Alegre la santa crociata del porco promo

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A T N A S LA SANTA LA A T A I C O R C CROCIATA O C R O P L E PORCO D DEL



COLLANA DIRETTA DA WU MING 1


© 2017 Edizioni Alegre Società cooperativa giornalistica Circonvallazione Casilina, 72/74 - 00176 Roma redazione@edizionialegre.it www.edizionialegre.it Quinto tipo collana diretta da Wu Ming 1 condirettore Tommaso De Lorenzis Grafica: Alessio Melandri Per favorire la libera circolazione della cultura, è consentita la riproduzione di questo volume, parziale o totale, a uso personale dei lettori purché non a scopo commerciale.

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WSKI O K U B F L O W WOLF BUKOWSKI

A T N A S A LA SANTA L A T A I C O R C CROCIATA O C R O P L E D DEL PORCO


SOMMARIO

PARTE PRIMA - IL MAIALE IMPOSTO

«Questa è l’Italia» Panini al confine ungherese Le ricette dello chef a cinque stelle La guerra delle polpette danesi Teste di maiale alle frontiere «...poi un carabiniere ha portato un pezzo di carne» Le macellerie meglio fornite del Terzo Reich

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PARTE SECONDA - IL MAIALE NEGATO

Prima del tabù Dopo il tabù Mangiare taref in un quartiere gentrificato La danza delle mozzarelle kasher La danza delle mozzarelle halal Panettone salviniano con pancetta «Un aliment laïc et républicain» Il maiale non è laico «Non è quest’astensione dal maiale pura follia?» Islamofobia e antisemitismo Mipiaciare bassorilievi antisemiti

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PARTE TERZA - IL MAIALE STERMINATO

Il nome della carneficina Colpevoli consumatori I macelli di Chicago Dove comincia Auschwitz Il maiale che noi siamo

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NOTE

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CODA

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LA SANTA CROCIATA DEL PORCO



PARTE PRIMA

IL MAIALE IMPOSTO



«QUESTA È L’ITALIA»

...annuncia la scritta nella parte superiore del “meme internet”. Seguono le immagini di quel che l’Italia sarebbe: un tagliere di salumi (prosciutto, coppa, mortadella, zampone), la bandiera tricolore, un crocefisso. E, in conclusione, malcelato dietro la frase ipotetica, l’invito minaccioso: «SE NON TI PIACE VATTENE» Se scorro i post della pagina Facebook che firma questa composizione, vi trovo inviti all’uccisione di comunisti, di “antagonisti” e di migranti, battute machiste, qualche immagine del duce; il numero di telefono della polizia a cui segnalare violenze sugli animali, la foto di un cucciolo di cane da «salvare» (senza dire da chi, dove, da cosa), l’augurio di una Pasqua di merda a chi mangia agnello e un articolo sull’eccesso di zucchero nelle bevande industriali, introdotto da un breve testo che invita ad «aprire gli occhi» nella più trita accezione complottista. In questo pezzo di fasciosfera il cibo è arma di battaglia. Migranti e bevande zuccherate opprimono il 9


maschio cristiano e suinivoro, l’Isis lo attacca, ma lui difende la civiltà, cotechino in resta. I loro slogans mentali classici, come “Dio, Patria, Famiglia” erano puro vaneggiamento. I primi a non crederci realmente erano loro. Forse, delle vecchie parole d’ordine, ad avere ancora un senso era, appunto, l’“Ordine”

