DIS-egnanti | Report

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REPORT

REPORT DEL SONDAGGIO NAZIONALE CONDOTTO DALLA RICERCA & SVILUPPO AREA EDUCAZIONE DEL CENTRO STUDI ERICKSON (MAGGIO 23 – OTTOBRE 23)

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DIS-egnanti Verso la creazione di una community DSA https://www.facebook.com/groups/insegnanticondsa insieme ad Associazione Italiana Dislessia, SOS Dislessia e Erickson per valorizzare la risorsa professionale degli insegnanti con Disturbi Specifici dell’Apprendimento https://www.erickson.it/it/dis-egnanti/ Dario Ianes, Benedetta Zagni e Sofia Cramerotti*

* Con il contributo di Aurora Miorandi e Chiara Prati, che hanno collaborato rispettivamente all’analisi della letteratura e alla sistematizzazione delle risposte, Emily Sassoli, che si è occupata della costruzione dei questionari. Un ringraziamento per i confronti avuti e i suggerimenti ricevuti dal gruppo di lavoro in partnership con AID e SOS Dislessia, nello specifico a Giacomo Stella, Filippo Barbera, Ivan Sciapeconi, Andrea Novelli, Giuseppina Molino, Mario Menghi, Paolino Gianturco e Tommasa Maimone.


INTRODUZIONE Nella scuola italiana lavorano insegnanti con Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Si tratta di insegnanti con un bagaglio di conoscenze e competenze che si sono costruiti negli anni, che potrebbe (e dovrebbe!) essere maggiormente valorizzato nel contesto educativo, in quanto portatore di ricadute positive sui processi di apprendimento (Smith, 2017; Cuervo-Rodríguez & Castañeda-Trujillo, 2021; Ware et al., 2022; Grasmeder, 2023), sulle pratiche inclusive (Gerber, 1998; Burns & Bell, 2010; Pritchard, 2010; Griffiths, 2012; Keane et al., 2018; Moore et al., 2020) e sul benessere personale e di classe (Ferri et al., 2001; Moore et al., 2020; Cuervo-Rodríguez & Castañeda-Trujillo, 2021; Ware et al., 2022; Grasmeder, 2023). Il Centro Studi Erickson, l’Associazione Italiana Dislessia (AID) e SOS Dislessia credono nel valore degli insegnanti con DSA per la scuola e hanno unito le forze per scattare una fotografia della situazione degli/delle insegnanti in Italia che hanno un DSA e che insegnano alla scuola primaria. Infatti, questo è il grado scolastico più dibattuto in letteratura, ci si chiede: come può, un’insegnante con DSA, insegnare abilità rispetto alle quali lui stesso o lei stessa è in difficoltà (ad esempio, la letto-scrittura, il calcolo)? Cosa ne pensano gli/ le insegnanti con DSA? E cosa ne pensano i genitori di alunni/e che hanno un’insegnante con DSA (oltre che un figlio o una figlia con DSA)? Da ultimo, cosa ne pensano i colleghi e le colleghe di un’insegnante con DSA? Da quel che ci risulta, è la prima volta che nel panorama della letteratura nazionale e internazionale vengono affrontate queste prospettive in un solo studio. Numerosi studi precedenti hanno, infatti, analizzato la prospettiva degli/delle insegnanti con DSA, sia in servizio sia nei percorsi formativi universitari (a esempio, Bellacicco et al., 2022; Burns & Bell, 2010; Burns & Bell 2011; Boxall et al., 2010; Burns et al., 2013; Cuervo-Rodríguez & Castañeda-Trujillo, 2021; Ferri et al., 2001; Ferri et al., 2005; Gerber et al., 1998; Glazzard & Dale, 2015; Grasmeder, 2023; Griffiths, 2012; Hiscock & Leigh, 2020; Keane et al., 2018; Moore et al., 2020; Pritchard, 2010; Riddick, 2003; Smith, 2017; Valle et al., 2004; Vogel & Sharoni, 2011; Ware et al., 2022). Pochi, invece, hanno analizzato quella dei colleghi e delle colleghe o degli studenti e delle studentesse (ad esempio, Hiscock & Leigh, 2020 in ambito accademico). Manca completamente, però, la prospettiva dei genitori di figli/e con DSA.

DESCRIZIONE DELLO STUDIO La ricerca ha preso avvio nella primavera del 2023, ma è stata preceduta da un lavoro di analisi della letteratura esistente e, soprattutto, da un confronto con il gruppo di lavoro composto da diversi/e professionisti/e (si veda la nota in apertura) che hanno portato il loro contributo e i loro suggerimenti, dalla partnership con AID – Associazione Italiana Dislessia e con SOS dislessia. L’intento che ha accomunato tutti in questa prima fase è stato quello di esplorare le diverse situazioni e mappare le varie esperienze per far emergere i vissuti e dare voce agli insegnanti con DSA che lavorano nella scuola italiana, ai loro dirigenti, colleghi e ai genitori degli alunni e delle alunne. In questa prima fase si è deciso di circoscrivere l’indagine

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alle sole insegnanti e ai soli insegnanti di scuola primaria, ma con l’intento di espandersi quanto prima anche negli altri gradi scolastici. Il primo step di lavoro è stato quello di costruire quattro questionari (si veda l’Appendice) per esplorare tre prospettive legate al tema degli/delle insegnanti con DSA: • Insegnanti che hanno un DSA • Genitori con figli/e che hanno un DSA • Colleghi e colleghe di insegnanti con DSA • Dirigenti che hanno insegnanti con DSA Sono state svolte delle analisi descrittive rispetto alle risposte chiuse del questionario. Relativamente alle parti di spazi aperti o alla possibilità di inserire un’opzione «altra», è stata effettuata un’analisi qualitativa dei contenuti emersi. L’obiettivo era quello di scattare una fotografia, di fare un quadro della situazione attuale degli/delle insegnanti con Disturbi Specifici dell’Apprendimento nella scuola primaria italiana. Avere questa panoramica permette di capire meglio il fenomeno, poco dibattuto in letteratura, e prendere una posizione rispetto alla loro situazione all’interno dell’insegnamento.

Non solo, poter esplorare il tema ci ha permesso anche di raccogliere la volontà di costruire una community di insegnanti con DSA che possa diventare un terreno di scambio, confronto, supporto, condivisione di buone pratiche ecc.

