Giorgio Gaber (anteprima)

Page 1


L’editore ringrazia Paolo Dal Bon e la Fondazione Giorgio Gaber per il supporto e la collaborazione.

Ideazione, progettazione e coordinamento editoriale: Cinzia Di Dio La Leggia

Proprietà per tutti i Paesi: Edizioni Curci S.r.l. Galleria del Corso, 4 - 20122 Milano Tutti i diritti sono riservati

EC12497 / ISBN 9788863954869 www.edizionicurci.it

Prima stampa in Italia nel 2025 da Ciscra S.p.A. - Villanova del Chebbo (RO)

Introduzione

Giorgio Gaber è uno degli artisti più innovativi e influenti della storia d’Italia. È stato tante cose: musicista, attore, cantante, cabarettista, comico e, spesso, tutti questi ruoli insieme. Sarebbe probabilmente bastato questo per distinguerlo da ogni altro cantautore italiano. Pensiamo alla grande invenzione del teatro-canzone, divenuta l’architettura principale attraverso la quale, insieme a Sandro Luporini, Gaber ha interagito nel corso degli anni con il proprio pubblico: alternando monologhi e canzoni, momenti allegri e coinvolgenti, con altri profondi, introspettivi, talvolta complessi, e creando lo spazio per abbracciare aspetti di carattere filosofico, sociologico, psicologico.

A partire da quel “Io mi chiamo G”, Gaber e Luporini hanno costruito qualcosa che è andato oltre la piacevole e probabilmente irripetibile sintesi di musica e teatro. Sono diventati osservatori autorevoli, perspicaci e, a volte, imprevedibili delle dinamiche sociali, culturali, politiche e soprattutto umane della loro epoca. Hanno osservato il nostro paese per cinque decenni, nel corso di anni che avevano come protagonisti persone e ideologie che oggi, in parte, non ci sono più, dominati da valori e situazioni che sembrano lontani. La canzoni e i monologhi di Gaber sono, anche per questo, pietre miliari per comprendere meglio la nostra storia, tracciare i mutamenti intercorsi in presa diretta nel vissuto del nostro paese, da ogni punto di vista.

Tuttavia, si commetterebbe un grave errore a confinare Gaber nel ruolo di fonte storica. Perché, sebbene l’avvenimento storico è un fatto circoscritto e, ovviamente, parte del passato, quello che resta è la chiave di lettura che Gaber propone di questi avvenimenti. L’attualità e la modernità di questa chiave sono ciò che toglie ogni dubbio sulla contemporaneità di Giorgio Gaber. Svelare

la banalità, sollevare il dubbio, invitare ciascuno di noi a una lettura coraggiosa della realtà, libera da ogni vincolo di appartenenza ideologica, autenticamente indipendente e anti-conformista. Ancora oggi, le canzoni di Gaber e Luporini conservano immutata la loro sorprendente capacità di catturare il nostro giudizio critico, sorprenderlo e scavarci dentro, senza paura di ferirlo, ma per svegliarlo e nutrirlo, ricordandoci il potere travolgente del pensiero, della leggerezza e del sorriso.

È lungo queste coordinate che abbiamo intrapreso un progetto ambizioso per offrire ai lettori una serie di strumenti per avvicinarsi a Giorgio Gaber o approfondire la conoscenza della sua musica e del suo pensiero. Non è nostra intenzione risultare esaustivi, e abbiamo evitato la tentazione di smarrirci nelle dimensioni più prettamente legate alla critica musicale. Piuttosto, abbiamo cercato di liberare la storia e la discografia di Giorgio Gaber da quella coltre di complessità sotto la quale corre il rischio di essere identificato come cantautore di nicchia, riservato ai pochi che hanno gli strumenti per coglierne ogni possibile sfaccettatura. Sarebbe ingiusto e, soprattutto, un gran peccato.

