on l’autunno si riaccende il desiderio di giornate più intime, atmosfere vellutate, musica di sottofondo. Chissà che brani ascolterete, nelle domeniche uggiose o con i primi freddi della stagione, mentre sfogliate questa edizione di Ticino Management Donna Se volete uno spunto, noi ve ne abbiamo preparati tanti. Solo sette note, ma composte in infinite
C’è la musica che aggrega, quella che cura o che riscatta, quella per sognare e quella da ballare. La musica della nostalgia, che fa tornare indietro almeno con la memoria, e quella della speranza, che fa avanzare, giorno dopo giorno. C’è poi la musica che si rende strumento di sviluppo, con la sua capacità di stimolare in modo impareggiabile le competenze cognitive
Ci sono tante storie e punti di vista differenti, a proposito di musica. Vi abbiamo raccontato quella di un cantante figlio d’arte e già alla ribalta internazionale, di una musicista che a volte suona note noir e di direttrici d’orchestra dalla bacchetta magica.
Chi, meglio della moda, sa orchestrare scale cromatiche, accordi e disaccordi, con stile? La moda protagonista del nostro servizio esclusivo è entrata nell’Auditorio Stelio Molo Rsi di Lugano, e l’esagono dalla perfetta acustica è stato un sorprendente set
Tante altre le note e tanti i colori della partitura autunnale di . Perché la musica non è solo vibrazione sonora, ma anche proiezione visiva. In una varietà così ricca, un tratto comune c’è. È la ricerca di una frequenza che generi armonia, dentro e fuori di noi. Per vibrare all’unisono, sulle corde delle nostre più profonde emozioni.
Nel 2024 Meisterstück
Montblanc festeggia un secolo. Qui nella versione stilografica
The Origin Collection
Doué Classique
Simona Manzione
Tra 20 anni, il vostro apparecchio
Miele continuerà a stupirvi esattamente come oggi.
Una volta Miele, per sempre Miele.
IN QUESTO NUMERO
14
20
Educare alla complessità emozionando
Beatrice Venezi ‘strumento’ della grande musica classica.
Solo.
Finding my way
Cosa significa gestire il talento come figlio d’arte? La storia di Matteo.
38 48
Raffinata trasgressività
La grezza sensualità della pelle interpretata da Yvonne Reichmuth.
Un
ritmo
terapeutico
Le applicazioni della musica a scopo terapeutico e riabilitativo.
54 70
Cedere alle tentazioni
La magia di una Spa nel segno del più autentico BenEssere.
Metterci il cuore
Valori profondi e condivisi, che rendono potente la solidarietà.
90 74
Prendersi cura, con lungimiranza
L’ impegno a 360 gradi di Maria Luisa Siccardi Tonolli.
A vele spiegate, un vascello per l’arte
I 10 anni della Fondation Louis Vuitton e il genio di Frank Gehry.
IN COPERTINA: sciarpa in puro cachemire firmata dal noto marchio luganese Purest, sapientemente tessuta a mano nella Valle di Kathmandu. Disponibile in una raffinata selezione di colori su purest.com
ALBERTA FERRETTI
PIAGET
D’AUTUNNO GIARDINO
Il primo freddo ci sorprende con una nuova fioritura di gusti e colori: il viola di uva, prugne, fichi e mirtilli, l’arancio di agrumi e zucche tingono anche il guardaroba, con un tocco di classe e una sferzata vitaminica
SOPRA, ABITO SOTTOVESTE IN VELLUTO E PIZZO GUCCI COLLEZIONE FW 2024 READY-TO-WEAR DA SINISTRA, KHAITE BORSA ELENA SMALL; MIU MIU, BORSA HOBO WANDER IN NAPPA MATELASSÉ
SOPRA, DA SINISTRA, HERMÈS, MOCASSINI ROYAL E BANDANA 55 BRIDES ET DESTIN; CARTIER, ANELLO TUTTI I FRUTTI ACCANTO, DA SINISTRA,GUCCI, CINTURA E HERMÈS, BALLERINE JANE
o n c’è business coach che non concordi: competenza chiave del vero leader è la capacità di ascoltare.Un ascolto attivo, a 360 gradi. Di quello che il collaboratore esplicitamente dice, ma anche dei messaggi che tace. Un ascolto che è la base del dialogo e permette di valorizzare ciascuno nelle sue qualità. Crea fiducia, coinvolgimento, collaborazione e potenzia il risultato collettivo. Lo sanno bene i direttori di orchestra, spesso chiamati a portare la loro testimonianza in ambito aziendale. Eppure, fuor dalle similitudini manageriali, nella sua applicazione più nobilel’ascolto della musica - il nostro orecchio è sempre più distratto. Che dire di una società in cui la musica si ‘consuma’? Non è solo semantica, quando le scelte di ascolto di centinaia di milioni di persone sono delegate agli algoritmi delle piattaforme streaming.
Nel focus autunnale di Ticino Management
Donna lanciamo allora un invito contro questa monotonia. Di gusti, di scelte, di pensiero. La musica come antidoto alla banalizzazione e come forma di educazione alla complessità: lo dichiara, con la
chiarezza che la caratterizza, il Maestro Beatrice Venezi, fra i protagonisti delle prossime pagine in cui abbiamo dato la parola a chi della Musica si è fatto strumento.
A partire da una fra le prime donne a esser salita sul podio, Claire Gibault, vitale come non mai alla soglia degli ottant’anni.
OUVERTURE N
Perché se Taylor Swift è oggi fra le personalità più influenti del globo, l’ambiente della musica classica ha invece bisogno di esempi trascinatori per liberarsi dal conservatorismo che tuttora lo caratterizza.
E ancora: la virtuosa del violino Natasha Korsakova, che dimostra la sua poliedricità eccellendo anche nel secondo strumento che si è scelta, la penna, intinta di giallo; la splendida voce di Matteo Bocelli, figlio d’arte che con umiltà e charme porta il bel canto nella dimensione contemporanea; per arrivare alle intime atmosfere della cantautrice svizzera Eléonore che in parole e melodie restituisce la sua gratitudine verso la vita dopo essersi confrontata con la fragilità della malattia.
Perché se solo sette sono le note della scala diatonica, universale è il linguaggio con cui, sin dai tempi più antichi, la musica ci ha permesso di esprimere, condividere e, nelle sue forme più alte, sublimare le nostre emozioni. E allora ascoltiamola nelle prossime pagine, questa unica, immensa Maestra.
Il 21 luglio 1969 sulla prima pagina di France-Soir campeggiava a caratteri cubitali il titolo “On a marché sur la lune” - e proprio accanto, sulla destra, si poteva leggere “Une femme a dirigé un orchestre”. Accanto la foto di una ventitreenne Claire Gibault alla conduzione dell’orchestra dell’Opéra de Lyon, dove sarebbe rimasta 27 anni. Ma se quello era un grande passo per la donna, era ancora piccola cosa nel percorso dell’umanità verso la parità di genere. Cinquant’anni più tardi e una carriera in cui di barriere tante ne ha abbattute - fra l’altro prima donna a dirigere la Filarmonica della Scala e i Berliner Philharmoniker - scontrandosi ancora con le cifre sconfortanti che nel 2016 rivelavano come le donne direttrici d’orchestra programmate nelle istituzioni europee di musica sinfonica fossero solo il 4%, Claire Gibault ha deciso di creare un concorso loro esclusivamente dedicato, “La Maestra”, che nel giro di tre edizioni, la più recente questa primavera, è diventato un riferimento che attira giovani donne talentuose da tutto il mondo e le segue poi con il sostegno della sua Accademia. «Per la prima volta quest’anno abbiamo accolto partecipanti anche da Marocco, Tunisia, Azerbaigian, Palestina e Israele. Una dimostrazione di come la musica sappia avere la meglio anche sugli attuali conflitti geopolitici, perché la vincitrice è stata un’israeliana, seconda una russa e
È stata fra le prime donne
a conquistare il titolo di “Maestra”, non salendo in cattedra ma sul podio. Da dove, alla soglia degli ottant’anni, dirige ancora splendidamente. E prosegue nel suo impegno per un mondo della musica davvero universale.
Claire Gibault e la lezione di umanità della musica classica
terza una tedesca. E tra tutte le candidate si è creato un bellissimo spirito di gruppo: ho visto l’iraniana andarsene in giro a braccetto per Parigi con la ragazza israeliana, una partecipante ucraina abbracciare la russa dopo la vittoria. Anche sul fronte statistico, stiamo assistendo a rapidi miglioramenti, oggi siamo saliti al 12% di direttrici programmate in Europa e questa cifra non include coloro che, come me, hanno avviato loro orchestre indipendenti», sottolinea Claire Gibault. Alla soglia degli ottant’anni, nel pieno delle sue energie, non ha la minima intenzione di posare la bacchetta, anzi. Da quando, dopo aver lavorato con tante prestigiose istituzioni come la Washington Opera, il Théâtre du Châtelet di Parigi, la Scala di Milano, l’Auditorium di Roma, nel 2011 ha creato la sua formazione, la Paris Mozart Orchestra, di concerti ne dà una trentina all’anno, esibendosi tanto in importanti sale da concerto internazionali, quanto in carceri, ospedali, cliniche psichiatriche, case anziani e strutture scolastiche, con una visione improntata a un forte impegno umano e sociale. Un progetto sotto il segno - lo rivela il nome – dell’Orchestra Mozart di Bologna di Claudio Abbado. Che per lei è stato Maestro impareggiabile di musica e anche di umanità, al suo fianco come assistente a Milano, Vienna e Londra. «È stato un vero mentore. Mostrandomi la sua stima e la sua fiducia, mi ha fatto sentire legittimata nel percorso che avevo scelto. Mi chiedeva di assistere alle sue prove e ai suoi concerti e prendere appunti su tutto ciò che poteva migliorare. A sua volta, seguiva i miei ne discutevamo insieme. E umanamente era una persona immensa nella sua semplicità. Aveva un rapporto fraterno con i musicisti dell’orchestra, senza
essere accondiscendente. Completamente diverso da quanto avevo sperimentato, per esempio, con John Elliott Gardiner, che non esitava a umiliare i musicisti. Fondamentalmente, da Abbado ho appreso l’equilibrio fra il non dominare gli altri e non lasciare che gli altri ti dominino. Lui lo faceva dimostrando un’estrema preparazione - dirigeva tutto a memoria - e un genuino amore per il suo prossimo», ricorda Claire Gibault. Perché anche per lei era arrivato un momento in cui l’ansia di perfezionismo e l’egocentrismo, l’avevano portata a sviluppare proprio quei difetti che biasimava nei suoi colleghi uomini. «Mi sentivo estremamente angosciata dal giudizio degli altri, senza minimamente tenere in conto le loro di ansie. Ero ripiegata su me stessa e i miei rapporti con i musicisti erano diventati difficili, a volte conflittuali, perché forse avevano l’impressione che mi amassi troppo. Ma sapevo che non era il modo giusto di comportarsi», confessa. Il suo percorso di trasformazione interiore è stato segnato da due ‘rivelazio-
ni’ alla vigilia dei quarant’anni: l’ortodossia, a cui si è avvicinata grazie all’incontro con père Syméon, anziano monaco del Monastero di San Giovanni Battista nell’Essex, che ha aperto la via a una metamorfosi che ha riunificato corpo, anima e spirito, e la maternità, arrivata con l’adozione: «È stato il momento in cui ho imparato a non far dipendere la mia felicità dalle decisioni altrui: il mio compagno non voleva figli, così per realizzare questo mio forte desiderio ho adottato due bambini dal Togo. Anche oggi che hanno ormai 38 e 35 anni, siamo fortemente legati e molto, molto felici insieme. Sono la più bella avventura della mia vita. Come donna single, con un lavoro molto impegnativo, ho dovuto inventarmi il mio modo di essere madre. Essenziale è stato
SPARTITO
che Uno Unisce
saper mostrare loro il mio amore incondizionato e la mia profonda stima», sottolinea. La metamorfosi ha toccato anche la sua professione: «Curiosamente con la conversione e l’adozione la mia direzione è diventata più carnale e meno cerebrale. E soprattutto ho cominciato a stabilire veri rapporti individuali con i musicisti con cui lavoravo e a incoraggiarli a credere in sé, come ho imparato a fare con i miei figli», confessa Claire Gibault. Una trasformazione al centro delle pagine di Direttrice d’orchestra. La mia musica, la mia vita (add editore, 2022), una confessione intima e senza sconti, da leggere.
CLAIRE GIBAULT INSIEME A CLAUDIO ABBADO, IMMENSO MAESTRO DI MUSICA E DI VITA
La Paris Mozart Orchestra è la sintesi di queste lezioni di vita e anche dell’esperienza, nata un po’ per caso, come deputata al Parlamento europeo fra il 2004 e il 2009, dove ha potuto fra l’altro chinarsi sulla discriminazione femminile nel mondo dello spettacolo, rendendosi conto di come una donna, per essere a capo di un’istituzione culturale, sia ancora sostanzialmente costretta a crearsi la propria: «Con la benedi-
LA TALENTUOSA DIRETTRICE
D'ORCHESTRA ISRAELIANA
BAR AVNI, VINCITRICE
DELLA TERZA EDIZIONE DEL CONCORSO "LA MAESTRA".
CREATO DA CLAIRE GIBAULT A SOSTEGNO DELLE CARRIERE FEMMINILI, ATTIRA ORMAI
A PARIGI PARTECIPANTI DA
TUTTO IL MONDO. PROSSIMA EDIZIONE NEL 2026
zione di Claudio Abbado, ho fondato allora nel 2011 Paris Mozart Orchestra per avere una formazione tutta mia con cui non solo suonare ma condividere gli stessi valori morali di lotta contro ogni forma di discriminazione, antisemitismo, omofobia, razzismo e i soprusi che avevo dovuto subire nella mia carriera. Ho creato una “Carta dei musicisti” ispirata alla Carta europea dei diritti fondamentali, ai cui principi etici sono stati aggiunti anche aspetti molto pratici: dalla parità dei salari al rimborso del servizio di babysitting quando suoniamo la sera nel fine settimana. Chiaramente anche le scelte di programmazione artistica e le attività pedagogiche che svolgiamo sono ispirati a questa visione». Al suo quattordicesimo anno, la Paris Mozart Orchestra continua a portare la musica nei luoghi più disagiati come sui palchi più importanti e Claire Gibault è ben intenzionata a proseguire: «Ho la grande fortuna di essere arrivata in forma alla mia età. Quella contro l’ageismo è un’altra delle mie battaglie. Nessuno mette in discussione che gli uomini dirigano fino alla fine dei loro giorni, invece a me chiedono: “Allora, è arrivato il momento di ritirarti?”. Un paradosso perché con gli anni si diventa sempre più abili, ma le donne - non solo nella musica, ma nell’economia tutta - quando non sono più abbastanza avvenenti vengono messe da parte», conclude la Maestra. Non c’è alcun dubbio che quella tredicenne diligente e sognatrice a cui, quando il direttore del Conservatorio di Mans doveva assentarsi per un impegno, veniva chiesto di deporre il violino, allora suo strumento di studiofiglia di un maestro di solfeggio e trombettista, sin dai 4 anni Claire si è dedicata con grande curiosità e dedizione alla musica - per prendere il suo posto e dirigere i compagni, sarebbe immensamente fiera e non poco sorpresa della strada compiuta. Perché con il suo personale piccolo passo ha saputo farsi magistrale interprete di una visione autenticamente universale della musica, anche nei fatti e nei numeri, oltre che nella sua tensione trascendentale.
EDUCARE complessità, alla EMOZIONANDO
Con determinazione, competenza e autenticità, il Maestro Beatrice Venezi si fa ‘strumento’ della grande musica classica. Un antidoto alla disattenzione e all’impoverimento culturale, ma anche una forma di autentico intrattenimento
Nel centenario della scomparsa di Giacomo Puccini, suo conterraneo, il Maestro Beatrice Venezi non poteva che essere in prima fila a ‘orchestrare’ la ricorrenza:
l’abbiamo incontrata subito dopo il Festival Puccini a Torre del Lago di cui è stata Direttore principale ospite - il più importante festival lirico d’Italia e l’unico al mondo dedicato al compositore lucchese - ma l’evento chiave del suo 2024 è stata finora la Turandot diretta a fine maggio al Teatro Colón (peraltro prima donna a calcarne il podio) che all’America latina sta come la Scala all’Europa, in una Buenos Aires già
FOCUS_IN MUSICA
storicamente palcoscenico di tante prime pucciniane all’estero. Un’accoglienza entusiastica, tanto da esser già stata invitata nuovamente a novembre, cosa del tutto inusuale nella stessa stagione, questa volta con Un ballo in maschera di Verdi.
A soli 34 anni, la sua carriera l’ha già vista collaborare con interpreti e orchestre di prestigio internazionale, dall’Europa al Giappone, per più di 250 concerti sinfonici e 100 rappresentazioni d’opera. Direttore artistico della Fondazione Taormina Arte e già Direttore principale ospite dell’Orchestra della Toscana e Direttore principale dell’Orchestra Milano Classica, ha ottenuto importanti riconoscimenti per le sue capacità artistiche e per l’impegno nella diffusione della cultura musicale nelle giovani generazioni, che la caratterizza nella sua volontà di democratizzare l’accesso alla musica classica. Che non ha però vita facile.
Maestro Venezi, cosa ha imparato sulla leadership dovendo conquistare l’autorevolezza per dirigere orchestre e interpreti di prestigio internazionale così giovane - ha iniziato poco più che ventenne - senza un ‘pedigree’ familiare ad accreditarla e, per di più, donna che non nasconde la propria femminilità in un ambiente fortemente conservatore?
Inutile girarci attorno, le doti di leadership sono in gran parte innate. Si possono però sviluppare piccole strategie per gestire le situazioni più complesse. Peccato che al Conservatorio ci si concentri esclusivamente sulla tecnica che, per quanto fondamentale, è soltanto una parte di tutto il lavoro richiesto a un direttore d’orchestra. Quello che ho capito è che l’ascolto è essenziale: non mi riferisco ovviamente all’esecuzione, quanto a un ascolto a 360 gradi, di tutte le caratteristiche del gruppo con cui mi trovo a lavorare, specialmente quando come direttore ospite ho un brevissimo periodo per entrare in sintonia con una nuova formazione e comprendere quali ne siano i punti di forza e le debolezze, l’umore del momento, gerarchie e simpatie interne, chi sia tuo alleato e chi invece mai starà dalla tua parte, perché è impossibile pensare di piacere a decine di persone, no? Insomma, cogliere ogni possibile sfumatura per avvicinarsi poi all’ideale artistico che si ha dei brani o dell’opera su cui si lavorerà insieme. È proprio l’idea di poter costruire un risultato collettivo, lavorando sull’empatia e le relazioni ad avermi spinto verso questa professione. Quanto gioca con il grande interesse mediatico attorno alla sua figura?