STATISTICHE DESCRITTIVE DEL CAMPIONE Alla ricerca hanno partecipato: • 68 insegnanti con DSA • 31 colleghi/e di insegnanti con DSA • 637 genitori con figli/e con DSA • 1 dirigente scolastico

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Salta subito all’occhio quest’ultimo dato, la partecipazione di un solo dirigente. Essendo statisticamente non rappresentativo, si è deciso di escludere dalle analisi quest’ultima prospettiva. In generale, il campione è prevalentemente formato da femmine. Nello specifico, è diviso come segue:

Come mostrato nei grafici, è un campione giovane, soprattutto per le/gli insegnanti e colleghi/e, anche in termini di anni di servizio in riferimento a questi ultimi/e. Di seguito le fasce d’età e gli anni di servizio:

In generale, possiamo affermare che il nostro campione rappresenta una popolazione che conosce il tema dei DSA a scuola e che è informato su tali tematiche. Infatti, il 97% dei genitori che hanno risposto ha un/a figlio/a con DSA. Solo 12 di loro non hanno un/a figlio/a con DSA, mentre 6 di loro sono in attesa dell’iter di valutazione diagnostica. Quindi, in generale, il campione dei genitori ha esperienza rispetto al tema dei DSA. In aggiunta, l’89% di loro dichiara di conoscere il tema dei DSA e della didattica inclusiva, mentre solamente l’11% dichiara di non conoscere questi temi ma di volerli approfondire.

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Anche i colleghi e le colleghe di insegnanti con DSA ne hanno fatto esperienza e conoscono il tema. Addirittura, il 90% ritiene un’esperienza positiva il fatto di conoscere una persona con DSA nella vita extrascolastica. Rispetto agli/alle insegnanti con DSA, il 34% dichiara di non aver mai ricevuto una diagnosi ufficiale di DSA e il 32% dichiara, invece, di averla ricevuta in età adulta (dopo i 18 anni). Questo dato è interessante e in linea con i tempi: la diagnosi con DSA è giovane; pertanto non stupisce questa «confusione» del campione di insegnanti con DSA, o il fatto che sono stati diagnosticati tardi. Più nello specifico, solamente il 18% di loro ha ricevuto la diagnosi durante la scuola primaria, il 6% durante la scuola secondaria di I grado e il 9% durante la scuola secondaria di II grado. Solo uno dichiara di aver ricevuto una segnalazione di difficoltà alla scuola dell’infanzia.

1° TEMA Avere un Disturbo Specifico dell’Apprendimento: uno stigma? Ma avere un DSA è stigmatizzante? Abbiamo provato a esplorare questo tema su più fronti, cercando di analizzarlo sotto i diversi punti di vista. La prima cosa su cui ci si può soffermare è il «lo dico o non lo dico»? Dai dati questo emerge in modo un po’ confuso, non è chiaro se chi ha un DSA non lo dichiari per paura, o se ritiene che non sia un’informazione necessaria. Emerge invece nettamente che, per chi non ha un DSA, non c’è nessun problema nell’interfacciarsi e nel lavorare con una persona con DSA. Quindi, non sembrerebbe essere uno stigma, eppure ci lascia un po’ dubbiosi questa poca chiarezza sul fatto di dirlo o meno. Sarà interessante esplorarlo in studi futuri. I dati presenti in letteratura confermano una certa difficoltà, soprattutto iniziale, nel rivelare un DSA che sembra infatti avvenire più facilmente a seguito di validazioni esterne/feedback positivi a conferma della propria efficacia in quanto (buon) insegnante (Valle et al., 2004; Ferri et al., 2005; Burns & Bell, 2010; Vogel & Sharoni, 2011). Andando più nello specifico, dai dati emerge che il 12% degli/delle insegnanti con DSA quando erano studenti/studentesse ha avuto il dubbio di avere un/una insegnante con un DSA. Solo il 5% di loro lo ha comunicato apertamente, mentre il 75% non ha mai avuto un/una insegnante con DSA. Per quest’ultimo gruppo di insegnanti con DSA, sarebbe stata un’esperienza molto positiva avere un/una insegnante con DSA (92%). Quando si chiede agli/alle insegnanti con DSA se lo hanno comunicato ai/alle dirigenti, il 67% afferma che non ha ritenuto necessario comunicarglielo. Per coloro che lo hanno comunicato, la reazione dei/delle dirigenti è sembrata per lo più neutrale (il 64% afferma che non c’è stata nessuna reazione in particolare). Positivamente, il 24% dei/delle dirigenti ha percepito che questo fosse una risorsa, mentre il 12% ha apprezzato la trasparenza da parte dell’insegnante. Cosa succede quando si tratta di parlarne ai propri studenti e alle proprie studentesse? Il 51% degli/delle insegnanti con DSA lo ha comunicato ai propri alunni e alle proprie alunne, mentre il 34% no. Questa comunicazione è stata affrontata in modo sereno e rilassato, senza darle una rilevanza in particolare. Infatti, il 45% afferma che «non c’è stato un momento; semplicemente ho lasciato trasparire l’informazione durante i momenti di didattica», mentre il 42% lo ha fatto come una «chiacchiera leggera davanti alla classe».

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Solamente 5 persone hanno organizzato un momento ad hoc (una storia o una spiegazione scientifica del tema). Infine, rispetto alla comunicazione da parte degli/delle insegnanti con DSA ai genitori degli alunni e delle alunne, il 71% non ha ritenuto necessario comunicarlo, in quanto ha pensato non fosse un’informazione rilevante. Solamente il 28% lo ha fatto in modo libero e solo una persona si è sentita, invece, costretta a farlo. Tra chi lo ha comunicato alle famiglie, il 91% non ha avuto nessun problema nel momento in cui lo ha fatto, solo l’8% ha riscontrato difficoltà trascurabili che sono state facilmente risolvibili. In conclusione, sembra non essere rilevante la necessità di comunicare di avere un DSA e, al contempo, sembra non essere discriminante qualora lo si affermasse, come sostenuto da uno studio svolto su personale accademico condotto da Hiscock e Leigh nel 2020, che ha incluso sia le prospettive degli/delle insegnanti che degli studenti e delle studentesse.