scrive Pier Paolo Pasolini. L’appunto 126 di Petrolio (Einaudi, 1992) è ancora vero oggi, più di quarant’anni dopo la stesura, e possiamo solo completarlo osservando che il mascellone, saltuariamente, può essere vicariato dalla rana Pepe, icona dell’alt-right; mentre il crocefisso, come sappiamo, fa coppia con gli insaccati. «Voglio il crocefisso a scuola il maiale in tavola e un buon bicchiere di vino. Questa è casa MIA!», twittano con rabbia, e con orgoglio proclamano: «Mangiamo carne di maiale e beviamo vino cantando se siamo peccatori statevene a casa vostra chi vi ha mai cercato»; poi c’è il vittimista: «a quando il divieto di esporre o vendere vino, alcolici e carne di maiale?». A tutti fa eco, d’oltralpe, un’altra cornucopia di salumi, vino rosso e la scritta: «je suis salamiste», dove il calembour è, evidentemente, con islamiste; e a «restons français» risponde, subito sotto, «restiamo italiani». C’è lo spiritoso: «interessante ricerca dell’Oms: mangiare maiale tre volte alla settimana e bere vino allontana il rischio di diventare terroristi», nonché l’invito a dotarsi di «salame e piatti sfumati al vino» per condurre una guerra di lunga durata contro l’Isis. Oppure c’è chi, più sbrigativo, sogna bombardamenti «con missili al prosciutto». È soddisfatta di sé, la tavolata ubriaca di salumi indigeribili, e compiaciuta dell’equivalenza tra migranti, musulmani e terroristi che, tra rutti e risate, ha tracciato 10


sulla tovaglia. Lo sforzo duplice è compiuto: un altro giorno è sopportato, e la colpa delle ferite che ha recato è gettata su qualcuno di più debole, su qualcuno di più indifeso. L’innocenza dei commensali, ch’è la sola retribuzione del loro non contare nulla di nulla al mondo, serve da straccio per asciugare il vomito che fatalmente segue l’ebbrezza, e finisce nel cesso.

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PANINI AL CONFINE UNGHERESE

Nel 2015, a settembre, i migranti che si assiepano lungo la frontiera tra Ungheria e Serbia vengono cannoneggiati dalla polizia magiara con getti d’acqua in pressione. Molti di loro fuggono da Daesh, eppure sono respinti e trattati da criminali. Quelli che, nonostante tutto, riescono a entrare in Ungheria – e quindi nell’Unione europea – vengono trattenuti a Röszke in campi profughi sovraffollati. L’edizione online di The Guardian riporta, il giorno 16, le parole del funzionario di una Ong britannica: Siamo sconvolti da quello che abbiamo visto a Röszke. Donne, bambini, neonati e anziani ammassati all’aperto per giorni senza riparo, esposti al freddo e alla pioggia. Lunedì sera pioveva e i rifugiati bruciavano tutto quello che trovavano, comprese lenzuola bagnate, per riscaldarsi; ai bambini venivano attacchi d’asma a causa del fumo respirato, i diabetici si sentivano male perché non c’era insulina disponibile. Una persona tossiva sangue, e non c’erano medici. Tre volontari ci hanno detto che un rifugiato afgano si era rivolto a loro mostrando un panino che gli era stato dato dai poliziotti ungheresi. Chiedeva se fosse maiale, e i volontari gli hanno confermato che aveva sapore di maiale.

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Il panino viene restituito ai poliziotti, a cui viene ricordato che i rifugiati sono musulmani, quindi non mangiano maiale. La mattina dopo, di nuovo, la polizia aveva portato otto cesti di panini, tutti con salume suino. Erano stati restituiti [...]. Ma anche i panini portati alla sera contenevano maiale. Quando uno dei volontari se ne era lamentato, un ufficiale di polizia gli aveva risposto che i rifugiati potevano togliere il maiale e mangiare il pane. Il volontario dice di aver avuto l’impressione che li stessero prendendo in giro. (“Refugee crisis. Hungary uses teargas and water cannon at Serbia border – as it happened”).

