My Way

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MIGUEL ÀNGEL MARTÍN


My Way di Miguel Ángel Martín © 2020 Miguel Ángel Martín © 2023 Solone srl per questa edizione Tutti i diritti riservati. Collana Miguel Ángel Martín, 10 Direttore editoriale: Nicola Pesce Caporedattore: Stefano Romanini Ufficio stampa: Gloria Grieco Coordinamento Editoriale: Cristina Fortunato Service Editoriale: MN Grafica Correzione bozze: a cura della redazione Traduzione dallo spagnolo all’italiano: Stefano Romanini Progetto Grafico cover e quarta: Valeria Morelli Illustrazione cover: Miguel Ángel Martín Il font utilizzato è “Martin” – © Miguel Ángel Martín Stampato tramite Tespi srl – Eboli (SA) nel mese di ottobre  Edizioni NPE è un marchio in esclusiva di Solone srl Via Aversana, 8 – 84025 Eboli (SA) edizioninpe.it facebook.com/EdizioniNPE twitter.com/EdizioniNPE instagram.com/EdizioniNPE #edizioninpe


MIGUEL ÀNGEL MARTÍN

traduzione a cura di stefano romanini



Indice We’re all Frankies, we’re all lying in hell

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My Way

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di Andrea Grieco



We’re all Frankies, we’re all lying in hell di Andrea Grieco

Alzi la mano chi non ha mai visto o almeno sentito dire del film L’Esorcista di William Friedkin. Troppo facile! Allora, facciamo così, alzi ora la mano chi, invece, dello stesso regista non dico abbia visto, ma anche solo sia a conoscenza di People versus Paul Crump. Mi sa che stavolta, come si è ormai uso fare, più di qualcuno debba andare in rete e con l’aiuto di un motore di ricerca cominciare a documentarsi. E così facendo si scoprirà una delle pellicole più controverse della storia del cinema americano, opera prima di un movie brat selvaggio e furente, ancora lontano dal vincere il premio Oscar come miglior regista per quel nefasto affresco urbano che è Il braccio violento della legge. Tutt’ora inedito in Italia, invece, questo sfuggente titolo risalente al 1962, fu girato con mezzi e modalità da guerriglia “ciniphile” come si conveniva alle vogue, in un bianco e nero sgranato e ruvido che raschia le pupille, e ricostruisce il caso di Paul Crump, all’epoca condannato a morte per l’omicidio di una guardia durante una rapina compiuta in un mattatoio di Chicago. Friedkin, con materiali di

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repertorio e interviste ai protagonisti della vicenda, intese realizzare un’opera che fosse un’acuta e spietata disamina sul sistema giudiziario statunitense, nonché un’analisi quasi entomologica su una persona in condizione drammatica come quella di essere a pochi giorni dalla propria esecuzione. Alla sua uscita il film, pur se scarsamente distribuito, fece scandalo, scosse gli animi e l’opinione pubblica e grazie a esso il caso venne riaperto e Crump scagionato. Ma a conferire davvero un’aurea emblematica al film fu ciò che accadde in seguito, molti anni dopo quanto accaduto alla sua proiezione sugli schermi, quando Paul Crump, ormai anziano e prossimo alla morte, telefonò al regista e gli confidò di essere colpevole dell’assassinio per il quale gli era stata inflitta la pena capitale; il film di Friedkin, da prodotto speculativo si era tramutato, benché per paradosso, in paradigmatico e idiosincratico grimaldello etico e sociale, lasciando incredulo e shockato l’allora giovanissimo director. L’ambiguità e la fallibilità che possono sottendere le dinamiche giudiziarie le ha ben conosciute Miguel Ángel Martín, le cui sorti procedurali seguite alla pubblicazione nel nostro Paese nel 1996 del suo Psychopathia Sexualis hanno rappresentato per l’autore e il suo allora editore, Jorge Vacca, un punto di non ritorno (nonché, come ha affermato più volte in maniera irriverente Martín, una dose massiccia di pubblicità e notorietà a buon prezzo), nonché una significativa tappa nel corso della storia della censura 8


italiana, una “caccia alle streghe” come forse non se ne ricordava dai tempi di Pier Paolo Pasolini. A poco meno di trent’anni di distanza da quelle ignominiose accuse, di cui il fumettista venne in seguito pienamente assolto, Martín ora vi attinge e metabolizza materia narrativa, le irrora dell’umorismo più corrosivo di cui è capace, scrivendo e disegnando My Way, a conti fatti vetta assoluta della sua produzione e al contempo nuovo discrimine nella sua pratica creativa. Con una sopraggiunta, sfrontata consapevolezza autoriale il maestro iberico dell’arte sequenziale dissemina le tavole di questo graphic novel di tutti quegli elementi iconografici che lo hanno reso inconfondibile; solo che in quest’occasione le immancabili maschere leather-fetish, i riferimenti ai più efferati serial killer, le raccapriccianti e algide violenze mostrate o suggerite e le auto a sospensione magnetica, da marchi stilistici quali sono qui assurgono una valenza straniante anziché diegetica. E questo anche perché My Way è strutturalmente la più sofisticata e metalinguistica storia fin’ora concepita da Miguel Ángel Martín, che di fatto realizza un insidioso e perfido meccanismo a

