MARZO/APRILE 201 5 - ANNO 2 - N° 4/5 - Aut. Tribunale di Ascoli Piceno: 400/201 4
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Editoriale
E' PRIMAVERA
Politici in cerca di approdo e il lavoro che manca di Massimo Consorti È primavera. Se volessimo essere spiritosi potremmo dire “svegliatevi bambine”, ma noi abbiamo il Colle dell'Infinito e le Cascine sono lontane, dall'altra parte dell'Appennino, tutta un'altra storia. Luca Ceriscioli è il candidato del PD a governatore delle Marche. Ceriscioli si è autodefinito il “cambiamento”. Con l'aria che tira, perfino chi rappresenta l'area conservatrice dei Democratici si definisce “cambiamento”. Da quando c'è Renzi è diventato tutto maledettamente più difficile, compreso vivere felicemente di politica fino all'età della pensione galleggiando fra un ente subcomunale, un consiglio di amministrazione di qualche partecipata, la presidenza degli enti e delle associazioni collegate direttamente al vecchio apparatnik dei Pci-Pds-Ds, e la monnezza. C'è carriera e carriera, ma il tempo ormai è finito e riciclarsi continuamente come se le primavere si fossero fermate è difficilissimo, forse addirittura antistorico. Dall'altra parte la destra intera, e qualche ammennicolo, si è stretta intorno al progetto 2020 di Gian Mario Spacca e dicono: “Il momento è ora. Bisogna parlare di programma e di progetti”. Ma Spacca non è stato il governatore dei PD per due mandati e ne vuole un terzo? Ma forse è perché gli hanno detto di no che si è incontrato immediatamente con quel che resta del Centrodestra casiniano. La coerenza in politica è come lo Spirito, soffia dove vuole fino a quando il vento gli tiene le ali aperte. È primavera e c'è stata la festa delle donne. Però solo l'8 marzo, non un giorno di più che potrebbe creare qualche fraintendimento. Il tempo delle mimose è passato, anche perché ogni anno fioriscono prima e l'8 si trovano solo quelle che vendono gli indiani che colgono chissà dove. Non è più tempo di festeggiamenti perché i dati statistici ci dicono che i casi di violenza sulle donne sono in netto aumento, leggete l'articolo di spalla di Rosita Spinozzi e sarà tutto più chiaro. Sembra di vivere in un film dal titolo “Uomini che odiano le donne”, soprattutto quando le donne decidono di lasciarli perché non ne possono più. È primavera ma solo come stagione segnata dal tempo e dalle convenzioni. CNA e Confartigianato Marche ci dicono che le imprese (201 3/201 4) sono scese di 2804 unità mentre al contrario sono aumentati gli occupati che fanno segnare un più 24mila di tutta speranza. In controtendenza rispetto al dato nazionale, le Marche si trovano però puntualmente allineate rispetto al numero di coloro che non scelgono più, che hanno alzato bandiera bianca, che si sono arresi rispetto a un mercato del lavoro che li rifiuta a prescindere. Sono passati da 20.61 1 a 23.061 e non sappiamo come abbiano trascorreranno le feste comandate. In tutta Italia stanno sequestrando hotel di lusso e altri beni che appartengono alla 'ndrangheta: ma siamo proprio sicuri che le Marche ne siano esenti? Il nero vince, il nero vincerà sempre. Parliamo di lavoro, ovviamente.
Noncisono sololemimose
DENUNCIARE PER TORNARE A VIVERE
La dignità passa attraverso la consapevolezza di essere donna fino in fondo di Rosita Spinozzi
Ormai è un luogo comune considerare marzo il mese della donna. Un tripudio di mimose, animi spesso ingabbiati che per una sera lasciano libero sfogo all’euforia e, nel migliore dei casi, qualche parola spesa in ricordo della tragedia da cui nel lontano 1908 ha tratto origine questa festività. A noi piace pensare all’universo femminile e alla sua forte identità non solo a marzo ma per tutto l’anno, nella consapevolezza del fatto che i media ogni giorno ci mettono di fronte a una atroce realtà: la violenza sulle donne è un fenomeno che dilaga in maniera esponenziale. Un fenomeno presente e in crescita anche nelle Marche, come testimoniano i dati del rapporto annuale curato dall’Osservatorio Regionale delle Politiche Sociali e condiviso con le operatrici dei cinque Centri Anti Violenza delle Province di Ancona, Ascoli Piceno, Fermo, Macerata, Pesaro e Urbino. Promossi e sostenuti dalla Regione Marche, i CAV si trovano ad Ancona (Associazione Donne e Giustizia), Ascoli Piceno (Consultorio Familiare), San Benedetto del Tronto (Consultorio Familiare), Fermo (Sede PAT di Villa Murri, Sede di Sant’Elpidio a Mare e Sede di Fermo presso l’Ambito Sociale XIX), Macerata (Centro ‘SOS donna’), Pesaro-Urbino (Centro Antiviolenza ‘Parla con noi’) e sono a disposizione di tutte le donne italiane, straniere o apolidi, vittime di violenza, maltrattamenti fisici e psicologici, stupri e abusi sessuali. Tali sedi garantiscono informazione, ascolto, accoglienza, soccorso tramite prestazioni a titolo gratuito, che si identificano soprattutto in assistenza informativa e psicologica, assistenzaconsulenza legale, interventi di supporto in rete, iniziative culturali e sociali di sensibilizzazione sul fenomeno in collaborazione con enti pubblici e privati. I ‘contatti’ presso i CAV delle Marche nell’anno 2013, registrati dalle schede di ingresso, sono stati 439 rispetto ai 307 del 2012, e le Province più interessate a questo andamento sono state Fermo, dove i contatti risultano triplicati
(22 nel 2012 e 70 nel 2013); Macerata (46 nel 2012 e 72 nel 2013), Pesaro e Urbino (71 nel 2012 e 110 nel 2013), Ancona (126 nel 2012 e 147 nel 2013). Un incremento di attività che potrebbe essere attribuito alla maggiore visibilità di questi servizi sul territorio, considerando anche il fatto che i dati in corso di progressiva acquisizione per il 2014 presentano un trend in aumento. A chiedere aiuto sono le donne tra 53 e 34 anni, coniugate (44%), italiane (75%), con figli (70%), soprattutto minorenni (47%). Palma Del Zompo, Consigliere comunale per le Pari Opportunita' di San Benedetto del Tronto, ci dice che: “I numeri delle vittime di femminicidio sono di quelli che suscitano ogni volta indignazione, sorpresa, sgomento. Ma poi, passato il momento, passate le campagne di sensibilizzazione, che cosa rimane nel concreto di tutto ciò? La risposta delle istituzioni è adeguata? Se pensiamo che il 51,9 delle 179 donne uccise nel 2013 avevano segnalato o denunciato le violenze subite prima della loro uccisione, la risposta è ovviamente negativa, e allora? Le leggi, che pure ci sono, se non sono sostenute da un radicale cambiamento della mentalità maschile che scardini l'idea di possesso (implicita per molti) insita nei legami affettivi, non bastano evidentemente ad arginare i maltrattamenti, le violenze fisiche e psichiche che spesso precedono per molto tempo l'atto delittuoso finale. La Regione Marche ha deliberato la costituzione di Centri Antiviolenza in ogni sua Provincia . Ma gli stanziamenti sono tali da rappresentare una risposta vera alle esigenze riscontrate? Esiste una unica "casa di prima accoglienza" in tutta la Regione, a Pesaro, per 5 persone, donne in situazioni di estremo pericolo, magari con figli minori. Allora non bastano più le buone intenzioni, neanche le buone leggi se non sono sostenute da un adeguato finanziamento e da concrete prese di posizione per arginare un fenomeno inaccettabile qual è il femminicidio”. Mai restare in silenzio quando c’è qualcuno che osa colpirci nella nostra integrità fisica e psicologica, perché a fronte delle molte donne che decidono di denunciare le violenze subite, ce ne sono moltissime altre che preferiscono tacere e piangere fra le mura di casa, magari abbracciate ai figli. Una violenza resta una violenza e l'unica soluzione è denunciarla.
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NEWS Haydn, Schubert, ET e Superman
L'APRILE CLASSICO NELLE MARCHE Tiraariadimacroregione. LeMarcheel'Abruzzo insiemenellaFilarmonica dell'Adriatico di Giovanni Desideri
Dai solisti all’orchestra. Anche il mese di aprile sarà denso di appuntamenti per gli appassionati di musica classica, da Pesaro ad Ascoli. La Filarmonica dell’Adriatico (formata dall’Orchestra marchigiana insieme all’Istituzione Sinfonica Abruzzese), direttore Giuseppe Ratti, propone un omaggio a John Williams, dal titolo “Star Wars & more”: il 9 aprile ad Ascoli, il 1 2 a Fabriano (ore 1 7), il 1 3 ad Ancona. Musiche da Star Wars, Indiana Jones, Harry Potter, Schindler’s List, ET, Superman. La Filarmonica marchigiana propone altri programmi nel corso del mese. Insieme al direttore Hubert Soudant, musiche di Haydn (Sinfonia n. 94) e Schubert (Sinfonia n. 2): il 1 8 a Jesi, il 20 a Macerata. Con i solisti dell’Accademia d’arte lirica di Osimo (soprani Anna Goma Curtiella e Yukie Ishioka, tenore Takaya Ehara, baritono Takahiro Shimotsuka), direttore Daniele Rossi, “Il mondo di Schubert” (lieder trascritti per orchestra e seconda sinfonia): il 22 a Osimo, il 23 a Chiaravalle. Prosegue poi la tournée “Danilo Rea meets FORM”, arrangiamenti e direzione Stefano Fonzi. Musiche di Čajkovskij, Ravel, Puccini, Mozart, Rea: il 28 a Macerata, il 29 a Jesi, il 30 ad Ascoli. Il 7 aprile al Teatro Rossini di Pesaro il Trio Diaghilev (Mario Totaro pianoforte, Daniela Ferrati pianoforte, Ivan Gambini percussioni), con musiche di Totaro, Bernestein, Gershwin. Il 1 7, Gloria Campaner pianoforte, musiche di Schumann, Rachmaninov, Skrjabin. Il 6 maggio, l’Orchestra filarmonica marchigiana, diretta da Federico Mondelci, esegue il quarto Concerto per pianoforte di Rachmaninov (Jayson Gillham solista) e il primo di Čajkovskij (Alexander Ullman). Sabato 1 8 aprile al Teatro Sperimentale di Ancona, Roberto Prosseda al pianoforte, Gabriele Pieranunzi al violino, Francesco Fiore alla viola, Shana Downes al violoncello, eseguono, di Mendelssohn, il Trio in do min. e i Quartetti per pianoforte e archi n. 2 e 3 (www.amicimusica.an.it). Nella Sala dei Ritratti di Fermo, domenica 1 2 aprile alle ore 1 8, “Da Bach a Moskowski: le infinite versatilità della fisarmonica”. Solista Samuele Telari (premio Milano 201 4). Al Teatro della Fortuna di Fano, in esclusiva regionale, sabato 2 (ore 21 ) e domenica 3 maggio (ore 1 7), la Carmen di Bizet, adattamento Enzo Moscato e Mario Martone, con Iaia Forte e Roberto De Francesco, e l’Orchestra di Piazza Vittorio, regia dello stesso Martone, direzione musicale Mario Tronco, che ha curato l’arrangiamento musicale insieme a Leandro Piccioni (www.teatrodellafortuna.it).
LaprimaedizionecuratadaPedasoe daicomunidellaValdaso
GIRO D’ITALIA RUNNING, SI PARTE DALLE MARCHE
Le Marche si apprestano a dare il benvenuto alla prima edizione del Giro d’Italia Running, organizzato dalla Speedflash Team ASD in collaborazione con la UISP, che sarà valido anche come Campionato Nazionale UISP corse a tappe. Una vera chicca per gli appassionati della corsa e in particolare dei giri podistici a tappe, nonché una novità
per quanto riguarda la zona di svolgimento che comprende l’area dell’Unione Comuni Valdaso, ovvero Altidona, Campofilone, Lapedona, Montefiore dell’Aso, Monterubbiano, Moresco, Pedaso. Comuni legati tra loro sotto il profilo dell’amministrazione, del sociale, del turismo e della protezione civile. Programmata dal 31 maggio al 2 giugno, la prima prima edizione del Giro d’Italia Running si pone l’obiettivo di spaziare su tutto il territorio italiano, spostandosi anno dopo anno nelle varie regioni. Non mancherà, inoltre, l’aspetto glamour sancito da una kermesse di bellezze nostrane con l’elezione di Miss Running, concorso ideato dal gruppo Speedflash grazie alla collaborazione di vari partner (Giletti calze tecniche per lo sport, Speedflash Compression, Senso Unico, IceKey, Dive d’Estate, Biscottificio Orlandini), che andranno poi ad affiancare anche il Giro a Tappe, la cui sede organizzativa è Pedaso. Le località che verranno direttamente interessate dalle tre prove, invece, saranno Pedaso, Campofilone e Altidona. Nel dettaglio, questa prima edizione del Giro d’Italia Running presenterà domenica 31 maggio la sua prima tappa di 1 2.650 km da Pedaso a Pedaso con partenza alle ore 8,45; la seconda tappa Pedaso-Campofilone-Pedaso di 1 8.600 km è prevista il 1 giugno con il via alle ore 8, mentre la terza di 9.600 km si svilupperà il 2 giugno alle ore 8,1 5 con partenza e arrivo ad Altidona. È incluso il servizio cronometraggio con chip da parte del gruppo Dream Runners. Essendo la prima edizione, il gruppo organizzatore ha limitato il numero dei partecipanti a 300 iscritti. In conclusione, oltre all’impegno puramente sportivo, il Giro d’Italia Running può rivelarsi una buona opportunità per conoscere un territorio come la Valdaso dove ospitalità, turismo e gastronomia sono elementi di grande attrattiva. E se il meteo non fa le bizze, il Giro può essere considerato anche un motivo in più per trascorrere un weekend tra mare e colline, in un luogo in cui sventola dal 201 4 il riconoscimento turistico ambientale della Bandiera Blu. (rs)
Nottedell’OperadiMacerata conallestimento dell’AccademiadiBelleArti
MACERATA IN RIGOLETTO di Rosita Spinozzi Sarà l’Accademia di Belle Arti di Macerata a curare la progettazione e la realizzazione dell’allestimento della Notte dell’Opera, grande festa della lirica in grado di coinvolgere non solo l’intera città, la sera del 30 luglio, ma anche di mostrare il suo potenziale creativo. Il titolo di riferimento di quest’anno è il Rigoletto. A tal proposito, il docente di scenografia Enrico Pulsoni ha presentato alcune proposte per decorare la città e i negozi, un primo kit di allestimento per rendere la serata ancora più coinvolgente. L’idea è quella di usare la cartapesta per realizzare oggetti da tavola, festoni per le vetrine degli esercizi commerciali e per le tavole imbandite lungo le strade cittadine. Non a caso l’allestimento principale sarà una tavola da banchetto che si snoda lungo il centro storico, in corso Cavour e corso Cairoli, dando così la sensazione di partecipare a una festa rinascimentale ispirata al Rigoletto. Alla ricca tavolata si aggiungeranno decorazioni all’interno dei negozi, come pure all’esterno, con i personaggi dell’opera di Giuseppe Verdi e altre figure riprodotti tridimensionalmente in formato gigante.
Alla realizzazione di tutti gli allestimenti, concordati con il comitato della Notte dell’Opera, penserà l’Accademia di Belle Arti con i suoi studenti che, in laboratorio, daranno libero sfogo al loro estro e alla bravura che li contraddistingue. “Abbiamo un partner molto importante per questa iniziativa: l’Accademia che, con competenza e professionalità, potrà conferire un valore ancora più alto a questa meravigliosa festa”, ha affermato l’assessore alla cultura Stefania Monteverde, “Alcune proposte di allestimento sono già state mostrate ai commercianti e, nella prima settimana di marzo, andremo nei tre quartieri coinvolti nella Notte dell’Opera per conoscere i loro progetti e passare alla fase operativa di preparazione”. Appuntamento imperdibile dell’estate marchigiana, la Notte dell’Opera di Macerata lo scorso anno ha catturato l’attenzione di circa 50.000 persone. Fervono i preparativi per la grande festa della lirica, che tornerà anche quest’anno ad animare la città e i suoi quartieri, coinvolgendo gli abitanti, i turisti ed il pubblico dello Sferisterio. In programma parate in costume, musica, teatro, danza in tutti i quartieri e gran finale a mezzanotte in Piazza della Libertà. 3
TURI SMO
Appuntamento storicodell'OttavadiPasqua
IL CAVALLO DI FUOCO QUELLA CASCATA DI SCINTILLE PORTAFORTUNA
Iviaggi delpoeta
VISITANDO MARANO
Dal 1 682 l'equino di Ripatransone è l'evento per eccellenza per gli abitanti e i turisti provenienti da tutta Italia di Rosita Spinozzi
Galoppa nei secoli il Cavallo di Fuoco, manifestazione folcloristica che ogni anno si svolge a Ripatransone durante l’Ottava di Pasqua, per arrivare ai nostri giorni mantenendo immutato il suo alone leggendario che, il 1 2 aprile, è tornato a incantare un numero sempre più alto di turisti e visitatori. La storia della sagoma equina più famosa del Piceno affonda le sue radici nel tempo, precisamente nella domenica in albis del 1 0 maggio 1 682, quando la Confraternita della Madonna di San Giovanni diede incarico a un fuochista di Atri di organizzare qualcosa di speciale per onorare il giorno della solenne incoronazione del simulacro della Madonna di San Giovanni. Al termine del lavoro il fuochista improvvisò uno spettacolo con il suo cavallo e, utilizzando il materiale pirotecnico che gli restava, fece schizzare in aria lingue di fuoco e altre ‘bizzarrie’. L’idea piacque subito ai ripani tanto che l’anno successivo alcuni cittadini, memori di ciò che era accaduto, rievocarono l’episodio segnando così la nascita di una lunga tradizione destinata a non scomparire mai più, ad eccezione delle cinque edizioni saltate durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale. Con molta probabilità fino al 1 700 si continuò a rievocare il Cavallo con un animale vero e, dopo quello cavalcato da Pietro Marenzi nel 1 701 , seguirono una sagoma di legno del peso di 65 chili portata a spalla dal ripano più robusto fino al 1 932; successivamente un modello posto su due ruote e trainato con un lungo timone, per poi arrivare al 1 994 con un nuovo Cavallo ricostruito in lamiera di ferro dall’artigiano ripano Umberto Nucci. Quest’ultimo modello (peso di 2,5 quintali per una lunghezza di 3 metri e altezza di 2,5), genera fuochi molto più spettacolari rispetto ai precedenti ed è soprattutto grazie ad esso che l’afflusso di persone a questa manifestazione è cresciuto in modo vertiginoso. Fra le celebrazioni dell’Ottava di Pasqua, il Cavallo di Fuoco è inserito come manifestazione civile ma, nonostante ciò, rimane una festa essenzialmente religiosa tanto che la sua organizzazione è demandata alla Confraternita della Madonna di San Giovanni. L’evento si svolge al calare dell’oscurità nelle Piazze Condivi e Matteotti, seguendo un rituale ormai consolidato nel tempo che vede il Cavallo arrivare davanti al Duomo, passando per la circonvallazione panoramica della città. In Largo Speranza la sagoma equina incontra il Corpo Bandistico ‘Città di Ripatransone’, al suono della tradizionale Marcia n.23 del maestro Vincenzo Guarino. Dopo un breve giro di ricognizione nelle Piazze, viene spenta la pubblica illuminazione e azionato il meccanismo dei fuochi artificiali con tanto di ‘baffi’ (scintille che piovono a sorpresa sulla folla dai due fianchi del Cavallo), e ‘girella’ (corona di petardi che rotea dalla testa del finto animale e conclude le proprie evoluzioni nel cielo). La traiettoria dei fuochi è imprevedibile: alcuni salgono al cielo, altri partono paralleli alla strada, ma le scintille non sono pericolose tanto che esserne ‘bagnati’ porta fortuna. Particolarmente intensa è la detonazione che segna il termine ultimo della rievocazione, e dell’intera ricorrenza. “Si tratta di uno spettacolo sicuro, che richiede ai partecipanti un contegno civile ed educato”, afferma il sindaco Remo Bruni, sottolineando la popolarità del Cavallo tradotta anche nella vendita di gadget ufficiali tra cui felpe, berretti e bandane, mentre uno degli apprezzati vini locali è stato denominato Cavallo di Fuoco. “Oltre ad essere il simbolo concreto dell’immutabilità delle tradizioni, il Cavallo di Fuoco è anche un momento di notevole aggregazione della popolazione cittadina, compresa quella emigrata che torna appositamente al luogo di origine per assistere alla più spettacolare festività ripana”. Ma a ‘sentire’ il Cavallo sono soprattutto i giovani che, oltre ad accompagnarlo insieme alla Banda lungo il suo tragitto, dal 2005 hanno concretizzato l’attesa per la manifestazione con una veglia del sabato durante la quale si esibiscono alcuni gruppi musicali emergenti. Altro elemento degno di nota è il traguardo davvero speciale raggiunto dall’evento, ovvero il riconoscimento di ‘Patrimo4
Un nuovo silenzio
nio d’Italia per la tradizione’, l’unico assegnato alle Marche nel 201 1 dall’allora ministro del turismo Michela Vittoria Brambilla, quale espressione della capacità di promuovere il turismo e l’immagine nazionale, di valorizzare la storia e la cultura del territorio con un’interpretazione adeguata ai tempi odierni. Resiste nei secoli il Cavallo di Fuoco, ma resterà sempre giovane e non morirà mai perché a tenerlo in vita è il cuore di tutti i ripani.