Questo libro comincia con un breve racconto della vita di Giorgio Gaber: dagli inizi nella Milano ottimista del dopoguerra, le sue canzoni ci accompagnano attraverso oltre cinquant’anni di storia del nostro paese. Il libro continua con una raccolta di schede per conoscere meglio la discografia di Giorgio Gaber e le tematiche affrontate nel periodo del teatro-canzone. Per ogni album abbiamo preparato una traccia di lettura. È solo un modo per invitarvi all’ascolto, perché parlare e leggere di musica non possono sostituire il piacere, personale e soggettivo, intimo, di scoprirla in prima persona. Noterete che alcuni dei titoli presenti negli album sono evidenziati in bianco: sono le canzoni che vi suggeriamo di ascoltare (inquadrando il QR code, in seconda di copertina, è possibile accedere alla playlist su Spotify). Vi accorgerete che quelle di Gaber non sono delle semplici canzoni. Sono una dichiarazione d’amore alla vita e alla libertà.

Di alcuni brani troverete poi i testi integrali, scelti accuratamente per accompagnarvi nella vostra

riflessione e comprendere quanto continuino a essere significativi anche per le nuove generazioni. Prima di addentrarvi in questi, il libro vi riserva una sorpresa: la rappresentazione illustrata di cinque canzoni di Gaber, interpretate con grande sensibilità e intensità dalla matita di Ernesto Anderle; brani da canticchiare nella testa scorrendo quella che consideriamo essere una suggestiva galleria di opere d’arte. Questo libro è un’opportunità per approfondire la conoscenza di Giorgio Gaber, uno degli artisti più affascinanti della cultura italiana contemporanea, attraverso diverse visuali complementari e si rivolge, per questo, sia a chi finora lo ha conosciuto poco, sia a chi lo ama già e lo segue da tempo. È il nostro omaggio a uno dei cantautori italiani che ha saputo portare nella musica quelle che sono forse le doti più nobili dell’arte: indipendenza, libertà, coraggio.

Giorgio Gaber e il ritratto dell’Italia

© 2025 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati
© 2025 by Edizioni Curci
S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati
2025 by Edizioni Curci
S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati

Sipario chiuso

Sono in un teatro.

Davanti a me c’è il solito sipario rosso. Chiuso. Intorno, un elegante mormorio di parole indistinte.

Si abbassano le luci. Come sempre c’è qualcuno che non riesce a trattenere un piccolissimo colpo di tosse e qualcun altro che apre una zip per infilare un tintinnante mazzo di chiavi.

Finalmente! Sta per iniziare! Chissà cosa apparirà dietro quel sipario. Quali saranno la scenografia, le decorazioni e le luci?

Tutt’a un tratto, tra i due tendoni, vedo una mano molto elegante. Regge un piccolo specchio. Osservo incantato questo oggetto inaspettato. Dopo qualche secondo, la mano si ritrae.

A bordo di una Torpedo blu

Nel dopoguerra, Milano è una città in fermento. Bisogna riparare in fretta le ferite fisiche e psicologiche ereditate dalla guerra. Bisogna adoperarsi per dare alloggio alle tante persone che dal Meridione d’Italia arrivano per cercare un lavoro. Soprattutto, è necessario alzare lo sguardo dalle sofferenze, ricostruire una città e una società capaci di risplendere nel mondo grazie alla cultura, all’arte, alle idee.

Nelle serate di Milano, i ragazzi si ritrovano nei “trani”, locali in cui si vendeva il vino alla mescita. Ci sono tanti giovani musicisti alla ricerca di spazi dove poter suonare fino a tarda notte. Tra loro, c’è un ragazzo attratto dalla musica che viene dall’America, dal jazz e dal rock’n’roll. Si chiama Giorgio Gaberščik. Un cognome difficile da pronunciare: il padre è di origine istriana. Giorgio è un ragazzo bello, alto, spigliato. Tuttavia, i suoi primi anni di vita non erano stati facili. Da bambino aveva contratto la poliomielite, una grave malattia molto diffusa in quegli anni. La sua mano sinistra era rimasta leggermente paralizzata. Per poter rafforzare i muscoli delle dita e riattivarne le funzionalità, bisognava muoverla costantemente. Il papà di Giorgio ebbe allora un’intuizione: quale miglior rimedio se non quello di imparare a suonare la chitarra? Giorgio era felice: quello strumento rappresentava qualcosa di divertente. C’erano corde da strimpellare e una cavità profonda che faceva risuonare le note. Come ogni bambino curioso, Giorgio guardava talvolta all’interno di essa. Aveva intravisto un piccolo specchio.