Ma come stanno gli/le insegnanti con DSA? Cosa succede se si guarda al loro vissuto emotivo durante la carriera? Lo stigma davvero non esiste? Partendo dai dati più positivi, il 70% del nostro campione di insegnanti con DSA non ha mai pensato di abbandonare l’insegnamento. Il 30% sarebbe favorevole all’idea, ma non possiamo imputare che questa scelta si origini solo per il fatto di avere un DSA e lavorare nell’ambito dell’insegnamento. Come sappiamo, purtroppo, ci sono altre numerose ragioni spesso legate allo stress-lavoro-correlato che spingono le/gli insegnanti a pensare di lasciare l’impiego e cambiare professione. Sempre rispetto alla loro carriera, il 28% degli/delle insegnanti con DSA afferma di essersi sentito solo nella scelta professionale poiché non ha la possibilità di avere colleghi e colleghe con cui confrontarsi. Circa il 18% circa, però, afferma di sentirsi incluso pienamente da parte del corpo docente. Il 38%, invece, non si è mai posto questo problema e ciò potrebbe essere un buon dato dal momento che non sembra essere una preoccupazione per loro essersi sentiti soli/e nella scelta professionale. In poche parole, non è pesato il fatto di avere un DSA durante la loro carriera. Solo il 5,9%, infatti, afferma di non essere incluso dagli/dalle altri/e docenti.

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Passando a qualche dato più «negativo», però, il 29% degli/delle insegnanti con DSA afferma di essersi sentito sminuito/inferiore da parte di colleghi e colleghe e il 16% da parte del sistema scolastico. Solamente l’1,5% si è sentito sminuito/inferiore da parte della/del dirigente, mentre il 32% afferma di non essersi mai sentito così. Emerge, poi, un dato più personale relativo a un 20% che si è sentito sminuito/inferiore da parte di sé stesso, vale a dire una valutazione che si fa su di sé e che non deriva da altre persone.

Da ultimo, forse il dato meno piacevole da leggere a riguardo, circa la metà degli/delle insegnanti con DSA (49%) afferma di essersi sentita vittima di pregiudizio nel contesto dell’insegnamento. Ciò significa che hanno percepito su di sé il pregiudizio che, in qualità di persone con un DSA, non dovrebbero accedere a carriere di insegnamento-apprendimento. Fortunatamente, il 28% afferma di non essersi mai sentito così, mentre il 23% dichiara di non sapere precisamente se ha mai percepito di essere stato vittima di pregiudizio. Dall’analisi qualitativa delle risposte alle domande aperte fornite da chi ha compilato il questionario sono emersi alcuni aspetti interessanti per quanto riguarda lo stigma e la scarsa valorizzazione, in particolare nella percezione che ne hanno colleghi e genitori.

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Nello specifico, i colleghi e le colleghe hanno evidenziato come potrebbero esserci problematiche legate all’insicurezza, alla necessità di avere più tempo per la preparazione delle lezioni o nello spiegare alcuni aspetti, ma anche limiti organizzativi (cosa che potrebbe dare adito all’interpretazione di scarsa professionalità), questo legato anche a difficoltà nel compensare adeguatamente le proprie difficoltà. Le preoccupazioni invece evidenziate dai genitori, anche se decisamente più limitate rispetto ai possibili vantaggi sono: lentezza, incompetenza, difficoltà nell’individuare possibili errori, meno precisione, scarsa organizzazione, scarsa prontezza nel far fronte agli imprevisti e difficoltà a reggere i ritmi che la scuola impone, con conseguente maggiore rischio di stancarsi più facilmente. I genitori evidenziano anche possibili limiti nello scrivere alla lavagna, leggere ad alta voce di fronte alla classe, uso di un lessico meno ampio. Non mancano però preoccupazioni più legate alla sfera emotiva come l’eventuale non accettazione e reale consapevolezza del disturbo da parte dell’insegnante, ma anche l’essere troppo coinvolto dal punto di vista emotivo, basarsi eccessivamente sulla propria esperienza personale e la tendenza a dedicare più tempo a chi ha delle difficoltà, togliendo tempo agli/alle altri/e alunni/e. Questo ultimo aspetto, così come un senso di diffidenza, scarsa accettazione, stigmatizzazione e pregiudizio, sarebbe probabilmente maggiormente presente nei genitori che sono estranei al mondo DSA in generale. Infine, i genitori sottolineano una possibile maggiore vulnerabilità e difficoltà nel farsi rispettare, oltre a incorrere in un possibile scarso supporto da parte dell’istituzione scolastica stessa. I limiti legati al giudizio negativo di alcuni colleghi e colleghe, associato a scarsa valorizzazione e inclusione, vengono elencati come un possibile ostacolo all’effettiva inclusione nel corpo docente, con conseguente sviluppo di insicurezza, scarsa autostima e ansia. Per contro alcuni insegnanti con DSA hanno evidenziato come i possibili limiti siano da attribuirsi eventualmente più in generale alla persona specifica piuttosto che alle sue reali difficoltà; per questo è fondamentale un lavoro su sé stessi volto all’elaborazione e al «volgere in positivo» la propria esperienza. Per concludere, quando si focalizza maggiormente il tema dell’insegnamento e della carriera di un insegnante con DSA, sono gli stessi e le stesse insegnanti a non sentirsi del tutto sicuri. Uno su due si sente vittima di pregiudizio, e una buona parte di loro si sente insicura o comunque sminuita rispetto alla possibilità di poter fare una carriera di insegnamento pur avendo un DSA. Questo dato è purtroppo in linea con la letteratura, dove sono riportate esperienze negative comuni come sentirsi vittima di pregiudizio e sentirsi poco valorizzati (Valle et al., 2004; Ferri et al., 2005; Boxall et al., 2010; Burns & Bell, 2010; Griffiths, 2012; Glazzard & Dale, 2015; Cuervo-Rodríguez & Castañeda-Trujillo, 2021). Ma qual è stato il loro percorso? Forse vale la pena indagare come hanno vissuto la scuola, a loro volta, per approfondire al meglio le loro percezioni sulla carriera di insegnamento.

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2° TEMA Il percorso scolastico di una persona con DSA Come sono stati gli/le insegnanti con DSA durante il loro percorso scolastico? Si sono sentiti supportati/e, compresi/e o è stata una corsa a ostacoli? In generale, quando si chiede una valutazione complessiva del percorso scolastico in relazione alle difficoltà, gli/le insegnanti con DSA affermano per lo più di aver avuto un buon o un discreto percorso in tutti i gradi scolastici. Sembra che gli anni peggiori siano quelli delle secondarie, ma anche la primaria, purtroppo, non sembra spiccare. L’infanzia e l’università appaiono come i contesti in cui hanno avuto un percorso ottimo, o comunque buono. Quando si entra in aspetti più tecnici, come le tutele disciplinari, cioè la possibilità di personalizzare adeguatamente, cominciano i dati più negativi della ricerca. Com’è possibile vedere dai grafici, la stragrande maggioranza segnala che non sono state riconosciute le tutele a livello disciplinare in tutti i gradi scolastici. Spicca, infatti, la colonna che segnala la categoria insufficiente in tutti i gradi scolastici. Similarmente alla mancanza di tutele, in letteratura è riportata la mancanza significativa di accomodamenti e strumenti di ausilio personalizzati (Smith, 2017).