Proporre un’immagine innovativa mi ha sicuramente favorito nel rapporto con il grande pubblico. Allo stesso tempo è da subito risultata ingombrante in un
FOCUS_IN MUSICA
mondo accademico che, arroccato nella difesa del suo prestigio, teme proprio il confronto a cui lo invita l’apertura di cui sono fautrice. Il nostro rimane un ambiente conservatore, elitario, maschilista e gerontocratico. Fortunatamente, tanti musicisti e operatori del settore che fanno veramente con passione il loro lavoro stanno iniziando a rendersi conto del fatto che anche un tipo di anche di comunicazione più ‘pop’ - proprio nel senso di popolare - è necessaria per creare il pubblico del futuro.
za sono potenti antidoti contro la barbarie, le storture morali e la banalizzazione di questo nostro mondo occidentale. Le storie stesse che l’opera mette in scena sono portatrici di valori, messaggi, modelli da seguire, o al contrario da rinnegare, che vivono ancora in tutta la loro potenza, grazie all’impatto dell’esperienza teatrale.
Come trovare delle formule adatte ad avvicinare il grande pubblico senza banalizzare?
Se storicamente la musica classica è stata una forma di intrattenimento, pur di altissima qualità artistica, come tale bisognerebbe tornare a promuoverla. Ne ho avuto conferma al Teatro Colón di Buenos Aires, frequentato da un pubblico eterogeneo, che apprezza la modernità di grandi classici come la Turandot, la loro carica comunicativa, mentre nel Vecchio Continente chiunque non sia già iniziato al genere se ne tiene a distanza.
Ma, pur immenso, questo patrimonio cosa può dire alla società odierna?
Ancor prima del valore artistico ed estetico, la forza della musica classica risiede nel costituire una forma di resistenza attiva nei confronti di una società depauperata, che ci vede sempre più ignoranti, disattenti, incapaci di porre attenzione e disinteressati al sapere che ne è patrimonio culturale. In questo senso la musica classica ha una straordinaria funzione civica, che è quella di educare alla complessità. Complessità che non significa di difficile comprensione, ma che risiede nella moltitudine di input racchiusi in un lavoro stratificato come può esserlo un brano sinfonico o, ancor di più, un’opera lirica. Ecco, la complessità e la bellez-
Senza snaturare la materia, possiamo comunicarla in modo molto più appealing per riuscire a portare in sala chi non c’è mai stato, affinché possa farsi emozionare da questa ‘grande bellezza’ che tocca anche fisicamente, con le vibrazioni analogiche prodotte da strumenti e voce.
Ad esempio, considerando come la soglia dell’attenzione sia sempre più bassa, si possono sperimentare proposte di avvicinamento di un solo atto o estratti di scene chiave, come pure programmi sinfonici costruiti attorno a una tematica sviluppata da diversi compositori.
Ancor prima, a livello di scuole ci sarebbe molto da fare.
Sì, sto concludendo la revisione della seconda edizione del mio manuale destinato alle scuole medie. I programmi ministeriali dovrebbero sperimentare metodologie di insegnamento alternative, puntando sull’educazione all’ascolto e sul canto corale, che dovrebbe a mio avviso rimpiazzare il flauto dolce, anche qui in Ticino disperazione di ogni genitore oltre che di ogni allievo.
E a livello di pari opportunità?
L’importante è normalizzare: le bambine e le ragazze dotate non devono sentirsi un’eccezione, ma capire che farcela è possibile e che già tante prima di loro hanno avuto successo malgrado siano state passate sotto silenzio. Per questo sono fiera dell’attenzione ricevuta dal mio libro Le sorelle di Mozart, tradotto anche in francese e spagnolo, e diventato un programma per Rai Play, Voci fuori dal coro. Alcune di quelle dodici donne, compositrici geniali, musiciste ribelli o interpreti sublimi, le sto ora inserendo nella seconda edizione del mio manuale scolastico.
La sua femminilità si esprime anche negli abiti che indossa sul podio. Come li sceglie?
L’abito ideale deve essere elegante e allo stesso tempo funzionale. Mi faccio sempre vestire da brand italiani perché penso che portare in scena l’opera della nostra tradizione insieme a un’altra eccellenza del ‘made in Italy’ offra un valore aggiunto, che infatti all’estero è sempre molto apprezzato. Niente tacchi vertiginosi, devo essere comoda e stabile, dunque basta qualche centimetro.
Da quasi sei anni risiede a Lugano con il suo compagno. A quando una sua esibizione al Lac? Il pubblico è in attesa... Anch’io! Mi farebbe immensamente piacere esibirmi in quella che ormai considero ‘casa’. Intanto in calendario nei prossimi mesi ci sono tante esibizioni fuori Europa, dalla Georgia a Macao e Seoul, oltre al ritorno al Teatro Colón e, fra pochi giorni, uno degli appuntamenti che più mi onora, la direzione Nuova Orchestra Scarlatti in occasione del prossimo G7 della cultura, fra gli scavi archeologici di Pompei, che sembra confermato, malgrado le recenti ombre sul ministero della Cultura italiano abbiano tristemente rischiato di pregiudicarlo. Nel 2025 ripartirò dall’Italia e, fra i tanti impegni in progamma, mi cimenterò con un’incursione nel mondo del
IN FOTO, LO SCORSO MAGGIO IL MAESTRO BEATRICE VENEZI HA RESO OMAGGIO AL CENTENARIO DI PUCCINI, PORTANDO IN SCENA LA TURANDOT AL TEATRO COLÓN DI BUENOS AIRES, PRIMA DONNA A DIRIGERE NEL TEMPIO DELLA MUSICA DELL'AMERICA LATINA. AL SUO CELEBERRIMO CONTERRANEO È ANCHE DEDICATO IL SUO ULTIMO LIBRO, CHE RACCONTA L'UOMO DIETRO IL MUSICISTA, NEI SUOI VIZI E NELLE SUE PASSIONI: UN'ALTRA OCCASIONE PER TOGLIERE UN PO' DI POLVERE DALL'OGGETTO "MUSICA CLASSICA"
musical, insieme a molti amici e grandi interpreti che mi raggiungeranno da Londra e Stati Uniti al Rossetti di Trieste, nello stesso periodo in cui sarò presente al Teatro Verdi con una produzione invece di un’opera fra le più classiche, Il ratto del Serraglio di Mozart. Neanche 35 anni, ma già tante stagioni da protagonista. Riesce a estrapolarne due momenti che porta nel cuore?
Non è facile rispondere, ma sicuramente sono rimasta impressionata dalla qualità dei musicisti che ho diretto in Giappone, trovando dei professionisti tecnicamente impeccabili fin dalla prima prova e anche grande stima dal pubblico. Non posso poi non citare due concerti in Italia, uno a Lucca lo scorso anno per l’apertura delle celebrazioni pucciniane, l’altro questo luglio in Piazza del Campo a Siena con l’Orchestra Toscanini, invitata dall’Accademia chigiana, dove ho studiato: in entrambi i casi, vedere la piazza piena con oltre 5000 persone e tante altre in piedi in attesa, è stata un’immensa soddisfazione perché mi conforta nella convinzione che la grande musica classica sappia ancora raggiungere un ampio pubblico, emozionando.
La magia di un concerto dal vivo: un’esperienza di totale immersione condivisa tra artisti e spettatori.
Tutti uniti dalla stessa emozione
La musica, specialmente quella classica, ha il potere straordinario di trasportarci in una dimensione altra, dove emozioni e pensieri si intrecciano, creando un’esperienza che va ben oltre il semplice ascolto. Un concerto dal vivo è un momento unico, un rito collettivo che avvolge e coinvolge tutti i sensi, rendendo ogni esecuzione unica e irripetibile.
Walter Benjamin scriveva a tale proposito dell’aura di un’opera d’arte. In un concerto dal vivo, questa aura si percepisce in ogni nota, in ogni sguardo tra gli interpreti, negli istanti di silenzio che precedono ogni concerto: il pubblico applaude l’ingresso dei musicisti, che prendono il loro posto e controllano l’accordatura dei loro strumenti. Ogni spettatore, con il suo vissuto e le sue emozioni, contribuisce a creare un’energia palpabile che si intensifica man mano che l’orchestra si prepara a suonare. Un istante di silenzio e poi tutti, musicisti e pubblico, respirano insieme… e la musica prende vita. È un momento magico, che non può essere replicato, perché racchiude l’unicità dell’esperienza vissuta. Artisti e ascoltatori sono diversi ogni volta, scoprono nuove sfumature e si emozionano in modi inaspettati. Nella mia lunga frequentazione di teatri e sale da concerto, ho avuto molte volte il privilegio di assistere al rinnovarsi di questo momento magico da una posizione terza rispetto a pub-
UNICO Irripetibile
blico e artisti. Ben presto, completati gli studi di pianoforte, ho scoperto di preferire il lavoro nascosto agli occhi del pubblico del maestro preparatore per l’opera lirica, di colui cioè che, seguendo le indicazioni del direttore d’orchestra, cura la preparazione dei cantanti e da dietro le quinte si occupa della realizzazione di uno spettacolo d’opera: l’entrata in scena tempestiva degli artisti, con i loro riti scaramantici, l’eccitazione e la paura, i segnali impartiti a macchinisti e datori luci per i cambi scena e gli effetti luminosi, il riporto del gesto del direttore per le campane che si odono da lontano o per la banda di palcoscenico, che devono andare a tempo con l’orchestra in buca. Da quella posizione nascosta ho potuto osservare e godere del dialogo continuo tra orchestra, solisti e pubblico, un gioco sottile di risonanze e silenzi, come se il tempo si sospendesse, permettendo di vivere un’esperienza di totale immersione. Un concerto dal vivo è un incontro irripetibile tra musica, musicisti e pubblico. Quando le ultime note si spengono e il silenzio torna a riempire la sala, ci rendiamo conto di aver vissuto qualcosa di prezioso, un momento di pura bellezza che per una breve durata ci ha distolto dalle nostre fatiche e preoccupazioni quotidiane, donandoci il privilegio di fermare il tempo.
DI ANDREA AMARANTE
DI ANDREA AMARANTE, DIRETTORE ARTISTICO DEL SETTORE MUSICA DEL LAC
Che cosa significa gestire il proprio talento, quando si è figli d’arte?
La (bella) storia di Matteo
L’intervista ha luogo pochi giorni prima della sua partenza per il Sud America. Messico, Colombia, Cile, Brasile e un pubblico pronto ad applaudire il suo nuovo idolo. Tra novembre e dicembre sarà poi la volta di Los Angeles, New York, Toronto, Seattle e San Francisco. Non è nuovo ai palcoscenici internazionali. A ventisette anni, infatti, ha già calcato le scene più iconiche al mondo, cantato davanti al presidente degli Stati Uniti Biden, al Papa e a re Carlo III, in occasione della sua incoronazione.
SOLO. FINDING MY WAY
Come per il padre Andrea, anche per Matteo Bocelli il sacro fuoco della musica ha iniziato ad ardere fin da giovanissimo. «Come tutti coloro che nascono in una famiglia d’artisti, sono cresciuto circondato dalla musica. Non solo quella lirica, fil rouge della carriera di mio padre, ma musica nelle sue più variegate espressioni», racconta. «In casa si ascoltava di tutto, da Frank Sinatra a Whitney Houston. Ho ascoltato le voci più rappresentative della canzone italiana, da Luigi Tenco a Renato Zero e Pino Daniele. Naturalmente anche musica internazionale: apprezzo molto Ed Sheeran, la sua Perfect è una canzone che trovo semplicemente incredibile! Nel tempo ho maturato la consapevolezza che il mio registro è il pop». Di carattere riservato, Matteo Bocelli ha sempre cantato, da quando era piccolo, «ma
lo facevo solo davanti a mia madre, mai a mio padre, fino al giorno in cui ho capito che sarebbe stato bello e utile ricevere indicazioni da parte sua, forte della sua grande esperienza». Nel 2018, quando «studiavo musica al Conservatorio ho co-scritto il brano Fall on Me. Inizialmente non era previsto che io cantassi; la decisione di fare un duetto padre-figlio, con questa canzone, è arrivata in un secondo momento». Duetto che ha lanciato la presenza di Matteo sulla scena internazionale. Colonna sonora del film Disney Lo schiaccianoci e i quattro regni, è il brano che, l’anno seguente, Matteo Bocelli canta al Festival di Sanremo «sicuramente uno dei palchi e delle esperienze per me speciali», commenta il cantante. Il debutto da solista è arrivato con il brano intitolato Solo, nel 2018. A distanza di cinque anni, nel 2023, il primo album: Matteo, 12 tracce, alcune delle quali in italiano, altre in inglese, e l’inizio di un tour mondiale. «In effetti, tanti artisti usano come titolo per il primo album il proprio nome. È un po’ come affacciarsi nel mondo della musica presentandosi
IN QUESTE IMMAGINI, MATTEO BOCELLI, CANTANTE E MODELLO. DOPO L'USCITA DEL SUO PRIMO ALBUM, INTITOLATO 'MATTEO' È IN CORSO IL SUO TOUR MONDIALE
esattamente per quello che si è, mettendosi in qualche modo a nudo. E io sono, appunto, Matteo. La scelta del titolo di quest’album, poi, risponde anche a un’esigenza di tipo pratico: una prima idea era intitolarlo Fasi, da un brano che mi sta particolarmente a cuore. Tuttavia, a livello internazionale, la parola ’fasi’ non esprime nulla, mentre un nome proprio è comprensibile in tutto il mondo».
A proposito di nomi e cognomi, c’è un brano - questa volta di Lucio Dalla - che accompagna costantemente Matteo: «Sì, è Caruso Un pezzo che canto sempre al termine dei miei concerti; esprime il mio lato ’lirico’. Un brano a cui sono affezionato anche perché lo collego alla fase della mia vita precedete Fall on me. Un periodo in cui mi esibivo nel corso di serate, con il produttore David Foster. È stato lui a consigliarmi di cantare questo brano che trovava giusto per la mia voce. Un’altra pietra miliare, le cui canzoni canto sempre volentieri, è Elvis Presley; anche Quando Quando Quando di Tony Renis è un brano che mi piace riproporre».
Da una parte la bravura e l’impegno, dall’altra l’aspetto fisico: che valore ha? «La bellezza è quella che ti riconoscono gli altri. Mi sono sempre visto normale e basta. Tanto che, quan-
IN QUESTE PAGINE, ALCUNI SCATTI DI
MATTEO BOCELLI CHE, IN VESTE DI MODELLO, È PROTAGONISTA DI CAMPAGNE PUBBLICITARIE
PER ALCUNI NOTI MARCHI DELLA MODA
do mi è stato proposto di lavorare con Jennifer Lopez per un noto Brand di moda, per un attimo ho creduto quasi fosse uno scherzo!». Mentre, riflettendo su che cosa significhi essere privilegiati: «Sono consapevole di rientrare in quella minima percentuale di persone che hanno un percorso di vita atipico rispetto alla stragrande maggioranza degli individui. Il che, in positivo, naturalmente rappresenta un privilegio. Come del resto è un privilegio poter condividere dei momenti con personaggi famosi e viverli nelle loro assoluta normalità di ‘uno di noi’ oppure incontrare personaggi unici: per me è stato così, per esempio, con Papa Francesco, un incontro che seppur breve mi ha regalato una grande emozione e un grande privilegio. D’altro canto, questo assetto
di vita, proprio in quanto ‘non normale’ rischia di farti perdere l’equilibrio. Trascorrere molto tempo lontano da casa e dagli affetti, cambiare hotel, città e continenti… sbalzi continui che mal si adattano alla natura dell’essere umano che è un ‘animale d’abitudine’», prosegue Matteo Bocelli, «anche in questo però mi sento fortunato: a compensare possibili sbalzi mi aiutano i valori e le abitudini di famiglia, la provenienza da una realtà tranquilla, la Toscana dove, ad ogni ritorno, riprendo la mia vita di tutti i giorni: gli amici, il cane, le mie passioni, ad esempio quella di smontare vecchie jeep (sorride)».
Che cos’è dunque il successo? «È uno strumento per diventare un individuo migliore», non ha dubbi su questo, Matteo.
E l’essenza della musica? «La musica ha il grande potere di fare breccia nell’animo non solo di chi attraverso essa si esprime, ma anche e soprattutto dei destinatari di quella musica, il pubblico. Facendo musica, ho l’aspirazione di lasciare di me un buon ricordo, lasciare qualcosa per gli altri e agli altri. Sono convinto che se un talento ci viene dato, è perché lo si possa, anzi lo si debba mettere a servizio del prossimo».
Quando la pagina si tinge di giallo. Acclamata violinista, Natasha Korsakova si dimostra anche un’intrigante scrittrice di thriller polizieschi. In cui la musica non è mai un semplice sottofondo
Pagine da interpretare e pagine da scrivere. Da un lato le note sullo sparito, da far risuonare per restituire la musica composta dai grandi maestri di cui, con il suo violino, è raffinata e predestinata interprete, alle sue spalle quattro generazioni di musicisti russi, fra cui il nonno Boris Korsakov, suo primo insegnante, e il padre Andrej, grande virtuoso del violino, e una mamma eccellente pianista, Yolanta Miroshnikova. Dall’altro lato invece i fogli bianchi che è lei a riempire, con il secondo strumento che, accanto al suo prezioso Jean Baptiste Vuillaume “Messiah” (1870), si è scelta come fedele compagno: la penna. E se non stupisce che abbia deciso di ambientare le sue storie nel mondo della musica, sorprende invece che, abituata a confrontarsi con il repertorio classico, come autrice prediliga un genere popolare come il giallo. «Del thriller poliziesco mi piace la possibilità di entrare in contatto con gli abissi più profondi del male, restandomene però al sicuro. Per quanto brutali siano gli eventi narrati, non possono raggiungerti e credo che questa sia parte della ragione del fascino che esercitano su tanti lettori», commenta Natasha Korsakova. «E, mentre i crimini nella vita reale non sempre vengono risolti, in un giallo si può star certi che accadrà. Costruendo la trama cerco quindi di calarmi nella mentalità dell’assassino, ma mi piace molto anche creare la figura del “salva-
tore”: il corrispettivo dell’eroe della mitologia greca è per me l’investigatore che, spesso con il supporto della squadra, porta alla condanna il colpevole. Non senza prima aver farci fatto provare emozioni di ogni sorta: sorpresa, paura, curiosità, delusione, soddisfazione... Inoltre, ‘aiutare’ a indagare su un caso di omicidio è un buon allenamento cerebrale. Un ottimo mix di ragioni per giustificare la mia predilezione, non è vero?», prosegue l’autrice, che oggi vive nel Mendrisiotto con il suo compagno, il rinomato violinista italo-svizzero Manrico Padovani. È pero in Italia che ha ambientato le sue tre prime opere, in una Roma suggestiva e fatale in cui dimostra di muoversi a pieno agio, senza peccare di esotismo: L’ultima nota di violino e L’ultimo concerto, già tradotti in italiano (edizioni Piemme), e Di Bernardo, uscito l’anno scorso in tedesco, la lingua fra le cinque che, invidiabile poliglotta, ha scelto come narratrice. Trasferitasi in Germania a 18 anni per proseguire gli studi musicali, proprio la necessità di perfezionare il tedesco, l’ha portata a leggere voracemente in questa lingua che l’ha subito conquistata. «È stato quasi naturale usarlo per i miei libri, ma c’è anche un motivo di ordine più pratico: è in tedesco che ho cominciato a scrivere al computer e vista la fluidità acquisita sarebbe stato difficile passare a una tastiera con i caratteri cirillici della mia lingua madre», ammette Natasha Korsakova. Ma, tastiera a parte, come affronta la sfida della pagina bianca? «Adoro la sensazione di avere davanti a me uno spazio libero in cui creare qualcosa di mio, partendo da zero. Ad esempio, l’idea del primo giallo mi è venuta improvvisamente in aereo, mentre sorvolavo Città del Messico. Pensavo al leggendario violino di Antonio Stradivari, “Il Messiah”, uno strumento dalla storia eccezionale che abbraccia tre secoli, con un mistero ancora irrisolto. Mi è sembrata perfetta per un thriller, nessuno l’aveva ancora fatto. E poiché non ci si aspettava un libro da me, ho potuto cimentarmi in tutta tranquillità: se non avesse funzionato, avrei continuato ‘solo’ a suonare il violino, che comunque amo moltissimo», racconta. E così, fra annotazioni sparse su fogli e foglietti qua e là, memo vocali e appunti salvati sullo smartphone - «una tecnica caotica che ha il vantaggio di depistare chiunque tenti di capire in che direzione andrò» - con una tazza di caffè latte accanto e, in questo caso, immersa nel silenzio assoluto per non farsi distrarre dalle note, è arrivata alle soglie del quarto romanzo, pubblicazione in programma per la prossima estate con il titolo di Quartet. Musica e scrittura tornano a incontrarsi alle presentazioni dei suoi libri, che accompagna con l’esecuzione di brani connessi alle atmosfere narrate. Non solo l’accoglienza del pubblico, ma anche quella della critica è stata ottima, con premi e partecipazioni ai principali festival letterari in Germania, Austria, Italia e Svizzera. Se come violinista uno dei momenti più emozionanti della sua carriera, che l’ha portata in molte delle più prestigiose sale da concerto del mondo, è stata l’esibizione
davanti a Papa Benedetto XVI in Vaticano, insieme al suo compagno Manrico Padovani, in occasione dell’Udienza per la Fondazione
Sorella Natura di Assisi di cui è ambasciatrice, come scrittrice indimenticabile è stata la serata nella quale ha ricevuto il “Premio Opera Prima Letteratura Europea Edoardo Kihlgren” al Teatro Carcano a Milano. «Ero in apprensione per l’uscita della traduzione del romanzo in Italia, dove è ambientato, per cui essere così tanto apprezzata è stato davvero gratificante.
