... E ora? La risposta è semplice, si è giunti in una apparentemente nuova era dove si prosegue la guerra tecnologica sotterranea per mantenere il fragilissimo, ma necessario, equilibrio strategico: intelligenza artificiale, droni autonomi, bombe intelligenti, microchip, conquista dello spazio e tutta la marea di chiacchiere inutili su ciò che è giusto o sbagliato fare.

Il Nadge

Cos’è il Nato Air Defence Ground Environment? Nelle sue linee fondamentali è un sistema di difesa aerea automatizzato. I radar di avvistamento sono di grande potenza e collegati con elaboratori elettronici operanti in tempo reale. Schermi di rappresentazione a raggi catodici permettono di evidenziare la situazione aerea in volo. Un’estesa rete di telecomunicazioni permette poi la rapida diffusione delle informazioni. Le caratteristiche più importanti vengono tenute riservate, ma le società partecipanti al consorzio hanno comunicato le rispettive forniture. Il progetto è coordinato dal Wna (Westinghouse Nadge Associates), un consorzio internazionale di società con specializzazioni complementari che hanno una lunga esperienza nella collaborazione per i programmi di difesa, e comprende le seguenti società: Westinghouse Electric International, diverse Ibm, Siemens Schuckertwerke, Siemens Bauunion, Ateliers de Constructions Electriques de Charleroi (Acec) e la società britannica Plessy-Radar. Tutte le attività sono coordinate dalla direzione centrale a Londra (3 Regent Street), che fa capo a P. G. Schmitt, presidente e direttore generale dell’intero progetto Nadge.

Da millenni si ricerca la propria sicurezza sotto un ombrello protettivo anche nucleare. Ne serve una prova? Gli strateghi americani, capendo l’impossibilità di una guerra atomica si sono inventati il Pgs (Prompt Global Strike), un sofisticatissimo sistema tecnologico globale che con semplici armi tradizionali è in

Fare impresa richiede nervi saldi

Per un’imprenditoria forte

grado di distruggere qualunque minaccia militare proveniente da qualsiasi punto del pianeta. Risposta Russa: “noi al vostro Pgs risponderemo con armi atomiche!”. E fa proprio ridere leggere sui giornali che la Cina stia investendo somme enormi anche per “trovare l’acqua sulla faccia nascosta della Luna”! Ma chi ci crede?

Al passo con la tecnologia

La consegna di telefono e pc aziendali ai propri dipendenti facilita sicuramente il lavoro, ma può nascondere inaspettate insidie per le quali la legge non ha (ancora) le risposte.

Tecnologia e diritto non si muovono spesso sugli stessi binari e, anzi, non sono rari i casi in cui i due campi di attività si trovano in antitesi. Se, da un lato, il successo di una nuova tecnologia sta nel riuscire ad anticipare e proporre rapidamente delle soluzioni alle esigenze della società, dall’altro lato, il diritto può solo reagire alle nuove abitudini della società. Visti i tempi necessari per giungere all’entrata in vigore di una legge, non è dunque inusuale la mancanza di risposte nella legge agli effetti collaterali che il progresso tecnologico porta con sé. Si pensi ad esempio alle discussioni degli ultimi anni in merito alla possibilità di introduzione di norme penali per la lotta al cybermobbing o al cyberbooming. Parliamo di distorsioni e abusi dei sistemi di comunicazione, permesse appunto da canali sempre più accessibili, rapidi e anonimi.

La contrapposizione tra progresso tecnologico e diritto non si fa tuttavia notare solo in termini di velocità della reazione legislativa, bensì pure con riguardo allo scopo stesso che i due campi d’attività voglio raggiungere. Se l’intento primo della tecnologia è infatti quello di facilitare la nostra vita, la legge ha spesso lo scopo, attraverso i divieti, di limitarne l’applicazione. Droni, domotica e, più in generale, intelligenza artificiale sono solo degli esempi che attestano come la conoscenza tecnica attuale sia ben più sviluppata rispetto ai reali impieghi di tali tecnologie nel nostro mondo.

Un ambito in cui il legislatore e la giustizia si devono costantemente interrogare se l’impiego di un prodotto tecnologico sia giuridicamente ‘giusto’ o ‘sbagliato’ è quello del lavoro, dove efficienza produttiva e protezione dei lavoratori, su

fronti opposti, sono messe a dura prova dall’inarrestabile avanzata della tecnica. Concretamente, la battaglia verte spesso sull’impiego degli strumenti di controllo dei lavoratori, che hanno il fine ultimo di migliorare i processi lavorativi, ma che nel contempo sono potenzialmente lesivi della personalità. Controllo è infatti spesso sinonimo di violazione della privacy. La protezione della personalità rientra nei compiti principali del datore di lavoro, che è tenuto ad astenersi da ogni attività che ecceda quanto previsto contrattualmente, ma che pure deve adoperarsi affinché sul posto di lavoro la personalità dei dipendenti non sia compromessa da terzi. Vale per il tema di grande attualità della protezione dei dati, ma anche per quello del controllo mediante strumenti di videosorveglianza e di tracciamento delle attività del lavoratore. In ragione delle indiscusse lacune legislative, al riguardo il Tribunale federale ha negli ultimi anni dovuto fornire alcune risposte di particolare importanza per gli addetti ai lavori.

L’Alta Corte ha segnatamente statuito che non è possibile tracciare la posizione di strumenti di lavoro concessi in uso esclusivo ai dipendenti (come lo possono essere l’autoveicolo, il telefono o il computer aziendali) che permettono di registrarne (o anche solo visualizzarne) la posizione. Tale divieto non è nondimeno assoluto, ma può essere attuato unicamente nella misura in cui il datore di lavoro possa garantire che il tracciamento sia limitato esclusivamente all’attività e al tempo di lavoro, ciò che risulta essere piuttosto arduo nel caso dell’apparecchio telefonico consegnato al dipendente, che sicuramente lo avrà con sé quando è a casa o in un altro luogo durante il suo tempo libero. Al riguardo, il Tribunale federale

Luca Cattaneo, avvocato e notaio, studio legale Barchi Nicoli Trisconi Gianini, Lugano e Bellinzona.

ritiene in ogni modo che l’eventuale introduzione di sistemi di sorveglianza su apparecchi assegnati ai propri lavoratori sia ammessa, purché questi ultimi siano compiutamente informati che sono autorizzati a disattivare ogni dispositivo di tracciamento fuori dagli orari di lavoro. Ma anche durante il tempo di lavoro non tutto è concesso al datore di lavoro. In particolare, i giudici di Mon Repos hanno giudicato inammissibile la sorveglianza dell’attività di un lavoratore attraverso un cosiddetto spyware (ossia un software programmato per registrare e trasmettere a terzi le informazioni sull’attività online di un utente) e questo nonostante i sospetti di comportamenti del lavoratore in contrasto con gli obblighi contrattuali. In un altro caso, il Tribunale federale ha per contro giudicato legittimo un licenziamento in tronco di un dipendente che è stato ‘incastrato’ con un sistema di rilevamento di dati che ha riconosciuto e segnalato automaticamente al datore di lavoro la visualizzazione (sistematica) da parte del proprio dipendente sul pc professionale di siti internet a carattere pornografico. Poiché in quel caso espressamente vietato dal regolamento aziendale, il licenziamento e il controllo è stato ritenuto legittimo.

Ecco dunque che l’inevitabile e lenta rincorsa della legge alla sempre più rapida evoluzione della tecnica è in parte attenuata dal lavoro dei giudici che, dal canto loro, devono diventare viepiù esperti di tecnologia o affidarsi a persone che lo siano.

*Termini e Condizioni applicabili. Maggiori informaioni su www.alpian.com/it/campaign-terms-of-use/

Un’iniziativa contro il futuro

L’iniziativa “Per una politica climatica sociale finanziata in modo fiscalmente equo” minaccia di destabilizzare il tessuto economico svizzero, fondato su imprese familiari solide e innovative.

IGiovani Socialisti (Giso) ci riprovano: dopo l’Iniziativa 99% nel 2019 e quella sull’imposta di successione nel 2015, tornano all’attacco con una proposta che va a scapito proprio delle storiche imprese di famiglia. D’intesa con il loro partito madre, hanno presentato a inizio anno l’iniziativa popolare “Per una politica climatica sociale finanziata in modo fiscalmente equo”, nota anche con il titolo fuorviante di “Iniziativa per il futuro”, con cui chiedono che i patrimoni più elevati, superiori a 50 milioni di franchi, siano tassati pesantemente al momento della successione. Il 50% dei proventi della tassa dovrebbe essere suddiviso tra Confederazione e Cantoni, con l’obbligo di utilizzare questi fondi esclusivamente per finanziare progetti climatici e di transizione energetica.

La proposta è pericolosa perché dietro un titolo promettente nasconde misure espropriative che rischiano di compromettere gravemente l’equilibrio economico e fiscale del nostro Paese. In primo luogo, l’introduzione di una tassa così gravosa disincentiverebbe la permanenza in Svizzera dei patrimoni facoltosi (che sono già più facilitati a spostarsi), riducendo di conseguenza le entrate fiscali complessive, gli impieghi e danneggiando l’attrattiva della Svizzera come sede per imprenditori e investitori.

Inoltre, la mancanza di eccezioni per le aziende aggrava ulteriormente la situazione. Le imprese familiari, pilastro dell’economia svizzera, sarebbero tra le più colpite. Visto che a essere tassato sarebbe il ‘patrimonio’ ereditato (già tassato annualmente), e non la liquidità sui conti bancari, la tassa sulle successioni costringerebbe le imprese a vendere parte o la totalità delle loro attività per pagare

l’imposta. Un vero paradosso per realtà che tendono a reinvestire nell’azienda (invece che monetizzare) per resistere nei periodi difficili (invece di chiudere) al fine di facilitare una successione più solida alla prossima generazione. Sforzi che diventerebbero vani, se a partire da una certa soglia non ci si potesse più permettere di dare continuità all’azienda di famiglia.

Contrariamente a quanto si vuole far credere, l’iniziativa non colpirebbe solo una ristretta cerchia di ‘facoltosi’, ma molti altri attori. Costringerebbe famiglie a vendere le imprese a grandi gruppi o fondi d’investimento, con il rischio di perdere la loro naturale attenzione al territorio nel processo decisionale aziendale. Di conseguenza, tutto il territorio ne soffrirebbe, inclusi partner, collaboratori ed enti locali.

L’iniziativa Giso quindi si spinge oltre l’attacco fiscale e rappresenta un tentativo di ridisegnare il modello economico svizzero, rianimando la lotta di classe. La nostra nazione ha costruito il suo successo su un sistema fiscale competitivo e una governance che favorisce l’innovazione e l’imprenditorialità, che la volontà di tassare il passaggio generazionale delle imprese in forma ‘confiscatoria’ mette in pericolo, rendendo la Svizzera meno attrattiva a livello globale. Il rischio è quello di veder fuggire capitali e talenti.

Anche il Consiglio federale ha già chiaramente espresso la sua opposizione a questa iniziativa, affermando che non è uno strumento adeguato a raggiungere gli obiettivi climatici del paese. Inoltre, l’introduzione di un’imposta sulle successioni per finanziare esclusivamente la politica climatica creerebbe falsi incentivi, portando a un uso inefficiente delle risorse.

Martino Piccioli, Presidente dell’Associazione delle Imprese Familiari (AIF) Ticino.

L’approccio espropriativo di questa iniziativa colpisce imprenditori e famiglie che pagano qui le imposte (e non poche) da generazioni e rischia di essere un primo passo pericoloso anche in prospettiva: se dovesse passare, sarebbe lecito attendersi che in futuro si proponga un abbassamento della soglia per includere anche patrimoni più bassi, con un impatto negativo a catena sulle imprese più piccole, sull’indotto e sul territorio più in generale.

Una ‘svendita’ di aziende familiari svizzere verso grosse società e fondi d’investimento esteri renderebbe forse felici gli iniziativisti nel corto termine, ma lascerebbe un deserto socio-economico nel medio e lungo termine, facendo sparire proprio quegli imprenditori e imprese familiari di medie dimensioni che garantiscono una continuità e stabilità per il territorio.

Facciamo attenzione quindi a non segnare un clamoroso autogol con iniziative pericolose e poco lungimiranti come questa. Tagliare il legame con le imprese familiari, che negli anni e nelle generazioni hanno saputo incrementare il valore della propria attività, creare molti posti di lavoro e contribuire al benessere che ci circonda, equivarrebbe a tagliare i legami con la cultura imprenditoriale svizzera, fatta di innovazione, serietà, concretezza e un tradizionale senso civico su più generazioni. Quello che oggi chiamiamo ‘sostenibilità’ è un valore ben radicato nelle nostre aziende familiari, che sarebbe controproducente perdere.

Un’imposta insidiosa

Causando la fuga di patrimoni facoltosi, la cosidetta “Iniziativa per il futuro” darebbe un grosso colpo alle entrate fiscali, finendo per ripercuotersi sul già tartassato ceto medio.

Suggestivamente denominata “Per una politica climatica sociale finanziata in modo fiscalmente equo (Iniziativa per il futuro)”, l’iniziativa popolare lanciata dai Giovani socialisti svizzeri vorrebbe introdurre nella Costituzione federale un nuovo articolo 129a, con il quale statuire un’imposta ereditaria del 50% sulla parte di patrimonio superiore ai 50 milioni di franchi, da destinare a misure per il clima e per la relativa ‘trasformazione’ dell’economia.

Da sottolineare che l’iniziativa - che dovrebbe venire sottoposta al voto popolare nel corso del 2026 - contiene anche una disposizione transitoria da iscrivere nella Costituzione (Art. 197 n. 15) con la quale Confederazione e Cantoni sono tra l’altro tenuti a emanare disposizioni di esecuzione tendenti a prevenire l’elusione fiscale dell’imposta, soprattutto in relazione alla partenza dalla Svizzera, a prevedere l’obbligo di registrare le donazioni e a emanare con apposita ordinanza entro tre anni dall’accettazione le disposizioni di esecuzione dell’iniziativa. Oltre a queste clausole, la disposizione transitoria prevede inoltre - ed è ciò che la rende particolarmente insidiosa - la retroattività della sua applicazione già dal momento della sua approvazione da parte di popolo e Cantoni. Ciò significa che lo spostamento dalla Svizzera di parte di patrimonio superiore ai 50 milioni di franchi o la sua destinazione a donazione li renderebbero soggetti alla nuova imposizione. Se gli effetti diretti di questa iniziativa non coinvolgono ovviamente gli obblighi fiscali della gran maggioranza dei soggetti fiscali svizzeri, la stessa solleva già sin d’ora forti inquietudini presso coloro che ne sono gli obiettivi diretti, e ciò appunto in forza di questa clausola transitoria che renderebbe

vana qualsiasi misura tendente a eludere gli effetti dell’iniziativa sia con il trasferimento all’estero del patrimonio soggetto alla stessa che con donazioni a coniugi e/o discendenti successivamente alla data di approvazione della stessa. Mentre misure preventive adottate prima del voto popolare come donazione o trasferimento all’estero non cadrebbero sotto le forche caudine dell’iniziativa.

Ciò detto si impongono alcune considerazioni nel merito. Dapprima che da parte della Cancelleria federale non sembra essere stata sollevata l’eventuale eccezione di anticostituzionalità, e ciò a fronte del carattere chiaramente confiscatorio dell’iniziativa che dovrebbe scontrarsi con i principi legali e costituzionali del nostro Stato di diritto, anche se limitato a una parte del patrimonio, ma pur sempre sottratto nella misura del 50%.

Inoltre l’iniziativa è perentoria, nella misura in cui deve essere applicata in modo ‘esaustivo’ senza alcuna eccezione, per esempio nei confronti dei patrimoni di ditte a conduzione familiare rientranti nei parametri del nuovo articolo costituzionale. In fase di successione ereditaria gli eredi non potrebbero fare fronte al pagamento delle imposte se non vendendo la ditta o facendola quotare in Borsa. Già sin d’ora chi si ritiene oggetto della nuova imposta sta valutando di lasciare il nostro paese, in alternativa alla possibilità di una donazione ai propri discendenti, trasferendo il proprio domicilio fiscale in località come Monaco, Dubai o Arabia saudita, dove non sono riscosse imposte sul reddito di persone fisiche, oppure in Italia che si è trasformata in un vero e proprio paradiso fiscale per contribuenti globalisti disposti a pagare un’imposta forfettaria ora di 200mila euro. E un lo-

Stelio Pesciallo, avvocato e notaio presso lo Studio 1896, Lugano.

ro ritorno in Svizzera in caso di respingimento dell’iniziativa non è garantito e comunque impossibile, in base alle attuali disposizioni di legge, per i globalisti. Inutile sottolineare che la partenza di facoltosi patrimoni dal nostro paese darebbe un grosso colpo alle entrate fiscali il che, in mancanza della volontà di comprimere la spesa pubblica, rischia di chiamare alla cassa il già tartassato ceto medio, il quale potrebbe dovere essere confrontato in futuro con una riedizione di questa imposta su parametri molto più ridotti. E segnali in tal senso già ci sono. Da parte sua, il Consiglio federale, rispondendo ad interpellanza, ha assicurato che, in caso di approvazione dell’iniziativa, non proporrebbe un’apposita imposta sulla partenza di patrimoni, ma una decisione in tal senso dipenderebbe comunque dalla volontà del Parlamento. In caso di spostamento all’estero del patrimonio liquido successivamente all’accettazione dell’iniziativa rimarrebbe comunque il rischio alla morte del titolare che l’autorità fiscale svizzera possa emettere una decisione di assoggettamento all’imposta, come rilevato recentemente dalla Nzz riportando il parere di esperti universitari. Rischio che può essere evitato spostando il proprio domicilio fiscale in paesi come l’Austria (che inoltre non conosce un’imposta ereditaria), Gran Bretagna, Danimarca, Germania, Francia, Finlandia o Svezia, con i quali esiste un’apposita convenzione che assegna esclusivamente al paese dell’ultimo domicilio il potere di imporre l’assoggettamento del patrimonio ereditario.

Lpp: ma... su che si vota?

Si è sempre più spesso chiamati a esprimersi in sede referendaria, ma in pochi si domandano sulla base di quali conoscenze. Una recente indagine non sembra confortare.

Itemi politici che vengono messi al voto sono spesso difficili e complicati. Non sfugge alla regola il prossimo 22 settembre con la riforma della Legge sulla previdenza professionale (Lpp), cioè la Cassa pensione. Il II dei tre pilastri previdenziali svizzeri, dopo Avs.

Su questi temi critici la discussione è solitamente molto intensa già a livello parlamentare, ma spesso si fa ricorso al referendum. Nel caso specifico, dopo lungo dibattere, si è giunti a un accordo di massima tra destra e sinistra in Parlamento, ma ciò non è bastato.

Dato il soggetto già di per sé complesso e reso ancor più complicato (e costoso) dal Parlamento, si dovrà quindi votare. Con quale conoscenza del problema?

Alla domanda è arrivata una risposta da un’indagine svolta da Sotomo, su un campione di 1’600 persone, con risultati sconfortanti. Si conclude che: la popolazione svizzera affronta il dibattito sulla votazione per la riforma con una preparazione di base insufficiente e un’idea distorta. Per esempio si tende a sopravalutare il numero di persone che ne sarebbero danneggiate.

Mancanza di conoscenze e valutazioni errate sono molto frequenti. Ciò non sorprende se si considera che molti non sanno come funziona il II pilastro e che il tema in discussione è molto complesso. L’indagine rivela però che la percezione maturata è anche frutto di errori e distorsioni, che potrebbero influire sul voto.

Perché si tende a sopravvalutare gli effetti della riforma? Al centro del progetto vi è sicuramente la riduzione del tasso di conversione, oggi a un irrealistico 6,8%. La riforma prevede comunque alcune compensazioni, come l’aumento dei prelievi sui salari degli attivi per non provocare una riduzione delle rendite.

Resta da chiarire chi verrà danneggiato dalla riduzione al 6%. Si è stimato che lo sarebbe il 63%, ma secondo valutazioni più attendibili non lo sarebbe la grande maggioranza, secondo il Consiglio federale i due terzi, secondo altri l’85%.

Il difetto è insito nel sistema che prevede un minimo di rendite di base. Il messaggio sulla riforma si riferisce a questo minimo, ma la maggior parte delle Casse pensioni lo supera già. Non solo, ma le cifre versate per il capitale di vecchiaia sono molto superiori e spesso il datore di lavoro versa più del dovuto 50%. Il capitale si divide così in obbligatorio e

«Mancanza di conoscenze e valutazioni errate sono molto frequenti in sede di referendum rispetto alle riforme proposte, oltre che protagoniste. Ciò non sorprende se si considera che molti non sanno come funziona il II pilastro e che il tema in discussione è molto complesso»

sovraobbligatorio, e in alcuni casi le Casse possono mischiare le due forme. Del resto è così che tutti possono garantire il 6,8%. Ed è così che le Casse avrebbero accettato anche un tasso più basso.

Oggi, però, si tende a sottovalutare la parte ‘libera’ del II pilastro. Le statistiche ufficiali dicono che l’85% degli assicurati godono di un capitale non obbligatorio rilevante. Nell’indagine, solo il 30% ne era convinto, il 45% non ne era sicuro.

L’indagine nota anche che quasi nessuno conosce il proprio tasso di conversione, o pensa che sia molto più alto. Alla

domanda quale sia il tasso medio praticato la risposta è stata del 6,2%, mentre è già del 5,2%, quindi ben inferiore al 6% proposto. In conclusione, il sistema pensionistico è molto apprezzato, ma molti non sanno come funziona.

Vi è però un’altra indagine che ha affrontato il tema, è il caso di Bss Consulenze economiche, concentrata su quanti saranno interessati dalle modifiche proposte. Secondo questo studio, l’85% degli assicurati fa parte di quelle Casse che hanno già ridotto il tasso di conversione. Accanto a questi ci saranno però circa 170mila persone che vedranno ridursi le loro rendite. È difficile capire perché sulla base dei molti sussidi previsti, circa 11 miliardi di franchi per circa 400mila beneficiari. Ciò dipende dai criteri adottati nella riforma che verranno applicati per 15 anni: più si è vicini alla pensione, più si riceve (circa 2’400 franchi all’anno). Entra però in linea di conto anche il capitale di vecchiaia: sotto i 220mila franchi si ha diritto al sussidio pieno, in progressiva diminuzione fino ai 440mila. Diverse le critiche anche sul sistema dei sussidi.

Qualche commentatore, alla luce di questi dati, conclude che il referendum è più facile (da fare e anche da vincere) quando la gente non sa bene di che cosa si tratta. Lo slogan dei referendisti è “le pensioni diminuiranno per tutti a causa della riduzione del tasso di conversione”. Altri si chiedono “perché spendere 11 miliardi per le pensioni, ognuno si paghi la sua”. Questi sono anche, e purtroppo, i limiti del sistema democratico e anche in Svizzera è più difficile trovare il compromesso che scontenti il minor numero di votanti.

‘Le macchine? Non hanno mai giornate no’

Negli ultimi anni la gestione dei casi in Suva è stata fortemente digitalizzata, a vantaggio delle aziende e delle persone infortunate che possono beneficiare di una maggiore trasparenza e rapidità nelle procedure. In questo modo è possibile dedicare più tempo all’assistenza delle persone ‘colpite dal fato’.

Ogni anno Suva elabora circa 500mila notifiche di persone infortunate. Poco più di due anni fa, il più grande assicuratore d’infortuni della Svizzera ha radicalmente digitalizzato il processo di gestione dei casi grazie a un progetto di grande successo, smartCare. Da allora, circa il 50% dei casi è trattato in modo automatico.

Daniel Roscher, membro della Direzione e responsabile del Dipartimento gestione dei casi e riabilitazione, spiega come, nei casi più semplici, la macchina è in grado di riconoscere l’infortunio in base a una serie di regole preimpostate e gestirlo autonomamente fino al pagamento dell’indennità giornaliera, sveltendo notevolmente il processo.

Casi complessi gestiti da personale specializzato.

«Grazie a una maggiore efficienza possiamo dedicare più tempo alla consulenza e all’assistenza individuali delle

Suva in cifre

Lo scorso anno le aziende assicurate da Suva hanno notificato circa 494mila casi di malattie professionali e infortuni, di cui il 61% si è verificato durante il tempo libero.

Suva è un’azienda indipendente di diritto pubblico e assicura circa 135mila imprese con oltre 2,2 milioni di lavoratori contro le conseguenze di malattie professionali e infortuni.

Daniel Roscher (in foto) è membro della Direzione della Suva nonché capodipartimento Gestione dei casi e riabilitazione. È inoltre responsabile dell’assicurazione militare e delle due cliniche di riabilitazione a Bellikon (AG) e Sion (VS). Ha studiato economia aziendale e completato il programma Executive MBA all’Università di Zurigo.

persone infortunate» riflette Roscher, che aggiunge: «L’essere umano interviene ogniqualvolta la macchina raggiunge i limiti che noi stessi le abbiamo imposto». I casi complessi vengono presi invece in carico da collaboratori specializzati, gli unici a poter prendere decisioni con esito negativo. «Da noi questa competenza spetta infatti esclusivamente al personale» precisa. Il progetto smartCare ha determinato un aumento della qualità delle decisioni: l’alto grado di automazione ha

permesso di raggiungere uno standard di qualità elevato e uniforme. Del resto, prosegue, «Le macchine non hanno mai giornate no».

Pagamento più efficiente delle indennità giornaliere.

Grazie a smartCare, oggi il versamento delle indennità giornaliere è decisamente più rapido. «In un caso di infortunio completamente automatizzato, il tempo che intercorre mediamente dalla registrazione dell’infortunio al primo pagamento dell’indennità giornaliera è di 34,5 giorni, ossia otto giorni in meno rispetto al passato» sottolinea Roscher.

Oggi, inoltre, le indennità giornaliere vengono corrisposte a cadenza settimanale anziché mensile.

Il progetto smartCare è però tutt’altro che concluso: Suva ambisce infatti a mettere in comunicazione i propri sistemi informatici con i sistemi di gestione delle risorse umane dei suoi clienti. A tale scopo ha sviluppato uno standard in collaborazione con Swissdec. Sebbene la sua diffusione richieda tempo e risorse, «sono più che ottimista che, in futuro, sempre più casi potranno essere gestiti tramite questo canale, nell’interesse di tutti».

Per informazioni: suva.ch/it-ch/infortunio

App digitali in salute

Anche nel settore sanitario, strumenti e app digitali possono contribuire ad alleggerire il peso del sistema sanitario, andare incontro alla carenza di professionisti e ridurre i costi.

Sanità: notorietà e potenziale di utilizzo degli strumenti digitali

Sondaggio su 2.009 intervistati sul ricorso ad app digitali per la salute psichica

Sopra, Elias Frühauf, membro del CdA di Sanitas dal 2018 e responsabile di Operations & Digitalisation. Ancora poco note, le app a supporto della salute mentale, in particolare per psicoterapie online con personale specializzato, hanno un ottimo potenziale per porre rimedio alle lunghe liste d’attesa degli studi e affiancare le cure tradizionali.

Considerato tra i migliori al mondo in termini di qualità, il sistema sanitario svizzero ne paga però in parte pegno con l’aumento annuale dei premi. Oltre a fattori di costo quali l’evoluzione medica e demografica, un importante margine di miglioramento è offerto dalla digitalizzazione. Ormai è scontato che si possa diventare clienti senza recarsi fisicamente in agenzia e che il servizio clienti sia sempre disponibile online. Ma le casse malati si stanno anche impegnando per sviluppare soluzioni che consentano agli assicurati e al sistema sanitario di sfruttarne a pieno il potenziale.

In particolare, le app per la salute, sottoposte al vaglio di un’istituzione medica, possono rappresentare un’opportunità per alleggerire il peso del sistema sanitario, andare incontro alla carenza di professionisti e ridurre i costi. Gli strumenti digitali aiutano ad esempio a prendere decisioni e offrono un accesso rapido all’aiuto e alle diagnosi mediche. Si prenda il caso del classico mal di gola e naso che cola: che fare? A volte è sufficiente un

rimedio casalingo. A volte è necessario un consulto medico, che gli assicurati potrebbero ricevere comodamente via chat o telefono. In questo modo non solo si supporta il paziente, ma si favorisce anche l’economicità dei trattamenti, come Sanitas sta sperimentando con il suo chatbot di Sensely.

La digitalizzazione offre un grande potenziale anche nel settore ospedaliero. In Svizzera, solo il 25-30% delle operazioni viene eseguito in regime ambulatoriale, a differenza di altri Paesi in cui il rapporto è inverso. Grazie agli enormi progressi della tecnologia robotica, in futuro molti interventi diventeranno sempre meno invasivi, dunque i pazienti potranno essere dimessi più rapidamente e monitorati online con l’aiuto di nuove opzioni digitali: Hospital at Home. Il che riduce la necessità di posti letto in ospedale, con un impatto positivo sui costi.

Molto importante potrebbe essere l’apporto in un ambito come quello della salute psichica, con lunghe liste d’attesa e il rischio di diversi mesi prima di poter entrare in terapia a causa della forte

carenza di personale qualificato. Le app hanno il potenziale di attenuare la difficoltà di approvvigionamento e di prestare aiuto nell’attesa di una cura, evitando di vivere un’esperienza angosciante a chi si confronta con un problema di salute mentale acuto. In Svizzera sono già disponibili offerte per la psicoterapia online, ma a carico del paziente, non essendo ancora sostenute dall’assicurazione di base.

Uno studio di intervista Ag condotto nel gennaio 2024 per conto di Fondazione Sanitas Assicurazione Malattia, interpellando 2009 persone tra i 15 e i 79 anni di tutto il Paese, ha dimostrato che le app per la salute mentale possono aiutare soprattutto i giovani under 35, che si dichiarano pronti a utilizzarle a patto che siano interessanti e create specificamente per il loro target, con basi scientifiche e che siano conosciute. I modelli ‘blended’, in cui i benefici del supporto online sono combinati con le competenze dei terapeuti, sono particolarmente interessanti: migliorano l’efficacia della terapia tra una seduta e l’altra e, allo stesso tempo, contrastano i lunghi tempi di attesa per le visite presso uno studio psicologico. Un potenziale ancora poco sfruttato, che sarà importante sviluppare. Anche per la salute del sistema sanitario stesso.

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Fonte: Fondazione Sanitas Assicurazione Malattia, Intervista Ag

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Troppo, o troppo poco?

Il debito pubblico, o meglio la sua gestione, sarà un tema determinante per i prossimi anni, anche a fronte delle pesanti eredità dell’emergenza pandemica. Come possa essere ripagato, o anche semplicemente ridotto, è noto in teoria, ma impraticabile sul campo, specie in una congiuntura sfidante, e con interessi elevati. Ma quale dovrebbe esserne il livello ottimale? Cosa si può desumere dalle esperienze altrui, e dove si trova la Svizzera oggi?

Tesaurizzare è l’ennesimo termine economico che fa riferimento a un passato arcaico, quando effettivamente oro e argento, dunque i contanti, venivano ‘messi da parte’ spesso in previsione di guerre o epidemie. Non è il solo, e dunque ‘pecunia’ si porta dietro la radice etimologica ancora precedente, quando il gregge e le pecore erano il vero capitale di una famiglia di pastori latini. Analogie, seppur con uno storico meno importante per ovvie ragioni temporali, si trovano anche in altre lingue europee, come ‘argent’ in francese, a ricordare come tradizionalmente l’unità di conto francese, il franco, fosse per l’appunto d’argento. Eppure, i ‘tesori’ nel mondo antico erano anche molto altro. In senso più esteso il Tesoro era la tesoreria dello Stato, il luogo dove era conservata la materia

prima preziosa, e dove la moneta veniva coniata. Il tesoro, quello di guerra, erano anche le risorse liquide affidate ai generali per pagare i salari (che nel frattempo di sale hanno perso quasi tutto) per la durata prevista delle operazioni sul campo. E si definiva tesoro anche la cella non sacra dei templi, ossia il secondo ambiente dove non era presente la statua del dio, e dove invece venivano conservate le offerte votive particolarmente preziose dei fedeli. Nel caso dei santuari più importanti i tesori erano più di uno, nella forma di piccoli tempietti secondari, intorno a quello principale, dove erano stipate le offerte, come nel caso di Olimpia, uno dei principali templi del mondo greco, consacrato al padre degli dei, Zeus. Il tempio era considerato un luogo sacro, dunque inaccessibile per chiunque a eccezione del sacerdote, i riti erano infatti

celebrati davanti allo stesso, all’aperto, presso l’altare con la partecipazione dei fedeli, che salvo casi straordinari non arrivavano mai a vedere direttamente la statua del dio nella cella. Un peccato se si considera che secondo la tradizione fossero spesso capolavori leggendari. In questo senso richiama molto la struttura stessa della polis greca, suddivisa solitamente tra città alta, l’acropoli e nel caso del tempio la cella, e città bassa, dove aveva luogo la vita cittadina, e anche la funzione sacra. Potrebbe dunque sorgere spontaneo chiedersi cosa facessero di tutti questi tesori, lasciati ad ammuffire, considerando che per definizione oro e argento dovrebbero essere abbastanza scarsi in natura… La risposta? Li prestavano, ossia facevano ‘lavorare il capitale’. I templi erano i forzieri del mondo antico, le uniche banche in cui il controvalore del

(loro) denaro cartaceo poteva essere riscosso, sotto molti aspetti le Banche Centrali del mondo antico, cui si rivolgevano anche i Governi in caso di necessità. È dunque così che il tempio di Delo, il più importante della Grecia classica, si vide costretto a prestare quasi interamente il suo tesoro alla Atene di Pericle, che poi non riuscendo a onorare il debito, portò a uno dei primi default pubblici della storia, per causa e durante la guerra del Peloponneso, narrata da Tucidide.

Quello di Delo, il principale della Grecia continentale, non era il solo tempio a svolgere tale funzione, che in Oriente diveniva ancor più importante, e paradossalmente in epoca successiva, romana. Ossia dopo che Delo il suo tesoro l’aveva già perso. Le regioni orientali rimasero in termini economico-finanziari il traino in epoca repubblicana e imperiale, e i loro templi erano quelli meglio riforniti soprattutto di oro, determinante per arrivare alle somme di cui uno Stato poteva necessitare. Ecco quindi che città oggi dimenticate erano all’epoca centri nevralgici degli equilibri anche politici: Mileto, Efeso e Pergamo nell’attuale Turchia; Tebe in Egitto; oltre a Rodi e Cipro, che in quanto isole, e dotate di potenti flotte, in fasi travagliate divenivano i depositi dei Tesori degli stati vicini. Per certi versi le Svizzere dell’epoca, rimanendo neutrali. Un mare di debiti. Una ventina di secoli più tardi, a dipendenza dei casi in più o in meno, la situazione risulta leggermente più chiara, dati e indicatori sono pubblicati regolarmente, sempre a patto di prenderli per buoni, e forse proprio per questo più preoccupante. «Il debito mondiale non è mai stato così elevato nella storia come nel 2023, ha superato i 313 trilioni di dollari. A livello pubblico, a pesare sono certamente stati i due conflitti in corso, e gli strascichi dell’emergenza pandemica, ma non solo, e anche se guardiamo al sistema finanziario globale la situazione non è rosea con una massa di quasi 70 trilioni di debiti già contratti, un ulteriore record. Solo il rapporto debito/Pil sta leggermente migliorando, soprattutto nelle economie avanzate; tra gli Emergenti sta peggiorando velocemente, ed è già ora al 225%, con la Cina a spingere», esordisce così Elena Guglielmin, Cio di Ubs Wealth Management.

Parte del problema sta proprio nell’evoluzione di questi dati, in cui a fare la differenza non sono pochi punti percentuali,

«Il bilancio dello Stato giapponese oltre a presentare passività per oltre il 250% del Pil, detenute da entità pubbliche e famiglie, può vantare importanti attivi. La sola Banca Centrale oltre ad aver sottoscritto una parte considerevole di tale debito, possiede più del 5% delle azioni quotate a Tokyo» Gero Jung, Capo economista di Mirabaud Asset Management

I Tesori dell’antichità

Principali recinti sacri di età ellenistica e romana

Il

debito

globale

Evoluzione del debito (pubblico e privato) in termini relativi

o qualche decina di miliardi. «Guardare al solo debito pubblico è spesso riduttivo di un fenomeno molto più pervasivo, nel 2022 Governi, famiglie e imprese avevano accumulato 300 trilioni di dollari di debiti, ossia il 350% del Pil globale rispetto al 280% del pre-2008. La dinamica fa sicuramente riflettere, nel 2017, dunque anche prima della pandemia, avevamo circa

In passato i principali templi, o meglio i recinti sacri, erano anche i più grandi forzieri degli Stati, ben disponibili a erogare prestiti, al giusto interesse. Oggi questi forzieri non esistono più, in compenso c’è sempre più debito in circolo, che ha già superato di diverse volte il Pil del pianeta. Ben poche le eccezioni.

sx)
debito/Pil globale (dx)
Iif VI-2024, Global Debt Monitor

Mare di debito

Evoluzione del debito globale (% Pil)

Covid, 2020: 258

«Il ritorno dell’inflazione al target della Bce è una buona notizia, a dipendenza dei punti di vista. Gonfiando il denominatore del rapporto debito/Pil sino a oggi ha aiutato a ridurlo illusoriamente, ora verrà meno questo aiuto, e nel caso del debito pubblico e privato di molti Paesi non è il migliore degli annunci»

Gli ‘aiutini’ Quanto è cambiato il rapporto debito/Pil?

■ Var. annuale (in punti percentuali di Pil)

Economie Avanzate

Fonte: Imf 2023

Fonte: Imf 2023

Debiti che evolvono Nelle economie sviluppate (% Pil)

Paesi emergenti (senza Cina)

Debiti che evolvono Nei Paesi a medio reddito (% Pil)

Fonte: Fsdr 2024

L’emergenza pandemica ha ‘costretto’ a sottoscrivere fiumi di nuovo debito, soprattutto pubblico, che ovviamente i Governi sono stati ben lieti di fare. Una volta intrapresa questa nuova buona abitudine, è evidente che tornare indietro può rivelarsi decisamente complesso e problematico in termini politici, ma anche economici. La tendenza è però comune, tra Avanzati ed Emergenti.

Fonte: Fsdr 2024

185 trilioni di debiti, molti rispetto ai 120 del 2007, ma ben diversi dai 300, che si traducono a livello globale in 37.500 dollari di debito pro capite, con un Pil di soli 12mila», nota Fabrizio Quirighetti, Cio, Head of Multi-Asset di Decalia.

Guardando ai dati, e trattandosi di un trend di lungo periodo, sembra dunque legittimo domandarsi quali siano le cause alla base. «Quella che al tempo si riteneva potesse essere una di più soluzioni alla

Crisi del 2008, ossia il Qe, oltre ai ‘tassi zero’, oltre a non aver risolto i problemi latenti del sistema, lo ha anche inondato di debito speculativo. Già prima della pandemia l’economia globale era sull’orlo di una recessione, si è presentata l’occasione per andare avanti a far debito, e più di prima. Prendendo un caso concreto, gli Stati Uniti, i numeri dicono molto. Nel 2008 c’erano 2 trilioni di dollari, ossia il 15% del Pil, di mutui subprime, a fine 2023 il debito speculativo sul mercato era di 10,65 trilioni, ossia il 47% del Pil. Di questi 0,85 trilioni sono mutui subprime, ma 1,7 di credito al consumo, 1,6 di Private Credit con rating medio CCC, 1,5 di Leverage Loans, 1,5 di bond High Yield… e sono passati solo 15 anni», rileva Maurizio Novelli, Senior Portfolio Manager di Lemanik Invest, Innovative and liquid Alternative investments Division. Numeri decisamente importanti, seppur paragonati a un’economia altrettanto significativa, quella americana. E prendendo in considerazione il globo? «Per quanto possano sembrare cifre straordinariamente elevate bisogna rapportarle a qualcos’altro per determinarne la sostenibilità nel tempo. In questo caso bisogna prendere in considerazione i tassi d’interesse, ossia il costo del servizio, oltre al Pil, il ‘reddito annuo’ del mondo. In entrambi i casi si tratta di dati attentamente monitorati. Mediamente è oltre mezzo secolo che il rapporto debito/Pil nelle economie avanzate sta crescendo, ma rimangono significative differenze, e una forte dispersione dei dati. La vera questione è: attualmente c’è troppo debito nel sistema? Quanta parte di Pil/reddito assorbe il suo servizio? Dunque, è sostenibile ad oggi? La risposta più onesta dovrebbe essere ‘dipende’, semplicemente», precisa Adam Whiteley, Head of Global Credit, Insight Investment (Bny Investments).

E se fosse troppo? Che si tratti di una materia complessa sono molti elementi a dirlo, a partire dal numero di attori coinvolti, alla loro natura giuridica. Con un livello di difficoltà esponenziale all’allontanarsi dai confini delle economie avanzate. «Negli ultimi 15 anni i livelli di indebitamento di famiglie e sistema finanziario, rispetto al Pil, sono rimasti stazionari; a essere cresciuti molto più rapidamente sono quelli di aziende e Governi. Ma a cosa è servito tutto questo debito? Se si guarda agli attivi delle famiglie la risposta è abbastanza semplice, le loro attività

Contributo di inflazione e crescita

finanziarie lorde sono aumentate del 10,4% raggiungendo nel 2021 il record di 233 trilioni di euro, stando alle stime di Allianz, dunque tre volte il Pil nominale globale. A queste andrebbero sommate le altre attività, quelle non finanziarie, un universo molto complesso da valutare. Lo stesso ragionamento dovrebbe applicarsi alle aziende, e soprattutto ai Governi, il che rende l’analisi ancor più impegnativa», prosegue il Cio di Decalia.

Qualche pezza giustificativa, seppur temporalmente parziale ma non troppo fantasiosa, potrebbe anche essere messa sul fronte governativo. «Il forte indebitamento pubblico contratto durante la pandemia è stata una risposta necessaria rispetto a una fase di assoluta emergenza, ciononostante pone oggi significativi rischi. L’aumento del debito non coperto da un corrispondente aumento delle entrate o della crescita potrebbe infatti mettere lo Stato in una situazione scomoda, e potenzialmente esplosiva, sia rispetto ai mercati, che alla popolazione. Anche a patto di riuscire a evitare problemi troppo seri nel breve periodo, destinare un’eccessiva quota delle entrate al servizio del debito drena lentamente preziose risorse che non possono più essere destinate a spese ‘produttive’, come sanità, istruzione e infrastrutture», evidenzia Raffaele Fink, Portfolio Manager di Wullschleger Martinenghi Manzini (Wmm) Gestioni Patrimoniali di Lugano.

I numeri in campo sono però dei più notevoli, e una certa accortezza nel procedere sicuramente lo richiedono, non fosse per il numero di persone coinvolte. «Il debito statunitense ha da poco sfondato quota 35 trilioni di dollari, per fare un paragone la somma del Pil di India, Giappone, Germania, Cina e Regno Unito, che almeno in parte sono indubbiamente riconducibili alle ultime due crisi sistemiche: il 2008 e la pandemia, cui si è risposto con Qe e ingenti stimoli fiscali. Nel caso della seconda, anche a fronte di una politica di bilancio più allegra, la conseguenza è stata l’inflazione. Guardando alla Crisi dell’Eurozona la lezione è però un’altra, non conta la dimensione del debito, ma quanta parte di questo sia detenuta all’estero, e la capacità del Paese di generare crescita, per ripagarlo. Al tempo i primi a soccombere furono Irlanda e Spagna, i cui debiti erano contenuti, ma molto esposti», rileva Livio Spadaro, Senior portfolio manager di Frame Asset Management.

«È oltre mezzo secolo che il rapporto debito/Pil nelle economie avanzate sta crescendo, ma rimangono significative differenze. La vera questione è: attualmente c’è troppo debito nel sistema? Quanta parte di Pil/reddito assorbe? È sostenibile? La risposta più onesta è ‘dipende’, semplicemente»

Adam Whiteley, Head of Global Credit di

Effetto pandemia

Variazione dei bilanci consolidati per settore (2019-21, usd trl)

Inseguire net-zero

Gap di finanziamento per Paese e settore per la transizione verde

Fonte: McKinsey

Irrazionalmente uomini. Per quanto i numeri dicano sempre molto, e specie in ambito finanziario dovrebbero dire quasi tutto, al tempo stesso ci si trova presto o tardi confrontati con la natura umana degli investitori. «La sostenibilità dipende da molti fattori, ma generalmente quando il rapporto debito/Pil supera determinate soglie si accendono i campanelli d’allarme. Per i Paesi del G7 il 100% è un primo traguardo, gli operatori iniziano a

Il tanto debito pubblico pandemico, non è stato tale per tutti, a eccezione degli Stati i privati ne sono usciti paradossalmente rafforzati, incamerando una parte degli aiuti e allungando le scadenze dei debiti precedenti. Nei prossimi anni la transizione verde imporrà però nuovo debito pubblico, la domanda non troppo peregrina è: da dove saranno prese tali risorse, già oggi assenti?

I capitali vanno, e vengono

«In termini assoluti lo Stato non esiste, dunque attribuirgli colpe è improprio. Non è lo Stato in quanto tale a essere inefficiente, né tanto meno il settore pubblico nell’insieme. Semmai è la classe politica a essere poco efficiente, agendo secondo logiche che di economico hanno poco»

Sergio Rossi, Professore ordinario dell’Università di Friburgo

Entrate e uscite di capitali in Paesi a basso e medio reddito (usd trl)

Fonte: Imf, Onu 2023

Chi è lo Stato?

Quando si discute di debito pubblico, il primo e spesso l’unico attore a essere scomodato, e trascinato nel dibattito è lo Stato, in astratto. Ma è davvero così? «In termini assoluti non esiste, dunque attribuirgli colpe è improprio. Non è lo Stato in quanto tale a essere inefficiente, né tanto meno il settore pubblico nell’insieme. Semmai è la classe politica a essere poco efficiente, agendo secondo logiche che di economico hanno poco, e non facendo molto spesso nemmeno gli interessi della collettività di cui dovrebbe essere espressione», rileva Sergio Rossi, professore ordinario di macroeconomia ed economia monetaria dell’Università di Friburgo. A essere diametralmente opposta è anche la ratio con cui vengono prese le decisioni, rispetto al resto del sistema. «Non è preoccupazione della Politica interrogarsi di come il debito verrà ripagato, è una questione bollinata come ‘tecnica’, deciso che il debito debba essere fatto, si passa l’incarto ad altri. Del resto, quando l’economia va male, tutti d’accordo a spendere, quando va bene, consenso generale ad abbassare le imposte. Quando si dovrebbero avere dunque le risorse necessarie a ripagare questo debito?», prosegue il professore. Parimenti le soluzioni sul tavolo non sembrano essere moltissime, e non molto percorribili. «In linea di principio si potrebbe pensare di affidarne non solo la gestione, come già

preoccuparsi e interrogarsi per il lungo periodo. Secondo i patti nell’Eurozona gli Stati membri non dovrebbero superare la soglia del 60%, e dunque... nessuno la rispetta, salvo la Svizzera. Se cresce l’agitazione, la Banca Centrale può fare qualcosa per stabilizzare i mercati, solitamente ottenendo un risultato, come successo nel caso di Fed e Bce», precisa Thomas Wille, Cio di Copernicus Wealth.

Le molte, e sempre più improprie, funzioni che gli istituti centrali hanno assunto nell’ultimo ventennio ne hanno mano mano annacquato molti degli atout di un tempo, con alcune conseguenze. «Gli sforzi dei banchieri centrali hanno prodotto un risultato, l’inflazione è stata domata, in tempi tutto sommato rapidi; si tratta ora di ‘percorrere l’ultimo miglio’. Come chiarito di recente dalla Bce, se però dovesse verificarsi un ritorno di fiamma, la situazione potrebbe farsi estremamente complessa, indipendentemente dalle cause scatenanti, politiche, geopolitiche, economiche, commerciali, tecnologiche… Gli istituti tornerebbero

Gli Emergenti si trovano spesso confrontati con molta volatilità nei flussi di capitali in entrata.

Fabbisogni finanziari pubblici

Fonte: Commissione europea 2023

avviene, ma anche ogni decisione al riguardo a una commissione ad hoc di tecnocrati. Oltre a porsi un problema democratico, non sarebbe questa garanzia di un miglioramento. Il problema non è il debito, ma che non si giudichi mai se quello che si sta sottoscrivendo sia debito ‘buono’, o ‘cattivo’, dunque la bontà della sua destinazione», nota Rossi. Ed è qui che arrivano, sì, i tecnocrati. «Il ruolo che la Banca Centrale dovrebbe e potrebbe assumere sarebbe certamente molto diverso. Con la certezza che il nuovo debito sia ‘buono’ il suo finanziamento non dovrebbe essere un nodo da sciogliere. Potrebbe sottoscriverlo interamente l’istituto centrale, dunque lo Stato, in quanto genererebbe reddito, e dunque si autofinanzierebbe. Ovviamente ciò non accade per diverse ragioni, di cui siamo tutti edotti», conclude il professore.

in azione, il che dovrebbe accentuare l’attenzione sulla sostenibilità di questo debito, un conto è infatti gestirne la vita, un altro è avviarsi verso una sua riduzione», nota il Cio di Ubs.

