GESTIONE DEROGA JOBS ACT
deroga al jobs act, confermate le tutele di Umberto Marchi
28 AGOSTO 2015
Appalti, interessante esperienza a Bologna: il Protocollo di intesa firmato il 6 luglio fra il Comune di Bologna, le OOSS Cgil, Cisl, Uil e Alleanza delle Cooperative Italiane, Confcommercio, Unindustria, Cna, Confartigianato, Ance Bologna “rivede” il Jobs Act. C’è dunque spazio per accordi tra le parti sociali in deroga alla legge? Il 6 luglio è stato firmato il Protocollo di intesa in materia di appalti, lavoro, forniture e servizi fra il Comune di Bologna e le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil e Alleanza delle Cooperative Italiane, Confcommercio, Unindustria, Cna, Confartigianato, Ance Bologna, che sostituisce quello siglato nel 2005 con durata triennale. Prima ancora che il merito, desta interesse la modalità: su alcuni punti l’accordo si muove, infatti, in deroga alle disposizioni del Jobs act, ripristinando alcune tutele per i lavoratori già previste dall’art. 18 dello Statuto e “ammorbidite” dalle ultime disposizioni sul lavoro (si parla in particolare di clausole di salvaguardia assenti nel Jobs act). La prima domanda che vien da farsi è dunque: può un accordo fra le parti sociali a livello locale muoversi “in deroga” rispetto alle leggi nazionali? Partiamo proprio dalla parte del documento che più si disallinea rispetto alle nuove leggi nazionali sul lavoro. Si tratta di quanto previsto al punto 3 “Strumenti e modalità”, dal quinto paragrafo in avanti: “Le parti ritengono soprattutto in una fase di crisi occupazionale dare centralità nelle procedure di gara al fattore lavoro. Il Comune di Bologna si impegna
a tale scopo ad inserire, quale condizione di esecuzione dell’appalto, nei bandi di gara di affidamento di servizi da riaffidare, la clausola sociale di salvaguardia di riassorbimento di manodopera per la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici. Si tratta di un impegno importante dal punto di vista economico e giuridicamente delicato perché ciò presuppone l’impegno da parte delle imprese subentranti di assumere, qualora ve ne fosse necessità e compatibilmente con la propria organizzazione, i lavoratori e le lavoratrici dipendenti che lavoravano presso l’impresa uscente, a prescindere dal CCNL di riferimento”. Come hanno sottolineato le parti sindacali, “l’accordo garantisce una clausola che nel Jobs Act non c’è, che è quella della salvaguardia occupazionale, la quale prevede anche il mantenimento dei diritti e delle condizioni retributive dei lavoratori, compreso l’articolo 18.” In effetti si ripristina il principio della “tutela reale” comprensiva del reintegro del lavoratore in caso di servizi da riaffidare. Si tratta in realtà di una fattispecie che, nel Ccnl Multiservizi, è già disciplinata dall’articolo 4, ma al di là del merito, come dicevamo, ci interessa il metodo: l’esperienza di Bologna apre una strada per “uscire”, in senso migliorativo per le tutele del lavoro, dai vincoli del Jobs Act. La legge, e ci riferiamo ovviamente all’applicativo sulle Tutele crescenti in vigore da marzo (23/2015), non vieta infatti deroghe in melius, cioè più tutelanti per il lavoratore. Sul blog di Pietro Ichino (www.pietroichino.it), si legge proprio a proposito di una domanda sulla disciplina del licenziamento relativa al Job Act: “La disciplina legislativa della materia del licenziamento
è inderogabile in pejus, cioè non può essere sostituita validamente da una disciplina contrattuale meno protettiva per il lavoratore. Ma nulla vieta che essa venga integrata da disposizioni negoziate tra la persona interessata e il nuovo datore di lavoro, che aumentino la sua stabilità. Già oggi, per esempio, è del tutto valida la pattuizione con cui il lavoratore che si sposta da una azienda a un’altra ottiene di essere esentato dal periodo di prova; oppure ottiene la rinuncia del nuovo datore di lavoro a esercitare la facoltà di recesso per un determinato periodo (c.d. clausola di durata minima); oppure ancora ottiene che il preavviso di licenziamento venga allungato. Allo stesso modo, nulla vieterà domani che la persona interessata pattuisca con il nuovo datore di lavoro il riconoscimento di una anzianità convenzionale, cui corrisponderà un costo di licenziamento più elevato per l’impresa. Un’altra soluzione possibile – con il consenso del vecchio datore di lavoro – consiste nella cessione del contratto da quest’ultimo al nuovo, con conseguente prosecuzione del rapporto a tutti gli effetti, senza soluzione di continuità, con conservazione da parte del lavoratore dell’anzianità maturata nell’azienda dove ha lavorato fino a quel momento. Nella cessione del contratto, che implica un accordo a tre - oltre ai due datori di lavoro, deve parteciparvi anche il prestatore -, ben può essere pattuita anche la rinuncia a superminimi goduti nella vecchia azienda, oppure viceversa la loro sostituzione con benefici di diversa natura o funzione, così come il passaggio dal contratto collettivo ap-