di Enrica Loggi Arriva il sole sulle pietre nude di Marano, quasi primavera. Gli antichi muri sorreggono dall’alto la sua sagoma: un merletto di piccole strade che la percorrono in salita e in discesa, seminandosi un po’ dovunque come le dita di una mano. E’ fresca l’aria, calde e selvagge le visioni che abbracciano fino al mare, come una benedizione nell’azzurro che dall’alto si fa padrone: mare, cielo, mura. Percorro queste strade lasciandomi condurre dal loro forte silenzio verso abbaglianti direzioni, il loro terminare e spegnersi nel fragoroso panorama. Che cosa vogliono dirmi queste antiche mura, questi archi che accolgono chi guarda in un immanente disegno e portano altrove, verso il limitare ingenuo di un sogno rivestito di sole, narrato da nessuno eppure vivente, a ridosso di uno schema che si disegna da più angoli, lambisce candidamente il paese. Potremmo chiamarlo un nuovo silenzio, una frase ininterrotta che si disegna e si scioglie nei folti alberi di pino, a formare l’intenso verde di questo antico borgo (che è il Paese Alto di Cupramarittima), insieme ai cipressi che si affollano, durevoli e carichi di un verde cupo che aggiunge alla strada d’ingresso del paese un parlare misterioso, un fascino avvolgente. Mi fermo ad ascoltare, a immaginare il lungo tempo che è passato tra queste severe, ruvide architetture, e vi ha riversato le sue muraglie cariche di peso arboreo, come un non detto che pure si dispiega e parla. È un sentore di stagione nuova, raggiunto dai nostri sguardi eppure fermo lì da secoli, a sorridere e chiudere gli occhi, per affidarci alla greve bellezza di cui sono cariche queste mura. Proprio per questo sforzo di risorgere, sonnecchia il paese o ci guarda ad occhi tremuli, si fa percorrere alla ricerca delle sue chiese, paradossi taciturni che racchiudono l’una un bellissimo Presepe Poliscenico Permanente, l’altra un’effigie mariana che mi sono abbandonata a ricordare, risalendo nel tempo di una precedente visita. Sono per l’esattezza la Chiesa della Santissima Annunziata e di S. Maria in Castello. Entrambe sorgono nel cuore del borgo, e si dispongono graziosamente l’una al suo margine scosceso, l’altra lungo la via centrale. Non suonano le campane per questa domenica, rivelato giorno di sole, ma è tutta Marano a squillare di luce, arrampicandosi perdutamente verso un cielo di carta velina, guardando in basso il mare vagheggiato fortemente. Il dato naturalistico e quello selvaggio percorrono tutto il luogo, conducendoci fino al Museo Archeologico del Territorio (con le sezioni preistorica, picena, romana). Salire, scendere, avvolgersi: questo il cammino silente delle stradine scalfite dagli archi, dalle Torri d’avvistamento medioevali che si dispongono all’ingresso e all’uscita di questo dedalo austero, sfidando chi entra e chi esce dal Paese, via via narrandogli la sua saga attraverso un palese e misterioso divenire, attraverso i muschi che incorollano il pavimento antico delle vie, oppure posano accanto alle mura, per un dettato segreto che ci lascia, una volta usciti dalla piccola Marano, carichi della sua vaga storia e insieme purificati dall’aria sana del suo Belvedere, tranquilli come bimbi e insieme come vecchi viandanti accarezzati dai soffi dell’aria di ogni tempo.
TUTTO BUONO E ABBONDANTE
Quante volte ci siamo affidati ai pareri di amici per scegliere la vacanza o anche solo il ristorante. Il passaparola, anche nel ventesimo secolo, rimane un fattore che incide notevolmente sulle nostre scelte quotidiane. Queste sono le recensioni trovate su Tripadvisor relative all'Hotel ristorante Rivamare di Massignano. “Sono stato in questo posto per la cena di compleanno di un mio amico e siccome pagava lui non posso valutare il rapporto qualità prezzo (credo comunque sia ottimo). Tutte le portate sono state buone ed abbondanti, hanno sempre portato il bis anche della frittura che era davvero cotta alla perfezione. Un posto in cui sicuramente tornerò.” “Personale simpatico, preparato e cortese, luogo accogliente, cibo sano e genuino. cosa chiedere di più? Hotel ideale per spezzare viaggi lunghi ma non per questo poco curato, anzi. anche per il luogo dove si trova adatto ad una vacanza al mare, su di una spiaggia quasi "selvaggia" e poco affollata”. “Vado in questa struttura solo per mangiare e devo dire che i primi piatti di pesce sono eccezionali, all'altezza di altri ristoranti di pesce rinomati della zona se non più buoni. Ottimo rapporto qualità prezzo e ottimo anche il servizio.” “Siamo stati in questa struttura alla fine di luglio con una bimba piccola piccola.Devo dire tutto il personale gentilissimo, in particolare i ragazzi in sala (grande Marco), tutti molto disponibili. Camera spaziosa, colazione abbondante e buoni pranzo e cena. Consiglio sulle camere: stanze che danno sul mare, la vista è spettacolare.” “Io,mio marito e i nostri due bambini abbiamo trascorso due settimane a luglio in questo hotel. Nonostante l'estrema vicinanza alla ferrovia non abbiamo avuto disagi. L'aria condizionata in camera e la stessa ben isolata acusticamente ci ha permesso ottime notti. Il resto...davvero una sorpresa!! Ringraziamo ancora i proprietari per l'accoglienza e la cordialità qualità riscontrate anche i ragazzi in Sala pranzo. Cibo buono,semplice. Certo...se si vuole la vita della riviera giorno e notte questo non è il posto adatto....Ma se,come noi,si vuole staccare dal caos e trovarsi quasi "in famiglia" questo è senz'altro il luogo giusto.” “Per spiegare bene perché promuovo questo esercizio devo prima parlarvi del Rivamare come hotel e poi come ristorante che merita una menzione a parte. Ho voluto fare a tutti i costi una vacanza di una settimana nelle Marche ad un costo basso e la proposta di questa struttura per una settimana a luglio è stata imbattibile a dir poco imbarazzante considerando che avevamo a disposizione oltre a camera e colazione i lettini con ombrellone in spiaggia e due biciclette che abbiamo usato per una bellissima giornata alternativa lungo la ciclabile che attraversa località e spiagge bellissime come Cupra, Grottammare....e la grande disponibilità dei gestori Simone e in particolare Elio che ci ha fornito materiale e informazioni per luoghi da visitare dall'albergo in pochi minuti si raggiungono Borghi tra i più belli d'Italia come Offida, Ripatransone o Campofilone dove potete comprare i tipici maccheroncini. Ovvio che ci si deve accontentare di camere semplici e con bagni per niente moderni. Il problema più grosso della struttura potrebbe sembrare le camere con vista sulla trafficatissima statale o verso il mare ma con la ferrovia a pochi metri...questo comporta rumore anche notturno che al limite si può ovviare chiudendo bene e avviando l'aria condizionata. Se si superano questi scogli si riesce a fare una vacanza splendida avendo speso pochissimo. Per quanto riguarda la ristorazione noi abbiamo scelto la soluzione b&b per legarci il meno possibile all'albergo e poter visitare il territorio ma va detto che dopo aver provato una prima volta la loro cucina abbiamo mangiato altre volte da loro perché la qualità del cibo specialmente il pesce e' alta con ottime materie prime porzioni abbondanti e prezzi ottimi e questo si capisce per il fatto che fanno tappa qui camionisti e vacanzieri in viaggio verso la Puglia. Ringrazio i proprietari che a fine vacanza ci hanno salutato anche con un piccolo ricordo! Esperienza da ripetere.” Prenotazioni
IlfiumePotenzaeillocotantoameno
PIORACO, TERRA DI NATURA, ARTE E FILIGRANA Edificata sull'antica strada Flaminia, Pioraco divenne un fiorente centro romano
“El lune me condusse al Piorico loco tanto ameno quanto la natura avesse potuto fare, per have prima, presso a due milia, un parchetto pieno de selvatici animali: poi, fra due altissimi monti, due laghetti separati et una pischera cum due isolette in mezzo de tanta recreacione ogni cosa che più non se poteria immaginare, et chi non li vedesse non crederia mai che fra due asperrimi monti la natura avesse insito loco tanto ameno”. Così nel 1 494, Isabella d'Este, in una lettera spedita da Gubbio, descrisse Pioraco a Francesco Gonzaga, signore di Mantova. Pioraco (si legge Piòraco) è una cittadina del maceratese che si trova in una valle ed è attraversata dal fiume Potenza. Probabilmente grazie al fatto che fu edificata sulla antica strada Flaminia, divenne un fiorente insediamento romano, e per garantire un degno alloggio ai nobili romani che venivano esiliati proprio a Pioraco, furono costruiti un teatro, una piscina limaria epuratoria e tanti altri edifici. Favorita dalla presenza di quantità enormi di acqua – il borgo è caratterizzato dalla presenza di diversi canali - la fabbricazione della carta è stata la fonte di sostentamento per tanti artigiani del paese. Poi, nel 1 91 2, le piccole gualchiere, che prendono il nome dalla macchina mossa da una ruota idraulica, già riunite in un'unica proprietà, vennero assorbite dalle “Cartiere Miliani Fabriano”. Ancora oggi è possibile rivivere l'antica arte nel Museo della Carta e
della Filigrana, inoltre si può visitare la Gualchiera Prolaquaense, che è la ricostruzione di una piccola bottega medievale, dove è possibile vedere ancora i mastri cartai che fabbricano manualmente la carta utilizzando i macchinari di un tempo. Passeggiando sul lungofiume non si può non notare l'antichissima Chiesa della Madonna della Grotta che risulta di grande interesse per via della sua particolare struttura architettonica, e per la grotta scavata al suo interno che custodisce una statua lignea della Madonna risalente al XV secolo. Oltre a cultura e a forti tradizioni, Pioraco può vantare attrattive ambientali e naturalistiche e non è difficile accorgersene già dal primo colpo d'occhio. A partire dal fiume Potenza, che si consiglia di fotografare al tramonto perché diventa dorato e illumina tutta la valle che attraversa. Per i più arditi, la cittadina regala dei percorsi un po' più impegnativi, a partire dal sentiero della Croce, che conduce a un belvedere dal quale è possibile ammirare il paesaggio. Si può raggiungere ed esplorare la gola di Pioraco seguendo il percorso naturalistico del sentiero dei “Vurgacci”, che comprende tratti in terra battuta, scalette in pietra e passerelle in legno per l'attraversamento del fiume. Durante il percorso si presentano scorci della gola scavata dalle acque del fiume Potenza, cascatelle suggestive e grandi massi corrosi nel tempo dalle acque e per questo dalle forme più strane. Mentre in un piccolo anfratto chiamato “Fossa dei Mostri”, alcune rocce sono state scolpite da un appassionato arista locale che ha dato loro sembianze di piccoli mostri. (ev)
Via Montecantino, 59 - Fraz. Marina 63061 Massignano (AP) Tel. (+39) 0735 77721 1 Tel. /Fax (+39) 0735 77801 5 hotel@rivamare.it
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ARCHI TETTURA 6
UnnostranoCentralPark
ABBAZIA DI CHIARAVALLE DI FIASTRA PRESSO URBISAGLIA La Riserva Naturale e lo “spirito” degli edifici
di Eleonora Crucianelli “Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà”. San Bernardo. Chissà quanti altri maceratesi, oltre la sottoscritta, avranno avuto questo luogo come prima meta delle uscite didattiche fin dalla scuola elementare. Perché i 1 825 ettari di Riserva Naturale raggiungibili in pochi minuti di auto fanno dell’abbazia di Fiastra una delle destinazioni più ambite non soltanto per le passeggiate domenicali degli abitanti limitrofi ma anche per tante scolaresche in gita. Preservata nella sua unicità naturalistica e mantenuta in modo esemplare da trecento anni dalla Fondazione Giustiniani Bandini questo gioiello dell'architettura cistercense è uno dei più importanti per ruolo storico economico e per stato di conservazione. Costruita con le antiche pietre romane di Urbs Salvia, la chiesa è il frutto di una realizzazione a più riprese capaci di fornire una serie di curiosi particolari su cui soffermarsi durante la visita. Fondato tra il 1 1 40 ed il 1 1 44, questo nostrano Central Park, abitato dapprima da dodici monaci francesi direttamente giunti da Milano, divenne presto sede di cento conversi - incaricati di attività pratiche come la coltivazione dei campi- la cui presenza fu determinante per l’organizzazione del complesso. È a questa prima fase costruttiva che probabilmente appartiene l'impianto perfettamente in linea con il modello standardizzato delle architetture cistercensi ed i due corpi ad Est ed Ovest del chiostro. L'abbazia infatti visse un periodo felice, tutelata dall’Impero e sottoposta alla Sede Pontificia, fino al 1 422 anno in cui le ragioni politiche di Braccio da Montone in corsa verso la conquista di Fermo ne decretarono la distruzione di navata e transetto. Il cambio di rotta dello stile architettonico, conseguenza inevitabile delle operazioni ricostruttive, è evidente nella presenza di elementi che rimandano allo stile locale ed a quello delle maestranze lombarde che se ne occuparono. Questa seconda fase più decorativa porta dunque con sé una serie di espedienti che ne ingentiliscono l'aspetto. Narra la leggenda che ad indicare a san Bernardo il luogo in cui fondare l’abbazia di Chiaravalle Milanese fosse stata una cicogna. Riportato sullo stemma lombardo, questo uccello è facilmente riconoscibile anche all’interno della chiesa abbaziale nostrana. Se entrate nella navata e la percorrete fino al quarto pilastro sud, potrete scorgere infatti sul suo capitello un volatile simile ad una cicogna rivolto verso tre gigli trifidi. Una decorazione con profonda allusione
simbolica che, coeva a quella del pesce eucaristico e del drago demoniaco che potrete individuare sugli altri capitelli, pare risalire appunto ad una seconda fase costruttiva. Ad un osservatore acuto non sfuggiranno le molteplici apparenti anomalie all'interno della chiesa e del refettorio. Quest’ ultimo, definito come “uno dei più sottilmente spiritosi edifici cistercensi”, è infatti dominato dalla presenza di materiali romani di spoglio reimpiegati in posizione impropria (basi di colonne usate come capitelli, tratti di trabeazione usati come basi) e addirittura di due capitelli corinzi antichi. Al di sotto dell'area Est della sagrestia un sistema di grotte aveva la funzione di stoccaggio delle derrate e del vino prodotto mentre al centro del chiostro un pozzo posizionato sopra un’ampia cisterna testimoniano la maestria delle tecniche idrauliche dei monaci. La conformazione ibrida degli esterni realizzati in diverse fasi è perfettamente leggibile anche all'interno della chiesa: costruita a partire da Est essa racconta un cambio di progetto in fase di realizzazione. Con la ripresa compaiono infatti una serie di pilastri deboli e forti alternati che caratterizzano il singolare aspetto della navata centrale e che avrebbero sotteso alla presenza di una serie di volte a crociera costolonate (esattamente come in Chiaravalle della Colomba nel Piacentino) sostituite invece da soffitto in legno con travi a vista. La solenne brutalità del mattone spoglio sembra entrare in sintonia con la maestosa natura in cui l’architettura è immersa e fa della visita a questo luogo un’occasione unica di rinfrancare spirito e corpo e di allontanarsi anni luce dal quotidiano per immergersi nella quiete di un’antica atmosfera monastica.
di Sara Anselmi
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GLI AUTOPALAZZI DELLA BELLE ÉPOQUE NEL MACERATESE L'ingegner Cantalamessa e il primo autoparco delle Marche
BORGHI MARINARI O LE PICCOLE SHANGAI DEL LITORALE MARCHIGIANO Quella volta in cui il vino salvò Napoleone III
Comefermare unoscempio La collina a ridosso, il centro urbano che respira già la salsedine e spesso, nel nucleo storico, il borgo marinaro denso di case piccole, per lo più a un solo piano oppure fatte di un piano terra e di un piano superiore: visto dal mare, dall'alto o dalle sue strade, il paesaggio dei centri urbani litoranei da Gabicce a Porto d'Ascoli è abbastanza leggibile. La maggior parte di questa lunga, ideale città costiera ha partecipato all'attività peschereccia che ha connotato dal Settecento la "terza società" marchigiana, accanto a quella urbana e rurale. Paranze, barchetti, lance e tartane per la pesca, trabaccoli per i trasporti marittimi erano i nomi delle imbarcazioni che percorrevano la costa. Il tessuto urbano di queste città adriatiche si organizza per fasce, la cui geometria è generata dalla reiterazione del disegno della linea di costa e la cui densità edilizia varia in funzione delle dinamiche socio-economiche del territorio. I borghi marinari di Porto Recanati e di Civitanova Marche rappresentano in tal senso uno spaccato significativo di queste dinamiche insediative, in cui interi brani di città si sono sviluppati per accostamento di fasce successive parallele alla costa con una densità crescente nei punti notevoli. Gli spazi pubblici nascono come interruzioni del tessuto lineare: la piazza principale della città, in entrambi i casi, è delimitata ai lati non da facciate di palazzi, ma con un disegno a pettine dalle semplici testate delle case del borgo marinaro, il cui processo di evoluzione nel tempo è spontaneo quanto la prima edificazione. La caratteristica tipologia edilizia a schiera è l’evoluzione dell’originaria casa di pescatori, una cellula di base per lo più quadrata le cui dimensioni variano dai 4 metri per quattro a un passo di circa 6 metri, disposta in schiere
All'inizio del XX secolo compare nelle Marche una particolare forma di architettura, chiamata autopalazzo, per ospitare il servizio di autotrasporto pubblico: nasce la Società Trasporti Automobilistici Maceratese per iniziativa del cavaliere Vincenzo Perogio. La prima linea impiantata (1 909) Portorecanati-Recanati-Macerata, risulta essere una delle poche istituite su tutto il territorio nazionale, e dato l’immediato successo, fu dotata della prima autorimessa "modernamente attrezzata" della regione, con l’inaugurazione, il 27 Agosto 1 91 1 , dell'Auto Palace progettato dall’ing. Ugo Cantalamessa. Ecco le parole di un periodico locale dell’epoca: “E ’il nuovo Auto Palace, massiccia e pur agile costruzione in laterizio pulimentato, con i suoi festoni di cemento, le sue cuspidi ardite, i suoi archi snelli che danno grazia alle linee generali dell' edificio. Alla magnifica passeggiata che molte città di maggiori bellezze e più vaste risorse ci invidiano, l'"Auto Palace" dona nuovo ornamento, prescindendo anche dall'utilità industriale che apporterà e per la quale è costruita la nuova Casa dell'automobile assolve perfettamente ad un compito estetico.” La particolare collocazione dell’edificio a ridosso delle mura, a Macerata come negli esempi di Corridonia e Mogliano, ne consente sia la fruizione pedonale dall’abitato, sia il collegamento con la viabilità principale, adatta al transito degli autoveicoli, localizzata esternamente ai centri storici. Il fronte principale allineato alla strada e la pianta simmetrica, la struttura muraria in laterizi rossi, con le tre grandi aperture per il movimento degli automezzi caratterizzate da archi ribassati policentrici, il fregio in cemento con la ruota alata e le cuspidi sulla sommità dei piloni laterali, evidenziano un apparato formale di ispirazione secessionista. In epoca fascista la grafica con la denominazione dell’edificio fu modificata, da Auto Palace ad Autopalazzo. L’autorimessa maceratese conteneva una serie di funzioni connesse al trasporto pubblico: un laboratorio di officina meccanica, un autolavaggio ed alcuni esercizi commerciali tra cui il primo negozio FIAT delle Marche; il tetto piano, invece, fungeva da enorme terrazza, dove era possibile pattinare. Contemporaneamente, viene istituita anche la Società Imprese Automobilistiche Mogliano Pausula, e realizzate due nuove autostazioni progettate dall'Ing. Caradonna a Mogliano e Pausula (l’attuale Corridonia). L'edificio di Pausula, a pianta cruciforme con due torri alle estremità, è realizzato in muratura intonacata con una colorazione rossastra su cui si stagliano gli elementi decorativi in cemento o in laterizio intonacato. Anche in questo caso la facciata principale è caratterizzata da un arco ribassato policentrico, e da un fastigio superiore con il fregio riproducente la ruota alata. Lo spazio di rimessaggio non occupava tutta l'altezza del fabbricato che ospitava, nel sottotetto, locali adibiti ad ufficio raggiungibili attraverso le strutture di collegamento verticale sviluppate nei torrioni di facciata. L'edificio di Mogliano, pur con una struttura molto più modesta delle altre, presentava i medesimi caratteri stilistici, ma con un apparato decorativo ridotto e limitato alle cornici che disegnavano i tre fronti liberi. Nello stesso anno dell’ Auto Palace maceratese fu inaugurata, a cura dell’ Azienda Tranviaria Autonoma Civitanovese (ATAC), la tranvia elettrica che collegava Civitanova Alta con la stazione ferroviaria di Porto Civitanova, della quale resta ancora la stazione, con i fabbricati di servizio, la rimessa delle elettromotrici, ma soprattutto il fabbricato viaggiatori in stile liberty, che oggi ospita la pro loco. La linea fu chiusa nel 1 956.