Domare l’inflazione non è però stato, già nell’immediato, privo di effetti tangibili, in una certa misura ancora tutti da svelare. «È stata necessaria la stretta monetaria più rapida e vigorosa della storia, ma questa ha spinto i costi di rifinanziamento, il che aumenta i rischi di mancati rimborsi, e riduce i margini d’azione della politica fiscale. Con i pur diversi chiaroscuri di Europa e Stati Uniti sembra stia diventando la norma un maggior rischio nel finanziare i Sovrani, rispetto a molte aziende. Nell’investire nel privato si è soliti prestare un’importante selettività, privilegiando titoli di qualità, dunque con poco debito, liquidità sufficiente, utili in crescita e obiettivi finanziari al rialzo, logiche che tradizionalmente erano meno applicate al pubblico», riflette Arthur Jurus, Head of Investment Office Switzerland di Oddo Bhf Group. Soglie psicologiche? Trattandosi di una materia complessa, e con molti addentellati, arrivare a determinare ‘un numero’ è certamente un’operazione delicata, laddove non del tutto fuorviante, nonostante migliaia di km di scritti. «Tra le analisi più influenti, gli economisti Reinhart e Rogoff hanno un posto d’onore, in This time is different: eight centuries of financial folly espongono la tesi secondo cui la soglia critica sia intorno al 90% del Pil, oltre la quale iniziano a percepirsi gli effetti negativi di questo eccesso di debito pubblico, ad esempio un rallentamento della crescita, il che dovrebbe spronare i Governi a prendere provvedimenti. Tale analisi oltre ad aver riscosso un buon apprezzamento, ha anche sollevato aspre critiche, come inevitabile data la complessità della materia», nota l’esperto di Wmm. Nonostante la teoria, e diversi punti di convergenza tra gli economisti, non sembra che questi suggerimenti stiano sortendo particolari effetti. «Il nodo è sempre lo stesso: si tratta di capire se lo Stato è in grado di far fronte ai suoi impegni, oltre a rifinanziarli se necessario, senza fare default, e se le strategie applicate siano tali da non inficiare lo sviluppo economico nazionale, l’altro fondamentale parametro. Secondo il Fondo Monetario, e in questo non si discosta particolarmente dagli accademici, entro il 2029 il debito pub-

«Il normalizzarsi dell’inflazione pone più di un problema: per comprimere un rapporto è necessario o che il numeratore diminuisca, o che il denominatore cresca molto. Entrambi hanno un costo, e abbiamo appena concluso che il tempo del denominatore è passato, dunque è il turno del numeratore»

Fabrizio Quirighetti, Cio, Head of Multi-Asset di Decalia

Volano i debiti

Evoluzione del debito pubblico per gruppo di Paesi (2010: 100, dx)

Ub Gcrg 2024

Paesi in via di sviluppo

Debito pubblico nei confronti dell’estero (mediana, val. in %)

Servizio del debito pubblico estero in

delle entrate pubbliche Pagamento degli interessi in usd mld

blico mondiale avrà toccato il 100% del Pil, e il mancato consolidamento inizierà a spingerne il costo dall’anno prossimo; nel caso delle economie avanzate dal 2026», precisa Gero Jung, Capo economista di Mirabaud Asset Management.

Se la materia è particolarmente complessa, altrettanto delicate e varie sono tutte le variabili da considerarsi nel calcolo di tale numero. «Sarebbe fuorviante pensare che si possa determinare un livello

Se le economie avanzate bene o male sono abbastanza attrezzate e abituate a gestire debiti pubblici ingenti, e dipendenti dall’estero, nel caso degli Emergenti la situazione è piuttosto nuova, ma si misura però con numeri che iniziano già a essere preoccupanti. Qualche scossa tellurica potrebbe essere avvertita, nonostante politiche monetarie dimostratesi accorte.

Paesi avanzati Paesi in via di sviluppo (escl. Cina)
Fonte:

Servizio del debito

Spesa per interessi (in % delle entrate)

«La sostenibilità dipende da molti fattori, ma generalmente quando il rapporto debito/Pil supera determinate soglie si accendono i campanelli d’allarme. Per i Paesi del G7 il 100% è un primo traguardo, gli operatori iniziano a preoccuparsi, e interrogarsi per il lungo periodo»

Thomas Wille, Cio di Copernicus Wealth

migliore, a patto di rispettare determinare condizioni, ad esempio puntando su investimenti, e non su effimere sovvenzioni alla popolazione», prosegue Fink. Le discriminanti. Ma quindi, singolarità nazionali a parte, sulla base di cosa può essere determinata la sostenibilità di un debito rispetto a un altro? «La lunga stagione fatata che risponde al nome di Great Moderation, caratterizzata da crescita stabile, inflazione contenuta, e interessi bassi, avrebbe dovuto consentire un calo costante dei livelli di debito. Ovviamente non è accaduto, e ha rivelato che anzi la crescita è sempre più dipendente dal credito, come la Cina dimostra. Un primo dato da considerare è sempre la struttura del debito, dunque duration, costo, scadenze e valore. Negli Stati Uniti famiglie e imprese si trovano oggi in una situazione migliore rispetto al 2020, si sono infatti indebitate a costi inferiori, allungando le scadenze. Tant’è che l’indice delle obbligazioni Ig ha una duration media superiore a 10 anni, e non ha ancora sentito l’aumento degli interessi, mentre l’impennata dell’inflazione ne ha eroso parte del valore reale. Paradossalmente è il Governo federale a uscirne appesantito, avendo per giunta accorciato sensibilmente la duration», rileva Quirighetti.

Il servizio del debito a dipendenza della regione è una questione tutto sommato gestibile e serena, pur con un minimo di accortezza, o molto seria e passibile di scivoloni. Come insegna l’esperienza del Regno Unito la buccia di banana è però sempre in agguato, e una volta persa la fiducia dei mercati riguadagnarla sul campo è molto difficoltoso, e dunque anche oneroso, in più d’un senso.

massimo universale, ogni Paese è un caso a sé, per quanto si possano trarre alcune indicazioni di massima, da non scartare aprioristicamente. Così come non esiste questo massimo, non esiste nemmeno un livello ottimale. La politica fiscale nasce per condizionare il ciclo economico, dunque un Paese in stagnazione prolungata potrebbe anche decidere di uscire dall’impasse facendo debito, il che in linea di principio potrebbe anche essere la scelta

Al netto di alcuni tecnicismi la complessità dell’equazione deriva anche dalla sensibilità che si vuole dare a questo o quell’elemento, alla loro ‘ponderazione’ rispetto al totale. «Altrettanto significativo è il livello dell’avanzo primario, dunque il rapporto deficit/Pil al netto del costo del suo servizio, il rapporto tra debito produttivo e improduttivo, chi lo detiene e in che quota, il livello e il trend dei tassi d’interesse, la valuta in cui è stato emesso e dunque la parte non svalutabile. Ogni Paese è diverso, ma condividono quasi tutti le logiche alla base, pur con qualche eccezione, com’è il caso degli Stati Uniti, e del dollaro, che hanno invece altre ‘carte’ da giocare, sul piano politico, economico, finanziario e militare», sottolinea l’esperto di Mario Cribari, responsabile ricerca di BlueStar Investment Manager. Da chi sia posseduto questo debito, parimenti, non è un dettaglio del tutto ininfluente, specie in assenza del dollaro. «La bilancia delle partite correnti è un altro importante indicatore, un forte deficit implica un’importante dipendenza da investitori esteri per coprire i deficit pub-

blici, molto più volubili della popolazione residente. Le eccellenti performance del Giappone nel gestire il proprio enorme debito pubblico sono intrinsecamente legate all’elevatissimo risparmio privato, e alle famiglie giapponesi ben disposte a sottoscriverlo. Analogamente l’Italia, dove famiglie finanziariamente molto solide detengono una parte importante del debito, diversamente dalla Francia. Anche la Spagna è emblematica, ancora nel 2007 aveva un debito inferiore al 40%, oggi si attesta al 140, mentre quello privato ha leggermente corretto, scendendo dal 200% al 130», evidenzia il Cio di Decalia.

L’emergenza pandemica ha lasciato sicuramente una pesante eredità pubblica, con ancora non ancora troppo definite soluzioni. «I rapporti debito/Pil che presentano i Paesi occidentali sono certamente troppo elevati, la soluzione più semplice sarebbe iniziare a risparmiare, diminuendo i deficit, pratica che i Governi hanno dismesso. Alternativamente, ma con l’accondiscendenza delle autorità monetarie, il lavoro sporco potrebbe farlo l’inflazione, lasciandola a eroderlo silenziosamente. Alzare il target dal 2 al 3%, laddove non al 4, potrebbe però creare qualche problema di credibilità che dovrebbe essere attentamente gestito, e che dunque ne rende improbabile la praticabilità», commenta il Cio di Copernicus. Senza arrivare alla mera cosmesi contabile, che guardando alle circostanze attuali potrebbe essere la più semplice delle alternative. «Separare la spesa corrente da quella per investimenti, tema spesso sollevato in Europa, potrebbe apparentemente migliorare la situazione, nella pratica poco cambierebbe, il problema rimarrebbe. Lo sgonfiarsi dei bilanci delle Banche Centrali implica che il debito già emesso debba essere acquistato o rifinanziato da terzi, a condizioni non più così favorevoli, con dunque un aumento dei costi per gli emittenti, che andrebbe inevitabilmente a ricadere sui deficit. Negli Stati Uniti è anche per questo che il Cbo stima un disavanzo medio annuo del 5,6% sino al 2034 con tutte le sue conseguenze», mette in evidenza l’esperto di Oddo. Paese che vai, debito che trovi. Se ogni Stato presenta le proprie singolarità, che rendono difficile fare paragoni, qualcosa può sicuramente essere detto dei casi più eclatanti e sfacciati. «Causa pandemia c’è stato un sensibile travaso di debito tra pubblico e privato, ma al netto

«Con i pur diversi chiaroscuri di Europa e Stati Uniti sembra stia diventando la norma un maggior rischio nel finanziare i Sovrani, rispetto a molte aziende. Nell’investire nel privato si è soliti prestare un’importante selettività, che solitamente era meno applicata al pubblico, ma forse…»

Arthur Jurus, Cio Switzerland di Oddo Bhf Group

Questione di sostenibilità

Evoluzione dell’indice di rischi sostenibilità (S0) a breve termine del debito Ue

Fonte: Commissione europea 2023

Valutazione della qualità dei debiti europei

Stato dell’arte dei rating dei principali Paesi europei e vita media del debito Moody’s S&P Fitch

Paesi Rating Rating Rating Vita media

Germania Aaa

Aa2

Lussemburgo Aaa

Austria Aa1

Svizzera Aaa

Fonte: Agenzie di rating (XII-23)

delle dimensioni a contare dovrebbe essere la sua qualità intrinseca. Il debito pubblico è un problema gestibile a patto di avere un buon risparmio domestico, e relativamente gestibile in sua assenza, la vera incognita rimane quello privato, che come già successo in passato in caso di eventi sistemici inevitabilmente diventa pubblico. L’abbondanza di debito privato speculativo americano non consente agli Stati Uniti di andare in recessione, i rischi

La sostenibilità del debito pubblico è una materia controversa, e oggetto di un aspro dibattito. A prescindere da indicatori e rating, che è noto lascino il tempo che trovano, salvo circostanziate eccezioni, uno Stato con un debito importante è sistematicamente impossibile possa fallire, o meglio, che venga fatto fallire. Un accomodamento è sempre trovato nell’interesse generale.

Debiti europei

«Nel 2003 è entrato in vigore il ‘freno all’indebitamento’, un decreto federale che mirava proprio a ridurre il debito pubblico elvetico. Tramite questo meccanismo il rapporto debito/Pil è sceso dal 52,4% del 2004, al 38,3% del 2023, pur scontando anche gli effetti di una pandemia»

Livio Spadaro, Senior Portfolio Manager di Frame Asset Management

Evoluzione del debito dello Stato centrale (% Pil)

Il sempre più Vecchio Continente

Evoluzione delle uscite legate alla demografia 2022-2045 (in % Pil)

Aff,

Nonostante patti e regole molto stringenti la disciplina di bilancio anche in Europa è andata un po’ annacquandosi, cause di forza maggiore. Stabilire e scolpire nella pietra parametri che nessuno rispetta, o ha intenzione di fare, fa parte delle stranezze di un continente che è sempre più vecchio. Quale sarà l’impatto dei temi previdenziali sui bilanci pubblici?

sarebbero eccessivi, il che si traduce in un deficit medio tra il 2019 e il giugno 2024 del 7,5% in una fase di crescita moderata. A ben vedere il contributo del deficit alla crescita è pari all’80%, il che ha evitato per il momento una nuova crisi», illustra l’esperto di Lemanik.

In molti potrebbero pensare che questo sia un problema, o che quanto meno venga percepito come tale, evidentemente non è proprio così. «In vista dell’appuntamento

di novembre, nessuno dei due candidati americani sembra voler fare qualcosa per il deficit, anzi. Il tema non è nemmeno dibattuto. Caso completamente diverso è il Giappone, pur presentando un debito pubblico lordo superiore al 250% del Pil. Il bilancio dello Stato oltre a presentare tali passività, detenute però da entità pubbliche e famiglie, può infatti vantare importanti attivi. La sola Banca Centrale oltre ad aver sottoscritto una parte considerevole di tale debito per modulare la curva dei rendimenti, possiede addirittura più del 5% delle azioni quotate a Tokyo», sintetizza l’esperto di Mirabaud.

Un eccesso d’interesse nei confronti del caso giapponese potrebbe però esporre ad altri problemi, trattandosi per l’appunto di un’eccezione. «È spesso utilizzato quale proxy di cosa succederà tra 20 o 30 anni agli altri Paesi del G7 e alla Cina. Nonostante l’ingente debito accumulato, è riuscito infatti a mantenere un’invidiabile stabilità economica grazie al forte risparmio interno, e a bassi tassi d’interesse, tuttavia è difficile che tale modello possa essere replicato altrove, in stati che hanno strutture economiche e soprattutto culture molto diverse», rileva Wille. Eccezione a parte, un grosso ruolo lo gioca anche la psicologia, e il rischio percepito da parte degli investitori, più che non i semplici numeri. «Nonostante il suo debito, in pochi lo considererebbero un rischio imminente, o metterebbero in dubbio la sua sostenibilità nel medio termine. Diversamente l’Italia, oggetto spesso di dibattito, pur con un più modesto 140%. Parimenti sono entrambi debiti stabili, diversamente da Stati Uniti, Regno Unito e Francia, che da valori inferiori al 50% nel 2000, sono passati a un range tra il 90 e il 110% nel 2022. Stabili ma molto bassi restano Svezia, Australia, Germania e Svizzera, saldamente al di sotto del 50, come la maggior parte degli Emergenti», chiarisce l’esperto di Insight. L’Europa. Considerando il ruolo e il peso che lo Stato ha negli equilibri economici e finanziari nel Vecchio Continente, sotto molti aspetti i debiti che i Paesi hanno accumulato negli anni potrebbero risultare ancora bassi. O comunque non così ingenti. «L’Unione Europea, o meglio i suoi Membri, con la firma del Trattato di Maastricht nel 1992 si sono impegnati a rispettare determinati parametri, che sono stati di recente rivisitati accogliendo una parte delle critiche che

da allora hanno collezionato, in primis la pro-ciclicità dei loro effetti. Stando alle nuove regole la parte di debito eccedente il 90% del Pil dovrebbe essere ridotta di un punto percentuale l’anno, mentre il deficit dovrebbe rimanere sotto al 3%, pena una procedura d’infrazione ed eventuali sanzioni. Si stima che le sole regole potrebbero erodere tra lo 0,2 e lo 0,4% di crescita annua dell’Eurozona, a cui si somma la politica molto restrittiva della Bce. Unica nota positiva l’introduzione della possibile emissione di debito comune, come avvenuto con il Next Generation Eu», nota Guglielmin.

Disciplina fiscale, intonata a gran voce dai ‘frugali’, che per quanto ferrea a parole, poi nella pratica si scontra con diverse difficoltà di recepimento e implementazione. «Sulla base del rischio che i deficit di diversi Paesi, a partire da Italia, Francia e Belgio, possano raggiungere il 7% la Commissione ha avviato formalmente la procedura per otto Stati membri. A essere interessante è però come queste regole di bilancio vengano applicate. Il Bel Paese è stato tra i più disciplinati in termini di avanzo primario, e può contare su risparmio privato pari al doppio del suo debito, detenuto principalmente a livello domestico. La Francia registra invece una posizione finanziaria con l’estero ben negativa, al pari del saldo della bilancia dei pagamenti, e un rapporto debito/Pil del 110%. Ha dunque un serio problema di competitività, che dovrebbe essere trattato analogamente a quanto fatto in Italia dal 2011; che ne deprimerebbe la crescita», rileva l’esperto di Frame.

Nell’ultimo biennio sono stati però diversi gli ‘aiutini’ che sono venuti in supporto agli stati nel facilitargli l’ingrato compito di gestire al meglio il loro debito. E ora? «Il ritorno dell’inflazione al target della Bce è una buona notizia, a dipendenza dei punti di vista. Gonfiando il denominatore del rapporto debito/Pil sino a oggi ha aiutato a ridurlo illusoriamente, ora verrà meno questo aiuto, che se si guarda ai livelli di debito complessivo, dunque pubblico e privato, di molti Paesi non è il migliore degli annunci. La Germania tra i grandi è sicuramente la più virtuosa, fermandosi al 243% del Pil, segue l’Italia al 276%. A distanza arriva la Francia, al 421, con i Paesi Bassi al 477%.

Meglio gli Stati Uniti, al 334% rispetto al Giappone, oltre il 660. Caso a parte la Svizzera», prosegue il Cio di Ubs.

«La Svizzera è il classico Paese con finanze pubbliche molto solide, visto sempre come luogo sicuro dagli investitori. La Bns rappresenta di per sé un caso anomalo, gode sì di un’elevatissima indipendenza, ma si trova anche strutturalmente ad affrontare la forza della sua valuta»

Raffaele Fink, Portfolio Manager di Wmm Gestioni Patrimoniali

Finanziamenti cercansi

Fabbisogno finanziario lordo per Paese (% Pil, ‘22 e ’23)

Rapporto del fabbisogno finanziario/Pil nel 2023 dello Stato centrale Stati membri dell’Ue

Fonte: Ameco, Bce, Eurostat

Debito, ma per fare cosa?

Quota dei contenuti del dibattito politico negli Avanzati per destinazione (% tot)

■ Incentivi alle imprese ■ Ambiente

■ Difesa ■ Infrastrutture

■ Sociale Tot.

Fonte: Imf, IV-2024

La Confederazione. Se dunque il Giappone è certamente un caso particolare, non sembra che si possa definire diversamente la culla dell’orologiero mondiale, con il quale conserva qualche analogia. «La Svizzera è il classico Paese con finanze pubbliche molto solide, visto sempre come luogo sicuro dagli investitori, grazie alla stabilità politica ed economica, e all’autorevolezza delle istituzioni, tra cui la Bns. L’istituto di Berna

Il fabbisogno finanziario degli Stati membri è sicuramente ingente, dell’ordine di qualche decina di punti percentuali di Pil, che deve obbligatoriamente essere del tutto soddisfatto. Eppure, queste sconfinate moli di debito a cosa sono servite? Secondo il dibattito interno ai partiti prevalentemente al sociale, ma ovviamente non solo. È possibile pensare a un cambio di rotta?

Non si lesina nelle spese

«Quella che al tempo si riteneva potesse essere una di più soluzioni alla Crisi del 2008, ossia il Qe, oltre ai ‘tassi zero’, oltre a non aver risolto i problemi latenti del sistema, lo ha anche inondato di debito speculativo. Con la pandemia si è presentata l’occasione per andare avanti a far debito»

Maurizio Novelli, Senior Portfolio Manager di Lemanik Invest

Andamento bilancio pubblico annuale (in % del Pil)

Fonte: Imf 2024

E se… troppo poco?

Per quanto balzana come ipotesi, in un continente così dipendente dal credito bancario, quale sarebbe il risultato di avere meno debito pubblico in circolazione, pur detenuto o meno da realtà pubbliche? «Le banche europee sono tradizionalmente sempre state tra i maggiori acquirenti di debito sovrano. Nei Paesi periferici l’Italia è un ottimo esempio. Tra il 2021 e il 2024 lo stock di titoli in portafoglio è calato di 100 miliardi di euro, ma i rendimenti elevati di oggi potrebbero tamponare il calo dei margini. Del resto, sino alla Crisi del 2008, salvo oscillazioni di mercato, i titoli detenuti erano rimasti intorno ai 150 miliardi; tra il 2009 e il 2014 erano invece cresciuti sin sopra i 400 miliardi, appesantendone i bilanci, ed esponendoli alle fluttuazioni dei mercati», sintetizza il Cio di Ubs. A fronte di bilanci grandi, ma non sconfinati, la coperta è corta. Da qualche parte si è dovuto tagliare. «A esserne penalizzata è stata l’attività di prestito a famiglie e imprese, che si è contratta dai 1600 miliardi del 2011, ai 1300 del 2020, a fronte di un portafoglio titoli che in piena pandemia ha raggiunto i 450 miliardi, il 10% degli attivi di bilancio, rispetto a un 3% di altri Paesi europei. Ad avere rincarato la dose sono state anche le evoluzione delle normative prudenziali bancarie in materia di ‘liquidity risk’; si tratta infatti di investimenti che non assorbono capitale in quanto facilmente liquidabili», prosegue Guglielmin. Normative che non hanno però avuto un impatto solo sui prestiti. «Rispetto al passato, non è più possibile spostare pacchetti di titoli dai portafogli ‘fair value’ (con impatto sul conto economico) a quelli valutati a costo ammortizzato, con un conseguente impatto maggiormente negativo per i bilanci bancari nelle fasi di volatilità di mercato», conclude il Cio.

rappresenta una Banca Centrale di per sé anomala, gode sì di un’elevatissima indipendenza che le garantisce serenità nell’attuare politiche flessibili e coraggiose, ma si trova anche strutturalmente ad affrontare la forza della sua valuta, altra àncora per gli investitori. Nel tentativo di frenarne l’apprezzamento, non certo riuscito, ha già espanso il suo bilancio oltre il 100% del Pil, acquistando ingenti attività estere e stampando franchi, con effetti analoghi al Qe, pur non essendolo», constata l’esperto di Wmm.

Nella maggior parte dei casi si potrebbe sostenere che si sia in presenza di un eccesso di debito pubblico, pur non sapendo dire di quanto, la Confederazione si trova invece nella situazione diametralmente opposta. «Nel 2003 è entrato in vigore il ‘freno all’indebitamento’, un decreto federale che mirava proprio a ridurre il debito pubblico. Tramite questo meccanismo il rapporto debito/Pil è sceso dal 52,4% del 2004, al 38,3% del 2023, scontando anche gli effetti di una pandemia. Vincolando le spese alle entrate federali nei periodi di congiuntura favorevole Berna è costretta a realizzare surplus utili a coprire i disavanzi passati, il che sta rapidamente dimezzando il debito. A beneficiarne, oltre alla buona reputazione del Paese presso qualunque investitore, è il franco, che gode dello status di ‘valuta forte’, anche grazie all’operato accorto della Bns», enfatizza Spadaro. Grandi virtù pubbliche, qualche piccolo cavillo privato, utile quanto meno a frenare in una qualche misura il franco. «Si è soliti guardare al debito pubblico facendo capo a un unico emittente, ed essendo il più sensibile a eventuali crisi, il rischio di quello privato è del resto molto meglio diversificato e parcellizzato, ma anche molto difficile da valutare. All’atto pratico la somma di entrambi non è un dato trascurabile, ma soprattutto vede la Svizzera al quarto posto nella classifica mondiale, alla cui testa rimane il Giappone. A causa di una stortura tutta fiscale del sistema ipotecario non è nell’interesse di nessuno rimborsare i prestiti di immobili, il che pone il debito delle famiglie svizzere tra i più alti dei Paesi Ocse, e

Con la scusa della pandemia i deficit pubblici si sono gonfiati, e non sembrano promettere miracoli per i prossimi anni. Ma è un problema?

superiore al 100% del Pil», sintetizza l’esperto di BlueStar. Ma che succede se? Pur non potendo individuare precisamente quale sia l’equilibrio ottimale del debito, cosa stanno facendo gli stati nel merito? «A livello globale le divergenze nel policy mix sono sempre più pronunciate. Nel 2023 oltre l’85% delle economie mondiali ha continuato a operare in un regime di stretta monetaria, solo la metà, rispetto ai due terzi del 2022, ha proseguito la stretta fiscale, allentando invece nuovamente i cordoni della borsa. Il 2024 è un super anno elettorale, il che spiega questa inversione. Bisogna tenere presente però che un eccesso o un’eccesiva scarsità, di debito pubblico sortisce in ogni caso effetti indesiderati, la perdita di opportunità d’investimento interessanti nel privato, o ad esempio la mancanza di infrastrutture adeguate, elemento competitivo altrettanto importante», rileva Jung. Laddove il debito pubblico sia eccessivamente alto, le conseguenze sul campo non tarderebbero certo a palesarsi. «Una prima preoccupazione dovrebbe essere in termini inflativi, un eccesso di spesa pubblica finanziata in deficit presto o tardi porta a un aumento dell’inflazione, che in primis andrebbe a colpire le classi meno abbienti, erodendone il potere d’acquisto. Al tempo stesso un’eccessiva dipendenza dai mercati, specie se da investitori esteri, potrebbe sia limitare fortemente i margini d’azione della politica fiscale, sia indebolire la posizione dei Governi, in termini di fiducia. E quando questa viene persa è molto difficile, e socialmente doloroso, riconquistarla», riflette l’esperto di Wmm. Il rischio di incappare in una qualche crisi finanziaria, endogenamente o esogenamente creatasi, è un altro elemento determinante di cui tener conto, prima che si manifesti. «Il Regno Unito nel 2022 è solo l’ultimo caso di una lunga serie di come una finanza troppo allegra possa essere male accolta dagli investitori, con conseguente grave instabilità economica. Al tempo stesso non bisogna nemmeno eccedere nel senso opposto, come accade invece in Svizzera, dove ad esempio ci si affida quasi completamente alle scelte d’investimento dei privati», nota Jurus. Instabilità finanziaria strisciante che sono del resto diversi anni che di tanto in tanto affiora, già da prima della pandemia, quando di debito ce n’era molto meno. «Il panico borsistico di agosto è stato alimen-

«La mancanza di debito, in un mondo fortemente indebitato, contrae il livello dei tassi d’interesse, spinge la valuta nazionale a rivalutarsi, provoca deflazione, comprime il livello del welfare, e dunque porta a una crescita strutturalmente ben al di sotto del suo potenziale. Ossia la Svizzera»

Mario Cribari, Responsabile ricerca di BlueStar Investment Manager

Debito elvetico

Andamento del debito federale

Vincoli non vincolanti

Tipologia legale delle regole sul debito

Vincoli alle uscite Vincoli sulle entrate Vincoli sul

Vincoli sul debito Fonte: Imf dataset 2024

Solidità svizzera

Evoluzione del debito pubblico ai vari livelli di Governo (in % Pil)

Aff

tato dal timido rischio, quasi sussurrato, di una recessione. La qualità del debito è pro-ciclica per natura, dunque quando l’economia rallenta può succedere di tutto, stante l’attuale situazione debitoria del sistema. In molti casi la normalizzazione della politica fiscale sarebbe più che ragionevole sulla carta, ma impraticabile nella pratica, il che ci sta conducendo in un contesto simile al Giappone negli anni Novanta», sintetizza Novelli.

La Svizzera rappresenta una decisa eccezione in un panorama tra gli Stati avanzati finanziariamente preoccupante, per quanto in alcuni casi possa anche essere comprensibile. Gli Stati europei si accollano compiti importanti, che altrove, vedansi Stati Uniti, non sono materia pubblica. Per certi versi sono dunque particolarmente efficienti? Non proprio, ma ci provano, forse.

Ma quanto si spende?

Totale della spesa dello Stato centrale in

Fonte: Imf 2024

Parimenti anche l’eccesso opposto può avere gravi controindicazioni, se non peggiori, quasi. «I rischi nell’avere una spesa pubblica troppo bassa esistono, l’obsolescenza delle infrastrutture è una, ma anche l’erogazione di servizi pubblici insufficienti a favore della collettività. Ma soprattutto, la mancanza di debito, in un mondo fortemente indebitato, contrae il livello dei tassi d’interesse, spinge la valuta nazionale a rivalutarsi eccessivamente, provoca deflazione, comprime il livello del welfare dei ceti più bassi, e dunque porta a un tasso di crescita strutturalmente ben al di sotto del suo potenziale. Questo è quanto si verifica puntualmente in Svizzera da diversi anni, per quanto non siano in molti a dirlo», mette in evidenza Cribari.

Mano alle forbici. Una volta appurato che ci si trovi in presenza di un eccesso di debito pubblico, che dunque non è cosa semplice da determinare, iniziano i veri problemi. Come ridurlo? Cosa dovrebbe fare un Governo, senza fare troppi danni? «Debito pubblico e privato sono molto più interdipendenti di quanto non si creda, e i movimenti dell’uno, incidono sull’altro. I privati più indebitati e dunque finanziariamente esposti, siano essi famiglie o imprese, sono quelle meno abbienti o redditizie, quelle più propense anche a ridurre consumi e investimenti. Risanare le finanze pubbliche o contrastare l’inflazione, implica una stretta della politica fiscale o monetaria, che andrebbe a impattare direttamente sui più fragili. Ad esempio, una stretta di soli 100 bp si traduce in un rallentamento degli inve-

stimenti delle aziende più indebitate di 6,5 punti percentuali su due anni, ossia di 4 punti in più rispetto alla media di mercato», evidenzia l’esperto di Oddo.

I Governi si trovano anche confrontati con una fase congiunturale delicata, che richiede mosse e politiche circospette, onde non fare danni. «Aumento dei costi

Nel mare magnum del debito pubblico globale si rischia di perdersi, a patto di non prestare attenzione. Ma quali debiti sono i più ‘sicuri’?

entrambe impopolari e incontreranno quasi certamente una forte resistenza sociale. Se a questo si sommano i problemi demografici e geopolitici ci si interroga seriamente se almeno nel lungo periodo sia ragionevole o verosimile condurre tale operazione. Quello che è certo è che le decisioni dei prossimi anni plasmeranno il futuro di interi Paesi nelle prossime decadi», sottolinea il Cio di Copernicus. Il successo degli uni rende del resto sempre più improbabile il successo degli altri, e nella migliore delle ipotesi un semplice pareggio potrebbe essere già salutato come una grande vittoria? «Il normalizzarsi dell’inflazione pone più di un problema: per comprimere un rapporto è necessario o che il numeratore diminuisca, o che il denominatore cresca molto. Entrambi hanno un costo, e abbiamo appena concluso che il tempo del denominatore è passato, dunque è il turno del numeratore? Stando ai Governi non sembrerebbe, e date tali circostanze storicamente non è mai finita bene. Frattanto il prezzo dell’oro continua a correre, spinto anche dalla domanda delle Banche Centrali degli Emergenti che negli ultimi 12 mesi ne hanno incamerate ben mille tonnellate, ossia un terzo della produzione globale annua, per meglio diversificare le loro riserve. Guardare alle fluttuazioni del prezzo dell’oro potrebbe essere dunque appassionante nei prossimi anni, meglio fare scorta di pizza e patatine», conclude Fabrizio Quirighetti, Cio di Decalia. Il debito pubblico resterà a lungo un cantiere aperto, senza che epocali decisioni possano essere davvero prese. La monetizzazione per quanto sia una pratica consensualmente deprecabile e foriera di potenziali seri problemi appare l’unica alternativa plausibile, o più semplicemente i titoli del Tesoro acquistati dalle Banche Centrali verranno legalmente convertiti in ‘perpetual bonds’, seguendo il modello dell’Impero, quello inglese.

di rifinanziamento, e crescita reale modesta rendono la riduzione di deficit e debito sicuramente sfidante. Potrebbe essere necessario ricorrere ai metodi convenzionali, dunque austerity e riforme, ma sono

Del resto, non si capisce quale sia il senso di emettere debito, che lo Stato in una certa misura acquista, per poi riscuotere le cedole sullo stesso, emettendone altro. Di Tesori ne sono rimasti ben pochi, ma guarda caso continuano a essere in oro, e conservati dalle Banche Centrali. La normalità, da oltre 25 secoli. ❏

Vendemmia di idee

L’originale caso di un ‘winemaker’ spagnolo che scegliendo uno strumento per finanziare la sua crescita ed espansione internazionale, ha deciso di emettere - in Svizzeraun’obbligazione digitale sotto forma di ‘token’. La normativa svizzera è stata tra le prime a regolare questo tipo di emissione e resta tra le piazze preferite.

Questa mattina si è verificato un grande allineamento planetario di Mercurio, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno, un fenomeno che si ripeterà fra 10 anni. Piuttosto che pensieri rivolti a presagi o confabulazioni astrali questo fatto mi rimanda alla riflessione su come alcune idee imprenditoriali possano rivelarsi allo stesso tempo eclettiche ed allineate con il tempo e le circostanze che le vedono nascere e svilupparsi.

In giugno è stata adottata dal Parlamento la nuova Legge sulla Ia, “il primo quadro giuridico in assoluto sull’Ia, che affronta i rischi dell’Ia e pone l’Europa in una posizione di leadership a livello mondiale (…) che stabilisce norme armonizzate sull’intelligenza artificiale, fornisce agli sviluppatori e agli operatori di Ia requisiti e obblighi chiari

per quanto riguarda gli usi specifici dell’Ia”. Quest’estate, come riportato dal Sole 24ore, “un’ampia maggioranza dei banchieri ritiene ‘probabilmente appropriato’ un taglio dei tassi d’interesse alla prossima riunione della Federal Reserve, in programma a settembre, se i dati lo permetteranno”. Siamo alle porte del periodo della vendemmia in Europa e se da una parte il 21 luglio il Financial Times pubblicava un articolo con il titolo ‘Wine market’s future is far from rosé’ (non poi così lontana la notizia in sé, stampata sulla mitica carta rosa), informando sul disinvestimento nel settore vino da parte del gruppo Pernod Ricard e segnalando una diminuzione a livello mondiale del consumo rispetto alla produzione di vino, dall’altra il 24 luglio la società di ricerche di mercato Technavio pubblicava: “The global wine market size is estimated to grow by usd 156.8 billion from 2024-2028, according to Technavio. The market is estimated to grow at a Cagr of 4.93% during the forecast period. Online sales channels gaining traction in global wine market is driving market growth, with a trend towards increasing prominence of private-label brands. However, rising competition from other alcoholic beverages poses a challenge ”. È invece del 12 agosto la pubblicazione della notizia: “La banca di sviluppo statale tedesca si prepara all’emissione di Bond tokenizzati con Boerse Stuttgart Digital nel processo della Bce”.

Queste notizie, apparentemente sconnesse, si allineano invece nelle idee che hanno dato vita ad un progetto originale che, dopo mesi di preparazione, ha finalmente dato il suo ‘kick off’ proprio in questi giorni: l’emissione, in Svizzera e soggetta alle norme svizzere (in particolare per quanto concerne la forma dell’obbligazione), da parte di un ‘winemaker’ spagnolo, Màquina&Tabla, di un ‘asset-backed’ (garantito da bottiglie di vino prodotte dall’emittente e custodite in un deposito franco specializzato nella conservazione di vino) Digital Bond (sotto forma di ‘token’) con un interesse fisso dello 7.5% annuale per la durata di 3 anni ed un valore nominale di 100.035 euro. Il valore nominale, non arrotondato, si spiega per uno degli aspetti più originali dell’emissione (in effetti vedremo che la tokenizzazione di attivi, anche finanziari, è ormai un ‘trend’): la messa in garanzia di bottiglie fisiche ad un prezzo inferiore a quello di mercato e l’opzione per il ‘tokenholder’ di richiedere la ‘redemption’ dell’obbligazione ‘in specie’, ovvero in bottiglie di vino ad un prezzo scontato rispetto a quello di mercato. Il valore di ogni bond/token deve quindi corrispondere all’equivalente in casse di sei bottiglie di vino ai rispettivi prezzi stabiliti nei documenti di emissione (Asset Value for Backing Purpose-Avbp e Asset Value for Redemption Purpose-Avrp). Interessante: Màquina&Tabla è una pioniera nel disegno e produzione di vino utilizzando algoritmi propri di Ia. Secondo i fondatori di Màquina&Tabla, uno degli aspetti caratteristici del disegno e della produzione dei vini è la presa di decisione emotiva dell’enologo piuttosto che razionale (oggetto di studio nel marketing generalmente dal punto di vista dei consumatori). La soluzione da loro proposta è quella di usare particolari algoritmi, alimentati da banche dati che

offrono sia dati ‘tecnici’ per il disegno e la produzione di vino che dati di mercato. L’analisi dei dati permette al ‘winemaker’ di disegnare e produrre un vino su basi scientifiche, meno soggette alle ‘leggi’ personali dell’enologo e con un processo praticamente inverso rispetto a quello tradizionale: l’elaborazione parte da un risultato voluto in base a dati preesistenti e non per ottenere un risultato che dipenda da fattori spesso troppo aleatori. Un altro vantaggio di questa scelta tecnologica è quella dell’indipendenza del ‘winemaker’ sul dove e quale vino produrre, senza avere uno stretto legame con uno o più vigneti in particolare, potendo scegliere la migliore opzione in base ai dati elaborati (un vino nella regione della Ribera del Duero o della Napa Valley). Non è dunque un caso che Màquina&Tabla, nella scelta di uno strumento per finanziare la sua crescita ed espansione internazionale, abbia deciso di emettere un’obbligazione digitale sotto forma di ‘token’. In un articolo pubblicato lo scorso 6 marzo con il titolo “Tokenized Bonds: How Tokenization is Transforming the Bond Market”, Marc Lewis scrive: “Le obbligazioni tokenizzate prevedono la creazione di una rappresentazione digitale di un’obbligazione su una blockchain, convalidando così la sua storia transazionale e la sua proprietà. Questo approccio innovativo può cambiare il modo di negoziare le obbligazioni, offrendo un nuovo metodo di negoziazione degli strumenti finanziari tradizionali. La tokenizzazione delle obbligazioni, se eseguita correttamente, può anche fornire un modello per la digitalizzazione di altri beni, come azioni, immobili e persino beni del mondo reale come l’arte o il vino, con transazioni registrate in modo trasparente su un libro mastro pubblico. Durante un evento del New York Times DealBook, Larry Fink, Ceo di Blackrock, ha sottolineato il potenziale di trasformazione della tokenizzazione, evidenziando la sua capacità di facilitare la ‘liquidazione istantanea’ e di ridurre le commissioni associate”.

un mercato simile per attivi digitali è in fase di approvazione da parte della Cnmv, il regolatore spagnolo).

Nel caso di Màquina&Tabla, trattandosi di un progetto relativamente piccolo (emissione di 800.280 euro destinata ad investitori qualificati) si è optato per una piattaforma specializzata, Tokeny, sviluppata dall’omonima società in Lussemburgo, che permette di organizzare tutto il processo di tokenizzazione, dall’emissione al mercato primario fino al mercato secondario, avvalendosi dello standard ‘open-source’ Erc-3643 e di un software specializzato per istituti finanziari.

Dal punto di vista regolatorio, si sta esaminando l’opzione di presentare un’istanza alla Finma per ottenere l’autorizzazione di offrire ‘tokens’ anche a un mercato ‘retail’ attraverso la stessa piattaforma che offre un ‘marketplace’ con ‘tickets’ di 10mila euro. Sarà interessante,

Mülchi, Avvocato e Socio dello Studio Legale Mülchi & Asociados, Madrid e Lugano.

luzioni anche per un mercato secondario. L’obbligazione offre un interesse del 7.5% annuale, ovvero un tasso che sarà più attraente con la riduzione in corso dei tassi di interesse, soprattutto considerando che l’emissione è comunque ‘backed’ da bottiglie di vino di prestigio. Dunque, per un investitore qualificato disposto ad assumere certi rischi per diversificare il proprio portafoglio ed allo stesso tempo contribuire allo sviluppo di un ‘winemaker’ all’avanguardia e con prodotti di qualità, l’investimento può essere interessante.

in caso si proceda in tal senso, analizzare la procedura della Finma ed il grado di apertura della stessa a iniziative simili, in particolare per progetti destinati a finanziare le pmi, in tempi ragionevoli.

La normativa svizzera è stata una delle prime a regolare l’emissione di obbligazioni sotto forma di ‘token’ e tuttora rimane una delle piazze preferite per la loro emissione. Anche l’esistenza dal 2018 di un’infrastruttura per un mercato secondario come Six Digital Exchange è attrattiva per la nostra piazza (in Spagna

La scelta di emettere un minibond come forma di finanziamento alternativa e complementare al credito bancario per diversificare le fonti e accedere al mercato competitivo degli investitori professionali, per una società di ‘winemaker’ e per un’emissione relativamente modesta (di norma per i minibond l’emissione ha il limite di 50 milioni), può essere considerata ambiziosa però realmente acquista un certo senso economico proprio per il fatto di usare la nuova tecnologia della tokenizzazione che riduce i costi, facilita il mercato primario ed offre interessanti so-

Ma l’originalità del progetto di questa emissione consiste nell’opzione della ‘redemption in specie’, ovvero nella possibilità che il tokenholder si faccia rimborsare il prestito obbligazionario con un pagamento in natura: le bottiglie di vino depositate in garanzia e ad un prezzo prestabilito con uno sconto sul prezzo di mercato al momento dell’emissione.

Ciò permette di combinare un investimento tipicamente finanziario, il prestito obbligazionario, con un’opportunità di investire in vino fisico, il cui valore, a dipendenza da tanti fattori (alcuni dei quali analizzati dalla Ia applicata dal ‘winemaker’), può avere una tendenza al rialzo. Tante idee, circostanze e giurisdizioni: un lusso per chi apprezza l’innovazione, la creatività e, in questo caso, il prodotto di un lavoro artigianale e ben fatto, anche se con l’aiuto dell’Ia.

David
© Nicolas Spehler / Unsplash

Una fruttuosa cooperazione

Se già oggi le relazioni tra Svizzera e Singapore sono più che ottime, con un ingente interscambio economico e finanziario, guardando ai prossimi anni il quadro potrebbe ulteriormente migliorare, a vantaggio di entrambi.

Rinomate per economie solide e influenti settori finanziari, Svizzera e Singapore condividono una relazione dinamica caratterizzata da importanti legami reciproci. In qualità di hub finanziari globali, entrambe beneficiano già oggi di una partnership che comprende commercio, investimenti, banche e innovazione; eppure, nonostante i molti sforzi profusi negli anni per continuare a migliorare questa collaborazione sono molte le ulteriori prospettive future

Singapore, una piccola città-stato del sud-est asiatico, vanta una delle economie più competitive al mondo. Nota per la sua posizione strategica, la stabilità politica e l’ambiente favorevole a investitori e aziende, Singapore è un attore chiave nel commercio e nella finanza globali. Punta sull’innovazione, ma al tempo stesso è uno dei principali hub finanziari globali, ed è dunque in grado di offrire una gamma completa di servizi, bancari, assicurativi, e di gestione patrimoniale.

Il Paese offre anche diverse opportunità d’investimento in vari settori, come quello immobiliare, tecnologico, sanitario e della finanza sostenibile, e vanta numerosi trattati fiscali con altre nazioni, che riducono il carico fiscale per imprese e investitori.

Si classifica regolarmente, nelle analisi della Banca Mondiale, tra i migliori Paesi per facilità di fare impresa, grazie principalmente a un efficiente quadro normativo, a bassi livelli di corruzione e a processi semplificati per la creazione e la gestione delle imprese. Inoltre, il sistema legale è trasparente e basato sulla common law inglese, il che fornisce una cornice affidabile e prevedibile per le operazioni commerciali. L’approccio normativo proattivo e lungimirante del Governo garantisce un ambiente favorevole alla crescita e all’innovazione.

Tali fattori contribuiscono a determinarne lo status attuale, è infatti diversificato e forte, grazie al ruolo di importante centro commerciale e finanziario, disponendo al tempo stesso di un’infrastruttura

I primi 7 passi

Tra il dire e il fare c’è ovviamente di mezzo il mare, in questo caso due oceani, Indiano e Pacifico. Dunque, come approcciare, o anche solo valutare di farlo, questo nuovo mercato? Ecco i primi sette passi:

a) Scegliere la struttura legale del business, (ad esempio: Società privata per azioni, Impresa Individuale, Partnership…);

b) Registrare il nome della società presso l’Autorità nazionale di regolamentazione dei commercialisti e delle imprese, Acra (Accounting and Corporate Regulatory Authority);

c) Preparare i documenti necessari (costituzione della società, dettagli sugli azionisti, amministratori e segretario della società);

d) Registrare la società presso l’Acra;

e) Aprire il conto bancario aziendale;

f) Fare domanda per le licenze e i permessi necessari;

g) Se applicabile, fare la registrazione per l’Imposta sui Beni e i Servizi, Gst (Goods and Services Tax).

altamente sviluppata, di una forza lavoro qualificata e di un regime fiscale favorevole e attrattivo per imprese estere. I settori chiave includono finanza, manifatturiero e servizi, con una forte enfasi sulle industrie ad alto valore aggiunto.

Grazie alla posizione strategica, alla resilienza economica e alle politiche governative proattive, le prospettive della Città sono positive. Si prevede che settori chiave come i servizi finanziari, la tecnologia, le biotecnologie e le tecno-

logie verdi guideranno la crescita futura. Sebbene esistano sfide come l’incertezza economica globale o quella legata alle tecnologie, la resilienza e l’adattabilità di Singapore la posizionano favorevolmente, gli investitori possono aspettarsi un ambiente dinamico e favorevole, sostenuto da innovazione, investimenti strategici e impegno per la sostenibilità.

Le relazioni economiche di Singapore con la Svizzera sono supportate da diversi accordi. Un accordo chiave è la Convenzione sulla doppia imposizione (Dta), che aiuta a prevenire la doppia imposizione del reddito e facilita gli scambi commerciali. L’accordo incoraggia gli investimenti transfrontalieri fornendo certezza fiscale e riducendone gli oneri per le persone fisiche e giuridiche.

I legami economici e finanziari tra Singapore e la Svizzera sono caratterizzati da forti scambi bilaterali, significativi investimenti incrociati e sforzi di collaborazione in innovazione e tecnologia. Tali legami non solo sono vantaggiosi per entrambi, ma ne rafforzano anche la posizione di centri finanziari di riferimento.

Grazie a questi accordi, il commercio è fiorito nel corso degli anni, grazie anche allo scambio di una vasta gamma di beni e servizi. Fanno entrambi parte dell’Associazione europea di libero scambio (Efta), che facilita relazioni commerciali più fluide ed efficienti. L’accordo di libero scambio garantisce tariffe ridotte, regolamenti semplificati e un migliore accesso al mercato, a beneficio delle imprese.

È per questo motivo che Singapore funge da hub strategico per le aziende svizzere che vogliono espandersi nel SudEst asiatico e nell’Asia-Pacifico, mentre la Svizzera rappresenta una porta d’accesso per le aziende singaporiane che entrano nei mercati europei.

La profondità dei loro legami economici è evidenziata dai consistenti flussi di investimenti tra i due Paesi. La Svizzera è una fonte notevole di investimenti diretti esteri a Singapore, in particolare nel farmaceutico, finanziario e dell’ingegneria di precisione. D’altro canto, anche le aziende di Singapore hanno effettuato investimenti significativi in Svizzera, sfruttando la sua posizione strategica di porta d’accesso al mercato europeo, in particolare in ambito finanziario, immobiliare e tecnologico, a testimonianza dei diversi vantaggi reciproci.

Entrambi i Paesi hanno un forte settore

«Singapore funge da hub strategico per le aziende svizzere che vogliono espandersi nel Sud-Est asiatico e nell’Asia.Pacifico, mentre la Svizzera rappresenta una porta d’accesso privilegiata per le aziende singaporiane che vogliano entrare nei mercati europei»

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A Singapore

Cittadini

finanziario, e vi sono notevoli investimenti incrociati nel bancario, assicurativo e di gestione patrimoniale. Banche svizzere come Ubs e Credit Suisse hanno una presenza significativa a Singapore, per soddisfare le esigenze di gestione patrimoniale degli individui benestanti in Asia. Questa collaborazione nei mercati dei capitali e nella Gestione rafforza ulteriormente le relazioni. Entrambi sono sede di rinomate borse valori, che mantengono elevati standard di regolamentazione e attirano Ipo internazionali. Sebbene le quotazioni incrociate dirette tra le borse non siano prevalenti, la competenza e la reputazione reciproca dei due mercati rafforzano la fiducia degli investitori. Le società di gestione patrimoniale di Singapore e della Svizzera investono attivamente nei rispettivi mercati. I gestori svizzeri operano a Singapore, fornendo una serie di servizi di investimento ai clienti asiatici. Allo stesso modo, le società di Singapore cercano opportunità nel mercato svizzero, sfruttando la stabilità e l’esperienza finanziaria elvetica. Le relazioni economiche e finanziarie

In apertura, Singapore. Sopra, la duplice presenza di Berna nella città stato asiatica, in persone (e imprese), oltre che in capitali.

tra Svizzera e Singapore sono destinate a crescere ulteriormente. Gli sforzi in corso per rafforzare la cooperazione economica, l’aumento del commercio bilaterale, i significativi investimenti incrociati e la collaborazione nei servizi finanziari e nell’innovazione ne sottolineano i vantaggi reciproci. Inoltre, l’attenzione alla sostenibilità e alla finanza verde offre nuove possibilità di collaborazione. Sviluppando prodotti e servizi finanziari sostenibili, possono entrambi contribuire agli sforzi globali per affrontare il cambiamento climatico e promuovere uno sviluppo più sostenibile.

Mentre entrambi i Paesi continuano a navigare nelle complessità dell’economia globale, il loro impegno a rafforzare la cooperazione e a esplorare nuove opportunità garantirà un futuro prospero alle loro economie e ai loro settori finanziari.

Gli Svizzeri
svizzeri presenti a Singapore (n.)
Fonte: Ambasciata svizzera di Singapore
■ Cittadini annunciati in ambasciata *400 società svizzere, con 25mila dipendenti
Investimenti esteri diretti svizzeri
Fonte: S-Ge 2024 ■ Fdi in mld chf

Il sigillo della fiducia

Con le sue pionieristiche soluzioni protegge la maggior parte delle banconote circolanti e ogni anno contrassegna oltre 100 miliardi di prodotti, combattendo contraffazione e frodi. Partner privilegiato di governi, Banche Centrali e industria anche nelle sfide del digitale, la vodese Sicpa si avvicina al centenario, a servizio dell’economia della fiducia.

La prima reazione della maggior parte delle persone di fronte a una nuova serie di banconote si ferma all’aspetto estetico, tutt’al più spingendosi a valutarne la maneggevolezza, spesso non senza una dose di nostalgia per la precedente, ormai diventata parte della quotidianità. Oppure, per le generazioni ormai native digitali, di incuranza verso uno strumento di pagamento con cui suppongono avranno di rado a che fare. Ben pochi sanno che quelli che appaiono come analogici pezzi di carta sono in primis prodotti high-tech, che svolgono un ruolo essenziale per gli utenti che ef

«Oggi una banconota standard contiene in media 20 o più elementi di sicurezza. Queste caratteristiche sono progettate non solo per consentire l’autenticazione visiva e tattile delle banconote, ma ne facilitano anche l’identificazione e l’elaborazione, manualmente o con macchine ad alta velocità, come i sistemi automatici di verifica e conteggio a uso commerciale o quelli di smistamento ed elaborazione delle Banche centrali. Infine, gli elementi forensi sono destinati alle analisi di laboratorio, alle autorità monetarie e alle forze dell’ordine. Che siano incorporate nel substrato, integrate come elementi stampati con diversi processi di stampa o

Sesto e ultimo biglietto della nona serie di banconote svizzere, come le altre il 100 franchi integra numerose caratteristiche complesse di sicurezza per contrastare le contraffazioni, garantite dalle soluzioni all’avanguardia sviluppate da Sicpa, fra cui inchiostro luccicante, fibrille fluorescenti, microtesto e il globo ultravioletto.

