Fotofinish

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verdenero 2

storie di ecomafia


Giacomo Cacciatore, Valentina Gebbia, Gery Palazzotto Fotofinish © 2007, Giacomo Cacciatore, Valentina Gebbia, Gery Palazzotto © 2007, Edizioni Ambiente S.r.l., via Natale Battaglia 10, 20127 Milano www.edizioniambiente.it; tel. 02 45487277 Immagine di copertina: ©Alexey Pivovarov/prospekt

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Tutte le edizioni e ristampe di questo libro sono stampate su carta riciclata 100%

Finito di stampare nel mese di aprile 2007 presso Arti Grafiche del Liri – Isola del Liri (Fr)

Questa è un'opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti accaduti o persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


g. cacciatore v. gebbia g. palazzotto

fotofinish



Giacomo Cacciatore

si chiama passione

Camelot is a state of mind. Knightriders, George A. Romero

Da una settimana stava cercando di stancare la cavalla, e già capiva che pure quel giorno avrebbe risolto niente mischiato con minchie. Un’ora di tira e allenta, ma la corda restava tesa, i muscoli della bestia gonfi, il pelo schiumoso e gli occhi di fuori; pareva di governare un pesce che non si rassegna all’amo. Il recinto era ridotto a un cerchio di fango sempre più profondo a ogni passaggio di zocco-

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li, e in quell’orologio senza lancette Scaduto si era perso con lo sguardo e i pensieri: un altro istante di distrazione e sarebbe finito a pancia in terra, a sciare nella merda con i gomiti, la corda stretta fra le dita. O peggio: la corda che si divincolava dalle sue mani sfregiate, lineava il fango e si contorceva per salutare la sagoma della cavalla, finalmente libera, che rimpicciolendosi se la filava al galoppo addio!, attraverso le porte di lamiera del maneggio e poi in strada, a perdersi, a farsi spaventare dai camion, a morire spezzata, schiacciata, a schiacciare lei stessa pedoni o motociclisti sulla circonvallazione. Scaduto sbatté gli occhi e scosse la testa per scrollarsi di dosso la mancanza di entusiasmo. Gliene rimase in abbondanza. Provò ad ammaccare quel malessere colpendosi un polso con un nodo della corda. La puledra nitrì. A volte i cavalli sembravano ridere di Scaduto. Della sua noia, della sua malinconia. Se tu fossi uno dei pezzi miei..., pensò lui guardandola. Sì, magari uno dei cavalli con cui di solito trafficava: nove volte su dieci un malinconico scarto di ippodromo con gli occhi pieni di 6


mosche e due o tre piaghe sospette in cima a qualche vena; animale comprato a poco, zoppo per sfortuna precoce, stanco per malattia improvvisa, seconda categoria per il resto della vita, insomma. In quel caso avrebbe preso la doppietta e aspettato il momento in cui, fuori dal maneggio, fosse passato il camion grosso, di quelli che coprivano lo sparo. Bammete-bum, e i capricci da un’altra parte, bella mia. Abbattendo un cavallo dei suoi per noia, ci avrebbe rimesso il costo dell’acquisto e il prezzo – un niente – del cambio dei ferri: quelli pesanti, adatti alle corse clandestine in strada (il futuro prossimo e necessario dei ronzini che lui comprava, salvo l’intervento di un amatore mosso a pietà). E non quelli da pista, di metallo chiaro e sottile, fatti per una sabbia che le bestie fallite non avrebbero più calpestato. Ma la puledra che aveva tra le mani era una responsabilità. Domarla, ferrarla, farla fruttare. A quel punto della sua vita – cinquant’anni, un culo che cominciava a scivolargli dalla groppa e un sigaro tra i denti che lo faceva sembrare 7


più da buttare che buttero – Scaduto accettava ordini da chi poteva darglieli. Carrettiere per tradizione di famiglia, un mestiere che già non serviva più a suo nonno, era passato alla gestione di pensioni equine e maneggi di fortuna (in ritagli di campagna infeltrita nella città nuova, in cortili diroccati della città vecchia), giurandosi fin da ragazzo che quella che per altri era puzza di cavallo, per lui sarebbe stato odore, se non profumo. E con un ideale per andare avanti: i cavalli come preghiera. I cavalli come scommessa. Come contagio e come destino. Finché i tempi erano cambiati, le ruote di carretto marcite, la biada, l’avena e la crusca scolorite, e l’aroma dei soldi da guadagnare o la puzza di quelli da restituire erano diventati più forti e insistenti di tutto il resto. «Buuuona», ululò alla puledra. «Feeerma.» E niente. La corda si afflosciò, la bestia sembrò cedere, ma di scatto sollevò il muso e rifece l’occhio selvaggio sopra la cavezza. Gli zoccoli pasticciarono il cerchio di fango che avevano creato, mentre l’animale ballava di traverso al recinto, pestando, sgroppando fantini invisibili. 8


