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1. Dalla rivoluzione alla scomparsa di Giulio Regeni

Lorenzo Declich

Giulio Regeni le veritĂ ignorate La dittatura di al-Sisi e i rapporti tra Italia ed Egitto

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Sulla frontiera



Giulio Regeni, le veritĂ ignorate La dittatura di al-Sisi e i rapporti tra Italia ed Egitto di

Lorenzo Declich


Copertina: illustrazione di Antonio Pronostico Per favorire la libera circolazione della cultura, è consentita la riproduzione di questo volume, parziale o totale, a uso personale dei lettori purchÊ non a scopo commerciale. Š 2016 Edizioni Alegre - Soc. cooperativa giornalistica Circonvallazione Casilina, 72/74 - 00176 Roma e-mail: redazione@edizionialegre.it sito: www.edizionialegre.it

Analisi, notizie e commenti www.ilmegafonoquotidiano.it


Indice

Introduzione 9 Capitolo uno 25 gennaio 2011 - 25 gennaio 2016: dalla rivoluzione alla scomparsa di Giulio Regeni La rivoluzione del 25 gennaio Le elezioni e i Fratelli Musulmani I militari riprendono il potere Abd al-Fattah al-Sisi e l’acuirsi della repressione Giulio Regeni e la sua scomparsa

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Capitolo due al-Sisi e la dittatura debole Le teorie del complotto sulla rivoluzione del 2011 Le vere radici della rivoluzione Sindacati e lavoratori nelle rivoluzioni arabe La repressione dei movimenti sindacali egiziani La debolezza di una dittatura La retorica del regime

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Capitolo tre I rapporti economici e politici tra Italia ed Egitto Gli affari dell’Eni in Egitto Realpolitik o sostegno al regime? La vendita di armi alle forze di sicurezza egiziane Le relazioni tra i due paesi sulle politiche migratorie Il grande amico di al-Sisi: Matteo Renzi

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Capitolo quattro 113 Complotti, depistaggi e il mancato salvataggio di Giulio Regeni Il caso Regeni in Egitto non è un’eccezione 117 Il presunto complotto terroristico 126 L’ignoranza della stampa italiana sulla situazione egiziana 130 La narrazione del “cervello in fuga” 133 La costruzione della“spy story”: Regeni agente dei servizi segreti 137 Le indecenti accuse ai docenti universitari di Giulio 146 Tutti tranne al-Sisi? 151 Ciò che l’Italia non ha fatto per salvare Giulio Regeni 156 Conclusioni

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Giulio Regeni, le veritĂ ignorate



Introduzione

Questo libro nasce, concettualmente, subito dopo il ritrovamento del corpo di Giulio Regeni, con l’idea di sviluppare ed elaborare i temi trattati in due articoli che ho scritto nei giorni seguenti a quel 3 febbraio: “Cose che non possiamo più ignorare dopo la morte di Giulio Regeni” (Vice, 6 febbraio)1 e “Nessuno tocchi il Pinochet d’Egitto, ovvero: fuffa e depistaggi sulla morte di Giulio Regeni” (Giap, 16 febbraio).2 Complessivamente i due pezzi sottolineavano un fatto molto semplice: sapevamo già molto sulla vicenda, ci aspettavamo il fiorire di depistaggi e fuffa e di vedere all’opera, in tante forme diverse, i fautori della realpolitik italian style. Così è stato. Un amico, quando gli ho parlato del progetto, mi ha detto: “di solito gli instant book fanno pena”. È vero, spesso è così, e questo libro avrebbe potuto non essere un instant. Quando Alegre mi ha proposto di scriverlo c’era anche l’opzione di ragionarlo di più, sviluppando meglio o più in profondità alcuni temi. Ho deciso però autonomamente per la prima ipotesi – accettando l’implicita sfida del mio amico e portandone tutte le responsabilità – per il motivo espresso in principio: per molti 1 http://www.vice.com/it/read/giulio-regeni-egitto-reazione-italia-lorenzo-declich-492 2 http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=23881