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matrioska, una mise en abyme di senso che cortocircuita elementi autobiografici, il suo singolare universo fumettistico, citazioni “lowbrow” e colte, benché con piglio dissacrante, lasciando collidere i piani narrativi così che il senso di vertigine e nausea colga inesorabile il fruitore. Sintomatico, pertanto, che il protagonista di My way sia un fumettista, dall’indicativo nome DeSalvo, come lo Strangolatore di Boston – e al lettore lasciamo continuare il gioco/compito di rintracciare tutti gli altri riferimenti ai famigerati psicopatici che compaiono in queste agghiaccianti pagine. Ancor più allusivo è il fatto che le storie realizzate dal protagonista di questo perturbante romanzo grafico gli producano proprio quelle accuse di istigazione all’omicidio e alla pedofilia che vennero ingiustamente rivolte a Miguel Ángel Martín. L’acume vero, però, consiste nella maniera in cui le matite dell’autore di capolavori come Brian the Brain, Surfing on the Third Wave e Playlove, plasmano questi aspetti del suo profilo personale. Non un j’accuse né tantomeno un pamphlet autoreferenziale e pietistico, che rappresentano forme e generi del tutto estranei all’inclinazione anarcoide dell’autore, bensì una solida e ingegnosa narrazione la cui vera carica provocatoria consiste, al di là delle efferatezze e violenze rappresentate, nel far deflagrare il senso comune, deragliare le convinzioni e incistare i dubbi più perturbanti nel lettore. 10


In My way, per di più, Martín sembra divertirsi a confondere le acque, producendo una rifrazione tra il suo vissuto, la cronaca (nera) e la fiction, così che l’aberrante piano orchestrato dal suo alter ego DeSalvo funziona, oltre che come un’intollerabile, stolta e cieca vendetta verso l’umanità tutta, una beffarda e autoironica considerazione sul proprio statuto di autore, artista e, nondimeno, come individuo appartenente suo malgrado a quella genia, affascinante e perversa insieme, a cui anch’egli, come ognuno di noi d’altra parte, sa di doversi annoverare. Pertanto anche My Way, per il lancinante stile che da sempre contraddistingue il suo autore, qui se possibile ancor più chirurgico che in qualunque altro proprio titolo, nonché per l’algida atmosfera con cui avvolge le sue inquietanti e malsane storie, non mancherà di risultare familiare agli estimatori di Miguel Ángel Martín, trovando ovunque profuso il gusto dilettevole dei continui riferimenti a personaggi e figure del suo peculiare immaginario, come pure rimandi al cinema di genere, che come benzina alimenta il fuoco visionario del disegnatore. Pratica, questa citazionistica, che rende oltremodo vivace e intrigante sfogliare le pagine, che così reclamano un’osservazione e una lettura ancor più attenta e ludica, per godere appieno 11


dell’elaborato e raffinato meccanismo narrativo ed estetico che le sottende. Funzionamento ricercato che tocca i massimi effetti suggestivi nella sequenza in cui fanno capolino nelle tavole di My Way i Beta Dina and The Epsilons, una delle invenzioni psicosoniche più riuscite di Martín, che eseguono il brano Frankie Teardrop dei Suicide, il pionieristico progetto musicale newyorkese post-punk composto da Alan Vega e Martin Rev. Le sonorità sintetiche e ossessive generate dai sinth e dalla drum machine di questo brano, che con maestria Miguel riesce a suggerire in maniera acusmatica attraverso l’uso delle onomatopee,

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forniscono un’ideale soundtrack ai disegni che vanno scorrendo sotto gli occhi e le dita del lettore, e la storia di DeSalvo in quel frangente trova nelle tragiche e atroci parole del testo originariamente scritto da Vega, disperato e urlato a squarciagola, We’re all Frankies, we’re all lying in hell, un contrappunto di senso sconcertante. Una soluzione geniale, efficace e potente che può riuscire soltanto a un autore che padroneggia con assoluta sicurezza le risorse dell’arte sequenziale quale ancora una volta Miguel Ángel Martín dimostra di fare. Se molteplici sono gli aspetti che fanno di My Way un ulteriore tassello ascrivibile all’inconfondibile produzione di Martín, è altresì vero che ugualmente evidenti sono gli indizi che denunciano il suo slittamento verso una nuova soluzione espressiva, modalità comunque pertinente col processo di continua sperimentazione che pure lo connatura e che gli consente di rinnovarsi e contemporaneamente conferire inedita veste agli umori inquietanti che ha sempre inchiostrato. Uno degli aspetti più rilevanti di tale ricerca, non a caso già fortemente accennato nel precedente graphic novel dell’autore, Saphari, e qui decisamente più marcato, è la commistione della materia raccontata con un “infragenere” quale è il noir, da non intendersi dunque quest’ultimo come una codificazione formale, bensì come una nuance che faccia da cassa di risonanza alle situazioni soventi intollerabili che Miguel Ángel Martín descrive. Infatti, mentre storie come Space Between, Rubber Flesh, Cyberfreak e, fino a un certo grado, Brian The Brain, si avvalevano palesemente di un modello narrativo regolato e identificabile come quello della science fiction, nelle ultime storie di Martín – e in My Way in maniera definitiva e 13