spesso contrapposte, in modo da avere soltanto un lato libero che si affaccia sulla strada. Oggi vediamo cellule ancora ad un solo piano accostate a case ristrutturate di 4 piani, facciate con bruschi cambi di colore al cambio di proprietà, infissi cadenti, inferriate del primo Novecento, fregi e portali, case sprangate che hanno la soglia di ingresso ormai al di sotto del livello della strada, rialzato dai successivi strati di asfalto. Le cellule base a un piano si sono gradualmente trasformate in piccoli blocchi terra–cielo che raggiungono i quattro livelli, ma in parte degli interventi di ristrutturazione e ampliamento l’immagine della facciata tradizionale è stata alterata da materiali di rivestimento inadeguati e aperture non appropriate, specialmente negli ultimi 30 anni. Solo di recente, chi ristruttura nel borgo marinaro ne apprezza l’autenticità ed opera nel pieno rispetto della tipologia stilistica con un rinnovato gusto del vintage. Questo agglomerato denso e contraddittorio rappresenta l’immagine tipica e storica della città e della sua principale fonte di ricchezza prima dell’avvento del turismo balneare: la pesca. Fino agli anni ’50 questi quartieri erano caratterizzati da povertà e sovraffollamento, oltre che inadeguate condizioni igieniche (le fogne furono realizzate solo negli anni ’30 e prima di allora le acque sporche defluivano in canalette al centro strada) tanto che, per analogia, a Porto Civitanova il borgo dei pescatori fu ribattezzato “Shangai”, nome che si ricorda ancora oggi unitamente ad alcuni famosi personaggi che lo popolavano e ad alcune venditrici ambulanti di pesce divenute vere e proprie istituzioni. A Fano, e nei centri analoghi caratterizzati da un porto-canale, il borgo marinaro va sviluppandosi nell’Ottocento con la sua particolare fisionomia urbanistica: una lunga fila di modeste casette a schiera lungo la banchina. Il rione è densamente abitato e ferve di varie attività legate alla pesca (piccoli cantieri, cordai, retari, pescivendoli, addetti alla costruzione, tintura e riparazione delle velature, ecc.) che spesso vedono impegnate anche le donne dei marinai. Davanti ad alcune case marinare ancora si notano le seggiole sulle quali i residenti si sedevano a conversare con i vicini, una vera e propria versione d’epoca degli odierni social network. (sa)
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BI O&GREEN
Unvinoscapestrato, selvaggio, irriverente
AND THE OSCAR GOES TO... MONTEPULCIANO! Una storia tutta da raccontare e molti film da vedere di Valeria Cesari
Sono passati pochi giorni dall'ottantasettesima cerimonia dell'Academy Awads. La diretta è durata ore, perché l'assegnazione del premio più ambito nel mondo del cinema passa dall'ormai irrinunciabile rito della passerella sul tappeto rosso. Abiti, acconciature, gioielli, scarpe, paillette e cristalli, sono parti integranti di un evento che da sempre traccia le linee guida dello stile - quasi sempre -, della moda e delle tendenze di una stagione. Poi, finalmente, entra in gioco l'arte cinematografica. Sceneggiature, regia, fotografia, costumi, interpretazioni di protagonisti e antagonisti, scenografie e temi musicali. Questo e molto altro fa di una pellicola un film. Certo, si potrebbe vivere senza cinema. Eppure pare che in tempi di crisi si tenda a tornare nelle sale cinematografiche. Storie e personaggi in cui ci si può identificare e riconoscere per vivere momenti di evasione, o raccoglimento. Attimi in cui si può sognare. Frazioni temporali infinitesimali nell'economia della nostra vita, di cui però abbiamo bisogno perché capaci di suscitare emozioni. Riso, pianto, trepidazione, turbamento, eccitazione. Ma c'è un sentimento che di certo non siamo disposti a tollerare di fronte alla proiezione di un film, la noia. Da Billy Wilder, ai fratelli Coen, da Kurosawa a Rossellini, da Woody Allen a Troisi, si sceglie in base all'umore del momento, ma di sicuro non siamo disponibili ad annoiarci. Chiediamoci cosa ci aspettiamo da un vino. Probabilmente le stesse cose e, di nuovo, mai la noia. Capace delle più grandi interpretazioni, nelle Marche, è sua Maestà il Montepulciano. Dalla commedia brillante al colossal, dal film storico alla favola, questo nostro grande vitigno è capace di regalare immense emozioni, in tutte le sue sfumature di rosso, molte più di cinquanta e, per quel che mi riguarda, anche l'eccitazione*. Diretto da tanti registi nella nostra regione, il Montepulciano ha una personalità complessa, il suo sguardo è profondo e possiede quella suadenza nel movimento di chi sa come gestire il corso degli eventi fino a condizionarli. Sarà capace di tutto ciò, però, solo se guidato con sapienza fino alla sua maturità. Nasce infatti in cantina scapestrato, selvaggio e irriverente. Sa imprecare contro mani poco attente, così come è capace di far commuovere di gioia per i profumi di cui si gonfia. È
Sarebbe un peccato non approfittare dell'Expo per fargli spiccare il salto di qualità
UN VINO COTTO FATTO A REGOLA D'ARTE Nelle campagne marchigiane era usanza che alla nascita del primogenito si preparasse una bella botticella di vino cotto, da aprire poi al raggiungimento del diciottesimo anno di età o in occasione del matrimonio. O in qualsiasi altra situazione valesse la pena di festeggiare. Ebbene, nel nuovo millennio la barrique potrebbe avere il logo con le dodici foglie verdi, il marchio comunitario che identifica il prodotto biologico. Eh già, perché anche le specialità più legate alla tradizione non sembrano immuni dallo straordinario appeal del “mangio bio”, che sembra conquistare sempre più tavole e palati. Basti dire che l’ultimo dato relativo ai consumi parla di un incremento record del 1 7,3 per cento da un anno all’altro, tanto più significativo se si confronta con quello agroalimentare generale, in calo a causa della crisi. Ma come si produce un vino cotto biologico? Innanzitutto occorre partire da uve certificate. E come si fanno uve biologiche certificate? “Operando solo con trattamenti naturali, e fatti quando serve – ci racconta Laura Frattini, milanese trapiantata nelle Marche che, per prima, ha avuto l’idea di produrre vino cotto biologico, denominato il Centurione, nella sua aziende agricola di Ripatransone -. Ma conta molto anche il lavoro in vigna: cura dell’inerbimento, potatura corta nel periodo invernale, diradamento delle gemme e dei grappoli, tutto fatto a mano. Un lavoro, peraltro, che finisce per irrobustire le piante e non è un caso
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potente e muscoloso, ma eleganza e finezza accompagnano la sua natura. Va seguito, coccolato, e sì, anche adulato durante sua adolescenza. Ne ha bisogno per crescere sicuro di sé e consapevole dei traguardi che può raggiungere. Non è tipo da montarsi la testa nel suo percorso. Piuttosto fa tesoro di tutte le attenzioni che gli vengono dedicate, compresa la scelta di legni pregiati, anche piccoli, per il riposo del guerriero. È il più divertente compagno di giochi in gioventù e un riferimento, una guida appassionata, da adulto. Certo è che, se trascurato, il Montepulciano si trasforma e non sempre diviene un bello spettacolo. Se gli chiedessimo che effetto ha avuto su di lui la mano dell'enologo, del regista della sua storia, ci risponderebbe: scuoté le porte che incarceravano le mie inclinazioni. Il risultato può essere di diversa natura, fino a Mr. Hyde. Difficile in tal caso parlare di tratti caratteristici. Detto ciò, tra tanti Montepulciano, la scelta del regista e del produttore, così come in un film, diventa fondamentale. Muoversi tra tante etichette può non essere semplice, questa non è materia che può prescindere dall'esperienza diretta. E qui si apre un mondo, il mondo di un vitigno capace di esprimersi olfattivamente e tattilmente in modi tanto diversi da costituire un autentico universo. Prima di tutto quindi, letteralmente a naso, andremo alla ricerca di frutti pieni e polposi, dalla prugna scura e succosa, matrice olfattiva ricorrente nel Montepulciano, alla mora di rovo. Dalla ciliegia sotto spirito in esemplari più consapevoli, fino alle più soavi note di resine preziose. Poi ricordi tostati di caffè e cacao, o tocchi biondi di radice di liquirizia e noce moscata legati a legni dalle tostature gentili. Trama tannica fitta, scalpitante o sinuosa, comunque sempre materica. L'abbraccio è caldo, la presa sicura e non indugia nei lunghi sospiri pregni del suo sapore. Un vitigno importante, padre di grandi vini. Tanto grandi che cominciano a fare eco nel mondo e, altrove, qualcuno si è preoccupato di tutelare un nome che pure gli appartiene, ma non più di quanto il nome di questo vitigno appartenga a noi. Un invito sul finale. Fate in modo di incontrare chi scrive le pagine di storia di questo vitigno, chi lo alleva e ne fa vini importanti. Visitate le cantine. Avrete la possibilità di assaggiarli prima di acquistarli, così come si guarda un trailer prima di comprare i biglietti per lo spettacolo della sera. Guardateli, esploratene le forme e gli spessori in bocca e il sapore quando li respirate. Affidarsi ai grandi nomi, ai mostri sacri, può essere saggio per cominciare. Ma non abbandonate la ricerca. Piccole aziende sono capaci di meravigliose declinazioni ed espressioni del Montepulciano a cui, per quanto mi riguarda, va l'Oscar alla carriera. I miei consigli: Marche Igt Rosso, Erasmo Castelli, Montepulciano 100%, Maria Pia Castelli; Marche Igt Rosso, Regina del Bosco, Montepulciano 100%, Fattoria Dezi; Marche Igt Rosso, Teodoro, Montepulciano 100%, La Murola; Conero Riserva Docg, Sassi Neri, Montepulciano 100%, Le Terrazze; Conero Riserva Docg, Fiobbo, Montepulciano 100%, Lanari *NdR: avevo giurato di non fare mai riferimento a quel film o a quella trilogia nella mia vita...
che in questi anni le nostre uve sono rimaste indenni rispetto a molte patologie”. Per avere un vero vino cotto bio occorre però che anche le fasi di produzione siano tutte al naturale. “Non va usato nessun prodotto a parte il succo di uva – spiega ancora Laura – e, dunque, niente zuccheri né additivi né aggiunta di solforosa o bisolfiti. Poi bollitura e stagionatura in barrique”. Un procedimento che, tra l’altro, mette al riparo anche dal rischio intolleranze, problema un tempo ignoto nelle nostre campagne ma col quale occorre oggi fare i conti, tanto che ormai la presenza di determinate sostanze va indicata già in etichetta. Resta comunque il fatto che quello di Laura Frattini e del suo vino cotto bio è un ottimo esempio del nuovo corso di un settore che non sembra conoscere crisi. Gli operatori certificati nella nostra regione continuano a crescere (da 2.007 a 2.1 62 secondo dati Sinab 201 4). Ma, soprattutto, un vero e proprio boom si registra a livello di produttori-trasformatori come nel caso dell’azienda ripana (+56 per cento, da 1 41 a 220). La conferma del sempre maggiore impegno delle imprese agricole marchigiane verso esperienze di filiera corta, dal campo alla tavola, proprio per far fronte alla grande richiesta di prodotti biologici. E l’ottimo andamento fatto registrare dalle vendite del Centurione dimostra che il matrimonio fra tradizione e nuova attenzione al “naturale” è la strada giusta, magari da sfruttare a dovere in vista dell’appuntamento con Expo 201 5. “Il vino cotto è un prodotto della nostra tradizione dall’enorme potenziale – sottolinea Laura Frattini –, sarebbe un peccato non approfittare della kermesse milanese per fargli spiccare il salto di qualità”. (mp)
L'Azienda Agricola Laura Frattini, si trova in Contrada Canali, n. 33 a Ripatransone. I numeri di telefono sono 0735 971 04 e 328 2732083. l punti vendita autorizzati sono: Bar Ristorante Dalla Padella alla Brace, via Turati 1 07, a San Benedetto del Tronto, 0735 751 277; Sandwich Time, via L. Einaudi 21 4 Civitanova Marche, 0733 81 6623; Enoteca Terroir, viale F. Corridoni 1 1 , Fermo, 0734 622389. Nella pagina dei coupons di questo numero di Life Marche, si trova quello per acquistare il Centurione con il 1 0% di sconto. Civitanova Marche, Recchioni S.r.l., zona Industriale A, via Borioni n° 2/4, www.recchioni.com
QUANDO SI DICE BAGNO DI FOLLA IlMontepulcianoalVinitaly C'è silenzio, non un granello di polvere e sono schierato in prima fila. Tutto è perfetto intorno a me. Hanno lavorato centinaia di persone per preparare tutto questo, per preparare questo palcoscenico dove sarò messo alla prova. Non sono certo di essere pronto. Ho pensato a questo momento più volte chiedendomi come sarebbe stato. Mi sono chiesto, come il grande Nanni, se mi sarei notato di più con la mia presenza o con la mia assenza, ma la verità è che non essere qui significa non esistere. Non è ansia da prestazione, ma nei prossimi giorni sarò in balia della folla e soprattutto dei loro giudizi. Ne bene e nel male. Me ne potrò compiacere rimanendo con i piedi ben saldi a terra, o farmene una ragione e andare avanti cercando di migliorare. Non mi chiedo a cosa serve la mia crescita, lo so bene. Non mi chiedo cosa vorrei ottenere nella vita, so bene anche questo. Ma ho una gran paura che non si capisca e davvero non so come far sentire la mia voce. La mia vita, così come quella di coloro che hanno condiviso il mio cammino, non è stata e non sarà semplice. Gli Dei non sono sempre clementi e coloro che dipendono dal favore delle stelle come me non hanno mai vita facile. Determinazione e passione ci fanno stringere il pugno tutti i giorni, ci portano a festeggiare ogni buona notizia e a trovare la forza di sopravvivere di fronte alle avversità. Si chiama istinto di sopravvivenza, ma sopravvivere non mi basta. Non può bastare a nessuno. Germogli, fiori, frutti. Poi succo, tumulto, misurate boccate d'aria, movimento, controllo. Poi l'ascolto, di ciò che sono, di ciò che voglio, devo e posso diventare. Un esame continuo. È così per tutti e lo è anche per me. Ma il mio confronto con il mondo è difficile. Anche se sono istintivo e carnale, appassionato e pronto alla condivisione, non posso pretendere che stiano tutti in silenzio ad ascoltare ciò che ho da dire. A volte mi chiedo se non sia altro che la gente si aspetta da me, quando non vorrei null'altro che essere toccato per dare tutto quello che posso. Non è questo che vorrebbero poter fare tutti? Forse no. Forse la vita è diventata così complicata che si guarda senza vedere, si sente senza ascoltare, si bacia senza gustare. Non c'è tempo di fare di più, non c'è la forza di fare di più. Io però ho ancora voglia di lottare. Voglio credere che ci sia ancora tempo e voglia di vivere intensamente. Quindi sono qui e lo grido al mondo. Sono un Montepulciano e anche quest'anno sono al Vinitaly. (vc)
Lasvoltabio degliagricoltorimarchigiani
IL DRAMMA DELLE ETICHETTE FARLOCCHE
Le statistiche della Coldiretti segnalano la situazione tragicomica del marchio di provenienza dei prodotti in Italia di Massimiliano Paoloni Prosciutto nostrano fatto con cosce di maiali olandesi, mozzarelle “di bufala” preparate usando cagliate dall’Ucraina, pasta tricolore con grano rumeno. Sono gli inganni a tavola di cui rischiamo di essere “vittime” nella spesa quotidiana, complice una mancanza di trasparenza in etichetta che interessa circa la metà dei prodotti che mettiamo ogni giorno nel carrello. A dare i numeri dell’invasione di prodotto straniero è la Coldiretti, secondo la quale le importazioni agroalimentari nelle Marche sono in continua crescita, tanto da aver raggiunto nel 201 3 il valore di 430 milioni di euro, contro i 332 milioni di euro di cibo marchigiano esportato. Colpa dell’assenza dell’obbligo di indicazione di origine in eti-
chetta, ovvero quella frasetta che ci permette di sapere con certezza da dove proviene realmente quel prodotto o la materia prima agricola utilizzata per prepararlo. Un’informazione importante poiché oggi si tende a dare per scontato che una confezione che sbandiera il tricolore sia sicuramente italiana, ma per i cibi industriali non sempre è così, a prescindere dalla pubblicità con cui vengano reclamizzati. Una pasta legata all’immagine di campi di grano italiani potrebbe essere fatta con grano kazako. E un formaggio che ci assicurano provenire dalla stalla sotto casa potrebbe contenere in realtà latte tedesco. E’ il marketing, bellezza! Il problema è che ciò rappresenta una presa in giro, tanto più che quello che viene dall’estero non ha sempre le stesse garanzie di qualità e, soprattutto, di sicurezza di quanto produciamo in casa. La giustificazione che viene solitamente data è che il nostro territorio non è autosufficiente dal punto di vista alimentare su alcuni prodotti, che siamo costretti ad importare. Perché, però, non scriverlo in etichetta? E il fatto che i prodotti agroalimentari stranieri costino considerevolmente di meno (pur se poi venduti a “prezzi italiani”), sarà in qualche modo legato al loro incredibile appeal presso larga parte dell’industria alimentare, anche quando potrebbe acquistare da azienda agricole locali? Nel mentre può essere utile fare un elenco dei cibi sui quali è in vigore l’obbligo di indicare l’origine: carne bovina, frutta e verdura fresche, uova, miele, pollo, passata di pomodoro, latte fresco, olio d’oliva. Ma anche scegliere i prodotti ad indicazione di origine, ovvero Dop e Igp, dovrebbe mettere al riparo da sorprese, così come approfittare delle filiere corte promosse dagli agricoltori, tanto direttamente in azienda quanto nei mercatini. L’etichetta resta, invece, anonima per salumi, coniglio, frutta e verdura trasformate, concentrato di pomodoro e sughi pronti, formaggi, pane e pasta, pecora e agnello, latte a lunga conservazione. La buona notizia è che in Europa il vento sembri essere cambiato. Fino a qualche anno gli stessi burocrati che calcolavano la curvature dei cetrioli erano convinti che l’origine in etichetta fosse un ostacolo alla libera concorrenza. Oggi i cetrioli restano storti, ma sulla trasparenza potrebbe aprirsi un’altra strada.
A questopuntomancasoloBert
I CARBONAI DI BORGO PACE
Torna in auge uno dei mestieri più antichi. Il lavoro nei boschi alternativo alla fabbrica “Io sto fra la cenere eppure non c’è / nessuno quaggiù più felice di me”. Piombato tra gli esodati dopo il boom di metano e condizionatori, lo spazzacamino Bert potrebbe presto tornare a duettare felice con Mary Poppins tra i tetti del film di Walt Disney. La crisi sembra, infatti, aver riacceso i focolari domestici, con una famiglia marchigiana su quattro che, secondo l’Istat, utilizza oggi legna e carbone per riscaldarsi. Tra il caro-gasolio e i timori sui potenziali contraccolpi energetici della guerra commerciale “conto terzi” con la Russia (se Putin chiude i rubinetti, son guai), nella nostra regione crescono dunque quelli convinti che il vecchio, caro cippo sia un’ottima soluzione per garantirsi il calduccio in tempi difficili, al netto delle ordinanze anti-camini di alcuni sindaci. Tanto più che esiste un quaranta per cento di fortunati che può contare su un approvvigionamento casalingo privato di legna. Il vantaggio di vivere in una delle regioni non solo tra le più rurali d’Europa, ma dove ben un terzo della superficie è oggi coperto da foreste, il doppio rispetto a cinquant’anni fa. Non deve dunque stupire che, parallelamente alla rivincita di camini e stufe, stia tornando in auge un mestiere antichissimo, quello del carbonaio. Merito di alcuni giovani che hanno scelto di riprendere in mano il sapere dei nonni, tornando al lavoro nei boschi come alternativa alla fabbrica. È il caso, in particolare, di un gruppo di venti-trentenni nato nell’area di Borgo Pace, comune dell’alt(issim)o Montefeltro, 661 abitanti a un tiro di schioppo dal confine toscano. Nonostante la collocazione tutt’altro che baricentrica, il paese ha rappresentato da sempre la “capitale” regionale dell’arte carbonaia, la cui espressione più nota sono le caratteristiche cataste, vero e proprio capolavoro di ingegneria “forestale”. Si inizia mettendo dei pali a fungere da canna fumaria e se ne dispongono altri intorno, in maniera circolare e il più stretti possibile per limitare la presenza dell’aria. Una volta raggiunto il diametro voluto, circa un metro, un metro e mezzo, il tutto viene ricoperto dalla “camicia”, uno strato di paglia e terra, e acceso dall’interno. Se il lavoro è stato fatto a puntino, la legna brucerà completamente nel giro di una settimana, trasformandosi in carbone. Basterà allora togliere la camicia e dividere i pezzi a seconda della qualità e della misura. I nuovi carbonai si alternano, in verità, tra la catasta tradizionale e le più pratiche fosse (il concetto è lo stesso, la “scenografia” più minimal) ma ciò che conta è che un’attività a forte rischio di estinzione è stata recuperata, non solo per conservarne la memoria ma anche per trovarvi una soddisfazione economica, oggi piuttosto difficile da raggiungere per chi si affaccia sul mondo del lavoro, specie se under 30. Con i buoni consigli dei nonni, 5-1 0 ettari di superficie boschiva su cui contare e la voglia di lavorare all’aperto si può così produrre abbastanza carbone da vendere a imprese artigianali e industriali o, in filiera corta, direttamente ai privati. A questo punto manca solo Bert.(mp)
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FOOD &WI N E
Unastoriad'amore
RICHARD E GLORIA AL PUERTO BALOO
Comefarfruttarealmeglioun miracolodimadrecampagna
BREVE STORIA DELLA FARINA
Dagli egizi ai romani l'alimento fondamentale della vita La farina è un prodotto alimentare che si ottiene attraverso la macinazione di sostanze vegetali essiccate. Le farine più conosciute si ottengono dai cereali (ne sono esempi la farina di frumento, la farina di segale, la farina d’orzo, la farina di mais, la farina di avena, la farina di riso, la farina di kamut e la farina di farro), dalle leguminose (farina di fagioli, farina di fave, farina di piselli, farina di soia ecc.); altri tipi di farina sono quella di grano saraceno (il grano saraceno è spesso annoverato fra i cereali, ma questa attribuzione è tecnicamente scorretta), la farina di castagne ecc. Nell’uso comune, comunque, con il termine farina si indica quella di frumento, in modo particolare la farina di grano tenero (la farina di grano duro è generalmente indicata con il termine semola). La farina di frumento ha svolto un ruolo fondamentale nella storia dell’alimentazione umana. Nel bacino del Mediterraneo è stata un alimento essenziale per le civiltà egizia, greca e romana. La parola farina deriva infatti dal termine romano far, che significa farro, un altro cereale che a quell’epoca era molto utilizzato per la produzione della farina. Attualmente il frumento è il cereale più coltivato nel mondo, grazie alla sua adattabilità a diverse condizioni
Quando il pesce è nel destino
ambientali e climatiche. Con la macinazione del frumento si produce la farina integrale. Con un’ulteriore lavorazione (detta “abburattamento”) si produce lo sfarinato, che è poi il prodotto che possiamo acquistare in negozio. Il livello di abburattamento definisce il tipo di sfarinato: si va dalla farina integrale (più scura, con più crusca), alla farina tipo 00 (più bianca, pressoché priva di crusca). Così, scientificamente, si propone la farina se non fosse che (la pubblicità ha le sue regole) con il corso del tempo l'uomo ha cercato di usare la farina per le creazioni più disparate e a volte inverosimili. Pur di vendere prodotti che hanno come base naturale proprio la farina, importanti testimonial ad esempio si sono inventati panificatori, pasticceri, grand gourmet dell'arte del cibo e delle creazioni tese al miglioramento della vita dell'uomo. In questo modo, anche grazie alla pubblicità, la gente si è avvicinata a un mondo che pochi hanno saputo raccontare come realizzato in note campagne pubblicitarie nazionali. Prodotti industriali fatti passare per pura creazione artigianale quando di artigianale c'è solo la... pubblicità. Forse è per questo che nelle Marche opera una realtà come Dolce Forno che ha fatto delle regole artigianali una ragione di vita anche con prodotti destinati al largo consumo. Dal pane alla pizza ai biscotti, Dolce Forno è ormai percepito come sinonimo di cura artigianale e i suoi prodotti gustati come si faceva una volta, accompagnati con altri alimenti naturali per rendere, questa volta seriamente, la vita di tutti i giorni migliore. Dolce Forno – Contrada Marezi – Massignano (AP). Tel. 0735.72467 – www.dolce-forno.it PORTE APERTE A DOLCE FORNO Per la sola giornata di DOMENICA 1 7 MAGGIO 201 5 dalle ore 1 0.00 alle ore 1 9.00 sarà possibile visitare gratuitamente DOLCE FORNO durante la lavorazione, cottura e confezionamento dei prodotti. In tale occasione sarà possibile acquistare i prodotti con uno sconto del 30 per cento. Rinfresco per tutti. Bus navetta gratuito da Piazza della Libertà di Cupra Marittima. Vieni, e vedi cosa mangi!