«Così non la calmi», disse poi una voce alle spalle di Scaduto. Era una voce sottile ma quieta, e sembrava conoscerlo da sempre. Il cavallaro si avvolse la corda sulle nocche per dare meno gioco alla puledra. Si voltò in cerca di chi aveva parlato. Vide due piedi ciondoloni sullo steccato, una faccia che pareva dispettosa e occhi spalancati sulla cavalla, su come la cavalla si muoveva prima di ribellarsi, quasi danzando. Un ragazzino. Non doveva avere più di tredici anni. Scaduto si chiese da quanto tempo fosse lì in bilico sul legno, a guardare lo spettacolo. A provare ammirazione, curiosità o pena per lui. Strattonò la fune. «Che c’entra calmare», sbuffò. «La devo stancare.» Il ragazzino si sporse, serrando le mani all’orlo della staccionata. «Perché?» «Per domarla.» «Cioè?» «Cioè e cioè… ti sembra che i cavalli nascono 9


imparati? L’uomo stanca il cavallo e il cavallo capisce chi comanda.» «Così sembra brutto.» «Tu pensavi che era un gioco? Un divertimento?» «Sì.» «Chi te l’ha detto?» «Nessuno. A me sembra un gioco…» «Da piccoli sì. Quando non è un lavoro.» «Perché, un lavoro non può essere bello?» «Solo se rende.» «Lo farei io, questo lavoro, anche senza soldi.» «Vorrei vedere. Buuaaaa… buttaaaanachessei!» Il ragazzino sgranò gli occhi sulla puledra che nitriva e si sollevava, e che ricadde tonfando. Per un istante la bestia rimase immobile, come piantata nel fango, tranne che per una specie di brivido che l’avvolse serpeggiando, dalla pancia alla criniera. Scaduto soffiò nel silenzio improvviso. «L’hai calmata?» «Stancata», ribadì Scaduto al ragazzino. «E tu ne vorresti capire di cavalli… Stancata morta. Non lo vedi?» «Secondo me quello stanco sei tu.» 10


Il cavallaro distolse lo sguardo. «Infatti ora si esce e si chiude. E metto un cartello: per adesso siamo al completo, come fantini e tutto il resto. Nemmeno se viene Meloncino in persona con un suo discepolo leggero leggero di tredici anni. Ma tu che volevi fare qua, la staffetta? Che motorino hai?» «Non ce l’ho.» «Meglio ancora: alza i piedi e fila.» Il ragazzo non si mosse. Scaduto fermò la puledra come poteva. Si mise a fissarlo, cercando di restare immobile nonostante la cavalla lo tirasse a scatti. «Se non sei venuto per metterti nelle gare, se non ti ha mandato qualcuno, si può sapere che vuoi?» «Stare.» «E stai.» Scaduto gli voltò le spalle. Gli credeva. Stare. Stare qui, e basta. A sentire, a guardare. Per ore, per giorni. La corda. La puledra. La lotta, il cerchio di fango e gli stivali, gli zoccoli che facevano risucchi nella melma. 11


Stare. Senza pensare a nient’altro. Senza nemmeno immaginarli, i soldi e tutto l’ingranaggio che macina l’entusiasmo, e il tempo che ci vuole, per l’entusiasmo. Anche Scaduto c’era passato. Si comincia sempre da innamorati. Con il fiato rotto a metà per la bellezza. Poi il batticuore si guasta. Il fiore si macchia. Il latte si caglia. Tirò la fune con entrambe le braccia, così forte da far piegare la cavalla verso il basso e costringerla a scalciare malamente, come se le mancasse spazio. Lo spettacolo gli riuscì bene. Sfilò il frustino dalla cinta e l’agitò, ma senza colpire: appena un sibilo. Tentò il salto in groppa. Ricadde dal lato opposto, sfiorando appena l’animale, senza gravarlo con il suo peso. Era da tanto che non si faceva ammirare. «Spostati», disse poi brusco al ragazzino, petto all’infuori e passo deciso verso l’uscita del recinto. Quell’altro saltò giù dalla staccionata. «La riporti nella stalla?» «Nella stalla. Il cinema è finito.» «Aspetta. Posso provarci io?» Scaduto spalancò gli occhi sulle mani tese del ragazzino che si offrivano di afferrare la corda. «A 12