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Giulio Regeni, le verità ignorate

versi della vicenda di Giulio Regeni e di ciò che la circonda sappiamo quasi tutto, o meglio sappiamo tutte le cose davvero importanti. Abbiamo insomma tutti gli elementi sufficienti per trarre alcune conclusioni o formulare alcuni giudizi che – ne sono convinto – non cambieranno. Tirare queste conclusioni è già di per sé utile ma – a mio parere – andava fatto al più presto perché prima il depistaggio, poi la macchina del fango, poi il processo di insabbiamento, così come lo stesso concentrarsi sul bisogno di una verità che “faccia giustizia”, rischiano di oscurare alcune pressoché definitive constatazioni riguardo a chi e perché porta le responsabilità di ciò che è successo a Giulio Regeni. L’obiettivo di questo libro è metterle nero su bianco, lasciando sullo sfondo temi importanti – ad esempio la storia dei movimenti operai e del sindacalismo in Egitto – che in un instant book non potevo trattare con sufficiente grado di approfondimento. Nel momento in cui scrivo è già in campo da qualche settimana la campagna di Amnesty International dal titolo “Verità per Giulio Regeni”. L’iniziativa è meritoria, ovviamente, vogliamo sapere nomi e cognomi, vogliamo che il governo italiano faccia quello che c’è da fare per arrivare a scoprirli. Eccetera. Ma non è questa la verità di cui parleremo in queste pagine. Parleremo di verità già svelate che, come vedremo, suonano come un atto d’accusa piuttosto esplicito. In questo libro non ho scritto di geopolitica, in particolare di Libia e dei “ruoli” dell’Italia e dell’Egitto in quel paese. Non l’ho fatto per due motivi concomitanti: il primo è che in geopolitica il contesto è tutto, e parlare di Libia avrebbe significato aprire un altro lungo capitolo; il secondo – più importante – è che ritengo depistante anche solo parlare in termini geopolitici di una faccenda che attiene alle persone e alla loro dignità. La geopolitica è una brutta bestia, spiega molte cose (se utilizzata a tempo debito) ma ne giustifica molte altre (quando – a cose fatte – non ci sarebbe più niente da spiegare). E nella vicenda Giulio Regeni è stata usata per aggiungere 12


Introduzione

argomenti ex post ai fautori di quella che ritengo essere una dissennata realpolitik. Gli interessi italiani in Libia, comunque, non sono per forza legati a quelli di al-Sisi (e sauditi). Anzi: volendo valutare la cosa sommariamente, allo stato attuale gli interessi di al-Sisi e dei sauditi sono un problema per la stabilizzazione di quel paese, sempre che si voglia cercare una soluzione non guerreggiata. Avrei voluto scrivere degli italiani in Egitto e degli italiani d’Egitto, quelli che in tempi storici ma soprattutto oggi fanno cultura e critica, non affari. Lo ricorda Amro Ali in un recente articolo, che consiglio a tutti di leggere, dal titolo “Giulio and the Italians of Egypt”, tradotto da Internazionale col titolo “Giulio Regeni e gli italiani in Egitto che denunciano il regime”.3 Ne riporto solo una frase: “Regeni potrebbe essere il primo non egiziano a essere inserito tra i martiri della rivoluzione egiziana. È stato il primo tentativo di sfidare l’equazione tra cittadinanza e patriottismo. È significativo che un esponente di una comunità transnazionale possa vantare anche una lealtà pari, se non superiore, al benessere pubblico egiziano”. I lettori troveranno sicuramente diversi bug in questo libro, fra cui un apparato di note un po’ difficile da sciogliere (ma rigoroso). L’intenzione – visto il tempo ridotto – è stata quella di dare la parola a persone che a vario titolo sono al centro dei temi trattati, in quanto attivisti e/o in quanto studiosi o giornalisti ben informati. In questo contesto ho cercato di catturare il meglio di quanto uscito sulla stampa italiana. Ho contattato autori, traduttori o testate che pubblicano gli articoli che qui riproduco per intero, per avere il consenso alla pubblicazione. Quasi tutti mi hanno risposto positivamente. Agli autori da cui non ho ricevuto risposta dico che mi rendo disponibile a confrontarmi con loro rispetto a qualsiasi eventuale rimostranza essi abbiano da fare in relazione alla pubblicazione integrale dei loro lavori. 3 http://www.internazionale.it/opinione/amro-ali/2016/04/07/giulio-regeni-egitto-regime

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Giulio Regeni, le veritĂ ignorate

