Life Marche Magazine - Gennaio 2015

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GENNAIO 201 5 - ANNO 2 - N° 2 - Aut. Tribunale di Ascoli Piceno: 400/201 4

Il2015, l'annocheèarrivato

CHE MADONNA ONESTÀ CI ILLUMINI

di Massimo Consorti

Il 201 4 non ha mantenuto nessuna delle promesse che ne avevano caratterizzato il secondo semestre. Anzi. Se possibile la situazione è peggiorata, tanto che quanto ventilato nell'editoriale di dicembre, alla fine è stato un auspicio che si è rivelato una previsione al ribasso: è andata decisamente peggio. I saldi fiscali di fine anno sono stati terribili e se qualche bambino ha ottenuto i regali sognati per un anno, deve ritenersi un bambino fortunato. In molte famiglie, infatti, la cinghia è stata tirata allo spasimo e l'aria serena del Natale ha ceduto il passo alla sensazione di aver lavorato un anno inutilmente. Tutto questo ormai è un trend e non si vede all'orizzonte nessuna via d'uscita, almeno a breve. Nelle Marche non è andata meglio che in altre parti, anche se da noi sembra sempre di vivere in un contesto ovattato nel quale i problemi vengono visti con il filtro flou degli obiettivi da ripresa dei film di Zeffirelli. Purtroppo il tanto sbandierato concetto di “Marche-Comunità” ci sembra più uno slogan che un dato di fatto. Il tasso alcoolico, per non parlare d'altro, sta salendo paurosamente, così come il tasso di intolleranza che sta portando a vivere situazioni al limite della “caccia al negher” che pensavamo fossero parte integrante di una certa cultura geograficamente più a nord. Si può definire razzismo? Chiamatelo come volete, per noi lo è. I dati macroeconomici relativi al 201 5 parlano di una lieve ripresa che dovrebbe essere visibile già nel primo trimestre dell'anno appena iniziato. Poi ci sarà l'Expo e le cose dovrebbero migliorare... maledetti condizionali, sono loro che ci fregano. Il fatto è che si avverte in maniera prepotente il bisogno di aria pulita. Sarà perché in questi anni ci siamo intossicati di sogni a poco prezzo e di divismo delirante, tornare a ragionare in termini di equità appare come un abominio, anche se qualcuno dovrà ricominciare a farlo. Ci accostiamo quasi terrorizzati alle prime pagine dei quotidiani dove, fra una famiglia sterminata e l'ennesimo atto di violenza sulle donne, non passa giorno che con ci tocchi leggere di corruzione, malaffare, imbrogli, truffe, evasioni fiscali milionarie, concussioni a ogni livello e latitudine. Le banche falliscono e nessuno paga, le aziende falliscono e i titolari si suicidano. C'è qualcosa, in questo paese, che non funziona e le Marche non sono un'isola felice anche se hanno potenzialità che altre regioni oggettivamente si sognano. Poi c'è un virus che sta causando una vera e propria pandemia. Pensiamoci un attimo, non è così difficile da individuare. La corruzione è il peggior delitto contro la dignità della persona. Un individuo che si lascia corrompere, quindi comprare, che essere umano è? Che tipo di esempio potrà mai dare ai figli, ai nipoti, agli amici? Come può un uomo vendersi spudoratamente a un altro uomo per soldi? Almeno Faust vendette la sua anima per l'eterna giovinezza ma i corrotti di oggi perché lo fanno, per un Suv? Da noi quest'anno si vota. Che Madonna Onestà ci illumini. Piccola chiosa: le rivoluzioni si fanno, non si annunciano. Che patologia strana l'annuncite.