Facebook a volte sa essere salvifico, un momento unico per ristorare cuori infranti e pensieri infreddoliti. Richard era reduce da una storia d'amore finita male, e le sue membra si erano adagiate come lombrichi all'ombra di un vecchio casolare di campagna. Indeciso se smettere di considerarsi un uomo da vivere o un oggetto da dimenticare in soffitta, Richard si era chiuso in un profondo mutismo dal quale si riteneva incapace di uscire. I giorni inseguivano i giorni mentre intorno aumentavano le preoccupazioni delle persone care, di quelli che si sarebbero stesi su una pozza di fango pur di permettergli di attraversare la strada. Gloria gli era apparsa per caso, una fotografia su Facebook come tante: l'istantanea di un giorno di vacanza al mare racchiuso in uno scatto. Era bella Gloria e i suoi occhi avevano un non so che di enigmatico. Per Richard fu immediato innamorarsi di uno sguardo che preludeva a chissà quali altre delizie e di contattarla attraverso uno strumento che aveva sempre ritenuto una perdita di tempo, gli venne immediato. Come correre in spiaggia inseguendo un aquilone senza filo. Richard e Gloria decisero di incontrarsi. Lei era di San Benedetto del Tronto, un posto che Richard non aveva mai sentito nominare ma che, informandosi, aveva scoperto essere una delle patrie del pesce cucinato a regola d'arte di tutta Italia. Arrivato in stazione, dopo un viaggio durato tre giorni, Richard scoprì che Gloria era molto più bella di quanto avesse immaginato guardando una foto sul monitor del computer. E Gloria, impaziente e con gli occhi pieni di amore, stava lì, sul marciapiede, pronta ad accoglierlo fra le sue braccia. Quello che doveva essere un viaggio fatto con se stesso per raccogliere i cocci di un rapporto finito male, diventò per Richard la fonte di mille desideri e di altrettante aspettative che non sarebbero mai andate deluse. Il loro primo incontro venne suggellato da una cena di pesce che, a distanza di tempo, Richard ricorda ancora come uno dei momenti top della sua esistenza. Il contesto? Il Ristorante Puerto Baloo, dove l'accoglienza, il cibo e la qualità della vita non sono optional. Per i più curiosi il menù della cena è stato: cruditè di pesce (gamberi, ostriche, scampi, cannolicchi), brodetto alla sambenedettese e frittura di pesce. Il tutto innaffiato da un ottimo vino bianco locale. Ristorante PUERTO BALOO: via A.Vespucci n.30 – Molo Nord San Benedetto del Tronto (AP), tel. 0735.593551. Chalet BALOO: lungomare A.De Gasperi n.5 – Grottammare (AP), tel. 0735.633543.
Unannodiattività
Nel mese di aprile Capsy & Cialdy, negozio specializzato nella vendita di capsule e cialde compatibili per ogni dispositivo e distributore di caffè, festeggia un anno di attività. Il suo carismatico proprietario, Dario Cantori, meritatamente orgoglioso del successo raggiunto regala ai nostri lettori ricette di due cocktail a base di tè. Infatti, oltre a dell'ottimo caffè in tutte le sue varianti, questo punto vendita offre numerose altre bevande, come diverse tipologie di tè: al limone, alla pesca, verde e nero in foglie naturali. Fondamentale, insieme alla qualità dei prodotti, è la serietà di chi lavora quotidianamente per offrire prezzi molto concorrenziali e assistenza al cliente davvero superlativa. Questo grazie alla passione e serietà di Dario che, con la sua grande simpatia e forte orientamento alla soddisfazione del cliente, umanamente e professionalmente mette il cuore in ogni fase di vendita e post vendita. Il punto vendita Capsy & Cialdy si trova a San Benedetto del Tronto (AP), in via Silvio Pellico, 91 – SS1 6 – tel. 0735 386376
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COCKTAIL AL TÈ PER FESTEGGIARE
SUMMER CAPSY SANGRIA Il Capsy Sangria, un drink per i pomeIl Summer Capsy, un cocktail fresco, Carisma, passione CAPSY o le serate in compagnia degli adatto a ogni situazione e ogni moamici, una variante della classica mento della giornata grazie all'assenza e rispetto del cliente riggi sangria per dissetare e accompagnare totale di alcol. Ingredienti: tè al limone delicati snack a base di carne bianca, – due capsule per persona - , ½ lime da Capsy&Cialdy verdure, focaccine e sfoglie salate. tagliato in piccoli pezzi, 4-5 foglioline Ingredienti: tè alla pesca – due capsule per persona – vino bianco leggero, frutta fresca di stagione tagliata a pezzettoni (si consigliano ananas, mela, albicocca, pesca noce, fragola). Preparazione: preparare il drink in una bowl e lasciare riposare in frigorifero per almeno 30 minuti. Servire in un calice ampio con uno stecchino e alcuni cubetti di ghiaccio.
di menta, 2 cucchiaini di zucchero di canna, aggiungere circa 2cl di tè per sciogliere lo zucchero. Preparazione: preparare il drink direttamente nel bicchiere. Pestare con l'apposito pestello le foglioline di menta con lo zucchero di canna, quindi mettere i pezzetti di lime e pestare nuovamente per alcuni secondi. Aggiungere il restante tè e ultimare con abbondante ghiaccio spezzettato. Decorare con un ramoscello di menta.
Carrettienonsologelati
LA GRANDE MODA DELLO STREET FOOD Furgoni o camper attrezzati per il problema pasti a qualsiasi ora del giorno di Luca Di Carlo "Il carretto passava e quell'uomo gridava gelati", cantava Battisti nella sua famosa canzone "I giardini di Marzo". Oggi invece potreste trovare per le strade di Ancona, Ascoli Piceno o Macerata, non più il tanto nostalgico carretto del gelato, ma dei super professionali e attrezzati camper o furgoncini pronti per proporvi delle delizie
culinarie stellate, da gustare in maniera veloce, (magari nella pausa pranzo) e del tutto informale. La street food, diventa trendy e professionale, non più fatta di panini, prodotti scadenti e congelati ma una moda che prevede il preparare ottime pietanze, nella maggior parte dei casi veri e propri piatti classici o etnici rielaborati in maniera fruibile e veloce, per pranzo, merenda o cena. Numerosi sono gli chef che hanno abbracciato questa filosofia, lasciando le loro rassicuranti cucine per mettersi on the road e far conoscere e gustare le loro prelibatezze. Il concetto è girare la città per sostare negli orari strategici in luoghi con un alta concentrazione di lavoratori affamati o mettersi a disposizione di feste ed eventi. Non tutti preparano tutto, alcuni sono specializzati nella pasticceria, altri in cucina etnica, altri in cucina tradizionale o biologica, ma tutti uniti dalla passione nel proporre ottimi prodotti soprattutto di qualità. Una moda/business che negli Stati Uniti ha raggiunto un livello molto alto di consensi, perché nata con creatività da parte di professionisti del settore e che anche da noi, in Europa, sta iniziando ad avere con entusiasmo la sua importanza. Quindi, molto presto, per degustare un ottimo piatto, salato o dolce, non dovremmo necessariamente andare a rinchiuderci in un locale, ma potremmo farlo all’aria aperta, magari in un parco o in riva al mare, certo, servito in un non proprio elegante piatto di porcellana, ma non ci importerà perché avremmo comunque gustato dell’ottimo cibo.
IlFrankenstein dellapasticceria moderna
RIVOLUZIONE CRUFFIN Non più un “banale” cornetto ma una fragranza americana di Luca Di Carlo Una sorta di dolce mitologico, oserei dire il “Frankenstein” della pasticceria attuale, un incrocio fra il morbido e spugnoso muffin e il fragrante e burroso croissant, il suo nome è il Cruffin. Creazione realizzata adattando l’impasto del più tradizionale croissant, all’interno delle formine per cucinare i muffin, ed ecco qua, il gioco è fatto. Certo un’idea che apparentemente può sembrarci banale, ma che in realtà nessuno mai fino ad ora ci aveva pensato, facendola diventare un vero mood. In effetti, più che una ricerca innovativa nel mischiare ingredienti, volendo cercare di creare nuovi sapori, il cruffin è un’idea prettamente estetica. Uno studio d’immagine, una sorta d’operazione alla PopArt, dando una nuova forma a qualcosa gia esistente e ben formato. Creazione avvenuta in maniera divertente e giocosa che ha portato l’inventore pasticcere ad un successo probabilmente inaspettato. Ma non si capisce ancora a chi appartenga la sua paternità, contesa da due importanti pasticcerie, la londinese FoxCroft & Ginger e la Mr Holmes Bakehouse di San Francisco. Entrambe sui loro siti web e nei loro punti vendita, ne rivendicano l’idea creativa, sta di
fatto che in entrambi i casi, se vi trovate in una di queste due città, potrete assaporare il nuovo e originale trendy dolcetto, che molto presto, ne sono certo, diventerà una quotidiana abitudine anche da noi. Ideale per soddisfare, quegli indecisi che non sanno come iniziare una buona colazione, in questo caso non si avranno più tanti dubbi, nel cruffin troveranno un mix perfetto, un solo dolcetto che ne unisce due e al suo interno può prevedere varie creme e marmellate o addirittura può essere ricoperto di cioccolato in tutte le sue varianti. Bisognerà pazientare ancora un po’, credo, e poi anche noi potremmo ordinare insieme al nostro fumante cappuccino, non più il “banale” cornetto ma un trendy, fragrante e buonissimo cruffin.
Unavoltaeralareginadelletorte parliamodeitempilontani
SAINT-HONORÈ AQuando MODO MIO non c’era la moda del cake design e l’attenzione non era principalmente rivolta all’estetica
Attraverso il mio mestiere di gelatiere ho scoperto che in certi momenti per trovare nuove ricette basta ripartire dalla tradizione. Ed è così che un bel giorno mia moglie, dopo una lezione di pasticceria, porta a casa una bellissima torta Saint-Honorè. Alla sua vista nella mia mente si è aperta una galleria fotografica di ricordi, del primo compleanno, della prima comunione o di qualche matrimonio… la regina indiscussa era sempre lei la torta SaintHonorè, come non potere quindi omaggiarla reinterpretandola con il re dei dolci “il gelato”? Nasce così la mia personale interpretazione. Munirsi di un ring in acciaio dal diametro voluto; inserire al suo interno il disco di pasta sfoglia di pari diametro (rigorosamente artigianale). A seguire la versione tradizionale prevede una crema diplomatica (che erroneamente noi chiamiamo chantilly, crema pasticciera e panna montata), nel mio caso ho preso il gelato alla crema e unito insieme alla panna montata, ho così ottenuto una versione di crema diplomatica al gelato. A questo punto versare la nostra crema gelato all’interno del ring, coprire la superficie con delle scaglie di cioccolato, fare riposare per un paio di ore in congelatore finché la nostra crema si solidifichi. Mentre la nostra torta è in congelatore, iniziamo a farcire i bignè con del gelato (scegliendo il gusto che preferite), e per rendere la torta ancora più bella, iniziamo a preparare in una pentola del caramello. Mettiamo quindi una soluzione pari al 50% di acqua e zucchero. Mischiamo prima di mettere sul fuoco il nostro sciroppo, facendo sciogliere bene lo zucchero, per poi metterlo a scaldare fino a quando non diventa del caramello (mentre la pentola è sul fuoco non bisogna mischiare). Una volta solidificata la torta in congelatore bisogna toglierla dal ring. È arrivato ora il momento di inserire nella sua superficie un disco di Pan di Spagna con un diametro minore, lasciando quindi lo spazio per una corona esterna di bignè, i quali devono essere posizionati con un intermezzo di uno sì e uno no, bisogna ora inzuppare il Pan di Spagna con uno sciroppo di acqua e zucchero (per chi volesse potrebbe essere aromatizzato con del liquore). Se il nostro caramello è pronto possiamo ora prendere i nostri bignè farciti e immergerli nella parte superiore nel caramello (fate estremamente attenzione a non scottarvi, se volete arricchire ancora di più la decorazione potete prendere il bignè con il caramello e farlo aderire a delle granelle di nocciola, pistacchio,oppure scaglie di cioccolato). Ora posizionate i nostri bignè sulla torta così come ho detto in precedenza. È arrivato il momento di munirsi di un sac à poche e prepariamoci a guarnire la nostra torta. Al posto della panna montata prenderemo del gelato al fior di panna con cui guarniremo tra un bignè e l’altro, e al centro della torta faremo delle strisce orizzontali con fior di panna e cioccolato, la nostra torta gelato versione Saint-Honorè è finita, rimane l’ultima delle fasi, quella più importante: la sua degustazione. Cari amici buon gelato a tutti! (a cura di Fabio Bracciotti Creme Glacèe – via Gabrielli 8 SS 1 6, Porto D'Ascoli - San Benedetto del Tronto - AP tel. 349 05 24 031 )
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ARTE& CULTURA Unfotografoche“ruba”le immaginiperstrada Scene, gag e siparietti del Carnevale più pop delle Marche
NEREO CARDARELLI E LA VOGLIA DI NOSTALGIA
Il viaggio a Praga, quando stavano cadendo tutti i muri compreso quello dell'indifferenza, rivisitato oggi che i muri li stanno ricostruendo di Rosita Spinozzi “Non sono un fotografo di professione”. Questa frase l’ho sempre sentita ripetere da Nereo Cardarelli a tutte quelle persone che restano inevitabilmente incantate dalla bellezza dei suoi scatti e dalla profondità di immagini che racchiudono volti e pagine di storia, frutto di un’intensa attività di studio che ha contribuito a rendere ancora più solide le basi intorno alle quali ruota un grande talento che ha ormai varcato i confini nazionali. Pensandoci bene, Cardarelli ha ragione. Non è un fotografo di professione ma un vero artista. Anche se lui, a causa della sua natura schiva e riservata, è il primo a non rendersene conto e continua ancora oggi a pensare a se stesso come a una persona tra le tante che si dedicano alla fotografia, quando hanno voglia e tempo, con il solo scopo di condividere emozioni con gli altri. Cosa che è indubbiamente vera, anche se solo in parte. Perché Cardarelli non è uno come tanti. Fa vivere la fotografia. Ha saputo raccontare uno dei passaggi epocali che resta ancora oggi emblematico nel grande libro della storia. Contemporaneamente, riesce anche a cogliere la reale essenza di personaggi del mondo del cinema, della cultura e dello spettacolo, visti al di fuori della loro ‘iconografia ufficiale’, in occasione dei Festival del Cinema di Venezia, Berlino, Taormina. Personaggi ai quali ha dedicato diverse mostre. Non a caso nel 2007, per un libro dedicato al regista americano James Benning, l’Austrian Film Museum di Vienna ha utilizzato come foto di copertina un ritratto ‘firmato’ Cardarelli. Con lui la fotografia diventa uno strumento nobile che supera il limite della semplice cronaca: i suoi scatti vanno oltre l’evento, storico o mondano che sia, per trasformarsi in piccole storie autonome e pulsanti di vita propria, sempre scandite dal ritmo dell’umanità. Se questa non è arte... Così come un piccolo capolavoro è la pubblicazione autoprodotta “Praga un’altra primavera”, consistente in una raccolta di splendide foto in bianco e nero che Cardarelli ha scattato a Praga tra il 1 989 e il 1 990, all’epoca della cosiddetta ‘rivoluzione di velluto’. Un volume concepito come omaggio a tiratura limitata rivolto agli amici più cari e agli addetti ai lavori. Ma quale istinto lo ha portato a pubblicare queste foto a distanza di venticinque anni ? “Nel suo libro intitolato ‘L’ignoranza’ lo scrittore ceco Milan Kundera definisce la nostalgia come ‘la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ri-
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tornare’, dove il ritorno è inteso tanto come luogo, quanto come tempo vissuto. Ed è proprio seguendo l’istinto della nostalgia che ho deciso di pubblicare le foto scattate nei mesi della seconda primavera di Praga, quale sintesi di una mia esperienza personale davvero molto coinvolgente”, spiega Nereo Cardarelli “Nostalgia per un luogo: Praga, città delle torri antiche che amo ancora tanto e alla quale resto legato soprattutto per un periodo della mia giovinezza vissuto con impegno ed energia. Un periodo che è stato di intima partecipazione alle speranze dei popoli, ai grandi eventi storici che in quei due anni hanno determinato la caduta di tutti i muri e di tutte le barriere, fisiche e ideologiche, che fino ad allora avevano diviso il mondo. Nostalgia per un tempo: i giorni in cui ‘rubare’ fotografie per le strade, tra la gente stupita e in festa, significava fermare da dietro l’obiettivo la storia che stava cambiando”. La pubblicazione di questo libro di ricordi praghesi racchiude, quindi, uno scopo puramente ‘celebrativo’ di una trentennale appartenenza dell’autore a un ideale di fotografia libera, immediata, priva di manipolazioni, randagia. Una fotografia che pone al centro dell’attenzione l’uomo con la U maiuscola, e le vicende storiche e sociali che ne hanno segnato l’esistenza. Nato a Ripatransone, appassionato di cinema e autodidatta con all’attivo masters di fotografia di moda e still life presso la John Kaverdash-Accademia di Fotografia a Milano, Cardarelli ha iniziato a interessarsi attivamente alla fotografia nel 1 983. Una passione che definisce ‘di famiglia’ visto che il fratello maggiore Achille, anche lui amante della fotografia, già negli anni ’70 aveva disposto in casa una camera oscura, e che il marito di una delle sue sorelle era titolare di un apprezzato Studio Fotografico (Spaletra) a San Benedetto del Tronto e uno a Ripatransone. Ampio il percorso artistico di Cardarelli, tra cui ricordiamo anche una collaborazione con la sezione ‘Internationales Forum des Jungen Films’ del Festival del Cinema di Berlino.