Sopra, fiore all’occhiello di Sicpa, l’inchiostro dinamico a viraggio di colore Spark®, applicato a più di 90 valute in tutto il mondo e in continua evoluzione.

applicate direttamente sulla banconota, garantiscono l’integrità del ciclo di trattamento del contante e costituiscono un formidabile ostacolo alla contraffazione e alle frodi», esordisce Jean-Philippe Gaudin , Strategic Affairs Director di Sicpa. Le soluzioni dell’azienda vodese proteggono la maggior parte delle banconote del mondo, comprese le principali

valute come euro, dollaro statunitense e, naturalmente, franco svizzero: sono oltre 180 gli Stati sovrani che hanno riposto la loro fiducia in Sicpa. Basata a Prilly, vicino a Losanna, conta un totale di 13 siti produttivi distribuiti in 5 continenti e oltre 3.000 collaboratori.

«Inoltre, le nostre soluzioni di tracciabilità, basate su una piattaforma che combina i punti di forza della sicurezza fisica, della tecnologia digitale e della scienza dei dati, contrassegnano ogni anno più di 100 miliardi di prodotti in tutto il mondo, soprattutto beni soggetti ad accise come gli alcolici e i prodotti del tabacco, ma anche quelli soggetti a rigide regole di conformità da parte di autorità e governi», prosegue Jean-Philippe Gaudin.

La storia di Sicpa comincia quasi un secolo fa, il 16 luglio 1927 a Losanna, quando Maurice Amon (1880-1959, nonno dell’attuale presidente e Ceo, Philippe Amon) aprì uno stabilimento di produzione al servizio dell’industria agricola e alimentare, costruendosi rapidamente una solida reputazione grazie al suo prodotto di punta, un grasso speciale utilizzato nella mungitura delle mucche per migliorare la qualità del latte. Origini di cui reca traccia nel suo nome, acronimo di Société Industrielle et Commerciale de Produits Alimentaires.

«Sin dall’inizio l’azienda si è dunque distinta per due caratteristiche: la capacità di rispondere a un’esigenza del mercato e quella di affrontare una sfida tecnologica. L’opportunità di innovare si è presentata negli anni ’30, quando il settore delle arti grafiche era in piena espansione nella regione di Losanna e la domanda di inchiostri era in aumento. Fino a quel momento, gli stampatori dipendevano dai prodotti importati. Approfittando dei suoi strumenti di produzione e della competenza dei suoi chimici, Sicpa progettò internamente i primi inchiostri commerciali, tipografici e offset, inizialmente per giornali e pubblicazioni, poi per imballaggi», evidenzia il Direttore degli Affari strategici di Sicpa.

Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’azienda ha adattato queste formulazioni chimiche alla produzione di inchiostri di sicurezza che rispondessero a severi criteri di resistenza alla luce, allo sfregamento, ai detergenti e altri agenti chimici. Il primo inchiostro calcografico venne applicato alla banconota spagnola da 100 pesetas, emessa il 2 maggio 1948.

«Attingendo alla nostra esperienza in inchiostri di sicurezza e protezione di marchi e prodotti, possiamo elaborare nuovi approcci, più globali, come la nostra piattaforma digitale offerta ai governi per centralizzare i dati chiave delle loro economie e generare approfondimenti specifici in tempo reale grazie a marcatore personalizzato, lungo l’intera catena di valore»

Jean-Philippe Gaudin, Strategic Affairs Director di SICPA

Proteggere marchi e prodotti

Sulla scia dell’aumento dei tentativi di contraffazione, estesi a una gamma sempre più ampia di bersagli, praticamente in tutti i settori sta crescendo la domanda di protezione. Oltre 15 quelli serviti dalla Divisione Protezione Prodotti e Marchi di Sicpa, tra cui farmaceutico, cosmetico, agrochimico, sementiero, beni di lusso, prodotti di consumo e industriali, per miliardi di prodotti all’anno contrassegnati in tutto il mondo. L’azienda vodese offre un’ampia gamma di soluzioni di marcatura e tracciabilità progettate per combattere minacce come la contraffazione, l’adulterazione, le frodi sui resi e i mercati paralleli: dispositivi di sicurezza visibili e invisibili, nonché tecnologie digitali avanzate che possono essere verificate tramite smartphone. Ogni soluzione è personalizzata in base alle esigenze specifiche del cliente, garantendo non solo un’efficace risoluzione dei problemi, ma anche un’implementazione operativa senza soluzione di continuità.

Trascorse quasi otto decadi e nel pieno dell’era digitale, nonostante l’ormai massiva adozione di mezzi di pagamento elettronici, la domanda globale di contanti - e dunque di soluzioni per proteggerli - non sembra declinare, anzi semmai cresce, tendenza accentuata dalla pandemia. «È fondamentale considerare il denaro contante come un elemento complementare che, insieme alle tecnologie digitali, garantisce accessibilità e resilienza al sistema. Proprio grazie alla protezione

incorporata, le banconote si distinguono dagli altri mezzi di pagamento, che dipendono invece da un’infrastruttura tecnologica e da una rete esterne», commenta Jean-Philippe Gaudin. Le ricerche di Sicpa confermano come il cash rimanga una realtà profondamente radicata, anche se

Dettare gli standard

Maurice Amon fonda Sicpa

Primi inchiostri sicurezza applicati alla peseta

Dopo la scomparsa di Maurice Amon nel 1959, hanno avuto inizio per Sicpa due decenni di crescita, favorita dallo spirito pionieristico del successore Albert Amon (1916-2010) che non ha esitato ad aprire nuovi mercati in Asia e in Sud America. Inchiostri commerciali e di sicurezza si sono diffusi nei cinque i continenti. Con la graduale liberalizzazione del commercio mondiale e il continuo sviluppo delle tecnologie di stampa, è emersa la necessità di stabilire norme di qualità coerenti. Di propria iniziativa, Sicpa ha definito gli standard di qualità di stampa e di resistenza chimico-fisica degli inchiostri per garantire che le banconote potessero circolare nelle più diverse condizioni climatiche e culturali. Questo lavoro, svolto sotto l’egida dell’Istituto di Criminologia dell’Università di Losanna, è stato approvato dall’Interpol nel 1969. Successivamente adottati dagli stampatori di banconote di tutto il mondo, sono tuttora in uso. Gli anni ’70 e ’80 hanno visto una serie di progressi nella tecnologia degli inchiostri, tra cui nuove generazioni di inchiostri calcografici, inchiostri Uv e vernici per la stampa offset. Fra le pietre miliari della storia di Sicpa, due tecnologie oggi utilizzate per proteggere numerose serie di banconote in tutto il mondo: Optically Variable Ink (Ovi®), introdotta nel 1987, è riconosciuta come una delle soluzioni più affidabili per la sicurezza dei documenti d’identità e dei passaporti, per la semplicità di autenticazione, basata su una tecnologia complessa e su un metodo di produzione inaccessibile ai contraffattori, abbinati a una tecnologia di sicurezza anti-copia. La nuova generazione di tecnologia ottica per le banconote Spark®, lanciata nel 2006 e applicata a banconote per la prima volta in Cina per celebrare i Giochi Olimpici del 2008 e in Kazakistan per il 15esimo anniversario della moneta nazionale, è invece un inchiostro che combina cambiamenti di colore ed effetti dinamici e che si è evoluto fino ad oggi.

Primo contratto negli Usa

Partecipazione sviluppo banconote euro

Sicpatrace® id. prodotto, tracciabilità, marcatura fiscale 1927

1938

Progettata per le esigenze dei governi nella lotta a contraffazione, commercio illegale ed evasione fiscale, Sicpatrace® include funzioni di autenticazione prodotti, sorveglianza produzione e tracciabilità sicura, ogni anno applicate a miliardi di prodotti, da tabacco e alcolici, ma anche bibite, medicinali e cosmetici. 1943

Inizio produzione inchiostri commerciali 1969

Norme Sicpa adottate da Interpol

Neomag® inchiostro leggibile a macchina

1996-2002

Ovi® inchiostro otticamente variabile applicato a banconota

Fondazione Sicpa Product Security Division

Spark® primo inchiostro dinamico applicato a banconota

con la diffusione del mobile banking, si sta assistendo a un declino degli sportelli automatici delle banche commerciali, in tutto il mondo si osserva lo sviluppo di soluzioni mobili e temporanee da parte degli istituti bancari per contribuire alla risposta collettiva alle crisi climatiche e alle difficoltà di accesso al contante nelle aree rurali», rileva lo Strategic Affairs Director di Sicpa.

meno visibile, ma comunque altamente sociale, in particolare nei Paesi del Sud globale: «Più le economie sono informali, più il tessuto sociale è solidale, più il contante rappresenta il mezzo principale per accedere al credito comunitario e organizzare le finanze familiari. Mentre alle nostre latitudini,

Nondimeno, forte del suo know-how l’azienda sta portando avanti attivamente lo sviluppo di soluzioni digitali, tra cui le piattaforme di pagamento e le valute digitali delle Banche centrali (Cbdc). Oggi Sicpa detiene oltre 6mila brevetti e conta quasi 300 ricercatori fra Svizzera, Spagna, Malesia, Stati Uniti e Marocco. «Se chimica, ottica e scienza dei materiali restano gli ambiti di riferimento, negli ultimi 20 anni la gamma di profili ricercati si è notevolmente ampliata, reclutando anche specialisti in cybersecurity e sviluppatori altamente specializzati, ad esempio nel campo dell’identità digitale o delle transazioni digitali. La forza di Sicpa risiede anche in questa capacità di combinare i vantaggi della sicurezza fisica e digitale», sottolinea Jean-Philippe Gaudin. Ricerca e innovazione fanno parte del suo Dna, basilari per poter continuare a garantire la fiducia in uno scenario che

Sviluppo capacità marcatura carburanti

Lancio Certus ® sicurezza documenti 2016 2021

Inizio lancio IX serie banconote svizzere

Inaugurazione campus unlimitrust

Certificazione ISO37001

Sopra, le pietre miliari della storia di Sicpa e, a destra, i suoi siti nel mondo, per un totale di oltre 3mila collaboratori. A destra, il nuovo unlimitrust campus, a Prilly, dove si trova anche l’headquarter dell’azienda, vicina al secolo di storia.

evolve molto rapidamente e moltiplica le sfide, dal commercio globale alle insidie del digitale: attacchi informatici, incertezze su origine e qualità dei prodotti, gestione dei dati personali, ... «Su tutti questi temi, per i nostri clienti siamo un partner privilegiato. Possiamo attingere alla nostra esperienza per elaborare nuovi approcci. Infatti, ne stiamo proponendo uno più globale per garantire la sovranità: una piattaforma digitale offerta ai governi, che centralizza i dati chiave delle loro economie, compresi quelli su produzione e import, entrate fiscali, dati epidemiologici e così via. Senza entrare in dettagli riservati, ogni nostra soluzione può essere arricchita da una molecola personalizzata, unica per ogni nazione. Impiegati lungo l’intera catena del valore, questi marcatori generano approfondimenti azionabili e affidabili in tempo reale», spiega lo Strategic Affairs Director di Sicpa.

A chi opera in un settore tanto delicato, ostacolando gli attori dell’economia illegale, contraffattori, truffatori e, in generale, tutti coloro che approfittano della mancanza di controllo e monitoraggio delle regole stabilite dalle autorità, non mancano gli avversari. «Regolarmente voci false, informazioni non verificate, inesattezze e dati falsificati vengono utilizzati per cercare di screditare la nostra azienda e le sue soluzioni, che alcuni trovano “imbarazzanti”. Proteggere la nostra reputazione è quindi una missione essenziale, che i nostri team perseguono con grande attenzione. Alla fine, la fiducia dei nostri clienti è reale e i successi commerciali di Sicpa lo testimoniano», sottolinea lo Strategic Affairs Director.

Una presenza nei cinque continenti e tecnologie per 180 nazioni

Siti produttivi, R&D e altre sedi di Sicpa, con le principali concentrazioni di collaboratori

Svizzera 1.000 impiegati

Sedi Sicpa e siti di produzione, Tot. 3.000 impiegati nel mondo

Se in passato Sicpa è stata antesignana sviluppando le norme di qualità di stampa e resistenza chimica e fisica degli inchiostri di sicurezza diventate lo standard di riferimento internazionale, alla vigilia del suo centenario si conferma più che mai dotata di spirito pionieristico con il suo campus unlimitrust dedicato all’economia della fiducia. Costruito accanto alla sua sede centrale a Prilly, nella zona occidentale di Losanna, a poco più di un anno dall’inaugurazione ha già attirato nei suoi 50mila mq una comunità internazionale di aziende e istituzioni pubbliche e private di tutte le dimensioni. «Tra queste, Approach Cyber, Visium, Ruag, Effixis e Aica, tutte nel campo della cybersecurity e dell’intelligenza artificiale, così come molte start up ospitate nel Trust Village, una struttura di incubazione sostenuta da Sicpa insieme alle autorità cantonali e al Parco dell’Innovazione dell’Epfl. Alcune di queste giovani realtà cresceranno per poi trasferire i propri uffici all’interno del campus dove continuare il loro sviluppo», prevede lo Strategic Affairs Director di

Sicpa. Lo scorso novembre unlimitrust è diventato ufficialmente l’ottavo parco tecnologico del Canton Vaud, un’altra conferma del posizionamento ideale per sostenere l’innovazione e promuovere la Svizzera a livello internazionale. Un progetto ispirato dal Presidente e Ceo di Sicpa Philippe Amon, con una visione inscritta nella strategia di un’azienda di famiglia che ha il vantaggio di potersi sottrarre agli obiettivi di breve termine per ragionare sul lungo orizzonte. Se nell’era del fake massificato e dell’esplosione dei big data si profilano nuove sfide per la fiducia che invece, immutabilmente, rimane il cardine di qualsiasi relazione e transazione ‘autentica’, ancora più complesso diventa apporre il sigillo che garantisce l’affidabilità. Innovazione di punta, rigorosa precisione, qualità senza compromessi, discrezione assoluta: sono queste le doti genuinamente elvetiche della leadership in filigrana stabilita in un secolo d’onorato servizio dall’azienda vodese.

Fonte: Sicpa
© Sacha di Poi

dal 26 settembre a Lugano

Sostenibilità speciale

p. 48 Introduzione | p. 49 PKB | p. 50 BancaStato | p. 52 Banca del Sempione p. 54 Positive Organizations | p. 56 HAS Healthcare Advanced Synthesis p. 58 Interroll | p. 60 Argor-Heraeus | p. 62 Tech-Insta | p. 64 iRezz

cura di

De

Giulio
Biase

Crederci, sino in fondo

La sostenibilità può conoscere diverse dimensioni, quella meno nota, ma più diffusa, è certamente la sociale, radicata nel territorio, da cui trae anche origine. Al tempo stesso è anche quella più soggetta al fenomeno del Greenwashing.

Sostenibilità è il mantra del nuovo decennio, tutti ne parlano, tutti la chiedono, tutti la vendono, come se dall’oggi al domani tutto potesse essere divenuto incredibilmente verde, e virtuoso rispettando almeno le principali delle mille possibili sfumature che questo concetto assorbe.

Una vera e propria definizione, quanto meno condivisa, all’atto pratico non esiste. I ben pensanti la declinano alla loro maniera, e riescono a vederla nella maggior parte di quanto millantato da coloro, aziende e privati, che invece di sostenibile si ammantano quale nuovo asset strategico di una proposta che è rimasta identica negli anni, e oggi qualche problema competitivo potrebbe presentarlo. Dunque, arma di distrazione di massa? Vocazione pleistocenica coltivata nell’ombra sino a oggi da pressoché chiunque? O semplicemente una nuova parola che riassume concetti vecchi?

Prima che si iniziasse a parlarne, soprattutto, e scriverne la sostenibilità era già nata, e alcune realtà, evidentemente

una netta minoranza del mercato, già la praticavano. Trattandosi per l’appunto di un concetto molto estensivo di quello che con un minimo di lungimiranza potrebbe essere definito quale semplice buon senso, non dovrebbe sorprendere che alcuni, i più virtuosi, già lo avessero fatto loro, vi credessero, e dunque per certi versi vi investissero. È molto spesso il caso di realtà familiari, di più generazioni, radicate da illo tempore nello stesso territorio, che negli anni l’hanno mano mano iniziato a considerare ‘casa’, e come è noto a casa propria si fanno cose che non si farebbero altrove, evidentemente nel bene.

Per quanto generalizzare sia sempre sbagliato, e spesso inconcludente, la sostenibilità vera assorbe inevitabilmente risorse, che dunque per definizione bisogna avere, siano esse umane, siano finanziarie. Un’azienda che non abbia buoni margini è sistematicamente impossibile possa aver fatto in passato miracoli sostenibili, in tutte le tre dimensioni, quindi E, S, e G.

Se la E è di gran lunga la più intuitiva delle dimensioni, e la più consumata

in termini di progetti e iniziative che promettono faville (e lo fanno da oltre vent’anni, ricordansi il buco dell’ozono), la G è anche quella che normativamente è più cresciuta, complici anche i disastri della Crisi del 2008. La cronaca dello scorso anno sembra in parte circoscrivere i millantati successi di questa estensiva campagna regolamentare, ma è indubbio che siano stati compiuti passi avanti.

A rimanere avvolta nel mistero è invece la S, la più sociale delle dimensioni, quella che istintivamente farebbe propria il ‘buon padre di famiglia’, e dunque un imprenditore illuminato, attaccato alle sue radici, o un’impresa, laddove anche in cerca di una qualche forma di ritorno, in termini di immagine, di semplice riconoscenza e gratitudine da parte della propria comunità. Quali che ne siano gli obiettivi, a contare sono sempre i fatti, e dunque il ‘bene’ che i progetti e le iniziative promosse hanno portato.

È la più difficile da capire, la più difficile da associare al termine ‘sostenibilità’, ma molto probabilmente la più importante e impattante, la più accertabile, ma al tempo stesso la più difficile da rendicontare. Non tutto quello che conta può essere contato, e non tutto quello che è contato conta. Ancora per il momento lo Stato ha fatto molto perché il concetto di sostenibilità passasse, a suon di incentivi di ogni tipo, a dipendenza delle circostanze c’è anche stata un’ottima accoglienza. La vera domanda è cosa succederà quando gli incentivi finiranno e diventeranno invece sanzioni: il generale trasporto e convincimento per un mondo più verde e sostenibile sopravvivranno, o la sostenibilità incapperà in un primo grande inverno?

De Biase

Valori territoriali

Molto spesso sono le banche radicate nel territorio, dunque anche di dimensioni non eccessive, a meglio interpretarne i valori e le sensibilità. Questo il caso dell’innovazione.

Sono molte le declinazioni che la sostenibilità può presentare, e spesso i risultati migliori si ottengono laddove sono presenti forti valori, un minimo di creatività ma anche piedi ben piantati per terra. Quando queste premesse incontrano un istituto bancario di dimensioni non eccessive, ma fortemente radicato nel territorio in cui è cresciuto, e che dunque conosce, le iniziative possono essere delle più varie, ma contraddistinte da risultati concreti, come invece spesso non accade. È proprio in questi contesti privilegiati che la sostenibilità può conoscere una dimensione più ‘sociale’.

Il Ticino è un territorio di frontiera, chiamato storicamente a fare da cerniera tra Nord Italia e Svizzera interna. È però anche un Cantone che nel corso degli anni ha voluto scommettere fortemente sull’innovazione, con iniziative importanti confluite nell’attuale ‘ecosistema cantonale dell’innovazione’, un articolato network di attori, progetti e agenzie che condividono un unico obiettivo: promuovere la cultura dell’innovazione nel Cantone più attempato della Svizzera. «Siamo fermamente convinti che sia possibile trovare sinergie tra iniziative pubbliche e private, che non vi debba dunque essere concorrenza o rivalità,

ma che insieme si possa fare la differenza nell’interesse generale. È sulla base di questo semplice principio che due anni fa abbiamo lanciato la PKB AddVenture Academy, un programma concepito per essere complementare a quelli già presenti in Ticino, e che vuole favorire lo sviluppo di start up svizzere ad alto potenziale, insediate nel Cantone, garantendo loro supporto operativo e strategico», sottolinea Alessandro Trabaldo Togna, Head of Strategic and Growth Initiatives di PKB Private Banking.

L’iniziativa è nata nel 2022 d’intesa con Match Strategies, giovane boutique dell’innovazione, e vede al suo centro una serie di attività ad alto valore aggiunto, ad esempio l’accesso a un ampio network d’innovazione, a opportunità di finanziamento a livello svizzero ed europeo, e il supporto su temi strategici più ampi.

«I valori rappresentati dalla Academy sono quelli in cui crede il Gruppo PKB da oltre mezzo secolo: attaccamento al territorio, innovazione, imprenditorialità, fiducia nelle future generazioni. Valori che vengono vissuti intensamente al nostro interno, e che nell’Academy diventano tangibili anche all’esterno, aiutando concretamente promettenti start up in fase ancora embrionale a trovare la loro strada», prosegue il responsabile.

A lato, i finalisti della prima edizione della PKB AddVenture Academy 2023; sopra Alessandro Trabaldo Togna, Head of Strategic and Growth Initiatives di PKB Private Bank.

In una prima fase vengono dunque valutate le candidature spontanee presentate dalle start up interessate, con base in Ticino. Operata una prima scrematura, e individuate le migliori tre, si apre un percorso di 100 ore di supporto per ognuna e 10 incontri a tema su un periodo di sei mesi che le conduce sino alla premiazione, dove una giuria composita individua la vincitrice. Nel 2023 è stato un progetto energetico a idrogeno, GhenPower.

«A fronte degli ottimi risultati, abbiamo deciso di garantire continuità all’iniziativa, e nel novembre 2023 è iniziata la seconda edizione, che si concluderà il prossimo 25 settembre con la premiazione finale. La finanza ha sempre avuto un ruolo di collante sociale. Un istituto bancario è fortemente ancorato alla società in cui opera, ed è giusto che seppur con modalità diverse dia un contributo allo sviluppo di un futuro comune e prospero della stessa. In questo senso vogliamo anche noi fare la nostra parte, puntando sull’innovazione», conclude TrabaldoTogna.

A tutto tondo

La sostenibilità ha le gambe lunghe, e può arrivare anche da molto lontano, specie nel caso di istituti la cui matrice è sostanzialmente pubblica. La vicinanza alla comunità locale è solita spingere a sbocciare prima del tempo iniziative che oggi sono la ‘normalità’.

Le esperienze in ambito bancario sono certamente molte, e spesso arrivano da molto lontano, dunque ben prima che divenisse il grande mantra. Del resto, vivendo in una logica che per definizione vuole essere di lungo periodo - quella di un istituto di credito - assumere comportamenti che oggi vengono comunemente definiti ‘sostenibili’ appare quasi… naturale.

«Una banca pubblica, com’è il caso del nostro Gruppo, e più in generale le banche cantonali nel resto della Svizzera, sono abituate a ragionare in un quadro di stakeholder management, diversamente da tutte le altre che in primis sono chia-

mate a rispondere ai propri azionisti. Abbiamo un chiaro mandato pubblico, siamo di proprietà delle comunità con cui interagiamo, di cui siamo parte attiva; avere un approccio a ogni problema sostenibile, o comunque molto più del resto del mercato, è dunque normale, a prescindere dall’evoluzione del quadro normativo che negli ultimi anni è decisamente cambiato», riflette Luca Bordonzotti, Manager della sostenibilità di Banca dello Stato del Cantone Ticino.

Al pari che in moltissimi altri ambiti, in Europa il percorso verso una società più sostenibile vede al suo centro una decisa e forte azione legislativa, con normative

Le cinque aree tematiche

La nuova strategia che incardina i principi cui il Gruppo Banca Stato si ispira nel declinare il delicato ma attualissimo tema della sostenibilità vede al suo centro cinque pilastri: ambiente, clienti, società, governance, e collaboratori. Ossia tutte le principali aree di intervento dell’istituto.

«Non essendo una tematica nativa del nostro settore, spesso l’ambiente in ambito bancario non viene del tutto compreso in tutte le sue possibili implicazioni. Nel nostro caso ci proponiamo di raggiungere sfidanti obiettivi di riduzione dell’impatto ambientale delle nostre attività, aspetto particolarmente importante nella strategia. Se si guarda alla componente ipotecaria del nostro bilancio consolidato questo assume anche un altro significato, e si lega saldamente al secondo pilastro, la clientela. Siamo la banca dei ticinesi, la nostra offerta di prodotti e servizi lo vuole rimarcare grazie alla solidità e all’affidabilità che la contraddistinguono, non da ultimo offrendo soluzioni green in ambito immobiliare», rileva Bordonzotti. Le risorse più importanti di un istituto di credito, al pari di molte altre aziende, sono i collaboratori. Terza componente della strategia. «Siamo costantemente all’opera per migliorare il work-life Balance di tutti i nostri collaboratori e per quanto sia già di buon livello, c’è sempre margine di miglioramento, ispirandoci anche alle esperienze di altre realtà. Quando si parla di capitale umano non si può però trascurare il capitolo formazione, sono dunque migliaia le ore di formazione erogate, oltre 8mila quelle in sostenibilità nel solo 2023. Ci prendiamo però cura non solo dei nostri collaboratori, ma anche della nostra comunità nel suo insieme, promuovendo progetti, e sostenendo iniziative delle più varie. Stiamo parlando di circa 16 milioni di franchi erogati ad enti e associazioni del territorio nell’ultimo lustro», prosegue il responsabile.

Da ultima la Governance, certamente quella più normata, ma altrettanto fondamentale come la storia recente insegna ancora una volta.

e direttive di portata sempre più ampia e pervasiva volute da Bruxelles. Diversamente altrove, e non solo negli Stati Uniti. «In Svizzera si è sempre preferito un approccio più riflessivo, imperniato sull’autodisciplina, che al pari di molte altre materie altrettanto importanti fa parte delle peculiarità della nostra cultura. I fatti dimostrano che anche questo possa essere un approccio fruttuoso. Nonostante resistenze, e negazionismi, il cambiamento è ormai partito, ed è difficile si possa fermare. C’è maggiore consapevolezza, e specie nei più giovani una maggior sensibilità. È maturata l’idea che lo status quo non sia più un’alternativa, che qualcosa debba essere fatto, a partire dalla dimensione ambientale, e questa è la miglior garanzia che la sostenibilità sia arrivata per restare», prosegue il responsabile. Molto spesso alla base dei problemi cui la sostenibilità espone il fianco sta proprio la definizione stessa di cosa sia davvero, ed è ad esempio qui che iniziano tutti gli sforzi profusi dall’Unione Europea nel definirlo. «Un esempio di come la sostenibilità pervada la nostra vita passa attraverso i diversi ruoli che ognuno di noi assume nella società: nel mio caso sono sì un collaboratore di BancaStato, ma anche un padre di famiglia, un cittadino, un proprietario di casa, un membro di un’associazione sportiva. La sostenibilità è quindi un tema trasversale, che interessa tutte queste dimensioni, e nel corso degli ultimi anni la maggioranza delle persone ne è divenuta consapevole, pur con sensibilità diverse. La sostenibilità è un approccio di sviluppo, anche economico, orientato al futuro, che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza impattare su quelle future, come definito nel 1987 dal rapporto Brundtland della Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo che introdusse il concetto di sviluppo sostenibile», rileva Bordonzotti. Per quanto non possa essere ricondotta

così lontano nel tempo, anche l’esperienza maturata dal Gruppo nel corso degli anni è sicuramente molta. «È da oltre 15 anni, dunque in tempi non sospetti, che coltiviamo queste tematiche e che vi investiamo con convinzione, dalla riformulazione della Legge sulla banca cantonale, dove già al tempo venivano individuate aree sensibili nell’ottica del mandato pubblico in ambito sociale, ambientale e di buona gestione. Essendo auditi due volte l’anno da una commissione parlamentare è dall’epoca che presentiamo un bilancio sociale ambientale, ossia il tema di strettissima attualità della rendicontazione non finanziaria del nostro operato, un report dove far confluire tutte le informazioni di cosa la Banca faceva, e continua a fare. Per quanto fosse certamente meno strutturato di quanto non sia oggi, è la prova provata di quanto fossimo già sensibili alla materia», sottolinea il responsabile.

A distanza di diversi anni più di qualcosa è cambiato, e ormai la larghissima maggioranza delle imprese del settore ha sviluppato autonomamente o esogenamente una sensibilità verso la materia, almeno a livello svizzero. «C’è sicuramente stato un livellamento verso l’alto, c’è un maggior scambio di best practice e strategie in seno alle banche cantonali, dove abbiamo tavoli di discussione, ma anche verso l’esterno. Nel 2021 ho ricevuto dalla Direzione generale il mandato di ridefinire le linee guida che incanalano i nostri sforzi, e insieme a una quindicina di colleghi appartenenti a tutte le business unit del Gruppo, e altre realtà del territorio, abbiamo presentato nel dicembre 2022 la nuova strategia. È articolata nelle sue cinque dimensioni o aree tematiche: ambientale, sociale, governance, clientela e capitale umano», nota Bordonzotti. Quando si parla di sostenibilità il rischio è principalmente uno, concentrarsi solo su un angolo di quello che vorrebbe essere un tema molto più ampio. «Il dibattito pubblico, e non solo, a fasi alterne può arrivare a soffrire di un’accesa polarizzazione, scivolando poi in un equivoco diffuso: ridurre tutto alla sola dimensione ambientale, che è certamente molto importante, ma scordando le altre due. Dove siamo maggiormente migliorati a livello di Gruppo negli ultimi anni è sicuramente nella dimensione ambientale, ed è dove c’è ancora molto margine, ma è in quella sociale che possiamo fare la differenza rispetto al nostro territorio.

«Un esempio di come la sostenibilità pervada la nostra vita passa attraverso i diversi ruoli che ognuno di noi assume: nel mio caso sono sì un collaboratore di BancaStato, ma anche un padre di famiglia, un cittadino, un proprietario di casa, un membro di un’associazione sportiva»

Luca Bordonzotti, Manager della sostenibilità di Banca dello Stato del Cantone Ticino

Bellinzona sostenibile

Evoluzione nelle diverse forme di sostenibilità ambientale e sociale

Consumo olio combustibile MWh 1745 2056

Consumo gas industriale MWh 799 867 936

Comsumi di elettricità kWh

Consumo energ. complessivo MWh

Tot produzione lorda valore aggiunto (mln)

Consumi 97 89 92 84 79 72 71 88 178

Valore aggiunto caratteristico lordo

Versamento alla proprietà

Fonte: Bilancio di sostenibilità

Personalmente sono convinto che l’ambiente sia la dimensione più semplice da capire, in quanto - se pensiamo a eventi naturali recenti - viene percepita anche alle nostre latitudini, e dunque è più facile sensibilizzarvi le persone. Ma è proprio lì che si deve innestare il sociale, la meno intuitiva delle sfere. Da ultima la Governance, decisiva per un attore pubblico, ma che è quella già più interiorizzata e normata, soprattutto nel settore bancario», prosegue il Manager della sostenibilità di BancaStato.

Eppure sorge spontaneo domandarsi, guardando ai prossimi anni, quale sarà la principale delle sfide in un quadro tanto complesso. «Se guardiamo all’economia nel suo insieme, e dunque le milioni di imprese che sono il cuore della Svizzera e dell’Europa, si tratta probabilmente della messa a terra delle strategie. La sostenibilità deve diventare normalità di tutti i giorni, e non più un obiettivo meritorio di persone o istituzioni illuminate, e in questo credo che con il buon esempio si possa fare molto. Ed è proprio sulla base di que-

L’evoluzione positiva in termini di consumi energetici che sta registrando l’istituto è una conferma dell’impegno in sostenibilità.

sta visione che nasce il Premio BancaStato per la sostenibilità aziendale, ispirandosi alle esperienze del Nord Europa, ma declinandole al nostro territorio. Vogliamo premiare le piccole e medie aziende che abbiano già investito in progetti e iniziative concreti, quando il premio ancora non esisteva, perché siano d’ispirazione per altri. Nonostante sia ancora troppo presto per fare un bilancio, essendo la prima edizione, c’è stata un’entusiastica accoglienza e un fortissimo interesse, con progetti presentati dalle aziende più disparate e altri annunciati per le edizioni successive, il che è incoraggiante per il futuro della nostra Banca e del nostro Cantone», conclude Luca Bordonzotti.

Giulio De Biase Federico Introzzi

Sfumature green

Essere sostenibili, o crederci, può avere mille declinazioni. Il compito di un istituto bancario dovrebbe però essere il fare da esempio, per trascinare nell’agone aziende e istituzioni.

Esiste una comprensibile e diffusa tendenza ad associare al termine sostenibilità una chiara e netta connotazione green, come se questa ne fosse quasi l’unico elemento, o comunque quello dominante. Ecco allora che in ambito investimenti i giganti dell’energia e delle materie prime potrebbero non essere più così appetibili, al pari dell’intero sistema finanziario, la cui impronta climatica è destinata a essere trascurabile rispetto al tessuto produttivo. Dunque, perché tutto questo continuo e costante discuterne?

«Quando un istituto bancario parla di sostenibilità è abbastanza intuitivo pensare a score e framework, ad esempio Msci Esg Rating, il cui obiettivo è proprio discriminare il livello Esg di una data azienda, il cui titolo potrebbe entrare a far parte di un portafoglio o di un fondo. Se già a questo livello c’è un equivoco, determinante non è mai la sola componente ‘ambiente’, le banche sono realtà complesse che non si occupano solo di investimenti, ma che per loro natura, specie se territoriali, interagiscono con le comunità locali. C’è dunque sì una componente ‘investimento’, ma c’è poi anche ‘tutto il resto’, ed è dove possono fare la vera differenza», rileva Simone Malnati, Responsabile dei Progetti Speciali di Banca del Sempione, coinvolto in prima

persona nelle tematiche Esg. Intorno a questo equivoco negli ultimi anni si sono moltiplicate narrazioni del tutto fantasiose che sono poi andate a confluire sotto al termine Greenwashing. La tendenza a rendere tutto più verde di quanto non sia. Semplice questione di marketing? «La sostenibilità è un concetto trasversale e molto ampio, non incapsulabile, che ad esempio nel nostro caso coinvolge tutti i dipartimenti della banca. Da qui la creazione di una Green Division, che funge da anello di raccordo di tutte le iniziative sostenibili promosse. Alla base delle molte ambiguità c’è la poca conoscenza della tematica da parte di molti, essendo un concetto relativamente giovane in termini di definizione, ma è sbagliato valutare negativamente la relativa componente di marketing e comunicazione. A patto che vi siano sostanza e progetti concreti, solo parlandone si può dare il buon esempio, e spingere altri a fare lo stesso, altrimenti si depotenziano i possibili ulteriori effetti positivi. Nel nostro piccolo, ad esempio, dalla nascita della Green Division nel 2020 a oggi, abbiamo attivato 15 differenti progetti a impatto che toccano tutte le sfere dell’Esg e contiamo di proseguire con questo ritmo anche negli anni a venire» prosegue il responsabile.

Si tratta dunque di un’idea balzana degli

L’anima green di un’azienda può anche tradursi in una parete di piante debitamente strutturata?

ultimi anni, o di un trend che viene da più lontano? «Di sostenibilità se n’è sempre fatta, e molta, semplicemente non definendola tale. È un termine ampio che raccoglie tutti quegli approcci e decisioni che vogliono proiettare la vita di un’impresa al lungo periodo. Per fare un esempio, è il tipico approccio che hanno le aziende di famiglia al fare business, a patto che i valori originali della famiglia sopravvivano. È quello che abbiamo scoperto nel nostro piccolo plasmando la Green Division; siamo una banca in cui il concetto di famiglia è ancora molto presente, i cui valori sono molto tangibili, e vanno ben oltre la dimensione ambientale, ma prosperano da decenni in quella sociale, e di Governance», nota Malnati. Per definizione tutte le imprese nascono in famiglia, determinante è il come evolvano. Non per questo il mercato è mosso da santi, o quanto comunicato agli investitori è sempre eccessivamente veritiero. «A livello territoriale, nel caso di società di piccole e medie dimensioni, c’è un controllo sociale un po’ più forte che non nei confronti dei grandi Gruppi internazionali, il che limita la portata di un fenomeno, il Greenwashing, certamente preoccupante. Molte aziende sottovalutano ancora tutti i rischi che diffondere determinate informazioni false o molto ambigue gettano sul proprio business, specie in chiave prospettica. Quando però gli sforzi di un’impresa sono genuini e importanti, e dunque vi è consapevolezza per la tematica, non si deve mai dimenticare perché lo si stia facendo. Rendicontare il rendicontabile per il gusto di farlo è del tutto inutile laddove non vi sia ‘materialità’, quanto è significativo il dato che catturo e poi comunico? Fa riflettere che molte aziende oggi (specialmente quelle quotate) spendano più nel reporting che

nello sviluppo di concrete attività Esg. Compreso e interiorizzato il senso della sostenibilità si tratta poi di calarlo nella realtà quotidiana, operazione ancor più delicata», sottolinea il responsabile.

Ecco dunque il punto d’intersezione tra più dimensioni proprie di una realtà aziendale, in questo caso bancaria. La scelta dei giusti progetti cui destinare le risorse. «L’iniziativa principe di Banca del Sempione e che più mi inorgorglisce sono probabilmente i Conti Green, pur accanto a decine di altri progetti. I clienti che vi aderiscono accettano che i relativi conti siano sottoposti a criteri sostenibili ancor più forti degli altri, ma anche che a fine anno il 10% del totale dei ricavi generati per l’istituto siano devoluti ad associazioni scelte dal cliente stesso. Il tema ricorrente è spesso l’impossibilità di toccare con mano l’impatto che i progetti che si finanziano hanno. I Conti Green nascono per questo, sostengono progetti e associazioni locali. Dalla loro nascita abbiamo già potuto donare parte dei ricavi a circa 10 associazioni attive sul territorio. Le ultime a esser state premiate sono state per l’appunto Aspi, Redog e Ridere per vivere Ticino, e parlarne vuole essere anche semplicemente d’ispirazione per altri, persone o istituzioni», precisa Malnati. E se l’appetito vien mangiando, molto spesso non c’è migliore soluzione che parlarne. I risultati? A volte del tutto inaspettati. «Anche nel caso della nostra clientela i più entusiasti e già informati, che chiedono soluzioni di questo tipo, sono i più giovani, per quanto sia sempre sbagliato generalizzare. In moltissimi altri casi è compito del consulente stimolare e informare, non fosse che la profilatura del cliente anche su queste materie è obbligatoria, e non mancano le sorprese. Spesso il principale ostacolo è infatti la non conoscenza, non lo scarso interesse, ed è fondamentale informare correttamente, da qui ad esempio il grosso sforzo che profondiamo nella formazione e certificazione di tutti i consulenti, anche in questo ambito. Il primo messaggio è che l’Esg è semplicemente un ulteriore tassello che entra a far parte del processo d’investimento, per ridurre ulteriormente i rischi e senza dover rinunciare a una parte di performance», nota il responsabile. Il mondo è bello perché è vario, e il cantiere Esg è sempreverde, non fosse per l’interesse di una parte di clientela. «Esistono diverse forme d’investimento so-

«Vogliamo essere d’esempio, ma per spingere gli altri a fare continuamente meglio, e di più, è anche questa la sostenibilità; anche al costo di comunicare qualche indicatore di meno, e qualche dato non troppo utile, destinando quelle risorse a cose un po’ più tangibili»

Simone Malnati, Responsabile dei Progetti speciali di Banca del Sempione

Proattivi per scelta

Totale cumulato dei progetti Esg attivati dall’istituto

stenibile, dalle semplici azioni di aziende ritenute Esg compliant, a forme molto più spinte, con anche ‘costi’ diversi da sopportare. Il Conto Green vuole essere un ibrido, gli investimenti sono gestiti secondo logiche Esg, ma al contempo non ci si limita a comprare Green bond di Swisscom o del Canton Basilea-Città, anzi. La banca reinveste il 10% del suo ricavato, lasciando scegliere al cliente in quale associazione, e consentendogli di apprezzare e toccare l’impatto avuto dalla sua decisione attraverso una testimonianza, un’email, un contatto diretto con chi il ‘bene’ l’ha concretamente fatto», riflette Malnati. Il fatto che sia però una tematica particolarmente fluida, interpretata in maniera molto diversa a dipendenza di settori e aziende, rende i paragoni particolarmente problematici, al pari della misurazione delle relative performance. «Se guardiamo al mercato, l’accelerazione che c’è stata a livello ambientale negli ultimi 10 anni è esponenziale, il che ha trascinato il dibattito pubblico. In termini sociali è cresciuta meno, ma si faceva già molto in precedenza. Se guardiamo

Nel caso degli istituti più piccoli destinare capitale umano a progetti Esg è un chiaro segnale di strategia.

invece al nostro piccolo, l’impegno che ci mettiamo è dei più notevoli, anche a livello di welfare aziendale, soprattutto rispetto a dimensioni e risorse. Abbiamo deciso di mettere la sostenibilità al centro coinvolgendo e informando tutti i dipartimenti, spingendoli a collaborare concretamente, e nella formulazione del piano industriale per il prossimo triennio prevediamo di spingere ancora di più. Sta qui la differenza con molti: vogliamo essere d’esempio, ma per spingere gli altri a fare continuamente meglio, e di più, è anche questa la sostenibilità; anche al costo di comunicare qualche indicatore di meno, e qualche dato non troppo utile, destinando quelle risorse a cose un po’ più tangibili», conclude il Responsabile dei Progetti Speciali di Banca del Sempione.

Giulio De Biase Federico Introzzi

Fonte: Banca del Sempione 2024

Cruciale non solo per grandi aziende

Se la sostenibilità è, ormai universalmente, un tema centrale per le organizzazioni pubbliche e private, con quali sfide si misurano le Pmi del territorio ticinese che abbracciano il trend?

Miglioramento della reputazione aziendale, riduzione dei rischi, maggiore fidelizzazione dei clienti, accesso a nuovi mercati, capitali e talenti, incremento della redditività a lungo termine… se i vantaggi dell’integrazione dei principi Esg nella strategia aziendale e nel business model sono sempre più riconosciuti, non solo in termini di impatto sociale e ambientale positivi, ma anche di potenziamento della performance economica, ci si potrebbe chiedere se il ritorno sia sufficiente da giustificare un investimento in sostenibilità anche nel caso delle aziende di un tessuto imprenditoriale come quello ticinese, fatto quasi esclusivamente di medie e, soprattutto, piccole e micro realtà.

«È vero che i centri di decisione delle grandi aziende con una forte presenza in Ticino, come banche, assicurazioni e telecomunicazioni, si trovano in Svizzera romanda o tedesca, ma oggi praticamente tutte le aziende sono confrontate a questi temi. Qui come ovunque nel mondo»,

esordisce Giovanni Facchinetti, fondatore e managing director di Positive Organizations, società di consulenze Esg con sede a Lugano. Dal 2015, con il suo team di professionisti specializzati, offre servizi di advisory strategico e soluzioni personalizzate per il raggiungimento di risultati misurabili negli ambiti economici, sociali, ambientali e di governance.

«Prima di tutto, adottare pratiche di sostenibilità migliora la reputazione e il valore dell’azienda e dei suoi brand, aumentando la fiducia di clienti e stakeholder. Le aziende che inseriscono formalmente pratiche di sostenibilità tendono a essere più resilienti, riducendo i rischi legati a fattori ambientali e sociali. Inoltre, l’adozione di pratiche sostenibili può portare a significativi risparmi, ad esempio tramite l’efficienza energetica e la riduzione di rifiuti e sprechi. Infine, la sostenibilità attrae talenti e investitori, poiché sempre più persone e istituzioni cercano di lavorare con realtà che condividono valori etici e di gestione responsabile», prosegue Giovanni Facchinetti che possiede un’i-

Implementare una strategia di sostenibilità può comportare sfide significative, specialmente per piccole aziende come le molte del tessuto imprenditoriale ticinese: normative e standard fra cui districarsi, risorse umane ed economiche da dedicare, cambiamento della cultura aziendale… ma i vantaggi sono evidenti, dall’impatto sociale e ambientale all’aumento della competitività e del valore aziendale.

nusuale combinazione di know-how in business internazionale, con oltre 25 anni nell’industria dei beni di largo consumo e del luxury in multinazionali globali, unito a un background multiculturale (con lunghi periodi di permanenza in America Latina e in Asia), insieme a una formazione accademica e, ormai, a una consolidata esperienza nella consulenza Esg. Implementare una strategia di sostenibilità può però comportare sfide significative, specialmente per le molte piccole aziende del territorio che possono trovare ‘poco sostenibile’ allocare il tempo e le risorse - umane e materiali - necessarie. «Inoltre, orientarsi tra le numerose normative e gli standard Esg è veramente complicato. Un altro ostacolo significativo è il cambiamento culturale: per integrare la sostenibilità in modo efficace, è infatti essenziale che tutta l’organizzazione, soprattutto i vertici, sia aggiornata, allineata e motivata a seguire queste pratiche», commenta il managing director di Positive Organizations. Difficoltà che si rispecchiano nei principali ambiti in cui le aziende del territorio cercano assistenza e supporto: la misurazione e il reporting delle performance Esg, l’inventario delle

emissioni di gas effetto serra e il relativo percorso di decarbonizzazione, l’implementazione e il monitoraggio delle pratiche sostenibili nella catena di fornitura e la formazione e la sensibilizzazione dei dipendenti. «La misurazione e il reporting sono cruciali per monitorare i progressi e comunicare gli impatti agli stakeholder in modo oggettivo, completo e senza pericolosi scivoloni nel greenwashing. La decarbonizzazione è indispensabile per il Net Zero dettato dalla Legge sul Clima e sull’Innovazione approvata dalla popolazione nel 2023. La gestione sostenibile della supply chain è essenziale per garantire che i fornitori rispettino standard ambientali e sociali elevati e che forniscano dati in relazione all’impatto ambientale dei propri prodotti e servizi. Infine, la formazione dei dipendenti è imprescindibile per creare una cultura aziendale orientata alla sostenibilità, assicurando che tutti siano coinvolti e consapevoli del loro ruolo nel raggiungimento degli obiettivi Esg», spiega Giovanni Facchinetti.

A oggi, fra i più utili strumenti di misurazione qualitativi e quantitativi per aiutare le aziende a raccogliere dati accurati e a creare report dettagliati sulle perfor-

«Per le aziende ticinesi, i temi più rilevanti in ambito Esg includono il monitoraggio e la riduzione delle emissioni, la gestione della supply chain, il benessere dei dipendenti e gli impatti sul territorio e la rendicontazione dei progressi nell’ambito. La ragione primaria è la sempre maggior richiesta di informazioni da parte di clienti e investitori»

Giovanni Facchinetti, fondatore e managing director di Positive Organizations

mance Esg, ci sono il Global Reporting Initiative (Gri), il Carbon Disclosure Project (Cdp), la piattaforma EcoVadis, il Corporate Sustainability Assessment di Standard & Poor e gli European Sustainability Reporting Standards (Esrs) nell’ambito della Csrd europea. «Inoltre è importante adottare metodologie di valutazione del ciclo di vita (Lca) per comprendere l’impatto ambientale complessivo dei prodotti e dei processi. Infine,

La gestione degli eventi internazionali

Da poco calato il sipario sulla 77esima edizione del Locarno Film Festival, si lavora già dietro le quinte per promuovere i film che qui hanno debuttato, seguire l’industry dei professionisti, prepararsi al nuovo anno e anche per garantire quella sostenibilità che rappresenta una vera sfida per i grandi eventi internazionali. Da tempo impegnato a migliorare le sue pratiche per mitigare la portata della propria impronta ambientale, consolidando al contempo il proprio impatto sociale e sostenendo le economie locali, da quest’anno il Locarno Film Festival per fare un ulteriore salto di categoria si è rivolto alla consulenza di Positive Organizations. «La reputazione e il prestigio mondiale del Festival, uniti al suo impegno per la sostenibilità, si allineano perfettamente con la nostra missione di supportare le organizzazioni nel generare un impatto sociale, ambientale ed economico positivo. Con questa collaborazione puntiamo a fare in modo che questo storico evento culturale operi in modo sempre più responsabile verso l’ambiente e il territorio, portando un importante messaggio al settore dei grandi eventi e all’industria cinematografica», commenta Giovanni Facchinetti. Un impegno condiviso per creare emozioni ed esperienze che non solo possano nutrire la settima arte e il mondo della cultura, ma anche dare un contributo tangibile alla comunità in cui il Locarno Film Festival opera.

incoraggiamo le aziende a stabilire indicatori chiave di prestazione (Kpi) chiari e a utilizzare tool digitali per monitorare i progressi in tempo reale», aggiunge il fondatore di Positive Organizations. Considerando il contesto attuale e le sfide globali legate proprio alla sostenibilità, le prospettive per le aziende ticinesi che la abbracciano possono dunque essere ritenute molto promettenti. «La crescente consapevolezza dei consumatori e delle istituzioni riguardo alle questioni ambientali e sociali spinge ormai le aziende a essere più trasparenti e responsabili. Inoltre, le politiche governative e le normative internazionali stanno sempre più incentivando la tendenza, destinata a crescere ulteriormente, con un aumento delle opportunità di mercato per le aziende che si posizionano come leader in sostenibilità. Quelle che adottano un approccio proattivo non solo contribuiranno positivamente all’ambiente e alla società, ma otterranno anche vantaggi competitivi significativi nel lungo periodo. Ed è dimostrato da diversi autorevoli studi come il valore di un’azienda possa aumentare significativamente con l’adozione di buone pratiche di sostenibilità», conclude giovanni Facchinetti. In sintesi, le buone pratiche di sostenibilità non solo migliorano l’impatto ambientale e sociale di un’azienda, ma possono anche rafforzarne la posizione finanziaria, competitività e capacità di attrarre investimenti e talenti. Questo crea un ciclo virtuoso che porta a un aumento complessivo del valore aziendale. In Ticino, come ovunque nel mondo.