Lo scherno si mescola all’odio nei commenti alla pagina de Il Giornale che riporta la notizia (“«Danno maiale a profughi islamici»: la polizia ungherese nella bufera”, 16 settembre 2015): Se questo passa il convento perché non c’è altro o mangi o digiuni | QUESTA E LA SITUAZIONE IN EUROPA, SE NON L’ACCETTAN CHE RESTINO A CASA LORO. | È ora di dire basta e, se necessario anche agire con qualsiasi metodo non escluso quello delle armi. VIVA L’UNGHERIA!!! | Daglielo per via rettale, vedi come lo assumono il salame ungherese! | Incorreggibile questo Orban! Non lo sapeva che ai clandestini occorre somministrare aragoste, ostriche e caviale? | Probabilmente il giorno che metteranno da parte le loro cxxxxxe religiose avremo qualche possibilità di dialogo, ma per ora tornatevene a casa vostra. | I musulmani non vogliono mangiare maiale per un semplice motivo: non sono cannibali! | Ah, come si vede quanto hanno sofferto la fame veramente questi miserabili...

I razzisti da tastiera sono così esaltati da ignorare fatti evidenti a chiunque sia in grado di farcire un panino: 14


1) si possono preparare sandwich con ripieni diversi dal salame, 2) questo non comporta alcuna complicazione organizzativa né aggravio di spesa e, infine, 3) in Europa non si mangia solo carne suina. Pochi giorni prima, il 10, Michaela Ehrenhauser e suo marito, il verde austriaco Alexander Spritzendorfer, avevano pubblicato su Youtube un video girato al campo “Röszke 1”. Nel filmato si vedono poliziotti che lanciano panini a decine di migranti raccolti in un capannone, costringendoli ad accalcarsi per afferrarne uno. Tra i commenti online su Il Fatto Quotidiano, che ripubblica il video (“Migranti come animali. La polizia ungherese lancia il cibo”, 11 settembre 2015), diversi fanno riferimento a episodi di rifiuto di cibo da parte di migranti. Nonostante non di rifiuto si trattasse ma, al contrario, dell’essere costretti a saltare e gettarsi nella mischia per afferrarlo. Eppure anche quest’evidenza, come già prima l’altra, scompare: Gli stessi profughi che lanciavano il cibo per protesta. | Ieri in Ungheria è stato dato cibo ai migranti che lo hanno buttato per terra perché non era “Abdul-Halal”... anke le bottigliette di acqua le hanno svuotate a terra in segno di protesta... | se gli offrono salsicce di suino non le vogliono | qui i migranti rifiutano il cibo: [e c’è un link]

Seguo quel collegamento, ed eccomi come precipitato nel piccolo mondo di un utente Facebook di Pécs: il signor G., odontotecnico. Barba e capelli canuti, pacioso, placido – questo si intuisce dalle foto e dalle scarne informazioni del profilo. Pubblica quasi solo meme con TESTO IN IMPACT MAIUSCOLO e strettamente in ungherese, così ricorro a Google translate per capirne almeno approssimativamente il senso. Ecco il risultato: 15


una donna dalla generosa scollatura avverte che «una moglie è come una bomba a mano!», un ometto stilizzato ridacchia: «la funzione della tibia è quella di aiutare a trovare i mobili in una stanza buia», una ragazza bionda con un vestitino corto accarezza un cane e si dispiace non possa vivere per sempre (ma è chiaro che il focus è sulle gambe lunghe e nude dell’umana, non sull’aspettativa di vita canina). Il resto dell’attività online del signor G. consiste in filmati buffi e link ad articoli islamofobi. Per questi post raggranella cinque like, talvolta otto o nove, di rado venti, e stitiche condivisioni. Poi, all’improvviso, il boom. Cioè il video che mi ha portato lì, quello linkato dal commentatore de Il Fatto, che in dodici mesi dalla pubblicazione (avvenuta il 4 settembre 2015) totalizza tre milioni e mezzo di visualizzazioni e novantasette mila condivisioni. Il filmato è girato in una stazione ferroviaria, ed esibisce in sovrimpressione due stemmi troppo sgranati per essere decifrati, ma dall’aria decisamente ufficiale. Perché sia il link postato dall’odontotecnico a fare il giro del mondo, piuttosto che quello della (sconosciuta) fonte da cui l’ha probabilmente prelevato, non è dato sapere. Sullo sfondo c’è un treno fermo da lungo tempo – lo si capisce dal modo in cui le persone vi si trattengono davanti, salendo o scendendo dalle porte spalancate. In primo piano, sul marciapiede, ci sono migranti e poliziotti ungheresi. I primi rifiutano o restituiscono il cibo che viene offerto loro dai funzionari, anche gettando con stizza in mezzo ai binari bottiglie e interi “fardelli” d’acqua. Il filmato è privo di audio e tutto il suo paratesto è in magiaro; il commento introduttivo del signor G. suona così: «Ez az a videó ami nem fogja bejárni a nyugati sajtót, hogy milyen kegyetlenül bánnak a magyar rendőrök a szegény menekültekkel». Google translate restituisce: «Questo video non è andare a strisciare verso la stampa occidentale, come 16