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CRISTIANA MORGANTI, SULLE ORME DI PINA BAUSH
Ridere, occorre sempre ridere di Emanuela Voltattorni
Ha iniziato a ballare a 5 anni per correggere un difetto fisico. Con un seno prosperoso, come quello che ha poi sviluppato, non si diventa un'etoile; non è propriamente una caratteristica che si addice al fisico delle ballerine classiche. Si sa, se non sei un fuscello non hai futuro. Si sa, che se non si ha il corpo adatto, si può danzare per divertimento, per passione, ma senza particolari aspirazioni. Ma chi conosce la danza sa anche che il nome di Cristiana Morganti è invece legato da 20 anni al ruolo della ballerina solista del Tanztheater (teatro-danza) di Wuppertal, luogo in cui è avvenuta la grande rivoluzione della danza - con il superamento dell'idea classica e moderna di balletto in nome di un teatro totale - grazie al talento di Pina Bausch. Cristiana Morganti è stata una allieva di colei che è considerata, a ragione, una ballerina e coreografa tra le più grandi della storia. “Un giorno ero in taxi con Pina e parlavo, parlavo. Si voltò e mi disse che lei aveva iniziato a danzare per l’urgenza di comunicare qualcosa e non riusciva a esprimere a parole, essendo molto riservata e poco ciarliera. Meravigliata, mi chiese perché io, italiana espansiva e chiacchierona, avessi bisogno di danzare”, tratto da “Moving with Pina”, la conferenza danzata che la ballerina di origini romane ha dedicato alla sua maestra. La Morganti è famosa per il movimento delle braccia flessuose che è descritto come inconfondibile dagli amanti della danza, così come le “smorfie” che fa, e le fa perché la Bausch non smetteva mai di ripetere ai suoi allievi che dovevano sorridere, “sorridere sempre”. Durante i suoi spettacoli, la ballerina romana chiede una sigaretta agli spettatori, proprio lei che non avrebbe mai fumato, ma per Pina (in fondo è proprio con il suo nome che la ricorda Wim Wenders nel documentario a lei dedicato) era indispensabile accendere una sigaretta durante i suoi spettacoli. Spettacoli, quelli della grande coreografa, dietro i quali c'era un faticoso lavoro di ricerca e preparazione, e che partivano proprio dalle domande della Bausch ai suoi “danzattori” (così li chiamava), i quali dovevano dare le loro risposte, attraverso l’improvvisazione di parole, movimenti e azioni. E Cristiana Morganti ha concepito così anche il suo nuovo lavoro che porterà sul palco dell'Annibal Caro di Civitanova, “Jessica and me”, partendo da alcune domande cruciali, sulla memoria, le radici e le eredità e crea una riflessione danzata ironica, poetica, spiazzante, che prende sempre forme diverse.
IlcentrogiovanidiCentobuchi fucinadinuoviartisti Aprile, dolceteatrar-musicando
AMAT TRA MUSICA E TEATRO I consigli di Life Marche
GIOVARTI E LE COLLETTIVE L'impegno in nome dell'arte giovane di Nazareno Luciani
di Massimo Consorti
di Rosita Spinozzi
L'Amat si veste anche di musica, e lo fa con concerti per molti versi alternativi. Il mese di aprile, soprattutto, è ricco di appuntamenti che in alcuni casi rappresentano un mix intelligente di musica e teatro. Si inizia infatti il 9 (Corinaldo, Teatro Goldoni) e il 1 0 (Tolentino, Cine-Teatro Don Bosco), con “La famiglia canterina”, spettacolo sulle canzoni del Trio Lescano con i testi di Giorgio Bozzo, la direzione musicale di Chistian Schmitz, e la regia Max Croci. Il 1 0 aprile, al Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno, in scena i Marlene Kunz con “Il vestito di Marlene”, testo e musica dei Marlene Kunz e la coreografia di Mvula Sungani. Sempre il 1 0 al Teatro Piermarini di Matelica, il concerto di Roberto Vecchioni, mentre la stessa serata a Montemarciano, Teatro Alfieri, lo show di Giorgio Montanini. L'1 1 aprile a Porto Sant'Elpidio, Teatro delle Api, in scena Antonio Rezza e Flavia Mastrella in “Fratto X”, testi e regia della coppia Rezza-Mastrella. Concertone, il 1 2 aprile a Pesaro (Teatro Rossini), di Giovanni Allevi in “Piano Solo Tour”. Il 1 4 a Fano (Teatro della Fortuna), “Bestemmia d'amore”, voce recitante e canto Pippo Delbono, voce, arpina, tamburo e sax sopranino Enzo Avitabile, chitarra napoletana Gianluigi Di Fenza, tamburi Carlo Avitabile. A Civitanova Marche, il 1 6 (Teatro Annibal Caro), la Compagnia Simona Bucci in “Enter Lady Macbeth”, con le coreografie di Simona Bucci. A Falconara, il 1 7 aprile al Teatro Terminal, Michele Placido nel recital “Serata D’onore”. A Fermo, 21 -22 aprile al teatro dell’aquila, “La dodicesima notte” di William Shakespeare, traduzione di Patrizia Cavalli, con Carlo Cecchi. A Civitanova Marche, il 22 (Teatro Rossini), Gianluca Guidi e Giampiero Ingrassia in “Taxi a due piazze” di Ray Cooney per la regia di Gianluca Guidi. A Montegranaro, il 24 aprile al Cine Teatro La Perla, Ascanio Celestini in “Racconti” di Ascanio Celestini. E sempre Ascanio Celestini ma a Pesaro (Teatro Rossini) e con uno spettacolo diverso “Discorsi alla nazione”, il 25 aprile. A Matelica, il 27 al Teatro Piermarini, è di scena Geppi Cucciari in “Recital”, un monologo che reca come sottotitolo “Una serata stra-ordinaria con una donna fuori dall’ordinario”. A Jesi, il 28 al Teatro G.B. Pergolesi, Alessandro Bergonzoni in “Nessi”, con la regia dello stesso Bergonzoni e Riccardo Rodolfi. A Porto San Giorgio il 29 e 30, al Teatro Comunale, Stefano Tosoni in “L'amore è Cechov”, di Stefano Tosoni e Stefano De Bernardinis. Per concludere, il 30 a Civitanova Marche (Teatro Annibal Caro), Sonia Barbadoro in “Dodici Minuti - Brema 1 966. La tragedia della nazionale italiana di nuoto”, un progetto di Francesco Zarzana e Sonia Barbadoro, regia Francesco Zarzana. Buon musica-teatro a tutti.
Sono i giovani i ‘satelliti’ che ruotano intorno al ‘pianeta’ GiovArti, nuovo Centro per le arti giovanili nato lo scorso aprile in viale De Gasperi di Centobuchi di Monteprandone. Tre piani interamente dedicati all’arte, alla cultura, alla creatività, nonché ambizioso progetto di un Comune che crede a uno sviluppo socio-culturale con protagonisti i giovani. Nata in pieno centro cittadino, la struttura ospita nel seminterrato due sale prove insonorizzate per i musicisti, al piano terra una sala espositiva, al primo piano un audiocinema da 67 posti e al secondo piano una bibliomedia. Ed è proprio all’interno di GiovArti che Nazareno Luciani, artista sambenedettese che opera in campo culturale da oltre vent’anni a Monteprandone, dedica attraverso lo spaziomOHOc il suo tempo e la sua passione per l’arte che si materializza nell’organizzazione di collettive di giovani artisti, sia regionali che interregionali, spalancando le porte anche a eventi collaterali come presentazioni di libri, musica e altro. “La ricerca degli artisti solitamente è frutto di un’attenta ricerca effettuata con i curatori, i docenti delle Accademie e gli artisti stessi. Una dinamica che finora si è dimostrata efficace, in quanto gli invitati restano sempre soddisfatti della loro partecipazione. Anche il numeroso pubblico che accompagna ogni esposizione è diverso ed entusiasta, grazie anche al continuo rinnovamento degli artisti in mostra”, spiega il direttore artistico Nazareno Luciani, deus ex machina di uno Studio-Laboratorio e dello Spazio Espositivo spaziomOHOc (Magic OHO Collection) - Arte Contemporanea nel centro storico di Monteprandone. “Questo breve periodo che segue la nascita di GiovArti si è rivelato positivo, soprattutto se consideriamo l’interesse con il quale i giovani del nostro territorio vivono l’arte nell’epoca contemporanea. Finora sono già stati invitati quasi 50 artisti diversi, scelti dallo spaziomOHOc, tra i quali si sono alternati giovani estremamente talentuosi. Ma non finisce qui, perché abbiamo in programma diverse iniziative”. A tal proposito, la prossima sarà la quinta edizione della collettiva ‘Venere: Pietas e Beltà’, che verrà inaugurata il 22 marzo con la partecipazione di nove artisti sempre aperti al confronto e al dialogo con il pubblico. In mostra le opere inedite di Cristina Bagalini (pittura grafica), Ado Brandimarte (scultura), Albert Figurt(video), Desirée Di Caro (fotografia), Silvia Luciani (pittura), Stefano Giaroni (pittura), Giorgia Mascitti (pittura), Hisako Mori (pittura), Gloria Recanatini (pittura). Ad accompagnare la serata, un testo di Chiara Tremaroli e una performance del violinista Michelangelo Leporini. 13
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Dimmi che scarpe indossi e ti dirò chi sei. I modelli di Lanciotti de' Verzi te lo dicono al primo colpo d'occhio
La“teoria”deltennis
PERCHÉ RIVOLGERSI A THE ENGLISH SCHOOL CONTACT POINT?
Uno sport che è anche sapere, conoscenza, tattica e abilità fisica La risposta è semplice. L'apprendimento delle lingue e di uno sport come il tennis richiedono un addestramento mirato per arrivare all'eccellenza, cosa che noi offriamo, assieme al vantaggio di poter raggiungere gli obiettivi senza che la percezione della fatica sia la sensazione dominante dal momento che noi trasmettiamo il sapere con passione e allegria non perdendo per questo di vista la tecnica e la metodologia. Come in una partita di tennis insegniamo le regole con impegno e coscienza, quando giochiamo attuiamo tutto ciò che abbiamo appreso negli allenamenti mettendo in campo anche le sfumature dell'anima, il carattere, la personalità e l'intelligenza, per lasciare che emergano l'autostima, la fiducia in se stessi, la capacità di concentrazione, l'energia nonchè le abilità fisiche. Tutti questi fattori combinati opportunamente contribuiscono a centrare l'obiettivo: "vincere". Durante la partita passano per la testa tanti pensieri e affiorano emozioni diverse come la rabbia, la paura, l'ansia, l'ottimismo, la fede, la gioia. Per questo, utilizzare la giusta energia è importante onde evitare di andare in confusione dato che saper leggere l'avversario, capendo la tecnica e la tattica da adoperare e le repentime decisioni da prendere, sono capacità fondamentali al fine di portare a casa il risultato. Ma in che modo affrontare le competizioni? Innanzitutto con l'attitudine mentale che non esistono partite negative bensì solamente esperienze che contribuiscono a migliorare la persona. Quando ti appassioni ad uno sport come il tennis vuoi solo progredire giorno dopo giorno, sentirti fluido in campo, senza resistenze, con la giusta energia, in piena libertà, per divertirti e superare te stesso. PTR, FIT Maria Carolina Chipia Scuola Tennis presso English School via Delfico 27 Teramo Tel. 333 22 7 88 73)
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di Marco Bagalini Nei miei viaggi oltre oceano, durante le interminabili ore attese ai gate o semplicemente nelle sale d’attesa di luoghi di scambio, un’attività mi ha sempre divertito molto: osservare solo i piedi delle persone che transitano, e osservare quindi soprattutto le scarpe. Ho sempre pensato che le scarpe non siano un semplice accessorio o complemento di un outfit, bensì un modo per definire la propria identità attraverso un codice molto più silenzioso, e forse proprio per questo più aderente alla persona che le indossa. È rilevante, ad esempio, una differenza abissale nello stile delle calzature delle genti anglofone rispetto a quelle indossate dagli italiani o comunque middle-european. Sarebbe un luogo comune dire che cambia la foggia e la qualità della calzatura, e una banalità affermare ancora una volta quanto lo stile europeo almeno nelle scarpe sia più raffinato ed elegante; infatti penso sia possibile capire la nazionalità di un persona, o almeno l’area del mondo da cui proviene, già solo guardando la forma della suola e il volume della scarpa. Osservare con attenzione le calzature è diventato col tempo non solo un passatempo ma anche un hobby a cui mi abbandono piacevolmente anche in Italia e con gli amici, perché ho notato che, spesso, dalle scarpe è possibile capire di una persona molto più di quello che dice. Mi colpisce, in modo particolare, notare delle scarpe che appaiono come "fuori luogo" rispetto al resto dell'abbigliamento. Vedere, ad esempio, persone dall'aspetto morbido e dolce che ispirano affidabilità, con ai piedi delle scarpe esageratamente a punta mi fa pensare che un lato spigoloso e tagliente ce l'hanno anche loro, in barba all'aspetto generale. Le scarpe rappresentano un’estensione del sé: dalle scarpe indossate da una persona si possono dedurre aspetti non solo del suo status, ma soprattutto i tratti psicologici, le tendenze emotive e politiche oltre alle modalità relazionali. Le scarpe rappresentano un modo inconscio per migliorare l’immagine di sé senza richiamare l'attenzione sul proprio corpo: quando il corpo ideale minaccia l’immagine di sé, infatti, si cerca di affermarsi con accessori a parti del corpo non direttamente connesse con la propria immagine fisica. L'emotività è determinante nella gestione delle relazioni e la sua stabilità dipende dalla paura di abbandono o di non essere accettati e dalla conseguente capacità di gestire le frustrazioni. In particolare, oltre ai gesti, le espressioni e la mimica facciale, vi sono altri fattori che entrano in gioco nel linguaggio non verbale tra i quali l'abbigliamento e in particolare le scarpe, le quali proprio perché hanno una grande varietà di stili, marchi, aspetti e funzioni, sono indicatori e portatori della personalità oltre che della persona. Chi non ne ha mai comprato un paio quando era giù di morale? Anzi, a chi non è mai capitato di sentirsi dire “ancora scarpe? Ma ne hai già troppe! La Shoes addiction è una mania che può colpire tutte, in ogni momento; in America sull’Urban Dictionary è stato coniato il termine “shoesaholic” per indicare una “persona che possiede più di 60 paia di scarpe”, e nel 201 1 è uscito il primo documentario che esplora il legame intimo tra donne e scarpe analizzandolo dal punto di vista storico, psicologico e socioculturale dall’emblematico titolo “God save my shoes”. Qui nelle Marche è nel nostro DNA avere un'ossessione compulsiva per le scarpe: vantiamo il primo distretto calzaturiero in Italia
sia per quantità di produzione che per qualità di lavorazioni e non è un caso se brand universalmente conosciuti arrivano nei nostri paesini visitando laboratori più o meno grandi per ideare campionari, nuovi concetti e infine produzioni, penso in questo momento a marchi del calibro di Marc Jacobs e Miu Miu. Quindi è normale che noi marchigiani poniamo un accento un po’ più marcato sullo stile che i nostri piedi indossano e sulle caratteristiche che vogliamo dimostrare giorno per giorno. Le Marche sono piene di laboratori che producono eccellenze in termini di qualità e in termini di avanguardia stilistica. Ed è per questo poi che nel mondo siamo altamente riconoscibili e allo stesso tempo apprezzati cultori della calzatura. Come il Marchio Lanciotti de Verzì che con alle spalle una storia lunga di tradizione e passione familiare, si impegna da sempre nello sviluppo di calzature uomo-donna che non lasciano spazio a dubbi estetici. Entrando nel Factory store di Casette d’Ete, cuore pulsante del distretto calzaturiero di primo livello, si respira il profumo della passione per il pellame di qualità. Infatti il marchio della qualità non intende accettare compromessi di sorta, unendo un aspetto ormai fondamentale per clienti abituati al lusso a costi di mercato accessibili. Scopo del marchio è sicuramente offrire un accessorio di lusso per tutti, che diventa poi chiave di volta e cardine nell’outfit finale. Ma qual è la bellezza nascosta di questa collezione? Parlare esclusivamente della qualità delle finiture di pregio, della materia prima che già dall’origine alla concia non è seconda a marchi blasonati, è un luogo comune, perché è ormai noto che Lanciotti de Verzì fa della scarpa un life style incentrato su una passione decennale. Allora discutiamo per un momento dello stile della collezione. Parliamo di che tipo di carattere emerge se per un secondo immaginiamo di vedere questi gioielli passeggiare avanti e indietro in attesa di un volo per New York. Sicuramente si avvertirebbe un carattere forte e ben definito, le calzature di Lanciotti de Verzì infatti non stravolgono l’immagine di una persona qualunque siano le sue caratteristiche psicologiche, diventano multiformi seguendo le linee della persona che le indossa. E proprio perché non stravolgono l’immagine di sé che il cliente ha, diventano oggetto di culto, simbolo di eleganza e raffinatezza. Queste sono scarpe che parlano di una persona che conosce se stessa, che cammina comoda edritta sulla strada maestra della vita che gestisce in modo autonomo e consapevole. Uomo o donna che siano, è impossibile non riconoscerne la semplice eleganza e il lusso mai ostentato che si nasconde dietro questi gioielli del made in marche. (mb) Lanciotti de Verzi, Factory Store presso “Il Castagno Brand Village” – Strada Brancadoro Mostrapiedi II, Casette d’Ete- Aperto tutti i giorni dalle ore 1 0.00 alle ore 1 9.30, orario continuato- telefono 0734.871 839.
Il boom dei negozi di accessori e vestiti“usati”
IF STORE PRESENTA LA NUOVA COLLEZIONE PRIMAVERA ESTATE UOMO E DONNA
IF Store - Via Ippolito Nievo - Fermo Tel. 0734.600682 - www.ifstore.it
VOGLIA DI VINTAGE di Luca Di Carlo Nella realtà metropolitana stanno prendendo sempre più spazio piccoli negozi di accessori e vestiti vintage. Bazar sospesi nel tempo, alcune volte anche eccessivamente kitsch, dove un potpourri prevalentemente di abiti anni 60', 70', 80' e 90', mischiati fra loro, danno vita a nostalgici ricordi o, per i giovani fruitori fashion victims di tutto il mondo, a una scatenata e divertente voglia di giocare per creare nuovi outfit. Dopo gli anni Ottanta, il nuovo periodo di tendenza da rivisitare sono i Novanta. La maggior parte degli stilisti lo rielabora, rendendolo più fresco nei tagli, nei colori e nei materiali, ma mantenendo quegli aspetti che hanno caratterizzato soprattutto i primi anni di questo decennio. Prendiamo il caso della maison Versace, che sembra aver aperto la cassaforte che conteneva i vecchi bozzetti disegnati dal geniale Gianni per le ultime sue collezioni datate Novanta. Pelle intarsiata, borchie e linee asciutte e tendenti al minimal, sono i must che all'inizio degli anni '90 la "medusa" Versace ci presentava e che ancora oggi ci propone con l'aiuto di super testimonial nelle sue campagne pubblicitarie. Caratteristiche che ritroviamo in molti dettagli della moda attuale da parte di numerosi brand, ma elementi che ancora prima la giovane filosofia street style ha fatto propria, affidandosi a pezzi unici trovati all'interno di negozi vintage. Negli ultimi anni anche i giovani "trendy" italiani hanno scoperto e adottato questa filosofia, come "maniera" di rendere il loro look meno conformista. La parola per definire tutto ciò è, "imbastardire", personalizzando anche con un solo accessorio vintage un outfit comune, apparentemente voluto e imposto dalla massificazione sociale modaiola. Una borsa Louis Vuitton usata, dalla pelle consumata, invecchiata, piuttosto che una nuovissima, dal pellame lucido, è certamente più trendy. Ma, in questo continuo nascere di negozi dell'usato, bisogna saper scegliere e soffermarsi su chi nello specifico ci permette di trovare pezzi unici e originali da poter acquistare serenamente aggiungendoli al nostro personalissimo guardaroba. Cerchiamo di fare una distinzione fondamentale da ciò che è vintage a ciò che è usato. Il vintage ha un valore non solo sentimentale, legato a un ricordo o momenti vissuti, ma anche un valore materiale, oggettivo. Oggi giorno sembra non più così complicato riuscire a trovare accessori o vestiti di brand di lusso originali, proprio perché c'è una richiesta crescente, grazie alla moda stessa, che nonostante tenti di rinnovarsi e sperimentare, continua ad attingere molto spesso adalcuni aspetti del passato.