Maria Antonietta Potsios

Impatto positivo a elevata potenza

Innovazione e sostenibilità sono i due vettori che hanno orientato la crescita di HAS Healthcare Advanced Synthesis, facendone una protagonista dell’industria chimico-farmaceutica internazionale e un modello di responsabilità aziendale. In coincidenza con i 40 anni di attività, l’inaugurazione del nuovo Quality Control Laboratory Center apre ulteriori prospettive.

Le competenze sviluppate in quattro decenni - anniversario che ricorre proprio nel 2024e l’attenzione ai dettagli hanno reso HAS Healthcare Advanced Synthesis uno dei più autorevoli produttori in grado di sviluppare e offrire soluzioni esclusive e personalizzate alle aziende farmaceutiche e biotecnologiche, per la produzione di ingredienti farmaceutici attivi (Api), principi attivi a elevata potenza (Hpapi) e composti anticancro. Altrettanto pionieristica, l’azienda di Biasca si è dimostrata nel suo approccio Esg: non un’appendice rispetto al suo business, ma il principio stesso che quell’innovazione la guida, ispirando decisioni e azioni.

«Obiettivo principale è affrontare le sfide future migliorando costantemente le nostre capacità per offrire prodotti all’avanguardia ai nostri clienti. Allo stesso tempo, la sensibilità alle questioni ambientali e di responsabilità sociale è connaturata nella visione di chi, come la famiglia Braglia, mette al centro la qualità di vita del paziente e di coloro che lo

HAS ha ulteriormente potenziato quest’anno le sue capacità di fornitura di servizi Cdmo con il nuovo Quality Control Laboratory Center all’avanguardia, sempre a Biasca.

metriche di rendicontazione, costruita anche grazie al supporto di una società di consulenza esterna, Positive Organizations di Lugano.

affiancano», esordisce Waldo Mossi, Ceo di HAS Healthcare Advanced Synthesis. Essenziale il lavoro fatto dal 2012 per sistematizzare questa vocazione che già dava vita a molte iniziative nelle tre dimensioni della sostenibilità - ambientale, sociale ed economica - ma che necessitava di una solida architettura, allineata alle

Nel 2023 HAS ha raggiunto la neutralità carbonica per il terzo anno consecutivo, risultato non scontato per chi opera nell’industria chimica e che la qualifica tra le aziende esemplari in termini di politica climatica. «Uno dei progetti chiave è stato l’allacciamento, dal 2017, alla centrale termica a biomassa legnosa di Biasca per la fornitura di energia tramite una rete di teleriscaldamento, operata da Nuova Energia Ticino in collaborazione con aziende forestali locali, che ci ha permesso di ridurre del 95% le emissioni di CO2 legate all’uso di fonti fossili», precisa il Ceo di HAS, che per il terzo anno consecutivo ha ottenuto anche la medaglia d’oro di EcoVadis, che la colloca nel 2% delle aziende più virtuose per sostenibilità, in base alla stringente valutazione di 21 parametri effettuata da quello che è ormai il rating di riferimento in ambito Esg. «Tuttavia siamo coscienti che ci siano ulteriori margini di miglioramento. Soprattutto rispetto alla nostra catena del valore: come azienda globale con clienti e fornitori nei quattro continenti, nella reciproca impossibilità di rinunciare noi a materie prime molto sofisticate che spesso un unico produttore al mondo può assicurarci, loro ai nostri composti chimici per combattere malattie rare e tumorali, occorre individuare ogni possibilità di ottimizzare la logistica», segnala il Ceo di HAS. La piccola percentuale di emissioni indirette residue viene però già controbilanciata

acquistando i certificati Gold Standard, nel caso specifico per supportare due progetti di grande impatto in Etiopia.

HAS si contraddistingue inoltre per l’impegno a favore del benessere e della salute dei suoi collaboratori, offrendo opportunità di crescita professionaleinclusa la formazione di una dozzina di apprendisti all’anno -, sicurezza sul lavoro e piani di benefit competitivi e sovraobbligatori, insieme a condizioni che permettono di conciliare l’attività lavorativa con gli obiettivi personali e familiari.

«Integrando la sostenibilità in ogni aspetto della nostra attività, cerchiamo di dimostrare che le pratiche responsabili possono coesistere con la crescita e la prosperità. Anzi la nostra sensibilità, nata da una genuina vocazione, si sta oggi trasformando anche in un vantaggio competitivo, sempre più apprezzata dai nostri clienti del pharma che, uscendo da una logica di meri costi, sempre più si interessano al background di sostenibilità dei loro fornitori per legarsi ad aziende solide, affidabili, innovative e, appunto, sostenibili, che consentano di garantire la business continuity dei loro prodotti che, in questo settore, significa assicurare che il paziente nel giorno in cui avrà bisogno del medicamento possa puntualmente riceverlo», sottolinea il Ceo di HAS.

Sostenibilità è anche quella di un’azienda di famiglia, radicata nel tessuto del territorio, che attraverso sfide, crescita e successi ha consolidato una reputazione internazionale. A 40 anni dalla sua fondazione, nel 1984, oggi con l’arrivo della quarta generazione, rappresentata da Gabriele Edoardo e Giacomo Braglia, che si uniscono a Gabriele Pietro Braglia, Fondatore e Presidente, e a suo figlio Riccardo Braglia, i valori e le tradizioni familiari continuano a essere tramandati con successo nel tempo.

«La sostenibilità è un cantiere sempre aperto, ma proprio questa consapevolezza ci ha permesso di raggiungere finora ottimi risultati. In futuro è nostra intenzione integrare nel team preposto anche le generazioni più giovani per cogliere i nuovi stimoli. Capisco però che, specialmente per aziende di piccole dimensioni, possa essere difficile trovare le risorse da investire in una strategia Esg, ma in Svizzera possiamo anche beneficiare di sinergie con istituti e scuole universitarie, come nel nostro caso Supsi che ci supporta nella valutazione del nostro livello di presta-

«Integrando la sostenibilità in ogni aspetto della nostra attività, dimostriamo che le pratiche responsabili possono coesistere con la crescita e la prosperità. Anzi, questa sensibilità, nata da una genuina vocazione, si sta trasformando in un vantaggio competitivo, sempre più apprezzata e richiesta dai clienti del pharma» Waldo Mossi, Ceo HAS Healthcare Advanced Synthesis

Matrice di materialità

Analisi dei 19 temi Esg più rilevanti sul breve e lungo termine per HAS e i suoi stakeholder, 2023

Temi materiali

Consumo di risorse

Protezione dati e privacy

Collaborazione con associazioni a supporto di gruppi minoritari

Etica aziendale Programma conformità e procedure di qualità GMP

Sicurezza e certificazione prodotti

Risultati economici a lungo termine

Emissioni gas serra

Salute e sicurezza dipendenti

Sistema di ambientalegestione (SGA) Efficienza energetica

Posizionamento come Sustainability Leader

Performance ESG fornitori

Interarazioni con comunità locali

Fonte: HAS Healthcare Advanced Synthesis, Rapporto Sostenibilità 2023

zioni energetiche e ambientali, dando al contempo l’occasione ai suoi studenti di confrontarsi con i problemi reali dell’industria», suggerisce Waldo Mossi.

Nella ricorrenza del 40esimo anniversario, l’attitudine di HAS Healthcare Advanced Synthesis trova piena espressione nell’inaugurazione del nuovo Quality Control Laboratory Center allo stato dell’arte, naturalmente progettato con pratiche ecologiche per garantire che il progresso non avvenga a scapito del pianeta. Un investimento da 10 milioni di franchi per potenziare ulteriormente la capacità del controllo qualità dei prodotti. «L’aumento del volume d’affari e delle attività che hanno spinto a scorporare HAS dal Gruppo Helsinn per farne dal 2022 una società indipendente - sempre afferente alla famiglia Braglia come controllata della 3B Future Holding - sono anche alla base della necessità di questo nuovo laboratorio all’avanguardia per supportare ancor più efficacemente il nostro team specializzato nello sviluppo di soluzioni di alta qualità, esclusive e personalizzate per i nostri clienti. Un progetto che guarda anche al futuro,

Gestione sostenibilità e certificazioni

Prodotti Sustainable by Design Biodiversità

R&D

Gestione rifiuti

PRIORITARIA

L’analisi di materialità permette ad HAS di identificare e dare priorità alle questioni di Esg più significative per l’azienda e i suoi stakeholder, sul breve e lungo termine.

poiché ci permetterà di acquisire nuovi prodotti e aumentare la nostra capacità industriale. Inoltre ha consentito di liberare spazi nei laboratori che accoglievano il precedente centro di controllo qualità accanto all’R&D, che potrà a sua volta essere ampliato, aprendo nuove strade. Sono in programma anche nuove assunzioni, che arricchiranno ulteriormente il nostro organico, già di 225 collaboratori», conclude il Ceo di HAS. Un valore aggiunto per l’intero Ticino: non solo per il maggiore indotto, ma soprattutto per le nuove competenze e per i tanti progetti anche a carattere ambientale e sociale che nei prossimi anni HAS proseguirà a sviluppare. Perché come la ricerca anche la sostenibilità, ha sempre nuovi orizzonti da esplorare.

Cattaneo

Sfide concatenate per l’intralogistica

A beneficiare del lungimirante approccio integrato alla sostenibilità di Interroll SA, che punta in particolare su efficienza energetica, riduzione dell’impatto ambientale e innovazione tecnologica, oltre l’azienda e la comunità locale, è l’intera supply chain globale ‘mossa’ dalle sue componenti.

Se per il settore dell’intralogistica la sostenibilità implica in primo luogo lo sviluppo di sistemi di movimentazione più efficienti a livello energetico e di soluzioni di automazione per ridurre gli sprechi, l’impatto positivo è potenzialmente fra i più rilevanti per chi, fuor di metafora, si può dire che muova l’economia mondiale, consentendo il flusso di materiali, informazioni e merci lungo tutta la catena di fornitura, dalle materie prime ai prodotti finiti.

«La produzione dei tecnopolimeri tramite stampaggio a iniezione presenta sfide uniche in termini di sostenibilità. Le affrontiamo puntando su efficienza energetica, riduzione dell’impatto ecologico e innovazione tecnologica, con una visione che integra le tre dimensioni Esg - ambientale, sociale e governancenella consapevolezza della loro interconnessione per il successo a lungo termine dell’azienda», sottolinea Ingo Specht, Managing Director di Interroll SA. Con sede a Sant’Antonino, la società è responsabile dello sviluppo e della produzione degli articoli in tecnopolimeri destinati in primo luogo alle altre 34 aziende sotto

il cappello di Interroll Group - che proprio qui accanto ha la sua holding. Leader mondiale nella fornitura di soluzioni per la movimentazione, fra la sua clientela vanta nomi che vanno dalla A di Amazon alla Z di Zalando, passando per giganti come DHL, Nestlé e Siemens. La strategia Esg della controllata Interroll si inscrive in quella del Gruppo che, quotato in borsa e con oltre 2300 dipendenti nel mondo, dal 2021 allestisce annualmente il proprio Rapporto di Sostenibilità. «Per quanto riguarda nello specifico la società Interroll, tra i più recenti grandi progetti c’è l’installazione del sistema fotovoltaico nel 2022: un investimento oneroso perché oltre ai 1.320 pannelli posati ha imposto il rifacimento del tetto, ma che ha consentito anche, grazie al miglior isolamento termico, di ottimizzare i consumi energetici per la climatizzazione dei 4.500 mq di superficie. Con una produzione annuale di circa 540mila kWh, abbiamo coperto oltre il 20% del nostro elevato fabbisogno di energia elettrica. Inoltre, già dal 2015, il calore recuperato dai trenta impianti di stampaggio permette di riscaldare uffici e fabbrica, senza più dover far

Nel 2023 Interroll SA di Sant’Antonino ha ricevuto la medaglia platino di EcoVadis che la colloca nel top 1% a livello mondiale per prestazioni in termini di sostenibilità e impegno Csr nel settore “Manufacturing of plastic and polymer products”. La sua strategia Esg integra dimensione ambientale, sociale e governance.

ricorso al gasolio», illustra Ingo Specht, che in quasi quattro decenni alla testa di Interroll SA, fondata nel 1986, ne ha fatto uno dei centri di eccellenza del Gruppo. Grandi progressi sono stati fatti anche nella riduzione degli scarti di polimero,

diminuiti del 70% rispetto al 2014 quando ne venivano generate 67 tonnellate - e questo nonostante l’aumento della produzione - ad esempio grazie al recupero del macinato che può essere rigranulato e impiegato per alcune tipologie di articoli.

Anche l’innovazione di punta, in particolare digitale, aiuta a migliorarsi: «Il machine learning e l’analisi dei big data supportati dall’Ia consentono ad esempio di identificare rapidamente le non conformità durante il controllo della qualità, riducendo reclami interni ed esterni; inoltre sensori e algoritmi aiutano a ottimizzare l’impostazione delle macchine per garantire la ripetibilità della qualità del prodotto o per effettuare la manutenzione predittiva degli impianti, in linea con la nostra strategia ‘Zero Difetti’», prosegue il Managing Director.

Negli ultimi anni, fra i diversi enti del territorio con cui Interroll si interfaccia, si è notevolmente intensificata la colla-

«Grazie alla posizione di leadership e all’impegno continuo verso l’innovazione e la sostenibilità, Interroll SA non solo genera un impatto positivo duraturo per la comunità locale ma contribuisce significativamente anche agli obiettivi globali di sviluppo sostenibile a livello internazionale»

borazione con Supsi. «Ad esempio, abbiamo sviluppato insieme una piattaforma di supporto decisionale che permette fin dalla fase di progettazione degli stampi di valutarne preventivamente il ciclo di vita e l’impatto ambientale. Adesso stiamo ultimando un altro studio pionieristico per la produzione in serie grazie all’additive manufacturing, che crediamo possa rappresentare una chiave di volta per clienti che hanno bisogno di volumi limitati, con un impatto ambientale dieci volte inferiore alla costruzione di uno stampo tradizionale», anticipa Ingo Specht.

Guardando alla dimensione sociale, grande attenzione è posta nel coinvolgere, sensibilizzare e motivare ogni singolo collaboratore. «Quando introduciamo una novità o modifichiamo una procedura ne condividiamo sempre le ragioni, altrimenti è difficile che routine acquisite anche da decenni vengano modificate», sottolinea Matteo Tonolla, Head of Production e Health & Safety Officer Interroll SA. «È altrettanto apprezzato dai collaboratori non essere vincolati alla ripetizione di un’unica mansione, potendo seguire l’intero processo produttivo: dalla ricezione del materiale alla produzione, passando per il controllo qualità, fino alla pallettizzazione finale».

Interroll investe inoltre significativamente in formazione e offre un programma per i talenti, con l’opportunità di sviluppare una carriera interna al Gruppo. «Siamo anche vicini alle associazioni territoriali che promuovono l’integrazione di persone diversamente abili, convinti del valore di una comunità inclusiva dove ogni individuo viene valorizzato per ciò che è», aggiunge Matteo Tonolla.

Particolare importanza è accordata a salute e sicurezza sul lavoro, sia colla-

borando con consulenti come Suva, sia facilitando la segnalazione di ogni potenziale pericolo di incidente. La gestione proattiva del rischio informa la cultura aziendale: «Ciò comprende l’analisi di tensioni geopolitiche, incertezze nelle catene di approvvigionamento e cambiamenti climatici. Per gestire le sfide dialoghiamo regolarmente con tutti i nostri stakeholder. Coltivare un’organizzazione agile e adattabile è indispensabile per rispondere rapidamente ai mutamenti del mercato», conclude il Managing Director della società Interroll. Nel 2023, alle certificazioni Iso 9001,14001 e 45001 che mantiene ormai da tre anni, si è aggiunta la medaglia platino di EcoVadis. «Grazie all’esperienza con l’allestimento del Report di sostenibilità del Gruppo abbiamo già un altissimo livello, ma rating come EcoVadis spronano a confrontarsi con altre aziende, portando nuovi spunti, ad esempio nella gestione dei rischi di governance o nei processi operativi», osserva Manuel Schettini, Master Data Governance, Capacity Planning & Environmental Officer Interroll SA.

Che la sostenibilità non sia per questa realtà un trend dell’ultima ora, lo conferma la sua adesione, già da fine anni ’90, alla metodologia kaizen messa a punto dall’industria automobilistica giapponese, trasposta nell’Interroll Production System: un approccio che ha permesso alle aziende del Gruppo di migliorare l’efficienza dei processi, ridurre i tempi di assemblaggio, aumentare la qualità e stimolare la partecipazione dei dipendenti ai processi di cambiamento. Che sono poi, quando ancora non si parlava di Esg, i pilastri di un approccio sostenibile.

Susanna Cattaneo

Sotto, da sinistra, Manuel Schettini, Master Data Governance, Capacity Plan. & Envir. Officer Interroll SA, e Matteo Tonolla, Head of Production e Health & Safety Office.

Responsabilità, una lega preziosa

L’impegno a 360 gradi di Argor-Heraeus in un settore sfidante in termini di sostenibilità, quello dei metalli preziosi. A illustrarne le diverse sfaccettature, il Co-Ceo Robin Kolvenbach.

Imetalli preziosi svolgono un ruolo importante per la società. Vengono utilizzati nell’industria chimica e in quella elettronica, sono alla base del settore finanziario, sinonimo di sicurezza in tempi di incertezza e simbolo di amore e apprezzamento quando trasformati in gioiello. Al tempo stesso, il settore affronta importanti sfide legate al proprio impatto ambientale e sociale. Tra gli esempi possibili, si trova l’elevata impronta di carbonio generata dall’estrazione e dalla lavorazione dei metalli, così come le condizioni di lavoro laddove i metalli vengono estratti.

Argor-Heraeus, tra le prime raffinerie di metalli preziosi in Svizzera, ha di recente pubblicato il proprio “Factbook sulla sostenibilità”, un rapporto che riassume l’impegno dell’azienda per diventare la più responsabile tra le raffinerie di metalli preziosi. Fondata nel 1951, con oltre 600 dipendenti impiegati presso l’headquarter di Mendrisio e le altre sedi in Italia, Germania e Hong Kong,

l’azienda si occupa della raffinazione e trasformazione di metalli preziosi (oro, argento, platino e palladio) per clienti in oltre 50 Paesi nel mondo e fa parte di Heraeus Precious Metals, leader globale nel settore dei metalli preziosi.

Imprescindibile collaborazione «È difficile riassumere l’impegno della nostra azienda in poche parole. Ci muoviamo in diversi ambiti», spiega il CoCeo dell’azienda, Robin Kolvenbach con cui abbiamo sfogliato il Factbook sulla sostenibilità per approfondire le molteplici sfaccettature di cosa voglia dire la responsabilità per Argor-Heraeus. «Sicuramente le sfide del settore sono complesse. Un importante denominatore comune è che queste vanno affrontate attraverso la collaborazione tra tutte le parti interessate. Cerchiamo di favorire dinamiche di dialogo e la trasparenza, ad esempio lavorando regolarmente con le Ong per affrontare insieme i problemi del nostro settore. Abbiamo inoltre isti-

Argor-Heraeus punta a svolgere un ruolo chiave nell'affrontare le sfide ambientali e sociali per il settore dei metalli preziosi.

tuito un ‘sounding board’ internazionale, composto da rappresentanti del settore aziendale, accademico e delle Ong, che ci accompagna nel processo di miglioramento continuo delle nostre pratiche».

La tracciabilità dei metalli preziosi

Uno dei fattori più importanti per un’industria dell’oro responsabile è la possibilità di tracciare l’origine dei minerali. Le persone vogliono avere la garanzia che l’oro contenuto nella propria collanina o fede nuziale sia stato prodotto in modo responsabile. Com’è possibile? «Negli ultimi anni sono stati fatti enormi passi avanti. Stiamo ad esempio lavorando con tecnologie che fanno capo a Blockchain e intelligenza artificiale per assicurare che il metallo sia autenticabile, identificabile e tracciabile. Grazie a questi sviluppi, oggi siamo in grado di fornire importanti dettagli rispetto all’origine e al percorso del metallo prezioso», afferma Kolvenbach.

Tutela di clima e ambiente

L’azienda si muove da anni anche per ridurre il proprio impatto a livello di clima e ambiente: «I nostri obiettivi sono ambiziosi. Ad esempio, miriamo ad azzerare le emissioni nette (‘net zero’) nelle nostre operazioni entro il 2033. Tra il 2019 e il 2023 abbiamo già ridotto quelle di tipo 1 e 2 del 74%», sottolinea Kolvenbach. Una task force dedicata ha individuato quasi 40 misure per migliorare ulteriormente l’efficienza energetica della sede di Mendrisio. L’azienda, da anni ormai, sta installando pannelli solari sui tetti di

tutti gli edifici, solo nel 2023 ha investito 300mila franchi in questo senso. Un altro progetto innovativo, in un’ottica di economia circolare, riguarda la trasformazione delle acque reflue derivanti dalle lavorazioni dei metalli in nitrato di sodio. Argor-Heraeus riesce a produrne oltre 450 tonnellate all’anno che possono poi essere rese disponibili sul mercato per l’industria del cemento o del vetro. Quella che era una materia di scarto viene recuperata e riceve nuova vita.

Le persone al centro

Nel contesto della responsabilità aziendale è fondamentale riconoscere l’importanza delle persone. Dai lavoratori in azienda alle comunità lungo la catena del valore.

Circa il 20% dell’oro estratto a livello globale proviene da miniere artigianali e di piccole dimensioni, che secondo le stime impiegano oltre 40 milioni di persone. Realtà spesso informali, non sempre in grado di garantire gli standard lavorativi delle miniere industriali formalizzate. «Facciamo un grande lavoro per aiutare lo sviluppo e la formalizzazione di queste miniere. Incentiviamo anche i nostri clienti ad acquistare più oro proveniente da queste fonti, in collaborazione con iniziative di sviluppo quali Swiss Better Gold, Fairmined e Fairtrade. Attraverso il pagamento di un sovrapprezzo per l’oro prodotto, i clienti possono contribuire economicamente al miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita di intere comunità», evidenzia il Co-Ceo di Argor-Heraeus.

Se oggi è tra i leader a livello mondiale nel suo settore, l'azienda lo deve anche ai suoi collaboratori. «Ci adoperiamo per creare una cultura positiva e nell’offrire condizioni di lavoro interessanti. Vogliamo un ambiente di lavoro sicuro e rispettoso della diversità, dove ognuno possa esprimersi e contribuire concretamente al successo dell’azienda», prosegue Robin Kolvenbach.

Sfogliando le pagine del Factbook colpisce in particolare il progetto denominato “Precious Ideas”, un concorso di idee che ambisce a coinvolgere i collaboratori nel processo di miglioramento dell’azienda. «Abbiamo fatto l’esperimento di chiedere ai collaboratori di proporre delle idee per ridurre le emissioni di CO2 e migliorare la sicurezza su lavoro. In pochi mesi ne abbiamo ricevute ben 136, di cui circa il

«Negli ultimi anni abbiamo compiuto enormi passi avanti verso un’industria dell’oro responsabile. Stiamo ad esempio lavorando con tecnologie che fanno capo a Blockchain e Intelligenza artificiale per assicurare che il metallo prezioso sia autenticabile, identificabile e tracciabile»

Robin Kolvenbach, Co-Ceo Argor-Heraeus

10% è già stato implentato o si prepara a esserlo», continua il Co-Ceo. Le migliori per ogni ambito sono state premiate con buoni da mille franchi.

Buoni cittadini della comunità

La conversazione si sposta poi sull’impatto ‘locale’ della raffineria: «È chiaro che essere un’azienda responsabile vuole anche dire essere dei ‘buoni cittadini’ per le comunità che si abitano», continua Kolvenbach. «Oltre al pagamento delle imposte e al nostro ruolo quale datore di lavoro, abbiamo diverse collaborazioni e progetti volti al supporto della comunità locale. Penso ad esempio al premio di 3mila franchi in collaborazione con Supsi che ogni anno consegniamo allo studente che redige la migliore tesi nell’ambito dell’ingegneria sostenibile. Oppure, abbiamo avviato nel 2023 il progetto ‘Together sounds better’, attraverso cui supportiamo il Conservatorio della Svizzera italiana nel dare lezioni di musica agli utenti della Fondazione Provvida Madre,

Obiettivo net zero nel 2033 per Argor-Heraeus. Tra le varie misure, l'installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti dei suoi edifici, intrapresa da diversi anni e in cui nel solo 2023 ha investito altri 300mila franchi.

che si occupa di bambini e adulti con disabilità», conclude il Co-Ceo. Gli esempi sono ancora tanti. Tutto porta a comprendere il significato del motto “Precious to us” di Argor-Heraeus. Un motto che riassume l’impegno a 360 gradi e sottolinea quanto l’azienda abbia a cuore il tema della responsabilità, prezioso almeno quanto i metalli lavorati.

Ermenegildo Peverelli

Il Factbook sulla sostenibilità di Argor- Heraeus è disponibile all’indirizzo precioustous.com

La consulenza che rinnova le energie

Nonostante la crescente sensibilità delle aziende verso le tematiche della sostenibilità ambientale, è in generale ancora poco presente l’interesse per un’analisi complessiva dell’efficienza energetica che permetta di contenere consumi ed emissioni. «Eppure di opportunità, ma anche di necessità, di razionalizzare e ottimizzare l’utilizzo e la gestione delle diverse forme di energia in strutture industriali e civili ce ne sono sicuramente molte, vista la presenza sul territorio di tante realtà non di recente costruzione. E i vantaggi di un risanamento energetico sono sovente notevoli, non solo dal punto di vista tecnico e ambientale, ma anche da quello economico: l’applicazione di efficienti soluzioni tecniche porta nella maggior parte dei casi a significative riduzioni di consumi, costi di esercizio ed emissioni di CO 2 , con

Due casi in cui la consulenza energetica di Tech-Insta ha fatto la (grande) differenza: sopra, la Mikron Tool di Agno e, a fianco, Audemars Microtec di Cadempino.

Attraverso un’accurata valutazione delle infrastrutture e l’adozione di efficienti soluzioni tecnico-impiantistiche, è possibile attuare un risanamento energetico con un significativo ritorno in termini ambientali, ma anche economici. Particolarmente interessante nell’industria, ma non solo.

un ritorno del capitale investito in tempi interessanti», osserva Gianfranco Marcoli, direttore di Tech -Insta. Dal 2014 alla gamma degli impianti di riscaldamento, ventilazione, climatizzazione e sanitari nella cui progettazione e installazione è specializzata, l’azienda di Taverne ha aggiunto il fotovoltaico. A partire dal primo impianto realizzato sul suo stesso tetto per alimentare la termopompa reversibile che dal 2006 riscalda e climatizza gli uffici, ne ha installati oltre duecento, sia nel residenziale che nel pubblico e nell’industria. Parallelamente ha creato un Ufficio per la consulenza energetica per svolgere le analisi ed elaborare le proposte tecnico-impiantistiche volte alla gestione ottimale dell’energia e al contenimento, e possibilmente all’azzeramento, del ricorso a fonti fossili e delle emissioni di CO2 , non solo di singoli impianti, ma anche dell’insieme edificio/ impianti nell’industria coinvolgendo le

installazioni dei processi produttivi, interessanti ad esempio se vi è dell’energia di scarto che può essere recuperata. Un caso che perfettamente illustra le potenzialità di un intervento di ottimizzazione energetica applicato all’industria, è quello realizzato per la Mikron Tool di Agno. Nel 2016 l’azienda leader nella fabbricazione di utensili di alta precisione per macchine Cnc si è rivolta a Tech-Insta per valutare gli interventi opportuni per l’aggiornamento tecnico-energetico degli impianti e dello stabile, risalente agli anni Settanta. Già installando le soluzioni impiantistiche individuate attraverso il nostro studio per il raffreddamento dell’olio da taglio impiegato nella fabbricazione e quelle per il recupero di calore da questo e dai compressori dell’aria, si son potute eliminare le caldaie, sopprimendo il consumo e i costi dell’olio combustibile, e risparmiare 350mila kWh all’anno di energia elettrica dal 2021. Risultati che da un lato hanno assicurato all’azienda un importante contributo attraverso il programma ProKilowatt della Confederazione e, dall’altro, permetteranno il ritorno dell’investimento in 7 anni circa, a fronte di una durata di vita degli impianti di almeno 20. Senza dimenticare l’azzeramento dell’emissione locale di 55 tonnellate annue di CO2 e la riduzione di 45 tonnellate annue di quella indiretta derivante dal minor consumo di energia elettrica. A complemento di tutte le opere previste dallo studio, l’anno scorso è stato installato l’impianto fotovoltaico, con una produzione annua di oltre 380mila

kWh e un’ulteriore riduzione delle emissioni indirette di CO2 di circa 49 tonnellate/anno, relative al minor prelievo di energia elettrica dalla rete.

Tech-Insta è in grado di gestire situazioni molto diverse fra loro. Oltre alla semplice sostituzione di una caldaia con una termopompa per una casa unifamiliare, con magari l’installazione di un fotovoltaico sul tetto, si può portare l’esempio di un prestigioso stabile bancario di Lugano che, con impianti in funzione da diversi decenni, presentava diverse carenze dal punto di vista energetico. Sulla scorta delle modifiche e migliorie

Sopra, l’esempio di un’unifamiliare con termopompa e fotovoltaico.

tecniche proposte e attuate da Tech-Insta sull’arco di sei anni, con un investimento di 485mila Chf si è ottenuto un risparmio cumulato per energia termica, elettrica e acqua industriale di 1,120 milioni di franchi, riducendo del 75% le emissioni. Un’industria farmaceutica come IBSA ha potuto diminuire di 190 tonnellate annue le emissioni di CO 2 del suo centro produttivo di Lamone installando una termopompa per il recupero e riutilizzo del calore, con un ritorno del capitale investito in 5 anni grazie al risparmio per gas ed elettricità.

Ogni consulenza parte da un esame preliminare per individuare sia le situazioni da risanare, sia quelle per le quali vi è la concreta opportunità di elaborare progetti di ottimizzazione interessanti dal punto di vista tecnico, economico e ambientale - e per capire con quali possibili contributi cantonali e federali. Si spazia dal semplice aggiustamento dei parametri di esercizio per impianti e strutture recenti a importanti interventi per attualizzare quelli più obsoleti. Il tutto integrato da misure sulle strutture edilizie, di cui Tech-Insta non si occupa direttamente, ma che valuta sempre. E nel caso della Mikron Machining, della quale a partire dal 2010 è pure stata ri-

La sede di Tech-Insta, a Taverne.

strutturata e resa molto più efficiente tutta l’impiantistica e ottimizzata la gestione generale dell’energia, già la sola realizzazione del cappotto sullo stabile ha permesso di ridurre di 2/3 quella necessaria per riscaldarlo.

La grande esperienza anche nell’installazione e nella gestione di impiantistica di supporto e mantenimento dei processi produttivi, quali centrali di produzione

sciare il mercato della Svizzera italiana messo in difficoltà dalla crisi edilizia. Una sfida vinta: lo conferma il fatto che in questi ormai quasi 30 anni, oggi con una novantina di dipendenti, l’azienda di Taverne sia riuscita a conquistare significativi mandati in concorrenza con ditte svizzero tedesche ed estere, quale unico offerente ticinese, come nel caso della complessa centrale di teleriscaldamento

La validità anche economica di un’ottimizzazione tecnico-impiantistica

Costi di esercizio e risparmi aree di fabbricazione

Situazione2018 VentilazioneCaldo-freddo-fabbr.Recuperocalorecompr.ariaIlluminazione Impianto fotovoltaico EdificioSituazioneottimizzata

vapore e di refrigerazione, climatizzazione di ambienti di fabbricazione con elevate esigenze igienico-ambientali come nel pharma, permette a Tech-Insta di disporre di un ampio e particolarmente elevato livello di competenza pratica nel settore tecnico-energetico. «Possiamo inoltre contare sull’elevata competenza tecnico-impiantistica del nostro team di ingegneri, progettisti, montatori e tecnici manutentori, tutti altamente qualificati e con una consolidata pratica», sottolinea Gianfranco Marcoli, che da direttore della filiale ticinese della Sulzer nel 1996 si è trovato a iniziare un’avventura da imprenditore rilevando la sede luganese e facendone la sua Tech-Insta quando l’azienda di Winterthur ha deciso di la-

Teris abbinata al termovalorizzatore di Giubiasco, o del servizio di picchetto per gli impianti di raffreddamento dei supercomputer del Centro svizzero di calcolo scientifico, compreso il nuovo Alps. E nel 2021, dopo aver ricevuto un grosso mandato per la ristrutturazione degli impianti del Palazzo dell’Onu a Ginevra, ha aperto lì una piccola filiale per ampliare ulteriormente il raggio della propria attività, come le permette di fare anche l’ottenimento della certificazione Iso 13.485, oltre alla Iso 9001, unica in Ticino e fra le poche in Svizzera autorizzata a installare nelle strutture sanitarie impianti di distribuzione dei gas medicali fondamentali nelle sale operatorie, nei reparti di terapia intensiva e degenza.

Uno showroom come immagine e punto di riferimento per tutte le realtà da giugno riunite nel gruppo iRezz. A veicolare i valori aziendali, la scelta del legno, materiale identitario della sua attività.

Dove il legno è di casa

Non poteva che essere il legno: una risorsa del territorio, con tanta anima ma funzionale, duraturo ma duttile. Con uno dei cicli produttivi ambientalmente più virtuosi. Nata nel 1934 come rivendita di materiale edile, è dagli anni Settanta che la Fabio Rezzonico di Mendrisio ha incluso questo materiale nella sua offerta avviando il settore della carpenteria per coperture e tetti in legno. È stato poi il turno di stufe, camini, pavimenti in parquet e altri rivestimenti che lo declinano nelle sue molteplici forme. Quando, in vista del novantesimo anno di attività, si è voluta dare una nuova immagine aziendale riunendo le società nel frattempo acquisite (Lumafer, GLA Pavimenti e CC Cotto Ceramiche) in un Gruppo, accanto alla scelta del brand “iRezz”, che ben comunica la volontà di mettere la pluralità a fattore comune, altrettanto importante è stata ritenuta la progettazione di una nuova sede che esemplificasse il concetto. «Abbiamo scelto il legno per caratterizzare la struttura leggera e lineare del corpo orizzontale, un lungo parallelepipedo a due piani, che contrasta con il calcestruzzo delle due torri verticali. La superficie totale di circa 1500 mq accoglie gli spazi espositivi con gli uffici amministrativi e la direzione, flessibile e modulabile per evolvere con

l’attività commerciale. Dalle facciate longitudinali, ampiamente vetrate, filtra la luce indiretta da nord creando un’atmosfera suggestiva per i nostri prodotti, inoltre anche il tetto-terrazza funge da location espositiva e per eventi a cielo aperto con vista panoramica dal Monte Generoso al San Giorgio e sui tetti del borgo di Mendrisio», descrive con orgoglio il Ceo Nicola Rezzonico, quarta generazione alla guida dell’azienda di famiglia.

Dopo oltre 50 anni di esperienza, quella del legno è una filiera che i Rezzonico conoscono molto bene e hanno in prima persona contribuito a sviluppare in Ticino, membri anche dell’associazione di categoria Holzbau Schweiz. Un materiale ecologico, durabile e potenzialmente inesauribile, ma anche esteticamente originale e performante dal punto di vista edile, che guadagna crescente interesse da parte della committenza pubblica, come pure di impresari, progettisti e privati.

“Ideare, Costruire, Vivere”: lo slogan scelto da iRezz è espressione della filosofia aziendale. Che nella sostenibilità ha un suo pilastro: «Già nel 2011 abbiamo installato un grande impianto fotovoltaico, che produce 265mila kwh all’anno, pari al consumo di 53 economie domestiche, in gran parte re-immessi in rete, non essendo la nostra un’azienda produttrice con alti consumi», spiega Nicola Rezzonico.

Si cerca inoltre di applicare la sostenibilità a ogni dimensione. «Ad esempio stiamo cambiando il parco veicoli, muletti e sollevatori, orientandoci su quelli elettrici; inoltre cerchiamo di privilegiare fornitori attenti all’impatto ambientale e di riciclare il più possibile i materiali di consumo, oltre a sensibilizzare i nostri collaboratori, ormai 74, incluse le sedi di Camorino e Lumino. E prossimamente inizieremo la commercializzazione di pannelli per la finitura di interni in materiale riciclato», anticipa Nicola Rezzonico.

Grazie al nuovo showroom, inaugurato a giugno, e all’identità di Gruppo, l’obiettivo è di presentarsi quale unico interlocutore di riferimento, valorizzando le specificità delle diverse professionalità riunite sotto lo stesso tetto per offrire una consulenza integrata e personalizzata. «Con molteplici vantaggi: dalla visione a tutto tondo già in una singola visita, alla riduzione delle tempistiche di realizzazione, anche grazie agli errori in cui si evita di incorrere rispetto a quando professionisti di realtà estranee comunicano fra loro. Non meno importante, il risparmio consentito dall’acquisto di un pacchetto di diversi prodotti e servizi. Il tutto in uno spazio che è un piacere visitare sia per un cliente privato che per un professionista», conclude il Ceo di iRezz. L’espressione concreta di un gruppo unito.

Nicola Rezzonico, Ceo di iRezz, e il nuovo showroom a Mendrisio.

Eureka!

Il 12esimo capitolo di un’epica avventura...

La 12esima edizione di Eureka vede al suo centro l’esperienza di una start up austriaca dell’Health, che guarda al mercato svizzero, oltre all’innovazione digitale nel suo insieme. È dunque ai cancelli di partenza la rivoluzione del phididital, ma anche la comunicazione online sta rapidamente divenendo un nodo gordiano: esserci o non esserci? La risposta potrebbe non essere così ovvia, pur essendoci, o pur non essendoci.

Soluzioni... croniche!

Una giovanissima realtà austriaca mira a espandersi in diversi stati europei, spinta da un approccio innovativo e tecnologico alla gestione del dolore cronico, che affligge decine di milioni di persone in un continente sempre più vecchio.

Negli ultimi anni, il settore sanitario ha percorso significativi passi in avanti verso approcci non farmacologici nella gestione del dolore. La crescente consapevolezza dei rischi associati a un uso prolungato degli antidolorifici, come la dipendenza e gli effetti collaterali negativi, ha costantemente alimentato la domanda di nuove terapie. In questo panorama in rapida evoluzione, si inserisce Aurimod, società specializzata nello sviluppo di soluzioni innovative e prive di farmaci per la gestione del dolore cronico, che è sul mercato dal 2021. Il salto tecnologico. La principale innovazione che la società ha introdotto è l’uso sofisticato della stimolazione del nervo vago grazie a un dispositivo proprietario, Vivo. Tale dispositivo minimamente invasivo consente una terapia personalizzata per condizioni di dolore cronico come lombalgia, sindrome cervicale ed emicrania. A differenza dei metodi tradi-

zionali di gestione del dolore, offre un’alternativa sicura ed efficace che affronta molti problemi associati ai trattamenti convenzionali.

«Vivo opera secondo i principi della neuromodulazione, fornisce infatti impulsi elettrici al nervo vago per alterare l’elaborazione e la percezione del dolore. I

Sotto, il dispositivo Vivo, andando a insistere a livello nervoso promette cure non farmacologiche per una efficace e migliore cura del dolore cronico, alleggerendo la pressione sui sistemi sanitari nazionali. A lato, il team della start up.

risultati clinici si sono rivelati molto promettenti, offrendo un sollievo a lungo termine ai pazienti che hanno esaurito le altre opzioni terapeutiche. La capacità di questa tecnologia di essere finemente sintonizzata sulle esigenze del singolo paziente la pone all’avanguardia rispetto alla concorrenza nel movimento della medicina personalizzata», esordisce così Stefan Kampusch, Ceo di Aurimod. Implicazioni economiche e cliniche. L’innovazione introdotta dall’azienda rappresenta una svolta sia dal punto di vista clinico che economico. Il dolore cronico affligge oltre 1,5 miliardi di persone a livello globale, con conseguenti costi sanitari elevati e perdita di produttività. Il mercato globale del dolore è ancora dominato dai colossi del Pharma, e ha un valore di mercato di oltre 50 miliardi di euro. Tuttavia, i trattamenti di neuromodulazione si stanno rapidamente ritagliando un’importante quota di mercato, il cui valore è già superiore ai 7 miliardi di euro e si stima abbia un tasso di crescita annuale composto del 10-15% nei prossimi anni.

«L’attuale gestione del dolore spesso si basa ancora su prescrizioni ripetute di antidolorifici, che contribuiscono all’onere economico e sanitario dei sistemi sanitari e dei pazienti. Offrendo un’alternativa non farmacologica, andiamo a insistere

sulla causa principale del dolore cronico anziché limitarci a gestire i sintomi, ottenendo miglioramenti sostanziali e duraturi. Vivo, insieme al suo gemello digitale, l’App, consente infatti ai pazienti di avere una visione completa della gestione del dolore. Questo approccio proattivo può portare a un significativo miglioramento della salute, e nel corso del tempo anche a una riduzione dei costi sanitari», prosegue il Ceo.

Allineamento al mercato. L’introduzione del dispositivo si allinea perfettamente con le principali tendenze del settore sanitario, in particolare con il passaggio alla medicina personalizzata. Poiché l’assistenza sanitaria si allontana sempre più da un modello unico, l’attenzione di Aurimod nel personalizzare la terapia sulla base delle esigenze individuali esemplifica il futuro della cura del paziente.

«Questo approccio personalizzato non solo migliora l’efficacia del trattamento, ma aumenta anche la soddisfazione del paziente. Inoltre, l’integrazione di strumenti sanitari digitali come l’App fa l’eco a un più ampio movimento verso un’assistenza sanitaria basata sui dati. La capacità dell’applicazione di raccogliere e aggregare i dati supporta piani di trattamento personalizzati, il che in una fase successiva aprirà a nuove possibilità per la telemedicina e il monitoraggio da remoto dei pazienti», rileva Kampusch. Espansione del mercato e piani futuri. La società si è inizialmente concentrata sul mercato domestico austriaco, dove ha già ottenuto un successo significativo, evidenziando un elevato potenziale di crescita. Le vendite sono in costante aumento e la recente approvazione della copertura dei costi della terapia nelle cliniche austriache pone le basi per una crescita significativa nel 2025.

«Consolidate le fondamenta in Austria, ci stiamo ora concentrando sullo sviluppo di nuovi mercati, in particolare Germania, Italia, Regno Unito e Svizzera, dove le vendite si stanno dimostrando particolarmente toniche. Prevediamo di poterci presto spingere ancora più lontano, grazie alle risorse derivanti da quelli che solo per poco saranno nuovi mercati, dove si sta palesando una crescente domanda di soluzioni innovative per la gestione del dolore, che vogliamo soddisfare», mette in evidenza il Ceo.

Per alimentare e mantenere particolar-

«L’attuale gestione del dolore spesso si basa ancora su prescrizioni ripetute di antidolorifici, che contribuiscono all’onere economico e sanitario dei sistemi sanitari e dei pazienti. Offrendo un’alternativa non farmacologica, l’approccio al problema cambia completamente nell’interesse del paziente»

Stefan Kampusch, Ceo di Aurimod

Un mondo dolorante

Diffusione dei casi di dolore cronico tra Europa e Stati Uniti

■ 50 milioni di persone negli Stati Uniti

■ 110 milioni di persone in Europa

■ 90 milioni di persone ricadute

■ 1.5 miliardi di persone

■ > 400 mld di euro di costi conseguenti in Europa

Fonte: Aurimod

mente vivace tale ambiziosa espansione anche all’estero, sono evidentemente necessari nuovi capitali, dunque partnership strategiche e nuovi investimenti. Un supporto, almeno temporaneo, che dovrebbe consentire di ampliare la pipeline clinica e di promuovere la posizione di grande attore del settore.

E poi? Ci sono tutte le premesse per pensare allo stato attuale delle cose che la crescita dei prossimi anni sarà molto positiva. Continuando a innovare e ad adattarsi alle tendenze emergenti, Aurimod è ben posizionata per guidare la trasformazione della gestione del dolore cronico. L’espansione strategica dell’azienda in mercati chiave e il suo impegno costante nel migliorare l’integrazione digitale saranno i fattori chiave del successo futuro, anche grazie a un approccio pionieristico che pone il paziente al centro dell’ecosistema che ha contribuito, e che soprattutto contribuirà, a creare.

«Siamo pronti a rivoluzionare la gestione del dolore con la nostra soluzione innovativa e non farmacologica, rispon-

Curare i sintomi, e non le cause, produce semplici palliativi, che non risolvono il problema, ma lo mettono sotto al tappeto. Nei soli Paesi occidentali sono milioni le persone interessate da dolori cronici.

dendo a un’esigenza medica critica a livello globale. Il nostro dispositivo e i nostri servizi stanno trasformando il trattamento del dolore, il che consentirà ai pazienti di tutto il mondo di recuperare la qualità della vita che avevano avuto in passato, e sotto molti aspetti una vera e propria indipendenza, da farmaci e altre persone. Siamo impegnati non solo nello sviluppo di tecnologie all’avanguardia, ma anche nella promozione di un ambiente aziendale sostenibile, il che ci garantisce di poter continuare a fornire un supporto essenziale a chi ne ha davvero bisogno», conclude Stefan Kampusch, Ceo di Aurimod.

Emanuele Pizzatti

La giustizia scende in pista

La decisione finale della Grande Camera della Cedu nel caso “Caster Semenya contro Svizzera” potrebbe rappresentare una svolta storica nel rapporto tra arbitrato sportivo e diritti umani.

La vicenda della pugile algerina Imene Kehlif, esplosa durante le recenti Olimpiadi di Parigi, ha riacceso il dibattito decennale tra i diritti umani, e in particolare il divieto di discriminare sancito dall’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu), e il mondo dello sport. L’intricata questione che divide la giustizia sportiva concerne il diritto a non essere discriminate di atlete con un livello naturale di testosterone superiore alla media.

Il caso più simbolico in questo contesto è quello della mezzofondista sudafricana Caster Semenya, vincitrice di due medaglie olimpiche negli 800 metri e di tre titoli mondiali, oltre a numerosi titoli nella Diamond League. La sua biografia è però strettamente legata alla sua condizione genetica innata di persona intersex, ovvero nata con caratteristiche biologiche non conformi alle norme sociali o alle definizioni mediche di ciò che rende una persona maschio o femmina. Questa differenza di sviluppo sessuale (in inglese Dsd, Difference in Sex Development) porta il corpo a produrre una maggiore quantità di ormoni, soprattutto testosterone, rispetto ad altre donne.

di cure ormonali, Semenya si è rifiutata di proseguire, trovandosi così esclusa da tutte le competizioni. Contro questo provvedimento, la sportiva sudafricana ha presentato dinnanzi al Tribunale arbitrale sportivo di Losanna (Tas) un’istanza di arbitrato chiedendo di valutare la congruità del regolamento Dsd, considerandolo discriminatorio contro le atlete intersex.

Pur riconoscendo l’esistenza di una discriminazione, il Tas ha tuttavia ritenuto che il diverso trattamento fosse necessa-

Giacomo Keller, studente di diritto all’Università di Zurigo e Presidente del Circolo Giovani Giuristi.

procedurali e istituzionali ai sensi della Cedu, suggerendo così all’autorità giudiziaria svizzera di modificare il sistema di revisione dei lodi arbitrali sportivi.

La Corte aveva già una volta decretato la necessità di una revisione del sistema arbitrale sportivo nell’ottica dei diritti umani con la decisione Mutu e Pechstein contro Svizzera. Questa sentenza richiamava però unicamente il Tf e dunque indirettamente anche il Tas ad applicare gli obblighi procedurali derivanti dall’art. 6 della Cedu (diritto a un equo processo), mentre nulla era mai stato deciso nell’ambito dei diritti sostanziali come il divieto di discriminare.

Nel 2018 la World Athletics ha adottato un nuovo regolamento Dsd che vietava alle atlete con livelli di testosterone naturali superiori a 5 nmol/l di gareggiare in vari eventi sportivi, tra cui gli 800 metri. Semenya è stata dunque costretta a scegliere tra l’effettivo obbligo di sottoporsi a trattamenti ormonali per soddisfare i requisiti e l’esclusione da tutte le gare internazionali degli 800 metri nella categoria femminile. Dopo un breve periodo

rio, ragionevole e proporzionato per assicurare l’equità delle competizioni sportive. Con decisione del 25 agosto 2020 anche il Tribunale federale, competente per esaminare i lodi del Tas, è giunto alla medesima conclusione.

Non soddisfatta dalle argomentazioni di questi tribunali, Semenya si è rivolta alla Terza Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, con sentenza del 15 maggio 2024, ha capovolto entrambe le precedenti decisioni, ritendendo discriminatorio il contenuto dal regolamento Dsd e concludendo che il Tribunale federale, nel contesto della sua sentenza, non avesse fornito sufficienti garanzie

Ora, se la decisione della Terza Camera venisse confermata anche dalla Grande Camera, l’ultima istanza della Corte di Strasburgo, verrebbe sancita la necessità anche per un’istituzione giudiziaria privata come il Tas di allinearsi agli obblighi sostanziali derivanti dalla Cedu, storicamente rivolta invece unicamente agli Stati. Il Tribunale federale, dal canto suo, verrebbe chiamato a interpretare questi obblighi con un margine di apprezzamento molto più ristretto rispetto a quanto fatto finora. I diritti sostanziali derivanti dalla Cedu dovrebbero dunque essere garantiti non solo dagli Stati contraenti ma anche indirettamente dal Tas, assicurando così maggior protezione per le atlete intersex e per gli altri atleti vittime di discriminazioni. E Caster Semenya avrebbe vinto la sua personale battaglia.

E se i muri parlassero?

Il futuro avrà quasi certamente una dimensione phygital, un ibrido tra digitale e analogico, con la tecnologia che garantirà condizioni e strumenti migliori per essere tutti più umani.

Inostri spazi non parleranno. Urleranno, produrranno dati in massa e si trasformeranno in grandi e intelligenti scatole magiche. Piazze, strade, negozi, ospedali, scuole, uffici e così via saranno popolati di sensori alimentati dall’intelligenza artificiale e funzionalità di realtà aumentata, che saranno in grado di agire, reagire e servire, in modo proattivo, ciò di cui c’è bisogno, istantaneamente e in toto. Tutto sarà tracciato, nel pieno rispetto delle normative locali, in modo che i dati circolino dove necessario, per garantire il raggiungimento degli obiettivi aziendali o sociali.