Frequentando gli ambienti musicali milanesi, Gaber incontra Enzo Jannacci, diventa amico di Luigi Tenco, conosce Adriano Celentano e la sua band. Si afferma immediatamente come uno dei migliori chitarristi rock della città. È soprattutto con Jannacci che fa

amicizia: i due condividono uno slancio inarrestabile verso canzoni nuove, graffianti, irriverenti. Formano un duo e decidono di chiamarsi “I due corsari”, come a sottolineare la loro voglia di avventurarsi in territori sconosciuti. Gaber incanta il pubblico con le sue smorfie: canta con gli occhi, le mani, la fronte.

Il suo volto riesce a deformarsi come una maschera di gomma. Ama divertire e non ha paura a proporre canzoni demenziali.

Si unisce a un gruppo chiamato “I Giullari”. Gaber si scopre cantante allegro e leggero. Ma in realtà è qualcosa di più. Ha delle doti straordinarie da attore, cabarettista, mimo. Soprattutto ha una capacità innata di far ridere, come nella canzone Goganga del 1963, dove racconta di un signore affetto da un curioso tic (un esilarante fischietto) che si rivolge a un dottore per ricevere una cura adeguata. Questi gli applica un apparecchio che, anziché risolvere il problema, lo peggiora. Gaber ci porta in giro in una Milano sognante e miracolata a bordo di una magnifica Torpedo blu, auto di lusso di uno stagionato playboy che si atteggia a gangster, dalla capote in grigio perla, con cui va in giro a rimorchiare le ragazze: è una vera fuoriserie, come senz’altro sei tu. Sa cantare con allegria e una punta di ironia i nuovi ricchi che si affacciano alla ribalta, ma racconta anche le avventure della piccola gente, come Cerruti, che prova a rubare una lambretta. Ci proietta tra gli assidui frequentatori di un bar, contagiati dall’irresistibile allegria di Riccardo che gioca da solo al biliardo, non è di compagnia, ma è il più simpatico che ci sia. Nel 1965 sposa Ombretta Colli, con la quale vivrà tutta la vita. Diventa ospite fisso nei programmi televisivi: canta bene, fa ridere. Una tournée in duetto con Mina nei teatri italiani lo espone alla magia del palcoscenico. Nulla, o quasi, lascia immaginare quel che verrà. Tuttavia, un paio di canzoni sembrano indicare il malessere di Giorgio Gaber per quel ruolo leggero e spensierato a cui la televisione lo stava relegando. La prima è Com’è bella

la città. La canzone comincia con la narrazione suadente sulle meraviglie dei processi di urbanizzazione, ma poi accelera fino a esplodere in un epilogo inarrestabile, dove quella stessa narrazione si fa sempre più caotica e sarcastica, come a sottolineare l’illusione di benessere associata al mondo urbano e al modello di vita consumistico. La seconda è Suona Chitarra. Qui lo dice chiaramente: Giorgio Gaber non ha più voglia di fare il pagliaccio.

Ma dove vuole arrivare questo ragazzo così intelligente, spavaldo, ambizioso? Per trovare una risposta dobbiamo tornare a quello specchietto...

Le canzoni non bastano più

Verso la fine degli anni ’60, Gaber è innamorato degli chansonniers francesi, di Jacques Brel, e di quel che sta germogliando in Nord America. Ma questo lo fanno in tanti: è il periodo in cui sta nascendo la nuova canzone d’autore.

È in questo momento che Gaber ricorda di avere uno specchietto nella sua chitarra. Lo tira fuori. Per guardare sé stesso. Lui non è solo un cantante: è dotato di una geniale capacità attoriale. Il suo viso, i suoi occhi, il suo corpo lo suggeriscono ad alta voce: per Gaber è tempo di provare una strada diversa, mai percorsa prima.

Le canzoni non bastano più. Si può esplorare il teatro, il parlato, gli sketch comici e la satira. Incontra un pittore viareggino scontroso, si chiama Sandro Luporini, destinato a lasciare un segno anche nell’arte italiana. I due frequentavano lo stesso bar, nasce lì un’amicizia che durerà tutta la vita, Sandro ha nove anni di più, va a sentire Giorgio suonare rock’n’roll. Giorgio comin-

cia a frequentare il suo atelier, insieme ad altri artisti. Parlano molto e discutono di tutto. In maniera quasi naturale, cominciano a scrivere canzoni. Nascono i primi esperimenti…

Presto si rendono conto che i tempi sono oramai maturi per lanciare un nuovo genere. Tutto suo, tutto loro, unico al mondo: il teatro-canzone, dove monologhi e melodie, parlato e musica, si alternano, a volte anche nella stessa canzone. Si cerca la coerenza fra prosa e melodia: i concerti diventano spettacoli teatrali e lo spettacolo teatrale si trasforma in concerto.