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A questo dato più «tecnico» poco incoraggiante, si aggiunge anche l’aspetto più umano e relazionale relativo al supporto emotivo e motivazionale che hanno ricevuto nel loro percorso scolastico da parte delle/dei docenti. Anche qui, purtroppo, spicca di nuovo la categoria dell’insufficiente per tutti i gradi scolastici. Incrociando i dati, non è possibile individuare un trend per chi ritiene di non aver avuto riconosciute le tutele disciplinari e chi, poi si è sentito poco supportato. Questo segnala che c’è una chiara distinzione fra l’applicazione delle tutele e come, poi, realmente, ci si sente emotivamente supportati dai/dalle docenti. Questo in due direzioni, da un lato rispetto alle tutele riconosciute che, però, di per sé, non possono bastare per rendere positivo il proprio percorso scolastico. Dall’altro, la mancanza di tutele riconosciute, ma comunque, un buon supporto emotivo e motivazionale da parte del corpo docente che può, forse, mitigare l’impatto didattico.

Da ultimo, di fronte alla richiesta del non aver ricevuto un trattamento giusto da parte del sistema scolastico, il 41% è d’accordo, mentre il 35% no. Il 23%, invece, afferma di non averci mai pensato. Anche qui, curiosamente, incrociando i dati, si nota che chi ritiene di non aver ricevuto un trattamento giusto da parte del sistema scolastico si colloca fra chi ha dato un giudizio positivo in merito al proprio percorso, sia in termini di tutele disciplinari sia di supporto emotivo. Non c’è, in generale, una tendenza positiva o negativa su tutto, ma ci sono distinzioni specifiche per ogni aspetto del proprio percorso. Questo è un dato che può in parte consolare, in quanto non sembra esserci, per la maggioranza, un’esperienza scolastica del tutto pessima sotto i vari aspetti o del tutto positiva.

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In relazione a esperienze scolastiche negative e a percorsi «tortuosi», sono particolarmente significative queste tre testimonianze riportate nella compilazione delle risposte alle domande aperte: «Ero una studentessa inconsapevole della mia dislessia. O meglio, le diffi� coltà non avevano un nome. Pensavo fosse quella la normalità». «La discalculia era così evidente — fin dalle elementari. Ma pensai — come dicevano «i grandi», i miei familiari — di essere un disastro in matematica. Ho moltissimi ricordi». «I miei docenti sono sempre stati molto duri con me definendomi in molti modi spiacevoli davanti i compagni. [Ora da insegnante] cerco per questo di non giudicare e di essere empatica verso la classe».

In conclusione, sembra che le/gli insegnanti con DSA non abbiano avuto un grande percorso scolastico nella loro esperienza. Questo è almeno in parte confermato dai dati presenti in letteratura che riportano esperienze scolastiche spesso difficili e talvolta anche tortuose, poco lineari (Gerber, 1998; Riddick, 2003; Burns & Bell, 2010; Burns & Bell, 2011; Burns et al., 2013; Vogel & Sharoni, 2011; Glazzard & Dale, 2015; Cuervo-Rodríguez & Castañeda-Trujillo, 2021). Ma questo ha influenzato la loro scelta professionale? E, soprattutto, la domanda clou è: persone con DSA possono avere successo nell’insegnamento? Hanno le competenze dal loro punto di vista? E dal punto di vista altrui?

3° TEMA Le competenze e la carriera di un insegnante con DSA I/Le docenti con DSA si ritengono, per la maggioranza (59%), efficaci, mentre il 40% si ritiene efficace solo in parte. Chiaramente, non è possibile rintracciare le ragioni di questa risposta solo al fatto di avere un DSA: ci sono, infatti, numerosi motivi che possono giocare un ruolo nella percezione di auto-efficacia di un/una docente. A ogni modo, è

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sicuramente un bel dato che contrasta con la sensazione di stigma di cui si parlava poco sopra: nonostante ci si senta stigmatizzati e a volte inferiori o sminuiti, ci si percepisce docenti efficaci. Anche nei prossimi paragrafi vedremo che questa percezione di essere dei buoni e delle buone docenti ritornerà.

Ancora più sorprendente è il punto di vista sia dei genitori sia dei colleghi e delle colleghe. Sia i genitori sia i colleghi e le colleghe affermano, infatti, per la maggioranza, che i/le docenti con DSA hanno competenze pari o addirittura maggiori (si vedano i grafici) rispetto alle proprie. Solamente il 10% dei colleghi e delle colleghe ritiene che siano svantaggiati nell’insegnamento, mentre il 13% segnala di non essersi mai soffermato su questo aspetto nell’esperienza dell’avere un/una docente con DSA come collega.

Questo dato viene rinforzato quando si chiede ai genitori con figli/e con DSA se i pro dell’essere un/una docente con DSA sono superiori o inferiori ai contro. Come si vede, quasi l’80% afferma che i pro sono superiori ai contro o comunque, circa il 18%, crede si eguaglino. Solamente il 2,5% segnala che i contro sono superiori ai pro.

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Ulteriormente a conferma della possibilità di una persona con DSA di essere un/una docente efficace, l’87% dei genitori afferma che se il proprio figlio o la propria figlia avesse un/una docente con DSA sarebbe contento. Solo il 10% non sarebbe del tutto contento, e un 4% dice che non lo sarebbe affatto.