Voglio ringraziare Vice, Giap (e i suoi utenti), Wu Ming 1 e Antifa intelligence (una vera macchina da editing), Alegre (anche loro in fatto di editing non scherzano), Internazionale, Pagina99, Ossiraq, Vice News, Cecilia Dalla Negra, Hossam el-Hamalawy, Ahmed Ragab, gli editor di Merip, Marina Calculli e il manifesto, Laura Cappon, Enrico De Angelis, Leonardo Bianchi, Eleonora Vio, David Sansonetti e tutti gli altri che ho contattato in questi 30 giorni di scrittura forsennata ma che ora non ricordo. Ho maturato la convinzione che questo libro non faccia pena, dunque lo dedico a quel mio amico. Di sicuro da parte mia ce l’ho messa tutta, rubando tempo a tutto il resto. Di questo Alessandra e Nora sanno qualcosa.

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Capitolo uno

25 gennaio 2011 - 25 gennaio 2016: dalla rivoluzione alla scomparsa di Giulio Regeni

A qualche giorno dal ritrovamento del corpo di Giulio Regeni, alcuni attivisti in Italia producono un hashtag – #veritàpergiulio – e un banner che accosta l’immagine dell’italiano a quella di Khaled Said, il ventottenne egiziano ucciso di botte dalla polizia di Alessandria il 6 giugno del 2010. Khaled Said, considerato il “primo martire” della rivoluzione egiziana del 25 gennaio 2011, è uno dei simboli, forse il più forte, di una stagione di lotte che, per molti versi, non è ancora finita. Ad accomunare i due delitti c’è l’età, ma soprattutto il comune sentire delle vittime e – sono certo – la modalità dell’assassinio: la violenza cieca degli apparati di sicurezza dello Stato egiziano. Non è un caso, dunque, che a rimarcare questo parallelo siano anche gli attivisti egiziani: il 2 aprile 2016 il gruppo “The Januarians” pubblica il messaggio video della madre di Said alla madre di Regeni: “Invio le mie condoglianze alla madre del martire Regeni – dice di fronte alla telecamera – sono con lei e sento il suo stesso dolore, come soffro ogni giorno per Khaled. Voglio ringraziarla per essere con noi e per il suo interesse e preoccupazione per i casi di tortura in Egitto...”.1 Molti sono i temi che sarebbe necessario affrontare per descrivere con cura l’Egitto di oggi. Ma questo è un libro su Giulio Regeni, sulle circostanze della sua morte, sulle responsabilità che dietro di essa possiamo identificare, su ciò che si è detto su di lui 1 https://www.youtube.com/watch?v=tlxPcEyw-tg

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Giulio Regeni, le verità ignorate

e sulla sua vicenda e, infine, su ciò che invece di essa dovremo di qui in avanti ricordare. E si comprende ben poco di tutto questo se non ci concentriamo, da principio, sui giorni della rivoluzione egiziana. Essa ha significato per quel paese un momento di svolta cruciale, e senza ritorno, un cambiamento tutt’ora in atto che Giulio Regeni, da dottorando, stava studiando. Nel raccontarla ci concentreremo su tre coordinate fondamentali per interpretare poi la vicenda oggetto di questo libro: il procedere degli eventi politici, l’operato dei poteri e l’escalation della repressione.

La rivoluzione del 25 gennaio Nei giorni precedenti alla manifestazione che diede il via alle proteste, gli attivisti egiziani pubblicano la loro piattaforma2 su un file condiviso, rendendo noti – oltre a un buon numero di informazioni logistiche – i loro obiettivi. La intitolano: “Tutto ciò che c’è da sapere sulle manifestazioni della rivoluzione del 25 gennaio”. La riproduciamo sotto perché da sola spiega meglio di qualsiasi analisi le ragioni che hanno portato alla rivoluzione: Chi siamo La manifestazione del 25 gennaio è stata convocata da “Siamo tutti Khaled Said”. È una pagina di facebook posta in essere per rendere nota la vicenda del martire Khaled Said, catturato e pestato a morte in strada ad Alessandria nel giugno 2010. La manifestazione è spontanea, non è stata pianificata da alcuna forza politica o popolare. Gli eventi tunisini, verificatisi dopo la convocazione, hanno incoraggiato gli egiziani a parteciparvi e a diffonderne l’idea.3 La pagina non è collegata a partiti, gruppi, mo-

2 https://docs.google.com/document/d/1qU3TnumUD5ZzZN9CEBbDRIzNvcjbOtJX5CkcBcC9OjI 3  La rivoluzione tunisina aveva avuto inizio il 17 dicembre precedente e il 14 gennaio successivo aveva raggiunto il suo primo obiettivo, la caduta del Presidente Zayn al-Abidin ben Ali.