Con

il teatro-canzone, Gaber riesce ad affiancare

monologhi ironici e irriverenti alle canzoni, al cabaret che viene dagli chansonniers francesi, o agli inni di protesta.

Per tre decenni si esibisce a teatro. I monologhi si intrecciano ad arrangiamenti rock e jazz e l’orecchio da solo spesso non basta: molto è dato dalla mimica, dai movimenti del corpo e dalle espressioni del viso. Ed è a partire da questi spettacoli che Gaber realizza degli album.

Gaber non è più solo cantante, è più di un cantautore: si può dire che diventa cant-attore. Non si va a sentire Gaber nelle sue tournée teatrali per cantare assieme a lui le sue canzoni più famose. Si va a teatro per ascoltare quello che Gaber pensa, in prosa o in musica. Con testi ricercatissimi, dalle venature surreali, sempre intessuti di ironia. E quello che dice, a volte, è molto scomodo. Perché è sorprendentemente vero.

Gli album

© 2025 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati
© 2025 by Edizioni Curci
S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati

Il signor G

Suona chitarra • Il Signor G nasce • Giuoco di bambini: io mi chiamo G (prosa) • Eppure sembra un uomo • Il Signor G e l’amore • G accusa (prosa) • Il Signor G dalla parte di chi • Il Signor G sul ponte • L’orgia (prosa) • Le nostre serate • Com’è bella la città • Il Signor G incontra un albero (prosa) • Il Signor G e le stagioni • Preghiera (prosa) • Io credo • Maria Giovanna • Il Signor G muore

Ciao, io mi chiamo G è la frase di esordio del teatro-canzone. Per la prima volta Gaber affianca i suoi monologhi e le sue canzoni in un discorso con una narrativa e una forma coerente.

Come in un romanzo biografico, l’album si apre con Il Signor G nasce (Sarà un uomo assai importante forte bello e intelligente ma sta calmo che magari poi diventa un deficiente. A proposito del nome proprio G come mio nonno avrei voglia di reagire ma per ora ho troppo sonno) e termina con Il Signor G muore. Quando si viene al mondo (lui nasce nella camera 132), siamo tutti uguali. Tuttavia, ci sono quei bambini che nascono in un contesto ricco (addirittura molto, troppo, ricco) e quelli che nascono poveri (e a volte troppo poveri). È la situazione rappresentata nel dialogo surreale che apre lo spettacolo.

Il Signor G è nel mezzo dei due opposti, è una persona normale, inserita nel sistema, che vive la sua quotidianità, fatta di lavoro, amore, divertimento. Il Signor G si definisce un uomo moderato, che sa trovare il buono dov’è.

Canta nel suo Io credo: non ho nemici e sono rispettato, mi son fatto tutto da me. Allo stesso tempo è una persona che reagisce alle banalità, riconosce le ipocrisie, soffre per le difficoltà dell’amore, è capace di alzare la voce per accusare il mondo che lo circonda…. o quasi.

Davanti al ribollire delle idee e delle contestazioni che infiammano la società, il Signor G esprime i suoi dubbi; lui è pronto a ritrovare una dimensione personale e intima (sedersi), pensare agli affetti, dedicarsi alla campagna (Com’è bella la città).

Emergono le sofferenze: il Signor G riflette sulla sua vita seduto su un ponte, nel momento probabilmente più intenso dell’opera, con l’intenzione di porre fine alla sua vita. Non lo farà ( Il signor G sul ponte). La soluzione per salvarsi e dare un senso alla propria vita è forse rifugiarsi negli affetti familiari? O piuttosto provare l’ebrezza delle trasgressioni? Il Signor G lo fa ma con poca convinzione ( L’orgia).

Parla con Dio, lui che ci crede, e lo invita a prendere parte accanto a chi soffre, agli ultimi ( Preghiera). È forse questa la chiave per trovare un senso alla propria esistenza? Ma il destino G lo vede ancora nella camera 132: questa volta è morto, circondato dalle stesse banalità e ipocrisie che lo hanno accolto alla nascita e lo hanno accompagnato per tutta la vita ( Il Signor G muore).

