Alegre tenore partigiano issuu

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no i c a r a s ello SARACINO l LELLO

e r o n e lt iIL TENORE o n a i g i t ar p PARTIGIANO anto, c tame: illa morte NICOLA STAME: IL CANTO, nicola s , a Z n esiste ardLA ine eat LA RESISTENZA, MORTE la r e s s o lle F a ALLE FOSSE ARDEATINE



collana diretta da wu ming 1


© 2015 Edizioni Alegre Società cooperativa giornalistica Circonvallazione Casilina, 72/74 - 00176 Roma redazione@edizionialegre.it www.edizionialegre.it Quinto tipo è una collana diretta da Wu Ming 1 Grafica: Alessio Melandri Per favorire la libera circolazione della cultura, è consentita la riproduzione di questo volume, parziale o totale, a uso personale dei lettori purché non a scopo commerciale.

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Sommario

Prologo 11 Nicola e Rosetta 13 don Erico 19 Mario e Manrico 27 Prima dell’oblìo 33 Fuggi da Foggia 41 Sull’oceano 53 In volo 61 Dal palco al fronte 71 Senza tessera 83 Canto sovversivo 93 Uomini e non 107 Prima zona 119 La fossa carnaia 137 Salma n. 124 153 La rotta dei topi 155 Onore 167 Epilogo 179 Immagini 183 Ringraziamenti 199 Bibliografia 203


Il tenore partigiano



Ai ribelli di ieri ai resistenti di oggi



Ciò che più ci piace non ci dà tregua, né gioia, né quiete, né pace. Ciò che più ci piace non ci dà scampo né luce a volte diventa quasi il peso di una croce yo yo mundi,

Al Golgota

Non c’è nessun «dopoguerra» wu ming,

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Prologo

Ha insistito tanto per assistere alle prove generali. «Papà, lo sai che sto zitta, ti prometto che sto buona». Nell’ultimo atto della Tosca, Mario Cavaradossi è nella capanna in attesa di essere giustiziato. Arriva il plotone d’esecuzione, spara, l’attore cade riverso a terra. In quel momento, dalla platea si alza il grido di una bambina: «Papà! Papà! Hanno ucciso papà mio!». Sono in tanti in platea, tra tecnici, figuranti e attori. Tutti assistono al pianto disperato della piccola dal cappottino rosso. La mamma prova a tranquillizzarla, l’accompagna dietro le quinte, in camerino. «Ora ti faccio vedere papà. Sta bene, non aver paura». Ma la bimba non riesce a frenare le lacrime.

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capitolo 1

Nicola e Rosetta

Roma, 24 marzo 1944

Il sole pomeridiano proietta le ombre dei tetti su vicolo San Francesco di Sales. Rosetta ha fretta e aumenta il passo. Mano nella mano con la mamma e le due sorelline, a formare una catena umana chiusa da nonna Lucia. Da San Lorenzo, dove abitano, è una bella camminata, ma Rosetta non avverte fatica, solo l’irrefrenabile voglia di rivedere il suo papà. Per la prima visita due mesi di attesa: l’ha trovato quasi irriconoscibile, dimagrito, sofferente nel parlare a voce bassa, lui che ha un timbro così potente da averne fatto strumento musicale. Non le ha negato un sorriso, certo. Ma Rosetta, furba e attenta, ha capito che non era il solito sorriso. Dopo quell’11 marzo due settimane a contare i giorni, e a Rosetta sono sembrate settimane lunghissime. Mettono paura le mura del vecchio convento delle Carmelitane, costruito a metà del Seicento. Il nome del posto viene da lì, dalla struttura religiosa dedicata alla 15


Regina del Cielo, fatta costruire ai piedi del Gianicolo per volere di Anna Colonna. Due anni dopo l’apertura, nel 1656, rischiò di cambiare destinazione: a causa di un’epidemia di peste si pensò di utilizzarla come lazzaretto, come accadde ad altri edifici religiosi della zona. Dal 1881 i lavori di ampliamento per ospitare i detenuti. Un detto popolare romano recita: A via de la Lungara ce sta ‘n gradino chi nun salisce quelo nun è romano, nun è romano e né trasteverino. I pellegrini che giungevano a Roma per recarsi a San Pietro la conoscevano come via Sancta. Il nome attuale si riferisce all’estensione del rettifilo. I gradini – in realtà non uno ma tre – da salire al civico 29 di via della Lungara per dimostrare vera romanità e coraggio, sono quelli che conducono al carcere di Regina Coeli, nel Rione Trastevere. Che ora è affollato di delinquenti comuni e cospiratori. Dall’avvento del fascismo la repressione degli oppositori politici non ha conosciuto sosta. A salire i tre gradini anche nomi illustri della cultura italiana, come Gaetano Salvemini, arrestato dalla polizia fascista nel giugno del 1925, prima condotto a Regina Coeli poi trasferito nel carcere delle Murate a Firenze. E Cesare Pavese, sospettato di antifascismo, condannato a tre anni di confino. Anche Antonio Gramsci vi fu recluso per brevi periodi e li ricorda tra i peggiori della sua lunga prigionia. Per i detenuti politici vige l’isolamento: ogni cella è lunga un metro e mezzo e larga uno. Ha una porta di legno massiccio, fornita di due cancelli di ferro. Un uomo chiuso là dentro per tanti giorni ha l’impressione di essere sepolto vivo, ha scritto Francesco Fausto Nitti, tra i fondatori di Giustizia e Libertà. Pane e acqua sono 16


