ARCHI TETTURA 6
UnnostranoCentralPark
ABBAZIA DI CHIARAVALLE DI FIASTRA PRESSO URBISAGLIA La Riserva Naturale e lo “spirito” degli edifici
di Eleonora Crucianelli “Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà”. San Bernardo. Chissà quanti altri maceratesi, oltre la sottoscritta, avranno avuto questo luogo come prima meta delle uscite didattiche fin dalla scuola elementare. Perché i 1 825 ettari di Riserva Naturale raggiungibili in pochi minuti di auto fanno dell’abbazia di Fiastra una delle destinazioni più ambite non soltanto per le passeggiate domenicali degli abitanti limitrofi ma anche per tante scolaresche in gita. Preservata nella sua unicità naturalistica e mantenuta in modo esemplare da trecento anni dalla Fondazione Giustiniani Bandini questo gioiello dell'architettura cistercense è uno dei più importanti per ruolo storico economico e per stato di conservazione. Costruita con le antiche pietre romane di Urbs Salvia, la chiesa è il frutto di una realizzazione a più riprese capaci di fornire una serie di curiosi particolari su cui soffermarsi durante la visita. Fondato tra il 1 1 40 ed il 1 1 44, questo nostrano Central Park, abitato dapprima da dodici monaci francesi direttamente giunti da Milano, divenne presto sede di cento conversi - incaricati di attività pratiche come la coltivazione dei campi- la cui presenza fu determinante per l’organizzazione del complesso. È a questa prima fase costruttiva che probabilmente appartiene l'impianto perfettamente in linea con il modello standardizzato delle architetture cistercensi ed i due corpi ad Est ed Ovest del chiostro. L'abbazia infatti visse un periodo felice, tutelata dall’Impero e sottoposta alla Sede Pontificia, fino al 1 422 anno in cui le ragioni politiche di Braccio da Montone in corsa verso la conquista di Fermo ne decretarono la distruzione di navata e transetto. Il cambio di rotta dello stile architettonico, conseguenza inevitabile delle operazioni ricostruttive, è evidente nella presenza di elementi che rimandano allo stile locale ed a quello delle maestranze lombarde che se ne occuparono. Questa seconda fase più decorativa porta dunque con sé una serie di espedienti che ne ingentiliscono l'aspetto. Narra la leggenda che ad indicare a san Bernardo il luogo in cui fondare l’abbazia di Chiaravalle Milanese fosse stata una cicogna. Riportato sullo stemma lombardo, questo uccello è facilmente riconoscibile anche all’interno della chiesa abbaziale nostrana. Se entrate nella navata e la percorrete fino al quarto pilastro sud, potrete scorgere infatti sul suo capitello un volatile simile ad una cicogna rivolto verso tre gigli trifidi. Una decorazione con profonda allusione
simbolica che, coeva a quella del pesce eucaristico e del drago demoniaco che potrete individuare sugli altri capitelli, pare risalire appunto ad una seconda fase costruttiva. Ad un osservatore acuto non sfuggiranno le molteplici apparenti anomalie all'interno della chiesa e del refettorio. Quest’ ultimo, definito come “uno dei più sottilmente spiritosi edifici cistercensi”, è infatti dominato dalla presenza di materiali romani di spoglio reimpiegati in posizione impropria (basi di colonne usate come capitelli, tratti di trabeazione usati come basi) e addirittura di due capitelli corinzi antichi. Al di sotto dell'area Est della sagrestia un sistema di grotte aveva la funzione di stoccaggio delle derrate e del vino prodotto mentre al centro del chiostro un pozzo posizionato sopra un’ampia cisterna testimoniano la maestria delle tecniche idrauliche dei monaci. La conformazione ibrida degli esterni realizzati in diverse fasi è perfettamente leggibile anche all'interno della chiesa: costruita a partire da Est essa racconta un cambio di progetto in fase di realizzazione. Con la ripresa compaiono infatti una serie di pilastri deboli e forti alternati che caratterizzano il singolare aspetto della navata centrale e che avrebbero sotteso alla presenza di una serie di volte a crociera costolonate (esattamente come in Chiaravalle della Colomba nel Piacentino) sostituite invece da soffitto in legno con travi a vista. La solenne brutalità del mattone spoglio sembra entrare in sintonia con la maestosa natura in cui l’architettura è immersa e fa della visita a questo luogo un’occasione unica di rinfrancare spirito e corpo e di allontanarsi anni luce dal quotidiano per immergersi nella quiete di un’antica atmosfera monastica.