di Eleonora Crucianellli La nostra storia comincia Qui. Nelle Marche, sui suoi campi arati e dalle geometrie ordinate. “Qui” è l’avverbio protagonista dell’accattivante campagna per il Programma di Sviluppo Rurale della Regione Marche, piano quadriennale di finanziamento i cui risultati saranno valutati nel 2020 e che premia, tra l’altro, gli “Studi e investimenti relativi alla manutenzione, al restauro e alla riqualificazione del patrimonio culturale e naturale dei borghi”. Lo sviluppo del nostro territorio infatti non può prescindere da quello dei borghi che lo costellano. Essi ne costituiscono l’essenza e ne qualificano la presenza da secoli, fin da quando nacquero come simbolo del potere e del progresso economico. Secondo Sartre “Ogni progresso dipende dall’uomo irragionevole”. Ma Qui noi abbiamo deciso ragionevolmente negli ultimi secoli che il mondo (quello costruito, s’intende) non andava più toccato. Ragionevolmente abbiamo iniziato a rattoppare, come si faceva – e si fa tutt’ora - coi vecchi abiti. Abbiamo immobilizzato, sacralizzato, idolatrato. Posizionato transenne, fissato tariffe d’ingresso, installato telecamere. Ragionevolmente. Chi è dentro è dentro. Gli altri tutti fuori. Quel fuori diventato terra di nessuno oggi, problema dei posteri domani. Terra di speculazioni immobiliari e centri commerciali le cui insegne fanno capolino tra gli scorci dei vicoli nei piccoli borghi dai quali ci si affaccia a distanza. Di sicurezza, appunto. Affascinanti mattoni ripuliti sono la perfetta scenografia di accurate rievocazioni storiche che appartengono agli avi di chi per queste occasioni ci ritorna, ma spesso non ci abita. Gli abitanti sono altri nei migliori dei casi. Ed è proprio quando altri, nuove facce e nuovi accenti, popolano le case dirute che il borgo viene definitivamente declassato. Questa contaminazione di chi non conosce le nostre origini ci terrorizza perché muove, desacralizza, varca i confini, osa e soprattutto usa. Eppure è proprio in questo Uso che sta la chiave della nostra salvezza, perché non c’è fatto storico di cui si ha memoria che non abbia re/innovato o ri/attivato. La storia siamo noi. (…) la storia non si ferma davanti a un portone, entra dentro le stanze, le brucia. Il 27 Novembre nel convegno fabrianese “Nuova vita ai borghi storici e rurali delle Marche”, Gruppi di Azione Locale, istituzioni e tecnici si sono interrogati

Hicetnunc

I BORGHI. IL FUTURO DELLE MARCHE DIPENDE DA NOI … e dal coraggio di essere irragionevoli

sul futuro dei nostri borghi e sull’impegno di risorse comunitarie e regionali finalizzate a dare nuova vita a paesi e paesaggi della nostra Regione. A emergere su tutto sembra essere stato l’atteggiamento positivo e propositivo di condivisione delle scelte; una volontà di agire di concerto, amministrazioni e cittadini, con lo scopo ultimo di rinnovare attraverso scelte condivise di valorizzazione del territorio. Lo slogan citato recita che il futuro delle Marche è Qui. Noi ci permettiamo di aggiungere che il cambiamento deve partire Ora. Ed esso dovrà avere il coraggio di essere irragionevole.



NEWS

Storiedi viaggiatori, territorie bandiere

LE OPERE SU SETA DI MARIO VESPASIANI Splendidi arazzi su purissima seta per dare vita a opere che, come bandiere al vento, trasmettono colori da cui nascono luoghi inesplorati nei quali si perdono i confini politici rispetto alle morbide superfici, visualizzate come da una veduta aerea. In altre parole ‘Mara as Muse. Storie di viaggiatori, territori e bandiere’, nuova mostra del poliedrico artista Mario Vespasiani che arriva in perfetta successione semantica con le precedenti e che, come consuetudine vuole, si svela in anteprima nel suo studio marchigiano One Lab, in Corso Vittorio Emanuele II a Ripatransone. In questa interessante esposizione l’autore presenta il proprio mondo, concreto e immaginario, fatto di mappe geografiche e disponibilità all’accoglienza, bagagli e contatto umano, bandiere e un sentimento di speranza. È una mostra che parte da lontano, dalla cartografia, dal movimento che da sempre spinge l’uomo a varcare un confine dopo l’altro. Una mostra in cui lo spettatore può provare a considerare i territori attraversati, ognuno con la propria storia, con la propria bandiera non più composta da rigidi schemi e poche linee, bensì da macchie vivaci e perimetri imponderabili. Affascinante il materiale trattato: seta pura e cangiante che, nella sua assenza di peso, risulta tanto preziosa quanto delicata. Vespasiani, infatti, è un artista a cui piace sperimentare tecniche e materiali, generando opere che sono chiara espressione di un equilibrio, cromatico e simbolico, in cui l’uomo è parte della natura al punto tale da confondersi in essa. La mostra ‘Mara as Muse. Storie di viaggiatori, territori e bandiere’ è visitabile fino al 1 8 gennaio, ingresso libero. (rs)