coerente – si abbandona tale registro per far spazio a una propensione più suggestiva e atmosferica che tecnica. Tale scelta ha ovviamente delle ricadute sulla sintassi, che propende per una minore linearità narrativa per così ottenere un tessuto diegetico più accidentato e ingannevole, e pertanto più significante ed emozionante. Ma è su un versante di altra natura che si rende cocente tale procedimento, ed è quando si fa segno di un’opzione acuta, filosofica. Ai suoi albori, infatti, la sci-fi nasceva e si annoverava come genere prediletto, nonché di diffusione tra le masse, per gli assunti ottimistici del Positivismo; soltanto a partire dall’inizio del Novecento, invece, le inclinazioni del fantastico si trasformano, per dirla col semiologo Tzvetan Todorov, nel luogo della cattiva coscienza del pensiero rassicurante ascrivibile alla speculazione originatasi intorno alle “scienze esatte”. Ecco, allora, che le coniugazioni del fantastico cominciano a partorire davvero mostri e incubi, e quanto più questi ultimi afferiscono all’ordine sociale, al quotidiano e al metropolitano, più che la sci-fi , il gotico et similia, sono le declinazioni “crime”, poliziesche e, appunto come per My Way, il noir, che consentono un’analisi privilegiata e dettagliata delle cose oscure e inquietudini del reale. E in quanto a rappresentazione degli aspetti ai limiti del tollerabile e dell’abietto che la realtà può assumere, Miguel Ángel Martín sembra essersi riservato da sempre un ruolo d’eccezione. Come e più di tutte le sue opere precedenti è in quest’ultimo suo rutilante lavoro, in virtù di questa propensione “nera”, presenta una più crudele e impietosa immagine della condizione umana, condotta attraverso le potenzialità di un registro che consente all’autore di esplorare originali soluzioni espressive. 14


In questo metalinguistico gioco al massacro che è My Way, Martín riesce ancora una volta a scompaginare ogni aspettativa e a risultare più disturbante proprio facendo suo uno dei canoni del genere in questione: il ruolo ambiguo del protagonista, che va ben ribadito essere qui un’acida e ironica riproposizione di sé, corrotto, piagato e malsano quanto il sistema di cui fa indubbiamente parte e di cui spesso è vittima e carnefice assieme. Ai limiti dell’autolesionismo, condotto con una sarcastica irrisione nei confronti di tutto e tutti, anche del lettore stesso che, non si dimentichi, sembra dirgli costantemente a Martín, creando un contrappunto per immagini e una parafrasi dei sopracitati versi dei Suicide, che nessuno è escluso dall’essere come Frankie, il disperato e maledetto protagonista del brano, e che come lui tutti viviamo inesorabilmente in un inferno.

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non mi piacciono i bambini.

non me lo fanno diventare duro.

l’ho fatto solo per farvi rosicare.

per questo con loro ho dovuto usare qualsiasi tipo di strumento.

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Altre opere di Miguel Ángel Martín pubblicate in precedenza da Edizioni NPE: Saphari – isbn: 978-88-36270-99-6 NeuroWorld – isbn: 978-88-36270-26-2 Total OverFuck – ed. brossurata – isbn: 978-88-36270-46-0 Life Fading and The Space Between – isbn: 978-88-94818-85-7 Cannibal Holocaust 2 – isbn: 978-88-94818-62-8 Rubber Flesh – isbn: 978-88-94818-51-2 Surfing on the Third Wave – isbn: 978-88-94818-17-8 Brian the Brain – L’Integrale – ed. brossurata – isbn: 978-88-88893-99-0

La casa editrice del fumetto d’autore

edizioninpe.it


SONO SOLO UMANO. TROPPO UMANO. DESALVO È APPENA USCITO DI PRIGIONE, DOPO AVER SCONTATO QUINDICI ANNI PER UN CRIMINE CHE NON HA COMMESSO. VITTIMA DI UN BRUTALE LINCIAGGIO MEDIATICO E SOCIALE, PRECIPITERÀ IN UNA SPIRALE DI VIOLENTA E SELVAGGIA VENDETTA CONTRO TUTTO E TUTTI. TRA RIFERIMENTI AUTOBIOGRAFICI, CRONACA NERA E FICTION, IL CONTROVERSO MIGUEL ÁNGEL MARTÍN CI CONSEGNA UNA STORIA IN CUI L’UMANITÀ, SPOGLIATA DA UN SUO FILTRO, SI MOSTRA IN TUTTA LA SUA DISTURBANTE REALTÀ.

ISBN: 978-88-36271-92-4

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