E un’altra grande emozione è stata la presentazione del mio secondo libro all’Auditorium
Parco della Musica a Roma, proprio dove si svolgono alcune sue scene», sottolinea. Se la scrittura non si può dire che l’avesse nel Dna, in famiglia ci è entrata - e in grande stile - grazie al suo padre adottivo, il giornalista e storico corrispondente Rai, prima da Mosca e poi dal Regno Unito, Antonio Caprarica, cui rendono omaggio anche le cravatte dell’ispettore Di Bernardo. Nella sua vita ormai da una trentina di anni, marito in seconde nozze della madre Yolanta, è diventato una figura di riferimento per lei che aveva perso suo padre Andrei da ragazzina. Per tutti loro la Svizzera italiana è diventata casa. Ma quando possiamo attenderci che si tinga anche di giallo? «In realtà una storia che si svolge in Ticino l’ho già scritta. Un racconto breve, pubblicato dalla casa editrice viennese Echomedia Verlag lo scorso dicembre, che fa parte di un libro dedicato ai 100 anni della morte di Kafka. Si svolge proprio davanti al Lac di Lugano e, come suggerisce il titolo, Un caffè con Guarneri, c’è un violino importante in gioco...». Non sveliamo di più, lasciando le dovute ‘note di mistero’.
A TONO Ricominciare
C’è un fare musica, di parole e note, capace di riportare l’esistenza al di qua di quella linea rossa.
Capace di trasformare il dolore in gioia e la disperazione in speranza
Dopo un primo album in francese, incentrato su musica pop/folk, ne ha realizzato un secondo, uscito un anno fa, in inglese e in italiano. Un album, questo, pop e classico, con il coinvolgimento di piano, violino e voce. La voce è quella di Éléonore, che, soprattutto in questo secondo lavoro ha messo ben più della (sola) voce. Cantautrice, in questo disco ha fatto confluire il proprio vissuto, intenso, dell’ultimo decennio. E così, la musica ha portato luce dove c’era ombra. «La musica è parte della mia vita da sempre. In casa eravamo quattro fratelli e cantavamo tutti! Negli ultimi anni la musica è diventata per me un diario di viaggio, uno specchio, un modo di esorcizzare la malattia e la paura, una testimonianza per aiutare altre persone che si trovano a vivere la mia stessa realtà», racconta Éléonore.
La realtà è quella di una donna che all’improvviso deve fare i conti con la malattia, inaspettata e più inopportuna che mai. «Non è mai il momento di ammalarsi, certo! ma quello era proprio il più inadatto. Avevo conosciuto da qualche tempo il mio compagno. E lo avevo conosciuto in un momento difficile per lui. La perdita della moglie aveva disarmato lui e i suoi figli. Insieme, abbiamo ricominciato, condividendo questo vissuto nel fare insieme musica. Io testi, lui gli spartiti. Stavamo mettendo davanti a tutto l’importanza dell’amore, dell’accettazione reciproca, di superare le paure e anche i sensi di colpa. Qualche tempo dopo però mi sono ammalata io. Abbiamo continuato a creare insieme, ma aggiungendo nuovi temi, legati alla circostanza: l’essere in bilico
tra la vita e la morte, ma anche l’importanza di accogliere e accogliersi, di far prevalere il perdono, anche verso sé stessi. Non a caso il titolo dell’album è I’m nobody un’espressione che ha vari significati: tra i quali ‘non sono soltanto un corpo’ ma sono anche anima». L’album esplora tutti gli aspetti di questo essere faccia a faccia con la morte. Affronta il tema della perdita di tutto: capelli, ciglia, … che è come una muta. Uno spogliarsi per rinascere. ‘Nobody’ implica che il non essere nessuno ci offre in fondo la possibilità di essere noi stessi; si può andare così all’essenza di chi siamo veramente. Sono canzoni autentiche. «Nel corso di questi ultimi sette anni, ho sentito la fragilità dell’esistenza e ho fatto un lavoro su me stessa, andando in profondità. Il fatto di scrivere senza sapere se avrei potuto poi realizzare e ascoltare l’album mi ha indotto a scrivere per elaborare, a raccontare solo dopo aver capito le cose. C’è tanta luce in questi momenti, quando senti la presenza vibrante della vita e quella - che tutto può - dell’amore». L’intero progetto artistico nasce dal desiderio di condividere con il pubblico questi temi essenziali, che tanta gente vive, anche se è una cosa di cui non si parla facilmente.È stato un lungo processo, e poi certe canzoni sono difficili da cantare. «A volte non riuscivo registrare, mi sconvolgeva andare a toccare di nuovo queste parti di me. Al disco abbiamo lavorato insieme, il mio compagno Bartolomeo Lanza e io, partendo dal mio vissuto, dal suo vissuto, dal vissuto dei suoi figli. Ci sono voluti due anni per realizzarlo e provo gratitudine per quelli che mi sono stati intorno, e per coloro che hanno contribuito al progetto: Liviabella Hans, primo violino all’Osi, Lee Bradshaw, produttore, arrangiatore e compositore australiano. Oggi sono una donna serena, sotto ogni punto di vista. Sto scrivendo il mio terzo album, incentrato sul tema della ricostruzione. E, per chiudere il cerchio, abbiamo realizzato un nuovo videoclip, con la Rsi (Stefano Franchini con Simone Giannattasio) in uscita all’inizio di ottobre, che veicola un messaggio a cui tengo molto: accogliere e accogliersi, con tenerezza. Prendiamo da ogni giorno quello che ci offre. Bisogna avere fiducia. Anche nei momenti difficili, ho sentito gioia di vivere e speranza. La creazione è la chiave di lettura di un’esistenza felice», conclude Éléonore.
DUE IMMAGINI DI ELEONORE, CANTAUTRICE. REALIZZATO CON LA RSI, STA PER USCIRE UN NUOVO VIDEOCLIP COLLEGATO AL SUO ALBUM I’M NOBODY
DA SINISTRA, IN SENSO ORARIO,
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GREEN BY NATALIA CRIADO; TAVOLINO BASSO TIERED
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Avvolti dalle vibrazioni sonore, si liberano le tensioni, il respiro ritrova il suo ritmo, la mente si distacca dalla quotidianità. Ritrovando la piena armonia
RELAX SINFONICO
Nessuna visione è troppo grande
Ogni giorno sosteniamo un gran numero di fondatrici e fondatori d’impresa. Li incoraggiamo a realizzare le loro ambizioni, affiancandoli con consigli e aiuto fattivo. E con soluzioni assicurative e previdenziali adeguate.
Know You Can
STILE TENDENZE
SERVIZIO JOLIE ZOCCHI STUDIO
Sincronie di SCENA
Abituata ai riflettori, la moda si defila dalle passerelle per sfilare tra partiture e strumenti musicali. Sale verso l’alto del Pentagramma, con le sue tinte accese, come fossero note acute. E poi in giù con le sue cromie assimilabili alle note gravi. Moda e musica: la stessa frequenza vibrazionale. Che spettacolo!
Abito Act N°1
Giacca VI to VI
Orecchini Fossati
LOCATION
Auditorio Stelio Molo RSI
Lugano – Besso
Si ringrazia per la collaborazione
l’Orchestra della Svizzera italiana (OSI)
Abito Alberta Ferretti
Stola 23 OUT of rules
Gioielli Diosa
MAKE UP
Rossetto Nars
Explicit Lipstick
Unrestrained 886
Blush Chanel Jardin imaginaire, duo fard e illuminante, Gold&Peach
Kimono LeePott
Calze Falke
Sandali Prada
Collana Diosa
MAKE UP
Fondotinta Chanel
Ultra Le Teint Fluid-Foundation
Matita Chanel
Le Crayon Khôl
Kimono LeePott
Calze Falke
Sandali Prada
Borsa Gedebe
MAKE UP
Ombretto Nars
Laguna Ultimate Face Palette
Rossetto Nars
Explicit Lipstick, Unrestrained 886
Abito Rotate
Stola 23 out of rules
Calze Falke
Scarpe Stuart Weitzman
MAKE UP
Blush Chanel Jardin imaginaire, duo fard e illuminante, Gold&Peach
Ombretto Nars
Laguna Ultimate Face Palette
Kimono LeePott
Gioielli Diosa
MAKE UP
Fondotinta Chanel
Ultra Le Teint
Fluid-Foundation
Smalto Chanel
Le Vernis, 181 Songe d’été
Matita Chanel
Le Crayon Khôl
Rossetto Nars
Explicit Lipstick
Unrestrained 886
NARS
Explicit Lipstick UNRESTRAINED 886
CHANEL
Le Vernis
181 SONGE D’ETE
FOTO E DIREZIONE CREATIVA
JOLIE ZOCCHI STUDIO
JOLIEZOCCHI.COM
IG JOLIE-ZOCCHI
MODELLA
LEA K
IG LEAVOCADO
AGENZIA
VISAGE ZURICH
IG VISAGEMODELSZURICH
MAKE UP
SVITLANA PROZORT
IG SVITLANA.PROZORT
STYLING
GRETA ZALAYA
ASSISTANT ELSA WEDHOLM
LOCATION
AUDITORIO STELIO MOLO RSI
LUGANO – BESSO
SI RINGRAZIA PER LA COLLABORAZIONE
L’ORCHESTRA DELLA SVIZZERA
ITALIANA (OSI)
SPECIAL THANKS TO NASSADONNA AIMOROOM
LAGUNA ULTIMATE FACE PALETTE I NARS
Face Palette
SISLEY
Phyto-touche gel
Abito Alexander Vautier
Borsa Etro
Gioielli e orologio Gemmyo
dal 26 settembre a Lugano
La grezza sensualità della pelle reinterpretata dalle creazioni uniche della stilista zurighese Yvonne Reichmuth, all’intersezione fra capi di abbigliamento, accessori e oggetti. Dichiarazioni di stile.
E di amore per un grande classico che sa essere estremamente innovativo e sostenibile
Sovversiva e audace o tradizionale ed elegante. Resistente ma versatile. Impiegata sin dalle più antiche civiltà non soltanto per la realizzazione di capi di abbigliamento, ma anche di accessori ornamentali e rivestimenti pregiati, la pelle ha stimolato la maestria di artigiani e creativi che, secolo dopo secolo, l’hanno reinterpretata tramandando il patrimonio delle sue lavorazioni e conquistando nuovi settori, dall’alta moda al design di interni e all’architettura. «Nel mio caso, me ne sono innamorata quando ne ho capito l’incredibile versatilità e il modo in cui evolve nel tempo, diventando un riflesso di chi la indossa. La pelle ha un fascino senza tempo, una sensualità grezza che permette una creatività infinita», osserva la stilista svizzera Yvonne Reichmuth. Nel 2015, dopo un diploma in Fashion Design a Zurigo e studi a Firenze per perfezionare le sue competenze nella lavorazione e nella finitura del cuoio, ha lanciato il suo
marchio, YVY. Minuziosi dettagli di trafori, allacciature e delicati rivetti, combinati con tagli accuratamente lavorati, si fondono in pezzi di artigianato straordinari e altamente innovativi. Trovando la bellezza nei contrasti e da questi creando armonia. «Approfondendo le mie conoscenze, ho compreso il potenziale di creare pezzi che non fossero solo accessori, ma elementi trasformativi di un guardaroba. La nostra Usp risiede in questa capacità di
SOPRA, YVY PUÒ CONTARE FRA LA SUA CLIENTELA UN FEDELE SEGUITO DI CELEBRITIES CHE FANNO DELLO STILE UNA BANDIERA. AMBASCIATORI SPONTANEI CHE HANNO PORTATO AL BRAND ATTENZIONE INTERNAZIONALE E NUOVE OPPORTUNITÀ
FRA LE SUE CREAZIONI ESCLUSIVE IN PELLE, NELL’ATELIER-BOUTIQUE, A ZURIGO
RAFFINATA TRASGRESSIVITÀ
fondere stile e funzione. Un lusso che veste l’individualità e resiste alla prova del tempo, facendo sempre tendenza», ci spiega Yvonne. Che al tempo e alle convenzioni sfugge anche sottraendosi ai ritmi dettati dalla fashion industry, così come alle categorie di genere. «Liberarsene è stato impegnativo e stimolante. È un approccio più sostenibile e in linea con il nostro impegno a privilegiare la qualità rispetto alla quantità. Ci garantisce infatti di lavorare su progetti che guardano al lungo orizzonte, in termini di ritorno dell’investimento, ma anche di quello che è il mio obiettivo ultimo: creare pezzi iconici, non influenzati dai cicli della moda», sottolinea la stilista.
La volontà di dar vita a un’azienda tutta sua era chiara sin dal principio, proprio per poter controllare la sua visione creativa e dimostrare che i marchi indipendenti possono stabilire nuovi standard nel settore del lusso. Ma come si riesce - fuori dal sistema - a creare domanda per un accessorio che, per definizione, è qualcosa di superfluo? «Questa sfida è proprio ciò che mi entusiasma. La vedo come un’opportunità per ride-
IN QUESTA PAGINA, LA STILISTA YVONNE REICHMUTH
finire il significato di ‘necessario’ nella moda. Creiamo domanda offrendo pezzi che entrano in risonanza con chi li acquista a un livello più profondo: non sono solo ornamenti, ma estensioni dello stile personale.
Ogni articolo è realizzato meticolosamente per farsi notare aggiungendo un tocco unico a qualsiasi outfit», sottolinea Yvonne Reichmuth.
Poche collezioni, ma i modelli giusti per conquistare una clientela sofisticata ed esigente, che comprende anche un fedele seguito di celebrities che fanno dello stile una bandiera, come Madonna, Monica Bellucci, Billie Eilish, Ricky Martin o Lady Gaga. «Ammetto che vedere le mie creazioni indossate da personaggi così iconici è surreale e incredibilmente gratificante. Sono celebrità con una forte personalità e il fatto che i capi YVY completano il loro stile senza sforzo è una testimonianza della loro versatilità. Quando qualcuno come Madonna o Lady Gaga decide di indossare il tuo design, non è solo una scelta di moda: è un messaggio culturale che porta un’ondata di attenzione e nuove opportunità», evidenzia la stilista. Questi ‘ambasciatori’ sono stati fondamentali per amplificare la rilevanza e la credibilità del marchio a livello internazionale, portando alla ribalta l’atelier zurighese e facendo sviluppare velocemente l’attività.
Se all’inizio Yvonne e il suo team si occupavano internamente di ogni dettaglio, la maggior parte della
produzione è stata esternalizzata in Italia, mantenendo però lo sviluppo e le richieste personalizzate all’interno dell’azienda. «Trovare partner di produzione disposti ad apprendere a creare prodotti unici come i nostri, che combinano spesso tecniche diverse, dalla produzione di borse alla sartoria, alla tessitura e oltre, è stato fondamentale e ha richiesto un grande impegno, perché molti impianti di produzione sono orientati verso articoli standardizzati», spiega Yvonne che dal canto suo ha dovuto imparare a bilanciare i ruoli di designer e di imprenditrice, profondamente interconnessi: creatività e strategia devono sostenersi a vicenda. Oltre ai clienti sono arrivati anche prestigiosi riconoscimenti, tra cui lo Swiss Design Prize for Young Entrepreneurs, l’Accessory Designer of the Year by Premium’s Berlin Young Talent Award, The Future of Fashion Award by Première Classe Paris, Top 100 in Switzerland by Women in Business e, l’anno scorso, la consacrazione istituzionale dello Swiss Design Awards, conquistando la giuria con la YVY Plissé Capsule Collection con cui, in collaborazione con Eva Ott, ultima artigiana in Svizzera specializzata nella tecnica della plissettatura a mano, Yvonne ha sorprendentemente reinterpretato il pellame conferendogli la duttilità di un tessuto che assume forme geometriche e fluide al contempo.
Altra attestazione di rilevanza, e occasione di ulteriori sperimentazioni, sono le collaborazioni con brand del lusso, come Piëch Automotive e Longines.
YVY WRAP BRA, COPPE REALIZZATE
A MANO CON LA
MIGLIORE NAPPA
ITALIANA, CINTURE E GIROCOLLO IN PELLE
ITALIANA CONCIATA AL VEGETALE
I CINTURINI DOPPI IN PELLE CREATI
DA YVONNE REICHMUTH PER LONGINES DOLCEVITA X YVY
«Sono sfide entusiasmanti che spingono a pensare fuori dagli schemi, oltre a far crescere la nostra community globale. Progettando per settori altamente tecnici come il design automobilistico e orologiero, occorre adattarsi alle loro esigenze specifiche. Il processo creativo diventa più partecipativo per garantire che il prodotto finale non solo sia bello ma soddisfi precisi standard funzionali», nota la stilista.