Ma il lettore potrebbe non credervi. Questo è il motivo per cui è bene interpellare Andrea Abrams, fondatore e Ceo di Phygicode, consulente, investitore e membro di vari consigli di amministrazione. Abrams è una veterana della tecnologia, con un ricco background nell’immobiliare e nel retail. Vive negli Stati Uniti, ma ha clienti in tutto il mondo, poiché la ‘rivoluzione phygital’, come la chiama lei, è qualcosa che riguarda tutti.

«Abbiamo tantissimi marchi, se si pensa al business, e alcuni buoni operatori, che si siedono nel mezzo e sono ancora rilevanti. Il fisico non morirà. L’ambiente è fondamentale per vendere qualsiasi cosa, dal retail all’ospitalità. L’aspetto positivo della tecnologia è che costringe a ripensare il nostro senso di comunità e di business. Abbiamo per molti versi perso la capacità di fare una corretta pianificazione, le fondamenta» Abrams ci dice.

Ci si sta muovendo verso un futuro ibrido, dove digitale e fisico si fonderanno, lavoreranno insieme, saranno in un equilibrio sempre in movimento, per circondare gli esseri umani e servirli al meglio. «Il presente è phygital. Inseguiamo accesso

anziché possesso. Cultura e comunità sono le vere priorità», conferma Abrams. Fare affari circa trent’anni fa era difficile, se si voleva dare un senso al commercio. Nei centri commerciali gli addetti alle vendite andavano in giro con i palmari, ponendo cinque domande agli acquirenti, da cosa avevano acquistato al perché, dal prezzo alla soddisfazione. I dati erano raccolti ed elaborati da agenzie esterne, che informavano su come migliorare i servizi. Il tutto era macchinoso, impreciso, lento e raramente brillante.

Si vive oggi in un’era diversa. Il contesto

«C’è un ciclo continuo che abbraccia i fan nel marketing phygital. Il fisico porta al digitale e viceversa, in un vortice continuo, dove al centro è la persona. La tecnologia offre gli strumenti per coltivare le comunità, ma costringe a renderne indistruttibili le intenzioni»

sarà in grado di tracciare ciò che fanno le persone, utilizzando tecnologie indossabili e sensori già presenti nell’ambiente. I dati confluiranno in motori alimentati dall’Ia, in grado di dargli un senso, prevedere e suggerire, con l’obiettivo di semplificare, ispirare e deliziare i fan.

Secondo Abrams saranno tre le strade:

- Esperienze connesse: ogni prodotto sarà connesso e avrà un gemello digitale; questo sta già accadendo, dalla moda e dal lusso, al mondo industriale;

- Ambienti digitali: ci vorrà un po’ più di tempo; grazie soprattutto alla realtà aumentata, il digitale e il fisico interagiranno

Frank Pagano, azionista di Tokenance, Senior Partner di Jakala, Contributor de Il Sole 24 Ore.

per guidare gli appassionati, attraverso giochi, cacce al tesoro, scoperte e così via; phygital è un linguaggio, un codice che ogni brand utilizzerà per coinvolgere gli utenti e fidelizzarli;

- Acquisizione dei dati: è qui che l’Ia svolgerà il suo ruolo centrale, alimentando raccomandazioni e proposte in tempo reale, per ogni essere umano immerso in questo universo phygital.

C’è, ovviamente, spazio anche per le blockchain. «Se c’è una cosa preziosa con la blockchain, è il fatto che otteniamo verità anziché fiducia, verità a livello granulare. Tutti i flussi saranno registrati su catene pubbliche, trasparenti, immutabili», conclude Abrams.

C’è un ciclo continuo che abbraccia i fan nel marketing phygital. Il fisico porta al digitale e viceversa, in un vortice continuo, dove al centro è la persona. La tecnologia offre a operatori e marchi, a Governi e aziende gli strumenti per coltivare le comunità, ma li costringe a renderne indistruttibili le intenzioni di ciò che fanno, e il motivo per cui esistono in primo luogo. Benvenuti nell’era dei dati, della verità e dell’autenticità. Se fatto bene, le connessioni umane saranno rafforzate. La tecnologia è un pezzo di un puzzle fatto di spazio in cui i fan possono creare, strumenti hardware e di Ia che tracciano e interagiscono e un’infrastruttura interoperabile e così fluida da diventare invisibile. I muri parleranno, così che noi possiamo parlarci meglio, più profondamente, più velocemente. Se il presente è phygital, il futuro può essere ancora più umano.

Essere o non essere?

Esistono diverse forme di presenza digitale, e tutte molto diverse tra loro. Sono molte le aziende che confondono come e dove si trovano, potrebbe però fare la differenza.

Nel panorama odierno, ‘digitalizzarsi’ è diventato un imperativo per ogni azienda. Tuttavia, dietro l’apparente ubiquità della presenza digitale si cela un paradosso: molte aziende, pur essendo online, non sono realmente presenti. Un modello in tre fasi della consapevolezza digitale - passiva, attiva e proattiva - può aiutare le aziende a valutare il loro posizionamento in relazione al valore del brand e alle interazioni con i clienti, identificando le azioni necessarie per crescere. L’illusione della presenza digitale. Molte aziende si trovano in quella che può essere definita fase passiva, caratterizzata da una presenza digitale che esiste indipendentemente dalla loro volontà. In questo scenario, le aziende si ritrovano online senza averlo pianificato o gestito: pagine aziendali autogenerate su LinkedIn ma non reclamate, profili su directory di terze parti e menzioni non controllate. Questa presenza involontaria può creare l’illusione di essere digitalmente attivi, quando in realtà manca qualsiasi forma di controllo o strategia. Un’azienda che rimane in questa fase passiva rischia non solo di scomparire nel mare magnum del

web, ma anche di compromettere la propria reputazione a causa di contenuti non aggiornati o di una mancata risposta alle interazioni dei clienti.

Esplorare senza direzione. Nella fase attiva, le aziende iniziano a interagire con il mondo digitale, ma lo fanno spesso senza una strategia ben definita. Questo è il momento in cui le aziende investono in strumenti digitali, si affacciano sui social media, lanciano campagne pubblicitarie online, acquistano licenze per tool ma senza una coerenza o una visione a lungo termine.

L’entusiasmo per le nuove tecnologie porta spesso a una proliferazione di iniziative slegate tra loro, che non contribuiscono a costruire un’immagine digitale forte e coerente. Essere attivi, infatti, non è sinonimo di essere efficaci. Molte aziende si trovano intrappolate in un vortice di sperimentazioni che non porta a un vero progresso strategico. Questo ‘caos controllato’ rischia di tradursi in spreco di risorse e in una mancata crescita effettiva. La leadership digitale come necessità strategica. L’ultima fase è quella della proattività, in cui le aziende non solo abbracciano il digitale, ma lo padroneggia-

Florian Anderhub, fondatore e Chief Vision Officer di Ander Group.

no. A questo step, le aziende adottano una strategia digitale di medio-lungo termine ben definita.

Essere proattivi significa avere pieno controllo su ogni aspetto della propria presenza online: ogni azione, ogni piattaforma, ogni interazione è parte di un quadro complesso e coerente che l’azienda ha costruito. Nulla è lasciato al caso, tutto è stato scelto e posizionato con precisione per supportare gli obiettivi aziendali. In un contesto competitivo come quello attuale, solo le aziende che raggiungono questa fase possono restare competitive all’interno del mercato.

Oggi, data la complessità e il crescente tecnicismo del mondo digitale, il supporto di agenzie specializzate è cruciale per raggiungere e mantenere una presenza online efficace e coerente. Senza questo supporto, le aziende rischiano di rimanere bloccate in un limbo digitale. La vera sfida non è essere semplicemente presenti online, ma utilizzare questa presenza come una leva strategica per il successo a lungo termine. La proattività, quindi, non è più un’opzione, ma una necessità strategica imprescindibile.

Un appello all’azione. È tempo di riflettere criticamente sulla propria posizione online. Dove si trova la vostra azienda? Si trova ancora in una fase passiva, dove la presenza digitale è un semplice riflesso dell’esistenza offline? Oppure è attiva ma senza una direzione chiara, o ha già intrapreso il percorso verso la proattività? Qualunque sia la risposta, l’invito è chiaro: evolversi è non solo possibile, ma necessario.

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I veicoli del futuro

A prescindere da come saranno alimentati (benzina, elettrico, idrogeno...), i veicoli di domani saranno certamente a guida autonoma. Con quali software? Qualcuno ci sta lavorando.

C’è una società nella Silicon Valley che crede fortemente nella guida autonoma e che ha attirato tra i suoi investitori anche l’ex pilota di Formula 1 Niko Rosberg. Si tratta di Applied Intuition, che sviluppa software per ‘veicoli intelligenti’ del settore automobilistico, camionistico, edile, minerario e altri ancora.

Quest’estate, la società ha annunciato di aver chiuso un round secondario da oltre 300 milioni di dollari e di aver accolto Fidelity Management & Research Company come nuovo investitore. All’operazione hanno partecipato anche altri player di primario standing, come General Catalyst, Bond, Lux Capital ed Elad Gil.

“È fantastico avere il sostegno di investitori istituzionali di alto livello e di lungo termine”, ha dichiarato Qasar Younis, cofondatore e Ceo di Applied Intuition, “Questo round secondario è una testimonianza della nostra crescita e segna la nostra terza offerta pubblica di acquisto con alcuni dei nostri maggiori azionisti: i nostri dipendenti. Reclutare talenti di livello mondiale e ricompensarli per il loro duro lavoro è un segno distintivo del successo della Silicon Valley”.

Si pensi che il round secondario ha registrato un eccesso di adesioni ed è arrivato dopo che Applied Intuition aveva raccolto un serie E da 250 milioni di dollari, che era stato già annunciato a marzo. Tali fondi sono stati utilizzati per far crescere il team aziendale e per espandere il portafoglio dei prodotti basati sull’Intelligenza Artificiale, intercettando le nuove tendenze per soddisfare la clientela.

“Applied Intuition sta procedendo a pieno ritmo e sta traendo vantaggio dalla straordinaria confluenza di Intelligenza

Artificiale, guida autonoma ed elettrificazione”, ha dichiarato Peter Ludwig, cofondatore e Cto della società. Sottolineando che “ogni cliente che incontriamo vuole costruire prodotti a prova di futuro e guarda a noi come a un partner mission-critical”.

L’azienda sta puntando su diversi segmenti e recentemente ha lanciato una soluzione di autonomia off-road, la quale permette spostamenti sicuri su terreni complessi e non strutturati.

«Secondo recenti analisi di McKinsey, il 2023 è stato un vero e proprio punto di svolta per il settore dei veicoli autonomi. Un’analisi ha infatti spiegato che sebbene i principali operatori abbiano riscontrato qualche successo, molti altri hanno subito notevoli battute d’arresto»

Ma i nuovi prodotti non si fermano qui: Applied Intuiton ha sviluppato anche uno strumento di Ia generativa che crea scenari di simulazione per veicoli fino a 40 volte più velocemente, un nuovo software di test e un sistema per i parcheggi automatizzati. L’azienda ha inoltre annunciato importanti partnership con i colossi del settore, tra cui Porsche e Audi, segno che anche le compagnie automobilistiche stanno ormai puntando su questo comparto.

Le soluzioni software di Applied Intuition servono senza dubbio un mercato in continua crescita. Secondo un report di Fortune Business Insights, le dimensioni del settore globale dei veicoli autonomi

Alessandro Beggio, Ceo e fondatore di Vector Wealth Management.

si sono attestate a 1.500 miliardi di dollari nel 2022 e si prevede una crescita a 13.632 miliardi entro il 2030, con un tasso di crescita annua composta del 32,3% nel periodo di previsione.

Secondo recenti analisi di McKinsey, il 2023 è stato un vero e proprio punto di svolta per il settore dei veicoli autonomi. Un’analisi della società di consulenza, infatti, ha spiegato che “sebbene i principali operatori siano stati in grado di gestire e scalare con successo le prime operazioni commerciali e di aumentare i finanziamenti, altri hanno subito notevoli battute d’arresto, hanno interrotto o ridotto le loro operazioni o sono usciti completamente dal mercato”.

Lo scorso anno, McKinsey ha inoltre condotto un sondaggio a livello globale per meglio capire le dinamiche del mercato. La maggior parte degli intervistati ha previsto che tre o meno aziende acquisiranno una quota dominante del mercato. Il sondaggio ha messo in luce anche un’altra dinamica altrettanto interessante specie in chiave prospettica, ovvero i progressi della Cina nella corsa ai veicoli autonomi, grazie a fattori quali il generoso sostegno del Governo, i maggiori investimenti nella ricerca e l’atteggiamento positivo dei consumatori domestici nei confronti dell’adozione di queste nuove tecnologie.

Applied Intuition punta ora a offrire a tutti gli operatori del settore i software migliori per mandare sul mercato veicoli sicuri e performanti. La concorrenza è dura, ma la società della Silicon Valley sembra indirizzata sulla via del successo.

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La seconda ondata è già qui

La carenza di personale qualificato è sempre più diffusa e in alcuni settori è destinata ad aumentare. Soluzioni possibili non ne mancano, ma attuarle potrebbe essere impegnativo, soprattutto in Svizzera, dove il tasso di partecipazione alla vita lavorativa è già alto.

Il boom delle nascite dopo la Seconda Guerra mondiale si è verificato in due ondate nella maggior parte dei Paesi, con un primo picco nell’immediato dopoguerra e un secondo negli anni Sessanta. La coorte della prima ondata di nascite ha raggiunto l’età pensionabile ben dieci anni fa. In Svizzera, questo gruppo rappresenta circa la metà della generazione dei babyboomer. La seconda coorte raggiungerà presto l’età pensionabile, con un picco di uscite annuali dal mercato del lavoro previsto per il 2029. A titolo di confronto: vent’anni fa, in Svizzera andavano in pensione solo 50mila persone all’anno; attualmente la cifra è raddoppiata a 100mila e si prevede che salirà a oltre 130mila entro il 2029.

Allo stesso tempo, oggi i giovani che entrano nel mondo del lavoro sono molto meno numerosi rispetto a dieci anni fa. Di conseguenza, senza un’ulteriore immigrazione, ci sarà un notevole divario tra chi entra e chi esce. Risultato? Nei prossimi cinque anni, l’ammanco cumulativo dovrebbe salire a oltre 200mila persone.

Tuttavia, non tutti i settori ne sono ugualmente interessati dall’ondata di pensionamenti. In alcuni casi, il fabbisogno di sostituzione demografica varia notevolmente. La media nazionale vede la percentuale di over 55 è del 23%. Ma, ad esempio, nell’agricoltura la percentuale è del 40% (esclusi i lavoratori stagionali), mentre nel settore informatico è solo del 17%. Una percentuale superiore alla media di lavoratori anziani si trova anche nel settore trasporti e magazzinaggio, nella pubblica amministrazione e, in misura minore, nel commercio e nei servizi sanitari e sociali.

Un terzo degli autisti. I cinque settori con un’esposizione superiore alla media differiscono notevolmente nella loro domanda di forza lavoro, il che attenua o intensifica la pressione demografica.

Nel settore agricolo, ad esempio, l’occupazione è in calo da decenni a causa dei cambiamenti strutturali e della tendenza a un numero sempre minore di aziende, ma di dimensioni maggiori. Nel settore sani-

«L’attuale debolezza congiunturale sta dando un po’ di sollievo. Le difficoltà di reclutamento di personale qualificato sono diminuite negli ultimi trimestri. Il calo è dovuto principalmente all’industria manifatturiera, attualmente in crisi. Per gli standard storici, tuttavia, il personale qualificato è ancora difficile da trovare, sia nell’industria che nei servizi»

tario, invece, la dinamica occupazionale è molto elevata a causa dell’invecchiamento della popolazione.

Anche all’interno dei singoli settori esistono notevoli differenze. Nella sanità, il fabbisogno di sostituzione per le professioni di assistenza, come i tecnici di radiologia o gli assistenti dentali, è piuttosto basso. Al contrario, la percentuale di over 55 è elevata tra gli specialisti, come medici specialisti, dentisti e infermieri.

Nel settore dei trasporti, invece, la percentuale di babyboomer è particolarmente elevata tra i conducenti di autobus,

tram e taxi. Tra i conducenti di autobus e tram, la percentuale di dipendenti che andranno presto in pensione è di poco inferiore al 35%.

La ricerca di personale. Il fabbisogno di sostituzione potrebbe essere alleggerito utilizzando maggiormente il potenziale della forza lavoro esistente, ad esempio riducendo i pensionamenti anticipati o aumentando il lavoro oltre i 65 anni. Lo dimostra, ad esempio, il Giappone, pioniere demografico. Oltre il 50% delle persone nella fascia di età fra i 65 e i 70 anni è ancora occupato. In Svizzera, la percentuale è solo del 20%.

Nel complesso, tuttavia, la partecipazione alla vita lavorativa in Svizzera è già elevata nel confronto internazionale, è superiore all’80%. In Italia, ad esempio, c’è un potenziale molto più ampio, con una quota superiore al 65%.

Un ulteriore aumento è possibile, ad esempio attraverso l’espansione degli asili nido, ma è un’opzione costosa. Inoltre, la tendenza dei collaboratori, sia giovani che anziani, è quella di ridurre le ore di lavoro. Sempre più uomini e persone giovani senza figli riducono il loro carico di lavoro. A differenza degli Stati Uniti, dove le ore annue per persona occupata sono rimaste sostanzialmente stabili a un livello elevato dopo la crisi finanziaria, il numero di ore in Svizzera e nella maggior parte degli altri Paesi europei è in netta diminuzione. Negli ultimi 20 anni, la Svizzera ha registrato uno dei cali più marcati, pari a poco meno del 7,5%.

In molte delle professioni sopra citate con un elevato fabbisogno di sostituzione, le possibilità di automazione sono piuttosto inferiori alla media, almeno per

il prossimo futuro. Ciò significa che la prossima ondata di pensionamenti potrà essere gestita solo con un aumento dell’immigrazione. L’attuale gap demografico è già insufficientemente coperto nonostante l’immigrazione record e il numero dei frontalieri. C’è quindi da temere che la carenza di personale qualificato rimanga almeno al livello attuale, se non addirittura che si accentui. La piazza svizzera. L’attuale debolezza congiunturale sta dando un po’ di sollievo. Le difficoltà di reclutamento di personale qualificato sono diminuite negli ultimi trimestri. Il calo è dovuto principalmente all’industria manifatturiera, attualmente in crisi. Per gli standard storici, tuttavia, il personale qualificato è ancora difficile da trovare, sia nell’industria che nei servizi.

Nell’ultima World Talent Ranking pubblicata dall’International Institute for Management Development, la Svizzera è ancora una volta al primo posto a livello mondiale per quanto riguarda l’attrazione e il mantenimento di personale qualificato. Secondo l’istituto con sede a Losanna, la Greater Zurich Area in particolare è un luogo interessante per attrarre, trattenere e sviluppare personale. Ma anche le altre parti del Paese beneficiano dell’eccellente sistema educativo, delle condizioni attraenti per i lavoratori e i datori di lavoro, della mobilità sociale e dell’elevata qualità della vita. Nuovi modi per attrarre dall’estero. A medio termine, tuttavia, potrebbe diventare più difficile per le aziende svizzere assumere personale qualificato dall’estero, soprattutto dall’Unione Europea. Nella maggior parte dei Paesi europei, il divario demografico è ancora maggiore, rendendo la carenza di personale qualificato una questione politica ancora più importante e sentita.

La Commissione europea ha reagito e ha presentato un piano d’azione per affrontare il problema. Il piano stabili-

Se da un lato l’invecchiamento del capitale umano in Svizzera è galoppante, a entrare nel mondo del lavoro ci sono sempre meno giovani, e sempre più spesso frutto di immigrazione dall’estero. L’alta partecipazione al lavoro della popolazione attiva complica ulteriormente le possibili soluzioni al problema. Cosa fare quindi?

«Nel complesso la partecipazione alla vita lavorativa in Svizzera

è già elevata nel confronto internazionale, è infatti superiore all’80%, il che potrebbe porre qualche ulteriore problema. Al contrario, in Italia, ad esempio, c’è un potenziale molto più ampio, con una quota superiore al 65%»

Fredy Hasenmaile, Capo economista di Raiffeisen Group

Il gap si amplia

Stima delle entrate delle uscite di personale dal mercato del lavoro (in unità)

Fonte: Raiffeisen 2024

Nuovi 65enni Nuovi 20enni

L’invecchiamento del capitale

Quota di over 55 tra gli occupati per settore e per anno (in %)

Primario

Amministrazione pubblica

Sanità e servizi sociali

Istruzione

Manifatturiero

Hotellerie e ristorazione

IT & Comunicazione

sce le misure che devono essere attuate al più presto a livello europeo e di Stati membri. Ciò include, ad esempio, l’attivazione di gruppi sottorappresentati sul mercato del lavoro, maggiori investimenti nell’istruzione e l’assunzione di personale qualificato da Paesi terzi.

I singoli Paesi hanno già intensificato gli sforzi per attrarre nuovo personale o per far rientrare i lavoratori qualificati emigrati. Nella maggior parte dei casi si applicano sgravi fiscali, ad esempio in Portogallo, Spagna, Svezia, Danimarca e Paesi Bassi. La Grecia, che ha dovuto affrontare l’esodo di personale qualificato dopo la sua crisi, sta facendo un ulteriore passo avanti. Il Governo ha recentemente reso possibile la settimana di 6 giorni, con un supplemento salariale del 40% per il sesto giorno di lavoro.

Fonte: Raiffeisen 2024

Materici, ma per scelta

Il settore delle materie prime è spesso dato per scontato, ma è il crocevia da cui passa qualunque cosa. Una non troppo giovane boutique vuole spingere i giovani a riscoprirlo, memore di una lunga tradizione di famiglia, che avanza da oltre mezzo secolo.

Assocavi (Giovanni Kauffmann)

TFaro Club (Paolo Kauffmann)

Kauffmann & Sons (Giovanni Kauffmann+Paolo Kauffmann)

rasfigurata, smaterializzata, digitalizzata, o anche soltanto non più analogica o troppo tangibile. È quello che la finanza sono ormai decenni che cerca di fare, dopo il suo ingenierizzarsi, ed è anche la strada che dopo i primi Duemila anche le economie avanzate avrebbero avuto l’ambizione di percorrere. Eppure, il Covid prima, la geopolitica poi, con lo sprone dell’inflazione derivante, hanno contribuito in maniera determinante nel riportare all’attenzione del dibattito pubblico un piccolo non trascurabile dettaglio: il sottostante.

Per quanto tutto possa ormai sembrare etereo, trascendente la dimensione materiale e spaziale, la realtà non è mai così semplice, e certo non come sembra. Ecco quindi che con la chiusura dei porti cinesi l’intera logistica globale è entrata in affanno, ecco che con il venir meno delle materie prime asiatiche l’inflazione (o come definirla) è tornata a correre. L’economia è materie prime, che non possono essere stampate dalle Banche Centrali. «Per troppo tempo si è inseguita un’utopia, tutta occidentale e incoraggiata dalla Politica, per cui ogni Paese potesse specializzarsi in un unico ambito, delocalizzando o vendendo tutto il resto. Lo smantellamento del tessuto produttivo e manifatturiero europeo era iniziato così ormai diversi anni fa con le più svariate motivazioni, a partire dall’ambientale,

Matherika Group (Paolo Kauffmann)

Kommodities Partners (Paolo Kauffmann)

nella convinzione che non esistessero alternative. Dieci anni dopo, a opera quasi completata, ci si rende conto che forse un po’ d’industria pesante potrebbe fare comodo, anche in Europa. Peccato non vi siano più gli imprenditori, le condizioni per operare, il capitale umano... gli ingredienti necessari. C’è forse ancora il margine per difendere le posizioni nel mani-

Il pit del London Metal Exchange, nella sua tipica sessione ‘alle grida’.

fatturiero e nell’industria di precisione, pur fronteggiando una Cina divenuta temibile», esordisce così Paolo Kauffmann, Ceo e fondatore di Matherika Group. Corsi e ricorsi storici, rispetto a un’epoca globalizzata all’estremo e all’insegna dell’ottimismo, che solo vent’anni dopo ha un sapore quasi medioevale. Ma una volta deciso, si può tornare indietro? «Alla

Matherika Akademy

base di moltissimi problemi ci sono spiacevoli equivoci, ignoranza della materia trattata, ideologismi o scelte irrazionali di puro istinto. Per molti anni si è voluta far passare l’idea che l’industria fosse il male, in quanto inquinante, sporca, arretrata e povera, come se tutto si fosse fermato ai primi del Novecento. La Cina vi ha invece investito, gli italiani hanno fornito il know-how, e oggi dispone di acciaierie sicure, tecnologicamente avanzatissime, competitive; ma soprattutto dimostra che produrre in maniera ambientalmente sostanibile è possibile. Alla base di tutto c’è sempre l’industria, e dunque le materie prime, si tratta solo di accettarlo, concordando sul chi, non sul ‘se’, debba fare che cosa», prosegue il Ceo.

Come tutte le storie, inizia però da molto lontano, in questo caso non sorprendentemente a Londra, crogiolo di metalli e leghe dal 1877, anno di fondazione della London Metal Market and Exchange Company, che vede nel London Metal Exchange a tutt’oggi il suo Olimpo. «Al termine degli studi in economia, mi sono formato presso un broker londinese, con un lungo periodo trascorso nel desk metalli. Era il 1994, ma sin da bambino avevo già visitato il pit del London Metal Exchange, il cui fascino era profondamente intriso dell’indimenticabile odore del tabacco. Negli anni Settanta protagonista indiscusso di quella

vera e propria ‘arena’ era un enorme posacenere, intorno cui gravitavano persone, quasi soli uomini, spesso giovani di buone speranze, che non si consideravano appartenenti al mondo della finanza, ma dell’industria, da cui provenivano. Gli operatori autorizzati erano spesso giovani di umili origini, non laureati, ma molto svegli, energici, e soprattutto dalla voce grossa», rileva Kauffmann.

Al pari dei suoi operatori, il mercato delle materie prime resta sui generis, e per molti versi ai margini dell’arena finanziaria globale nelle sue componenti core. «Nonostante in passato ‘le grida’ fossero la modalità più diffusa, è questo l’unico pit al mondo ad averne conservata una sessione di mercato, e dove questa ha ancora senso. È un mercato a vocazione industriale, lo è sempre stato, dove c’era poca speculazione e che era nato per offrire servizi di hedging alle aziende. Mantiene molte di queste caratteristiche, ad esempio mentre Wall Street offre cinque contratti all’anno di copertura sul petrolio, a Londra è disponibile una delivery date ogni giorno, dunque 220 all’anno. Era però anche un mercato improntato alla fiducia reciproca, in cui ancora nei tardi anni Ottanta non esisteva un sistema di marginazione giornaliera, ma in cui le operazioni erano regolate annualmente, spesso con una stretta di mano. Sotto molti aspetti il nostro è un mondo in cui mi piace pensare la ‘parola data’ sia rimasta la principale valuta», riflette il Ceo. Quella di approcciare un tal mercato, per certi versi di nicchia nonostante la sua indiscutibile centralità, è destinata a rimanere una ‘scelta’ coraggiosa. «Erano gli anni Settanta quando la nostra famiglia è stata ‘contagiata’ dall’odore del metallo. Mio padre fu il primo in Italia a ricevere da Banca d’Italia l’autorizzazione a poter operare, e iniziò con l’importare catodi dal Cile per conto di un’associazione. Fu certamente un visionario, tornato da Londra a metà anni Ottanta, decise di entrare nel ramo della consulenza sull’andamento di prezzi e mercati per conto di aziende industriali; armato di uno dei primi computer, con due floppy da 5¼, e grazie a un allora avanguardista programma che calcolava l’indice Rsi e la media mobile a 20, 40 e 100 giorni dei prezzi delle materie prime, che qualcuno ogni sera si faceva dettare telefonicamente da Londra. Andavo al liceo, ed era così che mi mettevo a disposizione», nota Kauffmann.

«Il nostro è un settore bellissimo a cavallo tra finanza e industria, ma in cui sempre più spesso le aziende vengono cedute o svendute. L’Akademy vuole consentire ai giovani di conoscerlo cercando di trasmettergli la giusta passione perché possano scegliere consapevolmente. Ossia, quello che non ho potuto fare io»

Paolo Kauffmann, Ceo e fondatore di Matherika Group

Una boutique agguerrita

Evoluzione di clienti e volumi intermediati di materie prime (mld chf)

Volumi Intermediati in mld di chf

Materie prime

Evoluzione dei prezzi nel corso dell’ultimo decennio (in %)

Fonte: Bloomberg, Ubs

Evidentemente tutto è molto diverso laddove una scelta possa essere davvero fatta, e non subita. «Completata l’esperienza formativa a Londra, e richiamato in patria, nel 1996 ho iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia, e dopo due anni di complessa convivenza mio padre si è ritirato lasciandomi le redini di quella che al tempo era una realtà piccola. È lì che ho iniziato a occuparmi della parte più finan-

Il prezzo delle materie prime continua a correre, da oltre un decennio, e nel caso del manifatturiero è proprio la materia prima a rappresentare la gran parte dei costi a bilancio. È dunque indispensabile rivolgersi a operatori specializzati che sappiano gestirne prezzi e coperture, anche valutarie. Si tratta di un mondo complesso.

Fonte: Matherika 2024
■ N. di clienti
(VIII-2024)

da piattaforme proprietarie e da puntuale ricerca interna, che mettiamo a disposizione dei clienti. Il prossimo membro del team, che ci raggiungerà il prossimo anno, sarà infatti un analista quantitativo, specializzato in Ia. In larga misura siamo supportati dal passaparola, è un settore concentrato, in cui la reputazione è ancora molto. Mi piace pensare che grazie a noi, nonostante l’incidenza del metallo sul totale di fatturato, il cliente possa dormire sereno», chiarisce il Ceo.

Da sopra, i partecipanti della prima edizione della Matherika Akademy, l’ultimo progetto del Gruppo, di cui è anche l’unico finanziatore. Lo scopo è sensibilizzare e formare i più giovani a un settore magico, ma...

ziaria del business. Nel 2003 ho fondato l’osservatorio Faro a Brescia, mentre nel 2005 ho portato in Svizzera tutta la parte operativa del Gruppo, fondando l’attuale Kommodities Partners, dal 2023 a pieno titolo gestore patrimoniale con licenza Finma. Essendo la mia famiglia di origine svizzera, a distanza di due secoli, siamo finalmente tornati a casa», evidenzia il Ceo. Nonostante i passaggi di consegne, e gli spostamenti geografici, la filosofia alla base è rimasta la stessa, in linea con il mercato di riferimento. «Siamo una piccola boutique, il cui principale obiettivo è far dormire sonni tranquilli ai propri clienti. Il nostro cliente medio è un’azienda da 200 milioni di fatturato, managerializzata, ma in cui il proprietario ha ancora

una forte presenza. Siamo specializzati sui metalli industriali, che per molti nostri clienti rappresentano l’80% del fatturato, abbiamo dunque un margine di errore dell’1% nel fare il nostro lavoro, e il nostro compito è coprire dal rischio, di prezzo e valutario, garantendo la fornitura. Affidandosi a noi il cliente cerca competenza, precisione, flessibilità, noi gli mettiamo a disposizione aggiornamenti quotidiani, un desk attivo con cui poter parlare e che lo rassicuri. In vent’anni sono mediamente tutti cresciuti, come abbiamo fatto noi», rileva Kauffmann. Per quanto la tradizione continui a giocare un ruolo, e importante, anche i numeri testimoniano la bontà dell’operato nel suo insieme. «Supportando più di un centinaio di clienti, intermediamo circa 3,5 miliardi di euro annui, e nel caso dell’Italia oltre il 10% dell’import di alluminio, anche in qualità di agenti di Mercuria. Si tratta sempre di capire dove sta andando il mercato, e agire; oltre all’esperienza ci lasciamo aiutare dalle più recenti tecnologie, ad esempio dall’Ia,

Trattandosi di un settore di tradizione, in molti casi si è anche in presenza di aziende di famiglia, in cui le scelte potrebbero non essere condivise da tutti i membri. «Il progetto a cui sono più legato è il Matherika Akademy, giunto alla sua seconda edizione, e interamente finanziato dal Gruppo. Il nostro è un settore bellissimo a cavallo tra finanza e industria, ma in cui sempre più spesso le aziende vengono cedute o svendute. L’Akademy vuole consentire ai figli di queste famiglie, e più in generale ai giovani, di imparare a conoscerlo dall’interno, formandoli, cercando di trasmettergli la giusta passione e gli stimoli necessari a voler approfondire, ma soprattutto perché possano scegliere, e consapevolmente. Un po’ quello che non ho potuto fare io», evidenzia il Ceo. Scelte consapevoli, seppur scelte, chiamate però a confrontarsi con una fase storica delle più complesse, il che certo non aiuta a tenere la barra dritta, e la rotta. «Sono un grande appassionato e un collezionista di arte materica, da lì il nome. L’obiettivo che tutti dovremmo condividere è trasmettere un solido sistema valoriale ai più giovani, e insegnargli ad amare il proprio lavoro. Nel corso degli anni ho imparato ad amarlo, ritrovandovi un ambiente familiare ma al tempo stesso internazionale, dipendente dai mercati ma al tempo stesso terzo, e mi piacerebbe che accada lo stesso a molti altri. Al tempo stesso dobbiamo essere tutti in chiaro che per accendere la passione, sia indispensabile sbagliare, commettere qualche errore, ma tenere duro, al costo di qualche sacrificio», conclude Paolo Kauffmann. Al tempo stesso è legittimo domandarsi quanto la passione possa essere accesa, o quanto invece dovrebbe accendersi da sè, pur nella consapevolezza che ‘decidere’ nell’ignoranza, non sia mai una vera decisione. Come sciogliere il nodo gordiano?

Federico Introzzi

Fonte: Matherika 2024
Un Gruppo strutturato
Le società controllate tra Italia e Svizzera
Matherika Group
Kommodities Partners (100%) Faro Club (100%)
Konnected Recycling (65%)
Matherika Akademy

Battere l’Home bias

Anche i più razionali degli agenti economici sono soggetti a quelli che la finanza comportamentale definisce ‘bias’, distorsioni psicologiche che influenzano strisciando le decisioni degli investitori. Una giovane realtà svizzera-americana guarda a New York e al New Jersey quale inizio di una nuova promettente sfida.

Homo Oeconomicus, alternativamente un agente economico dotato di perfetta razionalità e sufficientemente egoista da massimizzare sempre e comunque il proprio interesse individuale, la mitica funzione di utilità, anche a costo di risultare socialmente scomodo a chiunque altro. Per molti versi è dunque anche amorale, ma è il protagonista della teoria economica, neoclassica, da quando dunque le teorie delle scienze morali di Adam Smith, furono accantonate.

Assodato che effettivamente di perfetta razionalità in giro se ne veda sempre meno, ecco in diversi mettere in mora l’assunto, anche nel caso degli agenti economicamente considerati i più razionali in assoluto: gli investitori.

Nel corso degli anni l’Homo ne è risultato fortemente ridimensionato, di pari passo invece alla crescita di una nuova disciplina, l’economia (o finanza)

comportamentale, che fa dell’irrazionalità dell’agente il suo ambito di studio. Risultati emersi? Diversi Bias cognitivi, che inficiano la teorizzata perfetta razionalità anche degli investitori più accorti, per semplici ragioni psicologiche, come evidenziato da Amos Tversky. Più semplicemente è stato infine dimostrato che nessun abitante del pianeta è così razionale.

Al cuore di questa nuova disciplina, alcune evidenze empiriche: la razionalità alla base delle scelte che sono comunemente prese è molto limitata, si basa su pregiudizi e approssimazione; come vengono presentate le possibili alternative influenza significativamente le scelte; il mercato può essere inefficiente, fenomeno portato agli estremi nel caso di comportamenti irrazionali di gruppo, il noto ‘effetto gregge’.

«È noto che si sia soliti investire spesso in immobiliare vicino a casa, per una semplice questione psicologica. Non c’è ren-

Tra le zone meno comprese del panorama immobiliare newyorkese, ma dal più alto potenziale, si trova la vicina New Jersey City, sull’altra sponda dell’Hudson, a 30 minuti da Manhattan, da cui si vede la città.

dimento, rischio, opportunità che tenga, in qualunque circostanza si preferirà irrazionalmente un immobile vicino, anche quale semplice strumento d’investimento, a uno lontano. È quello che tecnicamente si definisce Home bias. In termini assoluti potrebbe anche essere una scelta corretta per il singolo, potrebbe essere l’immobile davvero più adatto, è sufficiente sapere però che istintivamente sarò portato a crederlo per fare la giusta ‘tara’ in questa complessa decisione», sottolinea Federico Guglielmone, membro dell’investment Committee di Shape Equity Partners, e responsabile per la sede di Lugano.

Un’informazione apparentemente interessante, ma sino a che punto significativa? «Nel momento in cui si guarda a una dimensione un po’ più ampia, le implicazioni di questa evidenza si fanno molto importanti, come ha scoperto il nostro fondatore oltre dieci anni fa, Lorenzo Sargenti, quando era ancora all’università. Fondando Shape la prima preoccupazione è stata proprio come dominare i suoi pregiudizi per poter meglio consigliare gli investitori, e avendo un background nei modelli di calcolo dei rischi catastrofe nel mondo assicurativo, è nata l’idea di creare un algoritmo che ‘desse una mano’ nel farlo», prosegue Guglielmone.

Ma è possibile che a risultare influenzati da questo bias siano oltre 8,3 milioni di abitanti, quelli di New York, distribuiti su una superficie di circa 800 km quadrati? «Oltre agli stessi cittadini, anche broker e immobiliaristi esperti, che una certa conoscenza del mercato dovrebbero averla,

TRENO Tempo stimato 29 minuti MACCHINA Tempo stimato 26 minuti
BICICLETTA + FERRY BOAT Tempo stimato 22 minuti

e che valutano ogni giorno centinaia di immobili tra Brooklyn e Manhattan, non ampliano il raggio di ricerca oltre quelle che tradizionalmente si reputano essere le ‘zone giuste’. È così che Jersey City, aldilà del fiume, non viene considerata parte delle possibili alternative immobiliari pur distando 30 minuti di metro dal centro, a un costo ben inferiore», rileva l’esperto.

Gli Stati Uniti sono un Paese decisamente diverso dal Vecchio Continente, sotto molti aspetti. Ma cosa determina la valutazione di un immobile? «Rispetto all’Europa il costo dell’istruzione può essere molto importante, e infatti le scuole private sono spesso l’unica alternativa, per gravi problemi di sicurezza anche nel cuore delle città più note. Nel caso delle più grandi bisogna poi valutare anche il tempo di commuting, il traffico, la vicinanza a spazi verdi. Sulla base di questi, esempi, le zone residenziali valutabili dal ceto medio si riducono, anche per un sentito stigma sociale nel vivere fuori dalle ‘zone bene’, che costringono milioni di persone ad ammassarsi in poche decine di metri quadri, ignorando vicine e comode alternative», commenta Guglielmone.

Scardinare le abitudini di sempre è un compito ingrato, e molto impegnativo, spesso senza grandi possibilità di successo. A meno di... «La pandemia è certamente stata un importante spartiacque, era un fenomeno già in atto, ma ha sicuramente dato un forte slancio. Molti americani hanno deciso di lasciare le città, anche Manhattan, e in diversi casi questi flussi sono stati intercettati da piccole cittadine non troppo distanti che negli anni hanno investito, si sono rimesse in ordine, e possono fare oggi concorrenza ai grandi centri. È ad esempio il caso di Jersey City, e dei suoi 300mila abitanti, tutti mediamente giovani, un luogo sicuro, con scuole di qualità anche per gli standard americani, verde e accogliente, sotto molti aspetti più adatto a un europeo di New York», illustra l’esperto. Qualcosa è successo, qualcosa deve ancora succedere, ma il treno è ormai in movimento. «Questi piccoli centri l’affare l’hanno fiutato, le persone le stanno attraendo, ma il potenziale è ancora infinito. Stanno però anche investendo, si stanno strutturando, e la sicurezza è in cima alle priorità, anche quella percepita. La nostra società, Shape, investe in immobili in New Jersey: acquistiamo, demoliamo, progettiamo, rinnoviamo, e ricostruiamo.

«Oltre ai cittadini, anche broker e immobiliaristi esperti, che il mercato dovrebbero conoscerlo, non ampliano il raggio di ricerca oltre quelle che tradizionalmente si reputano essere le ‘zone giuste’. È così che Jersey City, aldilà del fiume, non viene considerata parte delle possibili alternative»

Federico Guglielmone, Responsabile per la sede di Lugano di Shape Equity Partners

Chi è meglio?

Confronto tra Jersey City e New York City

Crescita della popolazione (2010-2020) 18% 7%

Crescita dei redditi (2021-2022) 12% 8%

Tasse cittadine e statali sui redditi 1.4%10.75% 4%10.9%

Crescita dell’occupazione (2021-2022) 1.84% 1.34%

Tasso di omicidi (su 100k abitanti) nel 2023 3.49% 4.41%

Fonte: Shape Equity Partners

Siamo attrezzati per un servizio chiavi in mano, con piccole unità unifamiliari su misura, sia quale investimento finanziario, sia quale immobile a reddito (la tassazione è estremamente favorevole), sia in qualità di residenza», nota Guglielmone. Ed è qui che entra in gioco l’esperienza nel settore, potenziata da un ‘aiutino’ tecnologico. «Nella consapevolezza di tutte le difficoltà che la psicologia potrebbe creare, sin dalla sua fondazione la nostra società sta lavorando a un algoritmo che determina i quartieri in cui i prezzi sono sottovalutati, e vi è dunque margine di crescita. Come? Sono molti i dati che gli forniamo, e dei più disparati. Si spazia dalla demografia, a edilizia ed economia, dall’istruzione alla tipologia di locali pubblici presenti, sino al numero dei praticanti jogging di sera o all’alba; tasselli di un mosaico che in alcuni casi potrebbero anche smentire semplici evidenze che di oggettivo evidentemente non avevano molto», rileva l’esperto.

Eppure, resta il nodo: come scardinare quelle che sino a prova contraria potreb-

Un confronto tra New York City e il vicino New Jersey, esattamente sull’altra sponda dell’Hudson.

bero essere razionali valutazioni di un investitore accorto? «Un investimento può sicuramente avere molti obiettivi, ma tra questi uno dei più importanti è creare serenità. Noi cerchiamo di ‘avvicinare’ l’idea che un immobile all’estero possa essere una seria alternativa, quanto meno da valutare. Shape è una società svizzera, con sede a Lugano, una società di Chiasso supervisiona i veicoli con cui è possibile investire in questi immobili, mentre una terza società, di Barbengo, supervisiona i cantieri negli Stati Uniti. Il nostro obiettivo è rendere quanto più oggettiva la bontà dell’investimento, con solidi dati di supporto, concentrandoci sulla redditività e non tanto sul luogo dell’immobile», conclude Guglielmone.

Giulio De Biase Federico Introzzi

Mattone a confronto Evoluzione dei prezzi annui (in usd)
Fonte: Shape Equity Partners
Mediana del prezzo di vendita per immobile

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Osservatorio

Colpi di sole

Il favorevole andamento registrato dai fondi svizzeri nel mese di luglio, non sconta ancora la volatilità e la buccia di banana pestata dai mercati nel corso del ben più caldo agosto.

Il mercato svizzero dei fondi nel corso del mese di luglio ha visto una discreta crescita delle masse, trainata in una certa misura dal buon andamento dei mercati finanziari, intercettata dai fondi azionari e obbligazionari, e sostenuta da una buona raccolta.

Il net new money del mese di luglio si attesta infatti a 5.48 miliardi di franchi, in leggera calo rispetto alla precedenza, ma comunque indicativo della stabilità dell’industria dei fondi, e della fiducia degli investitori nella corazzata elvetica.

Se si guarda infatti in chiave più retrospettiva all’andamento del mercato dei fondi svizzero, quello che emerge è una crescita stabile e lineare delle masse gestite, nonostante le forti oscillazioni degli indici, e l’alta volatilità dell’ultimo biennio, in uscita dagli anni del ‘pilota automatico’ segnati dall’emergenza pandemica. Ecco quindi che cinque anni fa le masse si attestavano di poco sopra gli 1,204 trilioni di franchi, che tre anni, in piena pandemia avevano già raggiunto gli 1,519 trilioni, correggendo l’anno successivo a 1,408 ma tornando nel mese di luglio a 1,531 trilioni in linea dunque con i massimi toccati in precedenza.

Evidentemente questi dati non scontano la volatilità e gli attacchi di panico vissuti invece ad agosto, nello specifico l’azionario americano, e giapponese, nel timore sussurrato che il favorevole ciclo congiunturale statunitense potesse stare giungendo al termine, nonostante l’aiuto ciclopico messo in campo dal bilancio federale, ormai nell’ordine del 7% del Pil. Quella che va aprendosi è dunque una ripartenza potenzialmente scivolosa, all’avvicinarsi del grande appuntamento di novembre, che certamente rimarcherà almeno in apparenza molto equilibri, per quanto poi nella sostanza il bilancio politico dell’amministrazione Biden è incredibilmente allineato con le decisioni prese in precedenza dal vituperato Trump.

Il mercato svizzero dei fondi (Dati Morningstar in mln di franchi)

Raccolta

per Asset class (in milioni di franchi)

Osservatorio 4.0

Caro lettore, L’Osservatorio sta infine sfondando la famosa terza dimensione, l’online, per essere sempre più completo e aderente all’evoluzione vorticosa dei mercati finanziari, tenendo il passo. Una parte dei contributi dei numerosi Partner che da anni contribuiscono alla sua ricchezza, e che molti apprezzano, inizieranno a essere web-only, specie per quelle tematiche molto più ‘liquide’. Buona meta-lettura FI

L’Angolo dell’investitore: (Mining, Industrials, Tech; Isin):

▲ Glencore (JE00B4T3BW64)

▲ Lunding Mining (CA5503721063)

▲ Zijin Mining (CNE100000502) ▲ Bae Systems (GB0002634946) ▲ Siemens (DE0007236101) ▲ Wolters Kluver (NL0000395903)

(US4581401001)

Nvidia (US67066G1040)

Microsoft (US59491881045)

Rischio ipermetropia

Concentrarsi troppo sulle tematiche di breve periodo può portare a più d’un problema anche in termini di rendimento. Il più grande nemico? L’irrazionalità dei comportamenti.

Nell’ipermetropia, gli occhi vedono meglio gli oggetti distanti piuttosto che quelli vicini, che appaiono invece sfocati. Lo stesso può capitare quando si investe: la tendenza è di concentrarsi sul breve termine, trascurando il lungo. Questo comportamento può portare a decisioni impulsive e rendimenti inferiori. Ogni anno sembra speciale e diverso dagli altri, caratterizzato da eventi che si sovrappongono e spesso hanno effetti controversi sui mercati. Questo flusso incessante di notizie e informazioni mette alla prova gli investitori, talvolta inducendoli in errore. È così che è nata la disciplina della finanza comportamentale.

Sebbene la tattica sia importante, è irrealistico pensare di poter sistematicamente entrare sui minimi e vendere prima delle correzioni. L’esperienza e le statistiche dimostrano che rimanere investiti è spesso la strategia più premiante. Il ‘market timing’ può portare infatti a cristallizzare perdite o a ottenere ritorni non ottimali.

Dal 1988 a oggi, rimanere fuori dal mercato (l’indice S&P 500) durante la giornata migliore (nel mezzo della crisi del 2008) ha significato perdere l’11% della performance, mentre disinvestire durante la migliore settimana (nella primavera 2020) ha avuto un costo del 12%. Insomma, la tattica è quindi importante, ma la strategia lo è ancora di più.

A lungo termine il mercato azionario produce i ritorni più elevati (secondo le attese circa l’8% per quello globale) nonostante una maggiore volatilità. Se questi ritorni vengono costantemente reinvestiti, producono a loro volta nuovo capitale – il cosiddetto effetto composto.

Come discusso da Morgan Housel nel libro La psicologia dei soldi, la crescita che

si genera negli anni è esponenziale, ma spesso non se ne ha percezione perché la logica umana è lineare, il che aiuta a gestire la quotidianità, ma induce in errore in presenza di fenomeni esponenziali, come tecnologia ed effetto composto.

Tuttavia, un portafoglio deve includere anche posizioni meno cicliche e mantenere sempre una liquidità sufficiente a far fronte agli impegni senza dover smobilizzare gli investimenti in essere, il che richiede un’attenta pianificazione.

«È importante seguire una strategia basata su propri obiettivi e specificità. Avere un progetto chiaro per organizzare il proprio patrimonio e definire una strategia che consenta di orientarsi anche in presenza di forte incertezza è essenziale per mantenere la rotta»

L’inflazione erode il valore reale della liquidità: al momento i tassi d’interesse sono elevati, ma destinati a scendere rapidamente. Se bloccare rendimenti interessanti su obbligazioni a medio-lungo termine ha sicuramente senso in questa fase, detenere troppa liquidità espone invece al rischio di rendimenti decrescenti e, molto probabilmente, inferiori all’inflazione.

È dunque importante seguire una strategia basata su propri obiettivi e specificità. Avere un progetto chiaro per organizzare il proprio patrimonio e definire una strategia che consenta di orientarsi anche in presenza di forte incertezza è essenziale per mantenere la rotta.

Incrociando diverse tecniche, alcune sviluppate negli Stati Uniti per investitori

Matteo Ramenghi, Cio di UBS Wealth Management Italia.

privati e altre mutuate dall’asset liability management di banche e assicurazioni, nasce il concetto di Wealth Way, che organizza il patrimonio in tre diverse dimensioni: Liquidità, Longevità e Lascito. A ciascuna è associata una missione diversa, in modo da strutturare il patrimonio sulla base degli obiettivi degli investitori.

Liquidità: coprire le spese previste in un orizzonte di tre-cinque anni o di altri impegni finanziari legati alla propria attività. La liquidità e gli investimenti di questa strategia devono essere stabili per evitare oscillazioni, dato un orizzonte breve.

Longevità: pensare a quanto sarà necessario per il resto della propria vita, includendo portafogli orientati alla crescita, patrimoni previdenziali e immobili utilizzati direttamente.

Lascito: il patrimonio eccedente il capitale necessario. Guardando al lungo periodo, questi portafogli possono avere un profilo più aggressivo e includere una quota maggiore di azioni e investimenti illiquidi, arte e immobili.