Unmodopertornare avivereilmondo
CENTRO OLISTICO SALUTE Il benessere fisico e psicofisico a Santa Teresa di Spoltore
Il metodo olistico si occupa dei meccanismi biologici responsabili del Mal-Essere o della malattia, ma anche di quelli più profondi: psicologici, emotivi, fisici, energetici e ambientali. Quando anche soltanto uno di questi elementi si destabilizza, si scompensano anche tutti gli altri, per cui diventa indispensabile riequilibrare il “tutto”. L'approccio olistico si esprime attraverso la visione unitaria, che insegna a riconoscere e a realizzare la spinta evolutiva che ogni sintomo, problema o sofferenza contengono in sé. Negli ultimi anni questo insieme di discipline si sta decisamente affermando attraverso i risultati concreti raggiunti da tutti coloro che lo utilizzano. Abbiamo scoperto un grande professionista del settore, Marco Rosso Perbellini e il suo Centro Olistico Salute, che si trova in Via Tronto a Santa Teresa di Spoltore, in provincia di Pescara. Questo Centro è nato per rispondere al bisogno sempre più frequente di tornare a dedicare un po’ di tempo per prendersi cura di sé. Fondato all’inizio del 201 2, Marco Perbellini racchiude in sé importanti competenze, infatti è Counselor, Trainer e Formatore, iscritto al numero 1 260 del Registro Nazionale Faip Counseling. Il C.O.S. nasce decentrato dalla città (anche se facilmente raggiungibile) e un po’ distante da tutti i paesi dell’interland. “Se questa sua caratteristica di decentramento fosse considerata solo sul piano commerciale, non sarebbe certamente un vantaggio. Tuttavia – dice Perbellini – le considerazioni che ho fatto scegliendo la location del C.O.S. sono state altre. Avevo bisogno di un posto isolato, ma non fuori dal mondo, silenzioso, ma non austero, che avesse una storia da raccontare, che fosse storia vera, di vita quotidiana, niente di famoso o straordinario; cercavo un posto semplice da raggiungere e con la possibilità di parcheggiare facilmente, insomma, cercavo un posto in cui iniziare a costruire un’oasi, un rifugio. Se non basta questo a compensare lo svantaggio del decentramento – continua Perbellini – c'è da dire che per l’utente percorrere quel pugno di chilometri che ci separa da Pescara, o dagli altri paesi, equivale a darsi il permesso di prendere una pausa dai propri pensieri, di concentrarsi sull’aspettativa di quello che troverà al Centro e di entrare in una relazione più attenta con sé stesso: quando questo accade, le persone ci portano istanze più precise e si godono l’esperienza che vivono con noi. Dopo aver scelto la location e aver individuato la struttura, ho pensato alla forma che avrei voluto dare a questa realtà: volevo che il C.O.S. offrisse al pubblico l’intervento di professionisti competenti, capaci di esercitare la propria professione con empatia, dedizione, determinazione e cura del cliente, in pieno rispetto della Legge, dei codici etici e deontologici”. Il know how che oggi il Centro Olistico Salute mette a disposizione degli utenti sono: Counseling, Riflessologia Plantare, Rebirthing, Massaggio Cranio–Sacrale, Meditazione, Tecniche Olistiche, ed altri (www.centro-olistico-salute.it); orbene se sono evidenti le differenze tra ciascun professionista, non bisogna trascurare ciò che invece unisce i professionisti del C.O.S., ossia il fatto che l’intervento professionale mira a ripristinare una condizione di benessere nel cliente, non è in alcun modo riconducibile a interventi di carattere medico–sanitario, e la capacità dei professionisti di considerare la persona del cliente nella sua interezza, quindi il saper accogliere la parte fisica, mentale e spirituale garantendo un approccio tendenzialmente olistico ed integrato alla propria professionalità. Centro Olistico Salute - Via Tronto 1 5 Santa Teresa di Spoltore (Pe) – info@centro-olistico-salute.it – www.centro-olistico-salute.it - Tel. 334 338 8378 A cura del Centro Olistico Salute
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Unosportadattoatuttii generieleetà
IL TAEKWONDO O COME FAVORIRE UNO SVILUPPO FISICO ARMONICO di Rosita Spinozzi
Ciglia Extension
CORPO DI DONNA OCCHI DI CERBIATTA
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di Giovanna Mascaretti Chi non ha mai sognato di avere occhi da “cerbiatta”? A San Benedetto del Tronto, la nuova moda è proprio quella delle extension alle ciglia. Che sia longeva come quella delle unghie ricostruite? Sicuramente costi e durata dell’applicazione sono differenti. Il procedimento è abbastanza lungo e laborioso: le extension vengono attaccate una per una a quelle naturali con una colla speciale, anallergica. La seduta dura intorno alle due ore, dopo 2 o 3 settimane vanno ritoccate, perché le ciglia vere non danno posto a quelle nuove. Tante le precauzioni, in quanto non bisognerebbe mai toccarsi o sfregarsi gli occhi, però, con un po’ di abitudine, si fa eccome; d'altronde, noi donne resistiamo ai tacchi e alle cerette... Oltre i sopra elencati difetti, le extension alle ciglia, “godono” di moltissimi vantaggi. È una tecnica “pro donne” di ogni tipo e non solo per le insoddisfatte croniche del proprio aspetto. Infatti il trattamento aiuta chi ha ciglia corte e sottili e vuole allungarle e infoltirle; chi ha ciglia già abbastanza folte ma le vuole ancor più folte, lunghe e curve; chi non ha tempo di truccarsi tutti i giorni e vuole delle ciglia perfette sempre; chi pratica sport ed il mascara è un problema, chi porta occhiali e con il mascara li sporca sempre; chi porta lenti a contatto e il mascara può rappresentare una fonte di problema o per chi semplicemente, vuole apparire. Un' ampia varietà per ogni esigenza e per tutti i gusti, per le occasioni speciali (matrimoni, lauree, ecc.) o per tutti i giorni. Di certo sono coccole per la donna e rappresentano una sicura arma di seduzione per uno sguardo mozzafiato.
L’arte marziale coreana del Taekwondo, nata più di due millenni fa per difendere la patria dagli invasori, scavalca con i suoi calci in volo i limiti del tempo e arriva ai nostri giorni portando non solo benessere fisico e spirituale, ma anche un messaggio importante che include saggezza, dignità e consapevolezza delle proprie capacità: elementi necessari per allontanare nell’uomo qualsiasi atto di violenza e di ingiustizia. Un messaggio pienamente recepito dai circa 80 milioni di tesserati che fanno di questa disciplina sportiva l’arte marziale da combattimento più praticata al mondo, ottima anche come metodo di difesa e attacco che, nel suo genere, si distingue dalle altre per la spettacolarità delle tecniche, l’efficacia dei colpi, la peculiarità dei calci in volo, semplici o con rotazioni, anche superiori ai 360 gradi. Taekwondo, infatti, significa letteralmente ‘arte (do) del colpire con pugno (kwon) e del colpire con piede (tae)’. Nel ventesimo secolo il Taekwondo è stato modernizzato con la saggia scelta di integrare le caratteristiche marziali tradizionali con le conoscenze scientifiche raggiunte riguardo lo sviluppo delle capacità motorie, per poi diventare nel 2000 sport ufficiale con le Olimpiadi di Sidney, e avere una più ampia diffusione che lo vede presente in oltre 1 70 nazioni, grazie alla capacità di essere un’arte marziale adatta a tutti, senza limitazioni di sesso o di età. Il Taekwondo, infatti, piace alle donne perché, oltre a favorire un sviluppo fisico armonico, tonifica i muscoli addominali, delle cosce e dei polpacci; piace ai bambini che imparano a gestire, sviluppare e accrescere le capacità coordinative di base senza rinunciare al divertimento; piace agli uomini perché acquisiscono una notevole preparazione atletica che li porta a conseguire rapidità, coordinazione, resistenza. L’allenamento, inoltre, richiede esercizi che implicano interazione tra gli atleti, stimolando così il senso di fratellanza e di rispetto tra le persone. In sintesi, tutti coloro che praticano in modo assiduo questa acrobatica arte marziale ne ricavano ottimi benefici per quanto riguarda il controllo del proprio corpo e delle sensazioni, come pure della capacità di adattamento e trasformazione. Un combattente di qualsiasi disciplina marziale deve essere un buon atleta. Motivo per cui gli adolescenti vengono sottoposti prima di ogni altra cosa ad allenamenti specifici mirati all’accrescimento delle capacità coordinative, e quindi come gestire e controllare tutte le parti del corpo, partendo con semplici movimenti fino ad arrivare a quelli più complessi. Per quanto riguarda il piano nutrizionale, non occorrono diete specifiche ma soltanto una sana ed equilibrata alimentazione. A tal proposito è utile sapere che il Taekwondo richiede principalmente l’utilizzo del sistema anaerobico alattacido e lattacido, ma anche il sistema aerobico, seppur di minore entità. Pertanto l’alimentazione dovrebbe comprendere tutto a partire dalle vitamine ai minerali, dai carboidrati alle proteine: frutta e verdura, cereali, legumi, pesce, carne e tanta acqua. Lo sa bene la Champions Club Taekwondo di San Benedetto del Tronto, guidata dal maestro Riad Khalil, che è presente nel Piceno con tre corsi. Infatti, al corso principale che si svolge nella palestra Tonic di Porto d’Ascoli (lunedì, mercoledì, venerdì, dalle ore 20 alle 21 ,30), si sono aggiunti il corso presso la palestra della scuola media ‘L.Cappella’ di Porto d’Ascoli con l’istruttore tecnico 2° Dan Lorena Narcisi (lunedì, martedì, giovedì, dalle ore 1 8 alle 1 9), e il corso presso la Palestra Perfect di Grottammare, con l’istruttore tecnico 1 ° Dan Emanuele Califano Lidak (lunedì dalle ore 20,30 alle 21 ,30, e il giovedì dalle ore 20 alle 21 ). Importante sul territorio la presenza del maestro Riad Khalil che, oltre ad insegnare da oltre vent’anni il Taekwondo in Italia, ha conseguito prestigiosi traguardi tra cui il riconoscimento del 5° Dan e, in occasione del ‘36th Foreigner’s Taekwondo Master Training Course’ in Corea, la nomina di Maestro e Membership della Kukkiwon, il quartier generale del Taekwondo nel mondo. La Champions Club TKD di San Benedetto del Tronto, affiliata alla Federazione Italiana Taekwondo (FITA), la quale a sua volta fa capo alla Federazione Mondiale di Taekwondo (WTF), forma all’interno della sua associazione sportiva generazioni di atleti che partecipano ai tornei regionali e interregionali, come pure ai corsi di formazione promossi dalla FITA, portando a casa medaglie e qualifiche di allenatori e giudici di gara.
FINESTRA DELLE MIE BRAME. CHI È IL PIÙ BELLO DEL REAME? [indovinadovesiamo]
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FOCUS COMUNI
Arteeculturainunpaesesconosciutoai più, investitodalventogiovane
CASTORANO UN'ALTRA DELLE BELLEZZE DEL PICENO
di Rosita Spinozzi
Castorano oggi
Si respira aria giovane nel Comune di Castorano, piccolo paese situato sulle colline che circondano la Vallata del Tronto e abitato in origine da popolazioni picene. Giovane è la nuova amministrazione capitanata dal sindaco trentenne Daniel Claudio Ficcadenti, come pure sempre verde è la volontà generale di valorizzare le risorse e le caratteristiche di un luogo che, scopriremo, ha le sue carte da giocare. Castorano, infatti, è un paese assolutamente da non sottovalutare da un punto di vista artistico e culturale, è terra natìa dell’illustre sinologo e missionario Padre Carlo Orazi (1 673-1 755), partecipa dal 1 995 alla Quintana di Ascoli Piceno, è gemellato con la cittadina francese di Noisy- surÉcole, rievoca l’antica tradizione della ‘vevetella’ (merenda dei mietitori); ha un’economia basata sull’agricoltura e il suo prodotto per eccellenza è l’ottimo vino delle sei aziende vinicole locali che vengono considerate un fiore all’occhiello. Il paese ha dato vita anche a un premio letterario nazionale degno di nota :‘Scrivere per la musica’, giunto alla decima edizione, la cui poesia vincitrice, stabilita da una commissione presieduta dal professor Calcinaro, viene trasformata in una canzone arrangiata dal maestro Sergio Morganti. Il festival, da quest’anno sotto la direzione artistica di Luca Sestili, ha sempre avuto la peculiarità di portare la poesia anche all’interno delle famiglie, con letture tematiche a cura di Piergiorgio Cinì e nelle cantine con l’abbinamento di vini, mentre la serata di premiazione si svolge in Sala Consiliare. Tre le frazioni di Castorano: Pescolla, dove c’è una chiesa dedicata a San Giovanni Battista costruita nel 1 532 da alcuni maestri muratori lombardi; Rocchetta, situata su una delle colline del paese nonchè zona di confine tra Spinetoli, Offida e Castorano; infine San Silvestro, l’ultima nata in ordine di tempo poichè si è sviluppata intorno agli anni ‘60/’70, si trova a 5 Km dal centro storico lungo la Strada Statale Salaria. Castorano è dunque una città da visitare, meglio ancora se in compagnia di Maurizio Franceschi dell’Associazione Culturale “Padre Carlo Orazi”, che ha accompagnato la sottoscritta alla scoperta dei luoghi più caratteristici del paese e fornito un’interessante lectio magistralis ‘en plein air’ sulle origini di Castorano e sulla vita di ‘un missionario scomodo, un personaggio controverso e piuttosto sfortunato’. E se a dirlo è un suo diretto discendente, allora non ci sono dubbi. Del resto basta notare il giorno errato della data di nascita di Padre Carlo Orazi (25 maggio anziché 20 maggio), inciso sulla lapide commemorativa affissa sul muro accanto alla chiesa di Santa Maria della Visitazione, per capire che il caso è sempre stato involontariamente poco benevolo con il religioso. Persino in patria. Ma si tratta solo di una piccola svista che va ad implementare i numerosi anedotti che ruotano intorno all’esistenza di Padre Carlo, perché la stima e l’affetto che nutrono i concittadini nei suoi confronti è ancora oggi tangibile. Tanto che, in occasione del 260° anniversario della sua morte, l’Associazione Culturale Padre Carlo Orazi e l’Amministrazione Comunale si stanno prodigando per far sì che, nel mese di luglio, possano essere esposti a Castorano i manoscritti del frate conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli. I colli dello stemma comunale, l’origine del toponimo e una leggenda
Il blasone di Castorano raffigura tre colli sormontati da due stelle che, probabilmente, rappresentano Castore e Polluce, i due Dioscuri figli di Leda che Giove trasformò in astri. Il culto di uno di questi, Castore, secondo alcuni avrebbe dato il nome al paese. Ma questa è solo una delle tre etimologie a cui si usa far risalire il toponimo. Infatti secondo altri Castorano deriverebbe da castrum romanum, mentre l’ipotesi più attendibile risiede nella crasi da Castrum Anii, dove Anii è il genitivo del nome Anio, il console che volle situare il castrum su uno dei rilievi della zona a difesa della Via Salaria. I primi insediamenti risalgono al III secolo a.C.ma, prestando fede alla leggenda del console Anio, l’attuale collocazione del centro dovrebbe risalire al I secolo a.C. Per quanto riguarda i tre colli rappresentati nello stemma del Comune, il primo è quello su cui sorge la parte vecchia della cittadina, mentre il secondo, che una volta veniva chiamato Colle Spadone, sorge nel punto in cui c’era il civico cimitero. Il rilievo adesso è chiamato Parco della Rimembranza perché dovrebbe ricordare i caduti della Grande Guerra: a ciò servivano, infatti, le targhe metalliche con i nomi dei caduti che nel periodo tra le due guerre, erano state fatte collocare su iniziativa della locale sezione dell’Associazione Nazionale Combattenti. Peccato che le targhette sono sparite, la Rimembranza pure e, parafrasando il celebre motto di Woody Allen, neppure il parco sta molto bene. Sull’individuazione del terzo colle raffigurato nel blasone, invece, aleggia la stessa incertezza che grava sull’etimologia del nome della località. In compenso però, fino a qualche anno fa tra le Rue girava un’antica leggenda: si diceva che sotto uno di questi tre colli fosse nascosta una campana d’oro che sarebbe potuta appartenere soltanto a chi l’avesse trovata senza però farne parola con alcuno. La realtà dei fatti è che ancora oggi nessuno ha mai trovato la ‘leggendaria’ campana. Un po’ di storia
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Castorano è uno dei Castelli della Città di Ascoli Piceno e come tale prende parte alla rievocazione storica della Quintana. Nel corso degli anni ha pagato piuttosto cara la sua fedeltà alla città capoluogo dal momento che, nei numerosi scontri che l’hanno vista contrapposta a Fermo, ha spesso subìto devastazioni, distruzioni e incendi, alcuni dei quali appiccati dalle truppe di Offida. Tra i vari saccheggi, gli storici ricordano quelli ad opera dei fermani nel 1 325, Gentile da Mogliano nel 1 348, ancora dei fermani nel 1 449, degli offidani il 4 aprile 1 487. Il più devastante è stato il
saccheggio di Nicolò Orsini, conte di Pitigliano e comandante delle milizie pontificie, avvenuto il 7 marzo 1 491 ; seguito da quelli di Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, nell’agosto 1 51 7; delle milizie spagnole accorse in aiuto dei fermani in guerra contro Ascoli nel 1 534; dei banditi abruzzesi di cui parla il proclama emanato dal generale francese Monnier il 1 6 pratile dell’anno VII della Repubblica Francese, data che corrisponde al 4 giugno 1 798. Il Castello si trova alla distanza di 1 3 miglia romane dal capoluogo, poco più di 1 9 Km, come documenta una stele rinvenuta qualche anno fa nei pressi della chiesa parrocchiale di Santa Maria della Visitazione sull’uscio di una casupola sita in Via Bora, dove era stata utilizzata come scalino di accesso. Probabilmente si tratta di un antico Miliarium recante l’indicazione dei magistrati romani che, con la costruzione di una strada passante per l’attuale centro urbano di Castorano, collegavano la Via Pompeiana con la Salaria Vetus (Vecchia Salaria) e quindi Fermo con Ascoli. Devastazioni nemiche, terremoti e ricostruzioni forse non abbastanza ponderate hanno fatto sì che del centro storico rimanessero in piedi ben pochi edifici di interesse e quasi tutti sono luoghi di culto. Gli edifici di interesse artistico
In primis la Chiesa di Santa Maria della Visitazione, un tempo pievania, che si trova in Piazza Umberto I. L’attuale disposizione dell’edificio dedicato alla Santa Patrona risale alla fine dell’Ottocento, le opere pittoriche sono state affidate all’artista Sigismondo Nardi di Porto San Giorgio, mentre le decorazioni sono opera dell’ascolano Giuseppe Rosati, effettuate tra il 1 950 e il 1 951 su incarico di don Maurizio De Santis. I quadri conservati all’interno della chiesa sono Santa Maria della Visitazione, olio su tela che la tradizione locale attribuisce a Lodovico Trasi, uno dei più noti pittori ascolani vissuto tra il 1 634 e il 1 694; San Tommaso di Villanova, opera tipica della pittura barocca di argomento religioso, realizzata dallo scenografo ascolano Giovanni Trasi; Madonna con Bambino e Santi; San Vincenzo Ferreri; Maria Santissima del suffragio, Santa Apollonia e anime purganti di autori ignoti; i diciotto Bozzetti ‘Summa divae Mariae’ appartenenti al nucleo originario della Chiesa e anteriori al 1 573. Degna di nota anche la torre costruita nel 1 537 con un’insolita pianta pentagonale e i merli ghibellini. Ma l’edificio più importante rimasto è il Palazzo della Pievania, un tempo Palazzo della Ragione, termine con cui all’epoca dei Comuni si indicava sostanzialmente il Palazzo del Governo, al cui interno, prima della recente ristrutturazione che quasi nulla ha lasciato della struttura originaria, c’è una cella in cui venivano richiusi i condannati. Durante un recente restauro, in una delle sale sono stati trovati moltissimi resti umani ricoperti da un mucchio di terra, appartenenti alle persone sepolte nell’area che adesso è occupata dall’altare maggiore e dalla costruzione adiacente alla torre ma che, fino all’editto di Saint Cloud, era il luogo di sepoltura dei castoranesi. Probabilmente, quando alla fine del secolo XIX la Chiesa fu ampliata e l’orientamento dall’originario est-ovest divenne nord-sud e l’ingresso quello attuale, le ossa recuperate durante gli scavi vennero traslate e conservate all’interno del Palazzo della Pievania. C’è la possibilità che tra i resti dissotterrati vi siano state le spoglie mortali di Padre Carlo Orazi ma, nonostante le precauzioni prese, non è stato possibile trovare un qualche oggetto che ne conservasse la memoria. Altri luoghi ed edifici di interesse artistico sono la Rua e Porta Castellana che, insieme a Piazza Umberto I, costituiscono il nucleo originario della cittadina e ancora fino alla metà del secolo scorso coloro che vi risiedevano erano chiamati ‘Terrazzà’; contrada Pescolla, la Chiesa di San Giovanni Battista, la Chiesa della Rocchetta, Fosso Cavino, la mitica Cavina. Padre Carlo Orazi da Castorano
Nato a Castorano il 20 maggio 1 673, Antonio Orazi vestì il saio nel Convento dei frati minori di Teramo e assunse il nome di Carlo. Dopo aver completato il corso di studi a L’Aquila e a Roma, chiese di essere inviato missionario in Cina, dove giunse nel 1 701 e operò per 32 anni. Vicario della diocesi di Pechino, ebbe un ruolo significativo nella ‘controversia dei Riti Cinesi’, che ha segnato profondamente la missione cinese e i rapporti tra Pechino e la Roma cattolica. Padre Carlo Orazi fu uno dei massimi rappresentanti della posizione contraria ai Riti e critica verso il metodo ‘dell’accomodamento’ dei gesuiti. A chiudere la controversia pensò Papa Benedetto XIV nel 1 742 con la Costituzione apostolica ‘Ex quo singulari’ che sancì definitivamente la proibizione della pratica dei Riti e del metodo gesuitico. Il documento pontificio fu profondamente influenzato da Padre Carlo Orazi, che venne nominato ‘Agente Unico ed Esclusivo’ della causa dei Riti Cinesi con decreto papale. Il religioso castoranese fu anche insigne sinologo, autore del primo dizionario Latino-Italiano-Cinese, strumento utile per i missionari e i mercanti in Cina. Eccellente anche l’opera ‘Parva elucubratio super quosdam libros Sinenses’, commissionatagli da Benedetto XIV, pregevole sintesi critica di numerose opere cinesi, sia classiche che dei missionari. Orazi scrisse molte altre opere e portò a Roma una grande quantità di testi cinesi, ora conservati presso la Biblioteca Vaticana, che fecero conoscere la civiltà cinese e lo stato della missione cattolica. Infine gli venne riconosciuto dalla Congregazione di Propaganda Fide un beneficio per sé stesso e famiglia per tutta la durata della sua vita. L’atto è ancora gelosamente conservato nell’archivio parrocchiale di Castorano, paese in cui il religioso trascorse i suoi ultimi anni fino all’ ultimas respiravit auras, il 1 febbraio 1 755. A quanti intendono approfondire la conoscenza di Padre Carlo Orazi da Castorano e conoscere gli aneddoti più emblematici della sua vita, consigliamo la lettura dell’omonimo libro scritto dallo storico locale Roberto Franceschi, maestro elementare per lungo tempo nella cittadina natale.