Perché non sperimentare allora anche qualche alternativa vegana alla pelle, come l’alta moda, sempre più attenta alla sostenibilità, sta cominciando a fare? «Su ciò che viene commercializzato come pelle vegana c’è molta disinformazione. Spesso si tratta solo di plastica, a volte con qualche fibra di frutta mescolata per renderla più attraente. Consiglio vivamente di leggere gli ingredienti di questi materiali e di considerarne la longevità. La pelle, se acquistata in modo responsabile, è un materiale durevole che invecchia meravigliosamente. La sua longevità e la possibilità di ripararla e riciclarla la rendono una scelta sotto molti punti di vista più sostenibile di molte alternative sintetiche. E, anno dopo anno, assorbe e restituisce le storie di chi la porta», osserva Yvonne. Per ridurre al minimo gli sprechi e sfruttare al meglio le qualità intrinseche del materiale, YVY si impegna a utilizzare soltanto pellami derivati dall’industria alimentare, la maggior parte conciata al vegetale, seguendo una tradizione artigianale secolare basata sull’uso di estratti di tannini naturali, sicura per i lavoratori e per l’ambiente, oltre a conferire al cuio un aspetto unico e naturale.
YVY LEATHER
KNOT DRESS, PEZZO DI ALTA SARTORIA REALIZZATO
CON I MIGLIORI
PELLAMI ITALIANI
SU ORDINAZIONE, NASCE GRAZIE
A 25 ORE DI ANNODATURA
Malgrado abbia già vissuto all’estero e le occasioni non manchino, Zurigo rimane l’epicentro di Yvonne e della sua impresa: «Ho spesso riflettuto se trasferirmi, ma torno sempre a Zurigo per la sua eccezionale qualità di vita. Inizio la giornata pedalando per la città, d’estate faccio un tuffo nel lago e poi mi dirigo verso la boutique-atelier che si trova proprio di fronte, in Dufourstrasse 31. La vicinanza alla natura mi trasmette molta energia, e poterla integrare nella mia quotidianità pur vivendo e lavorando in città è impagabile. E poi posso raggiungere rapidamente a Parigi per la Settimana della Moda o l’Italia per la produzione», sottolinea Yvonne Reichmuth. Anche il suo approccio è molto svizzero: focus su precisione e alta qualità, sodo lavoro, umiltà e affidabilità sono qualità che ritiene essenziali per il successo a lungo termine. Per essere, proprio come la pelle che lavora, un brand che resiste alla prova del tempo mantenendo intatta la sua autenticità e la sua promessa di qualità e creatività.
YVY PLISSÉ CAPSULE COLLECTION
T rend di MODA MILANO. PARIS
S TAGIONE
I must-have per l’autunno. Colore, consistenze, libertà. Tendenze che affermano una femminilità autentica ma che non resta a guardare. È tempo di slow life, sì, però divertendosi
DI JOLIE ZOCCHI
Creative Director . Photographer
FERRAGAMO
VICTORIA BECKHAM
Èstata una lunga attesa, ma eccolo lì, finalmente, il power suit che vogliamo davvero indossare. Slim-fit, senza esagerare con le spalline anni ’80, elegante e sofisticato, pronto a conquistare il mondo. Non è solo un completo, è un’affermazione: “Sì, sono qui per fare sul serio”. E la palette? Nero, grigio e quel gessato che non smetteremo mai di amare. Poi, arriva il momento della nostalgia. Granny attitude? Assolutamente sì. Un cappotto vintage, stola di lana, e sembrava proprio che ogni nonna del mondo fosse lì a dare la sua approvazione. Non si tratta più di pescare qualche pezzo dall’armadio della nonna, ma di reinventare un’intera estetica che rende omaggio al passato senza sembrare troppo ‘museale’.
ALBERTA FERRETTI
FERRAGAMO
MIU MIU
MIU MIU
Ma la vera sorpresa? Lo zebrato ha rubato la scena! Dimentica per un attimo il leopardato (anche se, spoiler: non andrà da nessuna parte), la stampa zebra ha sfilato con fierezza, accompagnata da un mood decisamente parigino. Sarà il nuovo ‘animal’ preferito? E non possiamo ignorare la rivisitazione del Boho chic. Sì, Sienna Miller sarebbe orgogliosa. Questa volta però, è tutto un gioco di contrasti: leggerissimi tessuti si fondono con pelle lucida e frange decise. Boho sì, ma con grinta.
VICTORIA BECKHAM
CHLOÉ
BEVZA
Tra trasparenze che ci fanno chiedere se davvero è già inverno (grazie YSL per il pizzo ovunque) e tendenze che ci invitano a prendere tutto con più calma, come il movimento slow life, la moda di questa stagione sembra volerci dare uno spazio per respirare... ma sempre con stile. E per i colori? Sono qui per ricordarci che anche l’inverno può essere vibrante: verde sottobosco, giallo burro, marrone cioccolata calda, azzurro cielo e blu navy. C’è davvero qualcosa per ogni mood.
N°21
N°21
STELLA McCARTNEY
SOPRA, PER LA SUA APPARIZIONE
SUL RED CARPET DELLA
SERATA INAUGURALE
DELLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA,
LA TOP MODEL IZABEL
GOULART HA PORTATO
SUL RED CARPET L’ALTA
GIOIELLERIA DAMIANI,
CON IL GIROCOLLO
NOTTE DI SAN LORENZO
IN ORO BIANCO E DIAMANTI
GLAMOUR
sotto i riflettori
Red carpet è sinonimo di glamour e il total black la fa puntualmente da padrone. Non mancano gli abiti argentati e dorati, le paillettes e i colori pastello. Qualche strascico, non sempre timido, volant, pizzi e trasparenze, spacchi e tacchi vertiginosi.
Da Cannes a Venezia, regine europee del cinema, fino al Peacock Theater di Los Angeles, per la cerimonia degli Emmy Awards, il più importante premio televisivo americano, la magia del celebre tappeto rosso si rinnova puntualmente. E in questi mesi dell’anno
DAMIANI, ORECCHINI MIMOSA
CARTIER, ANELLO PANTHÈRE
Cornice ideale per far brillare i gioielli, ai direttori creativi delle più importanti Maison offre lo spunto per singoli oggetti o intere collezioni. Insomma, quel red carpet nato per proteggere dal terreno le pregiate calzature di principi e nobili, usato per distinguere un percorso privilegiato, inaccessibile ai comuni mortali, è diventato il luogo di massima celebrazione del fashion e dello stile. Anzi, degli stili. Per molti aspetti un ‘tappeto rosso’ conta più di una passerella, e infatti i brand, attraverso i loro testimonial, amano esserci. Sul red carpet infatti tutto è possibile, l’importante è sorprendere.
ACCANTO, IL COLLIER CARTIER INDOSSATO DA MONICA BELLUCCI AL FESTIVAL DI VENEZIA, DELLA NUOVA COLLEZIONE “NATURE SAUVAGE”. PROTAGONISTA LA GRANDE RUBELLITE TAGLIO GOCCIA CABOCHON DA 63,76 CARATI DEL PENDENTE
, L’ATTRICE FRANCESE KARIDJA TOURÉ, MEMBRO DELLA GIURIA RIVELAZIONE DI CANNES 2024, HA SFOGGIATO UN TOTAL LOOK CHANEL: ABITO HAUTE COUTURE, ACCESSORI, GIOIELLERIA E MAKE UP
CHANEL, SPILLA PLUME
CHOPARD,
ANELLO RED CARPET COLLECTION BY CAROLINE SCHEUFELE COLLEZIONE “CONTES DE FÉES”
Divertimento, gioia, erotismo, bellezza, relax, tristezza, fantasia, trionfo, ansia, paura, fastidio, ribellione, energia: tredici sarebbero le emozioni generate dalla musica secondo una ricerca dell’Università di Berkeley che ha mappato le risposte emotive di oltre 2500 persone di diverse età e culture all’ascolto dei generi più diversi, dalla classica alla musica sperimentale. Che siano tante o anche di più, ciascuno intuitivamente avverte come ritmo e melodia di un brano musicale abbiano un influsso speciale sul proprio stato d’animo: quella scarica di adrenalina improvvisa o, al contrario, le note che ti cullano in un momento di sconforto.
D’altronde è dalla notte dei tempi che l’uomo utilizza strumenti e voce per esprimere e condividere emozioni. Ma scientificamente cosa accade nel nostro corpo e nel nostro cervello?
Un Terapeutico
RITMO
La musicoterapia ha ormai una solida base di ricerca a sostegno delle sue applicazioni a scopo terapeutico e riabilitativo, che sfruttano le forti connessioni tra mente, corpo e spirito
«La musica attiva molto di più del lobo temporale, dove vengono elaborati gli stimoli uditivi. Per esempio, le immagini che si affacciano agli occhi della nostra mente durante l’ascolto sono generate nel lobo occipitale, che agisce come se stessimo effettivamente vedendo quelle immagini. Nel lobo frontale analizziamo i motivi, la forma, il timbro e altri aspetti della musica, mentre la corteccia motoria modula i segnali che ci spingono a muoverci a ritmo. Nel profondo del sistema limbico si attivano i ricordi associati alla musica ed emozioni di ogni tipo. La frequenza cardiaca, la pressione sanguigna e altri parametri fisiologici cambiano. Sono solo alcuni esempi, poiché la musica evoca risposte uniche in ognuno di noi, in base alle nostre preferenze personali, al nostro background e alla nostra conoscenza della musica, e può influenzare quasi tutte le aree del cervello», spiega Suzanne Hanser, tra le personalità più prominenti nel campo della musicoterapia, professoressa al Berklee College of Music di Boston e presidente uscente della World Federation of Music Therapy. Quando ancora era una bambina, a sei anni, dimessa dall’ospedale dopo un importante intervento chirurgico, ai genitori che volevano farle un regalo speciale non chiese il solito cucciolo, ma un
Una playlist “mood manager”
Come crearsi una playlist terapeutica? Nel suo ultimo libro, Music for Wellness. Feel the Music, See the Light (2024), oltre a portare le testimonianze di persone da tutto il mondo e i file audio delle ‘loro’ musiche originali, Suzanne Hanser offre alcune preziose dritte. «Per prima cosa individuate una melodia che vi piaccia e che collegate a uno stato d’animo sgradevole, come tristezza o ansia. Poi identificate invece un brano che faccia emergere lo stato desiderato, come la felicità o la pace interiore. Il passo successivo consiste nel trovare una selezione di canzoni nel mezzo che non evochino nessuna delle due emozioni estreme, e lavorare intorno a questi brani per creare una traiettoria emotiva. Si tratta di un processo che chiunque può applicare, utilizzando intuitivamente alcuni concetti di base della musicoterapia, ovvero “l’iso-principio”, formulato a fine anni ’40 da Ira Altshuler, che ha così definito la sincronizzazione fra movimenti fisici, respiro e stato d’animo con la musica ascoltata, e l’entrainment, ovvero il trascinamento uditivo-motorio che si attua quando le vibrazioni sonore vengono utilizzate per provocare gradualmente un cambiamento d’umore», conclude l’autrice.
pianoforte, strumento che trovava magico. «Collocato nella mia camera da letto, divenne il mio migliore amico. Potevo scegliere melodie familiari per confortarmi o eseguire accordi dissonanti quando soffrivo. Suonavo note più dolci e gradevoli per comunicare la mia solitudine e la mia tristezza. Così mi ha aiutata a superare quel momento difficile della mia infanzia e da allora è una fonte di pace», ci racconta.
Di pace, ma anche di insegnamento e ricerca. Attraverso i suoi studi clinici sull’impatto dei protocolli basati sulla musica su varie condizioni mediche, spaziando da ostetricia, oncologia, ematologia, geriatria,
riabilitazione cardiaca e medicina di famiglia, Suzanne Hanser ha dato un essenziale contributo all’accreditamento della disciplina come modalità terapeutica e scienza della salute, oltre a formare generazioni di musicoterapeuti.
IN FOTO, UN SEMPLICE STRUMENTO DA INIZIARE
A SUONARE PER SPERIMENTARE I BENEFICI DELLA
MUSICA È LA KALIMBA
Esistono ormai solide evidenze scientifiche a sostegno dell’uso di interventi basati sulla musica a scopo terapeutico e riabilitativo. A differenza della medicina musicale, utilizzata da personale medico non qualificato come complemento ad altri trattamenti, le tecniche di musicoterapia sono interventi sistematici condotti da un professionista qualificato. «È sia un’arte che una scienza. Ogni ‘scintilla’ sonora e la risposta di ogni individuo sono uniche, per cui il musicoterapeuta elabora un piano di trattamento personalizzato per raggiungere obiettivi specifici, senza mai perdere la consapevolezza psico-spirituale del processo nel suo complesso», spiega la professoressa. In ambito sanitario, gli interventi basati sulla musica possono avere lo scopo di intervenire sui sintomi oppure offrire meccanismi di coping per gestire il dolore, l’ansia, la depressione, la consapevolezza di sé e il significato della malattia, per citarne alcuni. Le attività possono riguardare la creazione di musica attiva, l’improvvisazione, il canto, suonare strumenti, la danza, l’ascolto, … «Persino nelle persone affette da demenza, la memoria musicale è spesso conservata, anche nelle fasi avanzate di una malattia come l’Alzheimer. La musica può quindi permettere di connettersi al mondo con maggiore attenzione, energia ed emozione. In ogni vita ci sono infinite possibilità di esplorare il proprio potenziale creativo attraverso la musica, di esprimere sé stessi e di apprezzare la bellezza che ci circonda», sottolinea Suzanne Hanser. Quando poi ci si dedica attivamente alla musica, suonando, ballando o componendo, molti più neuroni del cervello vengono attivati e si connettono fra loro. L’integrazione di queste attività crea nuovi percorsi neurali che supportano l’apprendimento e facilitano la memorizzazione di una vasta quantità di informazioni. «Il consiglio, per chiunque possa, è di imparare a suonare uno strumento, indipendentemente dall’età o dalle sue doti. Ci sono molti strumenti a percussione semplici, come i tamburi a mano e la kalimba, che offrono un successo immediato; altri richiedono alcune lezioni per un suono accettabile, come l’ukulele o il flauto dolce, e altri ancora uno studio impegnativo, come quelli classici. E non dimenticate la voce e la danza come modalità di espressione, ma soprattutto riscoprite le capacità musicali rimaste sopite mentre c’erano altre priorità nella vostra vita», conclude Suzanne Hanser. Un invito che, superata qualche stonatura, sarete molto contenti di aver seguito.
L’ECCELLENZA VIENE CON L’ESPERIENZA
STRATEGIE DI INVESTIMENTO
INDIPENDENTI E DI NICCHIA
DAL 1971
In una società che risucchia molti adolescenti (e tanti loro genitori) in social network sempre più accentratori, in un’epoca in cui l’Intelligenza artificiale generativa rischia di standardizzare il nostro comportamento e la nostra scrittura, ecco che fare musica e, soprattutto, suonarla collettivamente, in una banda o un’orchestra, non solo è un’esperienza estremamente piacevole, ma potenzia la nostra motivazione e, soprattutto, alimenta il nostro desiderio di condivisione. Un bel segno di umanità ritrovata.
Negli ultimi anni le scienze, dalla psicologia alla neurologia, stanno facendo nuova luce sull’argomento. In sintesi, ne emerge come la musica sviluppi le nostre capacità cognitive, emotive e relazionali, incrementando autonomia, sensibilità e socievolezza. In maggior misura quando la si pratica in gruppo.
Nell’ambito del programma di orchestre giovanili
Demos, alcuni anni fa sono stato incaricato dalla prestigiosa Philharmonie de Paris, che lo coordina, di lavorare con circa trecento allievi, fra gli 8 e i 13 anni, e i loro insegnanti per valutare l’efficacia di questa eccezionale esperienza di democratizzazione della musica classica, che offre lezioni a bambini che non
DI DONALD GLOWINSKI, PROFESSORE ORDINARIO
ALL’INSTITUT ET HAUTE ECOLE DE SANTÉ LA SOURCE, LOSANNA; DIRETTORE DEL PROGRAMMA “COMPÉTENCES ÉMOTIONNELLES” DELL’UNIVERSITÀ DI GINEVRA E CREATORE DI TEAMVISION.AI
IN QUESTE PAGINE, ALCUNE ISTANTANEE DALLE ESIBIZIONI DEI BAMBINI COINVOLTI NEL GRANDE PROGETTO DEMOS DELLA PHILARMONIE DE PARIS
STRUMENTO di sviluppo
Anche senza essere particolarmente talentuosi, suonare in un’orchestra fin da piccoli ha un ‘notevole’ impatto sulle capacità cognitive, emotive e relazionali
vi avrebbero altrimenti facile accesso per ragioni economiche, sociali o geografiche. Con il mio team multidisciplinare di neuroscienziati, psicologi, informatici, statistici e musicisti delle Università di Ginevra, Genova e dell’Ircam (Institut de recherche et coordination acoustique/musique), per tre anni abbiamo percorso diversi quartieri di Parigi e Lione, sviluppando applicazioni innovative che ci permettessero di compiere le nostre rilevazioni e che potessero successivamente essere messi a disposizione di musicisti, educatori e operatori per valutare l’impatto del loro insegnamento, in un’ottica di scienza partecipativa. Abbiamo dunque messo a punto tablet con giochi interattivi che riproducevano in modo ludico test di abilità cognitive e iPod con sensori di movimento per testare le capacità sensoriali-motorie dei bambini. I risultati, pubblicati dalla Oxford University Press, in linea con decine di altri studi hanno confermato che, rispetto ai coetanei a cui non era stata insegnata musica, questi bambini hanno sviluppato maggiore memoria e flessibilità cognitiva (rapido adattamento a regole di azione), capacità di riconoscimento delle emozioni e sincronizzazione interpersonale. Cosa rimane oggi di questa esperienza? Sempre più allievi provenienti da quartieri
svantaggiati si iscrivono a scuole di musica e conservatori. Raggiungendo contesti sociali molto vari e rompendo i codici conservatori della musica classica, stanno emergendo nuove dinamiche. A cominciare dalla composizione, spesso determinata dal genere, di alcune sezioni dell’orchestra: laddove negli ottoni (trombe, tromboni, ecc.) erano sovrarappresentati i ragazzi, le ragazze diventano più numerose. Il formato stesso dei concerti deve evolversi per riunire culture e punti di vista eterogenei, altrimenti l’età media del pubblico continuerà a innalzarsi pericolosamente, condannando in ultima analisi l’idea stessa di concerto classico.