Avere la possibilità di lasciare investita in modo diversificato una parte del portafoglio, mantenendo una liquidità sufficiente a far fronte ai propri bisogni senza smobilizzare il capitale, dovrebbe consentire nel tempo di registrare performance migliori. Un approccio di questo tipo può inoltre aiutare a evitare i classici errori comportamentali, come il troppo ottimismo nelle fasi positive e l’eccessiva avversione al rischio in quelle burrascose. Ma consente anche di valutare in modo olistico il patrimonio di un investitore, evitando la duplicazione di rischi.

La corsa del credito

Ottime le prospettive per il mercato obbligazionario, e non solo sovrano. Un positivo contesto macro e il calo dei tassi lasciano presagire buone nuove nei prossimi mesi.

Prudenza aziendale

Leva netta Hy americano nei 4 trimestre precedenti, e rapporto copertura interessi

Wencheng Wang, Senior Multi Asset Strategist di Pictet Am. A lato, a emergere a fine 2023 era una certa prudenza delle imprese americane.

L’era degli interessi elevati sta giungendo al termine. Proprio quando la domanda di flussi di reddito forti e stabili sta iniziando a riprendersi grazie al pensionamento dei baby boomer, è probabile che le loro tradizionali fonti non saranno sufficienti. Ed ecco il mercato del credito.

Le valutazioni di partenza del debito societario appaiono molto interessanti: al 5,9% il rendimento iniziale di quello statunitense con rating medio è vicino ai massimi raggiunti dopo la crisi del 2008, sia in termini assoluti che rispetto alle azioni. Gli investitori potrebbero fare molto più che assicurarsi questo livello di rendimento per i prossimi cinque anni, soprattutto se si considerano i livelli di rischio molto gestibili.

All’opposto dei Governi, le imprese hanno seguito una disciplina finanziaria più rigorosa, con una leva finanziaria aziendale vicina ai minimi storici, liquidità abbondante nei bilanci e rapporti di copertura dei tassi d’interesse sani.

Si prevede che la copertura sia della leva finanziaria che dei tassi d’interesse rimar-

rà in gran parte stabile nei prossimi cinque anni, in quanto la solida crescita degli utili compensa i costi di finanziamento leggermente più elevati e il management delle aziende rimane relativamente prudente in termini di M&A e di buyback.

Le prospettive d’insolvenza sono relativamente favorevoli, con un tasso medio del 2,7% nel lustro. Avendo i tassi ormai raggiunto il picco, l’accesso al mercato per gli emittenti societari dovrebbe continuare a migliorare, creando possibilità di rifinanziamento anticipato. Ciò, a sua volta, potrebbe generare un aumento dei prezzi dell’high yield verso i valori nominali, cosa che di solito accade sotto scadenza, ma che ora potrebbe accadere prima, soprattutto nel segmento a più breve termine (il pull to par return).

Il contesto macroeconomico dovrebbe rimanere relativamente stabile, con una crescita debole ma costante, che seppur limitando le aspettative sugli utili, pone le giuste condizioni per il credito.

Non meno importante, vi sono diversi vantaggi che il credito offre per l’asset allocation. Storicamente presenta infatti

migliori rendimenti aggiustati per il rischio rispetto ai titoli di Stato e minori flessioni rispetto alle azioni. Esaminando i profili di rischio tipici dei portafogli globali bilanciati in dollari, l’analisi mostra che l’aggiunta di Hy globale all’allocazione con rischio (azioni) e di Ig globale all’allocazione a rischio ridotto (obbligazioni) migliora notevolmente il rendimento del portafoglio, a parità di rischio nozionale e volatilità.

Queste caratteristiche diventeranno probabilmente ancora più apprezzabili man mano che la correlazione negativa tra titoli di Stato e azioni diventerà più imprevedibile a fronte di una maggiore volatilità dell’inflazione e di premi a termine più elevati. Ciò, a sua volta, può minare la capacità del debito sovrano di agire come ‘ammortizzatore’ in un portafoglio.

In un tale contesto, invece di cercare la diversificazione tramite asset a correlazione negativa, gli investitori dovrebbero ricercare un reddito elevato e stabile per attenuare meglio il rischio azionario nel medio termine. E il credito offre esattamente questo, meglio dell’azionario. È per questo che si guarda al credito per i prossimi cinque anni. Ci si aspetta che i rendimenti del credito emergente, nonché dell’Hy statunitense ed europeo, saranno pari a quelli delle azioni globali (circa il 7% annuo), ma con un rischio e una volatilità potenzialmente inferiori. Il credito Ig non dovrebbe restare indietro, con una certezza maggiore di generare il rendimento richiesto.

Fonte: Pictet Am

Un mondo multipolare

Il moltiplicarsi di nuove forme di multipolarismo non sempre è una buona notizia per l’economia globale. Sono diverse le forme di sfida all’egemonia americana, cosa attendersi?

Questione commerciale

Flussi commerciali tra ipotetici blocchi contrapposti

Nel recente The New World Economy in 5 Trends, Koen De Leus e Philippe Gijsels sottolineano diversi fenomeni che a loro modo di vedere caratterizzeranno i prossimi due-tre decenni. Alcuni di questi sono temi noti, tuttavia, un fenomeno in particolare merita particolare attenzione: la nascita di un multipolarismo dai tratti non sempre benigni.

La pandemia e la guerra in Ucraina hanno contribuito ad accelerare due trend già parzialmente in atto. Il primo è la presa di coscienza da parte dei Paesi occidentali che i benefici della globalizzazione portavano in sé il germe di una crescente dipendenza da filiere produttive e fonti di energia che potevano tramutarsi in armi di ritorsione. Il secondo è il progressivo allontanamento tra Stati Uniti e Cina, un nuovo ordine mondiale con significative conseguenze anche finanziarie. Reshoring e friendshoring. Ossia la spinta a rendere più solide le filiere produttive, invertendo il trend che aveva caratterizzato il commercio mondiale dall’entrata della Cina nel Wto. La de-

localizzazione delle attività produttive in Paesi in via di sviluppo ha consentito: a tali economie di crescere, alle imprese di risparmiare sui costi, e ai consumatori di avere prodotti a buon mercato.

Oggi il fenomeno viene visto più come causa del depauperamento del tessuto produttivo e della crescita della diseguaglianza sociale in occidente. Ironicamente, quei Paesi che per decenni hanno sostenuto la concorrenza mondiale sono oggi i primi a imporre tariffe e lanciare massicci programmi statali a sostegno delle loro economie: basti pensare all’Inflation Reduction Act (Ira) e al Chips and Science Act americani. Il risultato è che anche l’Unione Europea, con il NextGenerationEu si è essa stessa lanciata in programmi di sostegno alle industrie strategiche mentre prepara dazi sull’import di auto cinesi nel tentativo di scongiurare le sorti toccate al settore dei pannelli solari.

De-dollarizzazione. La recente fiammata nel prezzo dell’oro è solo una delle manifestazioni del tentativo di scalzare il dollaro dal podio di valuta mondiale di riferimento. Il congelamento ameri-

Giovanni Castellino, Responsabile Asset Management di Pkb Private Bank. A lato, in termini di scambi commerciali cosa succederebbe nel caso di scontri ideologici geopolitici?

cano delle transazioni internazionali di Iran, Russia e Venezuela dallo Swift ha stimolato la creazione di sistemi antagonisti, come l’Spsf russo, il Cips cinese e l’Upi indiano. Pur non essendo in grado di rivaleggiare l’attuale standard, essi rappresentano un’ulteriore evidenza delle linee di faglia nell’ordine globale. Ironicamente, questi tentativi potrebbero avere come conseguenza lo scatenarsi di una competizione per il secondo posto, rafforzando il dollaro.

Organismi internazionali. Molti di quelli che hanno costituito la spina dorsale della Pax Americana sono in varia misura paralizzati. Il Wto è impossibilitato a operare stante l’impossibilità di rinnovare alcune cariche cruciali. Il ruolo centrale della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale sono insidiati dalla creazione di organismi concorrenti, come l’Aiib. Altrettanto evidente è la paralisi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Nessuno dei fenomeni qui descritti ha il potenziale, da solo, di sovvertire l’ordine globale che ha caratterizzato gli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale. Il rischio maggiore si annida nella loro azione congiunta, che può condurre a un’escalation potenzialmente incontrollabile e inarrestabile.

Il multipolarismo è inevitabile, l’antidoto alla sua manifestazione estrema esiste: si chiama multilateralismo, basato su principi comuni e reciprocità. I segnali, tuttavia, non sono molto confortanti.

Fonte: Wto IV-2024

Crescita sostenibile

Passata la sbornia dei tassi negativi, e della crescita indotta per aziende di ogni forma e dimensione, è tempo di concentrarsi su quelle che sono le vere vie per crescere.

La crescita accelerata è sempre molto apprezzata dagli investitori. Le aziende eccezionali, con il giusto vento in poppa, possono crescere così rapidamente da non essere frenate nemmeno da condizioni economiche avverse. Tuttavia, oltre un decennio di tassi d’interesse distorti ha spinto molti a creare l’illusione della crescita. Alcuni investitori hanno fatto sempre più affidamento sul costo ridotto dei finanziamenti per ottenere rendimenti.

Questa era è ormai finita. È giunto il momento della leva operativa, creare valore ampliando il divario tra la crescita delle vendite e i costi fissi. Motori di crescita. Si tratta di una notizia fantastica per gli investitori privati che investono in aziende che si trovano in un punto di inflessione della crescita, dove non si tratta più di adattare il nuovo prodotto al mercato; il territorio rischioso del venture capital tradizionale.

Al contrario, queste aziende si sono trasformate in motori di crescita e sono ben posizionate per un’espansione robusta nei

prossimi anni. Hanno bisogno di investitori allineati, pronti a sostenere le loro visioni a lungo termine. E questo scenario offre opportunità molto entusiasmanti. Crescita strutturale. Molte aziende in straordinaria crescita hanno in comune il beneficiare di un aumento strutturale della domanda, guidato da grandi cambiamenti sociali.

Finora, il software ha toccato solo marginalmente molti settori dell’economia, e la maggior parte delle aziende non ha ancora sfruttato appieno il potenziale della digitalizzazione per generare informazioni preziose. Nella scienza della salute, la crescente comprensione delle proteine e del Dna promette di sbloccare innumerevoli innovazioni mediche.

Un esempio è Tempus Ai, che ha costruito una delle più grandi librerie mondiali di dati clinici e molecolari. Utilizzando l’intelligenza artificiale, l’azienda scopre intuizioni che aiutano le grandi aziende farmaceutiche a sviluppare nuovi farmaci e i medici a individuare terapie esistenti adatte a specifici pazienti. Nonostante

la scarsità attuale di Ipo, Tempus Ai si è quotata in borsa nel giugno di quest’anno. Fuori dai sentieri battuti. Esistono inoltre opportunità altrettanto interessanti al di fuori del tradizionale ecosistema del venture capital.

Un esempio è Oddity, un’azienda di bellezza che utilizza l’Intelligenza Artificiale per lanciare prodotti esclusivamente online, vendendoli direttamente ai consumatori. Ha costruito un seguito fedele, soprattutto tra i clienti della generazione Z, ed è cresciuta fino a diventare redditizia con finanziamenti istituzionali limitati. Quando l’azienda ha deciso di quotarsi in borsa, ha scelto un partner finanziario noto e affidabile per il prossimo passo del suo percorso di crescita.

Oltre a offrire supporto nella crescita e nella professionalizzazione delle imprese, le aziende sono spesso attratte anche dalla reputazione quali investitori di lungo termine sia nei mercati pubblici che privati. Un altro esempio è Bending Spoons, un’azienda in rapida crescita con sede a Milano. Ha sviluppato una strategia per acquisire applicazioni software basate su cloud con una clientela fedele ma con costi eccessivi. Acquisendo prodotti come l’App per prendere appunti Evernote e il social network Meetup, e integrandoli nella propria tecnologia di back-end più efficiente e migliorata, Bending Spoons riesce a stimolare una crescita più rapida riducendo i costi. I tempi sono cambiati, e gli investitori farebbero bene a mettere da parte strategie di leva finanziaria e momentum, concentrandosi invece sulla crescita sostenibile.

Robert Natzler, Gestore di Baillie Gifford.

Ottimismo latino

In Sud America si respira un clima particolarmente frizzante, in larga misura riconducibile all’andamento positivo del mercato delle materie prime, di cui è grande esportatrice.

La dipendenza dalle multinazionali

Andamento dei ricavi di Credicorp (usd mld) e crescita del Pil del Perù (%)

Matt Williams, Senior Investment Director di abrdn. Le entrate dei Paesi emergenti in Sud America sono ancora particolarmente dipendenti dall’andamento delle grandi aziende, o delle materie prime.

In alcune regioni dell’America Latina c’è un forte senso di fiducia.

L’inflazione è in calo, gli effetti devastanti della pandemia sono passati e le prospettive economiche sono ottimistiche. Per gli investitori, questo rappresenta uno scenario positivo in cui

possono prosperare società ben gestite con un flusso di cassa interessante. L’effetto a catena. Le principali materie prime tornano a essere richieste. L’America Latina produce circa il 40% del rame mondiale e due terzi del litio il che significa che la regione è strettamente legata

ai movimenti dei mercati delle materie prime. Quando la domanda è elevata, gli effetti si fanno sentire ovunque. Questo è particolarmente vero per il Perù, uno dei maggiori produttori di rame al mondo. Dopo anni difficili a causa della pandemia e dell’inflazione crescente, l’aumento dei prezzi del rame rappresenta una boccata d’aria fresca per l’economia del Paese. I prezzi più alti riempiono le casse dello Stato, permettendo maggiori investimenti in progetti infrastrutturali e fanno sperare in un riavvio del ciclo di investimenti privati, da tempo in stallo. La transizione verde è il principale motore di questa ripresa. Rame e litio sono fondamentali per la produzione di batterie per veicoli elettrici, per la generazione e l’immagazzinamento di energia, e per il funzionamento dei data center necessari per il boom dell’intelligenza artificiale I Governi stanno investendo miliardi nello sviluppo. Gli Stati Uniti, ad esempio, sono all’inizio di un progetto infrastrutturale unico nel suo genere: la Federal-State Modern Grid Deployment Initiative, firmata dall’amministrazione Biden all’inizio del 2024, comprende dieci nuovi progetti di trasmissione che collegheranno alla rete quasi 20 gigawatt di potenza. Le aziende continuano a prosperare. Anche durante la recente crisi, le aziende ben gestite in America Latina non sono rimaste ferme. Credicorp, un’importan-

Fonte: abrdn 2024
Pil del Perù
■ Ricavi di Credicorp

te istituzione finanziaria peruviana, ne è un buon esempio. Nell’ambito di un incontro con i suoi dirigenti, questi ultimi hanno ribadito l’importanza dell’aver implementato una gestione del rischio e un controllo dei costi superiori alla media, generando una redditività solida. Attraverso la sua controllata Banco de Crédito de Perú, Credicorp ha investito nella piattaforma di pagamento mobile Yape, che ha registrato una rapida crescita con 16,5 milioni di utenti in Perù e Bolivia. Questo ha permesso all’azienda di ampliare significativamente la sua quota di mercato. Altre aziende della regione, come Grupo Mexico e Sqm, traggono benefici diretti dalla transizione verde grazie alle loro posizioni di leadership nella produzione di rame e litio. La società mineraria cilena Sqm, più grande produttrice di litio al mondo (la domanda di litio nei soli Stati Uniti aumenterà di quasi il 500%) raggiungerà le 412mila tonnellate di carbonato di litio equivalente entro il 2030. L’azienda brasiliana Weg, produttrice di generatori per turbine eoliche e altri componenti per la generazione, la trasmissione e la distribuzione di energia, gode di una struttura dei costi efficiente e prospettive positive, sostenute da iniziative statali volte a sviluppare reti moderne. Cosa significa la nuova presidenza messicana per gli investitori? Con un bilancio sano e un’economia relativamente stabile, il Messico è anche ben posizionato per intercettare una buona crescita economica. Il Paese beneficerà inoltre della fornitura di manodopera a basso costo, elemento chiave per sostenere il programma di industrializzazione degli Stati Uniti. Diverse società messicane, come Asur e Oma, operatori aeroportuali con un forte potere di determinazione dei prezzi, offrono rendimenti interessanti per gli investitori, soprattutto considerando il potenziale di crescita nel settore del trasporto aereo.

Tuttavia, le conseguenze delle elezioni presidenziali di quest’anno rappresentano un’incognita. Claudia Sheinbaum succederà al suo mentore Andrés Manuel López Obrador (noto come ‘Amlo’) in ottobre. I suoi piani per i prossimi sei anni, che includono il miglioramento del sistema di sicurezza e la risoluzione della crisi idrica, sono stati ben accolti. Tuttavia, vi è incertezza su possibili cambiamenti di politiche durante l’ultimo mese di mandato di Amlo, il che potrebbe creare

volatilità nei mercati. Nonostante ciò, le prospettive generali rimangono positive. Ondata di ottimismo. Visitando la regione quello che emerge, e in maniera molto esplicita, è un chiaro clima di vivacità economica. In Colombia, per esempio, si percepisce un Paese in fermento, che lavora duramente per trattenere i profitti del petrolio e far crescere l’economia. Se l’attenzione deve però restare sui fondamentali delle aziende, allora in America Latina ci sono molti motivi per essere ottimisti.

Un esempio è Odontoprev, una società brasiliana leader nel settore delle assicurazioni dentali, che vanta il più alto numero di dentisti al mondo (360mila dentisti e altri 36mila odontotecnici) nonché una solida base di 6,3 milioni di iscritti. Grazie alle sue dimensioni e alla generazione di liquidità, Odontoprev gode di un vantaggio competitivo chiaro rispetto ai suoi concorrenti.

Oltre l’ottimismo: Opportunità concrete. Come sempre, un approccio sano e prudente si basa sul flusso di cassa. Si punta dunque a società con flussi di cassa

Il grande protagonista degli ultimi mesi è certamente stato il rame, con il prezzo in grande spolvero. Guardando ai prossimi anni la situazione dovrebbe confermarsi.

sani e sostenuti da una posizione competitiva forte. È molto probabile che queste società siano meglio allineate agli interessi degli azionisti e offrano dunque migliori prospettive a lungo termine.

In termini di performance di mercato, sebbene il Messico e il Brasile abbiano avuto un inizio anno sensibilmente difficile dovuto all’incertezza macroeconomica piuttosto che ai fondamentali delle aziende, potrebbero ciononostante presentare opportunità interessanti per gli investitori alla ricerca di società con un potenziale di crescita del reddito.

L’aumento della domanda di materie prime e il sostegno ai programmi industriali rendono ottimisti sul futuro delle aziende di gran parte della regione e offrono quindi significative opportunità agli investitori.

Fonte: Abrdn 2024
■ Deficit o surplus di produzione (sx) Prezzo del rame (dx)
Deficit
Surplus

Frenata o ripresa?

A fronte di fondamentali discreti l’economia americana sta tenendo, e lo S&P500 si è ripreso. È tempo di riequilibrare i portafogli, e puntare sulle small-mid cap, ben più attraenti.

Correggere è la norma N. di anni dal 1950 in cui si è verificata una correzione dello 2&P 500 nell’anno

Alan Mudie, Cio di Woodman Wm. A lato, le correzioni che lo S&P 500 solitamente riporta nell’anno.

volatilità era scesa al 17,1%. A Jackson Hole, Powell ha chiarito a tutti che la sua attenzione si è spostata dall’inflazione al mercato del lavoro e che la riunione di settembre vedrà un taglio di 25 bp. I mercati hanno recepito il messaggio: mercoledì scorso i trader attribuivano solo il 35% di probabilità a un taglio dei tassi di -50 pb il mese prossimo.

Afine 2023 si riteneva che lo slancio economico dell’economia americana sarebbe proseguito nella prima parte dell’anno, ma che poi si sarebbero “addensate nubi di tempesta in vista di un rallentamento nel secondo semestre”. Otto mesi dopo, cosa e come è cambiato? Mercati in crisi. A inizio agosto, una serie di fattori ha fatto salire la pressione. Il 31 luglio, la Banca del Giappone ha colto di sorpresa gli operatori alzando i tassi di 15 bp allo 0,25% e presentando un piano di dimezzamento degli acquisti di obbligazioni nei prossimi due anni.

Ciò ha fatto temere che gli investitori potessero iniziare a sciogliere i “carry trade” con cui avevano preso in prestito yen giapponesi per investire in valute a più alto rendimento. La debolezza dei dati Ism manifatturieri e occupazionali negli Stati Uniti ne ha fatto temere un forte rallentamento. Inoltre, i Magnificent 7 hanno mostrato segni di cedimento: dal picco di inizio luglio, alla fine del mese avevano perso il -9,9%, mentre l’indice Russell 2000 delle piccole capitalizzazioni

era balzato del 9,9% nello stesso periodo.

L’impatto sul mercato è stato drammatico. Le azioni giapponesi hanno registrato il più grande crollo di sempre in tre giorni (-20%), mentre lo S&P500 è sceso dell’8,5% dai massimi storici di metà luglio. Il 5 agosto, il Vix ha toccato il 65% intraday, il terzo picco di sempre. I rendimenti dei Treasury decennali sono crollati di -49 bp rispetto a fine luglio, toccando il 3,79%, il livello più basso dallo scorso luglio. Il dollaro è sceso dell’1,8% in due giorni, mentre lo yen è salito del 12,1% dai minimi di inizio luglio.

Le aspettative sulla Fed. La combinazione di dati economici più deboli e turbolenze di mercato ha portato a un drastico cambiamento delle aspettative. A inizio luglio, Bloomberg indicava una probabilità del 70% per un taglio di 25 bp a settembre. Il 5 agosto, si pensava che al 100% avrebbe tagliato di 50 bp, con diversi Nobel a chiedere di farlo prima. Stress in calo. Da allora, i toni si sono distesi, e al 28 agosto le perdite azionarie sono state coperte quasi del tutto, anche rispetto al massimo di luglio, mentre la

Le prospettive. La velocità e l’ampiezza dei movimenti di mercato sono state esacerbate dalla scarsità dei volumi estivi. I mercati erano molto alti, e i ribassi infra-annuali superiori al 5% sono la regola, almeno dal 1950, con sole sette eccezioni. È in atto un previsto rallentamento, ma non dovrebbe sfociare in recessione, per via di un generoso deficit pubblico, bassa disoccupazione, buona tenuta dei consumi. Come mostra anche il GdpNow della Fed di Atlanta, che prevede una crescita annualizzata nel terzo trimestre del 2%.

Inoltre, la stagione degli utili del secondo trimestre è stata incoraggiante: secondo Bloomberg, quelli dello S&P500 sono aumentati dell’11,4% su base annua, superando del 5,2% le aspettative. In prospettiva, nelle ultime quattro settimane gli analisti hanno rivisto al rialzo dello 0,7% gli Eps a dodici mesi, portandole al 13,5%. Tuttavia, si prevede un rialzo limitato: lo S&P500 è attualmente scambiato a un elevato 23,9x. Gli investitori dovrebbero dunque approfittare, e riorientarsi sulle small-mid cap: la versione equal-weight dello S&P500 viene scambiata a 18,7x mentre si attende una crescita dell’11,2% dell’Eps nei prossimi dodici mesi.

Efficienza energetica e Ia

Esporsi all’intelligenza artificiale potrebbe richiedere anche altro che non i semplici titoli dei colossi tecnologici; serve un minimo di creatività, e una calcolatrice.

Energia verde

Principali acquirenti di energia sostenibile

Il più grande fornitore europeo di Etf ed Etc white-label, Hanetf, evidenzia come una singola query di ricerca su Chat Gpt consumi circa il 1500% di energia in più rispetto a una semplice ricerca su Google. Per quanto le quantità complessive di energia siano al momento marginali, il dato fa riflettere.

Con riferimento agli Stati Uniti, rispetto a una domanda di energia sostanzialmente piatta negli ultimi 20 anni, la situazione sta ora cambiando e una delle ragioni principali è il boom della domanda di data center, in particolare di quelli collegati all’Ia. A titolo di esempio, l’azienda di servizi pubblici che serve lo stato della Virginia, prevedeva un aumento del 2% tra il 2022 e il 2037, ma adesso ipotizza un incremento del 6% tra il 2023 e il 2038. E probabilmente non è sola.

Per quanto molti investitori, come è normale, abbiano scelto di ‘seguire’ l’Ia attraverso l’esposizione ai titoli tecnologici, vale la pena valutare anche altre strade. I risultati recenti dei grandi gruppi tecnologici sembrano evidenziare come “vendere” l’infrastruttura necessaria a

costruire servizi di Ia sia al momento più lucrativo che venderne gli stessi servizi.

Una strada è quella delle materie prime. L’energia nucleare avrà un ruolo chiave nella fornitura di elettricità, in particolare grazie all’assenza di emissioni di carbonio. Il nucleare resta inoltre un tema presente nei piani di molti Paesi, inclusi quelli del Governo italiano. Ne deriva, inevitabilmente, un incremento della domanda di uranio. Si tratta di un mercato che già oggi ha un forte deficit di offerta, con probabili ulteriori pressioni sul prezzo, a vantaggio delle società minerarie.

Alla produzione di elettricità si aggiunge il bisogno di portare per trasmissione l’elettricità all’utente finale, processo che richiede un notevole quantitativo di rame. I nuovi centri dati richiederanno perciò linee di trasmissione ad alta intensità di rame. Anche in questo caso vi è però un deficit di offerta rispetto a un metallo già in forte domanda. L’aumento dell’offerta di rame richiede tempi lunghi; infatti, una miniera di rame richiede circa 10/15 anni per essere esplorata, sviluppata e resa produttiva. A ciò si aggiunge l’instabilità

Francesca Volpato, Advisor di Lagom Family Advisors. A lato, i grandi acquirenti di energia sostenibile non escono dalla Silicon Valley.

politica delle regioni in cui le miniere si trovano. Si stima che nell’ultimo anno il 3-5% dell’offerta globale di rame sia stata interrotta per ‘instabilità’ in Congo, Kazakistan, Mongolia e America Latina.

Il prezzo del rame si trova già adesso su livelli elevati e, di recente, la corsa al rialzo è stata stimolata dall’importante offerta di acquisto di Bhp, poi rifiutata, sulla compagnia Anglo American.

In generale, quindi, le società minerarie attive nell’estrazione del rame potrebbero trarre un importante vantaggio da un’offerta strutturalmente inferiore alla domanda. E secondo alcuni calcoli solo superati i 12mila dollari la tonnellata, è lucrativo espandere la produzione ed estrarre una quantità maggiore di materia prima, con un aumento di prezzi che ne favorirà una più elevata redditività.

Per motivi simili, diversi analisti esprimono un parere positivo sulla borsa inglese, legato anche alla composizione dell’indice Ftse 100, favorito dai prezzi elevati o in crescita delle materie prime.

Ubs, in un recente studio evidenzia come alcuni settori e indici abbiano sovraperformato l’Msci All Country World Index negli ultimi cinque anni. Non sorprende che tra i “vincenti” vi siano soprattutto alcuni settori tecnologici. Probabilmente meno nota e conosciuta è però l’ottima performance di temi quali Clean Edge Smart Grid Infrastructure e Global Data center, che continueranno, molto probabilmente, a essere spinti dai bisogni dell’Ia e dalla ‘fame’ di elettricità.

Google Total Microsoft Walmart Gen. Mot.

Il caveau dei vini nel cuore dell'Europa

Temperatura, umidità controllata e massima sicurezza. Il place to be per il deposito e la conservazione delle bottiglie più pregiate, dell’arte e dei beni di valore.

Vino speciale & valore

Investimenti

Valori: restano gli alternativi

La volata dei tassi d’interesse ha stemperato l’attrattiva dei grandi vincitori degli anni della Caccia al rendimento. Eppure il segmento Fine Wine ha tenuto botta, e nel lungo periodo continua a vantare una performance stellare. Almeno il vino, non è stato annacquato?

Vincere l’inflazione si può

Il Fine Wine rispetto alla media ponderata della Cpi del G20 (2004: 100)

Le ragioni per cui il Fine Wine dovrebbe entrare a far parte di un portafoglio d’investimento, e nemmeno troppo ricercato, sono molteplici, e intercettano un trend in atto già da diversi anni. Non fosse altro il vino si colloca tra gli Alternatives, nello specifico tra i Collectibles, dunque al pari di opere d’arte e orologi, pur presentando anche nei loro confronti qualche atout significativo.

Vino sì, ma dove?

Se dunque il vino può a tutti gli effetti essere o diventare un bene d’investimento, dove custodirlo non è solo una questione di sicurezza. Una condizione necessaria per conservarlo tale. «Sono oltre 15 anni che siamo attivi in questo settore, ci occupiamo dell’intera logistica di opere d’arte, gioielli, e anche del vino. Abbiamo caveau blindati dove conservarlo nelle migliori condizioni, e garantiamo anche un servizio affidabile per consegnarlo e spedirlo, anche laddove si tratti di collezioni importanti. Prendiamo la sicurezza molto sul serio, ma abbiamo comunque capacità per ospitarne sino a 100mila bottiglie, tra la nostra sede di Chiasso e quella di Hong Kong, hub ideale per tutto il mercato cinese», commenta Riccardo Fuochi, Presidente di Swiss Logistic Center di Chiasso. L’equilibrio di domanda e offerta è sempre un tema spinoso per moltissimi mercati, nel caso del vino si inserisce il terzo incomodo. «La domanda di Fine Wine sta crescendo stabilmente, l’offerta inevitabilmente è stazionaria, dunque i prezzi incrementano. Parimenti sta aumentando la domanda di luoghi adatti alla conservazione, ma le strutture adatte non sono molte. A livello globale non esiste un framework normativo o di certificazione per custodirlo, solo Hong Kong impone una serie di requisiti. La nostra clientela tradizionale sono banche, fondi d’investimento, rivenditori di livello e collezionisti. Sono quest’ultimi il segmento dalla crescita più elevata e che crede fortemente nel vino. Forniamo a tutti i nostri clienti regolarmente, anche su base quotidiana, i grafici con tutti i valori delle condizioni climatiche di conservazione, sia quando il bene è stoccato, sia quando è in movimento, che solitamente avviene per via aerea», conclude Fuochi.

Anche la singola bottiglia può essere venduta, si conferma essere un mercato particolarmente liquido, mescendo con rara abilità una dimensione di consumo, a una d’investimento, che gli regala ad esempio diverse carte da giocare anche in un contesto a elevata inflazione. Se è dunque possibile cedere una singola bottiglia, rispetto a un’intera cassa, ciò non è possibile nel caso di arte e orologi, spesso parte di collezioni, e che dunque devono essere ceduti in blocco, complicando e allungando l’intero processo di vendita.

Le note positive, anche in questo ristretto confronto, non sono però finite. Non è soggetto a sviluppo tecnologico, anzi, e non è facile preda di mode o simpatie del momento, come invece avviene soprattutto nel caso di arte e artisti, che in un battito di ciglia possono finire dalle stelle alle stalle.

Guardando all’inflazione delle principali economie mondiali e all’andamento borsistico degli indici di riferimento del vino, si può concludere che il segmento tenga botta e continui a performare molto positivamente, proteggendo e conservando il potere d’acquisto.

Fonte: Bloomberg

L’offerta è strutturalmente molto poco elastica, i vini d’investimento provengono infatti da una manciata di regioni molto ristrette del globo, concentrate prevalentemente in Francia, Italia e Stati Uniti, con qualche altra rara eccezione. Al tempo stesso è un bene facilmente deperibile, che acquisisce valore nel corso degli anni, periodo durante cui le bottiglie possono finire con il perdersi, il rompersi, o più semplicemente essere anche bevute, il che riduce ulteriormente l’offerta, spingendo il valore della preziosa e ricercata rimanenza.

La domanda è invece destinata inevitabilmente a crescere, anche grazie all’aumento del benessere in molte regioni del mondo, particolarmente popolose, che vedono negli ‘orpelli europei’ nuovi oggetti del desiderio, siano essi orologi, accessori di moda o anche vino.

Entro il 2025 le masse gestite a livello globale (AuM) raggiungeranno i 145 trilioni di dollari, stando a recenti stime di PwC, di questi circa il 15%, dunque 21 trilioni, sono già oggi investiti nel vasto universo degli alternativi, che pur avendo registrato qualche difficoltà nell’ultimo biennio, a fronte dello stabilizzarsi del quadro inflativo, e il ritracciamento dei tassi d’interesse, dovrebbero tornare a correre presto.

Prendendo in considerazione il vino d’investimento, dunque una piccola nicchia del totale della produzione vitivinicola mondiale, a distinguersi su tutti sono fondamentalmente due dati: rendimento medio annuo del 5,3%, volatilità attesa del 4,5%. Un unicum rispetto a tutte le altre asset class, dalle più innovative (Bitcoin a 5 anni registra una volatilità media del 73%), alle più tradizionali (il solido S&P500 Total Return registra un altrettanto significativo 18%), pur tralasciando anni eccezionalmente negativi, come di recente accaduto nel caso del mercato obbligazionario, la classica ciambella di salvataggio dell’investitore medio europeo. Ulteriore surplus una correlazione negativa con tutte le altre asset class.

Se dunque l’obiettivo è stabilizzare il portafoglio, in una fase particolarmente incerta e rischiosa, come l’attuale, confrontata con grane geopolitiche, bucce di banana economiche, e qualche incidente finanziario sempre dietro l’angolo (vedi i mercati americani e giapponesi di agosto), allora il vino può essere davvero un’alternativa. Nel lungo periodo i vini

«La domanda di Fine Wine sta crescendo stabilmente, mentre l’offerta inevitabilmente rimane stazionaria, dunque i prezzi continueranno a incrementare. Parimenti sta aumentando rapidamente la domanda di luoghi adatti alla conservazione di questo bene, ma le strutture adatte non sono molte»

Swiss Logistic Center

Il Fine Wine corre anche in borsa Andamento di diversi indici azionari (2004: 100)

migliori, catturati ad esempio dall’indice Liv-Ex Investables, uno di diversi, fanno decisamente meglio della concorrenza, pur rimanendo estremamente liquidi. E dunque, considerando l’arco temporale dal 1988 al 2024, il rendimento dell’indice è stato superiore al 2000%, rispetto a un altrettanto ragguardevole 1600% dello S&P500, e di un ben più modesto oro, fermo invece al 500%.

L’arrivo alla spicciolata di investitori dai Paesi emergenti ha scombussolato molti equilibri degli ultimi anni, ma è sicuramente solo l’inizio. A scendere in campo sono infatti due pesi massimi della demografia mondiale, più benestanti di prima, almeno in una loro piccola parte che però, trattandosi di Cina e India, implica comunque l’interessamento e l’avvicinamento a questo mercato di qualche milione di potenziali investitori. Se a questo si sommano i cambiamenti climatici, che qualche minaccia alla produzione sicuramente potrebbero porla, ci sono tutti gli ingredienti necessari per concludere che nei prossimi anni il vino continuerà a

Anche in borsa, e senza risalire alla notte dei tempi, gli indici di riferimento del Fine Wine, e soprattutto quelli dei vini migliori, si segnalano rispetto ai più agguerriti concorrenti, senza sfigurare. Anzi, le performance sono decisamente migliori, e soprattutto molto più stabili, e meno volatili nel tempo. Oltre che alternativi, i vini possono fare da stabilizzatori dei portafogli.

correre, ma che soprattutto ne verrà generosamente versato sempre meno. Indipendentemente da che sia stata una buona o pessima annata, stappata l’ultima bottiglia è dichiarata definitivamente finita, e non c’è alcun mezzo per tornare indietro. Diversamente da qualunque altro bene di consumo e d’investimento, dove qualche aggiunta è pur sempre possibile, e per certi versi anche migliorata rispetto all’originale.

Giulio De Biase

Fonte: Bloomberg

Sete ardente di collezioni rare

Punto di riferimento per chi in vino investe cercando valore, le aste non solo offrono una vetrina privilegiata sull’andamento del mercato, ma ancor prima sulla storia di eccezionali collezioni e dei loro proprietari. Una qualità che si rispecchia nelle cifre record delle vendite, come illustra

Tim Triptree, Direttore Internazionale Christie's Wine & Spirits, ripercorrendo il primo semestre.

Nonostante lo sfidante contesto economico globale, il primo semestre del 2024 è stato un successo per le vendite di vini e liquori pregiati di Christie’s, sottolineando la sua leadership nel settore, ‘battuto’ sin dalla prima asta nel 1766. In particolare, quest’anno si evidenzia il crescente interesse per le collezioni appartenenti a un unico proprietario, che hanno superato le aspettative, raggiungendo prezzi e tassi di aggiudicazione davvero impressionanti. Un risultato incoraggiante, che dimostra la tenuta del mercato dei vini e dei liquori pregiati nelle aste.

Nella prima metà del 2024 Christie’s ha tenuto 13 aste - 3 dal vivo e 10 online - con 6.866 lotti offerti e un tasso di sell through del 91%, per un totale di 29 milioni di dollari. Il 36% di tutti gli acquirenti e offerenti erano nuovi (rispetto al

28% del 2023); il 55% dall’area Emea, il 26% dall’Apac e il 19% dalle Americhe. Uno scenario significativamente diverso rispetto all’anno precedente (13% Emea, 31% Apac, 56% Americhe). La maggior parte (88%) è entrata attraverso le vendite online: il 45% sono Millennials (rispetto al 41% del 2023), di cui un 12% donne.

La prima asta del 2024 (Christie’s Los Angeles, 15-29 febbraio) ha subito manifestato una tendenza dell’anno, ovvero la forte performance di Bordeaux, in particolare le annate mature dei principali produttori della regione, che vista l’alta domanda stanno diventando sempre più rare con il crescente consumo che limita le riserve e spinge i collezionisti a offerte aggressive. Bordeaux Classics: The Masterpiece Collection presentava alcuni dei più grandi vini mai prodotti a Bordeaux, come Château Mouton Rothschild 1982 e Château Haut-Brion 1989.

Fra i trend del 2024, il crescente successo delle collezioni singleowner, come The Epic Cellar con i suoi vini pregiati provenienti dai domini più ricercati di Bordeaux e Borgogna. Un tesoro delle migliori annate (in foto, Château Mouton Rothschild 1945), all'asta lo scorso primo giugno da Christie's Hong Kong. Seconda tranche, il 4 ottobre.

Da Christie’s Londra abbiamo iniziato l’anno con Le Gavroche Part I: The Restaurant e Part II: The Wine Cellar, due vendite online che si sono svolte dal 10 al 24 aprile. Le aste hanno commemorato l’illustre percorso di 57 anni del ristorante francese due stelle Michelin di Londra, che ha chiuso i battenti lo scorso 13 gennaio. Quando nel 1967 i fratelli Albert e Michel Roux Snr hanno aperto Le Gavroche, portando l’alta cucina francese nel cuore di Londra, hanno dato il via a una rivoluzione gastronomica. Ma a creare un ambiente apprezzato da personaggi come Charlie Chaplin, Judi Dench o Mick Jagger, hanno contribuito anche le opere d’arte (fra cui il quadro che rappresenta il monello di strada de Les Misérables di Victor Hugo che dà il nome al ristorante), gli arredi, le porcellane Wedgwood e... un’eccezionale cantina. Le vendite sono state un grande successo, con il 100% dei lotti aggiudicati per un totale di 2,27 milioni di sterline. Partecipanti da 39 paesi, con il 60% degli offerenti alla loro prima esperienza da Christie’s e il 34% di Millennials fra offerenti e acquirenti. Sono stati raggiunti prezzi elevati in tutta l’eccezionale selezione di Borgogna, tra cui il

magnifico Richebourg 1993 del Domaine de la Romanée-Conti, acquistato per 35mila sterline contro una stima di 1422mila per 7 bottiglie. Nella collezione di celebri Bordeaux, due magnum Château Lafite Rothschild 1945 sono state battute a £ 15mila contro una stima di 6-8mila. Il primo giugno, a Hong Kong, un’altra grande occasione con l’offerta in asta dal vivo di The Epic Cellar. Questa collezione di un unico proprietario presentava i vini dei più ricercati domini di Bordeaux e Borgogna; un tesoro di vini eccezionali delle migliori annate. Tra i pezzi forti della Borgogna, oltre 90 lotti di Domaine de la Romanée-Conti, i cui risultati dimostrano l’incessante entusiasmo e la domanda di questi superbi Borgogna. La vendita ha totalizzato ben 66,9 milioni di Hkd. Seconda parte, il prossimo 4 ottobre, con The Epic Cellar Part II Il 6 e 7 giugno a Londra, Christie’s ha tenuto un’asta dal vivo di due giorni, A Legacy Preserved: The Last Treasures of The Avery Collection. Dopo la prima memorabile asta da Christie’s nel 2016, si trattava dell’ultima opportunità per aggiudicarsi i tesori ancora custoditi dalla cantina della famiglia degli Avery, fra i più prestigiosi commercianti di vini pregiati con sede a Bristol dal 1793. Degli innovatori appassionati e instancabili che hanno precorso i tempi, collezionando alcuni dei più grandi e rari vini mai messi in bottiglia. L’asta di 933 lotti è stata aggiudicata al 100% con risultati stellari, superando le stime più alte e generando un totale di 2,57 mio. di sterline. Tra i molti punti salienti della vendita, il lotto 476 - due bottiglie di Clos de Tart, Grand Cru 1945, la cui stima era di £ 2-3mila sterline, è stato ven duto per 43.750 sterline. Anche nel secondo semestre si continua con un calenda rio altrettanto ricco, a partire dall’asta online a Hong Kong dal 20 settembre al 7 ottobre; Fine & Rare Wines from a

Il magnifico Richebourg 1993 del Domaine de la Romanée-Conti, acquistato per 35mila sterline nell’asta Le Gavroche Parte II di Christie’s Londra, con i tesori dell’omonimo ristorante londinese.

«In particolare, quest’anno si evidenzia il crescente interesse per le collezioni appartenenti a un unico proprietario, che hanno superato le aspettative, raggiungendo prezzi e tassi di aggiudicazione impressionanti. Un risultato che dimostra la tenuta del mercato dei vini e dei liquori pregiati nelle aste»

Tim Triptree, MW Master of Wine e Direttore Internazionale Christie's Wine & Spirits

Chi si aggiudica i vini da collezione?

Provenienza, fascia di età e nuovi acquirenti aste Fine

Generazione di appartenenza

Baby BoomersGenMillenials X
Nati>1946Genz

Wine Lover’s Impeccable Cellar: nome che sottolinea le straordinarie condizioni di conservazione della collezione di questo proprietario che, vero amante del vino, ha voluto garantire alle etichette collezionate con la sua competenza di uomo d’affari e grande viaggiatore. Scavata nel granito di Kitzbühel sotto la sua magnifica casa alpina è una delle cantine più belle mai visitate dagli specialisti di Christie’s, che ha permesso di ottenere vini maturi in condizioni di freschezza impeccabili, fra cui alcuni dei migliori vini di Bordeaux, Borgogna, Rodano, Champagne, Italia, Spagna, Portogallo, Australia e Madeira. In concomitanza con l’asta, verrà inaugurato l’edificio Hendersen, nuova icona della skyline di Hong Kong, progettato dal rinomato studio Zaha Hadid Architects, che diventerà la nuova sede centrale di Christie’s in Asia e Pacifico. A seguire, a Los Angeles dal 3 al 16 ottobre Fine and Rare Wines Online: LA Edition e a Londra Fine and Rare Wines & Spirits Online: London Edition dall’8 al 22 ottobre.

Sopra, una fotografia degli acquirenti dei vini battuti all'asta da Christie's nel 2023. Sotto, tra i punti salienti dell’asta dell'Avery Collection (Londra, 6-7 giugno), il lotto 476 - due bottiglie di Clos de Tart, Grand Cru 1945, la cui stima era di 2-3.000 sterline, venduto per £43.750.

Wine&Spirits di Christie’s 2023
Fonte: Christie’s, Annual Review 2023

L’architettura del calice

La degustazione di un vino è un’esperienza multisensoriale che inizia molto prima dell’assaggio, dalla progettazione del giusto calice.

Benché i vitigni abbiano nel loro Dna profili di gusto inconfondibili, per esaltarne le qualità è necessario scegliere il giusto ‘strumento’. Età, struttura e affinamento di un vino richiedono specifiche forme per dischiudere il loro potenziale. «È il contenuto a determinare la forma: solo un bicchiere perfettamente disegnato e realizzato è in grado di massimizzare l’aroma e il sapore del vino per trasmetterne il ‘messaggio’ ai nostri sensi», sottolinea Maximilian Josef Riedel, undicesima generazione alla testa dell’omonima azienda, l’austriaca Riedel, tra le più alte espressioni dell’industria e dell’arte vetraria a servizio del vino. Fondata in Boemia nel 1756, e presto passata a occuparsi di articoli di lusso in cristallo e lavorazioni speciali, è in pratica ripartita da zero alla fine della Seconda guerra mondiale, espropriata di tutti gli stabilimenti produttivi e della totalità dei beni privati. La sua tradizione è rinata nella cittadina di Kufstein, nel Tirolo austriaco, con Walter Riedel, ottava generazione. Al suo visionario figlio, Claus Josef Riedel, va l’appellativo di “padre del bicchiere da vino moderno”. «Il marchio era allora noto per prodotti in vetro spesso, colorato e intagliato che andavano allora di moda. Ma Claus fece una scoperta incredibile: durante una degustazione comparata dello stesso vino da una serie di bicchieri diversi, si rese

conto che forma e dimensione avevano un impatto significativo sulla percezione sensoriale. Attraverso una ricerca rigorosa e innumerevoli esperimenti, è riuscito a mettere a punto una serie di calici per esaltare armonia, equilibrio e profondità di varietà particolari di vini. Ha disegnato ogni bicchiere secondo il principio del Bauhaus “La forma segue la funzione”. Caratterizzati da uno stelo lungo e da bevanti in vetro soffiato lisci, sottili e senza decorazioni ornamentali, i suoi calici sono stati vincitori di numerosi premi negli anni Cinquanta e Sessanta. Con la sua visione ha rivoluzionato il settore enologico, offrendo strumenti dalla funzionalità ottimale, che garantiscono una migliore esperienza degustativa», sottolinea il nipote Maximilian Josef Riedel.

In particolare con il lancio nel 1973 della prima collezione dedicata alla degustazione di vini, champagne e liquori, realizzata a mano in cristallo e oggi nota in tutto il mondo con il nome di Sommeliers, Claus ha segnato l’inizio della leadership di Riedel. Oggi i suoi stabilimenti producono 55 milioni di bicchieri da vino all’anno. Tante altre linee sono seguite, anche create da Maximilian Josef che, in parallelo al ruolo di Ceo, si è affermato come designer di calici e decanter.

«I calici e i bicchieri specifici per varietà sono dotati di finissimi bevanti con forma, dimensioni e diametro dell’orlo studiati

Sopra, Maximilian Josef Riedel, undicesima generazione dell’azienda austriaca che ha rivoluzionato l’esperienza enologica con i suoi calici specifici per varietà.

per trasportare al meglio le caratteristiche dei vari vini al palato. Quando si immerge il naso in un bicchiere, il vino dovrebbe offrire diversi caratteri aromatici che formano un’espressione armoniosa, proprio come tutti gli strumenti di un’orchestra. È dall’aroma deriva il 70% del gusto. Un bicchiere dalla forma sbagliata distorce il profilo aromatico, come un tamburo che suona fuori tempo o un violino stonato. Le dimensioni e la forma influiscono sul modo in cui il vino viene diretto e distribuito al palato a dipendenza del diametro dell’orlo, della curva del labbro e di quanto è necessario inclinare la testa per bere. Un calice deve dunque essere un capolavoro della tecnica per garantire un perfetto equilibrio tra bouquet, texture, gusto e note di quello specifico vitigno», sottolinea il Ceo.

Riprendendo il complesso procedimento messo a punto da Georg, esclusivo di Riedel, ogni calice è progettato attraverso un workshop sensoriale pratico, testato a confronto con altre forme per assicurare che ogni varietà di vino venga esaltata in modo ottimale.

Impegno, passione, competenza, rispetto: ispirata dagli stessi valori che fanno un gran vino, ARVI da 20 anni seleziona il meglio di Bacco per appassionati e collezionisti.

Fondata da Paolo Cattaneo e dalla sua famiglia nel 2004, ARVI rappresenta il culmine di un’esperienza ventennale nel settore vinicolo e della commercializzazione del vino. Forte di una solida base di conoscenze e competenze acquisite negli anni, la famiglia Cattaneo ha deciso di creare un’azienda che incarnasse l’amore per l’arte e il vino, le sue due grandi passioni.

Oggi, ARVI offre una selezione raffinata e diversificata di vini pregiati, provenienti dalle migliori regioni vinicole del mondo, con oltre 10mila etichette custodite nelle proprie cantine: le più prestigiose classificazioni di Bordeaux, si affiancano a una vasta selezione dei migliori vini di Borgogna, Rodano e Champagne, nonché dei principali produttori italiani, spagnoli, australiani, americani e sudamericani. Degna di nota è anche la collezione di grandi formati, dai Magnum da 150 cl ai formati da 27 litri. Non mancano poi gli accessori per il vino, tra i quali spicca una collezione di tastevin di ogni epoca e provenienza. Con tre punti vendita a Melano, Lugano

L’arte di Bacco

Arte e vino per festeggiare i 20 anni di ARVI, che li porta inscritti nel suo nome e nella sua anima: sopra, la speciale cassa con i sei rinomati Châteaux de Bordeaux e l’opera creata dall’artista Andrea Ravo Mattoni.

e Zurigo, gestiti da esperti sommelier ed enologi, ARVI offre servizi personalizzati e di consulenza per i propri clienti. Fondamentale è trasmettere la cultura e l’amore per il vino: «Il vino è chiaramente la nostra passione, il filo conduttore di tutte le nostre attività e il cuore pulsante della nostra amata azienda. E vogliamo che questo ventesimo anniversario sia all’insegna dell’innovazione, della fiducia e della sostenibilità, valori che ci stanno a cuore come il buon vino», dichiara Paolo Cattaneo, Presidente di ARVI.

Per festeggiare i suoi 20 anni, ARVI ha sviluppato un progetto creativo coinvolgendo un artista del calibro di Andrea Ravo Mattoni e sei rinomati Châteaux di Bordeaux per la creazione di un’opera di oltre 12 metri per 4, realizzata unendo i coperchi di 300 casse di vino e impiegando le più recenti tecnologie generative di Intelligenza Artificiale: Château

Ducru-Beaucaillou, Château Lafite Rothschild, Château La Mission Haut-Brion, Château Léoville Las Cases, Château Palmer, Château Troplong Mondot sono i produttori che hanno preso parte a questo progetto, fornendo ognuno 300 bottiglie datate 2004 - anno della fondazione di ARVI - provenienti direttamente dalle riserve delle loro cantine (Ex-Château).