gli unici alimenti. Una tavola di legno fissata al muro è il giaciglio, le cimici uniche compagne per nulla gradite. La luce arriva da un piccolo finestrino sul soffitto altissimo. Poiché il finestrino è fornito di duplici sbarre, di griglie e di vetri polverosi, la luce non entra in quella tomba che per due ore al giorno. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 le celle di Regina Coeli si sono aperte anche per esponenti di rilievo del Partito Nazionale Fascista, come il segretario Achille Starace o il fondatore dei fasci Giuseppe Bottai. Ma è stata una breve parentesi: il 9 settembre la famiglia reale e Badoglio sono scappati a Pescara e lì si sono imbarcati sulla corvetta Baionetta per Brindisi. Il 10 settembre i tedeschi hanno messo in atto la già pianificata “Operazione Achse”, occupando le principali città italiane, da Napoli alle Alpi. Anche la capitale, nonostante l’illusoria dichiarazione di “Roma città aperta” – status che avrebbe dovuto salvarla da combattimenti e distruzione – e l’estremo e disperato tentativo di militari e civili italiani che imbracciano le armi contro l’invasore a Porta San Paolo, soccombe alle truppe del generale Albert Kesselring. Il terzo braccio del carcere di via della Lungara è così diventato il luogo di detenzione dei sospettati di cospirazione o collaborazione con gli antifascisti. A gestirlo sono direttamente i soldati della Wehrmacht, con la diligente collaborazione dei fascisti della neonata Repubblica di Salò. La popolazione carceraria conta fino a duemilacinquecento persone, delle novecento che potrebbe contenere la struttura, e nel terzo braccio per la prima volta sono finite anche delle donne. A novembre ’43, nel corso di una retata presso la tipografia che stampa il giornale clandestino L’Italia Libera, organo del Partito d’Azione, viene arrestato tra gli altri il direttore Leone Ginzburg. È tra i fondatori della 17


casa editrice Einaudi, rientrato da poco dal confino in Abruzzo. Morirà a febbraio del 1944 nell’infermeria di Regina Coeli a causa delle torture dei nazisti. Nel carcere, in seguito alle percosse inflitte per estorcergli nomi e luoghi di incontri dei cospiratori, morirà anche Bartolo Di Pietro, capo di una formazione partigiana. Tocca anche a Luchino Visconti salire i tre gradini di via della Lungara, arrestato dagli squadristi della banda Koch. Ha vissuto in Francia nel periodo del Fronte Popolare che ha portato i partiti progressisti al governo, lì è entrato in contatto con esuli antifascisti italiani. Tornato in Italia per la morte della madre, si avvicina al clandestino Partito comunista tramite gli intellettuali che animano la rivista Cinema. Tra loro Pietro Ingrao e Mario Alicata. Il suo primo capolavoro Ossessione, del 1943, ha dato l’avvio all’epopea del neorealismo italiano. Il giorno della visita parenti, il giorno tanto atteso da Rosetta, il suo papà – al secolo Nicola Stame, ma tutti a casa lo chiamano Ugo e la moglie Lucia col vezzeggiativo di Ughetto – è rinchiuso proprio nel terzo braccio. Non è la prima volta, ha già conosciuto le buie celle dell’ex convento. È un comunista, tra i capi di una formazione partigiana nella capitale. La prima volta lo prelevarono nel 1939 al Teatro dell’Opera, mentre provava la Turandot. Nicola è un tenore, tra i più apprezzati dalla critica, ma ha avuto la carriera stroncata dai tre mesi in carcere e dalla vigilanza politica cui è sottoposto. Dopo le ripetute irruzioni di esponenti della banda Koch nella sua abitazione di via dei Volsci, Nicola ha scelto la clandestinità. È andato a vivere in un casolare sulla via Valeria. Il secondo arresto è avvenuto nel corso di una retata che ha visto finire in carcere diversi esponenti del Movimento Comunisti d’Italia, più noto 18