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F.I.TE.L. MARCHE FEDERAZIONE ITALIANA TEMPO LIBERO La FITeL è stata costituita nel 1 993 per iniziativa delle Confederazioni Sindacali CGIL, CISL e UIL, per valorizzare le esperienze associative dei Circoli Ricreativi Aziendali e di altri Enti che abbiano come finalità la promozione delle attività del tempo libero. In particolare l’Associazione promuove lo sviluppo delle attività artistiche, culturali, sportive e del turismo sociale. Rappresenta, altresì, l’associazionismo che trae origine dell’art. 1 1 della legge 300/1 970. Come Ente Assistenziale Nazionale riconosciuto dal Ministero dell’Interno è abilitata a rilasciare nulla osta di autorizzazioni alla somministrazione di alimenti e bevande. Come iscritta all’Albo delle Associazioni di Promozione Sociale (Legge 383/ 2000) tutte le associazioni ad essa aderenti hanno diritto all ’iscrizione a tale Albo. É riconosciuta dall’Agenzia delle Entrate come destinataria del 5 per mille dell ’imposta sui redditi. E’ membro del Forum del terzo settore e dell’OITS (organizzazione internazionale turismo sociale). La FITeL, che si articola in strutture Regionali, Provinciali e in Circoli Ricreativi Territoriali, affilia inoltre a livello regionale più di 500 CRAL per un numero di oltre 1 50.000 soci. La FITeL rappresenta i propri associati verso le istituzioni pubbliche e private ed offre servizi legali, organizzativi, amministrativi, fiscali e formativi. Promuove iniziative artistiche, culturali, sportive, di turismo sociale in sinergia con gli affiliati e gestisce alcune significative iniziative nazionali fra le quali vanno ricordate: -la rassegna del teatro sociale “Proscenio Aggettante”; -i campionati intercral di Vela e Canottaggio; -il premio letterario Poesia e Arti varie; -il Festival del cortometraggio e il premio “la Pellicola d’oro” Ha costituito l’ “Osservatorio nazionale del tempo di non lavoro” con lo scopo di promuovere studi e ricerche sul tempo libero in Italia il cui Comitato tecnico-scientifico è coordinato dal Dipartimento Studi giuridici Comparati ed Europei dell’Università di Teramo.
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ROLEX SUBMARINE Quando il capitano Nemo acquistò l'orologio Il capitano Nemo (dal latino "nessuno", un'allusione alla risposta data da Ulisse a Polifemo nell'Odissea, il cui vero nome è Principe Dakkar, è un personaggio del romanzo di Jules Verne Ventimila leghe sotto i mari (Vingt mille lieues sous le mers,1 870) e compare anche ne L'isola misteriosa (L'île mystérieuse, 1 874). Nemo è il misterioso capitano e costruttore del Nautilus, un formidabile sottomarino: apparentemente uno scienziato ed esploratore misantropo ed eccentrico, egli è in realtà un vendicatore dei torti subiti da lui stesso e dai popoli oppressi, in particolare prende di mira le navi militari dell'Impero britannico spesso affondandole. Il capitano Nemo ormai è un mito, e come tutti i miti (anche se raccontato su carta) si porta appresso il sapore del mistero e della gloria che, per individui abituati a esserne inseguiti, ammanta ogni avventura e perfino ogni attimo del tempo vissuto a inseguirla. Nemo è un profeta del tempo. Lo scandisce con una precisione estrema come se la vita stessa del Nautilus ne fosse strettamente dipendente. Il tempo è esistenzialmente un optional ma non lo è il segnatempo, quello strumento indispensabile che accompagna la nostra vita dalla mattina fino a quando spossati non ci sdraiamo sul letto. Il tempo e l'uomo vanno di pari passo: essere puntuali a un appuntamento, prendere un treno o un aereo, lo svegliarsi con il suono di uno strumento digitale o analogico, sono atti che compiamo ogni giorno che passa come, appunto passa il tempo. È per questo che noi di Watch Zone al tempo dedichiamo i nostri interessi e la
nostra vita, offrendo prodotti che il tempo lo rispettano sapendo quanto sia importante. E anche ad altre latitudini e situazioni, come quella di essere immersi in un mare blu cobalto, dedichiamo la nostra particolare attenzione fino ad offrirvi, in questa occasione, il Rolex Perpetual Submarine. L'orologio subacqueo per eccellenza dal 1 953. Uno strumento indispensabile per monitorare accuratamente i tempi d'immersione e le pause di decompressione. La corona di carica Triplock si avvita ermeticamente alla cassa Oyster, come il boccaporto di un sottomarino. Testato sistematicamente per raggiungere profondità sempre maggiori. Probabilmente l'unico orologio subacqueo che può essere indossato in qualunque contesto. Connubio tra massima affidabilità e stile intramontabile. Lo stile Rolex. Watch Zone é un'azienda che si occupa della compravendita di orologi di lusso per lo più usati, e finalmente approda sul web con il sito personalizzato www.watchzone.it,dove potrete trovare tutte le informazioni e sfogliare il catalogo on-line senza alcun impegno. A marzo è stato primo compleanno di questa neo attività e noi non possiamo fare altro che augurarle un prosperoso futuro certi del successo visto che in 365 giorni è riuscita ad affermarsi nel campo dell'orologeria on web vantando più di 1 50 transazioni, solo ed esclusivamente feedback positivi ed il riconoscimento di "venditore di fiducia" dalla più grande e famosa piattaforma di vendita on-line di orologi a livello mondiale. Per maggiori informazioni www.watchzone.it Tel. 391 37 98 559
Non è banalità né demagogia, ma per come funziona il sistema tributario italiano, fatturare senza avere la certezza dell’incasso è un rischio che potrebbe costare caro alla vostra azienda. Una volta emessa la fattura non ci si può rilassare e festeggiare su un’operazione conclusa, poiché l’IVA si versa subito, e le tasse con la prossima dichiarazione dei redditi. Poco importerà se quella fattura è stata realmente incassata o no! Insomma, ad oggi nessuna azienda si può permettere il lusso di spedire merce, e quindi emettere una fattura, senza conoscere il suo cliente. Ma che cosa significa conoscerlo? Significa principalmente porre l’attenzione a una serie di informazioni che l’azienda ha già a disposizione, ma che spesso utilizza male; come ad esempio il giudizio degli addetti commerciali, il rapporto che esiste tra i titolari delle aziende, cosa si dice di quel cliente “nell’ambiente” di lavoro, se è presente o meno a certi eventi fieristici, o che immagine ha l’azienda e come viene percepita. Molto spesso il nostro fatturato è suddiviso tra tanti piccoli clienti, alcuni anche molto lontani, e si fa fatica a raccogliere queste informazioni. Nonostante ciò, ci si può sempre basare sulla storia del rapporto tra le aziende: regolarità dei pagamenti, livello medio degli ordinativi, richiesta di sconti o altri servizi. Magari per i clienti più importanti potremmo aggiungere anche un’occhiata al bilancio annuale, se disponibile in Camera di Commercio, che è sempre utile; certo, troveremo solo dati aggregati, e magari anche un po’ superati, ma chi sa leggere il bilancio, come un bravo Commercialista, trova spesso spunti di riflessione molto importanti. Allora, cosa fare? Come sempre, non esistono soluzioni standard per tutte le aziende; solo chi conosce l’azienda, coadiuvato da un consulente esperto, può cercare di “mettere a sistema” e rendere quindi tutte le informazioni disponibili fruibili a tutti, in modo ordinato e per quanto possibile obiettivo. Insomma, crearsi un vero sistema di RATING interno della clientela, così come le banche stanno facendo da anni per le nostre aziende. L’obiettivo rimane quello di fatturare certo, ma non è sufficiente: dobbiamo impegnarci affinché il credito non rimanga tale a lungo, ma si trasformi il prima possibile in un incasso! Dal 2000, Studio Impresa consulting Srl, assiste le piccole e medie aziende ad implementare semplici ed immediati sistemi di controllo della gestione per rispondere a queste ed altre domande, e ad aiutare l’imprenditore a guidare la strategia aziendale: conoscere per governare. www.consulenzaziendale.it 21
MI STERI
IL LUPO SULLA COLLINA Quellacasadipaglia sultorrenteAlbula
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I SUCCHIASANGUE NON ESISTONO SOLO IN TV Storie di vampirismo ad Ascoli Piceno
di Giovanna Mascaretti Moda, egocentrismo, estrosità, identità confuse. Benvenuti in questo nuovo millennio! Nei lontani anni 90’ si credeva che la moda era dettata da capi di abbigliamento all’ultimo grido e invece, la svolta, anche lì. Non solo tagli succinti ma nuovi stili di vita o meglio, colpi di testa. Non più l’impersonificazione dei film genere “Il tempo delle mele”, ma una ventata di “Twilight” o peggio “Dracula” di Bram Stoker... ad Ascoli Piceno. Nel famoso centro storico, noto per cultura, arte e olive fritte, pare si sta diffondendo una nuova tendenza (stile emo), una nuova patologia per pediatri e psicologi: il vampirismo. Una sempre maggiore ricerca dell’emozione spinge infatti i ragazzi e le ragazze, alimentati dal successo delle recenti saghe cinematografiche sui vampiri, a compiere atti come quelli di ferirsi per poi “godere del proprio sangue”. Una giovane sedicenne ascolana, che chiameremo Bella prendendo in prestito il nome della protagonista della saga di Twilight, fa cenno a due categorie di giovani, i donatori e i bevitori. Racconta come la loro sia una schiavitù e un vizio non diverso dal bere alcolici o fumare sigarette. Con semplicità descrive il corpo umano e la naturalezza con la quale si produce o si elimina il sangue, come nei periodi ciclici e mensili, per la donna. Uno stile di vita ormai abbracciato da Bella, che riesce a mascherarsi con i genitori che non potrebbero mai capirla, consapevole che il tutto dovrà avere una “fine”. Suona la campanella a scuola e, insieme alle amiche vestite da dark ladies, iniziano ad andare nei bagni. Loro non si mischiano con i maschi per questioni di igiene e lì, con un cutter in mano, saldano l'unione. Un giorno, un insegnante si accorse di alcuni jeans sporchi di sangue. Fu facile spiegare come la mancanza di un tampax avesse potuto causare l'incidente. L’euforia è più forte del dolore dei tagli e la sensazione di sentirsi “qualcuno” non ha prezzo. Di base c’è l'insicurezza e in alcuni, una sorta di immedesimazione nei personaggi televisivi. L’idea del contagio in caso di malattia sfiora solo le intelligenze più aperte, perché c'è sostanzialmente una grande inconsapevolezza dei rischi ma anche una grande voglia di potere, che nasconde le insicurezze e l'immaturità di una età difficile. C’è chi parla di patologia, chi di sconsideratezza. il rischio delle malattie del sangue non fa paura fino a quando non si viene informati e solo allora, si apre uno spiraglio di luce, la stessa che i vampiri non possono vedere.
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po un’occhiata furtiva nei paraggi. Poi, la porta di assi di legno si spalancava di colpo e il contadino usciva fuori con gli occhi sgranati e rimaneva qualche minuto immobile sull’uscio. Con le mani nodose aperte, attaccate alle braccia appese ai fianchi, così lunghe da arrivare quasi alle ginocchia e la schiena curva, sembrava un vecchio albero dai rami rovesciati. I capelli rossi e la barba ispida lasciavano intravedere la pelle coperta di lentiggini e arsa dal sole. Ma non succedeva niente. E i monelli se ne tornavano a casa con un misto di delusione e sollievo. Quando si faceva buio però, e la notte della campagna era schiarita dalla comparsa della luna piena, si tenevano lontani dalle finestre delle proprie case e si rannicchiavano vicino al camino. Gli anziani raccontavano storie su un contadino della zona che a ogni plenilunio era vittima della maledizione del lupo mannaro e vagava per la campagna fermandosi prima a un abbeveratoio di legno vicino un piccolo rigagnolo che affluiva nel torrente sottostante, per poi arrivare fino al punto in cui il corso d’acqua si apriva in una pozza di qualche metro e lì cominciava a rotolarsi nell’acqua e a lanciare latrati nella notte. La sua disperazione solitaria durava fino all’alba. I bambini temevano di sentire il terribile ululato e non si avvicinavano ai vetri per paura di vederlo sbucare dall’ombra. Si diceva fosse gobbo, con gli arti che si contorcevano mentre tastavano l’oscurità e il corpo coperto di pelo ispido e rossiccio. Maledetto nel giorno della sua nascita, era condannato al disprezzo degli uomini, anche se forse ad avere più paura era proprio lui. (ef)
Su una delle colline che si affacciano sul torrente Albula, se ne stava una casetta di argilla e paglia. Un po’ isolata dalle altre, nella sua timida e rude precarietà, in una contrada di poche abitazioni immerse tra il verde dei prati, gli ulivi e il tappeto pezzato delle coltivazioni. La signora I. se la ricorda con la stessa vivida emozione che le provocava quando era piccola. Aveva un fascino irresistibile per tutti i bambini della zona che di giorno organizzavano spedizioni per osservare i padroni impegnati nei lavori dei campi. Oppure si sfidavano alla coraggiosa impresa di sbirciare oltre l’unica finestra, per poi correre via a riparo del muro di mattoni e muschio che divideva la proprietà dalla casa più vicina. Cercando di trattenere il respiro affannato dalla corsa e ascoltare oltre il battito del cuore carico di paura ed emozione, restavano in attesa che qualcosa succedesse. Che il mistero custodito dalla casetta di paglia si rivelasse. A volte, la padrona si affacciava alla finestra per poi richiuderla subito do-
LeMarchedeiguaritoridi campagna
UN VELO DI MAGIA
Proprio lei liberò la bambina dalla membrana, la ripose con cura in un setaccio per farla asciugare e lo appoggiò sul tavolo di Emily Forlini
La fortuna di Emma le era stata rubata da una gatta. Lo diceva sempre alle figlie, quando le chiedevano di raccontare la storia del velo. Era nata nel febbraio del 1 91 0, sotto il segno dei Pesci, e quando si affacciò sul mondo era ancora avvolta dalla membrana amniotica che l’aveva protetta nel ventre materno. Chi nasceva “con il velo” era segnato dalla fortuna e dal destino di avere poteri di guarigione e di preveggenza. La levatrice o un’anziana rompeva la membrana e seguendo un rituale di formule e preghiere investiva il neonato della sua eccezionalità. Il velo veniva conservato e consacrato con il battesimo, perché le facoltà dovevano essere votate al bene. I vecchi raccontavano anche di Paesi lontani dove la camicia della fortuna, come era soprannominata, veniva venduta ai marinai come talismano contro l’annegamento. Nelle Marche però, l’esperienza più diffusa era quella dei guaritori di campagna: non appena fosse stato in grado di apprenderli, il bambino imparava parole e segni per esercitare il potere di “segnare una malattia”. La notte in cui Emma venne al mondo, la levatrice lo aveva annunciato con orgoglio: è una femmina e sarà una guaritrice. Un destino già
noto alla famiglia, perché anche il figlio maggiore era nato avvolto nel velo e aveva già iniziato a imparare le prime formule. Così anche la futura suocera, presente al parto, che “passava l’invidia” e guariva i vermi e le malattie dell’intestino. Proprio lei liberò la bambina dalla membrana, la ripose con cura in un setaccio per farla asciugare e lo appoggiò sul tavolo. Ma il caso ci mise lo zampino e la gatta di casa andò a curiosare, agguantò il prezioso talismano e scappò fulminea portandoselo via tra le grida delle donne. Mentre suo fratello Alessandro diventò guaritore e “accomodava le ossa”, Emma non imparò mai le formule, ma i suoi sogni erano sempre tormentati da strane visioni, vivide come la realtà, che lei non riuscì mai a interpretare. Forse il potere del velo le era comunque rimasto nella pelle e pur sopito agiva sottilmente nel suo inconscio fino a che non scelse di manifestarsi attraverso una delle sue figlie. Finché Emma fu in vita, Luisa ebbe la facoltà di vedere nei suoi sogni che si macchiavano di sangue, il presagio che qualcosa di brutto avrebbe colpito la famiglia o i conoscenti. Non potendo prevedere chiaramente gli eventi futuri per intervenire, ma solo la loro ombra, malediceva quella facoltà che sua madre non aveva capito e lei non avrebbe mai voluto. Emma si spense il 21 marzo del 1 975 e da quella notte sia lei che sua figlia furono libere dalla magia del velo. Magia che forse scivolò verso una nuova generazione.
PEOPLE Universi vicini
IL CUORE CHE USA IL CERVELLO
a cura di Alessandro Paddeu Presidente di HUB Heart Uses Brain “Se due punti sono destinati a toccarsi, l’universo troverà sempre un modo di metterli in collegamento, anche quando ogni speranza sembra persa, alcuni legami non si possono spezzare… . definiscono quello che siamo… . quello che possiamo diventare. Attraverso lo spazio, attraverso il tempo, lungo percorsi che non possiamo prevedere… la natura trova sempre una via. ” (dal telefilm TOUCH) L'Associazione HUB, acronimo inglese di Heart Uses Brain (il Cuore usa il Cervello), nasce per ripristinare le
vecchie arterie montane, sentieri che ieri, collegavano le
frazioni del territorio di Acquasanta Terme, e che oggi sono dimenticate o cancellate dal tempo. Ieri il mulo o “l'andare a piedi” era una cosa normale, si viaggiava per crinali, per colline, per boschi, senza immaginare che poi questa magia sarebbe finita presto con l'invasione delle auto ed oggi della tecnologia informatica, lasciando questi passaggi a nostalgica memoria degli anziani locali, un cassetto di ricordi che l'associazione vuole riaprire e far conoscere. Alla base c'è una forte appartenenza al territorio, la riscoperta dello stesso, e tanta passione e visione del futuro. Per questo lanceremo nel corso dell'anno e quelli futuri diverse iniziative preposte, dalla semplice passeggiata per i borghi, passando per la riscoperta di feste e tradizioni locali, fino alla gestione di eventi, importanti o meno, presenti sul territorio. Siamo il nuovo motore di una vecchia auto in garage, la linfa, che darà nuova vita ai fiori di un vaso dimenticato. Siamo il cuore che usa il cervello.
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La famiglia LIFE cresce. Grazie al successo di Life Marche Magazine ottenuto sia nelle Marche che in Abruzzo, editore e redazione stanno lavorando alla creazione del mensile tutto abruzzese. Come giusto che sia, ogni territorio deve essere valorizzato al meglio, deve poter orgogliosamente raccontare la propria storia e mostrare tutte le bellezze e le eccellenze. Anche online verrà creato un web magazine dedicato, con proprie peculiarità. Per festeggiare il lancio dell'edizione abruzzese l'agenzia di comunicazione Drop Space Studio, proprietaria della testata giornalistica, sta organizzando
per il mese di luglio un importante evento con un format mirato all'apprezzamento di tutta la regione. Saranno coinvolte più città, diverse situazioni paesaggistiche, artistiche, culinarie e turistiche verranno usate come attori protagonisti per spettatori locali ma anche internazionali, grazie a media partner stranieri che verranno coinvolti. Meglio non svelare oltre, sarà più grande la sorpresa al momento della messa in cartellone dell'evento. Nel frattempo continua la ricerca di giornalisti e collaboratori abruzzesi in grado di raccontare la propria terra all'intero delle varie sezioni che compongono il magazine.
di Marco Iaconetti
Nonsoloceramiche
Sul mio profilo Facebook ho scritto che sono nato a Rapallo e che vivo a Baku, nel Caucaso, migliaia di chilometri di distanza da casa, come se mi vergognassi delle mie vere origini. Risiedo invece in Abruzzo, in una terra che però ho sentito sempre lontana e distante, relegata anche nel circondario Europeo a mera regione di “transizione” economica. Mare, montagna e indimenticabili paesaggi non mi hanno mai fatto mutare durante il corso degli anni la mia considerazione, infatti quando attraverso il traforo del Gran Sasso dirigendomi a Roma, in aeroporto per qualche nuovo viaggio, mi sento libero dal peso di lasciare un territorio ricco sì di storia e cultura, ma troppo agreste per i miei gusti. Probabilmente questo è un articolo di scusa per questa Regione che invece sta sempre più prendendo piede in Italia e soprattutto all’estero, e che potrebbe fare un gran balzo in avanti se sapesse maggiormente sfruttare le proprie meravigliose potenzialità. Adesso, dopo averlo constatato di persona ne sono convinto anch’io. Aggiro il Gran Sasso, per arrivare a Castelli, non prima di aver superato Rigo Piano, un’affascinante spianata costeggiata d’alture che ricordano a primo impatto i paesaggi della Mongolia visti sui depliant del National Geographic ed in cui anche la band dei Negrita qualche anno fa ha girato un videoclip. Cavalli e piccoli pony cavalcano liberi sulle estese pianure e sembrano sfidarmi gareggiando in questa impari corsa. Li lascio dietro il mio specchio retrovisore persi nella vacuità dello spazio infinito dell’altopiano. Arrivo a Castelli che si mostra davanti ai miei occhi come uno splendido regalo multicolore dove la ceramica è la padrona incontrastata dei rituali della città. Tutto il borgo sembra essere costruito appositamente per mettere in evidenza la bravura delle maestranza locali. Le bancarelle presenti all’entrata vendono artigianato ed oggettistica che spazia enormemente in diversi settori, e in cui le tante tonalità di colore sembrano gettare un’aura magica nel contesto che mi circonda. Rimango colpito da una in particolare, in cui un anziano signore, insieme ad i suoi nipoti lavora alacremente al tornio. Finalmente, penso tra me e me, un ricambio generazionale, dove alcuni giovani non sono scappati preferendo la costa, ma continuano con passione le antiche tradizioni da ceramisti. Una musica melodiosa esce da una vecchia radio, appesa su di una parete, e la voce della cantante è così dolce che immagino che canti qualcosa di così bello ed indefinito che non può avere spiegazioni. L’artigiano concentrato dirige il tornio con superbia maestria e uno schizzo di argilla lo colpisce in fronte solcando maggiormente le sue profonde rughe, ma non si distrae, muove le sue mani ritmicamente e sfiora il vaso che sta realizzando come se stesse toccando le guance di un antico amore. Finisce dopo qualche minuto e concede un timido sorriso ai tanti presenti rapiti dalla sua bravura. Vado via tra la folla e cerco tra la babele d’indicazioni, di seguire quella che mi conduca alla periferia della cittadina, dove poter ammirare la bellezza del Gran Sasso che giganteggia sovrano. I forti colori ed odori delle ceramiche si diradano dando sfogo a tonalità più forti ed intense sostituiti da una folta vegetazione e dalle nevi perenni che sembrano essere li, fin dalla notte dei tempi. Davanti a questo idillio abruzzese, ripenso a ciò che ho letto su Panorama e cioè che Google, Apple e affini stanno già studiano nuove tecniche, già collaudate da mesi, per farci vivere delle emozioni rimanendo oziosamente a casa. Ciò mi rattrista, anche se penso che nessun occhiale virtuale e nessuna invenzione tecnologica possano farmi provare la gioia ritrovata di vivere così intensamente la mia regione e un borgo come Castelli che personalmente ritengo città simbolo di una nuova forma e nuova sostanza di un rigenerato Abruzzo.