I borghesi

I Borghesi • Ora che non sono più innamorato • Che bella gente • La chiesa si rinnova (1971) • Evasione • L’uomo sfera • L’amico • Latte 70 • A mezzogiorno • Due donne • Un gesto naturale

Dopo la prima tournée e il grande successo nei teatri italiani con “Il Signor G”, Gaber pubblica un album registrato in studio, quasi un tentativo di tornare a forme più tradizionali. Diventa l’occasione per esplorare la grande canzone francese.

Nel disco, propone tre splendide cover in italiano di brani di Jacques Brel. Ci sono I borghesi (Quand’ero piccolo non stavo mica bene. Ero anche magrolino, avevo qualche allucinazione. E quando andavo a cena, nel tinello con il tavolo di noce. Ci sedevamo tutti e facevamo il segno della croce. Dopo un po’ che li guardavo mi si trasformavano. I gesti preparati, degli attori, attori consumati che dicono la battuta e ascoltano l’effetto. Ed io ero lì come una comparsa, vivevo la commedia. Anzi no la farsa, e chissà perché durante questa allucinazione, mi veniva sempre in mente una stranissima canzone) e Che bella gente, due canzoni satiriche spietate e senza filtri. Poi c’è la dolcissima e struggente L’amico (Jef nella versione originale di Brel) dove ci racconta l’incapacità di accettare la malattia e la scomparsa di un caro amico (vedrai vedrai vedrai ti porterò a ballare).

Possiamo trovare i temi e le atmosfere tipiche della canzone d’autore francese anche in Ora che non son più innamorato e, per certi aspetti, anche in Due donne e Latte 70. Ci sono canzoni di pura evasione come la bellissima A mezzogiorno che racconta di due innamorati che si incontrano durante la

pausa pranzo del loro lavoro in fabbrica (ancora un attimo un bacio e se ne andrà e la sirena ancora suonerà).

Gaber però non dimentica la satira graffiante e, questa volta, nel mirino finisce la Chiesa cattolica, che aveva appena concluso il Concilio Vaticano II: nel brano La chiesa si rinnova prende in giro l’apparente rinnovamento delle sue istituzioni e l’insistenza anacronistica di alcune battaglie ideologiche.

La strada intrapresa con il Signor G è ancora viva: basta ascoltare L’uomo sfera e Evasione. Soprattutto troviamo l’essere umano, con la complessità delle relazioni affettive, il racconto crudo della fine di una relazione, in Ora che non sono più innamorato

Ora che non c’è niente da scoprire  non abbiamo nemmeno una gran voglia  di fare l’amore

Ora che ho quasi un senso di fastidio  se sento le tue braccia le tue gambe  se ti sento respirare. (...) quanto abbiamo sofferto e faticato  per arrivare a capire che domani  ci potremmo anche lasciare

Quanta resistenza e quanta esagerata [insofferenza qualche volta anche per niente e questa [strana unione che ogni giorno si trasforma lentamente.

2025 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati

Canzoni ad arte

Torpedo blu

Un’idea

La libertà

Lo shampoo

Qualcuno era comunista

da

Illustrate
Ernesto Anderle
2025 by Edizioni Curci S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati
© 2025 by Edizioni Curci
S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati
2025 by Edizioni Curci
S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati
2025 by Edizioni Curci
S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati
2025 by Edizioni Curci
S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati
2025 by Edizioni Curci
S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati
2025 by Edizioni Curci
S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati
2025 by Edizioni Curci
S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati

I testi

37 brani iconici
© 2025 by Edizioni Curci
S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati
© 2025 by Edizioni Curci
S.r.l. - Milano. Tutti i diritti sono riservati

