Gestire i rifiuti nei parchi nazionali

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gestire i rifiuti nei parchi naturali

di costi con il servizio incentrato sui grandi contenitori stradali (dove finisce una gran quantità di rifiuti impropri di origine non domestica) ha dimostrato di generare in brevissimo tempo tassi di recupero superiori al 70%. Fondamentale è il ruolo del compostaggio dei rifiuti organici domestici raccolti selettivamente in sacchetti compostabili e biodegradabili, al fine di riportare fertilità naturale nei terreni, soprattutto nell’epoca del cambiamento climatico che ne favorisce l’aridificazione. In logica di riciclo si colloca poi la pratica della “ri-lavorazione” di discariche esaurite o in via di esaurimento, che trae origine dall’esigenza di mettere in sicurezza/bonificare siti nei quali siano collocati rifiuti a elevata pericolosità: l’esito inaspettato di queste iniziative è stato in Germania il conferimento a riciclo industriale di enormi quantitativi di metalli, plastiche, maceri cellulosici e altre sostanze passate indenni lungo decenni di permanenza in discarica. Segnali in tal senso derivano anche dall’attuazione della direttiva Rifiuti elettrici ed elettronici; nonostante la compresenza di traffici ecomafiosi verso Cina e paesi in via di sviluppo, si estende il ricorso al loro disassemblaggio per recuperarne terre rare con crescente valenza strategica per l’Information Technology. Non sfugge poi alla tendenza “conservativa” il settore dei detriti di demolizione: decollano anche qui le pratiche di raccolta selettiva di coppi e laterizi in vista del riuso diretto o di recupero delle macerie, previo trattamento di macinazione, vagliatura, additivazione con composti. Il rifiuto urbano residuo (Rur, meno del 30% del Ru prodotto) a valle della raccolta differenziata “porta a porta”, dopo stabilizzazione aerobica (Tmb, Trattamento beccanico-biologico a freddo) genera una frazione secca (15-20% del Ru iniziale); in logica rifiuti zero, tale flusso può andare a recupero come materiale speciale per l’edilizia o per la ricopertura/ripristino di discariche. Sempre in logica europea, esso potrebbe (terza priorità in ordine decrescente) essere destinato al recupero di energia, in quanto Combustibile derivato da rifiuti (Cdr), con potere calorifico inferiore utile (PCIu) di circa 4.000 kcal/kg, paragonabile a quello della legna da ardere. La normativa comunitaria, al riguardo, ha visto una evoluzione del concetto di recupero energetico dall’iniziale definizione come combustione solo della Frazione dei rifiuti a elevato potere calorifico (vista come Best Available Technology Not Entailing Excessive Costs) a quella, negli anni Novanta, di combustione del Cdr all’interno di schemi cogenerativi con recupero di energia termica ed elettrica (vista come Best Available Technology). Dal febbraio 2003, due sentenze della Corte di Strasburgo aggiornano la definizione recuperando la ratio iniziale della gerarchia di priorità Ue, in parte offuscata dal lobbismo degli interessi politico-affaristici tradizionalmente legati all’incenerimento (opzione di smaltimento più costosa come investimento ed esercizio) definendo come recupero energetico solo l’utilizzo del Cdr in impianti industriali esistenti (per esempio cementiere o centrali termoelettriche a carbone/lignite) in sostituzione di combustibili fossili più impattanti ed esauribili. La Corte riprende il Protocollo di Kyoto, negando la definizione di “recupero” a impianti che generino emissioni climalteranti “addizionali” a quelle già esistenti (come gli inceneritori, anche in schema cogenerativo, che così vengono cancellati dalla lista positiva degli impianti a recupero annessa alla direttiva settoriale), mentre la attribuisce

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