Come ultimo aspetto analizzato, abbiamo chiesto sia ai genitori sia ai colleghi e alle colleghe se le persone con DSA possono accedere o meno a carriere che riguardano nello specifico azioni di insegnamento-apprendimento. La scala di accordo andava da 1 (totalmente in disaccordo) a 5 (totalmente d’accordo). I genitori sono estremamente d’accordo e segnalano che persone con DSA possono accedere a queste carriere. Questo vale per la maggioranza di loro, vista la media molto alta (4,63) e una bassa variabilità (deviazione standard = 0,80). Allo stesso modo, seppur in misura lievemente minore e su un campione più ridotto, i colleghi e le colleghe si mostrano generalmente d’accordo, con una media di 4,29 e una variabilità leggermente più alta (deviazione standard = 1,27). Per quanto riguarda l’analisi qualitativa delle risposte alle domande aperte che andavano a indagare la parte inerente aspetti legati alle competenze e alla carriera sono emersi

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diversi aspetti interessanti evidenziati dagli/dalle insegnanti con DSA che meritano di essere riportati per arricchire la riflessione più generale. Per quanto riguarda la motivazione da parte degli insegnanti con DSA di intraprendere questo tipo di professione emergono alcune testimonianze significative: «La soddisfazione nell’osservare la gioia dei bambini di fronte ai successi. La volontà di imparare ad approcciarmi a loro con la giusta delicatezza e com� prensione». «Riuscire a insegnare ai ragazzi con maggiori fragilità attraverso il mio modo differente di spiegare che, delle volte, forse, può rendere alcuni concetti maggiormente comprensibili». «Il desiderio di far amare lo studio, la conoscenza, la lettura a tutti, qual� siasi fossero le loro difficoltà. […] aiutare qualche collega a capire meglio la situazione di un DSA. Trovare le giuste strategie per permettere a tutti di im� parare e sentirsi capaci. Ho cercato di diventare l’insegnante di cui avrei avuto bisogno». «Far comprendere ai colleghi come si sente un bambino con DSA e, di con� seguenza, nel far scegliere ai colleghi modalità di insegnamento più adatte».

In riferimento invece alle difficoltà incontrate all’inizio della propria pratica professionale come insegnanti sono state messe in evidenza la poca capacità di svolgere più compiti contemporaneamente, di comunicare e relazionarsi in modo adeguato con dirigenti e colleghi, nel ricordarsi i nomi degli/delle alunni/e, ma anche nella progettazione delle lezioni, nella gestione dei tempi, nelle correzioni, nella compilazione del registro elettronico (timore di sbagliare perché non c’è il correttore ortografico) e nel decidere i voti senza fare ingiustizie. Tutto questo richiede alle volte più tempo e più attenzione, ma si tratta di qualcosa che può essere adeguatamente controllato con le giuste strategie. Emerge inoltre un senso di insicurezza generale dovuta al timore di sbagliare, oltre a momenti di stanchezza che possono accentuare le difficoltà specifiche. Accanto a questi aspetti ne emergono però anche altri che vanno nella direzione di un buon senso di autoefficacia. Un esempio è la maggiore flessibilità nel valutare da un punto di vista realmente «formativo» un alunno, una generale maggiore predisposizione all’ascolto e all’accogliere un pensiero divergente, oltre alla capacità di una reale immedesimazione, proprio grazie all’esperienza vissuta. «Credo che l’insegnante con DSA sia un insegnante più sensibile a queste difficoltà, che può comprendere quello che i bambini attraversano nella loro quotidianità scolastica. Quindi, da insegnante, voglio essere attenta ai bisogni personali dei bambini, e nella proposta delle attività didattiche presto mag� giore attenzione alla fruibilità di esse in modo tale che siano inclusive anche a livello visivo e di modalità d’apprendimento». «Mi immedesimo nelle difficoltà di ogni bambino e cerco di trovare sem� pre nuovi modi per farlo appassionare alla lezione. Con me tutti i bambini

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sono sereni di prendere la parola e dire cosa pensano o cosa hanno capito senza paura di sbagliare».

Viene inoltre evidenziata una più tempestiva capacità di accorgersi se uno studente ha delle difficoltà, cosa che i colleghi invece molte volte non notano. «Riesco a riconoscere facilmente uno studente che non ha adeguatamente studiato da uno che nonostante ore di studio non riesce a esprimersi al mas� simo delle potenzialità. Riconosco anche abbastanza bene il frutto di ore di faticoso studio di qualcuno che ha dovuto impegnarsi più del normale e per questo merita un rinforzo positivo per aver raggiunto gli stessi risultati di altri ma con maggiore fatica». «Oltre alla valutazione dell’errore, spunto per reimpostare le strategie di apprendimento, mi focalizzo sull’emotività che genera tale errore».

In conclusione, sembra netta la posizione nell’affermare che persone con DSA possono accedere alle carriere di insegnamento, inoltre si sentono competenti — come testimoniato anche in letteratura (Riddick, 2003; Burns & Bell, 2010; Vogel & Sharoni, 2011; Hiscock & Leigh, 2020; Cuervo-Rodríguez & Castañeda-Trujillo, 2021) — e sono riconosciuti come tali. E cosa succede se zoomiamo questo tema e lo analizziamo specificamente rispetto alla didattica nei confronti degli alunni e delle alunne con DSA? Questi docenti hanno una marcia in più?

4° TEMA Avere una marcia in più? Il 100% degli/delle insegnanti con DSA afferma di essere stato in grado, in relazione agli studenti e alle studentesse con DSA, di capire le loro difficoltà (45% ha risposto sempre, 54% ha risposto spesso). Nessuno/a di loro ha scelto le opzioni mai e ogni tanto. Questo segnala un alto livello di empatia da parte di chi ha vissuto lo stesso percorso, che si concretizza anche in azioni didattiche più vicine ai bisogni di questi studenti e queste studentesse. Infatti, il 63% afferma di essersi sempre sentito in grado di garantire una didattica vicina ai bisogni degli studenti e delle studentesse con DSA (il 30% sceglie spesso, solamente 4 di loro scelgono ogni tanto e nessuno sceglie mai). Tutti e tutte gli/le insegnanti con DSA si sentono efficaci nel riuscire a garantire una risposta funzionale ai bisogni degli alunni e delle alunne con DSA. Gli studi svolti finora confermano questo scenario, riportando tra le risorse speciali delle/degli insegnanti con DSA la maggiore empatia e capacità di comprendere le difficoltà scolastiche — in generale non solo DSA — e coinvolgere le/i proprie/i studentesse/i (Ferri et al., 2001; Moore et al., 2020; Cuervo-Rodríguez & Castañeda-Trujillo, 2021; Ware et al., 2022; Grasmeder, 2023), unita alla capacità di promuovere strategie didattiche diversificate e alternative (Smith, 2017; Cuervo-Rodríguez & Castañeda-Trujillo, 2021; Ware et al., 2022; Grasmeder, 2023).Rispetto al sentirsi dispiaciuti/e, come insegnanti, nei confronti delle difficoltà dei loro studenti e delle loro studentesse ci sono risposte molto eterogenee: il 35% afferma che ogni tanto si è sentito dispiaciuto, il 18% spesso e il 15% sempre, invece, il 30% dice che non si è mai sentito