Le mie ricerche mi hanno inoltre portato a scoprire in che misura i musicisti di un quartetto o di un’orchestra sviluppino una capacità di resilienza organizzativa, ovvero di preservare la loro coesione nonostante fattori di disturbo (ad esempio, un pubblico agitato o un musicista che ha un vuoto di memoria). Modellando la loro interazione tramite sensori, sono stato in grado di determinare modelli di leadership e coordinamento che ora vengono applicati alle équipe mediche negli ospedali per gestire meglio le emergenze e così ridurre il rischio di errori medici. Un altro esempio che rivela l’eccezionale potenziale della musica... ai musicisti stessi! E nuovi studi scientifici sembrano dimostrare che la musica, lungi dall’essere la ciliegina sulla torta dell’evoluzione, ha probabilmente svolto un ruolo centrale proprio nella nostra capacità di stare insieme e di formare una società. Uno spirito corale.
CEDERE alle Tentazioni
Un luogo dove fermare il tempo per ritrovarsi, rigenerarsi, lasciarsi coccolare. La magia di una Spa nel segno del più autentico BenEssere
Qui si viene per riscoprire la preziosa dimensione della lentezza, rilassando il corpo e la mente. La bellezza non è un miraggio e il viaggio verso l’armonia è più breve di quanto si pensi. Qui si manifesta il potere rigenerante di un tempo da dedicarsi, che sia un giorno intero o solo qualche ora. Da soli o in compagnia. Nella quiete del mattino ancora pigro o di sera, al termine di una giornata di lavoro. Un tempo desiderabile, nel weekend dopo lo shopping o in una data importante, da celebrare. Mentre scivoli e piscine sono la cornice di un divertimento spontaneo e a tratti adrenalinico tipico dello Splash, nella Spa regnano sovrani il silenzio e la calma. Le essenze profumate e la luce ammaliante delle candele accolgono il visitatore, inebriandone l’olfatto, durante un percorso capace di indurne totale rilassamento e puro benessere. Avvolti nelle morbide spugne degli accappatoi candidi, gli ospiti si muovono liberamente in quest’area dalle dimensioni generose e dalla incredibile varietà di saune e bagni turchi, tra vasche riscaldate e aree relax. In un tempo sospeso, dove nei vapori delle tante cabine anche le lancette dell’orologio sembrano sfumare. Massaggi e trattamenti per il viso e per il corpo restituiscono armonia e si prova il piacere di una ritrovata bellezza.
Fin su, sotto la cupola, dove una musica suona note d’arte. Un’esperienza unica, pronta ad essere vissuta, 365 giorni all’anno, dalle undici alle ventuno.
JOLIE ZOCCHI STUDIO CON BOUTIQUE EMOZIONI
Pochi legami possono essere così intensi. Madre e figlia. Il piacere e la gioia di rilassarsi insieme, tra un sorriso e una confidenza. Un’emozione, sempre.
Costumi Calarena per la mamma, Verdissima per la figlia
Sauna del Sale
Pareti ricoperte di sale dell’Himalaya che aiutano a rigenerare mente e corpo. Temperatura: 65°
in tutto complicità
Un tempo condiviso. La magia di un istante in cui tutto il resto è lì, fuori, immobile. Un tempo senza lancette, creatore di armonia. Ritrovarsi.
un momento di dolcezza
Costume Aubade per lei
Cupola Suono di Sole Musica, Pittura, Scrittura. Il benessere qui è un capolavoro!
Basta un piccolo gesto per generare un benessere, che è insieme del corpo e della mente. Irrinunciabile.
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Tipica sauna nordica, dove assistere a magnifici rituali Aufguss
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Non solo dono di natura, un bell’aspetto è espressione di equilibrio interiore e cure su misura. Una conquista personale.
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LE FUNZIONI VITALI DI GIOVINEZZA
inebriante un’ alchimia
L’incontro fra eccezionali ingredienti, ma ancor prima la complicità artistica e umana fra due rinomate profumiere crea un accordo di geranio ultra-femminile dalle molte sfaccettature, intrecciato in un bouquet floreale voluttuoso e assertivo
Creare una nuova fragranza è un gioco di alchimie e immaginazione. Affinità e contrasti fra ingredienti, capacità di interpretare le esigenze di un marchio per tradurle in una formula olfattiva identitaria, sperimentando combinazioni inedite.
L’alchimia di all of me eau de parfum intense di narciso rodriguez è quella fra i due ingredienti principali, il geranio e la rosa, ma anche fra due rinomate profumiere: Daphné Bugey e Dora Baghriche. Dopo la prima collaborazione alla versione originale di all of me i loro percorsi si incrociano per un nuovo capitolo.
«Questa volta abbiamo cercato di raggiungere un’espressione olfattiva più intensa e inebriante, pur conservando l’emblematico abbinamento rosa-geranio e muschi che caratterizza la fragranza originale all of me. La nota tradizionalmente maschile del geranio, qui combinata con la vaniglia, ingrediente intrinsecamente femminile, dà vita a una fragranza audace e sorprendente. Volevamo infatti un profumo sensuale e assertivo, per una donna delicata ma sicura di sé e determinata», spiegano le due profumiere.
La sensuale firma floreale di narciso rodriguez, che ha i muschi nel suo Dna, si afferma ancora di più, accompagnata da nuovi ingredienti iconici. Opulenza e delicatezza del gelsomino sambac si sposano alla dolcezza cremosa e cipriata dell’eliotropio. La combinazione fra Ambrox, vaniglia bourbon e note muschiate del crystal moss conferisce intensità. Sempre con grande attenzione a garantire la sostenibilità dell’approvvigionamento degli ingredienti e la tutela delle comunità locali che li coltivano.
«La sfida vera è stata riuscire a plasmare una firma forte e unica con essenze naturali come queste, che offrono una ricchezza e una complessità senza pari. Ma ci piace spingerci l’un l’altra ad andare oltre, essendo entrambe perfezioniste», concludono Dora e Daphné. E questa fragranza, forte e raffinata allo stesso tempo, assomiglia in fondo proprio a loro due.
ME EAU DE PARFUM INTENSE
DORA BAGHRICHE, PROFUMIERA
SOLARE, CARISMATICA, SICURA DI SÉ: È LA MODELLA ARGENTINA MICA ARGAÑARAZ CHE NARCISO RODRIGUEZ HA VOLUTO PER INCARNARE LO SPIRITO AUDACE DI ALL OF
DAPHNÉ BUGEY, PROFUMIERA
Bellezza
SENSIper tutti i
Nato come Palazzo del Belvedere, è da secoli testimone di storia e di storie. Oggi Hotel, aperto tutto l’anno, è il place to be anche per gli abitanti della regione. Un luogo ameno dove dedicarsi un momento gourmet nei suoi ristoranti o di puro benessere nella sua Oasi. Con le arti, il design e la natura a far da cornice
Belvedere. E soprattutto, bello da vivere. In ogni stagione, in circostanze diverse. L’Hotel Belvedere, l’unico quattro stelle superior di Locarno, da oltre un secolo è luogo ideale per il turista alla scoperta della regione.
Sempre più frequentato anche dai Ticinesi, con una generosa versatilità accoglie ogni sorta di avventore. Chi sceglie di gustarne la cucina, i vini della ricca cantina o i particolari cocktail del bar, oppure chi lo elegge location di eventi privati o aziendali. E chi si dedica tempo e cura negli spazi destinati al wellness e al beauty, lasciandosi alle spalle la routine quotidiana.
«In un’atmosfera vivace e disinvolta, il ristorante ‘La Fontana’ propone una cucina mediterranea, della tradizione e ricca di prodotti del territorio», nota Michele Rinaldini, direttore dell’Hotel Belvedere Locarno. Ad
accompagnare le pietanze, un’ampia selezione di vini locali e internazionali presentata in un’elegante vetrina. Il Bar si distingue per il raffinato contesto e una ricca carta di cocktail e drinks.
In estate, il ‘Grotto al Sasso’ mette in tavola piatti freschi e conviviali, o semplicemente uno snack, sotto la suggestiva pergola d’uva, con intorno il verde del vasto giardino attrezzato.
E se il Grotto è aperto solo in estate, la nuova ‘OASI BELVEDERE Spa • Wellness • Beauty’, dotata di 800mq coperti e di 1400mq di attrezzature esterne, assicura puro benessere tutto l’anno. «Con vista sui monti e sul santuario della Madonna del Sasso, la
SOTTO, A SINISTRA, SALA VERANDA AL PRIMO PIANO
DELL’HOTEL BELVEDERE LOCARNO E, A DESTRA, LA FONTANA RISTORANTE&BAR
NELLA PAGINA ACCANTO, SCORCI DELLA NUOVISSIMA ‘OASI BELVEDERE SPA • WELLNESS • BEAUTY
nuova struttura è distribuita su due piani, di cui uno destinato agli adulti con sauna alle erbe, sauna finlandese, bagno turco, frigidarium e un percorso Kneipp. Il riposo dopo il percorso benessere è garantito nelle due sale relax. Delle quattro cabine per massaggi e trattamenti estetici, una è ideale per coppie, genitori e figli, o amici che vogliono condividere un’esperienza di relax e benessere», spiega Veronica Magnete, vicedirettrice dell’Hotel Belvedere Locarno, che prosegue: «Al pianoterra, e fruibili da tutti, si trovano idromassaggio e piscina con parte interna ed esterna. Tutto collegato al nostro rigoglioso giardino dotato di terrazze prendisole, area giochi e del bistrot estivo Grotto al Sasso». Agli amanti dello sport e dell’attività fisica la sala fitness con vista panoramica offre tutto il necessario per una sessione sportiva.
Dal tempo libero, agli appuntamenti di lavoro: «All’interno dell’Hotel, il nostro ‘Centro Congressi’ dispone di sette sale climatizzate, con luce naturale e infrastrutture moderne, fino a 180 persone, per l’organizzazione di seminari, assemblee e meeting», aggiunge Veronica Magnete, mentre «Per eventi e banchetti, con proposte su misura, possiamo accogliere fino a 300 persone».
E ancora, le arti, che qui sono di casa: «Opere originali di pittori francesi e svizzeri della prima metà del ’900 valorizzano gli spazi comuni dell’albergo: oli e tempere, tra gli altri, di Jean Talbot, Antonio Guansé, Luis Molné, nonché sculture di István Béothy, Pedro Pedrazzini, Alex Nef , Claudine Brusorio e Pascal Murer.
Bronzi, marmi e affreschi sono affiancati da decine di locandine e foto del Locarno Film Festival, testimoni di un partenariato di lungo corso tra la rassegna e l’hotel, nel segno della settima arte.
Corpo, mente, intelletto e anima. Tutto qui trae giovamento. A un passo da casa…
Nonostante il loro animo squisitamente funzionale, anche le macchine e gli spazi per l’allenamento sportivo ‘domestico’ strizzano l’occhio al design e attraggono i designer. Patricia Urquiola e Antonio Citterio, per citarne qualcuno.
Per sua vocazione, l’interior design crea spazi in cui le persone possano sentirsi bene. E oggetti che alla funzionalità abbinano originalità e qualità estetica. Non fanno eccezione gli attrezzi per il fitness domestico
SOPRA: CROSS PERSONAL DI TECHNOGYM (DESIGN
ANTONIO CITTERIO) E A DESTRA, UNA PROPOSTA
ALALA, IN CUI LA RAFFINATEZZA SARTORIALE
INCONTRA IL FRESCO COMFORT. NELLA PAGINA
ACCANTO: BIKE PERSONAL DI TECHNOGYM (DESIGN
ANTONIO CITTERIO), COMPLETO VAARA
Designer a cui si devono oggetti ormai iconici. «L’attenzione al design è uno dei valori fondamentali di Technogym», esordisce Nerio Alessandri, fondatore e presidente di Technogym. Probabilmente l’unico brand nel mondo dello sport e del fitness che è anche parte integrante del settore del design. Una storia nata nel 1986, in un settore allora dominato dallo stereotipo del body building, quando Nerio Alessandri progetta Unica, il primo prodotto di design per la casa, oltre a promuovere, da allora, il concetto di Wellness, inteso come stile di vita basato su regolare attività fisica, dieta equilibrata e approccio mentale positivo. E se con wellness si intende lo ‘stare bene’, tale condizione si raggiunge a maggior ragione, nel proprio spazio, e ancor di più se è uno spazio curato.
Nerio Alessandri, fondatore di Technogym. Il brand si è evoluto da azienda di attrezzature per il fitness a ecosistema completo per il wellness lifestyle.
SOPRA, A SINISTRA TAPIS ROULANT RUN PERSONAL E, AL MURO, KINESIS: ENTRAMBI DI TECHNOGYM
(DESIGN ANTONIO CITTERIO)
A DESTRA UNA COMBINAZIONE DI ALO YOGA
E anche in virtù di questo assioma, soprattutto negli ultimi anni, le aree di allenamento si sono spostate naturalmente nell’ambiente domestico. Le attrezzature per il fitness ne sono diventate parte integrante. La bike non è più confinata in un angolo della casa ma, rappresentando un senso di benessere, è posizionata in soggiorno o meglio ancora in una terrazza. Come ha evidenziato Patricia Urquiola, in occasione della Design Week di Milano, “La possibilità di allenarsi con un panorama o all’interno di uno spazio abitativo rappresenta un senso coltivato di libertà e creatività. Affacciarsi su un bel panorama fa la differenza nella propria esperienza di Wellness. Tutti i sensi - mente, corpo e anima - devono essere curati”.
L’home fitness influisce anche sulle esigenze progettuali della casa, tenendo conto delle specifiche esigenze di allenamento di ogni utente, delle dimensioni, dello stile dell’arredamento circostante e del tipo di spazio a disposizione.
Come ha sottolineato Antonio Citterio, una delle figure chiave dell’industrial e furniture design mondiale, “Ciò che accomuna tutti i progetti realizzati per Technogym è la declinazione, con finalità diverse, del wellness promosso dall’azienda. Con la collezione Per-
sonal ci siamo posti l’obiettivo di implementare il contenuto di design dei prodotti, in modo che potessero entrare a far parte dell’interior design di spazi domestici. È un progetto che si è realizzato grazie alla comune consapevolezza del concetto di qualità della vita”. Esplorando il concetto di Wellness, Antonio Citterio ha progettato dall’avanguardistico Technogym Village, sede dell’azienda inaugurata nel 2012, agli inconfondibili prodotti premium della linea Personal, la collezione premium di attrezzature per l’home fitness. La linea include sei pezzi, Run Personal, Bike Personal, Recline Personal, Cross Personal, Power Personal e Kinesis Personal, tutti prodotti firmati da Citterio e contraddistinti da linee ed estetica inconfondibili, che arricchiscono qualsiasi spazio in cui vengano collocati. Soluzioni realizzate con materiali raffinati e con lavorazioni artigianali di altissimo livello, concepite non solo come equipment fitness, ma anche come vere e proprie opere d’arte.
TRE domande sull’ANTI-AGING
Non si invecchia e non ci si mantiene giovani tutti allo stesso modo. Allenarsi e alimentarsi bene aiuta, ma per un risultato sorprendente, bisogna partire dal Dna
Il tempo dedicato a sé stessi è l’unico vero lusso. Il proprio benessere un privilegio ineguagliabile. Gestire con cura l’uno e l’altro è il segreto per un invecchiamento di qualità, tanto sul piano fisico quanto su quello mentale. ‘Cura’ significa, innanzitutto, optare per un’alimentazione sana ed equilibrata, integrando un’adeguata attività fisica. Tuttavia, per avere benefìci concreti, in termini di salute e benessere, occorre conoscere le specificità del proprio corpo.
Come individuare la migliore alimentazione e il miglior allenamento, in base all’età e alle proprie caratteristiche, in un’ottica anti-aging?
La genetica incide in modo significativo sulle prestazioni fisiche e sulla risposta metabolica ai diversi stimoli. Partendo da questa premessa, scientificamente dimostrata, si procede con la definizione di percorsi esclusivi, basati sullo studio del Dna e sull’analisi dei dati racchiusi nel profilo genetico, per identificare le specifiche necessità individuali.
Il test del Dna è importante, da un lato, per valutare la predisposizione genetica a eventuali alterazioni della salute e, dall’altro, per conoscere le proprie caratteristiche genetiche costituzionali. Attraverso l’analisi del profilo genetico individuale siamo in grado di determinare le alterazioni metaboliche che possono interferire nella comunicazione tra il cervello e i centri regolatori periferici; per poi agire su questa variabile. Alla luce di tali informazioni, viene elaborato un percorso di allenamento ‘Anti-Aging’ e, grazie alla collaborazione con il medico dietologo Damiano Galimberti, viene stilato anche un programma alimentare definito in base al Dna personale.
Tutto parte dunque dal test del Dna. In che cosa consiste?
Lo effettuiamo tramite prelevamento salivare con un semplice tampone e analisi di laboratorio. Il test, che dura pochi istanti, viene eseguito in un ambiente sterile, da un professionista accreditato ufficialmente.
Nella sua veste di Consulente Anti-Aging, consiglia protocolli personalizzati di allenamento. Si possono svolgere anche in uno spazio fitness domestico?
Il protocollo di allenamento, a seguito del test del Dna, è su misura. Destinato a chi intende intraprendere un ‘invecchiamento di successo’, ossia mirato a preservare la tonicità del corpo e al mantenimento della salute psico-fisica. Le persone che si rivolgono a me, scelgono consapevolmente di ‘incamminarsi’ lungo un percorso dedicato al proprio ben-essere, dedicandosi del tempo che apporta loro valore. Fornisco al cliente tutto ciò di cui necessita per allenarsi secondo le proprie predisposizioni genetiche.
Il luogo in cui si svolge l’allenamento non è rilevante: contano invece il come e il quando ci si allena. Avere in casa uno spazio dedicato al fitness sicuramente facilita la pratica e la costanza nel tempo. Per questo motivo, oltre a organizzare sedute di allenamento nei miei Studi, sono abilitato a realizzare, per i miei clienti, spazi dedicati al fitness domestico, in collaborazione con alcuni tra i più prestigiosi marchi di attrezzature sportive, diffusi a livello mondiale.
LUCA G. BOTTONI, ESPERTO IN PROTOCOLLI ANTI-AGING E FONDATORE DI ART PERSONAL TRAINER, GENTILINO
COLLISIONI RIVELATRICI
CEnormi apparati sperimentali per osservare l’infinitamente piccolo: Atlas, l’esperimento del Cern che, fra i suoi straordinari risultati, ha portato alla scoperta del Bosone di Higgs, accelera verso nuovi orizzonti
DI GABRIELLA GAUDIO, RICERCATRICE PRESSO L’ISTITUTO
NAZIONALE DI FISICA NUCLEARE, SEZIONE DI PAVIA, E
DELL’ESPERIMENTO ATLAS AL LARGE HADRON COLLIDER DEL CERN
ostruire e far funzionare un apparato sperimentale di circa 22mila metri cubi e 7mila tonnellate per osservare particelle elementari di dimensioni inferiori al milionesimo di nanometro può sembrare una contraddizione, ma è quello che fanno i fisici di Atlas, il più grande esperimento in funzione al Large Hadron Collider (Lhc) del Cern. Sono infatti necessari rivelatori enormi per far sì che le particelle prodotte nelle interazioni dei protoni accelerati al Lhc possano interagire con i rivelatori stessi, lasciando dei segnali osservabili.