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vimenti o associazioni; non dipende da specifiche persone né da ideologie: è per tutti gli egiziani che vogliono affermare i propri diritti. La pagina è il risultato dello sforzo di chi la mantiene: i suoi membri sono il segreto del suo successo. Perché manifestiamo? L’Egitto sta attraversando una delle sue peggiori fasi storiche da tutti i punti di vista. Nonostante il governo egiziano ne dia nelle sue relazioni una rappresentazione edulcorata, la realtà è purtroppo diversa. Auspichiamo tutti che il 25 gennaio possa essere l’inizio della fine, la fine del silenzio e della complicità, della rassegnazione per ciò che sta succedendo al nostro paese e l’inizio di una pagina nuova di rivendicazione e ottenimento dei diritti. La giornata del 25 non è una rivoluzione nel senso di una esplosione di violenza bensì una rivoluzione contro il governo. Noi diciamo al governo che abbiamo iniziato a prenderci cura dei nostri interessi. Ci prenderemo tutti i nostri diritti, non staremo più zitti. Qui ci sono 30 milioni di egiziani malati di depressione. Fra di essi c’è un milione e mezzo di malati gravi: più di centomila tentativi di suicidio hanno provocato la morte nel 2009 di 5mila persone. Abbiamo 48 milioni di poveri di cui due milioni e mezzo sono ridotti alla fame. Dodici milioni di egiziani non hanno un riparo. Di questi un milione e mezzo vive nei cimiteri. Qui la corruzione è sistematica, si stima che in Egitto in un solo anno pesi 39 miliardi di lire egiziane [circa 5 miliardi di euro nel 2011, n.d.t.]. E l’Egitto è classificato al 115° posto su 139 nella lista dei paesi più corrotti secondo il World Competitiveness Record.4 Qui ci sono tre milioni di giovani disoccupati, la percentuale dei giovani disoccupati ha superato il 30 per cento. L’Egitto è all’ultimo posto su 139 in quanto a trasparenza nelle assunzioni. Da noi c’è il più alto tasso di mortalità infantile, 50 su 1.000. Quasi la metà dei bambini egiziani è colpita dall’anemia e circa otto milioni di persone soffrono di epatite C. Abbiamo più di 100mila casi di cancro ogni anno a causa dell’inquinamento dell’acqua. Da noi c’è un’ambulanza ogni 35mila cittadini. In 4  Per i dati aggiornati e storici vedi http://www.imd.org/wcc

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Giulio Regeni, le verità ignorate

Egitto la Legge d’Emergenza [in vigore dal 1981 dopo l’assassinio del presidente Anwar Sadat (1918-1981) e rinnovata nel maggio 2010 per altri due anni, n.d.t.]5, causa la morte di decine di egiziani fra coloro che a migliaia vengono arrestati senza alcuna base giuridica e torturati. L’uso delle forze di sicurezza per monitorare e censurare l’attività dei politici ha portato a evidenti frodi nelle elezioni parlamentari nelle quali il partito del governo ha ottenuto più del 90 per cento dei seggi.6 Perché il 25 gennaio? Nel 1952 i nostri nonni arruolati nella polizia resistettero con le loro pistole di ordinanza ai carri armati dell’esercito regolare britannico.7 Perirono in cinquanta e più di cento furono i feriti: rappresentano il miglior esempio di sacrificio per la patria. E ora noi, a più di cinquant’anni di distanza, subiamo le sopraffazioni delle forze di polizia, che sono diventate uno strumento di umiliazione e tortura per gli egiziani. Abbiamo scelto questo giorno particolare perché simboleggia l’unione delle forze di polizia con la gente e speriamo che nel giorno della manifestazione si uniscano a noi gli alti ufficiali, perché la nostra causa è una. Il 25 gennaio è una ricorrenza nazionale in cui è permesso a tutti gli egiziani di interrompere la propria attività lavorativa. Cosa chiediamo? 1. Affrontare il problema della povertà prima che esploda e perciò rispettare ciò che ha stabilito la magistratura egiziana rispetto all’aumento del salario minimo nei comparti della sanità e dell’istruzione per migliorare i servizi ai cittadini. Fornire sovvenzioni fino a 500 lire egiziane [meno di 65 euro nel 2011,