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dispiaciuto. Questo segnala un’ambivalenza: da un lato, ci si sente dispiaciuti perché si riconosce, empaticamente, un vissuto che si ha provato, ovvero quello di un percorso travagliato; dall’altro, invece, c’è chi non si riconosce nel vissuto di una «sfortuna» per il fatto di avere un DSA e, quindi, non si ritrova nell’ammettere di sentirsi dispiaciuto per questo. Questa tendenza di risposte ritorna quando gli/le si chiede se, in relazione agli studenti e alle studentesse con DSA, sente di essere in «nessun modo in particolare e al pari di tutti gli studenti»: il 31% afferma di sentirsi così (12% spesso, 19% sempre), mentre il 65% non si ritrova in questo vissuto (33% mai, 35% ogni tanto). Anche qui, il campione si «spacca» un po’ in due, segnalando che c’è chi empatizza molto rispetto al vissuto, provando quasi un sentimento diverso nei confronti di chi ha un DSA e chi, invece, non si ritrova nell’evidenziare una differenza così marcata rispetto a chi non ha un DSA. In generale, indubbiamente, avere avuto un DSA ha influenzato molto il modo di essere un/una insegnante oggi (90% sì, 8% non ha mai pensato a questo aspetto, 1% no). Un ultimo aspetto che abbiamo analizzato, soprattutto da un punto di vista qualitativo, è come vivono il momento dell’errore di un alunno o di un’alunna e dell’inciampo in classe da parte invece del docente con DSA. Dal grafico si vede come le strategie di gestione dell’errore siano variegate, ma la maggior parte di loro (38%) sfrutta l’errore come un’occasione per rispiegare il concetto errato a tutta la classe. Una percentuale simile sceglie (28%) di approfittare dell’errore per evolvere la didattica in modo diverso, e alcuni (13%) adottano invece un approccio più individuale gestendo l’errore direttamente con l’alunno o l’alunna interessata. Quasi il 15% ha scelto opzioni diverse da quelle proposte dal questionario.

Anche rispetto all’inciampo personale di fronte alla classe emergono dati interessanti. Il 46% apprezza questo momento utilizzandolo in modo costruttivo per far capire che si può sbagliare e in quali momenti si può sbagliare più facilmente. Il 25% sfrutta questa occasione per tenere alta la soglia di attenzione in classe, facendosi correggere direttamente dai bambini e dalle bambine. Il 10% prova, invece, senso di imbarazzo di fronte all’errore, probabilmente a causa dello stigma. Curiosamente, incrociando i dati, è possibile vedere infatti che chi ha dato questa risposta ha anche segnalato un minore senso di efficacia, e il 70% di loro ha risposto di essersi sentito vittima di pregiudizio nel contesto dell’insegnamento. Circa il 9% ha poi indicato una risposta diversa da quelle proposte dal questionario.

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Molti colleghi e genitori non hanno rilevato nessun limite legato al fatto di essere un/ una insegnante con DSA che svolge questo ruolo professionale. «Nessun limite, penso sia un vantaggio avere un docente con DSA come collega, perché è la dimostrazione che si può studiare e apprendere con suc� cesso […]. I limiti sono solo quelli che può avere qualsiasi docente».

La tabella qui sotto riporta in modo sinottico, a seconda delle percezioni riferite alle diverse tipologie di compilatori, quali sono le principali «marce in più» di un/una insegnante con DSA.

Caratteristi� che distin� tive risorse generali e approccio empatico

INSEGNANTI CON DSA

COLLEGHI

GENITORI

Creatività.

Maggiore creatività.

Creatività e flessibilità.

Pazienza e ironia.

Esperienza personale come risorsa importante dal punto di vista della didattica.

Comprensione delle difficoltà.

Sensibilità e gentilezza. Esperienza vissuta in prima persona. Comprensione reale delle difficoltà. Capacità di ascolto. Saper attendere i tempi di ognuno. Rivolgersi agli alunni con calma e rassicurazione. Capacità di riconoscere segnali che potrebbero sottendere a un disturbo dell’apprendimento. Maggiore empatia e attenzione verso le difficoltà. Empatia nel capire i punti di forza e di debolezza.

Punto di riferimento per quei colleghi che hanno alunni con DSA in classe. Maggiore comprensione ed empatia verso i propri studenti. Capacità di fornire aiuto. Capacità di sfruttare i diversi canali di apprendimento. Sapersi mettere nei panni dell’alunno quando non comprende. Saper fornire il giusto supporto.

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Visione più ampia della strada da percorrere e dei vari modi per raggiungere un obiettivo. Più attento alle caratteristiche dei suoi allievi. Conoscenza delle modalità che funzionano di più sfruttandole anche per gli altri allievi. Sa quanto sia importante premiare l’impegno, non solo il risultato. Attenzione all’autostima degli alunni. Funge da esempio di «riuscita».


INSEGNANTI CON DSA

COLLEGHI

GENITORI

Saper guardare «con gli occhi degli studenti» e trovare il loro strumento comunicativo.

Personalizzazione della didattica.

Capacità di comprendere il motivo dell’errore.

Rispetto delle tempistiche di apprendimento.

Non demonizzare l’errore.

Saper indirizzare ogni alunno nella ricerca di un metodo personalizzato.

Uso funzionale della tecnologia.

Capacità di cogliere le differenti abilità degli allievi con DSA, di valorizzarle, di aiutarli ad acquisire fiducia nelle proprie capacità. Maggiore empatia e capacità di comprensione. Capire meglio le difficoltà di un alunno con DSA. Maggiore empatia, conoscenza vera delle difficoltà e quindi possibilità maggiore di trovare strumenti e metodi adatti a tutti. Competenza nell’individualizzazione e nella differenziazione didattica. Conoscenza profonda delle difficoltà e di cosa si prova. Rispetto per i tempi di apprendimento. Comprendere meglio lo stato d’animo dell’alunno. Maggiore attenzione nel riconoscere tempestivamente eventuali DSA. Approccio inclusivo

Capacità di dialogo con gli/ le studenti/studentesse. Capacità di sviluppare una didattica che sappia portare tutti al pari (utilizzo di una didattica inclusiva). Creazione di materiale (mappe, ecc.) utile a tutta la classe.

Utilizzare strategie significative per ciascun alunno/a con DSA e per tutto il gruppo classe.

Con un/una insegnante con DSA si otterrebbe veramente la didattica inclusiva.

Esprimere qual è il vero significato di inclusione.

Consapevolezza della necessità di un insegnamento che tenga in considerazione le diverse modalità di apprendere degli alunni.

Far comprendere il vero significato di «diversità».