Nobilepeluriaensemble

IL “CLUB DELLE BARBE” DI SAN BENEDETTO DEL TRONTO

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di Rosita Spinozzi La barba lunga e curata oggi è di tendenza, tanto da rubare lo scettro all’esuberanza tricologica che ormai ha fatto il suo tempo. In altre parole, taglio di capelli medio corto e barba perfetta sono il biglietto da visita della maggior parte dei divi hollywoodiani che calcano il red carpet esibendo con orgoglio l’ ‘onor del mento’, spesso accompagnato da un look finto trasandato. Esistono addirittura sondaggi e studi scientifici che attestano quanto gli uomini con la barba siano preferibili agli altri. In sintesi, de gustibus non disputandum est. Citazioni latine a parte, però, non sono solo le barbe made in Usa ad imperversare nell’immaginario collettivo, perché anche quelle marchigiane hanno una bella storia da raccontare. Certamente meno glamour, ma senza dubbio più autentica. Così come autentico è l’animo di Giovanni Colonnella che 24 anni fa ha fondato il mitico “Club delle Barbe”, con all’attivo numerosi iscritti e un socio onorario d’eccezione che rispondeva al nome di Lucio Dalla. Ma anche prestigiosi riconoscimenti nell’ambito delle ‘Olimpiadi di barba e baffi’ di Attimis (Udine), ai concorsi internazionali di Monte Mesola e Grottaglie (Taranto), e tanti altri ancora. L’obiettivo del Club? Promuovere in Italia e all’estero una peculiarità tipica del cosiddetto ‘sesso forte’, e organizzare un pranzo annuale in cui viene aggiunto un posto a tavola alle signore e persino a chi è sprovvisto di barba, affinchè venga ‘contagiato’ e magari torni il prossimo anno munito di folta peluria sotto il mento. Ma andrebbe bene anche un semplice pizzetto. Scherzi a parte, le intenzioni degli amici barbuti vanno oltre il semplice aspetto goliardico per approdare ad un’idea che meriterebbe di essere presa in considerazione. A lanciare l’appello è il presidente Giovanni Colonnella, il quale afferma che il settore delle barbe tende ad essere trascurato nelle Marche, motivo per cui si potrebbero gettare le basi per una manifestazione internazionale che, partendo da San Benedetto del Tronto, possa elevare il “Club delle Barbe” agli stessi livelli del “Club dei Brutti di Piobbico".


TURI SMO

Crisidelrublo edembargo

con uno sguardo al cinema

A rischio nel 201 5 la presenza dei turisti russi nelle Marche

UNO SCRIGNO FRA LE VALLI DELL'ASO E DEL MENOCCHIA Il regno della dea Flora e di Adolfo De Carolis di Rosita Spinozzi Montefiore dell’Aso è uno dei borghi più belli d’Italia che, con i suoi 41 2 metri sul livello del mare, troneggia sulla cresta che separa le valli dell’Aso e del Menocchia. La leggenda vuole che il luogo fosse un tempo governato dalla Dea Flora, da cui il nome e parte dello stemma comunale costituito dai cinque colli, Menalo, Baraffio, Castello, Vittorino, Aspromonte - gli stessi in cui il paese si estese durante il Medioevo - da cui fanno capolino cinque fiori con due fiumi che scorrono ai lati. Il ridente paese collinare, però, non è soltanto una gioia per gli occhi, ma anche un ‘baluardo’ culturale ricco di storia, tradizione, arte, musei, antiche strutture le cui mura ci ricordano di aver dato i natali a personaggi illustri come il cardinale Gentile Partino, e il pittore, incisore, illustratore Adolfo De Carolis. Basti pensare alla Chiesa di San Francesco, edificata nel 1 303 in stile romanico gotico, al cui interno è possibile ammirare il monumento sepolcrale dei genitori del cardinale Partino e la tomba del grande artista De Carolis, mentre all’entrata si trovano gli affreschi cristologici del Maestro di Offida. L’annesso chiostro della chiesa è attualmente sede del Polo Museale di San Francesco, inaugurato il 7 ottobre 2007, che ospita al primo piano il Centro di Documentazione Scenografica intitolato a Giancarlo Basili, celebre scenografo, montefiorano doc, nonché direttore artistico del Festival ‘Sinfonie di Cinema’. Questo è un evento che, nell’arco di quattordici edizioni, ha sempre dimostrato di essere fortemente qualificante per un territorio di circa 2.300 abitanti, ponendo l’accento soprattutto sulla qualità e richiamando l’attenzione di parecchi appassionati della Settima Arte. Una curiosità: la sala del Centro di Documentazione Scenografica, in cui arrivano ogni anno studenti provenienti da tutta Italia, è arredata con le vecchie sedie del cinema parrocchiale di Montefiore. Molto interessante il secondo piano del Polo Museale, in cui si concentrano la Sala Espositiva 5 Colli; il Museo della Civiltà Contadina che si snoda in tre sezioni (l’uomo e la casa, il lavoro, il territorio); la Sala Carlo Crivelli con il magnifico Polittico realizzato dal pittore veneziano; il Museo Domenico Cantatore, dedicato a uno dei maggiori maestri dell’arte contemporanea; il Museo Adolfo De Carolis, dove è stata ricostruita l’attività di xilografo dell’artista e la sala del Palazzo del Podestà a Bologna. Ma non finisce qui, perchè Montefiore porta con sé anche il profumo e la bellezza dei fiori. Ne è chiara dimostrazione l’Infiorata del Corpus Domini, pregevole manifestazione in grado di coniugare arte e spiritualità, organizzata dall’omonima associazione montefiorana. Da record i numeri che da 1 2 anni ruotano intorno all’evento: oltre quattro mesi di preparazione con il coinvolgimento di circa 600 persone, migliaia di petali per un totale di 45 quadri di 1 8 mq pronti a trasformare le strade del paese in un immenso tappeto floreale composto da arazzi variopinti che si snodano per due chilometri, coprendo interamente il percorso della processione del Corpus Domini.