Gli studi di fisica condotti da Atlas hanno portato a risultati straordinari, primo fra tutti la scoperta del Bosone di Higgs, l’ultima particella mancante predetta nel modello standard, un modello teorico che racchiude tutta la nostra comprensione della fisica delle particelle elementari. Dopo anni di ricerca, nel 2012 Atlas, e l’esperimento complementare Cms, hanno potuto finalmente identificare questa particella. Ma non solo, gli esperimenti al Lhc sono in grado di verificare la correttezza del modello standard a livelli di precisione mai raggiunti nel passato.
Le analisi di fisica che hanno portato a questi risultati straordinari sono solo una parte delle attività svolte della comunità di fisici impegnata nell’esperimento. Circa tremila
scienziati provenienti da circa 42 Paesi lavorano e hanno lavorato per costruire i diversi tipi di rivelatori necessari, ognuno con le sue funzionalità specifiche e le sue performance di altissimo livello. Una volta costruiti e installati, è stato necessario metterli in funzione e integrarli in un apparato unico, che funzioni in maniera sincrona e permetta di acquisire i dati e salvarli per metterli a disposizione per le successive analisi. Molti scienziati seguono quotidianamente la presa dati, che dura circa 6-7 mesi all’anno, per diversi anni, con turni 24/7. E ancora, altri scienziati si occupano di tutta la gestione del software che serve all’analisi dati, alla simulazione, alla determinazione delle performance e ricostruzione dei segnali. Lavoro nell’esperimento Atlas da 25 anni e ho seguito nel tempo diverse delle attività menzionate. Questo mi ha fornito un enorme bagaglio di conoscenze, ma anche sfide sempre nuove e stimolanti. E le possibilità sono ancora aperte e molto sfidanti, poiché la macchina acceleratrice e gli esperimenti verranno aggiornati per poter funzionare in condizioni sempre più difficili per garantire un potenziale di scoperta sempre più ampio.
Un bimbo desiderato, che non è mai arrivato. Una storia d’amore degna della più sognante letteratura. Valori profondi e condivisi, di una coppia che alla mondanità preferisce la sobrietà della vicinanza al prossimo, con l’umanità e la discrezione che rendono potente la solidarietà
IN FOTO, FRANCESCA E SANTO VERSACE.
INSIEME HANNO DATO VITA ALLA FONDAZIONE
SANTO VERSACE, IMPEGNATA A SOSTENERE
REALTÀ CHE SI OCCUPANO DEI PIÙ FRAGILI
La Fondazione Santo Versace «è il nostro comune progetto di vita. Il ‘figlio’ che Santo e io desideriamo consegnare al futuro», esordisce Francesca De Stefano Versace. «Abbiamo iniziato l’attività della Fondazione affiancando diversi enti che operano da anni in Italia, dal Sud al Nord. Desideriamo sostenere realtà che si occupano di empowerment femminile, inclusione sociale, contrasto alla povertà, educazione e formazione, e del disagio giovanile in tutti i suoi aspetti». Non solo propositi, ma un impegno costante e profondo, intriso di sentimento, condiviso da una coppia che ha radici comuni, non solo geografiche. «Abbiamo gli stessi valori, quelli trasmessi dai nostri genitori. Abbiamo imparato da loro che, quando si ha più del necessario, è doveroso aiutare chi ha bisogno».
Partendo da queste premesse, l’aiuto di Francesca e Santo irradia. «A Fabriano, supportiamo il progetto Per non lasciarli mai soli, volto a rispondere ai bisogni delle persone più fragili, presenti nel territorio, favorendone l’inclusione sociale; a Lecce, il progetto Made in Carcere, che si ripropone di offrire una seconda opportunià alle donne in stato di detenzione. Offrire sostegno alla Cittadella Cielo di Frosinone, porta la nostra attenzione verso le problematiche che caratterizzano i ragazzi di strada e il mondo giovanile», prosegue Francesca, nel suo
elenco che non vuole trascurare nessuno. A questi progetti si sono aggiunti il cofinanziamento, insieme all’impresa sociale
Con i Bambini e all’azienda Dolce&Gabbana, al progetto
Cittadella dei Ragazzi, un centro diurno socio-sanitario a San Vittore Olona, volto a supportare giovani tra i 13 e i 18 anni con gravi disagi psicosociali, in dispersione scolastica, che si sono allontanati sia dalla scuola che dalla famiglia. E il sostegno al progetto Metamorfosi, ideato dalla Fondazione
Casa dello Spirito e delle Arti fondata e presieduta da Arnoldo Mosca Mondadori, che affronta il tema della migrazione attraverso una metamorfosi vera e propria: quella del legno delle barche dei migranti, trasportate dal molo Favaloro di Lampedusa in alcune carceri italiane, dove persone detenute lo trasformano in strumenti musicali. Un progetto in cui sono coinvolti i laboratori di liuteria delle carceri di Opera e di Secondigliano e i laboratori di falegnameria nelle Case di Reclusione di Monza e Rebibbia, dove vengono realizzati oggetti di carattere sacro come i rosari.
Le necessità abbondano e la scelta non è semplice. «I criteri di scelta dei progetti sono e saranno sempre caratterizzati da una forte empatia tra noi e i beneficiari; desideriamo aiutare le persone, che siano adulti o minori, che vivono in condizioni di estrema fragilità ma che hanno diritto a uguale dignità, ovunque si trovino. Desideriamo stare accanto ai più fragili, con discrezione», aggiunge Francesca De Stefano Versace. «Questi primi anni, pur molto impegnativi, sono stati belli; veder nascere e crescere velocemente la nostra Fondazione, vederne aumentare la notorietà e la vicinanza da parte di chi la scopre mi stupisce continuamente, rendendomi molto felice. E siamo solo all’inizio!»
Dal coinvolgimento effettivo al coinvolgimento affettivo il passo è breve... «Il coinvolgimento affettivo è praticamente immediato; spesso con mio marito ci rechiamo in visita ai progetti che sosteniamo e ogni incontro è speciale. Straordinario e commovente quello con Sarah, una bambina di 6 anni nigeriana, figlia di una donna vittima della tratta accolta presso una delle strutture dell’associazione Papa Giovanni XXIII. Quando l’abbiamo incontrata, Sarah era in Italia da qualche mese, essendosi appena ricongiunta alla madre. Ci avevano detto che era una bambina taciturna, triste e che faceva fatica a relazionarsi e a comunicare. Appena siamo entrati nella casa di accoglienza la bambina ha aperto le braccia, correndomi incontro tanto da farmi indietreggiare; non mi ha più lasciata. Un’emozione incredibile, un incontro disarmante, Sarah è nel mio cuore».
Donne, bambini, giovani, anziani, dal Sud al Nord: l’abbraccio della Fondazione sembra voler racchiudere tutti; ma non si può prescindere dall’esistenza di fondi adeguati. «La nostra visione è creare una rete della solidarietà dove enti, istituzioni, imprese e donatori collaborino uniti per il bene comune e che soprattutto condividano i valori della nostra Fondazione. Stiamo lavorando - soprattutto mio marito - per creare rela-
zioni e connessioni che possano perdurare nel tempo». Il maggior ostacolo è dover scegliere i progetti e purtroppo rifiutarne alcuni: «Pur essendo operativi da poco più di due anni ci vengono proposti progetti nuovi e meritevoli di attenzione, il che è certo motivo di soddisfazione per noi.
Il desiderio è di continuare a crescere e realizzare un progetto della Fondazione Santo Versace, ci stiamo impegnando quotidianamente e concretamente per far sì che ciò avvenga il prima possibile». Che cosa rappresenta la condivisione di un’esperienza così importante con il proprio compagno di vita? «Rappresenta la vita stessa. Io e Santo siamo un’unica persona, condividiamo tutto e il progetto della Fondazione è la nostra essenza», risponde Francesca, quasi tutto d’un fiato. Praticare l’aiuto, la compassione, la gentilezza e la generosità sollecita la nostra più profonda umanità. «Sono sensibile e la fragilità delle persone che incontriamo mi disarma ma mi dà anche tanta forza. Provo sempre una forte compassione, intesa nel senso etimologico della parola di partecipazione alle sofferenze altrui; anche io nella vita ho attraversato momenti di grande difficoltà. Questi incontri mi hanno dato e continuano a darmi il senso di tutto: cercare figli, trovarli e amarli». L’Amore è un processo virtuoso.
IN FOTO, FRANCESCA DE STEFANO VERSACE, INTERVISTATA A LUGANO
L’attuale forza lavoro in Svizzera è costituita per circa la metà da nati tra il 1983 e il 1994 (Millennial) e tra il 1995 e il 2004 (Generazione Z), con una presenza femminile passata dal 72,3% del 1991 all’87,3% nel 2022. Secondo uno studio di Deloitte, che ha intervistato 1000 Millennial e 700 rappresentanti della Gen Z in Svizzera, estendendo lo sguardo anche a livello europeo intervistando oltre 8mila persone provenienti da 16 Paesi dell’Ue, quasi una persona su due sarebbe intenzionata a lasciare l’attuale lavoro nei prossimi due anni.
I giovani adulti di oggi stanno subendo pressioni su diversi fronti e questi mutamenti sociali si riflettono anche in tutta la sfera relativa al lavoro e al suo valore. Se nel passato si desiderava fare carriera per dare un significato alla propria vita, ora per le nuove generazioni - senza distinzione di genere - trascorrere più tempo libero con amici e famiglia, privilegiando la vita di coppia e i propri ruoli genitoriali, assume maggiore importanza, mentre in passato spesso lavoro e carriera rappresentavano l’elemento elettivo di realizzazione individuale.
Fin qui una condivisibile e auspicabile visione del futuro, ma non è da scordare che un sostentamento economico sufficiente è la base per garantire la libertà e il futuro per ogni persona.
Nel 2022 la Confederazione ha misurato per la prima volta il parametro gender overall earnings gap, ovvero il divario di genere a livello di reddito complessivo cumulato nel corso di tutta la vita lavorativa attiva, utilizzando quale base di calcolo il reddito lordo da lavoro su base oraria, il tempo di lavoro mensile in ore e la partecipazione alla vita professionale. Il reddito delle donne è risultato inferiore del 43,2% rispetto a quello maschile.
Più spesso infatti le donne si occupano dei figli e il loro tasso di occupazione a tempo parziale è maggiore. Ne consegue una diminuzione del reddito da lavoro con rischio anche di future penalizzazioni a livello previdenziale. L’abbandono, oppure la drastica diminuzione della percentuale dell’impiego, può essere estremamente pericolosa, in particolare se inserita in un contesto ove i rapporti di forza nella coppia sono asimmetrici. La parità fra donne e uomini nella vita quotidiana non è ancora purtroppo una realtà. La difficoltà nel conciliare famiglia e lavoro, ma anche la scarsa convenienza dal profilo fiscale a entrare sul mercato per il secondo percettore di reddito, determinano una disparità evidente nella vita economica. Il mutamento sociale e culturale in atto, con un nuovo approccio valoriale al mondo lavorativo e alle sue dinamiche complesse, se non sostenuto da cambiamenti strutturali a favore di concrete pari opportunità di genere, rappresenta un nuovo pericolo per la reale indipendenza delle donne.
retributivo Il freno del divario
Per poter liberamente scegliere di non anteporre la carriera alla vita privata, alle donne è necessario contare sulla parità retributiva per non compromettere la propria indipendenza economica
Mari Luz Besomi-Candolfi, membro di comitato FAFTPlus
Prendersi
lungimiranza CURA ,con
Dall’esordio nel 1999
alla quotazione in borsa vent’anni dopo, Medacta
In ternational ha compiuto la scalata sognata da ogni start up. La direzione finanziaria è affidata a Maria Luisa Siccardi Tonolli: una testa, molti cappelli. Una miriade di aspetti economici, legali, fiscali e anche esecutivi di cui occuparsi senza soluzione di continuità per sviluppare e strutturare una giovane realtà diventata leader di settore nella
In cosa vale la pena investire e investirsi? Lo chiediamo a Maria Luisa Siccardi Tonolli che con questa domanda negli ultimi vent’anni si è quotidianamente misurata
progettazione, produzione e distribuzione di prodotti ortopedici innovativi e delle tecniche chirurgiche di accompagnamento, operativa in una sessantina di Paesi, con un fatturato di oltre mezzo miliardo e oltre 1700 collaboratori.
Ma anche: la gestione patrimoniale e immobiliare alla testa del Family Office e l’impegno nella Fondazione che catalizza le azioni filantropiche dell’azienda e della famiglia. Moglie e mamma di due figli, di 11 e 13 anni. E sorella, unica donna di una fratria che, con una perfetta complementarietà di ruoli e competenze, ha dato anima e corpo alla visione imprenditoriale di famiglia.
MEDACTA CONTINUA A INVESTIRE NEL TERRITORIO IN CUI È NATA, NELLE SEDI DI RANCATE (SOTTO) E DI CASTEL SAN PIETRO, DOVE SI TROVA ANCHE LA SEDE DI MY SCHOOL TICINO, AREA IDENTITARIA DELLA SUA FONDAZIONE. NELLA STORIA DI SUCCESSO DI ENTRAMBE, CENTRALE L’APPORTO DI MARIA LUISA SICCARDI TONOLLI
Partiamo proprio da qui: perché studiare economia?
Diciamo che inizialmente è stata una scelta imposta dal cappello che porto dalla nascita, quello di primogenita. L’estate della maturità ho sostenuto il test di ammissione a ingegneria e medicina, oltre a economia alla Bocconi, superandoli tutti. Sin da piccola sono stata curiosa e portata sia per le materie scientifiche che umanistiche. Allora il mio grande sogno sarebbe stato diventare neurochirurgo, e tutt’oggi provo una grande fascinazione per i meccanismi del nostro cervello e per la medicina. D’altronde molti medici costellano la famiglia di mia mamma, la nonna paterna è stata una delle prime donne a laurearsi in farmacia in Italia, suo padre era medico, mio papà Alberto Siccardi farmacista. Ma è stato proprio lui a incoraggiarmi a studiare economia, immaginandomi come suo supporto attivo nella gestione dell’azienda di famiglia. Così, pur fra tanti dubbi, ho seguito questa strada per arrivare a scrivere la mia tesi proprio sulla valutazione e l’acquisizione da parte del colosso statunitense Baxter della Bieffe Medital, l’azienda fondata dal nonno nel 1958.
Poco dopo è arrivata Medacta, con un nuovo invito da parte di suo padre.
Sì, dopo essersi dovuto sottoporre a un impegnativo intervento ortopedico, si è accorto come vi fosse ampio margine per innovare nel settore. Non sapendo starsene con le mani in mano e anche volendo dare il buon esempio a noi figli e il suo contributo alla società, si è lanciato in questa avventura potendo approfittare del capitale realizzato con la cessione della Bieffe. Prima di assecondare i suoi piani, ho però voluto fare la mia esperienza lavorativa: ho iniziato da un anno nell’asset management di un istituto bancario luganese, rivelatosi molto istruttivo per le mie future responsabilità di gestione patrimoniale. Poi, salendo di ruolo, ho avuto l’opportunità di entrare in un team che stava lanciando un fondo di fondi hedge, molto innovativo per l’epoca e che mi ha dato un respiro internazionale. Nel momento in cui mio fratello Francesco si è laureato al Politecnico di Milano in ingegneria biomedica, insieme abbiamo deciso di salire a bordo di Medacta. Non ha mai vissuto l’azienda come una costrizione?
Assolutamente no. Poter contribuire alla crescita di questi vent’anni dando la propria impronta è stata una straordinaria opportunità. Non ci è stata risparmiata la gavetta, i nostri ruoli ce li siamo guadagnati sul campo. La fase di avvio di un’azienda rappresenta un’occasione unica di apprendimento, con un impegno a tutto tondo: ho seguito la parte legal, economica, finanziaria e fiscale, interfacciandomi con banche, ospedali, chirurghi, le nostre filiali, i dipendenti ... Nel frattempo, siccome noi donne siamo davvero multitasking, ho messo in piedi quello che è diventato il Family Office. Pur avendo precisi binari, sin dall’inizio mi è stata riconosciuta grande fiducia, basti pensare che al primo deal di acquisto di un immobile importante avevo solo 24 anni. Un approccio che rispecchia il senso di responsabilità con cui siamo stati
educati da nostra mamma, un’altra figura fondamentale in famiglia.
Oggi la squadra del Family Office conta ormai oltre una ventina di affiatati collaboratori, incluso mio marito Luigi Tonolli, Strategic Financial Advisor, mentre io sono focalizzata sull’immobiliare, che mi permette anche di esprimere un’anima più ‘creativa’, scegliendo le proprietà da acquistare e portando valore aggiunto in dialogo con gli architetti che sviluppano i progetti di ristrutturazione. Mi piace prendermi cura di ogni dettaglio, anche se ho la tendenza a focalizzarmi sulle imperfezioni al posto di godermi i bei risultati.
Un’attitudine però virtuosa, quando porta a una progettualità che migliora lo status quo. Dal 2011, con la Fondazione Medacta for Life ha acquisito un terzo cappello che indossa molto volentieri.
Grazie alla Fondazione abbiamo strutturato tutte le attività filantropiche che già svolgevamo o come famiglia o come azienda. In particolare, ci concentriamo sulla fascia dell’infanzia e sul territorio ticinese, anche se con “My Mission” sosteniamo iniziative umanitarie in tutto il mondo, intervenendo in caso di emergenze e supportando i chirurghi volontari im-
MARIA LUISA SICCARDI TONOLLI, MEMBRO DEL CDA DI MEDACTA GROUP, VICEPRESIDENTE DELLA FONDAZIONE MEDACTA FOR LIFE E FONDATRICE DI MY SCHOOL TICINO
DA SINISTRA, ALBERTO SICCARDI, PRESIDENTE DI MEDACTA, CON I FIGLI FRANCESCO (CEO), MARIA LUISA E ALESSANDRO (DIRETTORE SUPPLY CHAIN), IN OCCASIONE
DEL 25° ANNIVERSARIO DELL’AZIENDA, LO SCORSO APRILE
Keystone
pegnati in paesi disagiati, oltre che a fornire come azienda impianti e strumentari medicali. Nel suo cuore un posto speciale però spetta a “My School Ticino”, di cui è fondatrice. Come ogni iniziativa della Fondazione è nata in risposta a esigenze del territorio. Dieci anni fa avevo cominciato a interrogarmi su come sarei riuscita conciliare lavoro e famiglia quando sarei diventata mamma. Mi sono accorta come fosse una preoccupazione condivisa da tanti nostri collaboratori: al di là di qualche manager senior, Medacta è un’azienda molto giovane e con un’alta percentuale femminile. Da qui la decisione di offrire un nido aziendale - il secondo in Ticino - da subito aperto anche agli esterni, considerata la carenza di strutture dedicate alla prima infanzia sul territorio, un ostacolo alla genitorialità e in particolare per le carriere femminili. Mai avrei pensato che in dieci anni saremmo passati dai primi otto iscritti a oltre duecento. Oggi occupiamo interamente il grande stabile accanto all’azienda, a Castel San Pietro. Nel frattempo si sono aggiunte Scuola dell’Infanzia, Elementari, il Servizio extrascolastico e una Scuola di lingue. Ad accomunarle, ispirandoci ai principi dell’attivismo pedagogico, la volontà di creare un ambiente e attività adatte affinché ciascun bambino possa esprimere il meglio delle sue qualità, acquisire fiducia in sé stesso e costruire la propria autonomia.