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INSEGNANTI CON DSA

COLLEGHI

Capacità di far comprendere a pieno che la diversità è un potenziale immenso.

GENITORI Più attento ai bisogni educativi dei suoi studenti. Più disponibile a trovare approcci e strade diverse per coinvolgere i suoi studenti. Più apertura mentale all’inclusione. Sa aiutare meglio gli alunni senza però ghettizzarli. Gestire le lezioni in maniera «fantasiosa» e accessibile a tutti, senza discriminazioni. Portare in prima persona a tutta la classe la propria esperienza agganciandola agli aspetti inclusivi. Creare consapevolezza che non esiste un metodo valido sempre e per tutti. Maggiore attenzione all’inclusione reale. Saper gratificare, stimolare e incentivare tutti.

Applicazione di strategie diversificate e alternative

Poca lezione frontale. Spazio al dialogo e al confronto Lavori in piccolo gruppo. Intuizione nel capire come presentare la materia e nel trovare strategie per farla imparare piacevolmente. Capacità di sintesi e di creare schemi e disegni accattivanti e comprensibili.

Diversa prospettiva nel vedere le cose. Strategie che tengono conto dei diversi stili cognitivi degli alunni.

Uso di strategie innovative e originali per mettere tutti nella condizione di apprendere.

Uso di strategie, modalità e strumenti nuovi.

Utilizzo di un metodo di insegnamento dinamico e alternativo.

Flessibilità nell’affrontare le cose.

Strategie di memorizzazione efficaci. Capacità di utilizzo di vari canali per apprendere. Capacità di vedere le cose da una prospettiva diversa.

Capacità di semplificare e sintetizzare.

Spiegare tramite uso di immagini e con mappe mentali.

Facilità nello schematizzare/mappare gli argomenti.

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INSEGNANTI CON DSA

COLLEGHI

GENITORI Migliore conoscenza e applicazione delle strategie e degli strumenti compensativi. Capacità di proporre un buon metodo di studio efficace. Uso di approcci e strategie che utilizzano anche il canale non verbale. Utilizzo di strumenti e canali di apprendimento differenti, complementari e integrativi. Nuove metodologie di studio e di verifica. Approccio innovativo e non convenzionale alla didattica. Utilizzo dei supporti informatici con specifiche funzioni di apprendimento.

Conclusioni Tra le tante informazioni che si traggono da questa raccolta di dati, una spicca forse in tutto il suo valore sociale e culturale: gli/le insegnanti di primaria con un DSA non solo sono in grado di insegnare a leggere e scrivere nonostante il loro disturbo, ma anzi grazie al loro disturbo insegnano meglio, con maggiore competenza didattica, maggiore empatia, maggiore perspicacia nel cogliere segni lievi di difficoltà, decostruendo stereotipi e ponendosi come positivi modelli di ruolo, in una scuola che vuole diventare sempre più inclusiva. Dunque, cosa si dovrebbe fare?

Cosa dovrebbero fare i sistemi formativi in senso generale I nostri sistemi di abilitazione alla professione (università) e le nostre istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, ma soprattutto la primaria, dovrebbero aumentare in modo sensibile la percentuale di insegnanti con DSA, per rimediare a quella evidente sottorappresentazione di queste persone nei corsi di studio e nei luoghi di lavoro. La sottorappresentazione di queste differenze (e ovviamente di molte altre) è soltanto una parte del più generale discorso della sottorappresentazione di differenti minoranze, condizione necessaria per una scuola e università davvero inclusiva.

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Cosa dovrebbero fare le università che formano i futuri docenti I nostri corsi di laurea in Scienze della Formazione Primaria hanno un atteggiamento inclusivo, anche per contatto diretto con il discorso inclusivo che si respira nella scuola, ma sono comunque necessarie alcune attenzioni specifiche. Formazione dei docenti e ricercatori: è importante organizzare iniziative sistematiche e ricorrenti di sviluppo professionale continuo sui temi cardine della didattica inclusiva, come ad esempio la progettazione universale (Universal Design for Learning, UDL), la didattica per competenze, le misure compensative, l’adattamento ragionevole in sede di valutazione/esame, ecc. Sicuramente risulteranno necessarie iniziative formative anche per il personale tecnico e amministrativo. Iniziative rivolte alle/agli studentesse/studenti di supporto al metodo di studio: dove attivate, nelle forme più diverse, si sono dimostrate molto utili ed efficaci varie iniziative formative laboratoriali rivolte allo sviluppo di competenze di studio, dall’organizzazione del tempo e dei materiali al prendere appunti, prepararsi agli esami, utilizzare le metodologie e tecnologie compensative, scrivere report e tesine e, in definitiva, acquisire e usare varie strategie di coping personalizzate, da usare in questa fase in università, ma poi estendere, con i necessari adattamenti, nelle scuole dove le/gli studentesse/studenti lavoreranno. Va fatta molta attenzione rispetto al rischio di creare gruppi/percorsi/laboratori omogenei di studentesse/studenti con DSA, che assumerebbero molto facilmente una connotazione stigmatizzante, tenendo conto anche del fatto che molti/e studenti/ studentesse non hanno compiuto il passo della disclosure. Iniziative rivolte alle/agli studentesse/studenti di supporto ai processi di consapevolezza e disclosure: come sappiamo, il processo di apertura e disclosure della propria situazione a compagni e docenti non è affatto semplice ed è ambivalente. Di grande aiuto in queste situazioni sono quelle iniziative di mutuo scambio e confronto, tra studentesse e studenti coinvolti, per crescere nella consapevolezza della propria situazione, dei vari risvolti identitari personali e professionali, oltre che delle varie strategie di coping e dei propri diritti. Molto utili sono percorsi peer to peer, ma anche attività di counseling professionale, per far crescere la consapevolezza del dilemma della competenza professionale in un contesto di supporto reciproco e non di solitudine e dubbi sul proprio futuro lavorativo. L’obiettivo di queste iniziative non è ovviamente quello di portare inevitabilmente alla disclosure, ma quello della crescita della libertà decisionale di dire/non dire (e a chi) ciò che nella massima autonomia la persona decide per sé. Presidio attento delle esperienze di tirocinio diretto e indiretto: data la straordinaria importanza del tirocinio in un corso di laurea professionalizzante e abilitante, è necessario che questo ambito sia particolarmente attrezzato per le situazioni di DSA. Ciò vuol dire dotarsi di un protocollo di progettazione-accompagnamento-verifica e valutazione che preveda le varie misure di accomodamento ragionevole sia nelle attività in università, sia in quelle a scuola. Di particolare importanza sono le scelte della scuola in cui fare il tirocinio e di chi sarà l’insegnante tutor che accompagnerà sul campo la/il studentessa/ studente, oltre che la condivisione tra i vari attori del sistema di precisi e oggettivi contenuti di competenza da sviluppare e da osservare e valutare (e autovalutare).