5  Vedi http://africa.blog.ilsole24ore.com/2010/05/11/in-egitto-prorogata-legge-sullo-stato-di-emergenza/ 6  Qui gli attivisti inserivano il link a un video di youtube ora inattivo. Il video è ora disponibile presso archive.org: https://wayback.archive-it.org/2349.... 7  Qui gli attivisti inseriscono il link a un video con immagini storiche: https://www. youtube.com/watch?v=-QgdkYLhqO0

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n.d.t.] a tutti i giovani laureati che non trovano lavoro, e ciò per un periodo definito. 2. Abolizione dello stato di emergenza che ha determinato lo strapotere dell’apparato di sicurezza a detrimento dell’Egitto e l’arresto degli oppositori politici del governo e la loro detenzione senza motivo. Chiediamo alla procura di vigilare sulle sue diverse sezioni, chiediamo di fermare la tortura che viene sistematicamente esercitata nelle stazioni di polizia, chiediamo l’attuazione delle disposizioni della magistratura e il loro rispetto da parte del governo egiziano. 3. Dimissioni del Ministro dell’interno Habib el-Adly che ha generato in Egitto un clima di insicurezza in occasione degli attentati terroristici8 e ha permesso la proliferazione di crimini perpetrati, senza freno, da ufficiali o agenti del Ministero degli interni stesso. 4. Limitare la possibilità di candidarsi alle presidenziali per più di due volte, in modo che il potere non diventi assoluto e corrotto: nessun paese sviluppato prevede che un Presidente della Repubblica abbia un mandato di decine di anni. Abbiamo il diritto di scegliere il nostro Presidente, abbiamo il diritto di non avere una persona che comanda a vita.

Questa piattaforma, attorno alla quale si coagula l’ondata di proteste che determina, l’11 febbraio successivo, le dimissioni di Hosni Mubarak, è ancora per molti versi attuale. Numerosi indicatori in essa citati sono rimasti fermi al palo, o sono peggiorati. Oggi lo stato di emergenza è formalmente circoscritto alla sola area del Sinai, ma le forme della repressione a opera delle forze di sicurezza egiziane – in particolar modo quelle militari – non sono cambiate anzi, si sono drasticamente intensificate. Ciò che la piattaforma non menziona è l’apparato militare. In trent’anni di regime (1981-2011) Hosni Mubarak si era progressivamente reso autonomo dall’ambiente militare dal quale 8  Qui il riferimento è all’autobomba che il primo gennaio 2011 – si noti che la rivoluzione tunisina era già iniziata – ad Alessandria d’Egitto esplose davanti alla chiesa copta dei Santi uccidendo 21 persone.

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Giulio Regeni, le verità ignorate

