Accademia Europea di Bolzano (EURAC), Bolzano Europäische Akademie Bozen (EURAC), Bozen Klaus Kada È emblematico che a dare un significato nuovo a un organismo edilizio simbolo del passato regime fascista sia stato il progettista vincitore di un concorso internazionale, l’austriaco Klaus Kada; ed è indicativo che questo concorso sia stato il primo ad inaugurare un modo di procedere che poi è diventato comune per decidere come cambiare il volto delle città del Sudtirolo con nuovi interventi architettonici e urbanistici – nel 2013, con un altro concorso, si cerca una soluzione progettuale coerente per un ulteriore ampliamento di spazi dedicati ad uffici e laboratori. Il complesso, costruito negli anni Trenta presso il ponte Druso, nella zona di espansione italiana, è quello che ospitava la struttura della GIL (Gioventù Italiana del Littorio), con palestra, uffici, aule, torre, portico, auditorium e campo per esercitazioni ginniche; progettato dagli architetti padovani Francesco Mansutti e Giuseppe Miozzo secondo i principi dell’architettura razionalista. L’organismo edilizio, fortemente degradato, doveva essere demolito, ma il suo destino è cambiato quando è stato sottoposto a vincolo come bene storico da tutelare, e, soprattutto, quando nel 1995 la Provincia Autonoma di Bolzano ha deciso di trasformare il vecchio complesso nella nuova sede di un centro di ricerca e formazione europeo 1. Klaus Kada, il progettista vincitore del progetto, ha puntato a rispondere alle esigenze espresse dal bando – mettere in primo piano i ricercatori e farli sentire a proprio agio in una struttura aperta verso l’esterno, dotata di ampi spazi e organizzata funzionalmente –, ideando una nuova architettura in vetro, acciaio, cemento, che si innesta sul vecchio complesso del Novecento, restaurato e riproposto nel colore rosso pompeiano originario: e quanto sia stata coraggiosa la scelta del progettista di ripristinare anche il colore lo dimostra il fatto che, un tempo, l’intonaco rosso distingueva fortemente il complesso razionalista
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nel panorama della città, perché lo rendeva percepibile anche da lontano; ed è significativo che, proprio per questo, dopo la guerra, sia scomparso, trasformandosi in un colore neutro per allontanarsi il più possibile dalle origini dell’epoca fascista. La torre è stata restaurata; la palestra è diventa biblioteca; il nucleo centrale ad elle è stato organizzato in ambienti per seminari; il portico è scomparso per fare posto ad un volume trasparente, con ingresso, spazi per convegni, caffè e foyer per l’auditorium sospeso che è ritornato alla funzione originaria. Ma il progetto esprime una nuova energia proprio nel contrasto tra i volumi compatti e opachi dell’architettura razionalista e i volumi trasparenti aggiunti, che si lasciano attraversare dalla luce, dal rosso vivo delle facciate restaurate, dal verde della vegetazione circostante. All’interno di un patio piantumato, il vecchio volume della biblioteca si è duplicato in un nuovo parallelepipedo per uffici e spazi per la ricerca, con testate compatte di cemento e pareti longitudinali esterne ed interne trasparenti, completamente permeabili nei confronti dell’illuminazione naturale e della godibilità della vista del giardino interno. Nella biblioteca e nel nucleo centrale, le vecchie pareti esterne, che non potevano più assolvere in sicurezza alla funzione portante, talvolta si sono trasformate in pareti interne, in altri casi, si sono appoggiate a nuove strutture in acciaio, in un passaggio tra opacità e trasparenza su cui si gioca l’efficacia dell’insieme della nuova architettura. Il progetto amplifica la scelta urbanistica delle origini, che aveva organizzato il corpo centrale su un grande spazio libero aperto sull’importante asse di viale Druso, e ne valorizza la localizzazione, particolarmente felice dal punto di vista ambientale, in vista della zona verde in cui i due
fiumi della città si unisono: ad est, chiude infatti la piazza sulla strada con un nuovo volume vetrato sospeso su colonne, che scende poi alla sponda del Tàlvera con un tratto di parete trasparente che rende la struttura partecipe del tessuto della città e dell’ambiente naturale. Dalla torre restaurata, su cui si può salire per spaziare con la vista sulla città e sulle montagne, si può anche osservare la batteria di collettori solari con tubi a vuoto installati sulle coperture dei vecchi edifici, che contribuiscono ad alimentare il termorefrigeratore ad assorbimento a cui è affidata la climatizzazione del complesso 2. Il funzionamento energetico è basato anche sull’energia passiva del sole, che in inverno riscalda in maniera diretta i volumi protetti dalla doppia pelle vetrata dei nuovi volumi e nei periodi caldi li rinfresca per effetto camino tramite l’apertura comandata elettronicamente di elementi mobili posizionati in alto. Ed è così che questa struttura, in cui si legano vecchio e nuovo, coinvolge per contrasto nei suoi diversi aspetti: nei materiali, opachi e trasparenti; nelle modalità di intervento, restauro e applicazione di tecnologie innovative; nei valori di riferimento, razionalismo dell’epoca fascista e architettura della società contemporanea.
L’EURAC (Accademia Europea di Bolzano) è una istituzione nata nel 1992 per svolgere attività di ricerca e formazione in cinque aree specifiche: linguistica applicata, minoranze ed autonomie, sviluppo sostenibile, management e cultura d’impresa, scienze della vita. Danno vita ad EURAC 10 istituti, in cui lavorano ricercatori di 15 diversi Paesi europei.
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L’organismo è caratterizzato da un impianto termotecnico complesso, formato da unità trigenerativa per approvvigionamento termico ed elettrico, impianto di raffrescamento solare con macchina ad assorbimento, unità di ventilazione e collettori solari termici, impianto fotovoltaico e ventilazione controllata. (Progettazione energetica Erwin Mumelter e Michele Carlini).
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