Città dei Mille GiugnoLuglio 2014

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Le parodie più celebri? «Sicuramente "Dai ciama 'l Piero" da "Ai se eu te pegu", "Orobian Rhapsody" dal capolavoro dei Queen "Bohemian Rhapsody", il tormentone "Dom che n'va a rasga" da "Gnam Gnam style". Bisogna stare alla metrica del pezzo, perché la parodia deve assomigliare il più possibile all'originale. Bergamasco a parte». Un gioco di prestigio. «L’ascoltare deve essere “trasportato” dal pezzo e quasi non accorgersi che si passa da una lingua all'altra. Certo, ciò significa che sul livello semantico si può essere costretti a scendere a compromessi». Cosa fa nella vita di tutti i giorni? «Il grafico. Ho un mio studio». Formazione? «Ho fatto il liceo e l'università di Lingue qui in Città Alta, ma non mi sono mai laureato. Però il tema della lingua è entrato di diritto nelle mie canzoni. Credo che il dialetto bergamasco non sia un segno di chiusura ma d'apertura: saperlo non dev'essere motivo di vergogna, come accade spesso tra i giovani. Dipende come lo si usa, il bergamasco. Io gioco sulla contrapposizione inglesebergamasco bypassando, nella maggior parte dei casi, l'italiano. Per provocazione». Cioè? «Il giovane, soprattutto di città, che non sa o non vuole parlare bergamasco, spesso non sa bene l'inglese. Allora ho fatto delle lezioni situazionali di "Bergamenglish" in cui fornisco diverse frasi, in un certo contesto, in bergamasco e in inglese. Finiscono per essere una a vantaggio dell’altra». Progetti in cantiere? «Ho un paio di canzoni su cui voglio lavorare, una delle quali molto difficile. Poi c'è la realizzazione dei video: spesso faccio dei veri e propri videomontaggi, come quando sono andato a ritirare l'Oscar... Per i più complessi ci impiego qualche giorno. I doppiaggi di spezzoni di film mi portano via un'ora al massimo». Il suo segreto. «Essere sempre ricettivo, una spugna nei confronti di quello che ti circonda. Quandi vedi una situazione che può essere facilmente travisabile e ribaltabile bisogna tenere le antenne alzate».

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