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Formazione specifica dei supervisori di tirocinio e dei tutor nelle scuole: allo scopo di costruire e implementare adeguatamente il protocollo e le azioni del punto precedente è necessaria un’iniziativa strutturale, sistematica e ricorrente di sviluppo professionale continuo di questo personale, sia quello distaccato in università, sia quello nelle scuole che ospitano il tirocinio. In queste attività di formazione dovranno esserci dei momenti specifici e altri comuni con il personale docente, di cui al primo punto di queste implicazioni, per realizzare una buona sinergia di interventi di supporto.

Cosa dovrebbero fare le istituzioni scolastiche La scuola italiana è una scuola inclusiva, ma ancora deve fare molta strada, non solo per includere bene tutti/e gli/le alunni/e, ma per includere pienamente i suoi docenti con DSA. Dai vari lavori di ricerca si possono trarre una serie di implicazioni concrete. • Rendere disponibili le tecnologie compensative necessarie o utili: come sappiamo, molte tecnologie a supporto dell’insegnamento o più in generale di knowledge management sono necessarie per qualcuno ma utili per tutti, allo scopo di innovare alcune pratiche di insegnamento. • Sostenere iniziative di co-teaching: la codocenza si è dimostrata una modalità didattica efficace non solo per sostenere l’insegnante con DSA, ma anche per realizzare una didattica maggiormente inclusiva per tutti/e, e per attivare il più possibile di risorse latenti nel gruppo classe, come la cooperazione tra compagni/e. • Realizzare il più possibile la flessibilità organizzativa: nel contesto di ciò che è concesso dall’autonomia organizzativa e didattica delle scuole, più il contesto è flessibile in termini di orari, codocenze, numero di alunni per classe, e così via, più le/gli insegnanti con DSA potranno esprimere pienamente il loro grande potenziale, a beneficio di tutta la comunità scuola. • Realizzare accomodamenti ragionevoli anche negli ambiti operativi dei docenti: un punto ulteriore di flessibilità organizzativa riguarda anche le mansioni professionali concrete del docente, che dovrebbe poter operare valorizzando i suoi punti di forza, potendoli esprimere in alcune attività evitandone altre. • Monitorare gli atteggiamenti dei colleghi in relazione a eventuali forme di discriminazione: gli atteggiamenti dei colleghi vanno attentamente monitorati per evitare discriminazioni dirette e indirette o varie forme di mobbing.

Cosa dovrebbero fare sia le università sia le istituzioni scolastiche Dalla ricerca si è evidenziata un’area di implicazioni comuni a questi due grandi contesti, quello formativo e quello on the job, ed è un’area vasta di azioni di sensibilizzazione a 360 gradi, rivolte cioè all’intera ecologia umana di questi due contesti. Sensibilizzazione vuol dire attribuzione di valore positivo alla figura dell’insegnante con DSA, per il valore aggiunto che porta nella sua attività professionale. Su questo tema, la ricerca è molto esplicita in termini di valore aggiunto didattico, di decostruzione di stereotipi negativi, di affermazione di modelli positivi di ruolo e di strategie di coping, di empatia da insider status, e così via. Tali vantaggi vanno però resi noti e manifestati attraverso l’opera diretta di testimonial, insegnanti cioè con DSA che rac-

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contano la propria esperienza. Una seconda area comune ai contesti università e scuola è quella dell’elaborazione plurale del dilemma della competenza professionale, e cioè del prendere coscienza, da parte di tutte/i, che tale tensione è presente e non va rimossa, né risolta al ribasso chiudendo gli occhi e negando in questo modo la dignità personale e professionale di chi si trova nella condizione di DSA, con un atteggiamento paternalistico, né tantomeno con un atteggiamento rigido e autoritario. La tensione dilemmatica deve diventare un oggetto di elaborazione culturale (e pratica) reciproca, studenti/studentesse, docenti universitari, colleghi/e di lavoro, dirigenti, famiglie e alunni/e, perché tutti sono coinvolti, nei vari ruoli, e tutti possono contribuire democraticamente a uscire dal dilemma con soluzioni varie e diverse.

Cosa dovrebbe fare la ricerca Innanzitutto, è evidente la mancanza di dati quantitativi sul fenomeno, ma sappiamo che tale carenza è caratterizzante il nostro sistema formativo a tanti livelli. La seconda implicazione, fondamentale, riguarda le differenze tra la situazione di un docente con differenti DSA, ad esempio dislessia, disgrafia-disortografia, discalculia, oltre che naturalmente nell’ordine di scuola in cui insegna, o nel percorso universitario che frequenta. La terza implicazione, di particolare importanza nella situazione dei/delle docenti in servizio, riguarda la loro esperienza, le caratteristiche dei/delle colleghi/e, la dirigenza, la dimensione culturale-organizzativa della scuola, il contesto sociale, ecc. Oltre a ciò, le informazioni raccolte tramite questionari o interviste dovrebbero essere controllate rispetto alla presenza di bias di desiderabilità sociale, particolarmente presenti nella ricerca sui temi dell’inclusione. In conclusione, ci sembra giunto il momento, anche in sinergia con la crescente attenzione, a tutti i livelli, verso le persone con DSA in età adulta, che la realtà degli/delle insegnanti con DSA emerga, sia sempre più visibile e sempre più forte.

5° TEMA Una community di insegnanti con DSA I dati della ricerca (si vedano i grafici) ci indicano chiaramente che vi è un favore diffuso al costruirsi di una community di insegnanti con DSA, sia da parte dei colleghi, sia da parte degli insegnanti con DSA stessi e dei genitori. Una community servirebbe non solo all’emersione e a una maggiore visibilità di questo fiore all’occhiello della scuola italiana, in un’ottica di autoaffermazione e autorappresentazione, ma anche a uno scambio di esperienze e pratiche. Da ultimo, ma non certo ultimo, sarebbe inestimabile il valore di questa community come incoraggiamento diretto e concreto a studentesse/studenti con DSA della scuola secondaria di secondo grado a iscriversi a un corso in Scienze della Formazione Primaria per diventare insegnanti competenti ed empatici. La community che proponiamo è il gruppo Facebook: https://www.facebook.com/groups/insegnanticondsa

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