crudelmente trattata la polizia ungherese per i rifugiati poveri»; oppure, in inglese, «This video is not going to crawl to the Western press, how cruelly treated the Hungarian police for poor refugees». Il senso lo si intuisce, ma nulla più: vorrei capire il contesto. Così chiedo aiuto a Chiara, che conosce l’ungherese e ha tradotto anche testi letterari da quella lingua. Mentre aspetto che risponda alla mia mail seguo il link al contrario, cercando i luoghi della rete che puntano qui. In Facebook molte delle condivisioni extra-ungheresi provengono da nomi dal suono germanico, mentre nel web c’è di tutto. In questo “tutto”, la grandissima parte di quelli che linkano il video – magiarofoni a parte – al massimo possono aver capito: «Questo video non è andare a strisciare verso la stampa occidentale...», ma probabilmente neppure questo, visto che dubito si siano presi la briga di copincollare il testo nel traduttore automatico. Scorrendo i commenti a un articolo di estense.com, srotolandoli nella colonna centrale dello schermo tra la pubblicità di un dermatologo di Ferrara e il gagliardetto della Spal, si può leggere: «Amabili immigrati riconoscenti che gettano sui binari i viveri offerti! Che cattivone le poliziotte ungheresi» e di seguito il collegamento al video del signor G.; su un altro sito ferrarese un tale (dottore in legge, residente a Milano) rilancia lo stesso link con le parole: «Che trattamento....OSTILE!». E, ancora: l’amministratore della pagina Facebook “Migration and Refugee Awareness”, in lingua inglese, scrive il 7 settembre 2015: «ho visto questo video girando per la rete... purtroppo è vero ed è triste... è dal primo giorno che questo accade, una montagna di panini gettati sulle strade». Poi continua affastellando buoni e ambigui sentimenti, storielle di vecchine ungheresi che vanno a fare la spesa e tornano a casa «trovandola piena di migranti che non le fanno rientrare» e lodi a Orbán. Infine conclude: 17


grazie a dio non mi sono mai trovato nella situazione di fuggire da un paese in guerra, non ho mai dovuto portare il mio bambino in spalla attraversando il filo spinato (non riesco neppure a immaginarlo!) né ho comprato il biglietto per un treno su cui non mi viene concesso di salire... forse se mi trovassi in tali situazioni, potrei anche io gettare via dei panini per la disperazione... Non so, forse no, chissà.

In Canada il link finisce in un forum di discussione: «queste immagini sono disturbing, perché rifiutano some snacks e acqua?». Un altro membro del forum risponde alla domanda pubblicando la foto di un bambino africano che cerca di bere da una pozza d’acqua fangosa, seguita dal commento: «Meanwhile in another galaxy far-far away this happens...». Ecco dunque che la retorica superficiale e spesso perniciosa dell’antispreco incontra quella dell’“aiutiamoli a casa loro”, perifrasi che significa semplicemente: “crepino pure, ma lontano da qui”. Ed entrambe si alimentano di un video di cui non capiscono assolutamente nulla. «La frase con cui è stato postato il video», mi scrive Chiara, è la seguente: «Questo è un video che non andrà sulla stampa occidentale, [e che mostra, n.d.t.] quanto crudelmente i poliziotti ungheresi trattano i poveri rifugiati». La sintassi è un po’ scorretta... I commenti invece è meglio che non te li traduca, puoi immaginarteli.