I‘tesori’ diMontefioredell’Aso

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CHE FINE FARANNO I RUSSI? di Massimo Consorti Tre anni di un boom senza precedenti. La presenza dei turisti russi nelle Marche è lievitata negli ultimi trentasei mesi come la pasta della pizza, fino ad arrivare a un 78,1 3 per cento in più di arrivi e un 65,88 in più di presenze effettive sul nostro territorio. In tre anni insomma, la Russia è diventato il terzo paese consumatore dell'offerta turistica marchigiana superando presenze storiche come quelle dei francesi, degli inglesi e dei belgi. I turisti russi, si sa, prediligono le offerte di elevata qualità e se prima la loro presenza era essenzialmente concentrata nelle località balneari, a partire dal 201 3 sono stati i borghi, le eccellenze dell'entroterra e la qualità dell'ambiente a condizionarne la presenza anche in momenti dell'anno diversi dall'estate. Quindi non solo il mare ma anche l'arte, la cultura e, ultima ma non ultima, l'enogastronomia. Senza considerare poi i veri e propri raid compiuti nel compartimento del lusso e in primis, nel distretto calzaturiero. Che la Regione abbia puntato decisamente sulla Russia ne è prova l'incremento dei voli fra l'aeroporto di Falconara Marittima e Mosca a cui si è aggiunta Ekaterinburg, terza città della Russia dopo la capitale e San Pietroburgo. I tour operator russi hanno poi chiuso il cerchio con l'inserimento sempre più elevato di pacchetti turistici all'interno delle loro offerte. Tradotto in numeri, siamo passati dal 4,8 di pacchetti venduti nel 201 3, al 1 4,4 del 201 4. Ma questo trend che sembrava dovesse conoscere un incremento costante da due numeri percentuali, all'alba del 201 5 sembra destinato a un drastico ridimensionamento. Le ragioni sono essenzialmente due. La prima è legata al rublo che sta avendo una vera e propria contrazione da crisi economica in atto. A oggi il valore della valuta russa contra euro è di 64,720 contro i 45,044 del 201 3, ciò significa che per acquistare un euro i russi dovranno sborsare quasi venti rubli in più. La seconda è colpa dell'embargo che gli Stati Uniti hanno praticamente imposto ai partner europei, Germania in testa, che sta pagando carissima la politica obamiana. Inutile dire che i riflessi delle ritorsioni contro l'embargo da parte del presidente Putin, si sono fatte sentire immediatamente e, un gioco politico voluto da altri, sta penalizzando fortemente l'economia italiana e, di riflesso, anche quella delle Marche. C'è da dire che i turisti russi hanno affollato la nostra regione anche durante una stagione estiva schizofrenica, aiutati in questo dalle bellezze che comunque siamo in grado di offrire. E nel 201 5? La risposta la avremo nel 201 6, a statistiche chiuse con le lacrime agli occhi.


LA CULTURA DELL'ACCOGLIENZA L'Hotel Rivamare di Massignano

L’accoglienza è un fattore molto importante sia per il turista che arriva in piena estate, sia per quanti invece preferiscono concedersi una vacanza fuori stagione, nella massima tranquillità e magari in una location che garantisce nelle vicinanze il verde delle colline e l’azzurro del mare. Avere una struttura aperta tutto l’anno è una forma di investimento che, se ben interpretata, può portare buoni frutti soprattutto se allineata ad accattivanti pacchetti turistici in grado di prendere in considerazione anche le attrattive del luogo in questione. E se il paese di riferimento è Massignano e i titolari della struttura rispondono ai nomi di Elio e Simone Basili, allora buona parte del ‘gioco’ è fatta. Il motivo è semplice: i cugini Basili sono i dinamici titolari dell’Hotel Rivamare di Marina di Massignano, graziosa struttura ricettiva sita a 50 metri dalla spiaggia adriatica, dotata di 21 camere climatizzate con tanto di televisore a schermo piatto e, in alcuni casi, di un balcone o della vista sul mare. Inoltre ogni mattina il cliente può gustare una colazione semplice all’italiana, mentre il ristorante aperto a pranzo e a cena, è specializzato in piatti a base di carne, pesce, e pietanze che seguono la tradizione locale. Due le offerte valide per tutto il mese di gennaio: un pacchetto che prevede un soggiorno bed&breakfast per due notti in camera matrimoniale al prezzo complessivo di 90 euro, e le cene a tema su prenotazione il venerdì con il ‘Guazzetto di pesce’ preceduto dall’antipasto ‘Cipollata di cozze’ a 20 euro, il sabato con ‘Giro pizza’ a 1 0 euro, bevande incluse. La cucina proposta dall’Hotel Rivamare è di alto livello e generosa di specialità marchigiane, grazie anche all’abbondante scelta di prodotti che offrono la terra e il mare Adriatico. Ottimo anche l’approvvigionamento di ortaggi, frutta e verdure dei quali l’hotel garantisce la freschezza, la genuinità e il sapore. Pertanto i fortunati clienti possono deliziare il palato scegliendo tra il brodetto alla sambenedettese, grigliate e fritture di pesce, carne ai ferri, agnello fritto della classica tradizione marchigiana, le famose olive all’ascolana e il fritto misto ascolano. Tra i primi piatti spiccano i maccheroncini di Campofilone e i vincisgrassi, mentre tra gli affettati nostrani trionfa il ciauscolo. Il tutto innaffiato dagli eccellenti vini doc delle colline picene: Passerina, Pecorino, Falerio dei Colli Ascolani, Rosso Piceno Superiore. L’hotel dista 3 km dall’uscita dell’Autostrada A1 4, ed è il posto ideale per ‘staccare la spina’ dalla quotidianità e ritagliarsi un momento di relax coccolati dalla professionalità di uno staff guidato da Elio e Simone Basili, che mette a disposizione anche una connessione Wi-Fi, parcheggio e biciclette. (a cura dell'Hotel Rivamare)