Il signor G

Suona chitarra

Se potessi cantare davvero

Canterei veramente per tutti

Canterei le gioie ed i lutti

E il mio canto sarebbe sincero

Ma se canto così io non piaccio

Devo fare per forza il pagliaccio

E allora suona chitarra, falli divertire

Suona chitarra, non farli mai pensare

Al buio, alla paura, al dubbio, alla censura, [agli scandali, alla fame

All’uomo come un cane schiacciato e calpestato

E allora suona chitarra, falli divertire

Suona chitarra, non farli mai pensare

Suona chitarra mia

E tutti in allegria

Se potessi cantare io sento

Che sarei veramente contento

Ed il canto sarebbe qualcosa

Eppure sembra un uomo

Coro: eppure sembra un uomo vive come un uomo soffre come un uomo è un uomo

Nasce fragile e incerto poi quando ha la ragione si nutre di soprusi e di violenza e vive e non sa il perché della sua esistenza

È così compromesso con ogni compromesso che oramai più nulla né sente né vede e il compromesso è l’unica sua fede

Eppure sembra un uomo vive come un uomo

La chitarra sarebbe una sposa

Ma io debbo soltanto piacere

Divertire la gente e scherzare

E allora suona chitarra, suona i tuoi accordi

Suona più forte, che si diventi sordi

Tutto è già passato, è già dimenticato

E solo chi oggi è buono, domani avrà il perdono

Il foglio del condono

E allora suona chitarra, falli divertire

Suona chitarra, non farli mai pensare

Suona chitarra ancora

E tutti alla malora

E allora suona chitarra, falli divertire

Suona chitarra, non farli mai pensare

Suona, chitarra, forte i tuoi accordi

Suona più forte, che si diventi sordi

Suona chitarra, suona chitarra, suona chitarra

soffre come un uomo è un uomo

Sul muro c’era scritto alzateci il salario

l’ ha cancellato un grande cartellone con scritto costa meno il mio sapone

Hanno arrestato un ragazzo che aveva rubato tre mele vi prego fate un po’ di beneficenza sarete in pace così con la vostra coscienza

Eppure sembra un uomo vive come un uomo soffre come un uomo è un uomo

In ditta c’è un salone lavorano mille persone per me è già difficile la vita in due e credo che prima o poi ci divideremo

Mio padre è mio padre mio padre è un brav’uomo mio padre tratta tutti da cretini i vecchi bisogna ammazzarli da bambini.

Eppure sembra un uomo vive come un uomo soffre come un uomo è un uomo

Il nostro è un paese fondato sul lavoro e anche se potrà sembrare strano

il più apprezzato è chi lavora meno

Oggi nel mondo si lotta per dare benessere a tutti ma facilmente prima di accordarsi avranno già finito di ammazzarsi

Eppure sembra un uomo vive come un uomo soffre come un uomo è un uomo

Eppure sembra un uomo vive come un uomo soffre come un uomo è un uomo

È un uomo

Il signor G dalla parte di chi

Mi creda io sono un padre moderno conosco i ragazzi e i loro problemi.

Signora marchesa latte o limone son quasi le cinque è l’ora del tè.

È un buon elemento farà molta strada e poi ci sa fare ha il senso del dovere.

Dovevi giocare il sette di fiori poi andare dal morto e fare l’impasse.

Miei cari signori dal nostro bilancio risulta opportuno ridurre le spese.

È molto importante si serve col ghiaccio due parti di vodka e una di gin.

È un’ottima barca mi sembra un affare accetti un consiglio ci pensi avvocato.

Pensavo a mio figlio ho fatto di tutto ma lui se n’è andato ma lui se n’è andato

coro: rivoluzione rivoluzione rivoluzione rivoluzione

La voglia di andare la voglia di reagire con quanto coraggio con quanta paura

coro: con quanto coraggio con quanta paura rivoluzione rivoluzione

La voglia di fare e di ricominciare con tutta la rabbia con tutto l’amore

coro: con tutta la rabbia con tutto l’amore basta basta

Basta con i discorsi di evoluzione e di libertà

coro: basta basta

Basta coi miti assurdi di produzione e di civiltà la radio il giradischi la televisione a prezzi [speciali

coro: no Il frigo gli elettrodomestici e poi la macchina presa a cambiali

coro: no

coro: con tutta la rabbia con tutto l’amore

Gli anni ’70 - Illusioni e dubbi

Gli anni ’80 - Cercando l’uomo 17

Gli anni ’90 - Salvare il pensiero .......................... 19

– Un’idiozia conquistata a fatica ..............

2001 – La mia generazione ha perso...................42 2003 – Io non mi sento italiano

Vuoi saperne di più?

CLICCA QUI

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.