proveniva, e – come sottolinea un altro storico attivista, Mahmoud Salem – la polizia era diventata poco più che il suo “esercito privato”. L’esercito, titolare di un potere economico che secondo alcuni studi raggiungeva già nel 2011 il 40 per cento dell’intera economia egiziana9, rimaneva il “garante” della stabilità. Era in auge lo stato di emergenza e nei casi ritenuti insindacabilmente lesivi della “sicurezza nazionale” erano i tribunali militari a processare i civili10, ma raramente l’esercito interveniva in maniera diretta nella gestione dell’ordine, rimaneva nelle caserme. Era comprensibile, dunque, che gli attivisti si concentrassero sulle violazioni delle forze di sicurezza civili. L’esercito durante le proteste non interviene nella repressione ma scende nelle strade, accolto spesso con manifestazioni di giubilo, a partire dal 28 gennaio. Il giorno prima delle dimissioni di Mubarak, il 10 febbraio, il Consiglio Supremo delle Forze Armate (l’acronimo inglese è Scaf), un organismo che si riunisce in casi “di guerra o di grave emergenza interna” (l’ultima volta si era riunito nel 1981, all’indomani dell’assassinio di Sadat) emana un comunicato11 che recita: Oggi, 10 febbraio 2011, sulla base delle responsabilità delle Forze Armate, avendo l’obbligo di proteggere il popolo e prendendosi cura dei suoi interessi e della sua sicurezza, guardando alla salvaguardia della patria, dei cittadini, alle conquiste e ai beni del grande popolo egiziano; affermando e sostenendo le legittime richieste del popolo, è stato convocato il Consiglio Supremo delle Forze Armate per discutere sugli sviluppi della situazione fino ad oggi. Il Consiglio ha deciso di riconvocarsi in forma continua per discutere sulla possibile adozione di iniziative e provvedimenti tesi a proteggere la patria e le conquiste e le aspirazioni del grande popolo egiziano. 9  Vedi ad esempio http://www.nybooks.com/articles/2011/08/18/egypt-who-calls-shots/ 10 http://www.amnesty.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/342 11 http://www.sis.gov.eg/Ar/Templates/Articles/tmpArticles.aspx?ArtID=44081#. Vt_3SEJIMyo

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Nel secondo e nel terzo comunicato, diffusi il giorno seguente, il Consiglio Supremo assume il controllo degli “affari del paese”, paventa la fine dello stato d’emergenza e individua una bozza di percorso verso una “transizione democratica”. Nei mesi successivi l’esercito scende in campo in forme sempre più decise, dando progressivamente l’impressione di avere a cuore, prima di tutto, i propri interessi.12 Secondo un rapporto di Human Rights Watch13 fra il 28 gennaio 2011 e il 29 agosto di quell’anno, vengono processati dai tribunali militari intorno ai 12mila civili, un numero maggiore di quello registrato nei trenta anni di Mubarak.

Le elezioni e i Fratelli Musulmani Nei mesi che seguono le dimissioni di Mubarak l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale si posa raramente sull’operato del Consiglio Supremo e dell’apparato militare egiziano. Più “attraente”, anche perché forse percepita come più pericolosa, è l’entrata in campo – e l’apparentemente irresistibile ascesa – dei Fratelli Musulmani. Questa organizzazione politica, nata nel 1928, aveva operato per decenni in una condizione di “legalità a corrente alternata”. Pur subendo periodicamente campagne di repressione e criminalizzazione, gli era stata comunque concessa la possibilità di costruire iniziative in ambito sociale, in economia, e parzialmente in politica (sotto Mubarak non potevano costituirsi in un partito ma i singoli esponenti potevano presentarsi alle elezioni e registrarono una eclatante vittoria nel 2005). Nel 2011, sebbene non avesse avuto alcun ruolo nell’organizzazione delle proteste del 25 12  Per approfondire: http://www.crisisgroup.org/~/media/Files/Middle%20East%20 North%20Africa/North%20Africa/Egypt/121-lost-in-transition-the-world-accordingto-egypts-scaf.pdf 13 https://www.hrw.org/news/2011/09/10/egypt-retry-or-free-12000-after-unfairmilitary-trials

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Giulio Regeni, le verità ignorate

