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NRA SHOW: LE IMPRESSIONI DI UN ITALIANO A CHICAGO
from retail&food 06 2023
by Edifis
Si è da poco concluso uno dei principali eventi internazionali dedicato al F&B, arrivato alla 102esima edizione. Tra le attrazioni principali della fiera statunitense tanti brand italiani. Un “insider”
Sono già passati quasi trent’anni dalla prima volta che partecipai al National Restaurant Association (NRA) Show di Chicago. Ricordo che quella fu la mia prima esperienza in una fiera di settore: avevo, infatti, iniziato da poco tempo a lavorare per l’azienda di famiglia, reduce da un’esperienza triennale a Londra in ambito bancario e finanziario. Naturalmente, tante cose sono cambiate, ma molte altre sono rimaste immutate nel tempo, come la penuria cronica di taxi e similari (tutto il mondo è paese), il traffico impazzito per raggiungere ogni giorno la fiera (ebbene sì, a Chicago usano il clacson più che a Napoli), la generosa offerta di degustazioni presso quasi tutti gli stand (superalcolici compresi, con effetti imprevedibili sulla sobrietà di alcuni visitatori) e il significato molto ampio che gli americani attribu- iscono al concetto di abbigliamento “business casual” (la coppia che ha scelto di venire in fiera con un completino coordinato leopardato non è passata inosservata).
Tuttavia, nell’era della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale una manifestazione come l’NRA Show non poteva che riflettere i profondi cambiamenti che toccano ogni comparto della nostra società e rivoluzionano il modo di concepire e di sviluppare le attività commerciali, come testimoniato dall’ampia offerta di soluzioni sempre più avanzate per l’analisi delle vendite e la profilazione della clientela o per la gestione dei programmi di fidelizzazione. Parimenti significativa è da segnalare inoltre la massiccia presenza nei tre enormi padiglioni di consulenti per la transizione digitale e per le strategie di aromatiche e fruttate! comunicazione sui social media, o delle piattaforme per la gestione delle prenotazioni online e di quelle che si occupano di delivery: gli stand di UberEats e di Opentable - per citarne due – erano particolarmente prominenti e sempre molto frequentati.
Un altro tema innovativo che ho trovato molto diffuso in questa edizione del NRA Show è quello relativo alle alternative vegetariane e/o vegane (“plant-based”) ai prodotti di origine animale, sviluppate per venire incontro alle esigenze di una quantità crescente di persone, soprattutto nelle fasce più giovani d’età, che per motivi etici, salutistici - o anche solo per seguire la moda del momento - hanno deciso di ridurre o eliminare il consumo di carne dalla loro dieta quotidiana: pur mantenendo la mia identità di animale onnivoro, devo riconosce- anche noi abbiamo aderito proponendo la nostra Linea Green, costituita da miscele di caffè provenienti al 100% da piantagioni certificate Rainforest Alliance) hanno parimenti tenuto banco in un Paese che, pur con tutte le sue contraddizioni, sta diventando sempre più cosciente del fatto che i cambiamenti climatici avranno un impatto drammatico e crescente sulla qualità della vita e sulle dinamiche di tutto il comparto agroalimentare. re che dopo, ahimè, numerosi assaggi l’inevitabile scetticismo iniziale ha lasciato posto ad una piacevole sorpresa per la qualità dei prodotti proposti sia in termini di gusto che di consistenza al palato. Piaccia o non piaccia, questo è un trend con cui tutti gli operatori nel mondo della ristorazione si dovranno prima o poi confrontare. Le sfide relative alla sostenibilità ambientale (a cui
“Scusa, ma tu che sei un torrefattore, non ci parli un po’ di caffè?”, potrebbe a questo punto domandarsi il lettore che abbia avuto la pazienza di arrivare sin qui: certamente, ho tenuto per ultimo l’argomento a me più caro! Dopo aver preparato e servito centinaia di caffè a una folta e multiforme rappresentanza della popolazione americana (inclusa la mitica coppia di leopardati) posso affermare senza alcun dubbio che la sensibilità e la cultura nei confronti dell’Espresso italiano si è molto evoluta nel tempo e che – anche se a tutt’oggi nel menu di molte catene di caffetteria Made in USA alla categoria Espresso manca proprio… l’Espresso (si trovano solo Latte e Cappuccino) – il prodotto di cui noi italiani giustamente andiamo fieri è ormai riconosciuto e apprezzato da tutti e, con mia grande piacevole sorpresa, viene spesso degustato in purezza, senza alcuna aggiunta di latte e/o di zucchero! Inoltre, l’ampia diffusione oltreoceano del mondo Specialty Coffee ha indotto insospettabili signore di mezza età del Kentucky a confessarmi con una punta di orgoglio il loro vezzo di prepararsi a casa, con il sistema V60, un caffè monorigine dell’Etiopia, comprato da un piccolo torrefattore locale, per poterne degustare appieno le note
L’interesse e la passione negli States per il prodotto Made in Italy è, comunque, molto elevata e più di una volta ho dovuto rassicurare i miei interlocutori che noi siamo davvero una torrefazione di Milano (“la capitale della moda e del design”) e che il nostro prodotto viene lavorato ancora oggi secondo le antiche regole della torrefazione italiana. Anche la storia della nostra azienda familiare, nata nel prima dopoguerra su iniziativa di mio nonno e cresciuta in questi 75 anni sino a diventare una realtà globale, ha fatto breccia nel cuore delle tante persone che si sono soffermate per chiederci qualche informazione in più dopo aver degustato il prodotto. In fin dei conti posso affermare che anche quest’anno visitare l’NRA Show è stata per me un’esperienza molto positiva, sia per quanto ho potuto vedere e apprendere in merito ai nuovi trend di mercato che per le numerose opportunità di far conoscere il nostro prodotto ad una crescente schiera di appassionati: e poi sullo sfondo c’era lei, Chicago, una città affascinante in cui è sin troppo facile perdersi, passeggiando senza fretta lungo la riva del lago Michigan, nei sentieri immersi nel verde che dai padiglioni della fiera portano senza soluzione di continuità all’ipnotico Cloud Gate proprio nel cuore del Millenium Park: ma questa è tutta un’altra storia.