come Bandiera Rossa, dal nome del suo giornale. Quel 24 gennaio si erano riuniti in una latteria chiusa di via Sant’Andrea delle Fratte. Forse perché da tempo controllati dalla polizia fascista, più probabilmente per una delazione di qualche infiltrato, una parte importante del gruppo dirigente è finita nelle stanze della tortura di via Tasso, dove le SS hanno il loro quartier generale. Nicola ha provato a fuggire, ma in Piazza Mignanelli è stato raggiunto da alcuni soldati tedeschi e catturato. Quella stessa sera, da Regina Coeli evadono sette antifascisti, grazie ad un piano molto sofisticato di documenti e permessi falsi. Tra loro Giuseppe Saragat e Sandro Pertini. Due mesi dopo. Il 24 marzo è un venerdì. Beffa dei calendari, la chiesa festeggia san Secondino. La fila di donne, ormai guidata da Rosetta, arriva alla porta carraia del carcere e la trova aperta. Nel cortile di Regina Coeli c’è grande agitazione. Tanti i familiari in attesa, molti con pacchi da consegnare ai detenuti. I soldati tedeschi, mitra alla mano, circondano tre autocarri, i cassoni chiusi da tendoni in nylon verde. «Los! Los!» urlano i soldati. Intimano di allontanarsi a chiunque provi ad avvicinare i camion con i motori già accesi. Più d’uno intuisce cosa sta accadendo e comincia ad urlare il nome del proprio marito, o figlio, o genitore. È caos, confusione, tensione che cresce e irrigidisce i muscoli. Si stringono l’un l’altra le donne piccole e adulte di casa Stame. È ancora vivo il ricordo di quel che è accaduto alla povera Teresa Gullace, freddata solo un mese prima dalla Luger di un soldato tedesco, la sua colpa aver provato ad avvicinare il marito, detenuto nella caserma di Via Giulio Cesare. Episodio che ispirerà poi la storica sequenza di Roma Città Aperta, il film di Roberto Rossellini del 1945, dove Anna Magnani 19


interpreta la popolana Pina, uccisa da una mitragliata sotto gli occhi del figlio. Quando la colonna dei mezzi si mette in marcia, Rosetta grida con tutta la voce che può avere una bimba di sei anni: «Papa! Papa!». Al terzo camion nota un tendone spostarsi e, in quel punto, scorge il movimento di una testa. È suo padre, ne è certa, l’ha salutata. Non ha potuto urlare perché attorniato dai tedeschi. È quello che la bimba racconta a casa, provando a consolare mamma Lucia avvinta dalla paura sulla sorte del marito. Dove andranno, dove li portano? C’è salito anche Ughetto? I camion da Via San Francesco di Sales hanno imboccato la salita del Buon Pastore per correre via veloci paralleli al Tevere, meta finale le cave di pozzolana sulla storica strada che collegava Roma ad Ardea. Rosetta è sicura, lì c’era suo padre. E l’ha salutata con un cenno del capo. È quello che racconta, che racconterà negli anni a venire.

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capitolo 2

don Erico

San Carlos de Bariloche, 5 aprile 1994

Nella provincia del Rio Negro, in quel lembo di Patagonia che corre ai piedi delle Ande, c’è una città che gli emigranti italiani hanno contribuito a fondare agli inizi del Novecento. Distese di abeti, montagne innevate, tetti spioventi: a vederla in fotografia nessuno direbbe che si trova in territorio argentino. Sembra la cartolina di una qualche località sciistica della Svizzera. E infatti Bariloche, nome che in lingua mapuche significa «popolo che abita dietro la montagna», è famosa per il turismo e i suoi moderni impianti per gli sport invernali. A qualcuno poi potrebbe ricordare una città della Baviera che si specchia su uno dei tanti laghi della regione. E qui, a pochi chilometri dal confine cileno, non mancano né il lago – il Nahuel Huapi – né i cittadini d’origine tedesca. Anzi, nel secolo scorso, dopo gli italiani, a costruire questa città sono arrivati soprattutto austriaci e tedeschi. Una comunità tanto vasta e influente da far nascere l’Asociación Cultural GermanoArgentina e una scuola di lingua tedesca, intitolata però 21


u ming 1 w a d a t diret ollana DIRETTA DA WU MING 1 c COLLANA

«Appena si presenta il tenore Nicola Stame la sala prorompe in un uragano di applausi con ovazioni, e ascolta attentamente l’interpretazione della romanza Recondite armonie della Tosca, sottolineata da un lunghissimo applauso che sembra non avere fine. La voce squillante, potente e duttile del tenore dà luogo ai più favorevoli commenti...» «Oggetto: Nicola Stame - vigilato politico Il sovversivo in oggetto, richiamato alle armi, è stato assegnato a codesto Reggimento. Prego voler disporre nei di lui confronti opportuna vigilanza, segnalandomi spostamenti.»

ISBN 9788898841004

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15,00 euro


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