Scommettereste maisuunafrazione medievaledi quarantaabitanti?

CASTELLETTA DI FABRIANO DIVENTA VILLAGGIO ALBERGO Luogo resort strategico con vista mozzafiato di Eleonora Crucianelli Quando si parla di albergo diffuso si pensa subito agli esempi perfettamente riusciti dell’Italia centro meridionale e della Toscana, rilevando i casi marchigiani più strettamente legati alle iniziative di privati e non ed operatori esteri. Ancora più raro, se non inesistente, rintracciare borghi a finalità turistico immobiliare nell’anconetano dove le aspre condizioni montane dell’entroterra e la rassicurante veduta del Conero spingono da sempre i viaggiatori perlopiù verso la costa. Si sa che le scommesse per antonomasia perseguono eventi improbabili, ma quando vengo-

no vinte producono l’effetto incredulo del “Come ti è venuto in mente?” Si sarà visto rivolgere questa domanda retorica più volte il protagonista della nostra storia quando, meno di un anno fa, decise di investire sulla microscopica realtà di Castelletta di Fabriano, frazione medievale con meno di cinquanta residenti che si affaccia sul Parco Gola della Rossa.Basta digitarne il nome su comuni motori di ricerca per veder comparire tra i primi risultati siti sui luoghi sconosciuti d’Italia. A Castelletta non si arriva per caso: 700 metri di quota e 6 km di tornanti sono sufficienti a definirlo un luogo sfidante. E proprio di sfida odorano le intenzioni dell’imprenditore osimano Pio Nicola Travaglini: da atleta a licensing manager, ora anche ristoratore, egli è pronto ad abbracciare nuove avventure con il giusto spirito propositivo che richiede il progetto. A Castelletta ha già trovato la sua dimensione. Un antico mulino ristrutturato accoglie oggi gli ospiti della sua trattoria improntata sulla filosofia del Km 0 e della genuinità locale. Da qui l’idea: fare del borgo un Villaggio Albergo in cui gli immobili in parte abbandonati ed in parte recuperati dai proprietari possano ospitare il turismo della zona ispirato dalla passione per escursioni e arrampicate in montagna (il borgo è vicino al Monte Revellone, al Parco Gola della Rossa e al sito delle Grotte di Frasassi). Il progetto Albergo Diffuso Castelletta si configurerebbe da un lato come dispositivo di accensione del territorio locale; esso di fatto agevolerebbe gli avventori fornendo un punto di riferimento e ritrovo. D’altra parte contrasterebbe il fenomeno dell’invecchiamento non solo architettonico ma anche sociale al quale questo luogo, analogamente a molti altri siti regionali e nazionali, è destinato. Consentire ai visitatori di approdarvi per un periodo utile a godere delle bellezze naturalistiche della zona, piuttosto che viverlo di sfuggita per un paio d’ore (il tempo di qualche scatto fotografico al panorama che qui è davvero mozzafiato) significherebbe riattivare una comunità e permetterle di avere un seguito credibile nel futuro della valorizzazione territoriale. Quella del borgo diffuso non è un’impresa facile: bisogna essere attenti in primis alle peculiarità sociali e culturali di un luogo intervenendo con delicatezza sul tema dell’integrazione. Il percorso intrapreso fin qui da questo “forestiero” osimano ne ha tenuto conto e, superando la diffidenza iniziale, è stato recepito come occasione e momento di promozione delle ricchezze autoctone. Le imprese generano impresa e noi ci auguriamo che questa si possa concretizzare al più presto dando il la ad un rinnovato interesse per i nostri luoghi e promuovendo le Marche come luogo in cui investire anima e cuore.