DAI 3 MESI A 10 ANNI, MY SCHOOL TICINO ACCOMPAGNA
I BIMBI NEI LORO PRIMI PASSI NEL ‘TERRITORIO’ DELLA VITA CON UN APPROCCIO IMPRONTATO ALL’ATTIVISMO PEDAGOGICO
Terzo pilastro è “My Giving”, motore di progetti benefici e di utilità sociale come quelli in collaborazione con l’Associazione ticinese famiglie affidatarie per aiutare chi affronta un’infanzia difficile - e non sono pochi neanche in una realtà come la nostra, con circa 300 minori a carico dei servizi sociali cantonali. Aiutare un bambino è un investimento nel futuro, significa dargli la possibilità di diventare un adulto autonomo, che a sua volta potrà dare il proprio contributo alla società e al suo territorio. L’aspirazione comune a ogni progetto della Fondazione è fungere da apripista: rilevare un bisogno reale, capire chi possa soddisfarlo al meglio e garantire il necessario supporto finanziario per lanciare una sperimentazione, nella speranza che, dimostratane l’efficacia e il valore, il progetto venga assunto e portato avanti dall’ente pubblico, dandogli un respiro cantonale. L’approccio imprenditoriale che caratterizza la mia famiglia e la mia formazione è imprescindibile per strutturare proposte non solo virtuose ma anche funzionali e sostenibili dal punto economico. Portando tanti cappelli, sarà difficile avere la testa libera... In questo mi è di grandissimo supporto mio marito. Avere accanto un compagno di vita che compensi i tuoi eccessi è fondamentale. Con altrettanto trasporto mi immergo nella famiglia. Quando sono con i miei figli, sono dedicata interamente a loro. E almeno un paio di volte l’anno, sotto la regia di nostra mamma, anche la famiglia allargata si ritrova insieme in vacanza: genitori, fratelli con le loro compagne, cugini, nipoti... È essenziale per la futura generazione potersi costruire bei ricordi condivisi per affrontare le tante sfide del futuro con una solida intesa. Ma non si è mai sentita sopraffatta da tante responsabilità?
Dopo la quotazione, di cui sono stata project leader, sono uscita dall’operatività day by day dell’azienda, pur restando nel Board. In particolare sono referente per la parte Esg, altro tema radicato nella nostra cultura aziendale. Quello che però credo che mi salvi, e che in fondo accomuna tutti i miei diversi impegni, dagli affari alla filantropia, penso sia l’attitudine a prendermi cura del prossimo, fondata sul forte senso di riconoscenza e impegno etico che mi caratterizza sin da ragazza.
Non è diventata medico, ma ha trovato il modo di portare benessere. E lei, come si prende cura di sé?
La cucina e lo sport sono da sempre due importanti valvole di sfogo. Il sole e la natura mi ricaricano. Musica, lettura, viaggi. Il tempo con la famiglia. E poi ci sono quelle occasioni che ti ripagano di ogni sforzo, anche se in apparenza semplici. Penso allo spettacolo di fine anno della Scuola, con la sala del Cinema-Teatro di Chiasso piena in ogni ordine di posti: senti l’abbraccio della comunità, una grande energia che ti spinge a fare ancora di più.
Nel panorama lavorativo odierno, sempre più spesso incentrato sulla ricerca di giovani talenti nativi digitali, si tende a sottovalutare il valore delle professioniste over 50. Tuttavia esse rappresentano una risorsa inestimabile per le aziende, in quanto portatrici di un significativo bagaglio di competenze, esperienza e leadership.
Una delle risorse più sostanziali è l’esperienza maturata dopo anni di lavoro in vari settori, affrontando cambiamenti, superando crisi, transizioni tecnologiche e trasformazioni aziendali che hanno favorito lo sviluppo di doti
delle Il plus
Ultracinquantenni nel mondo del lavoro: un patrimonio di competenze per le aziende
quali l’adattamento e la resilienza, fondamentali per navigare in un mondo Vuca (volatility, uncertainty, complexity, ambiguity). L’esperienza maturata consente alle donne di prendere decisioni ponderate, basate su una profonda comprensione del mercato e delle sue dinamiche. Questa si rivela particolarmente preziosa in ruoli di leadership, dove saper prevedere le conseguenze delle decisioni prese e saper gestire situazioni complesse costituiscono competenze fondamentali.
Le cinquantenni portano con sé soft skills sviluppate nel corso della vita, quali comunicazione efficace, una forte etica del lavoro, la capacità di cooperare in team e un’intelligenza emotiva che permette di gestire situazioni delicate e intessere relazioni vincenti che promuovono un ambiente armonioso e virtuoso.
Le aziende che valorizzano la diversità e l’inclusione riconoscono l’importanza di disporre di una forza lavoro eterogenea in termini di genere e di età. L’apporto di visioni diverse risulta arricchente per il dibattito interno e contribuisce a soluzioni innovative.
Nonostante gli indubbi vantaggi, le over 50 spesso devono però affrontare sfide significative nel mondo del lavoro. La diffusione di bias legati all’età e al genere, i pregiudizi sull’affinità di utilizzo delle tecnologie possono rappresen-
over
Beatrice Engeler, Training & Career Coaching, Founder SmartElle e socia BPW-Ticino
50
tare ostacoli concreti. Tuttavia, queste difficoltà possono essere superate attraverso politiche aziendali mirate e un cambiamento culturale che riconosca il valore aggiunto di queste lavoratrici.
Le aziende che investono nel potenziale delle ultracinquantenni sono in grado di trattenere talenti, ottenendo vantaggi competitivi in un mercato del lavoro sempre più complesso. Offrendo formazione continua, flessibilità lavorativa e percorsi di carriera adeguati dimostrano di saper guardare oltre ai costi e di ambire a un Roi decisamente vantaggioso per affrontare le sfide del presente, contribuendo a un ambiente inclusivo e prospero per tutti. Riconoscere e valorizzare questo contributo non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche di intelligenza strategica.
La Conferenza D’Autunno
Il 18 e il 19 ottobre, Bpw Ticino ospiterà, insieme a Bpw Switzerland, la Conferenza d’autunno in Ticino, a Locarno. L’evento riunirà Socie e professioniste da tutta la Svizzera, per due giorni di discussioni stimolanti, networking e opportunità di crescita. La partecipazione è aperta a chiunque desideri conoscere il club, la sua filosofia e le sue attività.
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La creazione di un ambiente di lavoro inclusivo non è solo un obiettivo etico, ma una strategia concreta che, se ben orchestrata, può portare risultati tangibili e duraturi ad aziende di ogni dimensione
Immaginiamo un’azienda come un’orchestra. Ogni musicista, con il proprio strumento e il proprio stile, contribuisce a creare un’armonia complessa e ricca di sfumature. Allo stesso modo, in un’azienda, ogni dipendente porta con sé competenze, esperienze e punti di vista unici che, se valorizzati, arricchiscono l’intero gruppo di lavoro. Anche se in un’orchestra alcuni strumenti possono sembrare meno visibili o centrali rispetto ad altri, ognuno è essenziale per il risultato finale.
Così, in un ambiente di lavoro inclusivo, ogni individuo trova il proprio spazio, sentendosi valorizzato e contribuendo in modo significativo al successo del business.
Le aziende veramente inclusive riconoscono e valorizzano ogni collaboratore come individuo, indipendentemente da età, etnia, religione, genere e orientamento sessuale. Come dimostrato da numerosi studi, adottare questi principi porta risultati positivi nel medio-lungo termine, sia per le aziende che per i loro dipendenti.
Anche le imprese di medie e piccole dimensioni, come quelle del territorio ticinese, possono creare un ambiente di lavoro inclusivo e diversificato, superando le difficoltà pratiche che spesso emergono quando si tenta di applicare principi condivisi in teoria ma difficili da implementare nella realtà quotidiana.
Adottare pratiche inclusive non richiede necessariamente investimenti ingenti o risorse esterne.
Alcuni passi pratici potrebbero includere:
- Creazione di consapevolezza: sensibilizzare i dipendenti sull’importanza della diversità attraverso workshop o discussioni aperte. Aiuta a creare un clima di rispetto e comprensione reciproca, rendendo più facile per tutti accettare e valorizzare le differenze.
- Adattare le politiche aziendali: anche con risorse limitate è possibile rivedere le politiche aziendali per assicurarsi che siano equitative e inclusive, come ad esempio offrire
in Diversità armonia
flessibilità oraria per chi ha esigenze familiari o impiegare un linguaggio inclusivo nelle comunicazioni.
- Valorizzare i talenti locali e diversi: invece di cercare talenti solo in un ristretto ambito locale o basandosi su criteri tradizionali, le imprese possono trarre vantaggio dal considerare candidati con background diversi, che possono portare nuove idee e approcci.
- Flessibilità e ascolto: essere pronti a cambiare rotta in risposta alle esigenze dei dipendenti concorre a creare un ambiente in cui tutti si sentono ascoltati e rispettati. Questo può aumentare la motivazione e la produttività, elementi cruciali per il successo aziendale.
Dal punto di vista del valore aggiunto, un ambiente diversificato non solo migliora il benessere dei dipendenti, ma favorisce anche l’innovazione. Una forza lavoro inclusiva, proprio come un’orchestra ben assortita, può generare soluzioni creative e approcci inediti, aumentando la competitività dell’azienda sul mercato. Inoltre, un ambiente di lavoro che valorizza la diversità può attrarre una gamma più ampia di clienti e partner commerciali, potenziando così l’immagine e la propria reputazione.
Pertanto, creare una forza lavoro diversificata e inclusiva dovrebbe essere una priorità per tutte le aziende, a prescindere dalla loro dimensione o dal settore in cui operano.
Barbara Sorce, Specialista in Risorse umane, Responsabile Randstad Ticino
Una cucina gioiosa e puntuale
Passione e tenacia non hanno genere. Lo dimostra Lucrèce Lacchio, chef stellata del ristorante didattico dell’Ehl di Losanna, l’hospitality school più famosa al mondo
Sono una sintesi appagante di bellezza, profumo, sapore, texture e croccantezza. In un compendio di tecnica e creatività, i piatti ipercolorati e fioriti della Chef stellata Lucrèce Lacchio si presentano come opere d’arte.
Nel solco di una collaborazione di Sapori Ticino con l’Ehl di Losanna, la cheffe è ospite, a Lugano, di S.Pellegrino Sapori Ticino, evento enogastronomico d’eccellenza tra i più importanti in Europa.
Cucina. Che passione!
Una passione coltivata fin da bambina, quando sperimentavo ai fornelli con mio fratello. Ma solo quando sono andata con lui alla scuola di cucina, ho scoperto che di questa passione avrei potuto farne la mia professione.
Qual è il sapore che le viene in mente quando ricorda la sua infanzia?
Sono ’les bugnes’ che mio nonno preparava ogni anno a febbraio. È il primo sapore di cui ho memoria.
Come descrive la sua cucina?
È creativa, in continua evoluzione. Per questo non ho un ’piatto forte’. In generale, cerco di incorporare frutta e colori vivaci, con combinazioni di gusti che siano originali come l’esperienza visiva.
Dove l’ha portata, fino ad oggi, questa evoluzione?
Nel corso del tempo la mia cucina è diventata più raffinata: i piatti e le presentazioni sono oggi decisamente più delicati e precisi, rispetto al passato. Mi piace anche sfidare me stessa lavorando con prodotti che non rientrano affatto tra i miei preferiti, come l’agnello o la barbabietola.
Quali sono i tre ingredienti di cui non può fare a meno?
Il limone, così essenziale per me che ne ho uno tatuato sulla mano, la verbena e le erbe di stagione che danno freschezza e carattere ai miei piatti.
NELLE IMMAGINI, LUCRÈCE LACCHIO, 1 STELLA
MICHELIN, CHEF DEL RISTORANTE DIDATTICO 'LE
BERCEAU DES SENS', ALL'EHL HOSPITALITY BUSINESS
SCHOOL DI LOSANNA; ALCUNI PIATTI DA LEI REALIZZATI
Qual è quello che più la rappresenta?
Non è un piatto specifico, ma un comune denominatore: ogni creazione rispecchia il mio carattere: colorato, vivace e sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Per me la cucina è sinonimo di piacere, condivisione, curiosità, sorpresa e audacia.
Francese, ha vissuto anche negli Stati Uniti, prima di trasferirsi in Svizzera. C’è una specialità della nostra cucina che le piace particolarmente?
Senza ombra di dubbio, è la meringa con doppia panna e lamponi. Sapore e colori, di segno squisitamente rossocrociato!
S.Pellegrino Sapori Ticino 2024 - XVIII Edizione
Germany: Food, wine, culture
La Germania che non ti aspetti
Èl'evento enogastronomico d'eccellenza tra i più importanti d’Europa e ogni anno porta in diverse location del Ticino alcuni dei nomi più conosciuti e apprezzati della cucina internazionale. L’edizione 2024 vede protagonista la Germania: «Una scena gastronomica di primissimo ordine dove è in corso una vera rivoluzione e un vento nuovo in cucina, con una creatività spumeggiante
IN FOTO, DANY STAUFFACHER, CEO E FOUNDER DI SAPORI TICINO, CON IL TEAM DI CHEF TICINESI
CHE PARTECIPANO ALLA RASSEGNA 2024.
SOTTO, DUE DELLE LOCATION
e in fermento», afferma Dany Stauffacher, Ceo & Founder di Sapori Ticino.
Da fine settembre toccherà a undici chef tedeschi stellati Michelin mostrare il loro estro culinario in cene che si svolgeranno, come sempre, in alcune delle più belle e significative location del Ticino, tra Ristoranti e Hotel negli angoli più suggestivi del territorio, ospitati dai loro colleghi ticinesi che mettono a disposizione passione, professionalità e savoir faire.
Per il programma completo: www.sanpellegrinosaporiticino.ch
Nel segno di un nuovo rapporto tra luce, colore, spazio e forma.
Riscoprire Helen Frankenthaler, in mostra a Palazzo Strozzi
Ventenne, fu conquistata dai drip paintings di Pollock, osservandolo all’opera nel suo atelier. Ma, pur riprendendone dei principi, la tecnica sviluppata da Helen Frankenthaler (1928-2011) - chiamata soak-stain (imbibizione a macchia) - non era banalmente derivativa: colori a olio diluiti con acquaragia applicati con pennelli, spugne, rulli da pittore su grandi tele non trattate sdraiate a terra, o direttamente versati da secchi, inclinando la superficie per lasciare che si espandessero e mescolassero impregnando la trama della tela sino a diventare un tutt’uno, creando interazioni cromatiche uniche, segnate da transizioni sfumate e sovrapposizioni traslucide. Pur essendo completamente astratte, le sue opere rievocano dei paesaggi, sin dalla prima realizzata a ventitré anni, Mountains and Sea (1952), ispirata
ALASSIO,1960, OLIO SU TELA (DETTAGLIO)
PERCORSI_CREATIVITÀ
DI MIRTA FRANCESCONI
agli scenari della Nuova Scozia. Una tecnica perfezionata continuando a sperimentare per oltre sei decenni. Contro i primi critici che etichettavano la sua arte come stucchevole e poco ambiziosa, Helen Frankenthaler è oggi considerata fra i maggiori artisti americani del XX secolo, centrale nella transizione dall’Espressionismo astratto al Color Field Paiting. Una pittura emozionale e viscerale, “senza regole” come recita il titolo della mostra che Palazzo Strozzi, a Firenze, le dedica fino al prossimo 25 gennaio, riprendendo una sua emblematica frase: “Non ci sono regole... è così che nasce l’arte, è così che avvengono le scoperte. Andare contro le regole o ignorarle: questo è il senso dell’invenzione”. Organizzata in collaborazione con la Helen Frankenthaler Foundation di New York, questa retrospettiva si qualifica come una delle più importanti mai dedicatele in Europa, spaziando sulla sua produzione dagli anni ’50 ai primi anni Duemila, attraverso il filtro delle affinità artistiche, delle influenze e amicizie che ne hanno segnato la vita, fra cui Jackson Pollock, Morris Louis, Robert Motherwell, Kenneth Noland, Mark Rothko, David Smith, Anthony Caro e Anne Truitt. Accostamenti che rivelano tutta la rivoluzionarietà di un’artista che, con una visione audace e intuitiva, ha saputo combinare astrazione e poesia, tecnica e immaginazione, controllo e improvvisazione, trovando una nuova libertà nella pittura.
IN QUESTE PAGINE UNA CARRELLATA SULLA PRODUZIONE DI HELEN FRANKENTHALER. IN APERTURA, L’ARTISTA NEL SUO STUDIO DI EAST
83RD STREET AL LAVORO SU APRIL MOOD E UNDER APRIL MOOD, NY, 1974
MORNINGS, 1971, ACRILICO SU TELA
OPEN WALL, 1953, OLIO SU TELA THE HUMAN EDGE, 1967, ACRILICO SU TELA
STAR GAZING, 1989, ACRILICO SU TELA
CANTA l’alfabeto come
Molte delle prime forme di poesia derivano dalla musica: l’ode, l’inno, il sonetto, la canzone, la ballata. I poemi omerici erano raccontati dai rapsodi, cantori girovaghi che alla narrazione univano la lira. Da qui nascono due parole ora comuni: rapsodia (per la musica) e lirica (per la poesia).
Letteratura e musica: muse sorelle, che attraversano il tempo tenendosi per mano
Facciamo un salto temporale: nell’XI secolo le voci sono quelle dei compositori o esecutori di testi e melodie, i troubadours (dal latino medioevale “inventore di tropi”. Il tropus era un componimento in versi, con musica, inserito nel canto liturgico). Non usano però il latino, lingua degli ecclesiastici, ma l’occitano e diffondono “Canzoni di gesta”: imprese di cavalieri impavidi ma anche l’amor cortese per la dama eletta. Storie che supereranno i confini (Italia del nord, la Sicilia di Federico II, Spagna, Grecia) e il tempo: dall’amor cortese arriviamo al Dolce Stil Novo dantesco; dalle gesta dei cavalieri (Lancillotto, Percival, Re Artù) ad altri eroi e paladini dei tempi moderni.
Tramandare per ricordare. Nella cultura di molti popoli dell’Africa subsahariana, i Griot sono i bardi depositari della tradizione orale degli avi e della memoria. Si attestano sin dal XVI secolo, conoscono la storia “sin dall’inizio” - che sia questa genealogia, cosmogonia o storia tout-court - e la tramandano con le vesti di poeta, attore e musicista.
Gli esempi storici da citare sarebbero decine, salendo e scendendo le curve della creazione. Letteratura e musica restano indissolubili.