fare che?» «A calmare la cavalla.» «Tu!» «Scommettiamo?» «E va bene. Ma mi gioco che lei tira, tu cadi e ti prendi due zoccolate nella schiena. Però all’ospedale non ti ci porto. Io non t’ho mai visto, t’ho trovato qui, sei entrato per rubare.» Il ragazzino aveva avvicinato la mano al cavallo. A quelle parole la ritrasse, ma la tenne sollevata, a pochi centimetri dal fianco della bestia. «E se vinco?» Scaduto si strinse nelle spalle: «Fai tu». «Se vinco…», disse il ragazzino, trasognato, «se vinco… torno qui. E mi insegni tutto il resto. Come si chiama la cavalla?» «Così.» Scaduto fece schioccare la lingua due-tre volte, con forza. Il ragazzino avvicinò la mano alla puledra. «Insomma, non ce l’ha un nome?» «C’è o non c’è, non cambia. Scommettiti pure il nome.» «Va bene. Se vinco, lo decido io.» 13


Le dita del ragazzo scivolarono sul vello della puledra. Scaduto socchiuse gli occhi, d’istinto. Sapeva che ci sarebbe stata una reazione. Sperava solo che non fosse troppo violenta: quanto bastava per levare di mezzo scommesse e bambini saputelli. Attese. Ora scalcia. Adesso… «Si chiama Passione», sentì dire al ragazzo, quando riaprì gli occhi. La cavalla stava frugandogli la mano con le labbra. Ed era calma, non stanca. Erano anni che non istruiva qualcuno nella domatura di un cavallo. Si era abituato a fare tutto da solo; a volte con un aiutante anziano che i cavalli li sapeva a memoria: dunque senza l’obbligo di parlare, di spiegare ciò che andava fatto. Al ragazzo, in quel mese di sole fuori stagione, Scaduto insegnò i modi e le furbizie del mestiere. Come il cavallo doveva essere abituato a tenere la testa verso il basso, avvolgendogli muso e gola nella martingala; o come gli spruzzi d’acqua fredda sulle zampe lo avrebbero educato a governare 14


il passo, a non staccare troppo lo zoccolo da terra. Il ragazzo ascoltava, provava, sbagliava. Cadeva e si rialzava. Si ripuliva le ginocchia e si riappendeva in faccia il sorriso volenteroso che lo faceva sembrare sempre allegro, anche quando era sfinito. Passione concluse le lezioni con un lungo nitrito che poteva anche essere di contentezza. Fu premiata con un massaggio di borotalco sulla groppa. Scaduto passò il flacone di polvere al ragazzo, spiegandogli che serviva a tenere lontane le mosche cavalline. Una nuvola bianca gli esplose in faccia, accompagnata da una risata. Scaduto ricambiò lo scherzo del suo allievo tirandogli addosso una manciata di crusca. «Ho vinto la scommessa», disse a bruciapelo il ragazzo, quando ripresero fiato. «A tradimento!», protestò Scaduto. «Che cosa? Dicevi che non potevi ridere, né ora né mai. E io, ancora prima di finire le nostre lezioni, sono riuscito a farti…» «Vabbè ho riso. Qual era il pegno?» Il ragazzo impallidì: «Lo sai…» Scaduto guardò Passione. Fece un mezzo sor15


riso. «Calmati. Prendevo tempo. Allora, vuoi cominciare subito? Da campione?» Il ragazzo si riaccese in volto: «Dov’è la sella?» «Ultima lezione: i cavalli non la amano, la sella. E chi ama i cavalli non la vuole.» «E allora?» «Ti faccio montare senza. Non è da tutti. Più tu sei leggero, meno Passione sgroppa e…» E più probabilità hai di arrivare primo. Questo, Scaduto lo pensò rapidamente e cercò di cancellarlo subito. Prima che gli si inacidisse il sorriso. Un’altra scommessa Scaduto la vinse con se stesso. Il ragazzo era un fantino nato. Aveva capito subito che cosa significava cavalcare a pelle, che non si trattava solo di una questione di peso, di convenienza e di velocità in gara. Le gambe strette sulla groppa del cavallo, il coccige saldato al dorso della bestia, le cosce a contatto con il ventre: senza sella, era come infilare una spina umana dentro una presa equina. Il cavallo trasmetteva al cavaliere le sue euforie e i suoi malesseri. 16




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