Ogni bottiglia è stata utilizzata per comporre la speciale cassa di vino da sei bottiglie, il cui coperchio è diventato un tassello dell’immensa opera realizzata da Ravo. I clienti interessati possono farne parte acquistando una cassetta, pezzo unico e numerato, che la trasforma in un vero e proprio pezzo d’arte.

Visita il sito www.arvi.ch per scoprire di più sul progetto ed entrare a far parte della storia di ARVI.

Economia del vino, non solo numeri

Sebbene il vino rappresenti un’importante filiera per molti Paesi, è solo negli ultimi cinquant’anni circa che suscita un vero e proprio interesse da parte dell’economia. Gli anni ’90, e ancor più il primo decennio del nuovo millennio, sono stati caratterizzati da un’intensa attività di ricerca. Le origini. In un articolo di riferimento apparso nel 2012 ( Wine economics , nel “Journal of Wine Economics”), Karl Storchmann offriva una preziosa panoramica sulle pubblicazioni nell’ambito dell’economia del vino. Orley Ashenfelter, professore emerito a Princeton, è generalmente considerato il pioniere della disciplina. Da grande appassionato, si è interessato alla modellizzazione dei prezzi dei vini, proponendo un’analisi quantitativa ed empirica in netto contrasto con la letteratura vinicola patinata dell’epoca, con l’idea di poter identificare quali vini fossero economici, e quindi da acquistare, e quali fossero troppo costosi e da evitare. Determinare il “giusto prezzo” di un vino è però un esercizio arduo. A differenza della maggior parte degli altri beni, il vino infatti non genera flussi di cassa. I metodi di valutazione tradizio -

I temi proposti dalla sedicesima conferenza dell’American Association of Wine Economists, svoltasi per la prima volta in Svizzera, all’EHL di Losanna, offrono l’occasione per fare il punto sulle questioni chiave che caratterizzeranno l’economia del vino, disciplina relativamente recente che, oltre al settore agrario, tocca finanza, commercio, crescita e ambiente.

nali non sono quindi applicabili. In parole povere, il prezzo di un vino in un determinato momento dipende da due fattori: le condizioni del mercato vinicolo (equilibrio domanda-offerta) che definiscono il livello generale dei prezzi, le caratteristiche del vino e il modo in cui il mercato le valuta.

Oltre alla questione dei prezzi e della “finanza del vino” in generale, Storchmann individuava altri due temi chiave: le valutazioni degli esperti e l’impatto del cambiamento climatico. Due argomenti strettamente legati alla questione della qualità, che è ovviamente un fattore determinante per il prezzo. Tuttavia, per

Sopra, due momenti della Conferenza dell’American Association of Wine Economists a Losanna, a inizio luglio: oltre alle tavole rotonde, gli oltre 130 partecipanti hanno potuto degustare vini svizzeri e visitare le cantine. La produzione ticinese è stata presentata al Museo Olimpico. Membro dell’AAWE, Philippe Masset, Professore associato dell’EHL Hospitality Business School di Losanna, ha partecipato all’evento, di cui propone una sua sintesi in queste due pagine. Fra le sue aree di ricerca, l’economia del vino e la gestione finanziaria dell’ospitalità.

la maggior parte dei consumatori è difficile valutare la qualità di un vino prima di averlo acquistato e provato, inoltre molti vini devono essere invecchiati per diversi anni per essere apprezzati appieno. Perciò si dice che il vino è un “bene da intenditori”. Il ruolo degli esperti è proprio quello di fornire ai consumatori informazioni che li aiutino a prendere le loro decisioni. Alcuni, come Robert Parker (ora in pensione), hanno acquisito una tale visibilità da diventare influenti, incidendo direttamente sulla domanda, e quindi sui prezzi. Oggi si parla di un “mercato dell’expertise”, con molti specialisti che fanno a gara per ottenere la massima visibilità, anche se devono affrontare la concorrenza di social media, portali e app dedicate, come Vivino o CellarTracker. Il cambiamento climatico, nel frattempo, sta rimescolando le carte: alcune regioni penalizzate dalla siccità accusano un calo della quantità prodotta (e talvolta anche della qualità); altre con una grande reputazione faticano a mantenere il livello che ne ha decretato il successo. Ne deriva una serie di interrogativi riguardo alle modalità di adattamento (cambiamenti nelle varietà di uve e/o nelle tecniche di vinificazione) e alla distribuzione geografica della produzione da qui al 2050. L’attualità . Dal programma proposto dalla conferenza annuale dell’American Association of Wine Economists, tenu-

«La caratteristica principale dell’economia del vino nel 2024 sembra essere la sua apertura ad altri alcolici e a temi transdisciplinari. Né possono mancare all’appello innovazione tecnologica e intelligenza artificiale, di cui già molti operatori del settore si avvalgono per migliorare le attività in vigna, in cantina e le vendite»

Philippe Masset, Professore associato EHL Hospitality Business School - Losanna

tasi lo scorso luglio per la prima volta in Svizzera, all’EHL Hospitality Business School di Losanna, si può notare che la ricerca si è notevolmente diversificata negli ultimi anni. Ai tre temi identificati da Storchmann, si sono aggiunte le questioni relative al mercato del vino biologico e naturale, il ruolo delle denominazioni di origine controllata, lo sviluppo di mercati di nicchia, gli effetti della regolamentazione e delle politiche tariffarie sulle importazioni, l’impatto della guerra in Ucraina sul mercato del vino, e così via. Ma forse la caratteristica principale dell’economia del vino nel 2024 è la sua apertura ad altri alcolici (liquori, sidri, birre e persino alcuni liquori esotici come

L’American Association of Wine Economists a Losanna

L’American Association of Wine Economists (AAWE, wine-economics. org) è la più importante associazione accademica al mondo dedicata all’economia del vino. Annualmente organizza una conferenza in una regione in cui il vino ha una notevole importanza economica e culturale. Quest’anno si è tenuta per la prima volta in Svizzera, a inizio luglio 2024. Dopo Città del Capo nel 2023, l’EHL Hospitality Business School (Losanna) ha avuto l’onore di ospitare questo prestigioso evento, che riunisce non solo accademici, ma anche giornalisti e professionisti del settore. Più di 130 partecipanti hanno contribuito a un programma ricco di presentazioni, tavole rotonde, visite ai vigneti, degustazioni e, soprattutto, scambi affascinanti - perché il vino rimane un formidabile legame sociale. Prossimo appuntamento a San Luis Obispo, in California, dal 18 al 22 luglio 2025.

il Baijiu, il più antico distillato della tradizione cinese) e a temi transdisciplinari. Va detto che il vino costituisce un laboratorio ideale per effettuare sperimentazioni volte a comprendere meglio la percezione e il comportamento dei consumatori. Tanto da parlare di “psicologia del vino”. Non potevano mancare all’appello innovazione tecnologica e intelligenza artificiale, di cui già molti operatori dell’industria vinicola si avvalgono per migliorare le attività in vigna, in cantina e le vendite, come è emerso dal panel con cinque esperti dedicato all’argomento. Un esempio è la combinazione di dati meteorologici e satellitari con l’Ia per monitorare la qualità dell’uva in tempo reale e ottimizzare i trattamenti. Vini svizzeri . Poiché la conferenza si è svolta in Svizzera, un posto speciale è stato riservato alla produzione di casa. Una tavola rotonda incentrata sui vitigni autoctoni ha evidenziato le caratteristiche specifiche di vigneti e mercato svizzeri. I partecipanti hanno inoltre potuto degustare una selezione rappresentativa di Pinot noir provenienti da tutta la Svizzera, bianchi e rossi autoctoni (Petite Arvine, Completer, Cornalin, ecc.) e di Chasselas vodesi delle annate dal 2000 al 2023. Visite nel Canton Vaud e nel Vallese e una serata dedicata al Ticino al Museo Olimpico di Losanna hanno permesso di approfondire l’industria vinicola svizzera e fare paralleli e confronti con altre regioni. Come ha osservato José Vouillamoz - biologo vallesano che è un’autorità mondiale in materia di genetica dell’uva - alla fine della sua presentazione, e come hanno affermato altri partecipanti nei loro post e articoli sui social media, “Siate intelligenti, bevete vini svizzeri!”.

Genuino valore del territorio

Con un indotto complessivo di 80 milioni di franchi, la filiera vitivinicola rappresenta un atout del Ticino e della sua tradizione, dando vita anche a originali esperienze enoturistiche, come “Nel cuore della vendemmia”, per promuoverla e gustarla.

Momento in cui le fatiche di dodici mesi si trasformano in raccolto, la vendemmia è da sempre l’appuntamento culminante dell’annata per i viticoltori. In Ticino coinvolge 2.579 produttori e 185 vinificatori. Cinquantamila gli ettolitri di vino generati dai quasi 1.200 ettari di superficie viticola (l’8% dei 14.500 a livello nazionale), per un valore di 26 milioni di franchi. L’85% della produzione è costituita da uve a bacca rossa, di cui il 30% vinificato in bianco, e il restante 15% da uve bianche. Assoluto protagonista è il Merlot, pari all’80% della superficie vitata cantonale, seguito da Chardonnay, Sauvignon Blanc, Cabernet, Pinot Nero e altri vitigni, distribuiti lungo tutto il territorio, tra i 220 e i 700 metri di altitudine. La grande varietà di microclimi e terreni a nord e sud del Ceneri dà origine a produzioni anche molto diverse fra loro, in funzione del terroir e della filosofia aziendale. Nel suo insieme la filiera arriva così a triplicare il valore della produzione, generando un indotto complessivo di 80 milioni di franchi. L’intersettorialità della viticoltura con la gastronomia e il turismo ha contribuito a creare le sempre più apprezzate esperienze in cantina o nei vigneti: dalle classiche degustazioni alle attività di bike&wine, wine&dine e altre iniziative speciali.

programma dedicato per rendere l’esperienza della vendemmia accessibile a un vasto pubblico. Una mezza giornata che coinvolge enologi ed esperti per introdurre i partecipanti al lavoro in vigna, insieme alla spiegazione delle tappe di produzione del vino, pranzo e, naturalmente, la degustazione. Un momento autentico per vivere il territorio con occhi diversi, da condividere con la famiglia, con amici o colleghi nei weekend del 21-22 settembre e del 28-29 settembre (iscrizioni sul sito: www.nelcuoredellavendemmia.ch e il costo per persona adulta è Chf 49.-.

Tra le aziende che aderiscono sull’intero territorio nazionale, da quest’anno anche due realtà ticinesi, la Cantina Settemaggio a Monte Carasso e la Cantina alla Maggia di Ascona.

che parla da sé, portando il prestigio della nostra produzione vinicola oltre le frontiere cantonali, si affiancano le iniziative promozionali di Ticinowine, legate a una formula collaudata e radicate al territorio. In particolare da 24 anni si conferma il successo di “Cantine Aperte”, evento di primavera, che consente di visitare le cantine, scoprirne i vini e le tradizioni. Un’altra iniziativa è “Vini in Villa”, l’evento prenatalizio che, nella cornice di Villa Ciani, presenta un centinaio di etichette ticinesi (29.1101.12.2024). Oltre Gottardo, da tre anni il “ Ticinowine Tour” tocca cinque città (quest’anno San Gallo, Lucerna, Soletta, Losanna e Thun) per far conoscere con una formula molto autentica l’offerta vitivinicola del territorio.

È il caso del progetto nazionale “Nel cuore della vendemmia”, nato in Vallese e ormai giunto alla sua quarta edizione sotto l’egida di Swiss Wine Promotion, vedendo crescere il suo pubblico e il numero di aziende vitivinicole che propongono un

Un’occasione per accogliere in Ticino appassionati della natura, amanti del vino ed enoturisti provenienti da tutta la Svizzera, attirati in primis dal suo Merlot, la cui qualità ottiene continui riconoscimenti nei concorsi internazionali, come le 46 medaglie alla scorsa edizione del Mondial Du Merlot, la cui premiazione si è svolta a giugno a Zurigo. A questo ambasciatore

Per implementare la notorietà dei marchi, Ticinowine individua anche attività che consentano una promozione a livello internazionale, ad esempio è stato beverage partner del Locarno Film Festival anche per la sua 77esima edizione. Più di 50 etichette del territorio hanno accompagnato gli eventi ufficiali deliziando prestigiosi ospiti nazionali e da tutto il mondo, oltre ad aver firmato, novità di quest’anno, anche la carta dei vini del “Piazza Grande Restaurant”: protagonista il Merlot, declinato in tutte le sue varianti - rosso, bianco, rosato e spumante -, insieme alla Bondola, vitigno presidio Slow Food, e agli assemblaggi con Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Gamaret, Syrah e Pinot Nero.

Maria Grazia Carbone, neodirettrice di Ticinowine.

Onore ai vini svizzeri

Il 2024 conferma la competitività dei vini svizzeri, che sanno meritarsi le medaglie più prestigiose ai concorsi internazionali. Da scoprire nelle prossime pagine attraverso le parole dei loro artefici.

Con circa 250 varietà di uve coltivate (168 denominazione Aoc) su una superficie che non raggiunge nemmeno 15mila ettari - l’equivalente dell’Alsazia dove però di varietà se producono 10 - la Svizzera con le sue sei regioni vitivinicole rappresenta un unicum. Malgrado una produzione ridotta e costi elevati non ne facciano, per usare un eufemismo, una forte esportatrice, con una quota inferiore all’1% (che peraltro include anche il vino che da qui transita come hub commerciale), ciò non impedisce alle sue etichette di raggiungere una qualità che nei concorsi internazionali si guadagna le medaglie più prestigiose. Merito del clima particolare, di un terroir dove la vigna è una tradizione millenaria e della capacità di produttori tenaci e visionari di innovare nel solco della tradizione, portando al vertice le loro tenute.

A far faville la Petite Arvine del Vallese: soltanto il 2% della superficie vinicola, ma senza rivali quando si tratta di premi, tanto da esser stata anche la prima a portare in Svizzera un 100/100 dalla classifica di Robert Parker. Anche i rossi, che rappresentano ben il 56% dei vitigni colti-

Ripartizione delle superfici vinicole per Cantone, 2023

vati, raccolgono ottimi risultati. È la stessa Svizzera, a gestire il concorso enologico internazionale dedicato al Pinot Nero, dal momento che, in relazione alla sua superficie viticola, è il paese a vantarne la maggior produzione, come pure organizza il Mondiale dello Chasselas, seconda varietà più diffusa, ad Aigle, e quello del Merlot & Assemblages.

Nelle prossime pagine, un poker di bottiglie premiate, presentate dai loro stessi produttori.

I vitigni coltivati in Svizzera Quote di superfici per rossi e bianchi, 2023 Fonte: Ufag 2023

Il Vallese rimane il Cantone con la superficie viticola più estesa, circa un terzo dei vigneti svizzeri che occupano complessivamente su 14.569 ettari. Seguono Vaud, Ginevra e Ticino. Quanto alle varietà, predominano i vitigni rossi, 56% della superficie. Il Pinot Nero resta la varietà più coltivata, dietro cui si piazzano lo Chasselas e il Merlot. Con solo il 2%, la Petite Arvine domina quanto a medaglie.

Fonte: Ufag 2023
Photo Marcus Gyger - Switzerland Tourism

Vino

Fuoriclasse

Robert Parker - Wine Advocate

Per la prima volta, un vitigno svizzero ha ottenuto il punteggio massimo in una fra le più influenti classifiche nel mondo del vino. Naso, colore, aspetto, bouquet, palato e potenziale di evoluzione sono alcuni fra i criteri valutati per attribuire i 100 punti dai sommelier di Robert Parker Wine Advocate. Nel 2023 su oltre 280 vini svizzeri degustati, 27 ne hanno ottenuti più di 95 punti, ma solo Grain par Grain 2020 Petite Arvine di Marie-Thérèse Chappaz ha fatto l’en plein.

La tenuta di Marie-Thérèse Chappaz si estende su 10 ettari distribuiti in quattro villaggi vallesani, Fully, Charrat, Leytron e Chamoson. Il suo approccio biodinamico e un lavoro autenticamente artigianale, che si prende pazientemente cura di ogni varietà delle sue uve, esaltano i punti di forza di un terroir eccezionale, producendo nettari regolarmente acclamati da critici e chef.

Ho scelto di curare e amare la mia terra, di coltivarla e di rispettare ogni terroir, ogni varietà di uva. Dal 1988, Grain par Grain è stato prodotto solo cinque volte, nel 2007, 2011, 2014, 2016 e 2020. Il processo richiede pazienza e meticolosità... L’annata 2020 è stata soleggiata, precoce, quasi estrema. Le uve della nostra varietà autoctona, la Petite Arvine, erano pronte a inizio settembre. Già allora si poteva notare la botrite sugli acini, una muffa ‘nobile’, che ha il potere di concentrare gli zuccheri, ma anche l’acidità. Per i raccoglitori, le istruzioni erano semplici: selezionare esclusivamente questi acini speciali, a uno a uno, come si fa con i mirtilli. Dopo tre passaggi successivi fra i filari, tra fine settembre e inizio ottobre le uve di questa vendemmia Grain par Grain erano calde e pronte per essere lavorate. È seguita una pressatura molto lunga, di oltre dieci ore, nella nostra piccola pressa verticale. Il mosto d’uva, simile al miele, fermenta poi a lungo in una piccola botte di rovere francese. I lieviti indigeni formano poco più del 3% di alcol e poi interrompono il loro processo di fermentazione in questo ambiente estremamente dolce. Lo zucchero naturale ancora presente è chiamato ‘residuo’. La sua concentrazione in un litro di Grain par Grain è di ben 750 grammi. Prima di essere imbottigliata, questa cuvée confidenziale viene invecchiata per un anno in botte, e poi per un secondo anno in bottiglie di vetro, in modo che ognuna possa rivelare note di tè freddo, mango, ribes e zafferano.

Marie-Thérèse Chappaz

Monumentale

Concours Mondial de Bruxelles

Buyer, distributori, enologi, critici, ricercatori, ... i 350 degustatori professionisti chiamati a inizio giugno a valutare oltre 7.500 rossi e bianchi di 42 paesi alla 31esima edizione del Concours Mondial de Bruxelles (Cmb), per la prima volta tenutosi nel continente americano, in Messico, sono stati conquistati da Les Titans - Petite Arvine 2020 della cantina Provins, attribuendogli una grande medaglia d’oro e il premio “Switzerland Revelation”.

Maturati in condizioni estreme, nel cuore delle più imponenti dighe d’alta quota della Svizzera, i vini Les Titans, gamma che ho sviluppato per la cantina vallesana Provins, sfidano il tempo. La temperatura costantemente molto bassa, l’alta quota, la debole pressione atmosferica e l’elevata umidità sono le specificità tecniche di queste cantine, uniche al mondo: fanno sì che il vino evolva lentamente, anche in modo impercettibile, nel corso di diversi mesi, giustificando i lunghi periodi di maturazione di due anni. L’umidità satura permette di chiudere la porosità del legno delle botti e limita al minimo indispensabile la penetrazione dell’ossigeno nel vino, contribuendo al fenomeno generale dell’allungamento dei tempi e dei suoi effetti. Lo stesso tempo di invecchiamento in pianura farebbe sviluppare troppo il vino e perdere le sue qualità. Quindi, dominando lo scorrere del tempo, grazie alle condizioni di invecchiamento molto specifiche, il vino guadagna in eleganza, espressività e freschezza. Questo gli conferisce anche un notevole potenziale di invecchiamento.

La mineralità è la caratteristica principale del Petite Arvine Les Titans 2020, invecchiato per 24 mesi in botti di rovere a 2.200 metri di altitudine nella diga della Grande Dixence. Rivela aromi agrumati come pompelmo e limone. Al palato, presenta un perfetto equilibrio tra morbidezza e ricchezza, con un bel finale acido. Si consiglia di servirlo come aperitivo o con frutti di mare e pesce.

Les Titans - Petite Arvine 2020 – Aoc Valais Provins

Provins è una delle cantine svizzere ad aver vinto più medaglie in concorsi nazionali e internazionali: risultati che premiano il lavoro dei suoi enologi e dei circa 1.200 viticoltori che forniscono uve ineccepibili. Fondata nel 1930, costituisce quasi il 13% della produzione del Vallese, con circa 600 ettari coltivati. Gestisce i propri vigneti su quasi 150 ettari con un sistema di mezzadria; il resto viene lavorato dai viticoltori locali.

Vino speciale &

valore

Tonificante palmarès

Martigny Petite Arvine

Aoc Valais 2022

Domaine Gérald Besse

Sarah Besse ingegnere viticolo ed enologa

Le parcelle della tenuta di Patricia e Gérald Besse si trovano nei vigneti di Martigny e Bovernier. Pendii ripidi che richiedono una viticoltura manuale e poco meccanizzata, per ottenere prodotti di qualità. Le diverse varietà d’uva vengono vinificate con rispetto, valorizzando il terroir e la sua tipicità per creare vini schietti e pieni di carattere. Con l’arrivo della figlia Sarah, la tradizione si rinnova, sempre però fedele all’approccio artigianale originario.

Decanter World Wine Awards

I “Best in Show” sono il più alto riconoscimento che il wine magazine britannico Decanter, punto di riferimento del settore, attribuisce al fior fior delle oltre 18mila bottiglie valutate dai suoi esperti. In una degustazione separata, i quattro co-presidenti riassaggiano tutti i vincitori della medaglia platino per selezionare le migliori etichette. Un onore guadagnato il 19 giugno dal Martigny Petite Arvine 2022 del Domaine Gérald Besse.

Imiei genitori, Patricia e Gérald Besse, hanno acquistato il loro primo ettaro nel 1979. Hanno ripiantato completamente le viti e fatto la loro prima vendemmia esattamente 40 anni fa, nel 1984. Stagione dopo stagione hanno proseguito, fino a estendere la tenuta a 20 ettari. La natura e l’uva sono dunque state parte della mia vita sin dall’infanzia. Prima l’uva e il suo succo, poi il profumo del vino e il primo assaggio… Undici anni fa ho iniziato a lavorare in vigna, perché per fare un buon vino ci vuole prima di tutto una buona uva. Dal 2016, come enologa, mi occupo anche della vinificazione.

Amo i vini caratterizzati da molta finezza e mineralità al palato, accompagnati da una buona acidità. La Petite Arvine ne è il re, con un tocco di salinità sul finale. È esattamente il mio tipo di vino, molto raffinato, con una buona acidità e mineralità. Il vitigno è piantato su roccia granitica, con un terreno di 2 ettari composto da sabbia e argilla, con molti ciottoli. È esposto a sud-ovest a 550 metri di altitudine su un pendio molto ripido, che nel periodo estivo gode del clima mediterraneo della Valle del Rodano.

Il 1992 è stata la prima annata della nostra Petite Arvine. Su questo vino effettuo solo la prima fermentazione per preservarne gli aromi freschi, con note caratterizzanti di rabarbaro, pompelmo rosa e scorza di agrumi, e la buona acidità. Per rispettarli, l’affinamento avviene rigorosamente in vasche di acciaio inox. Presenta un bouquet complesso, esuberante e ricco di freschezza.

Sorprendente

Mondial Merlot & Assemblages

Se a confermarsi re del Merlot, terzo vitigno in Svizzera per estensione, è il Ticino, con 23 delle 59 medaglie d’oro e il premio Gran Maestro alla Fattoria Moncucchetto, a Cantina Ra Canva e ad Angelo Delea, ad aver fatto sensazione alla 17esima edizione del Mondial du Merlot & Assemblages a metà giugno a Zurigo, ottenendo il titolo di miglior Merlot svizzero puro, è il lucernese Merlot Rosenau 2022 dei due giovani talenti che hanno rilevato Weinbau Ottiger.

La nostra avventura di viticoltori è iniziata nel 2022, quando abbiamo avuto la possibilità di rilevare Weinbau Ottiger, che dal prossimo 7 dicembre, al termine del processo di rebranding, prenderà il nome di Weingut Kastanienbaum, per darle una nostra identità e sottolineare il legame con il terroir dell’omonimo villaggio lucernese. La posizione prealpina direttamente sulle rive del lago dei Quattro Cantoni offre infatti un clima ideale per la viticoltura, con terreni ghiaiosi e sabbiosi, poveri di sostanze nutritive. La nostra filosofia di produzione segue un approccio minimalista che si applica nel vigneto - con basse rese, uve sane e mature, e tutti i lavori svolti a mano - come in cantina, con un invecchiamento classico in barrique francesi per almeno 12 mesi, seguito da una filtrazione grossolana. Il vino viene poi imbottigliato senza aggiunta di aromi.

Aver vinto il titolo di miglior Merlot svizzero, categoria solitamente presidiata dal Ticino, ci riempie di gioia e ci motiva a continuare a sviluppare i nostri prodotti. Il Rosenau 2022 riesce a racchiudere in bottiglia l’essenza del nostro microclima a Kastanienbaum. Rispetto agli altri Merlot risulta non troppo fermentato, accessibile, con meno note verdi (paprika, edera); presenta un bellissimo colore rosso granato con riflessi violacei, aromi intensi di ciliegie nere e cassis, completati da fini note tostate di tabacco e caffè. Al palato è potente, con una struttura multistrato e un’eleganza vellutata, che si abbina bene a carni rosse o risotti.

Merlot Rosenau

Aoc Luzern 2022

Weinbau Ottiger

Kevin Studer e Denis Koch viticoltori

In origine, Kevin Studer si è formato come apprendista cuoco, Denis Koch come paesaggista, ma la passione per il vino li ha spinti verso l’enologia. Quando poi è arrivata la possibilità di rilevare la tenuta fondata nel 1981 da Toni Ottiger, hanno potuto mettere radici. Oggi fanno tesoro delle esperienze passate, Kevin impegnato principalmente in cantina, Denis nei vigneti, ma ogni decisione viene presa insieme. Giovanissimi - 33 e 29 anni - ma già vincenti, sono stati anche nominati “Rookies of the Year” da Gault Millau, che così segnala e sostiene i talenti emergenti.

Sogno e son desto

È nell’inconscio, nell’onirico e nel meraviglioso che il surrealismo ha cercato la via d’una riconciliazione con la realtà, denunciando il fallimento del razionalismo. Fra le mostre che celebrano il centenario della più longeva e internazionale fra le avanguardie del Novecento, la mostra del Centre Pompidou è impareggiabile nel testimoniarne la forza creativa e politica, in tutta la sua dirompente attualità.

Se le avanguardie storiche sono accomunate dalla volontà di rottura con i codici espressivi del passato, nessuna quanto il surrealismo ha saputo andare oltre l’impulso reazionario per dare vita a un’esperienza che, per durata (oltre quarant’anni) e irraggiamento (i cinque continenti), è stata senza eguali. Sconfessando il mito prometeico del razionalismo moderno, lo choc del primo conflitto mondiale interpellava artisti e intellettuali a denunciare il fallimento dei valori di cui, dall’illuminismo in poi, si era nutrito l’Occidente. «Se i dadaisti si limitano a fare tabula rasa di quel passato, molto presto alcuni fra loro, a Parigi, si distanziano da quel nichilismo, intendendo proporre invece una visione alternativa di armonia tra uomo e natura, che l’esempio di altre culture mostrava essere ancora possibile. Con il Manifesto surrealista del 1924, pubblicato come premessa alla sua stessa raccolta di poesie Poisson soluble, André Breton battezza il movimento, esplicitandone i principi nella celebre definizione, che recita: “ Puro automatismo psichico con cui ci si propone di esprimere, verbalmente, per iscritto o in qualsiasi altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Dettato del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, senza alcuna preoccupazione estetica o morale”. E infatti, molto rapidamente, dall’esordio in capo letterario, dove si concretizzava con spe-

rimentazioni del linguaggio liberato dal controllo della ragione, il surrealismo si è aperto alle arti visive, alla fotografia e al cinema», spiega Marie Sarré, co-curatrice insieme a Didier Ottinger della grande mostra Surréalisme che il Centre Pompidou di Parigi dedica, fino al 13 gennaio 2025, al centenario del movimento. Proprio l’originale del Manifesto, ecce-

zionalmente prestato dalla Bibliotèque nationale de France, è il fulcro attorno a cui si sviluppa l’allestimento, declamato dalla voce stessa di Breton, ricostruita grazie all’ausilio dell’intelligenza artificiale dall’équipe dell’Institut de recherche et coordination acoustique/musique (Ircam) del museo parigino.

Salvador Dalí, Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio, olio su legno, 51 x 41 cm, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid.

Da una parte Breton, e con lui gli iniziatori del movimento Louis Aragon e Philippe Soupault, additano dunque l’irrazionalità di coloro che, convinti della propria lucidità, avevano condotto alla prima guerra mondiale. D’altra parte trovano invece veggenza nelle allucinazioni di coloro che venivano comunemente ritenuti ‘folli’, come i tanti traumatizzati dalle esperienze al fronte che lo stesso Breton aveva contribuito ad assistere, inviato come barelliere. «Un altro principio chiave del surrealismo è il sogno: da studente di medicina, Breton era rimasto affascinato dall’opera di Albert Maury, che poneva le basi per lo studio neurologico dei sogni. Quando a metà anni Venti Freud viene tradotto in francese, scopre i suoi metodi per interpretare i sogni dei pazienti psicotici a scopo terapeutico. I surrealisti se ne appropriano a fini poetici e iniziano a pubblicare i resoconti dei loro stessi sogni sulle pagine delle loro riviste, cercando di innescare attraverso l’arte l’effetto delle immagini che si presentano ai margini del sonno», prosegue Marie Sarré.

© Provenance: Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid.
© Salvador Dalí, Fundació Gala-Salvador Dali / Adagp, Paris 2024

I surrealisti non si limitano all’evasione nell’onirico, confermando il loro engagement politico: denuncia del colonialismo, opposizione al totalitarismo e lotta contro tutte le minacce alla libertà e alla dignità umana. Nel 1927 avevano aderito pressoché in blocco al partito comunista. «Tuttavia era esplicita volontà di Breton che poetica e politica restassero due gambe su cui avanzare parallelamente, senza che l’una scavalcasse l’altra. L’artista surrealista deve essere impegnato politicamente nella vita, senza che si manifesti esplicitamente nelle sue opere, pena l’allontanamento. Questa impermeabilità è però stata rimessa in discussione dall’evoluzione storica, con lo scoppio della seconda guerra mondiale. La porosità diventa evidente, ad esempio, nelle opere di Max Ernst, con i suoi mostri che alludono a quelli reali della storia», sottolinea la curatrice. Ed è anche una differenza precipua rispetto a un altro movimento che quest’anno ha festeggiato un importante anniversario - 150 annicome l’impressionismo, rimasto invece esclusivamente artistico.

Se fra le tante mostre che accompagnano la ricorrenza (tre molto interessanti si sono concluse a fine agosto nei musei del centro espositivo losannese Plateforme 10), questa del Centre Pompidou si contraddistingue per qualità e numero delle opere presentate su oltre 2mila mq di superficie espositiva. Un’esaustività frutto anche dell’impostazione che, a oltre vent’anni dell’ultima mostra dedicata dal Centre Pompidou al movimento nel suo complesso, torna dopo le tante monografiche e tematiche ad adottare una prospettiva di insieme, aggiornata ai risultati dei molti studi condotti nel frattempo in ambito museale, universitario e anche gender. «Questo ci ha permesso di ridare il posto che gli spetta al surrealismo del dopoguerra, spesso negletto, amputando sostanzialmente metà della sua storia che si estende almeno fino all’ottobre 1969, data dello scioglimento ufficiale. Inoltre ne abbiamo rivisto la geografia, che va ben oltre Parigi e i confini europei, raggiungendo Nord e Sud America, ma anche Maghreb, Egitto e Asia, dove tocca Shanghai e il Giappone», precisa Marie Sarré.

«La forza creativa del surrealismo, la sua longevità e il suo successo internazionale stanno proprio nel non essersi fatto imbrigliare da formalismi. Molte sono le connotazioni espressive assunte. Ad accomunarle, l’aspirazione a re-incantare il mondo, introducendo nuovamente il meraviglioso»

Marie Sarré, co-curatrice della mostra “Surréalisme” del Centre Pompidou di Parigi

L’allestimento inanella 13 sale tematiche riproducendo lo schema di un labirinto, emblema del tentativo di conciliazione degli opposti del surrealismo e soggetto iconografico ricorrente (e Minotaure è il titolo della rivista culto, pubblicata fra il 1933 e il 1939). Lungo il percorso si incontrano le figure letterarie che hanno ispirato il movimento ( Lautréamont , Carroll, de Sade, ..) e le mitologie che ne hanno strutturato l’immaginario poetico (l’artista-medium, il sogno, la notte, la foresta, la pietra filosofale, le chimere, ...). In linea con l’approccio multidisciplinare del Centre Pompidou, sono affiancati dipinti, disegni, film, fotografie e documenti.

Ma chi ne sono stati i protagonisti? «La forza creativa del surrealismo, la sua

longevità e il suo successo internazionale stanno proprio nel non essersi fatto imbrigliare da formalismi. Molte sono le connotazioni espressive assunte, e si può dire che ci siano altrettante differenze fra l’arte di Magritte in Belgio e di Tatsuo Ikeda in Giappone, quanto fra due connazionali come Dalì e Mirò. A unirli tutti, però, l’aspirazione condivisa a re-incantare il mondo, introducendo nuovamente il meraviglioso, un concetto che assomma tanti dei principi del surrealismo», spiega Marie Sarré. Inizialmente l’attenzione converge sull’applicazione dell’automatismo alle arti visive: nascono i frottages di Max Ernst, i disegni sulla sabbia di André Masson, le rayografie di Man Ray, le decalcomanie di Oscar Dominguez o,

René Magritte, Les valeurs personnelles, 1952, olio su tela, 80 x 100 cm, San Francisco Museum of Modern Art.

ancora, i fumages dell’austriaco Wolfgang Paalen , oltre alle opere collettive come quelle realizzate con la tecnica del cadavre exquis, gioco surrealista per eccellenza, in cui l’opera finale è composta dai disegni eseguiti da ciascun partecipante senza sapere cosa abbiano fatto gli altri.

«Poi, nel 1929 Dalì arriva a Parigi scompaginando le carte con la sua teoria della paranoia-critica che, attraverso l’associazione interpretativa dei fenomeni deliranti, gli permette di raggiungere una percezione moltiplicata della realtà. A sua volta Magritte guardando all’estetica del collage di Lautréamont propone una pittura che nasce dall’incontro casuale fra oggetti, abbinata a una resa minuziosa ben lontana dall’automatismo. Dal 1936 prende importanza anche l’oggetto, caricato di significati politici, ad esempio con Alberto Giacometti. E progressivamente le varianti si moltiplicano con lo sviluppo di foyer internazionali, che nascono solitamente come reazione ai nazionalismi emergenti che porteranno alla seconda guerra mondiale», prosegue la curatrice.

La mostra del Centre Pompidou sottolinea la forte presenza femminile fra le fila dei surrealisti. Sopra, la belga Suzanne van Damme, Composizione surrealista, 1943, olio su tela, 90 × 100 cm. Sotto, Joyce Mansour, [Objet méchant], 1965-69, metallo, 13 × 20 × 20 cm, collezione privata, esplora un altro tema emblematico del surrealismo, l’erotismo, al quale fu interamente dedicata l’ottava esposizione collettiva del 1959.

Parigi si qualifica come l’epicentro, anche per l’ineguagliata densità di capolavori provenienti da importanti collezioni pubbliche e private internazionali, come Valori personali e Il cervello del bambino di Magritte, Il grande masturbatore di Dalí, La canzone dell’amore di de Chirico, La grande foresta di Max Ernst, Il cane che abbaia alla luna di Miró e tanti altri, accanto a nomi da scoprire.

Al contempo, dalla mostra emerge con evidenza la rilevanza dell’apporto femminile: mecenati come Simone Collinet e Peggy Guggenheim, stiliste come Elsa Schiapparelli, e molte artiste: Leonora Carrington, Remedios Varo, Ithell Colquhoun, Dora Maar, Dorothea Tanning, ... «È stata l’avanguardia che ha dato maggior spazio alle donne, e non come muse, a meno di non voler considerare tali figure sovversive come l’anarchica Germaine Berton, assassina del direttore di Action française, la parricida Violette Nozière o le sorelle Papin, domestiche omicide. Se al momento della fondazione erano ancora minoritarie, alla mostra collettiva di Londra nel ’37 erano oltre il 20% degli artisti esposti, eccezionale per l’epoca. Firmano manifesti e trattati politici, prendendo piena parte allo sviluppo del movimento», sottolinea Marie Sarré.

La mostra del Centre Pompidou si inscrive all’interno di un progetto espo-

sitivo itinerante che ha preso le mosse negli scorsi mesi dai Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique a Bruxelles, con un focus sui legami con il simbolismo belga, e proseguirà alla Hamburger Kunsthalle, alla Fundación Mapfré Madrid per terminare tra fine 2025 e inizio 2026 al Philadelphia Museum of Art, ogni volta reinventandosi, senza calare lo stesso format in contesti diversi, ma invitando i curatori ad approfondire le intersezioni fra surrealismo e la scena artistica nazionale: romanticismo in Germania, Dalí, Miró e Buñuel in Spagna, infine l’America in senso ampio, incluse quella latina e il Messico centrale. Come detto, quella di

Anche se in apparenza il suo linguaggio surrealista potrebbe apparire ermetico e autoreferenziale, oggi come cent’anni fa continua a conoscere un forte successo di pubblico. «Tutte le undici collettive, di cui Duchamp fu spesso scenografo, furono frequentate da migliaia di visitatori, tanto da essere maliziosamente descritte dalla critica più erudita come “luna park”. Lo scioglimento ufficiale non ha segnato la fine della sua influenza sull’arte e sulla società. Continua a ispirare biennali d’arte contemporanea, produzioni cinematografiche, moda, fumetti, design e ogni monografica dedicata a Dalí, Magritte o altri suoi protagonisti attira un folto pubblico», conclude la curatrice della mostra Surréalisme del Centre Pompidou.

D’altra parte l’attualità delle tematiche affrontate dal surrealismo non tramonta, anzi. Ad esempio, nel 1938, il poeta Benjamin Péret anticipava le preoccupazioni ecologiste scrivendo un testo ispirato alla fotografia di una locomotiva abbandonata nel cuore della foresta amazzonica, intitolato La natura divora progresso e lo supera, che potrebbe stato pubblicato oggi. O ancora, l’ultima mostra collettiva del movimento nel 1965, L’écart absolu, contestando il culto della tecnologia e l’ossessione materialistica delle società ‘avanzate’ poneva al centro delle sue sale un totemico spaventapasseri gigante rappresentante un grottesco consumatore e - giocando con il francese in cui computer si traduce ‘ordinateur’ - un ‘grande disordinatore’. Basterebbe condire con una spruzzata di Ai per la versione 4.0.

Mirta Francesconi

© Louis Gaston / Manuka / © Joyce Mansour
© Collection RAW (Rediscovering Art by Women). Droits réservés

CERTIFICAZIONI PER IL RICONOSCIMENTO

DELLE COMPETENZE DI LEADERSHIP

DI UFFICIALI, ISTRUTTORI E COMANDANTI DEI POMPIERI

Le attività di leadership nelle funzioni di milizia sono state finora poco riconosciute in Svizzera, così come le esperienze e le competenze dei pompieri. I capi milizia assumono talvolta funzioni di comando complesse e di alta responsabilità.

Swiss Leaders ha sviluppato un certificato e i relativi modelli di competenza in collaborazione con la Coordinazione svizzera dei pompieri (CSP).

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Come si ottiene il certificato?

Chi è ufficiale, istruttore o comandante dei vigili del fuoco può ottenere un certificato delle competenze di leadership Swiss Leaders.

Destinazione ideale di villeggiatura dei confederati, il paesaggio mediterraneo

dell’odierno Ticino è stato modellato anche per aderire alla loro immagine del Sud. Fra utopia e realtà, l’arte ne fa emergere nuovi ecosistemi emotivi alla Fondazione Bally.

Il mito d’Arcadia

Quando nella seconda metà degli anni Trenta la strada carrozzabile del passo del Gottardo venne finalmente adattata alle esigenze del traffico automobilistico, affiancata anche dalla cosiddetta “autostrada viaggiante” che permetteva di caricare in coda ai treni merci che transitavano dal traforo un paio di vagoni di automobili, quel Ticino fino ad allora frequentato soprattutto da tedeschi, austriaci, milanesi e qualche britannico per la sua aria pura di mite località alpina, è diventato a pieno titolo la destinazione prediletta dai confederati. Calando sul territorio l’esotismo associato alla loro immagine mentale di località mediterranea, ne fecero il loro ‘salotto soleggiato’ (Sonnenstube). Palme e vegetazione tropicale, ville classicheggianti se non addirittura orientaleggianti, finti ruderi, colonnati, riproduzioni di sculture antiche e persino grotte artificiali. Un fake a cui la regione si è adattata non solo per convenienza economica, ma scoprendovi anche parte della propria vera identità.

Su questi sottili equilibri tra natura e artificio, chimera e realtà, che fondano l’utopia di un patrimonio immaginario e immemore gioca la nuova mostra della Fondazione Bally. Fedele al suo proposito di ospitare in residenza artisti che possano farsi ispirare dalla regione, dalla sua storia, dal suo paesaggio e dalla sua mi-

A sinistra e sopra, dopo aver studiato il paesaggio ticinese durante il periodo di residenza a Villa Heleneum, a Castagnola, il duo Ittah Yoda ha realizzato per la mostra Arcadia, in programma alla Fondazione Bally fino al 12 gennaio 2025, un ambiente immersivo popolato da dipinti, sculture, profumi e oggetti. Sotto, la direttrice Vittoria Matarrese, curatrice dell’esposizione collettiva.

tologia, portandovi a propria volta il loro mondo, la direttrice Vittoria Matarrese per la seconda esposizione collettiva dopo quella inaugurale nel 2023, ne ha invitati a Castagnola, a Villa Heleneum - a sua volta un’architettura rispecchiante questo concetto di Sud - una quindicina da tutta Europa, e oltre, ponendoli di fronte all’interrogativo di come si possa modellare un paesaggio più emotivo che geografico. Il risultato sono opere site specific che abitano la Villa interagendo con i suoi spazi: «Gli artisti sanno sempre sorprendere e questo è molto bello! Mai avrei potuto immaginare, per esempio, che nell’installazione del duo Ittah Yoda, che ha trascorso in residenza circa un mese e mezzo, la statua scolpita da Virgile Ittah, una sorta di centauro, avrebbe preso le stesse sfumature dei marmi della villa utilizzando una tecnica molto vicina a quella usata per il marmo delle chiese ticinesi. Né potevo prevedere un’interpretazione così originale del lago di Lugano, evocato da frammenti che sembrano emergere da un ricordo lontano», illustra Vitto-

ria Matarrese, riferendosi alle due sale contigue al cuore del primo piano che il duo franco-giapponese ha trasformato in un’Arcadia nell’Arcadia con un’installazione composita, che gioca tutti gli elementi, i sensi e diverse tecniche espressive. «L’artista svizzera Julia Steiner, per fare un altro esempio, ha invece condotto ricerche approfondite sull’architettura della Villa scegliendo di concentrarsi su uno spazio di transizione, sfruttando pareti e soffitti per creare il trompe-l’oeil di un vortice, simile a una brezza che trasporta la vegetazione esterna all’interno dell’edificio e poi nuovamente fuori, con sottili giochi di chiaroscuro ed effetti di profondità che creano un’esperienza immersiva», descrive la Direttrice. Non si è voluta dare priorità agli artisti ticinesi, ma non ne mancano due in mostra. In particolare colpisce l’opera collocata nel portico, accessibile anche a chi visita liberamente il parco, ribattezzata “gli occhi della Villa”: quelli di una civetta, che potrebbero però anche essere due ali, proposti da Lisa Lurati. La sua pratica si lega al mondo animale, come conferma anche la sua altra opera, al secondo piano: un enorme telo di lino con una stampa blu in cianotipia che evoca una surreale foresta.

Sopra, il vorticante trompe-l’oeil dell’artista basilese Julia Steiner scompagina gli spazi di Villa Heleneum (Fluttering lights, 2024). Un’esperienza immersiva.

C’è anche un celebre ticinese di adozione, che la regione l’ha dipinta e descritta tanto bene, Hermann Hesse, presente con tre acquerelli. Insieme a lui un altro nome storico, Mario Schifano con la sua Palma del 1973, pezzo forte prestato dalla Collezione Olgiati: una presenza-assenza, con la sua silhouette svuotata, perché proprio come in Ticino, anche a Los Angeles (cui fa riferimento Schifano in questa sua serie) la palma che pure ne è diventata l’emblema non era una specie autoctona, ma importata. Ben 25mila ne furono piantate solo per abbellire Hollywood in occasione delle Olimpiadi del 1932. E se proprio da questo primo settembre in Ticino

Sopra, le microscopie dell’opera di denuncia di Mehdi-Georges Lahlou, The Conference of the Palm Trees, 2023. Sotto, il bosco surreale di Lisa Lurati, 2023, cianotipo su lino, 350 x 500 cm.

è proibito vendere, regalare o importare palme di Fortune, le più diffuse, diventate troppo invasive, anche a L.A. ora che le prime arrivate cominciano ad accusare una certa età si sta pesando di rinunciare al proprio simbolo per motivi ambientali. Di opere a carattere ecologico, che il tema ‘Arcadia’ non poteva che suggerire, se ne incontrano diverse in mostra: è il caso, per limitarsi a citare una delle interpretazioni più efficaci, delle microscopie di palme morte dell’artista franco-marocchino Mehdi-Georges Lahlou, denuncia delle conseguenze del cambiamento climatico e dello sfruttamento delle risorse naturali. Molto interessante, per calarsi nello spirito della mostra, anche il contributo dell’Archivio Storico della Città di Lugano in apertura del percorso: «Una selezione di cartoline storiche che illustra con efficacia come un territorio in origine prealpino si sia trasformato, tra il 1900 e il 1976, per incarnare una certa visione del Sud, fino a palesi fotomontaggi dove le palme vengono aggiunte per creare un’atmosfera di “Swiss Riviera”, come veniva definita in un opuscolo promozionale del 1939, alludendo alla costa francese. Ecco, il mito di Arcadia, ideale di perfezione e di equilibrio tra clima, paesaggio e art de vivre in simbiosi con la natura, mi è sembrato rappresentare con grande efficacia il paradigma a cui il Ticino ha teso sin dal primo Novecento e alla cui consolidazione, oltre ai turisti, hanno contribuito numerosi artisti e scrittori», conclude Vittoria Matarrese.

Una chicca extra muros: nella chiesetta sconsacrata di Parco San Michele, l’artista francese Maxime Rossi ha materializzato una rara orchidea albina visibile attraverso le finestrelle illuminata da una luce ultravioletta. Un omaggio a Nabokov e uno dei tasselli dell’installazione interdisciplinare, arricchita dalla realtà aumentata, che ha realizzato per Arcadia. Da scoprire e decifrare.

© Foto Andrea Rossetti / Courtesy of the artist & Galerie Papillon, Paris
© Foto Andrea Rossetti / Courtesy of the artist & Galleria Daniele Agostini, Lugano
© Foto Andrea Rossetti / Courtesy of the artist & Galerie Urs Meile, Beijing-Lucerne-Zurich-Ardez.

TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI MILANO

16 - 17 OTTOBRE 2024

Il Leadership Forum è il grande business event dedicato ai temi della leadership e del management che, da 13 anni, attrae migliaia di decision maker, imprenditori, CEO e top manager. Business thinker del panorama globale, esperti di management, del mondo accademico e culturale, in un evento unico di aggiornamento e networking per ispirare il cambiamento, trasformare le imprese e ripensare insieme il futuro del business.

Un piccione fuori l(u)ogo

Al di là del giudizio estetico, il nuovo logo del rebrandizzato London Museum offre lo spunto per riflettere sulle qualità grafiche e simboliche che questo cruciale elemento della identità visiva di un’istituzione culturale dovrebbe soddisfare.

Come ben ricordiamo dal 2016, quando il Metropolitan Museum of Art di New York si è ribattezzato The Met e ha sostituito il suo amatissimo logo ispirato all’Uomo vitruviano, pochi aspetti dell’identità di un museo sollevano un’attenzione critica e commenti come il logo.

Aspetto più visibile dell’identità di un museo, i loghi vengono ridisegnati per varie ragioni, di solito in risposta a un cambiamento di visione o di sede. Recentemente il London Museum ha deciso di rinnovare il proprio per entrambi i motivi: trasloco (nel mercato di Smithfield) e mutamento di nome (da Museum of London). La nuova identità - un piccione di porcellana accanto a un mucchio dorato di feci - è stata scelta sulla base di gruppi di discussione che hanno coinvolto oltre 500 partecipanti sollevando, come prevedibile, un polverone, dato il suo ruolo di museo storico di riferimento di Londra.

Senza entrare nel merito delle qualità estetiche, vorrei evidenziare alcune questioni dalla prospettiva di chi di formazione è grafico, architetto e, da una trentina d’anni, direttore di museo e, proprio di recente, ha ridisegnato l’identità di un’importante istituzione culturale italiana, la Pinacoteca di Brera.

Mettetevi nei panni del direttore del museo che vuole dimostrare la volontà della sua istituzione di ascoltare i suoi cittadini, da qui i focus group - un’intenzione del tutto lodevole e sensibile. Tuttavia, come si è visto con Brexit, una volta che il processo è avviato non può essere fermato senza ripercussioni politiche, e l’opzione di dar voce alle persone e poi dire semplicemente “no grazie” non è percorribile. Né si può essere certi che i focus group siano rappresentativi di tutti

gli interessati. Quindi, in un certo senso, si può dire che, non appena iniziato il processo consultivo, il direttore fosse già in trappola.

A Brera, nonostante l’impegno per l’“ascolto visibile” e il coinvolgimento del pubblico, nel caso del logo abbiamo deliberatamente scelto di rivolgerci al più grande grafico italiano allora vivente, Franco Maria Ricci, che ha generosamente progettato un nuovo logo a costo zero

Il nuovo, criticato, logo del London Museum, disegnato da Uncommon Creative Studio con un processo partecipativo.