Osservatorio Collaborations e Co-Branding a cura di BRAND JAM
Il Pop up store di Stranger Things: vero manifesto (riuscito) del retailtainment
Brand Jam osserva il mondo delle “collaborations” in licenza e delle attività di brand extension, sezionando con il suo Osservatorio Collaborations più di 300 casi innovativi ogni trimestre. Per la rubrica di questo numero di Retail & Food non potevamo non occuparci del pop-up store dedicato a Stranger Things, aperto a maggio a Milano. Un mix supervitaminico di retail, entertainment, merchandising, esperienza immersiva per fan, che manifesta in un’unica location tutte le tendenze del “retailtainment” più avanzato. Lo store ufficiale Stranger Thing di Milano dispone della più grande superficie rispetto ai precedenti pop-up, aperti a New York, Los Angeles, Parigi, Dallas, Chicago e Miami.
curato nei minimi dettagli secondo il tema.
Lo sviluppo creativo dei prodotti denota una competenza specifica particolarmente raffinata nel trasformare prodotti basici come t-shirt o felpe in oggetti del desiderio. Lo store itinerante è infatti gestito, sotto licenza Netflix, da Three Ten Merchandising Services, azienda americana specializzata nel merchandising da fan, integrato a retail experience e concerti.
I tre livelli, a ridosso della zona super commerciale di corso Vittorio Emanuele, sono strutturati in modalità “sottosopra”, dettaglio caro ai fan della serie Netflix, con l’ingresso a livello strada, utilizzato unicamente per una veloce photo opportunity con lo sfondo al neon istituzionale. Poi ci si cala (letteralmente) nella città di Hawkins, dove al livello -1 è stato ricostruito fedelmente il soggiorno della casa di Joyce, e si può accedere (coda permettendo) alla seconda photo opportunity, sulle biciclette con lo sfondo tempestoso di Hawkins.
Scendendo al secondo livello, la replica della Hawkins High School è l’anticamera del cuore pulsante dello store: lo Starcourt Mall. È qui che il visual merchandising suddiviso in aree tematiche mette il turbo ai prodotti esclusivi: la gelateria Scoops Ahoy, il Rink -O-Rama, la pizzeria Surfer Boy Pizza e, non ultima, l’Arcade (dove Pac – Man, unico marchio esterno al mondo Stranger Things, vive da protagonista), sono i riferimenti narrativi che caratterizzano ogni prodotto di merchandising esclusivo,
Si nota decisamente l’esperienza nella produzione di merchandising evoluto, e per quanto la qualità intrinseca dei prodotti sia allineata al prodotto fast fashion, il prezzo non è certo democratico. I fan devono sborsare infatti almeno 35 euro per una t-shirt o 80 euro per una camicia hawaiana, oltre 100 per una felpa. Ma il prezzo non è certo un problema per un prodotto totemico e le code alle casse costituiscono la dimostrazione plastica della riuscita commerciale dell’attivazione.
Come in un parco a tema, o in un concerto, per vivere l’esperienza Stranger Things il fan segue un customer journey che qui ha un che di liturgico, dalla prenotazione digitale obbligatoria, alla coda per l’ingresso gestito dalla security, dalle foto instagrammate, alla coda in cassa per assicurarsi il prodotto esclusivo. Da notare la clientela non unicamente adolescenziale: a parte i genitori che accompagnano i più giovani, sono molti i millennials, molti dei quali partecipano indossando già felpe e magliette Stranger Things. Lo store milanese chiuderà i battenti a fine luglio, quando decine di migliaia di fan avranno avuto l’occasione di immergersi in un’esperienza di retailtainment memorabile. Poi riprenderà il tour alla volta di altri fan, prossima fermata: Las Vegas.