L’incipit de I promessi sposi è un ritmato novenario (“Quel ramo del lago di Como”…); Boccaccio costruiva spesso periodi in endecasillabi; James Joyce (autore dell’Ulisse) eredita dal padre la voce tenorile e ipotizza una carriera da cantante, complice la frequentazione con interpreti d’opera. Quando esordisce pubblica una raccolta di poesie dal titolo Musica da camera e la sua ultima opera, Finnegans Wake, oltre a essere intrisa di riferimenti musicali, prende il titolo da una celebre ballata. Thomas Mann nel Doctor Faustus fa della musica l’oggetto del patto tra il demonio e il protagonista, un compositore. Italo Svevo è violinista (appassionato, ma non ha successo): strumento e musica appaiono in La coscienza di Zeno dove il mediocre violinista Zeno Cosini vedrà la sua bella portata via dal rivale Guido Speier, eccezionale musicista. Jack Kerouak amava il jazz e ne frequentava l’ambiente, immergendosi nelle jam sessions improvvisate di Charlie Parker e Dizzy Gillespie. Quel ritmo penetrerà nelle viscere della sua scrittura divenendo un tutt’uno. Milan Kundera, figlio di un pianista, porta la musica in L’insostenibile leggerezza dell’essere. Kazuo Ishiguro, oltre a confessare l’amore totale per la musica nel romanzo Gli inconsolabili scrive diversi testi per la cantante jazz Stacey Kent e successivamente comporrà un libro (Notturni) come se fosse un disco. Thomas Bernhard, ne Il soccombente, racconta il modo di concepire, vivere e gestire un immenso talento da parte di tre formidabili pianisti, uno dei quali è Glenn Gould. E come non citare Alta fedeltà di Nick Horby (il protagonista resta a galla nella vita solo grazie alla propria sterminata collezione di dischi) oppure La fortezza della solitudine di Jonathan Lethem (liberamente ispirato all’adolescenza dell’autore; una storia intrisa di R&B, rap e funk) e gli esempi, ancora una volta sono svariate decine.
Si crede spesso che sia solo la poesia la grande depositaria della musicalità. In parte è vero: la poesia ha conservato stili, ritmi, rime, assonanze. Poeti contem-
DI FABIANO ALBORGHETTI, POETA (PREMIO SVIZZERO
DI LETTERATURA) E PRESIDENTE DELLA CASA DELLA
LETTERATURA PER LA SVIZZERA ITALIANA
poranei e viventi possono usare il sonetto per argomenti talvolta antipoetici. La poesia muore se resta teoria perché è l’arte del dettaglio, dove ogni parola è scelta perché significhi e sia ascoltata. Non è un caso che ancora oggi sia la poesia a essere letta ad alta voce, a differenza della prosa per la quale questa pratica è andata dileguandosi. Oso suggerire che è proprio a causa del radicarsi di questa lontananza che la narrativa si sia vista sempre più privata di elementi musicali. Più spesso ‘tratta’ di musica, ma non ne è costruita. A volte si incontrano però pubblicazioni che fondono assieme tutte - o quasi - le istanze sopracitate e la scoperta è accaduta alla Casa della Letteratura con Valeria Tron. Originaria della Val Germanasca, è cantautrice (finalista Premio Tenco) e straordinaria scrittrice. Il suo L’equilibrio delle lucciole è di rara solidità e precisione dove alla commovente e coinvolgente narrazione di persone e di luoghi è appoggiato l’uso dell’occitano (lingua che l’autrice parla). Pietra dolce rinnova il bilanciamento perfetto di italiano e lingua d’Oc senza creare effetti stranianti ma facendoci sentire accolti nella sua Meizoun (casa). Romanzi che accolgono e accarezzano la poesia. Valeria Tron è la Griot della sua valle, ne racconta le complessità e le tramanda con purezza e forza. Soprattutto: con un canto.
IViaggio nel tempo Mozart Wohnhaus, fino al 31.12.24
n Getreidegasse 9, a Salisburgo, veniva alla luce il 27 gennio 1756 W. A. Mozart. Oggi fra i musei austriaci più visitati, è luogo di pellegrinaggio per tanti appassionati. Documenti originali, lettere e cimeli documentano l’infanzia del bambino prodigio e gli anni successivi. Fra gli strumenti storici esposti, il violino di quando era bambino e il clavicordo. Negli spazi della vicina Residenza Mozart, dove la famiglia si trasferì nel 1773 e Mozart visse finché lasciò Salisburgo nel 1780, fino al 31
Ndicembre 2024 è possibile visitare la mostra Viaggio nel tempo, nell’ambito del progetto Capitale Europea della Cultura 2024 Bad Ischl - Salzkammergut. Artisti contemporanei interpretano fotografie storiche provenienti degli archivi della Fondazione Mozarteum, aprendo nuove prospettive fra tradizione e innovazione attorno al mito del genio austriaco.
Insondabile
MISTERO
Come tutto è iniziato. Le visioni di Bruckner Monastero St. Florian, fino al 27.10.24
ei duecento anni dalla sua nascita, il riconoscimento che in vita aveva stentano ad arrivare, snobbato dall’alta cultura viennese, viene oggi tributato dal mondo intero ad Anton Brucker (1824-1896), virtuoso dell’organo, ma soprattutto della sinfonia, un genere che seppe inaspettatamente rinnovare.
St. Florian BRUCKNER
Fra i tanti luoghi dell’Alta Austria a omaggiarlo, il monastero di St. Florian, a 20 km da Linz, dedica fino al 27 ottobre una mostra alle ‘visioni’ dell’enigmatico compositore, ricordando i 13 anni che vi trascorse, come cantore e poi insegnate e organista. Qui compose una trentina di opere, ra cui il primo Requiem del 1849, e qui ha voluto essere sepolto, sotto l’organo.
Schubert in Atzenbrugg Schubertschloss Atzenbrugg
Si avvicina il duecentesimo anniversario anche per Johann Strauss (1825-1899) e senza dubbio la House of Strauss sarà uno dei suoi fulcri. Nella sede originale rinnovata del Casinò di Zögernitz che, aperto nel 1837 dal padre Richard, divenne place to be per la società viennese, l’imponente Sala da Ballo appena restaurata richiama ancora le notti sfavillanti dei balli e dei concerti. Su 2mila mq, il museo propone un’esperienza
Romantica MALINCONIA
Atzenbrugg SCHUBERT
Viennese doc, Franz Schubert (1797-1828) lasciava solo di tanto in tanto la capitale, sua primaria fonte di ispirazione, per godersi l’idillio estivo nel paesaggio austriaco. Con i suoi amici amava ad esempio raggiungere il castello medievale di Atzenbrugg, a soli 30 minuti di distanza.
A giugno ha riaperto dopo un completo riallestimento il museo che gli rende omaggio nell’ala principale, riorganizzato secondo un nuovo concetto espositivo, che integra nuove tecnologie, e anche il programma delle Schubertiadi si avvale di nuovo direttore, la soprano Ildikó Raimondi.
audiovisiva interattiva unica. La location è anche sede delle attività di ricerca dedicate alla dinastia Struass e propone il meglio della cucina viennese con lo chef stellato Stefan Glantschnig al Casino Kulinarium.
Vienna
STRAUSS
Danze IMPERIALI
House of Strauss & Casino Kulinarium all’interno del Casino Zögernitz
spiegate a
Una visione audace come non poteva che essere quella di Frank Gehry, sfidato da Bernard Arnault a dar forma alla
Fondazione con cui Louis Vuitton ha sublimato il suo sostegno all’arte e alla creatività contemporanea.
Un edificio sin dalla sua inaugurazione, dieci anni fa, divenuto iconico del panorama architettonico parigino quanto l’istituzione che racchiude lo è sulla scena culturale
Lo specchio d’acqua su cui sorge ne moltiplica i riflessi. Possente nella sua spettacolare monumentalità, eppure aereo e cangiante nel dinamismo conferito al volume centrale dall’invenzione del vetro curvato al millimetro dei 3.600 pannelli delle dodici vele e 19mila pannelli di ductal (cemento fibrorinforzato), l’uno diverso dall’altro, l’edificio della Fondation Louis Vuitton di Parigi, posato nel Bois de Boulogne, è la perfetta realizzazione dell’aspirazione a disegnare “un magnifico vascello per simboleggiare la vocazione culturale della Francia” con cui Frank Gehry ha raccolto la sfida lanciatagli da Bernard Arnault. Rispettando la storia di questo luogo speciale - ai margini del Jardin d’Acclimatation, il parc de loisirs voluto nel 1860 da Napoleone III e l’imperatrice Eugenia sul modello dei giardini inglesi da loro amati - ma spingendosi oltre i limiti
LOUIS VUITTON X FRANK GEHRY CAPUCINES MM CONCRETE POCKETS
IL GRANDE ARCHITETTO CANADESE FRANK GEHRY
ACCANTO, LOUIS VUITTON X FRANK GEHRY CAPUCINES BB ANALOG
codificati dell’architettura con la costante innovazione tecnica necessaria per dar forma e sostanza alla sua visionarietà di fabbricante di sogni.
Conquistato dal Guggenheim di Bilbao è il maestro canadese che il patron di Lvmh ha voluto per dar forma al progetto di una Fondazione che concretizzasse l’impegno che, sin da inizio anni Novanta, ha visto il suo Gruppo diventare uno dei primi mecenati in Francia grazie alla sua azione a favore del patrimonio artistico, dei giovani e di progetti umanitari. E, ancor prima, erano iniziate le collaborazioni di Louis Vuitton con gli artisti. Un luogo che è quindi un tributo alla loro creatività e anche in cui stimolarli con nuove sfide, come è stato dimostrato in questi primi dieci anni. Le sue undici sale ospitano la Collezione di arte moderna e contemporanea della Maison e quella personale del suo patron, oltre ad accogliere mostre temporanee organizzate in collaborazione con altre istituzioni pubbliche o private, che registrano sempre affluenze impressionanti, in risposta alla qualità
LOUIS VUITTON X FRANK GEHRY CAPUCINES BB SHIMMER HAZE
LOUIS VUITTON, TAMBOUR MOON FLYING TOURBILLON POINÇON DE GENÈVE SAPPHIRE FRANK GEHRY
SOPRA, L'ARCHITETTURA DISEGNATA DA FRANK GEHRY PER IL TAMBOUR MOON FLYING TOURBILLON, TRASPARENTE, OFFRE UNA VISIONE INTEGRALE DEL CALIBRO TOURBILLON VOLANTE, PRODOTTO E ASSEMBLATO PRESSO LA FABRIQUE DU TEMPS LOUIS VUITTON E DOTATO DEL SIGILLO POINÇON DE GENÈVE
offerta. Dalle due eccezionali mostre dedicate alle Icone dell’arte moderna (protagoniste, rispettivamente, la Collezione Chtchoukine, nel 2016-17, e la Collezione Morozov, nel 2021-2022, che insieme hanno attirato oltre 2,5 milioni di visitatori), alla recentissima monografica consacrata a Marc Rothko, già guardando alle prossime in calendario, Pop Forever, Tom Wesselmann & (inaugurazione il 16 ottobre) e alle successive dedicate a due grandi maestri, David Hockney (primavera 2025) e Gerhard Richter (autunno 2025). Ricca anche la programmazione di eventi e musicale accolta nell’auditorium, scrigno anche delle tele commissionate a Ellsworth Kelly, come non mancano interventi di altri artisti in tutto l’edificio.
Sempre Frank Gehry ha progettato la sede di Seoul della Fondazione (2019) e in questi anni non sono mancate altre occasioni di alleanze fra il suo genio architettonico e la maestria artigianale di Louis Vuitton. La più recente è la capsule collection di borse che reinterpreta l’intramontabile Capucines, presentata in anteprima ad Art Basel Miami lo scorso dicembre, preceduta da due incursioni in territori che ancora sfuggivano al maestro canadese, haute horlogerie e parfumerie, presentate in queste pagine in dialogo con linee, volumi e prodezze dello spettacolare edificio della Fondazione, in dieci anni già divenuto un’icona di Parigi. Tanto nella forma quanto nei contenuti.
A DESTRA, PER RISPONDERE ALLE CREAZIONI OLFATTIVE DI JACQUES CAVALLIER BELLETRUD, FRANK GEHRY HA IMMAGINATO PER IL FLACONE DI MYRIAD UNA FORMA DINAMICA E FLUIDA
NEL SEGNO DELLA SOSTENIBILITÀ, L’ACQUA PIOVANA
VIENE USATA PER PULIRE FACCIATE E PANNELLI IN VETRO, ALIMENTARE LO STAGNO E IRRIGARE LE AREE VERDI
Una dimora realizzata come una scultura derivante da un unico blocco di pietra. La struttura, unica, presenta due corpi uniti e gli interni sono stati progettati in modo che gli ambienti fluiscano l’uno nell’altro
Acaratterizzare l’edificio residenziale sono, immediatamente riconoscibili, la posizione esposta e la sua particolare concezione spaziale.
La villa, che si erge sul bordo del terreno in forte pendenza, è formata da due moduli spostati l’uno verso l’altro e compenetrati, in un unico edificio. La costruzione si pone in contrasto con l’ambiente
Vogliamo sorprendere noi stessi, in ogni progetto, con il miglior risultato della nostra ricerca di prototipi e del processo creativo
Rubén Daluz e Juan González architetti
Daluz Gonzalez Architekten, Zurigo
idilliaco circostante in ragione delle linee e forme forti e precise che la caratterizzano.
Da una parte, si trovano le finestre panoramiche dei piani residenziali rivolti a sud-ovest, dall’altra la casa non più che aprirsi verso l’esterno esprime una sorta di introversione.
«Vogliamo sorprendere noi stessi in ogni progetto con il miglior risultato della nostra ricerca di prototipi e del processo creativo», spiegano gli architetti Rubén Daluz e Juan González, dello studio Daluz Gonzalez Architekten di Zurigo. «La nostra ispirazione è guidata dalla peculiarità del luogo, nasce dall’archi-
SOPRA, DA SINISTRA, RUBÉN DALUZ E JUAN
GONZÁLEZ, DELLO STUDIO DALUZ GONZALEZ
ARCHITEKTEN, FONDATO NEL 2011 A ZURIGO E NOTO PER LE PARTICOLARI DISPOSIZIONI E FORME DEI SUOI PROGETTI IN QUESTE PAGINE, CASA MI
tettura classica moderna e si esprime nella qualità dei materiali, nella ricerca e nel gioco di forme e linee», aggiungono i progettisti. All’interno della casa, scale di dimensioni generose collegano gli ampi spazi aperti. «In questo modo, il lontano e pittoresco paesaggio
NELLE IMMAGINI, GRANDI MOBILI, UN BANCONE DA CUCINA
IN VETRO, UN DIVANO IN PELLE E UN TAVOLO DA PRANZO IN
MARMO MARQUINA CARATTERIZZANO LE STANZE CENTRALI
DELLA CASA DEDICATE ALLA VITA IN FAMIGLIA.
ARREDI POLIFORM COMPLETANO CARATTERIZZANDOLO
L’INTERIOR DELLA VILLA
alpino può essere osservato al meglio da quasi ogni angolazione», proseguono gli architetti. Ogni area della casa rivela una nuova prospettiva sul lago e consente la massima privacy senza che l’architettura introduca una netta separazione dall’ambiente circostante.
Il design aperto degli interni permette di integrare la natura circostante: grazie alla sua posizione ai margini della proprietà, la piscina esterna sembra un’estensione del lago.
Gli interni sono stati progettati in modo tale che gli ambienti fluiscano dinamicamente l’uno nell’altro e rendano tangibile la profondità totale di 23 metri. Sebbene i livelli differiscano chiaramente nelle loro funzioni, le aree si fondono l’una con l’altra.
Entrando nella proprietà attraverso l’area d’ingresso settentrionale, lo sguardo si rivolge inizialmente alla scala sovradimensionata. Scala che da un lato conduce alla zona giorno ospitata al piano terra; oltre la zona giorno si
apre un’impressionante vista sul lago. Dall’altro lato si raggiunge, invece, la zona cucina che si estende su ampi gradini fino al soggiorno e alla sala da pranzo.
In cima si trova la camera da letto principale.
Lo spostamento dei due edifici crea uno spazio esterno coperto accanto a un’area salotto incassata nel terreno.
Il piano interrato non è visibile dalla strada a causa della sua posizione collinare.
Uno studio è direttamente allineato all’asse della scala verso il lago. Confina con altre camere da letto e una sala cinema.
Questo livello offre tranquillità e isolamento.
Mentre il giardino sul lato sud-est della villa è destinato ai momenti conviviali.
«Non ci sforziamo di ripetere uno stile riconoscibile», concludono i due architetti.
CHI • COSA • DOVE
MODA & ACCESSORI
Act N°1; Alberta Ferretti; Alexander Vautier; Aubade; Bally; Bevza; Calarena; Chloé; Dior; Etro; Falke; Ferragamo; Gedebe; Gucci; Hermès; Khaite; LeePott; Maison Margela; Miu Miu; N°21; Patrizia Pepe; Prada; Purest; Rotate; Stella McCartney; Stuart Weitzman; Verdissima; Victoria Beckham; VI to VI; Yvy; 23 OUT of Rules
Etro Home Interiors; Ioc Project Partners; Natalia Criado; Nendo; Poltrona Frau; Sennheiser; Sonos; Technogym
BOUTIQUE & PUNTI DI VENDITA
Aimo Room, Contrada di Sassello 5, Lugano • Bucherer, Via Nassa 56, Lugano • Cartier, Piazzetta Maraini 1, Lugano
Charly Zenger, Via Borgo 49, Ascona e Via Pessina 8, Lugano • Elite Gallery, Via Peri 6, Lugano • Emozioni, Crocicchio Cortogna 2, Lugano Gold Time, Via Luvini 4, Lugano e Piazza Indipendenza, Chiasso Gübelin, Via Nassa 27, Lugano • Hermès, Piazzetta Maraini, Lugano Mersmann, Via Nassa 5, Lugano • Montblanc, Via Pretorio 7, Lugano • Nassadonna, Piazza Bernardino Luini 2, Lugano Rocca 1794, Via Nassa 4, Lugano • Somazzi, Via Nassa 36, Lugano • Tourbillon, Via Nassa 3, Lugano • YVY, Zurigo
LUOGHI
Art Personal Trainer, Gentilino; Auditorio Stelio Molo Rsi, Lugano-Besso; Casa della Letteratura per la Svizzera italiana, Lugano; Cern - Portail de la Science, Ginevra; EHL, Losanna; Fondation Louis Vuitton, Parigi; Fondazione Santo Versace, Roma; Hotel Belvedere, Locarno; House of Strauss & Casino Kulinarium; Medacta International, Castel San Pietro/Rancate; Monastero St. Florian, Mozart Wohnhaus, Salisburgo; My School Ticino, Castel San Pietro; Palazzo Strozzi, Firenze; Schubertschloss Atzenbrugg; Splash&Spa, Rivera-Monteceneri
in COPERTINA Lea K
Agenzia: Visage Zurich indossa sciarpa in puro cachemire Purest