©LondonMuseum

che incorporava gli occhi dalle illustrazioni dell’Encyclopédie di Diderot, il motto “a occhi aperti” e il carattere tipografico Bodoni, disegnato nello stesso decennio in cui la Pinacoteca è nata, duecento anni fa. Ha così colto l’essenza del Dna semiotico della Pinacoteca, espressione dell’Illuminismo, dai cui valori è tuttora guidata, inaugurata da Napoleone nel 1809 e votata a consentire ai suoi utenti di vedere il mondo familiare con occhi nuovi. Il logo ci dice chiaramente chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando. Dal punto di vista semiotico, cosa dicono un piccione e il suo obolo dorato del rinnovato museo londinese? I piccioni non

James M. Bradburne, grafico e architetto, già Direttore della Pinacoteca di Brera, autore di questa riflessione.

sono un’esclusiva di Londra e sono forse più associati ad altre capitali culturali come piazza San Marco a Venezia o Roma. Gli “splat” sono altrettanto diffusi, anche se forse solo Londra, in quanto capitale finanziaria, può vantare quelli dorati. Così come a sul piano creativo è importante non farsi intrappolare dal processo, su quello puramente tecnico è importante non farsi ingabbiare dall’applicabilità. Il nuovo logo del London Museum presenta una resa a mezzatinta che funziona abbastanza bene sugli schermi, ma se si considerano le altre migliaia di impieghi diversi, tra cui carta intestata, biglietti da visita, poster, affissioni e pubblicità cartacea, il team potrebbe avere difficoltà a mantenere la coerenza visiva del nuovo logo, con il rischio di indebolirne la riconoscibilità nel tempo. I loghi alla moda, spiritosi o che presuppongono conoscenze da addetti ai lavori tendono a invecchiare male.

Il Museo di Londra aprirà nella sua nuova sede nel 2026, il che lascia un margine alla direzione per trovare con tatto modi di adottare la scelta del pubblico, e possibilmente commissionare un nuovo logo. Il centro scientifico e tecnologico Nemo di Amsterdam, ad esempio, ha cambiato nome e logo quattro volte dal 1994 al 1999, finché non ha trovato un’identità grafica che esprimesse i suoi valori e parlasse al suo pubblico. Fortunatamente, a differenza del referendum sulla Brexit, c’è una seconda occasione e di chiedere a sé stessi e al proprio pubblico “ma ne siamo proprio sicuri?”.

L’ora giusta per il futuro

Una delle poche aziende orologiere svizzere indipendenti, Oris è l’unica con sede nella valle di Waldenburg, dove scorre il ruscello che le ha dato il nome. Durante120 anni, i suoi segnatempo hanno esplorato il mondo dalle profondità subacquee alle lunghe rotte nei cieli, capaci di vivere e far vivere, ogni sorta di avventura. Oggi anche ai collezionisti.

C’ è un suggestivo parallelismo, o piuttosto un intreccio ordito dal destino, tra lo scorrere del ruscello Oris, nella Svizzera nord-occidentale, e lo scorrere del tempo a cui l’omonima azienda orologiera svizzera ha dato forma.

A far da cornice è Hölstein, località a venti chilometri da Basilea, dove nel 1904

Paul Cattin e Georges Christian hanno fondato un’azienda orologiera innovativa. Tuttora una delle poche indipendenti nel settore e, ancor più rare, a realizzare esclusivamente orologi meccanici. La fabbrica originale è stata modernizzata, ma Oris

è rimasta sempre nello stesso sito, radicandosi sempre più nel villaggio e nella comunità che lo circonda. Negli anni Sessanta, Oris era già una delle più grandi aziende orologiere che animavano allora il panorama elvetico, in grado di progettare movimenti, produrre strumenti propri e impiegare più di mille persone. Pioniera inoltre nel preoccuparsi del benessere dei suoi collaboratori, per i quali ha edificato case, organizzato trasporti, creato mense. Alla fine del decennio successivo, Oris aveva sviluppato e prodotto 279 calibri unici, consolidando la sua reputazione mondiale per gli orologi meccanici di alta qualità e meticolosamente progettati. All’inizio del 1910, agli albori dell’aviazione, avviò la produzione di orologi per piloti. Il Big Crown del 1938 è diventato un punto di riferimento per l’industria orologiera. Con la sua corona sovradimensionata, la funzione di data a lancetta e il design chiaro del quadrante, è arrivato al polso di molti aviatori. Che ne hanno sempre apprezzato affidabilità, praticità e leggibilità ad alte quote.

A sinistra, dall’alto, tre immagini tratte dall’Archivio di Oris. Sopra, la locandina realizzata per celebrare i 120 anni dell’Azienda, fondata a Hölstein, nel 1904.

«Oggi, a distanza di quasi nove decenni dal suo lancio, il Big Crown Pointer Date è ancora in produzione, rimanendo la nostra firma e un’icona dell’industria orologiera», esordisce Rolf Studer, CoCeo di Oris.

Intanto, sul fronte dei calibri, nel 1952 vedeva la luce il Calibro 601, il primo precisissimo calibro automatico della Maison, amato dai collezionisti, non diversamente dal 645 a 25 rubini del 1966 e dal 652 del 1968: una triade appassionante. Dai cieli alle profondità subacquee, gli anni ’60 e la moda delle immersioni marine, hanno invogliato il Marchio a sviluppare innumerevoli orologi specifici, ottenendo brevetti per invenzioni come il Rotation Safety System e vari dispositivi che hanno reso più facile la regolazione dei cinturini e la loro tenuta al polso. «L’obiettivo costante è stato quello di progettare orologi che avessero un senso. Orologi meccanici eleganti, funzionali e perfettamente adatti alla vita delle persone nel mondo moderno», precisa Rolf Studer. Negli anni Ottanta, due dipendenti, il dottor Rolf Portmann e Ulrich W. Herzog, guidano un ma nagement buy-out dell’a zienda. «Accompagnando, di fatto, Oris in una nuova era meccanica, e concen trandosi sul piacere della meccanica in un momento in cui molti stavano abbandonando questa tradizione a favore del quarzo. Un’idea che si è rivelata estremamente preveggente durante la rivitalizzazione dell’industria oro logiera svizzera che di lì a poco sarebbe arrivata.

Gli anni ’80 hanno segnato il lancio del Calibro 581, con calendario completo e fasi lunari: a sua volta, molto apprezzato. In quel periodo, gli acquirenti di orologi iniziarono a cercare prodotti concreti, che andassero oltre l’effimero consumismo incarnato dagli orologi al quarzo prodotti in serie.

«Oris, completamente indipendente ed esclusivamente ‘meccanica’, ha svolto un ruolo centrale nella rinascita dell’orologeria meccanica svizzera che ha avuto un’accelerazione nel ventunesimo secolo», aggiunge l’amministratore delegato, che condivide la funzione con Claudine Gertiser-Herzog.

Nel 2010, a rilanciare il programma di creazione di movimenti Oris è stata la serie Calibre 100, per celebrare il 110mo anniversario del Marchio. Questa famiglia di calibri, sviluppata internamente, comprende una riserva di carica di dieci giorni e un indicatore di riserva di carica non lineare. Un’esclusiva combinazione di complicazioni che ha permesso a Oris di riaffermarsi come inventore creativo di movimenti meccanici utili ed esteticamente piacevoli. «Oggi Oris lascia che a raccontare i suoi 120 anni di storia siano le proprie collezioni di orologi completamente meccanici. Queste includono l’orologio-strumento - un best-seller -, l’orologio sportivo retrò Divers Sixty-Five , l’avanguardistico ProPilot X e l’intramontabile Big Crown», afferma Rolf Studer. Queste creazioni sono importanti quanto il programma di creazione dei movimenti Oris, che offrono una riserva di carica di cinque giorni, elevati livelli di antimagnetismo, intervalli di manutenzione consigliati di dieci anni e una garanzia di dieci anni. «Sono il frutto della nostra indipendenza, di cui i nostri fondatori sarebbero orgogliosi», commenta Studer. Attraverso questi orologi e le loro storie, il Marchio ha sviluppato intorno a sé una rete mondiale di appassionati di Oris. Alcuni sono ambasciatori o partner, altri sono semplicemente fan. La rete degli Oris Social Club conta oggi oltre 17mila membri. Sono appassionati di orologi, ma soprattutto sono individui che vivono collegati gli uni agli altri e si preoccupano del mondo che li circonda, apportando un ‘cambiamento

Sopra, da sinistra Rolf Studer e Claudine Gertiser-Herzog, Co-Ceo di Oris, con Ulrich W. Herzog, presidente dell’Azienda. Sotto, l’Oris Big Crown Pointer Date rappresenta l’orologiosimbolo del design del Marchio svizzero indipendente.

positivo’. «I nostri fondatori non erano solo orologiai e imprenditori di talento, ma anche persone che avevano a cuore le loro comunità locali e l’ambiente. Questa è stata la base su cui è stata costruita la nostra azienda. Qualche anno fa, abbiamo formalizzato questo approccio sotto la bandiera ‘Change for the Better’, uno slogan che descrive il nostro programma globale di attività per preservare e proteggere il nostro pianeta, ripulirne le acque e costruire comunità felici e sane. Siamo lieti di lavorare al fianco di alcune delle aziende e delle organizzazioni ambientali più all’avanguardia nel campo dell’azione sociale. Dai New York Yankees alla Lega Calcio Professionistico in Francia, fino ai sostenitori sociali e ambientali come Yusra Mardini e Anna von Boetticher: alcuni dei più influenti agenti di cambiamento di oggi», nota Rolf Studer, che conclude: «Mentre Oris celebra il suo 120esimo anniversario, abbiamo molto da festeggiare e un forte senso di responsabilità. Questa solida base ci dà la fiducia necessaria per continuare a percorrere la nostra strada, sviluppando idee a beneficio dei nostri clienti, del pianeta e dell’eredità Oris che proviene da generazioni di leader visionari. Per noi questo non è solo un dovere, ma anche un tributo di riconoscenza e al tempo stesso un’occasione di gioia».

Simona Manzione

Un savoir-faire senza confini

Fondata nel 2005 da Audemars Piguet, Girard-Perregaux e dal Gruppo Richemont, la Fondation Haute Horlogerie (Fhh), da allora, ha improntato la sua missione sull’influenza internazionale della cultura orologiera, definendo l’orologio come oggetto d’arte e di cultura.

Tutto merito di una feconda alchimia, con Ginevra seicentesca a far da sfondo. La spinta iniziale all’orologeria svizzera è arrivata, infatti, dall’incontro della capacità di orafi celebri con la competenza tecnica dei rifugiati ugonotti, forti - questi ultimi - di propri capitali e reti commerciali. In crescita costante, la produzione orologiera si è poi spostata da Ginevra verso regioni meno urbanizzate: la Vallée de Joux, le Montagnes neuchâteloises e il Vallon de Saint-Imier. Quando l’orologeria svizzera ha dovuto fare i conti con la concorrenza di altri mercati, Stati Uniti in testa, l’élite orologiera scelse di puntare sull’eccellenza tecnica ed estetica, come ‘label’ del prodotto svizzero. Nascevano nel frattempo le scuole di orologeria: a Ginevra, nel 1824, Le Locle nel 1868,

Bienne nel 1872, Porrentruy nel 1884, Soleure-Granges nel 1884 e Le Sentier nel 1901. Al sistema delle fabbriche standardizzate che si andava affermando, hanno fatto eccezione le vallate giurassiane dove la produzione era capillare e proliferavano invece piccoli laboratori indipendenti. Qui sono nati e si sono coltivati innumerevoli mestieri manuali, da allora indispensabili per la realizzazione di orologi di lusso, capaci di alimentare la reputazione mondiale della Svizzera in questo settore.

«Per realizzare un orologio occorrono oggi almeno cento diverse competenze», spiega Aurélie Streit, vice-presidente della Fondation Haute Horlogerie di Ginevra, «un patrimonio di conoscenze e abilità che va preservato e coltivato». Proprio per promuovere la ‘bella orologeria’,

vent’anni fa un gruppo di marchi orologieri indipendenti ha creato la Fondation Haute Horlogerie. A motivare Audemars Piguet, Girard-Perregaux ed il Gruppo Richemont verso questa iniziativa è stato il desiderio di creare una cultura orologiera, diffondendola. «Le competenze orologiere vengono trasmesse in vari modi, sia istituzionalizzati - attraverso una scuola o una formazione interna –sia attraverso la trasmissione familiare o da maestro ad allievo - cosa comune nelle professioni artistiche», prosegue

Sopra, per realizzare un orologio occorrono almeno cento diverse competenze. Non fa eccezione, il Duometre Chronograph Moon di Jaeger LeCoultre.

Aurélie Streit, «la Fondation, che oggi annovera quarantadue Marchi partner, si configura come punto di riferimento e di neutralità per tutti i temi legati all’orologeria e si basa su tre pilastri complementari destinati a un pubblico ampio, composto da professionisti del settore, privati, addetti ai lavori e amatori». I tre pilastri sono Watches and Culture by Fhh, il Forum Fhh e la Fhh Academy. «Il primo dei tre, Watches and Culture by Fhh, dal 2021 mira a far vivere la cultura orologiera attraverso la creazione di contenuti originali, eventi e incontri internazionali, destinati congiuntamente al pubblico e ai professionisti», sintetizza Aurélie Streit, che prosegue, «L’Accademia Fhh, dal canto suo, forma e certifica le conoscenze orologiere dei professionisti di oggi e degli appassionati di domani. Con un’offerta ricca e accattivante fatta di corsi di formazione e certificazioni, i suoi contenuti sono disponibili in classe o online in 22 Paesi, rendendo la conoscenza dell’orologeria accessibile a tutti», spiega Streit, che della Fhh Academy è fondatrice. «In dieci anni di attività, l’Academy ha avuto un incremento costante delle attività volte a diffondere e democratizzare la formazione e la cultura orologiera», prosegue Aurélie Streit, «Oltre 35mila ex allievi hanno seguito l’unico programma di formazione internazionale del suo genere, e oltre 12mila sono stati ufficialmente certificati, grazie all’instancabile impegno dei suoi formatori e distributori locali nei vari Paesi. La certificazione è a tre livelli: advisor, specialist, expert». Nell’attuazione della

sua missione, «il terzo pilastro della Fhh, è il Forum, una piattaforma di discussione concepita dall’industria per l’industria, che informa, interroga e mette in contatto i leader del settore con l’obiettivo di dare forma all’ecosistema del futuro», spiega

Aurélie Streit. La Fondation Haute Horlogerie svolge il compito che si è data anche producendo testi divulgativi in tema di alta orologeria, e valorizzando il lessico proprio del settore. Tra le sue attività, ci sono inoltre l’organizzazione di mostre e importanti collaborazioni. La mostra più recente, «ha inteso mettere in luce quello che è forse il più importante tra i valori legati ai mestieri d’arte dell’alta orologeria: il fattore umano. L’importanza dell’uomo è, e resta, l’elemento predominante (anche) nel settore dell’orologeria, un universo per definizione ‘meccanico’», sottolinea Streit che, quanto alle collaborazioni, cita per esempio «quella con i Geneva Watch Days, l’evento orologiero che si tiene annualmente tra la fine di agosto e i primi di settembre, con cui abbiamo un partnerariato ufficiale. La

Aurélie Streit, vicepresidente della Fondation Haute Horlogerie (Fhh) di Ginevra, e fondatrice nel 2014 della Academy. In basso, la sede della Fondazione a Ginevra.

Fhh promuove l’esperienza orologiera e contribuisce a migliorarne la visibilità, con un’offerta di momenti diversi destinati sia ai neofiti che agli iniziati. Questo avviene nel quadro di una partnership tra le due organizzazioni, avente il comune obiettivo della promozione dell’orologeria». La Fondation Haute Horlogerie è dotata di un Consiglio Culturale che funge da Think Tank per il settore e da un comitato consultivo per le sue attività. Del Consiglio fanno parte membri indipendenti: oltre a Pascal Ravessoud (che, accanto ad Aurélie Streit, è l’altro vicepresidente della Fhh), sono esperti, collezionisti, giornalisti indipendenti, per un totale di più di trenta persone. Sebbene alcune competenze siano scomparse o abbiano subito trasformazioni in passato, «le pratiche attuali dell’orologeria di prestigio non possono essere messe in pericolo, poiché l’alta orologeria è correlata con la sua storia, la tradizione e l’eccellenza. È proprio questa precisione di gesti e di saper fare che pone le basi per associare agli orologi svizzeri un’immagine di eccezionalità, fondata sul lusso e sull’esclusività. Come Fondation Haute Horlogerie, siamo attenti a questo patrimonio da tutelare e divulgare», conclude Aurélie Streit.

Simona Manzione

Un’orologeria non convenzionale

Dal suo rilancio nel 2022, Hautlence ha rivitalizzato la propria presenza nel mercato degli orologi di lusso con una maggiore enfasi attribuita all’innovazione, al design e all’artigianato orologiero. Samuel Hoffmann, Ceo dell’azienda, anticipa il tempo futuro.

Quest’anno, in occasione di Watches & Wonders, l’evento che annualmente a Ginevra celebra l’alta orologeria, non è passato inosservato l’Hautlence Retrovision ’47, realizzato per celebrare il ventesimo anniversario dell’azienda. L’oggetto ben illustra l’idea di orologio che il Marchio avrebbe potuto creare se fosse esistito negli anni Quaranta. Qual è la storia di questo segnatempo? Vent’anni sono un traguardo importante per un piccolo marchio come il nostro. Mentre ci dedicavamo al progetto dell’orologio per il ventesimo anniversario, l’Hlxx, abbiamo deciso di realizzare qualcosa di più eccentrico. È nata così l’idea di un ricevitore radiofonico, il modello 5A5, prodotto dalla General Television & Radio Corp. Chicago nel 1947. L’idea iniziale prevedeva che il Retrovision ’47 avesse una cassa in bachelite, in linea con il ricevitore originale del 1947; tuttavia, la bachelite non viene più prodotta. Abbiamo quindi optato per una cassa in titanio dipinta a mano che imitasse la

bachelite verde e bianca della cassa dello storico ricevitore broadcast.

Con il Retrovision ’47 vogliamo suscitare una sensazione di nostalgia. Tutti ricordano un ricevitore radiofonico degli anni Quaranta appoggiato sul tavolino del salone o sulla mensola sopra il camino nella casa dei nonni (sorride). Abbiamo esposto il Retrovision ’47 quest’anno durante Watches & Wonders. Non era in vendita, ma l’ottimo feedback ricevuto durante il Salone, ci ha spinto a lanciarne un’edizione limitata di dieci pezzi.

Quest’anno avete lanciato anche il modello Hlxx celebrativo del 20esimo anniversario del marchio. Cosa apprezzeranno i collezionisti di quest’ultima creazione?

Finora abbiamo ricevuto da collezionisti e clienti un riscontro fantastico. C’è approvazione da parte del mercato per ciò che Hautlence ha sempre rappresentato: un approccio autentico alla lettura dell’ora, che può essere meglio descritto come arte meccanica in movimento.

L’Hlxx è un’interpretazione moderna

del nostro primo modello Hl, lanciato nel 2004, anno di nascita del marchio. Utilizza il movimento originale del modello Hl, ma con una cassa più piccola a forma di Tv, realizzata in titanio grado 5. Il quadrante mostra il nostro approccio non convenzionale alla lettura del tempo, con ore saltanti e un sistema di leve ispirato alle locomotive del passato che collega la lancetta dei minuti con il meccanismo di commutazione delle ore saltanti, consentendo loro di avanzare simultaneamente alla fine di ogni ora. Con l’Hlxx vogliamo raggiungere la clientela che ricerca l’originalità e che ci conosce

In alto a sinistra, il modello 5A5, prodotto dalla General Television & Radio Corp. negli anni Quaranta. Il suo design riflette quello dei televisori che cominciavano a diffondersi in quegli anni.

Sopra, dietro la griglia del Retrovision ‘47 si nasconde un movimento automatico di manifattura con tourbillon volante a doppia spirale e riserva di carica di 72 ore.

fin dagli inizi, ma anche gli appassionati di orologi e i collezionisti che si sono interessati al lavoro di marchi indipendenti come noi, MB&F, Urwerk e Greubel Forsey, accomunati dall’avere un approccio diverso all’orologeria.

Design unico e uno stile innovativo sono aspetti identitari di Hautlence. Come si bilanciano con la creazione di orologi che si vogliono classici, per essere indossati anche negli anni a venire?

L’arte meccanica e l’ingegnosità del design dei nostri orologi sono elementi cruciali per garantirne l’intramontabilità. Producendo piccole quantità e serie limitate, possiamo concentrare tempo e risorse sull’innovazione e mantenere interessanti i nostri codici di design. Utilizziamo un mix di codici che includono tridimensionalità, forme angolari ed elementi rotondi. Questo mix mantiene i nostri segnatempo contemporanei: e se, un domani, un codice non fosse più interessante, ci concentreremo sugli altri. E quanto alla forma della cassa?

Per ora, la cassa a forma di televisore rimane uno dei pilastri del nostro design. Ci offre uno spazio che ci permette di giocare con la composizione degli elementi meccanici e di design all’interno del quadrante, rendendoci autentici. La disposizione orizzontale e l’assenza di anse, inoltre, fanno sì che uno spazio così generoso non ingombri sul polso. Nulla ci impedisce di scegliere una forma diversa della cassa o di ottimizzare la cassa in un modo diverso in futuro.

Qual è il vostro modello operativo per progettare, produrre, assemblare, rifinire e decorare i vostri orologi?

Sviluppiamo e produciamo i nostri movimenti internamente, ad eccezione di una manciata di componenti, come le pietre di rubino. Lavoriamo anche in stretta collaborazione con i nostri fornitori per le casse e i cinturini. Viste le piccole quantità di orologi che produciamo ogni anno, siamo in grado di sfruttare la loro esperienza e di fornire in questo modo un prodotto di altissima qualità. Inoltre, per noi è fondamentale che tutto rimanga di fabbricazione svizzera.

Come si potrebbe sintetizzare l’evoluzione dell’identità del marchio, dei codici di design e dello storytelling?

La nostra storia è sempre stata quella di mostrare il tempo in modo tridimensionale. Sebbene inizialmente avessimo una cassa a forma di televisore, abbiamo

Sopra, Samuel Hoffmann, Ceo di Hautlence. A destra, l’Hlxx con ore saltanti e minuti retrogradi, in una cassa in titanio a forma di tv.

sperimentato anche altre forme di cassa. Sviluppando nel tempo movimenti molto complessi, come il meccanismo delle ore a catena, con oltre 600 componenti. Agli inizi, i nostri prezzi variavano tra i 12mila franchi per i modelli base fino ai 250mila franchi: uno spettro e un posizionamento piuttosto ampi in generale. Per questo motivo, nel 2022 abbiamo deciso di rinfrescare la nostra identità e rilanciare il marchio attorno a tre pilastri: la cassa a forma di televisore, l’architettura 3D e la lettura del tempo in modo cinetico e non convenzionale. Elementi che continueranno ad essere presenti in ogni nostro orologio.

Quali le tendenze per i prossimi anni? Dal rilancio del 2022, tutti i nostri modelli sono impermeabili fino a 10 Atm, più piccoli, più leggeri e con una riserva di carica di 72 ore; pur avendo una forma e delle dimensioni inconsuete, sono in linea con la domanda del mercato di orologi più sportivi che si possano indossare in diverse occasioni e ogni giorno. Credo che gli orologi meccanici continueranno a suscitare interesse in tutte le fasce d’età. La digitalizzazione sta diventando onnipresente, ma le persone vogliono che la digitalizzazione tocchi solo alcuni aspetti della loro vita. Stiamo assistendo al ritorno dei quadranti neri e scuri; i quadranti viola sono una tendenza emergente. Ci saranno più modelli basati su un design

vintage, ma non repliche vintage. Ci saranno anche più edizioni limitate. I piccoli marchi indipendenti come il nostro si posizionano nel mercato con quantità ridotte con qualità superiore, autenticità e un approccio diverso all’orologeria. Vedremo marchi più importanti emulare lo storytelling dei marchi di nicchia come il nostro offrendo edizioni limitate e rivolgendosi agli appassionati e ai collezionisti di orologi con esclusività, innovazione e sperimentazione.

Quali saranno le prossime iniziative di Hautlence? Dove vede l’azienda fra tre anni?

Attualmente produciamo circa 150-170 orologi all’anno e intendiamo crescere fino a circa 250 pezzi. È importante non crescere troppo o troppo velocemente, ma rimanere un marchio di nicchia. Con un piano di circa quattro o cinque lanci all’anno, vogliamo continuare a produrre orologi attraenti e interessanti, ma sempre accessibili, dai 25mila ai 90mila franchi. L’obiettivo è innanzitutto quello di costruire un marchio solido. A lungo termine, è importante che Hautlence rimanga uno dei marchi originali lanciati verso la fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni 2000, quelli accomunati dall’aver dato il via a un approccio originale all’orologeria e alla lettura del tempo.

Sergio Galanti

Un Toro, due cuori

In sei decenni di storia di un marchio sanguigno come la terra in cui è nato, se ne sono viste delle belle. Supersportive con il piede sull’acceleratore verso nuove tendenze, nel segno dell’innovazione più ardita. Fino ad arrivare al primo Suv ibrido, che nel corso di un tour mondiale è approdato anche a Lugano, in occasione della sua première svizzera.

A destra, Stephan Winkelmann, presidente e Ceo di Lamborghini. In apertura, la Urus SE in Bianco Sapphirus ha celebrato la sua première svizzera, in occasione di un evento tenutosi a Lugano lo scorso luglio. Abbinata al nuovo propulsore ibrido da 800 CV, la Urus SE presenta un’aerodinamica ottimizzata, un nuovo design e soluzioni tecnologiche inedite. In termini di comfort, prestazioni, efficienza, emissioni e piacere di guida, supera la Urus S grazie ai suoi ‘due cuori’, termico ed elettrico.

Il primo moto, è stato un moto di stizza! Sessant’anni fa. In un episodio che vide protagonisti Ferruccio Lamborghini ed Enzo Ferrari. Almeno, così si narra.

Ferruccio Lamborghini era un industriale di successo, a cui era arrivato costruendo trattori, caldaie e condizionatori. Aveva una Ferrari 250 GT di cui non era però pienamente soddisfatto. Tanto da volerne parlare con Ferrari in persona, ma il Commendatore ne fu stizzito: chi era ‘questo Lamborghini’ per dargli consigli?

Per tutta risposta, Ferruccio Lamborghini decise di costruire la propria vettura. Così, nel 1963 a Sant’Agata Bolognese, viene fondata la fabbrica Automobili Lamborghini. Il Toro? era il segno zodiacale del fondatore.

La prima vettura costruita in serie fu la 350 GT, una granturismo a due posti, veloce ed elegante come espressamente richiesto da Ferruccio.

Nei decenni, Automobili Lamborghini ha creato una serie di auto da sogno tra cui 350 GT, Miura, Espada, Countach,

A destra, Villa Heleneum a Lugano, sede della Fondazione Bally. Qui, in occasione dell’evento che ha celebrato il primo anniversario della sede luganese di Lamborghini e del lancio in Svizzera della Urus SE, è stata presentata agli ospiti anche la Revuelto da 1015 CV - il primo V12 super sportivo ibrido plug-in Hpev del marchio -; una seconda Revuelto è stata esposta sul lago (foto in basso a destra), in un suggestivo allestimento sul lago con le montagne a far da cornice.

Diablo e Murciélago, e serie limitate come Reventón, Sesto Elemento, Veneno e Centenario. Con la Lamborghini Sián Fkp 37, svelata nel 2019, una fewoff realizzata in sole 63 unità, sono state introdotte tecnologie ibride, con il primo utilizzo al mondo del supercondensatore in soluzione ibrida e utilizzo peculiare della scienza dei materiali. Un’apertura alle esigenze di elettrificazione. Nel 2021 è stata invece la volta di un’edizione limitata e futuristica della Countach, la Countach Lpi 800-4, icona anticonformista. Certo non meno iconiche, Aventador e Huracán.

E così ancora, con creatività e performance, fino alla Revuelto, la prima supersportiva ibrida Hpev (High Performance Electrified Vehicle), arrivata poco prima del 60mo anniversario del marchio.

Fino al debutto, quest’anno, della Urus SE, il primo Super Suv Phev (Plug-in Hybrid Electric Vehicle) di Automobili Lamborghini. Con un tour mondiale, la novità è stata già presentata in tre continenti creando una grande attesa attorno al nuovo modello, ancora prima dell’inizio ufficiale della sua produzione. Rivoluzionaria, la Urus SE, grazie ai suoi ‘due cuori’ termico ed elettrico, può vantare 800 Cv di potenza e 950 Nm di coppia, con un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 3,4 secondi. In modalità elettrica, il ‘secondo cuore’ permette al Super Suv di ridurre le emissioni dell’80% grazie agli oltre sessanta chilometri di autonomia.

La Urus SE non si è limitata al mondo fisico, ma ha proseguito il suo viaggio anche nel mondo digitale. La vettura è infatti approdata sulla piattaforma Roblox, creando un’opportunità senza precedenti per i fan del brand di immergersi nell’eccellenza del marchio direttamente dalla

propria console. Collocata in un’esclusiva lounge virtuale, i giocatori hanno avuto la possibilità di personalizzare la propria Urus SE, rendendola unica e in linea con il proprio stile, grazie a una selezione di colori e opzioni di customizzazione curate dallo Studio Lamborghini Ad Personam.

«Con Urus abbiamo cambiato i paradigmi nel mondo Suv, inaugurando un nuovo segmento», ha commentato Stephan Winkelmann, presidente e ceo di Lamborghini, in occasione dell’evento tenutosi lo scorso luglio a Lugano, nella prestigiosa cornice di Villa Heleneum, sede della Fondazione Bally. L’evento organizzato per festeggiare il primo anniversario di Lamborghini Lugano Sports Cars Sales & Service, è stato anche l’occasione per il lancio sul mercato

svizzero della Urus SE. «In pochi anni Urus è diventata la bestseller del marchio, consentendo a Lamborghini di attrarre nuovi clienti e rafforzarsi nei mercati più importanti. Con Urus SE compiamo un ulteriore passo verso il futuro, coerentemente alla nostra strategia Direzione Cor Tauri, proseguendo nella elettrificazione della gamma e nel percorso verso la decarbonizzazione, iniziato con l’introduzione della supersportiva Revuelto a marzo 2023», ha aggiunto Winkelmann. «Le sue eccezionali performance e il suo design distintivo hanno accordato alla Urus SE un’ampia risposta positiva, che si è tradotta in un portafoglio ordini tale da coprire quasi un anno di attesa», ha concluso Stephan Winkelmann.

Simona Manzione

A tutta elettricità!

Nell’intero ciclo di vita emettono il 50% in meno di CO2 rispetto ai veicoli analoghi con motori a combustione e consumano da 3 a 6 volte meno energia dei carburanti alternativi. Ma la loro carta vincente non è solo la sostenibilità: le auto elettriche promettono ormai autonomia pari alle versioni benzina e sono sempre più performanti, spaziose e tecnologiche.

La Mercedes Eqa è la più compatta tra le elettriche della Stella e con il recente restyling si aggiorna in stile e tecnologia. Tre le motorizzazioni disponibili, 250, 300 4Matic e 350 4Matic. Già a prima vista si notano i nuovi pannelli neri frontali con paraurti diverso, avvicinando anche questo modello ai top di gamma elettrici di Mercedes. Come ormai consueto, una fascia luminosa centrale collega i gruppi ottici e quindi le luci diurne, con un ulteriore aggiornamento che invece riguarda gli elementi posteriori.

Novità anche all’interno dall’abitacolo con volante aggiornato con comandi a sfioramento, mentre per elevare il livello di qualità degli interni si segnala la presenza di finiture in legno di tiglio marrone a poro aperto, con retroilluminazione del logo. Aggiornato anche il sistema Mbux, personalizzabile in tre stili (sottile/sportivo/classico) e tre modalità navigazione/ assistenza/servizio, con display centrale ora di serie. Oltre ai servizi online, tra

promette una qualità audio molto intensa. Ulteriori esperienze sonore si ottengono opzionando anche l’audio surround Burmester. Aumentata anche l’autonomia, fortemente voluta dai tecnici tedeschi e ottenuta affilando l’aerodinamica e utilizzando pneumatici ad alta resistenza al rotolamento.

La funzione Plug & Charge, abbinata alle colonnine di ricarica pubbliche abilitate, è disponibile anche sulla Eqa, basta attaccare il cavo di ricarica senza bisogno di ulteriori autenticazioni.

Il pacchetto opzionale di assistenti alla guida contiene poi funzioni aggiuntive, tra cui l’Active Lane Keeping Assist abbinato all’intervento dello sterzo.

È una Mercedes a tutti gli effetti e molto comoda anche per i viaggi più lunghi come in Costa Azzurra nel nostro caso, con un Pit Stop a metà strada nell’area di servizio a Stura con nuovissima postazione di ricarica elettrica veloce che in mezz’oretta circa ha riportato

a carica piena (autonomia ca 430 km a seconda dello stile di giuda fino ad un massimo di 561 km) lo stato batteria della nostra Eqa 350 4Matic in Testdrive. Offre una potenza di 292 cavalli e 520 Nm con un’accelerazione da 0-100 km/h in 6 secondi fino a una massima di 160 km/h. A partire da 57.200.- franchi.

Opel Astra Electric

L’ Opel Astra è una tradizionale berlina di medie dimensioni e con la nuova generazione, completamente progettata e costruita in Germania, per la prima volta offre anche una versione 100% elettrica accanto ai moderni motori benzina, elettrico e ibrido plug-in. Arrivata da poco sul mercato, la nuova Astra Electric combina un design audace e pulito con una tecnologia all’avanguardia e un potente motore 100% elettrico da 156 cavalli e promette una ricarica dal 20 all’80% in soli 26 minuti con colonnina a ricarica rapida. Risulta molto vivace e scattante appena si schiaccia il pedale del gas, agile e sempre pronta anche nei cambi di traiettoria. Provando la coppia immediatamente disponibile e l’accelerazione senza pari fino a 170 km/h, stampa il sorriso in faccia al conducente, dimostrando che la guida responsabile non è mai stata così divertente. Il frontale con cofano piatto e mascherina nera ricorda la mitica Opel Manta degli anni ’70, mentre le fiancate

Mercedes EQA 350 4Matic

sono sobrie e lisce, con una leggera nervatura nella zona inferiore, più caratterizzata nella parte posteriore spigolosa con soglia di carico bassa. L’abitacolo ha un tocco hi-tech con cornice ricurva nella plancia che ingloba il cruscotto digitale configurabile e lo schermo del sistema multimediale che, coadiuvato da sottostanti tasti fisici, serve per gestire tutte le varie funzionalità come climatizzatore, navigatore e impianto audio. Offre ampio spazio a quattro adulti e grazie al pavimento quasi piatto nemmeno in cinque non si sta troppo stretti. Il bagagliaio ha una buona capienza e il comfort di bordo è ottimo, l’abitacolo è insonorizzato con attenzione. Dei cinque allestimenti, il più ricco ‘Ultimate’ include fari a matrice di led e head up display, mentre il tempomat adattivo è già presente nella versione base ‘Edition’. Di serie o a pagamento la Opel Astra dispone anche di un’adeguata offerta di aiuti alla guida. A partire da 39.300.- franchi per la cinque porte e da 40.340.- per la versione Sports Tourer, entrambe con 156 Cv e 270 Nm che permettono uno spunto 0-100 km/h in 9,2 secondi fino a una massima di 170 km/h e un’autonomia di circa 420 km Wltp.

Volvo EX30

Lunga 4 metri e 23, la Volvo EX30 è il crossover più compatto di tutta la gamma svedese, su cui Volvo punta molto grazie a prestazioni e autonomia interessanti. Due i modelli proposti, con batteria 49 e 64 kWh, la prima con motore elettrico da 272 cavalli con 344 km di autonomia che con la batteria più grande ne consente 480 km. La versione più ‘cattiva’ invece è la Twin Motor Performance, sempre con batteria da 64 kWh ma con due unità elettriche raggiunge 428 Cv che la proiettano da 0 a 100 km/h di 3,6 secondi con un’autonomia di 450 km. Intelligente, l’EX30 parte a trazione posteriore e il motore anteriore entra in gioco in caso di forte accelerazione o quando serve più grip. Lo spazio a bordo non manca e l’abitacolo trasmette una sensazione di ariosità dovuta sia dai toni chiari dei rivestimenti che dall’ampia vetratura. Grande attenzione alla sostenibilità, con tessuti ottenuti da

jeans riciclati o tramite altri processi per valorizzare gli scarti dell’industria della moda. Lo schermo verticale dell’infotainment è di facile lettura e utilizzo, come i comandi al volante. I progettisti hanno rivoluzionato gli interni, minimalisti (ed ecofriendly) come mai prima d’ora su una Volvo, con monitor centrale da 12,3 pollici Android Automotive, quindi ambiente Google. Con angeli custodi elettronici molto solerti: l’assistente richiama l’attenzione, quando lo sguardo indugia un attimo di troppo sullo schermo o altrove. Su strada, la EX30 è godibile e i suoi 272 Cv (posteriori) garantiscono prestazioni eccellenti. Condite con un buon livello di confort, sia acustico sia sospensivo. Verso fine anno dovrebbe arrivare anche una declinazione Cross Country più orientata al fuoristrada, con una maggiore altezza da terra, pneumatici all-terrain e protezioni per la carrozzeria. La Volvo EX 30 viene proposta a partire da 37.850.- franchi con 428 Cv e 543 Nm che assicurano uno scatto 0-100 km/h in 3,6 secondi fino a una massima di 180 km/h, con un’autonomia fino a 475 km e ricarica rapida da 10 a 80% in 26 minuti.

Opel Astra Electric Volvo EX30

Alla scoperta del golf atomico

Nella provincia di Almeria, un campo incastonato in una cornice apparentemente desertica, caratterizzata da cactus e pietre, è il primo ‘desert course’ in Europa. Superato il rito di iniziazione del tee della 1, il percorso si sviluppa su dei ‘fairways’ normalmente dritti. Ma qui comincia l’avventura, verso l’Abyss... Tra storia, rischi apocalittici ed enogastronomia.

Contrariamente al pronostico iniziale, mi accingo a riprendere I quaderni di un golfista quasi un anno dopo l’ultimo capitolo. A scanso di equivoci, desidero precisare che non ho sospeso le mie attività golfistiche per tale eternità, però, come tanti professionisti, sono stato sotto il giogo derivato dal peccato originale (non aver inventato un ‘golf course’ nel Paradiso) ed ho dimostrato certa debolezza al momento di scegliere tra una piuma ed un ‘put’. Ora, reduce da un’estate ben trascorsa sempre alle rive del Cantabrico, ritrovo lo spirito ideale per un terzo capitolo de I quaderni di un golfista

Per il lettore che è in procinto di fruire per la prima volta di un mio scritto nella materia, o per chi ha preferito rimuovere i ricordi di quanto da me scritto un anno fa per dare il giusto posto ad informazioni e nozioni più utili (come per esempio quelle derivate dalla lettura di À la recherche du temps perdu o del Also sprach Zarathustra), è ineluttabile che sia posto nel giusto contesto.

Sono un giocatore che è stato iniziato al golf da adolescente, ma che negli ultimi venti anni ha sofferto le conseguenze di

una malattia, la spondilite anchilosante, con l’effetto drastico di irrigidimento delle articolazioni e soprattutto del mio ‘handicap’ che rimane fisso a 28.

Non scrivo dunque dal punto di vista di chi disputa un premio nel campionato

Maestro de Esgrima di Arturo Perez-Reverte, il cui protagonista, un maestro di scherma di fine ‘800, esprimeva la sua indignazione per la qualificazione della scherma come ‘sport’ quando per lui, così come per i maestri classici italiani

sociale del Club di golf ma neppure di chi legge prima il Golf Digest che il Corriere, ma da eclettico appassionato di uno sport che mi ha accompagnato la maggior parte della vita.

A proposito della qualificazione di ‘sport’, mi viene in mente un passaggio di un libro che ho riletto dopo tanti anni, El

In apertura, The Indiana Golf Course, presso il Desert Springs Resort and Golf Club. Ispirato ai famosi campi da golf del deserto dell’Arizona e della California, il campo da golf Par 72, 6.159M Indiana, è il primo campo da golf del deserto in Europa. Sopra, la Club House.

e francesi, non poteva essere qualificata altrimenti che come ‘arte’. Sarà che la mia passione per la scherma condivide il podio con quella per il golf, ma non mi sento così scomodo nel provare certa simpatia per tale indignazione e propensione per applicarla ad entrambe le discipline.

Venendo al dunque: avevo annunciato la ripresa de I quaderni da un ‘tee’ di Madrid ma il caso ha voluto che alla fine di maggio mi sia concesso il lusso di scappare con tre colleghi per un fine settimana golfistico nella provincia di Almeria (regione della ‘Andalucia’) e di incappare nel The Indiana Golf Course presso il Desert Springs Resort and Golf Club. Il campo fa decisamente onore al suo nome ed è ubicato in un paraggio apparentemente desertico e con una flora degna di un cartone animato di Disney ambientato tra il Texas e il Messico, con gli immancabili cactus e tante, tante pietre. Non abbiamo sofferto invece la mancanza della fauna tipica di quelle remote terre e sinceramente siamo stati sollevati dal non dover disputare il possesso di una palla caduta fuori dal ‘fairway’ con un serpente a sonagli. Certa perplessità ha causato l’avvistamento di una pinna di squalo nel laghetto che protegge il ‘green’ della buca 14 che finalmente, dopo aver scartato un trucco della gestione del campo per evitare la profanazione di un immenso tesoro di palle sommerse nel laghetto, abbiamo qualificato di trovata

festato nel sito web: “Inspired by the famous desert courses of Arizona and California, the Par 72, 6,159M Indiana course is the first desert course in Europe and has been built to the full Usga specifications and quality standards of these desert courses, now famous for the quality of golf that they offer. (…) Desert Springs Resort was host the Tour Championship of the Pga Euro Pro Tour in 2015, 2016 & 2018 and 2019. Host in 2017 and 2018 to the European Tour Qualifying School 2nd Stage Desert Springs Resort entered into an agreement with the DP World Tour to be host to the event through to and inclusive of 2025”. È stato qualificato il sedicesimo miglior campo di golf di

un po’ ‘kitsch’ con spirito più anglosassone che iberico (quest’ultimo avrebbe imposto piuttosto un toro).

Anche l’armoniosa architettura della Club House e delle villette circostanti trasportano il giocatore in un’atmosfera più californiana che andalusa rendendo il percorso molto originale. Come mani-

Spagna tra 406 selezionati dai giocatori nella rete ‘Leading Courses’ con il distintivo ‘Golfer’s Choice Outstanding’. A livello europeo il club è stato considerato come uno dei 100 migliori d’Europa nel 2023 dalla rivista National Club Golfer e nel 2022 dalla rivista Golf World La Club House è accogliente, con

Sopra, The Indiana Golf Course: uno scorcio che ne sintetizza il carattere. Sotto, l’esterno della Club House.

buoni servizi ed un gradevole bar e ristorante con terrazze ed un ameno canale che offre una sensazione rinfrescante, molto apprezzata in estate.

Si accede al tee della buca 1 (par 5 ‘Cactus Point’) percorrendo una stradina tra graziose villette e lo stesso tee è circondato da residenze di intrepidi proprietari che hanno considerato i vantaggi di accedere al campo con un passo di danza o di curiosare i primi tiri dei giocatori sotto pressione ben superiori ai rischi, considerevoli, di vedere colpite finestre, artefatti per la griglia e, nel peggiore dei casi, articolazioni corporee, da palle sparate a più di 100 km orari da un ‘driver’ di un golfista qualche secondo prima fiducioso di veder volare la sua palla a 250 m nel mezzo del ‘fairway’.

Se è nota a tutti i giocatori di golf la pressione di giocare la prima palla nel tee della 1, normalmente piazzata nelle vicinanze del bar-terrazza della Club House e dunque alla vista di ogni tipo di curioso (dai parenti sostenitori ai critici incalliti), nella Indiana Course la pressione è acuita anche dal ‘marshall’ che, prima chiede il giuramento solenne di rispettare le regole, in particolare quella di giocare con il ritmo di ‘Achille dal piè veloce’, e poi ti osserva da una distanza sufficiente per sentirlo sbuffare come un toro. Può darsi che questo trattamento sia riservato esclusivamente agli ospiti che giocano per la prima volta, emigrati da Madrid e con handicap alti. Superato il

rito di iniziazione del tee della 1, il percorso si sviluppa su dei ‘fairways’ normalmente dritti, su un terreno pianeggiante e con un’erba ben mantenuta. Questa la parte idillica. Quella infernale è invece rappresentata dal fatto che le ‘fairways’ sono strettissime e che a parte i ‘roughs’ micidiali il territorio fa onore al nome del ‘resort’ ed è un autentico deserto con un’abbondante presenza di pietre di dimensioni dalla sabbia al monolito. Chi riesce a giocare con certa precisione ha una chance di terminare il percorso con certa leggiadria ed ammirazione per il paesaggio; gli altri invece sono condannati a cercare (o più facilmente, a perdere) la palla sempre con l’apprensione di trovare una vipera, oppure a mettere a dura

16)”, ovvero scansabili con un ‘drop’ senza penalità.

Francisco Simó Orts (conosciuto d’allora con il nome di ‘Paco el de la bomba’).

Sono oltre 600mila i cactus e altre piante del deserto che rendono il campo impegnativo ed esaltante.

prova la resistenza dei propri ferri nel colpire la palla su una superficie sicuramente non pensata per il gioco del golf. Non a caso una delle regole d’etichetta ben segnalata sulla ‘score card’ è: “signal the following match through if your golf ball is not immediately found”. Va pur detto che, se tutti i giocatori osservassero alla lettera detta regola, l’amministrazione del campo dovrebbe mettere a disposizione delle sedie affinché i giocatori, dal deserto, vedano sfilare le poche partite che riescono a prendere costantemente i ‘fairway’. Se un aspirante giocatore avesse qualche remora per i rischi derivati dalle spine dei numerosi cactus, troverà rassicurante ed allettante che una regola locale li dichiara, sempre che contrassegnati, “immovable obstructions (Rule

L’eccezione che conferma la regola è la presenza anche di ostacoli d’acqua (iconica la buca 14 ‘Tiburón’, squalo, ‘ut supra’). Personalmente ho trovato proprio ostica la buca 15, un par 4 di 324m (hdcp 3), il cui nome ‘Abyss’ esprime perfettamente la profondità del mio morale dopo aver affrontato una distanza per me troppo notevole tra il tee ed il primo fairway con ostacoli di ogni tipo, che tra l’altro si scopre essere un’isola tra il secondo fairway, sulla sinistra (eccezione della regola dello ‘strait ahead’) e poi il green, con corsi d’acqua inclusi. La parola ‘Abyss’ mi fa invece ricordare un aneddoto quasi sicuramente sconosciuto fra i nostri lettori riguardante proprio il luogo dove si trova il Desert Springs Resort: Palomares. In effetti il 17 gennaio 1966 (praticamente 2 mesi prima della mia nascita), un bombardiere B-52 della forza aerea americana con 4 bombe termonucleari a bordo, durante un’operazione routinaria di rifornimento di combustibile in volo, sfortunatamente entrò in collisione con l’aereo cisterna KC-135, provocando una grande esplosione. Per fortuna gli equipaggi riuscirono a lanciarsi e a salvarsi, ma le bombe atomiche a idrogeno (ben più potenti delle tristemente famose usate a Hiroshima e Nagasaki) si dispersero: due intatte, una nel fondo del mare nella vicina costa e la seconda nelle vicinanze della foce del fiume Almazora; due invece soffrirono la detonazione dell’esplosivo convenzionale che, in aggiunta all’impatto a terra, provocarono la distruzione degli ordigni e la dispersione del loro contenuto. Ufficialmente il governo degli Usa in accordo con il governo spagnolo, negarono l’accaduto, un ‘Broken Arrow’ in tutta regola, ma misero in atto un immediato dispositivo di ricerca della bomba atomica caduta intera in mare. Questa fu finalmente trovata il 7 aprile 1966 a 750 metri di profondità grazie alla collaborazione di un pescatore spagnolo chiamato

Probabilmente il fatto più ricordato tra gli spagnoli è la ritrasmissione in televisione il 7 marzo 1966 di un bagno dell’ambasciatore americano in Spagna, Angier Biddle Duke, e l’allora ministro dell’ informazione e del turismo, Manuel Fraga (politico molto conosciuto ed attivo durante e dopo la transizione), sulla spiaggia di Quitapellojos presso Palomares, con il chiaro obiettivo di silenziare i rumori di contaminazione nucleare nella zona a pregiudizio delle attività turistiche (ovvero di un settore che, all’epoca, era la principale fonte di reddito di tutta la Spagna). Chiusa la parentesi, preciso che, per giocare l’Indiana Course, non è necessario aggiungere, alle borse con i ferri ed al telemetro, un contatore Geiger… Oltre alle pietre del deserto sono ben predisposti, intralciando in qualche modo i giocatori, numerosi bunker, per lo meno ben tenuti, e tutti i ‘green’ del campo sono all’altezza di un percorso adatto all’European Tour. Una volta terminato il ‘course’, la prima buca 19 può essere rappresentata dal proprio ristorante nella Club House, El Torrente, dove si può assaporare una gustosa cucina, con buoni vini (il ristorante ha vinto nel 2022 il Premio Traveller’s Choice di Tripadvisor). A circa 20 minuti dal resort si trova sul mare il paesino di Garrucha, famoso in tutta la Spagna per i suoi ‘gambones’ o ‘gambas’ (si distinguono per la grandezza) autoctoni e simili alle specie dei gamberi o gamberoni rossi del Mediterraneo (come quello di Palamós), ovvero gustosissimi. Ricordo anche di aver peccato fortemente di gola (e non in pensiero, parola od omissione) degustando un’enorme aragosta proprio sulla costa di Almeria (decisamente al top del ranking storico personale che, per fortuna, è decisamente ricco e internazionale). Presso il porticciolo sportivo di Garrucha posso senz’altro consigliare, dopo decenni di esperienza, il classico ristorante Rincón del Puerto. Per un ambiente più ‘chill’ consiglio anche il Borakai Beach, dove servono anche, praticamente in riva al mare, una deliziosa ‘paella’. Vicinissimo a Garrucha si trova l’emblematico paese di Mojacar, una Positano andalusa. Con qualche campo da golf… di cui forse scriverò in un prossimo quaderno

David Mülchi

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