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CASTELLI FORMA E SOSTANZA DEL NUOVO ABRUZZO Viaggio su una montagna che sa di melodia
Dal37a.c. ildolcechefaimpazzireilmondo
SULMONA L'ANTICA CITTÀ DEI CONFETTI e del cannellino caro a Leopardi da cui prende il nome di Christian Dolente Le cronache del tempo narrano che Giacomo Leopardi, ormai prossimo a varcare la soglia che lo avrebbe condotto a miglior vita, manifestò il desiderio di poter assaporare ancora una volta un Confetto Cannellino di Sulmona che da allora fu insignito del predicato nobiliare "di Leopardi". Una storia quella dei confetti abruzzesi che si lega a doppio filo alla città di Sulmona, l'antica Sulmo che ha dato i natali al poeta latino Publio Ovidio Nasone e che affonda le proprie radici in epoca preromana in quanto insiste su di un territorio abitato dalla tribù italica dei Peligni. Quegli stessi Peligni che agli inizi del I secolo a.C. insieme a Marsi e ai Piceni avviarono le pratiche per la nascita della Lega Italica che nel 91 a.C. dichiarò guerra a Roma scatenando la durissima Guerra Sociale. In tale occasione Corfinium, piccolo centro nel cuore della Valle Peligna, divenne la capitale dei Soci assumendo il nome di “Italia”. Secondo alcuni scritti di Apicio (37 d.C.), amico dell'imperatore Tiberio, in occasione di festeggiamenti di unioni e di nascite, a Roma era buona consuetudine consumare confetti prodotti con mandorle farina e miele. Curiosa vicenda quella che intreccia Romani, Peligni e i confetti. Mettendoci a riparo da facili scivoloni anacronistici e facili entusiasmi interpretativi, procediamo senza voli pindarici perché in realtà la documentazione relativa alla genesi del confetto è talmente frammentaria da costringere gli studiosi a muoversi su di un terreno insidioso e minato. C'è chi sostiene che l'inventore della “dolce amigdala” sia stato un arabo, tale al Razi (IX secolo), chi crede di aver rintracciato il gene primordiale del confetto tra i Longobardi. In buona sostanza il termine confetto, confectum, significa confezionato, preparato, e nei documenti medievali appare sia il termine confetto (Boccaccio, Decamerone, II giornata, nov.5), sia il termine confettura, con riferimento alla frutta sciroppata o a mandorle e noci sgusciate e ricoperte di miele. A Sulmona la produzione di confetture, seppur modesta, è attestata a partire dal XIV secolo, ma già sul finire del 1 400 si producevano alcune scatole intarsiate o cofanetti, i confectaria smaltati, un'eccellenza tutta sulmonese che trova ampio riscontro in molti documenti del XVII secolo da cui si evince che nell'etichetta cerimoniale di alto rango si andava diffondendo l'uso di omaggiare nobili e alti prelati con pregiate confetture. Nella città peligna a partire dal XV secolo, presso il monastero di Santa Chiara, prende vita un artigianato artistico che si basa sulla realizzazione di confetti legati con fili di seta, per la preparazione di fiori, grappoli, spighe e rosari che ancora oggi caratterizza l'economia sulmonese e l'immagine festosa delle numerose botteghe presenti in città. Un incremento notevole della produzione confettiera si registra nella seconda metà del '700 in conseguenza della scoperta dello zucchero nella barbabietola, la bieticultura si diffonde in tutta Europa e a beneficiarne sarà di certo il settore dolciario.Siamo alla metà dell'800 e a Sulmona si contano dodici fabbriche, per una produzione dei confetti che valica i confini regionali, famosi ormai in tutta Italia e, grazie agli emigranti italiani, queste prelibatezze raggiungono le Americhe e in seguito i Paesi europei. Ciò che rende unico il "Confetto di Sulmona" è senz'altro l'esclusivo brevetto di lavorazione, che permette allo zucchero di fissarsi alla mandorla o a un altro ingrediente senza aggiunta di amidi, glutine, maltodestrine e farine. La colorazione esterna risponde a precise esigenze di tipo rituale così come il numero dei confetti presenti all'interno delle bomboniere: sono bianchi i confetti per il Matrimonio, la Prima Comunione e la Cresima. Azzurri o rosa per nascita e il Battesimo. Verdi per il fidanzamento. Sono generalmente rossi quelli da distribuire per la laurea e variopinti quelli che si adoperano per festeggiare i compleanni. Il numero dei confetti contenuto nelle bomboniere nuziali deve essere rigorosamente dispari in quanto non divisibile per due. Senza alcuna possibilità di essere smentiti l'azienda che ha lanciato i confetti di Sulmona nel panorama internazionale è quella che si lega alla famiglia Pelino che nel 1 783, attraverso un atto a firma del notaio Ventresca, certifica l'apertura dell’azienda a Introdacqua, un villaggio nei pressi di Sulmona. Da quel giorno la Confetti Pelino srl è stata onorata nel corso della sua storia di 66 massime onorificenze nazionali ed estere. Di grande interesse è il Museo dell'Arte e della Tecnologia Confettiera, conosciuto anche come Museo dei Confetti allestito all'interno dello stabilimento confettiero Pelino, dove è possibile ammirare una vasta esposizione di macchine antiche per la produzione di confetti e varie attrezzature, cimeli e preziosi, oggetti rari riguardanti l’antica arte sulmonese della confetteria.
Cosa vedere a Sulmona: Complesso della Santissima Annunziata, Cattedrale di San Panfilo, Polo Museale Civico dell'Annunziata, Polo Culturale Civico Diocesano di S.Chiara, Parco Archeologico del Santuario di Ercole Curino, Museo di Storia Naturale, Museo dell'Immagine, Acquedotto Medievale.
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GIOCO DI VETRI,
RIFLESSI E MIRAGGI . È CHIETI DI PIÙ È NON VOLERE 26
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OROSCOPO
ARIETE
TORO
GEMELLI
CANCRO
LEONE
VERGINE
BILANCIA
SCORPIONE
SAGITTARIO
CAPRICORNO
ACQUARIO
PESCI
Quest’anno aprile sarà più che mai un mese in cui festeggiare. I miracoli non esistono ma arriveranno i frutti del tuo impegno e attorno al 20 del mese una chiamata particolare te lo dimostrerà. Partono progetti, le possibilità professionali avranno un grande slancio e ti sentirai al centro dell’attenzione delle stelle. In una fase così positiva sarà bene lanciare quanti più ami possibili, anche fuori città: entro l’estate, porteranno grandi risultati. L’adrenalina che coinvolgerà il campo professionale si ripercuoterà anche in amore; incontenibile, alle volte anche a discapito di chi ti sta vicino. La tua indole di fuoco ha la tendenza a scottarsi se non incanala bene la propria passione, ma se sei single da tempo non avrai di che annoiarti. Trasgressioni e nuovi incontri animeranno i giochi di coppia del mese, non senza terzi incomodi.
Aprile sarà il mese dei patti e delle buone collaborazioni. Se l’unione fa la forza, nel tuo caso è ancora più vero. Tutto quello che nasce insieme agli altri sarà protetto dalle stelle, che sia un progetto o una nuova avventura fuori dai tuoi ambiti convenzionali. Ultimamente ti senti stretto in un ruolo, stai cercando di ampliare i tuoi orizzonti e nonostante alcuni ostacoli come la ricerca di risorse economiche, entro l’estate sarà possibile ricevere la gratifica tanto attesa. Guerriero e focalizzato sul lavoro, sarai più tormentato in amore, campo che ultimamente ti ha messo alla prova. In attesa della splendida Venere di maggio, si potrà avvertire un maggior bisogno di stabilità, di fare ordine nella propria vita affettiva, per molti più confusa di una giungla. Da fine mese tornerai a sapere cosa vuoi, ma soprattutto chi.
Aprile un mese diviso in due parti: fino al 1 9 sentirai ancora qualche blocco soprattutto su questioni finanziarie e burocratiche, poi tutto sembrerà come per magia scorrere con più facilità. I rapporti complicati con un capo e alcuni blocchi professionali non fermeranno la tua ascesa che si farà sempre più evidente via via che arriverà l’estate. Lo scorso mese potresti aver avuto l’impressione che qualcosa o qualcuno ti sfuggisse di mano ma adesso torni a tenere ferme le redini della tua vita con maggiore serenità. In un clima di rinnovata autostima e fiducia in te stessa, anche i rapporti sentimentali torneranno a essere al centro dei tuoi pensieri. La persona amata non avrà più di che lamentarsi, riuscirai a farti perdonare le ultime distrazioni con tutto il carisma che ti compete. Voglie in aumento soprattutto a fine mese, quando un nuovo incontro o l’amore di sempre ti regaleranno qualcosa di magico.
Aprile potrebbe farti venire voglia di stravolgere ogni tua abitudine. Sei un territoriale, ami avere delle certezze ma le stelle del periodo giocano a sconvolgere le carte in tavola e ad aprire nuovi orizzonti. Il raggiungimento dei tuoi obiettivi professionali sarà possibile soprattutto cambiando strada e andando oltre le rigide credenze che hai avuto finora: guardare una situazione da un altro punto di vista ti aiuterà a procedere più spedito e a ottenere quello che vuoi. Viaggi e spostamenti saranno favoriti, le migliori occasioni arrivano cambiando aria e aprendosi a nuovi contatti, meglio se molto diversi da te. Le buone notizie sul lavoro ti infonderanno la carica giusta per tornare a pensare anche agli affari di cuore. Altroché gelido segno, lo zodiaco si accorgerà di che pasta bollente sei fatto e a fine mese i colpi di fulmine inaspettati potrebbero succedersi come tempeste a primavera. Scegli con cura a chi dedicare il tuo prezioso tempo.
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Siete tra i segni più tranquilli dello Zodiaco ma questo mese potresti sentirti stranamente agitato e su di giri. Nel complesso si tratterà di un’energia positiva da spendere per avanzare nel lavoro e affrontare situazioni scomode trascinate da tempo. Marte nel segno però potrebbe aumentare l’intolleranza e farvi scontrare con chi vi sta attorno, ad iniziare dai vostri familiari. Se c’è qualcuno che non vi va più bene parlerete chiaro ma senza per forza arrivare ai ferri corti. Venere positivo fino a metà mese protegge le vostre relazioni donandoti più fascino e savoir faire del solito, potrete quindi permettervi qualche sfuriata in più, chi vi ama lascerà correre. Nel caso di relazioni in crisi invece, non basteranno le nuvolette rosa a farvi tollerare oltre, soprattutto se avete a che fare con Leone o Acquario. In un clima simile sarà possibile sentirsi agitati o stressati per nulla ma niente panico, state andando verso un periodo d’oro che ricompenserà questi anni impegnativi. Tenete duro!
In un cielo nel complesso favorevole e costruttivo, aprile sarà una parentesi piuttosto agitata. Almeno a metà mese, Venere e Marte ti renderanno più nervoso del solito e chi ti conosce sa che è meglio non farti arrabbiare. La tua indole di fuoco è propensa a scaldarsi facilmente e i piccoli conflitti del mese ti sembreranno grandi guerre dove non ci sarà verso di arrivare a compromessi. Nel lavoro si registra insofferenza nelle prime settimane ma sono fastidi passeggeri, non dovranno turbare la tua scalata al successo. Ricorda che Giove è dalla tua e ti chiede di tirare fuori il tuo lato più solare e mediare gli eccessi. In amore fino al 1 3 basterà un banale tubetto del dentifricio spremuto male a farti arrabbiare, richiederai attenzioni più del solito ma senza trovare il riscontro che cerchi. Lascia passare le nubi, a fine mese deponi l’ascia da guerra e apri l’agenda per pianificare fiori d’arancio e progetti a due. Marzo si è concluso in modo burrascoso e almeno fino a metà aprile continuerai a risentire di qualche malumore. Da emotivo spesso tendi ad amplificare quello che senti ma il più delle volte si tratta di tuoi fantasmi interiori e alcune situazioni andrebbero ridimensionate. I pianeti dissonanti sono passeggeri e non dovrebbero farti distrarre da un obiettivo finale che avrà la sua consacrazione da agosto in poi. Lo stress quotidiano e gli impegni che si accavallano potranno stancarti più del dovuto, l’importante sarà non isolarti come al solito e non vedere sempre nemici ovunque. Mai come ora gli altri sono la tua risorsa e dopo il 26 sarà possibile riavvicinare le distanze avvertite il mese scorso, soprattutto con segni come Leone o Bilancia. Resta alta la tensione nelle coppie in crisi, le tempeste di inizio mese potrebbero non fare sconti e far decidere per un liberatorio distacco. Al momento il futuro ti appare come una nebulosa ma non dovresti dubitare di te: lo Scorpione è il segno dalle mille risorse e con l’arrivo di maggio te ne accorgerai.
Le stelle ogni tanto giocano degli scherzi e in questo periodo ti sembrerà di fare un passo avanti e cento indietro. In confronto alle difficoltà incontrate negli scorsi due anni è poca cosa, soprattutto perché l’arrivo di agosto ti porterà la liberazione definitiva che stai attendendo. Intanto aprile resta un mese delicato e incandescente fino al 22. La tua indole anticonvenzionale ha bisogno di spazio e di esprimersi appieno ma dall’altra parte non sarà sempre possibile avere un riscontro. Si registra una buona dose di frustrazione a lavoro, quello che fai non sembra rispecchiarti completamente o un capo non ti valorizza come meriti. Chi è in cerca, tra un cv e l’altro potrebbe risentire di una certa sfiducia in attesa di risposte che tardano ad arrivare. Niente panico, è solo questione di tempi, l’arrivo di un’email può svoltare uno stallo durato mesi. Amore distratto, sarà meglio allontanarsi dalle complicazioni.
Non c’è tempo da perdere, la primavera sarà il periodo più produttivo dell’anno, sfruttala facendo ordine sia nelle questioni pratiche sia nei pensieri. Poi da agosto, sarà più complicato far succedere quello che desideri, soprattutto nel lavoro. Non farti spaventare dalle ambivalenze delle stelle, da un lato Giove protegge le relazioni sociali e la vita professionale, dall’altro Saturno ha inaugurato da dicembre una fase di revisione e intolleranza verso alcune questioni trascinate da tempo. Il risultato è un clima neutrale, ma con la spinta di Marte in questo mese avrai la possibilità di realizzare molto e capire se restare o cambiare definitivamente. L’amore si risveglia, nei rapporti che hanno subito qualche tempesta torna il sereno, chi non è scampato alla crisi potrebbe invece chiudere i battenti e pensare già a qualcun altro ma senza impegno. Fine mese bollente per chi non vedeva l’ora di tornare a vivere quella leggerezza gemellina ultimamente così venuta a mancare…
E' una fase di grande movimento che ti porterà alle gratificazioni e alle svolte tanto attese. Da agosto si aprirà un nuovo ciclo per te, intanto stai seminando con impegno come si confà alla tua indole concreta e terrestre. Aprile apre una finestra su orizzonti rosa e porterà le prime buone notizie attorno al 20 del mese. Marte ti infonde la grinta necessaria per gestire un’agenda fitta di impegni e liste infinite che sbrigherai con successo sentendosi più soddisfatto del solito. Per una volta, farai bene a non accontentarti di quello che hai: aspirare a un progetto ambizioso nel lavoro o conquistare l’oggetto del tuo desiderio sarà facile come un batter di ciglia. Punta sulle due ultime settimane del mese per dedicarti all’amore, Mercurio e Marte uniscono cuore e mente e fanno funzionare quello che un mese fa ti sembrava impossibile. Chiarimenti con un Sagittario, batticuore con un Gemelli, a letto con uno Scorpione. Marzo potrebbe essere stato un mese di scelte drastiche ma fino ad agosto sarà necessario mantenere determinazione e chiarezza d’intenti. Con Saturno nel segno si tagliano i rami secchi e si cambia per migliorare, ma il processo spesso non sarà indolore. Aprile è un mese fondamentale per il lavoro, molto si muove e necessita tutta la tua concretezza: le collaborazioni nate per caso si riveleranno fruttuose, così come i cambi di ruolo o di posto di lavoro. È l’anno in cui si cambia pelle, se qualcosa non ti soddisfa non ci metterai molto a buttare tutto all’aria. In uno scenario indefinito, la ricerca dell’amore sarà più avventurosa del solito. Difficile restare in una relazione che ormai non ti stimola più, più probabile mettersi in qualche dolce guaio, soprattutto se con più persone. Si sperimenta almeno fino a inizio maggio, poi tornerai a sognare l’incontro fatidico, quello per cui mollare tutto. Fine mese di scelte.
Parte il conto alla rovescia: entro agosto cerca di concludere tutto quello che ti sta a cuore, poi sarà meglio non correre rischi e restare a guardare. Sei coinvolto da movimenti stellari importanti, Marte positivo porta gratifiche e la possibilità di migliorare la propria posizione professionale. Pianifica gli incontri e le richieste da fare attorno a metà mese, il momento migliore per ottenere quello che vuoi. I rischi andrebbero limitati soprattutto in amore, campo di forti contraddizioni: da un lato richiederai più attenzioni del solito, dall’altro le cercherai da persone difficili, senza futuro. Chi è in coppia ha l’umore ballerino, la persona amata potrebbe sentirsi trascurata. I single scappano dalle frecce di Cupido anche se è primavera ma non potranno nascondere troppo a lungo l’indomabile sognatore che è in loro.
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VEGAN LIFE STYLE CANNELLONI
ARROSTO
Ingredienti per 8 persone 1 6 Cannelloni di semola
Ingredienti per 4 persone:
Per la besciamella: 1 Litro di Latte di Soia, 1 00 gr di Farina
00, 1 00 gr di Olio di Oliva, Sale, Pepe, Noce Moscata
Per il Ripieno: 1 Cipolla, 2 Carote,1 Porro grande, 1 /2 Se-
dano, 400 gr di Polpa di Pomodoro (o cubetti), Olio EV di Oliva, Sale, Tofu
Preparare la besciamella mettendo sul fuoco basso 1 00 gr di Olio, aggiungerbi 1 00 gr di farina e con la frusta amalgamarli, quindi sempre a fuoco lento aggiungere 1 litro di latte di soia. Alzare la fiamma e portare ad ebollizione continuando a mescolare per evitare di formare grumi. Una volta addensata salare, e aggiustare con pepe e noce moscata. Nel frattempo prepariamo il ripieno. Puliamo e tagliamo la verdura grossolanamente, usate non anche un po' della parte verde del porro, per dare un sapore deciso. In una padella di alluminio versiomo l'olio quindi iniziamo a far
soffriggere la cipolla, quindi aggiungetevi la carota (tagliata a mezzelune non troppo sottili), il sedano e il porro. Fate cuocere a fuoco medio per una decina di minuti di modo che le verdure risultino giĂ abbastanza cotte, quindi sfumate con vino bianco e aggiungetevi il pomodoro. Lasciate cuocere per almeno 30 minuti per portare il pomodoro a una giusta cottura e per lasciare andare le verdure. Correggete l'aciditĂ con un pizzico di zucchero di canna, quindi salate e aggiustate di pepe a gusto e spegnete la fiamma. In una scodella, aiutandovi con una forchetta spezzettate il tofu in piccolissime parti. Quindi aggiungetevi il sugo di verdure e un mestolo abbondante di besciamella, e amalgamate bene. Riempite i cannelloni aiutandovi con un cucchiaino e disponeteli in una teglia antiaderente. Coprite con la besciamella e lasciate riposare per alcune ore, se potete anche per un'intera notte. Quindi cuocete la teglia per 30 minuti a 1 80 gradi.
1 50 gr di farina di glutine, 1 00 gr di farina di ceci, sale, 1 00 gr di Tofu, 5 pomodori secchi, salvia, timo, rosmarino, un cucchiaino di capperi, un cucchiaio di olive, uno spicchio d'aglio, pepe, dado vegetale, 6 cm di alga Kombu, salsa di soia. Preparare un impasto con farina di ceci, preparato per seitan (farina di glutine), sale e acqua. Spianare il composto e preparare il ripieno frullando: un panetto di tofu, qualche pomodoro secco, salvia, timo, rosmarino, un cucchiaino di capperi, un cucchiaio di olive, uno spicchio di aglio e pepe. Stendere la crema sull'impasto e arrotolare il tutto. Legare il "salame" ottenuto e metterlo in acqua bollente contenente dado vegetale, 6 cm di alga kombu e qualche cucchiaio di salsa shoyu. Farlo cuocere per 50 minuti. Ottimo se messo in forno con delle patate o tagliato a fette e fatto rosolare in padella!
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Life Marche Magazine
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