gennaio, era l’unica struttura alternativa a quella del regime che fosse capace di agire in breve tempo come forza politica.14 E, inoltre, aveva l’appoggio esterno di un paese petrolifero come il Qatar, capace di influenzare l’opinione pubblica con il suo network televisivo al-Jazeera. Quando, nel febbraio 2011, il Consiglio Supremo istituisce il Comitato che deve proporre le prime riforme costituzionali da sottoporre al vaglio degli egiziani tramite referendum, 31 organizzazioni per i diritti umani ne criticano la composizione. Oltre a denunciare il fatto che il Comitato non rappresenta la varietà politica e sociale egiziana, le organizzazioni affermano che esso riflette – in apparenza – il coalizzarsi di membri del vecchio regime con esponenti della Fratellanza.15 Gli attivisti, in breve, si trovano stretti in mezzo a due progetti egemonici, solo parzialmente alternativi, che si erano scontrati/incontrati per decenni e che ora provano ad accomodarsi al nuovo tavolo: da una parte i militari, che tessono la loro trama in quanto “garanti” e dall’altra i Fratelli Musulmani, che forti della loro organizzazione, si preparano a governare. In marzo il referendum ha apportato alcune modifiche alla Costituzione e ha stabilito un calendario per le elezioni parlamentari: tre turni, uno a fine novembre 2011, uno a metà dicembre, uno a inizio gennaio 2012. Escluso dalla tornata il Partito Nazionale Democratico di Hosni Mubarak (molti ex si presentano come indipendenti), rimane in campo la Fratellanza con il Partito Libertà e Giustizia, diverse formazioni centriste e progressiste fra cui il Blocco Egiziano – formato da più partiti –, un’alleanza di formazioni rivoluzionarie e il cosiddetto “blocco islamista”, capitanato dal neonato al-Nur, partito di ispirazione “salafita”, ovvero affiliato a una corrente religiosa 14  Sui Fratelli Musulmani e la loro storia, con un occhio alla situazione contemporanea precedente al 2011, si veda ad esempio M. Campanini e K. Mezran (a cura di), I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, Torino, UTET, 2010. 15 http://www.egyptindependent.com/news/rights-groups-constitutional-committee-fails-reflect-egypts-diversity

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particolarmente reazionaria e chiusa, alternativa alla Fratellanza e legata in molti casi all’Arabia Saudita. Corrente che, fino a qualche tempo prima, pur essendo presente in Egitto aveva sempre agito al di fuori della sfera politica. Il partito della Fratellanza vince a mani basse (37,5%), ma l’elemento che più salta agli occhi, una volta ufficializzati i risultati, è il consenso accordato ad al-Nur (28%). La situazione, nel dicembre 2011, è fotografata da Mahmoud Salem, che partecipa alle elezioni come organizzatore e come candidato del Blocco Egiziano, in un lungo post apparso sul suo blog16 – Rantings of a Sandmokey. Lo riproduciamo quasi per intero perché contestualizza gli eventi con acume, sarcasmo e anche una buona dose di autocritica. […] Il mio senso di impotenza ha raggiunto il culmine quando la mia amica S. è venuta qui, due notti fa, e non stava bene. Lottare per la liberazione delle migliaia di persone che sono state messe sotto processo dai militari durante questi mesi è stata una crociata spossante, per lei. Ed è andata anche peggio da quando è stata coinvolta nel tentativo di far sì che i rapporti delle persone che erano morte a Mohamed Mahmoud [scontri dell’8 dicembre 2011, n.d.t.] non venissero falsificati, il ché significava dover stare all’obitorio di Zeinhom la notte in cui quei corpi sarebbero arrivati lì, circondati da famiglie affrante e cari in lacrime, veder entrare morto dopo morto, e quasi essere arrestata dalle autorità che non volevano che lei ne fermasse l’occultamento. Mi ha detto, poco dopo, che ora vede quei morti ovunque, non riesce a fuggire da loro. Ma quella notte, due notti fa, era appena di ritorno da Tahrir, dove un uomo, a pochi centimetri da lei, alla fine aveva preso fuoco a causa dell’esplosione di una molotov. Aveva visto il fuoco inghiottirlo, aveva sentito l’odore di carne e capelli bruciati, le sue urla agonizzanti d’aiuto. Era silenziosa, molto calma e silenziosa. Era seduta vicino a me e io non potevo raggiungerla, 16  La versione originale, in inglese, è qui: http://www.sandmonkey.org/2011/12/20/ underneath/. La traduzione è mia.

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A qualche giorno dal ritrovamento del corpo di Giulio Regeni, alcuni attivisti in Italia producono un hashtag – #veritàpergiulio – e un banner che accosta l’immagine dell’italiano a quella di Khaled Said, il ventottenne egiziano ucciso di botte dalla polizia di Alessandria il 6 giugno del 2010. Khaled Said, considerato il “primo martire” della rivoluzione egiziana del 25 gennaio 2011, è uno dei simboli, forse il più forte, di una stagione di lotte che, per molti versi, non è ancora finita. Ad accomunare i due delitti c’è l’età, ma soprattutto il comune sentire delle vittime e – sono certo – la modalità dell’assassinio: la violenza cieca degli apparati dello Stato egiziano.

ISBN 978-88-98841-45-5

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