Però li voglio, quei commenti, così insisto fino a quando me ne traduce qualcuno. Il primo dice: «Sono molto stupita perché non so se come emigrante oserei comportarmi così nei confronti della polizia di un altro paese. Deve essere stato molto umiliante» – e intende 18


umiliante per i poliziotti! Un altro è più esplicito nel disprezzo verso i migranti: «Chi ha fame mangia anche i chiodi di ferro! Chi ha sete è capace di bere anche l’urina! Non c’è bisogno di esporre a [critiche] i nostri poliziotti! Se [i profughi] hanno bisogno di qualcosa, che lo chiedano! In ungherese!!!». Ma tra quelli che Chiara ha scelto ce n’è uno che, finalmente!, pronuncia le parole che il video tace, rendendolo intelligibile: La ripresa è stata fatta nel momento in cui hanno fatto scendere i rifugiati – ingannati in modo indegno – dal convoglio in partenza per Vienna. Poi hanno distribuito i viveri, che i rifugiati, fieri, hanno in buona parte rifiutato. Che cosa può vedere invece lo spettatore, non potendosi basare su dati evidenti? Che i rifugiati gettano sulle rotaie il cibo distribuito da poliziotti pieni di compassione, imbrattano e ostacolano i trasporti... Consiglio di [spiegare il contenuto del video] perché così è sicuramente falso e può suscitare reazioni violente!!! E di questo non abbiamo di certo bisogno...

Quello che il video mostra è quindi un improvvisato sciopero della fame, il tentativo disperato di ottenere che il treno riparta in direzione dell’Austria. La protesta nonviolenta, la più nonviolenta delle proteste immaginabili, diventa un pretesto per accusare i migranti di maltrattare i poliziotti; la loro fuga dalla guerra – si tratta in gran parte di siriani – e dalla miseria viene incredibilmente usata per accusarli di sprechi di cibo, magari sottratto per magica connessione planetaria agli affamati africani. (Naturalmente, quando i migranti arrivano dai paesi africani più poveri, la loro fame non merita mai tanta attenzione. Devi essere morto di fame per avere il diritto di metterti in viaggio, ma se ti metti in viaggio significa che non sei morto di fame, recita il comma 22 dei razzisti da tastiera). 19



LE RICETTE DELLO CHEF A CINQUE STELLE

Il 30 dello stesso settembre del 2015, a Rovereto, gli operai posizionano e cementano a terra un dondolo nel giardino dell’asilo comunale di via Saibanti. È a forma di maiale. Per permettere alla base di saldarsi prima che cominci l’assalto dei bambini («Un maialino! Prima iooo! L’ho visto prima iooo!») lo trincerano spostando due panchine. Quando le maestre vedono il nuovo dondolo, restano perplesse per le sue dimensioni. In effetti, nonostante il nome da catalogo sia maialino Piggy (modello xfam 15), a giudicare dalle foto che si trovano in rete si tratta di un verro di tutto rispetto. Così le insegnanti decidono di telefonare all’ufficio comunale competente: «I nostri bambini vanno dai due ai sei anni, e se poi si fanno male? Quel maiale ci sembra tanto grande!». L’ufficio promette di approfondire la questione e scrive alla Holzhof, produttrice di arredi urbani e fornitrice di Piggy. Giovedì 1 e venerdì 2 passano tra il fissaggio del cemento, la telefonata e la richiesta di verifica del Comune. Albeggia appena sabato 3, e il giornale locale Trentino (che nel 2015 fa ancora parte del gruppo editoriale L’Espresso - Repubblica), pubblica un articolo a firma di Giancarlo Rudari: 21


U MING 1 W A D A T DIRET OLLANA DIRETTA DA WU MING 1 C COLLANA

Mi ha detto: «questo lo devi mangiare sennò ti ammazziamo». Gli ho detto: «io sono musulmano, non mangio il maiale». Me lo ha spinto in bocca con il manganello.

ISBN 9788898841691

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15,00 euro


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