Le stanze di Mogador

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gli anni duri, facce dure, lingua dura, ore dure, nemmeno il sonno dà sollievo. L’aria a New York è dura. Filippo non capisce le facce, non sa trattare le persone, le urta, le irrita, non è accondiscendente. Ciononostante, nella durezza trova uno spiraglio di luce. Così è nella vita come nella pietra. Filippo Bentivegna con la sua impervia faccia grigia a cui l’esaltazione regala mille colori, s’innamora. «Lei è la figlia di un gangster americano, dicono. Al gangster non piace il ragazzo e lo fa legnare dai suoi scagnozzi. Lo pestano a sangue, anche in testa, chissà cosa colpiscono» ricama Terzito con disappunto. «O semplicemente gli cade addosso qualcosa dove lavora, chi lo sa. Nei porti succede, in quegli anni poi! Anche se sei in ferrovia, come sostengono altri, può capitare lo stesso: un incidente e batti la testa, e non sei più tu, non sei più quello che conoscevano gli amici, i compaesani.» Una botta in testa, a volte, libera dalle incrostazioni, dai lacci e dalle consuetudini, dal fango in cui cresci. Diventi finalmente quello che devi diventare. Forse. «Vai a sapere! Comunque lo rimpatriano. Per loro era pazzo, ma non è vero. Era un artista e, come 24


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