ARCHI TETTURA

Unpreziosositodiarchelogiaindustriale

FORNACE HOFFMANN A SERRA DE’ CONTI Valore storico simbolico e uso contemporaneo

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di Sara Anselmi Le Marche offrono vari esempi di valore appartenenti al patrimonio industriale dismesso; se in molti casi queste architetture versano in uno stato di abbandono e degrado, o sono state oggetto di riconversioni per nulla rispettose dell’assetto originario, in altri ci troviamo di fronte a operazioni di restauro conservativo e riuso di grande pregio: emblematico è l’intervento compiuto sull’antica fornace di tipo Hoffmann (XIX secolo) di Serra de’ Conti in provincia di Ancona. Erano centinaia le fornaci che in tutta la regione producevano i tipici mattoni marchigiani, che caratterizzano ancora oggi per colore e materiale i centri urbani e il paesaggio essendo impiegati in tutte le costruzioni, da quelle monumentali a quelle rurali. Di queste fornaci solo alcune sono attive mentre delle altre restano i ruderi dominati dagli altissimi camini. La fornace Hoffman di Serra de’ Conti è un sito di archeologia industriale oggi riconvertito a sede di rappresentanza della società proprietaria e spazio destinato a ospitare eventi culturali e commerciali. La ristrutturazione, completata nel 2000 su progetto dell’architetto Nazzareno Petrini, è consistita nel recupero funzionale di tutte le strutture nel massimo rispetto dei luoghi, per valorizzare una delle rare manifatture a pianta circolare esistenti in Europa. La fornace fu costruita in una zona ricca di argilla grazie alla vicinanza del fiume Misa e rimase in funzione dal 1 884 al 1 971 . L’elemento principale è il forno a pianta circolare, formato da una galleria divisa in camere con copertura a volta e un tetto ligneo sorretto da colonne in laterizio. Il complesso comprendeva anche un’abitazione rurale per il coltivatore delle terre antistanti, oltre a un essiccatoio, un’abitazione per i fuochisti e locali di servizio, costruiti negli anni a seguire con i mattoni prodotti dal forno stesso. Ulteriori fabbricati produttivi, che in fase di restauro si è deciso di non mantenere, furono aggiunti negli anni ’50. In anni recenti un’importante azienda calzaturiera della zona rileva il complesso con l’intento di restaurarlo e trasformarlo nel proprio quartier generale. Una scelta consapevole del valore aggiunto di questo luogo produttivo tanto caratterizzato architettonicamente, che per anni ha costituito l’emblema della comunità locale. Il progetto prevede il recupero funzionale di tutti i corpi di fabbrica senza aumento di cubatura e il reinserimento delle nuove funzioni legate all’attività dell’azienda, compatibili alle caratteristiche degli edifici. I lavori iniziano dall’elemento di maggior valore architettonico e simbolico: il forno Hoffmann, riconvertito in spazio di rappresentanza, essendo un ambiente estremamente suggestivo e poco adatto a funzioni che avrebbero comportato la suddivisione in aree e l’alterazione della struttura originaria. Per gli altri edifici sono stati previsti inserimenti di percorsi di collegamento verticali per migliorare la funzionalità senza alterare l’estetica originaria: restano le facciate in laterizio e le coperture lignee, le nuove pavimentazioni in cemento levigato e tirato ricordano elegantemente quelle industriali, gli inserti in acciaio corten sono perfettamente integrati al contesto postindustriale. Il piano terra è destinato a magazzini, laboratori di ricerca e sviluppo di nuove linee produttive, sala riunioni, mentre il piano superiore ospita gli uffici direzionali e lo show-room. L’abitazione è riconvertita in foresteria e alloggio del custode. In conclusione si può certamente apprezzare il modo in cui le nuove moderne funzioni dell’azienda abbiano trovato la giusta collocazione senza alterare lo spirito del luogo, coniugando sviluppo e memoria in un continuum evolutivo che molti altri ex stabilimenti della regione meriterebbero in quanto simboli dell’imprenditoria marchigiana oltre che pregevoli siti di archeologia industriale. Il risultato ottenuto indica una via nuova alle aziende di oggi che volessero farli rivivere.


IL FORTE MALATESTA NELLA STORIA DI ASCOLI PICENO Dal termarium romano ai Malatesta, da Antonio da Sangallo il Giovane al carcere giudiziario

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Ilmonumentale castello finalmente reintegrato allacittà L’imponente struttura in travertino squadrato chiamata Forte Malatesta è legata alla storia religiosa, civile e militare della città, rispondendo ai diversi cambi di destinazione d’uso con un susseguirsi di adeguamenti architettonici e strutturali. Si tratta di una delle architetture fortificate rinascimentali più importanti in Italia; restaurata dal Comune di Ascoli e riaperta nel 201 0, è attualmente sede del Polo Museale che comprende il Museo dell’alto Medioevo che ospita i preziosi reperti della Necropoli Longobarda di Castel Trosino, inoltre vi sono numerose sale destinate ad esposizioni temporanee oltre che a convegni ed eventi. Il sito su cui sorge il Forte ospitava in epoca romana un termarium detto “terme del Lago”', del quale è ancora visibile una conduttura ricoperta da opus reticulatum; ancora oggi si può ammirare un grande blocco di travertino appartenuto al termarium, decorato da volute fogliari in rilievo conservato nella navata sinistra della Chiesa di San Vittore. La piccola fortificazione detta Rocchetta, appena fuori dal centro storico, sorge a difesa della sponda sinistra del fiume Castellano: in epoca preromana e romana era un baluardo che sbarrava l’accesso al ponte. Galeotto I° Malatesta, divenuto signore di Ascoli nel 1 348 dopo essere stato chiamato a combattere contro Fermo in qualità di “Capitan Generale dell’Armi Cittadinesche”, ricostruì sui resti della Rocchetta un forte dove abitare, adatto a difenderlo dalla ostilità degli ascolani che mal sopportavano la sua tirannia. Fece anche pavimentare l’intera città (“fecie matonar tutta la cità de Ascoli che non ci rimase manche una minima straduccia” da "Ascoli nel Trecento" di A. de Santis) oltre a sistemare la fortezza Pia. Nel forte fece rinchiudere perfino il vescovo Isacco Bindi per aver denunciato le angherie e i soprusi perpetrati dai suoi ufficiali agli ascolani, stanchi della tirannia. Di questa fortificazione è possibile identificare, oggi, la torre quadrangolare di levante. Dopo un susseguirsi di rivolte e repressioni, Malatesta fu cacciato dai cittadini con un grande tumulto di popolo e il forte andò distrutto. Nei primi anni del ’500, nella fortezza in rovina, fu costruita una chiesa di forma dodecagonale dedicata a Santa Maria del Lago, ancora visibile nel corpo centrale della costruzione. Nel 1 540 il Forte assume la configurazione a pianta stellata di forma irregolare che è giunta ai nostri giorni, grazie a un nuovo progetto affidato ad Antonio da Sangallo il Giovane da Papa Paolo III Farnese. Il progetto prevedeva di riunire i resti delle preesistenti costruzioni e della chiesa di Santa Maria del Lago che, sconsacrata, fu trasformata in mastio e suddivisa in tre livelli, dando vita così ad un nuovo complesso fortificato. Dice il Vasari: «Fece ancora la Fortezza d'Ascoli, e quella in pochi giorni condusse a tal termine, ch'ella si poteva guardare; il che gli Ascolani ed altri non pensavano che si dovesse poter fare in molti anni: onde avvenne, nel mettervi così tosto la guardia, che què popoli restarono stupefatti e quasi non credevano». Il forte fu oggetto di successivi restauri nel 1 600, poi tra il 1 797 e il 1 798 fu utilizzato come caserma Pontificia, fino ad arrivare alla struttura odierna in seguito alle modifiche apportate per migliorarne la funzionalità poiché la fortezza ha ospitato il carcere giudiziario cittadino dall'anno 1 828 all'anno 1 978. (sa)


BI O &GREEN FALERIO.

IL CAPOFAMIGLIA DEI BIANCHI DEL PICENO Racconto di ciò che è stato, ciò che ricordo, ciò che è e ciò che spero sia di Valeria Cesari Wherever you are, whatever you do When life´s got you down, and dreams don´t come true Don´t give it up, trust in your heart When nobody else will care I will be there [. . . ] Whatever may come, I´ll be by your side Way out in the storm, deep down in the night Guarding your heart, guiding your way I will be there I'll be there, Go!, Fair Warning, 1 997

Quando penso al Falerio dei Colli Ascolani mi vengono sempre in mente i versi di questo brano rock che canticchio tra me e me. Sorrido. Sono una fan del Falerio, di quello che ha rappresentato e di quello che non smetterà mai di essere. E' vero, ha bisogno di aiuto ma, per quel che può contare, la mia voce è per lui. Sono tante le ragioni per cui il Falerio, già Falerio dei Colli Ascolani, non ha vissuto una felice storia commerciale. L'allontanamento dalla ristorazione e dai wine bar è stato inevitabile. Non ultime, il presente che vede l'imporsi sui mercati di vitigni autoctoni vinificati in purezza e, forse, il cambio di denominazione cui dobbiamo ancora abituarci. Noi qui nel Piceno, non i mercati, che tanto ignorano il Falerio da sempre, se non in rare eccezioni legate a singole etichette e non alla tipologia. Ma facciamo un passo indietro. Il Falerio dei Colli Ascolani, comincia a chiamarsi ufficialmente così nel 1 975, anno in cui viene approvato il suo disciplinare di produzione con Decreto del Presidente della Repubblica. Al 31 dicembre del 1 978, all'albo dei vigneti, risultano 42 produttori per 1 48 ettari di vigna specializzata. Il blend prevede Trebbiano toscano non superiore all'80%, Passerina, Pecorino (citato, ma di fatto non più prodotto in quel momento), Verdicchio e Pinot bianco per un massimo del 25% e Malvasia toscana per un massimo del 7%. “ Erano gli anni in cui il sabato

solo, ma nel 1 997 non si ha ancora la dimensione precisa di ciò che diverrà, anche se già si immagina che può sopraffare, con la sua potenza e longevità, il Trebbiano. “Erano gli anni in cui la

conquista del West era ormai fenomeno corale tra i produttori delle Marche che già avevano tanto da proporre. Compreso il Falerio, che però era difficile da raccontare. Il disciplinare permetteva sì ad ogni azienda di interpretare questo vino a proprio modo, ma il consumatore ne restava confuso. Troppe versioni diverse di un solo personaggio e in fondo 007 ha funzionato davvero solo quando era Sean Connery ad interpretarlo. Gli attori erano troppi e ordinare Falerio significava da troppo tempo non sapere che cosa si avrebbe avuto nel bicchiere. A meno che non si conoscesse la cantina e non si avesse la fortuna di trovarla nella carta dei vini del ristorante scelto, o dell'enoteca di cui si era clienti”.

Contemporaneamente il Pecorino guadagna terreno, al fianco della Passerina che comincia anche a danzare nei bicchieri vinificata nella versione spumante. “E il Falerio invece perdeva terreno. Il vino che era sulle nostre tavole la sera della vigilia di Natale per accompagnare gli spignoli fritti e il baccalà con l'uvetta, veniva stretto all'angolo”. L'ultima modifica al disciplinare che regola-

menta la produzione della DOC arriva nel 201 1 . Il Falerio dei Colli Ascolani diviene Falerio abbandonando il riferimento territoriale alla provincia. Questa tipologia prevede un bled di Trebbiano Toscano dal 20 al 50%, Pecorino dal 1 0 al 30%, Passerina dal 1 0 al

30% e l'ammissione, da soli o congiuntamente, per un massimo del 1 5%, di tutti i vitigni a bacca bianca non aromatici, idonei alla coltivazione nella regione Marche. La stessa modifica istituisce una nuova tipologia, ed è questa la sterzata vera, il Falerio Pecorino. Il Pecorino, la cui misura era stata contenuta in considerazione della sua potenza che si temeva potesse sopraffare il Trebbiano modificando la tessitura del Falerio, viene finalmente riconosciuto come ambasciatore del territorio Piceno. E attenzione, non solo della valle del Tronto, ma anche di quella dell'Aso. La composizione varietale del Falerio Pecorino prevede l'utilizzo del vitigno Pecorino nella misura minima dell'85%, con il possibile ricorso, per un massimo del 1 5%, da soli o congiuntamente, di tutti i vitigni a bacca bianca non aromatici, idonei alla coltivazione nella regione Marche. Questa modifica, oggi che abbiamo imparato a gestire il Pecorino, vitigno difficile e da coltivare e vinificare, ci permette di gustare un bianco da apprezzarsi appieno anche e soprattutto a qualche anno dalla vendemmia, ma anche di dare dignità a tutto il territorio straordinariamente vocato alla sua produzione che comprende le due province di Ascoli e Fermo. “Aspetto il

momento in cui il Falerio riprenderà il suo cammino interrotto solo da motivi commerciali. Il blend tornerà ad essere desiderabile e affascinante. I nostri produttori, per fortuna, continuano ad investire risorse sul Falerio, anche se le produzioni non sono massicce. La ricerca e la sperimentazione su questo vino non si è arrestata. E quando il mercato tornerà a chiederlo, il Piceno sarà pronto a rispondere con prodotti freschi, all'avanguardia che rispettino il territorio e le sue tradizioni. Prodotti che ad oggi sono già presenti sul mercato anche se più in regione che altrove”. Non posso non ricordare e citare le parole del

grande Maestro Teodoro Bugari, che negli anni '80 descriveva il Falerio come un vino brillante e dai sottili riflessi lunari. Di questo vino diceva che era suadente, vivace ma senza asperità e delicatissimo nella persistenza gustativa. E già allora, quando non erano ancora maturi i tempi per consigliare di bere vini bianchi non di ultima vendemmia, il Maestro scriveva che il Falerio era sì pronto dopo 8/9 mesi dalla vendemmia, ma che sorprendeva la sua fragranza e freschezza oltre i 20 mesi dalla vendemmia. E quello, nel Piceno, non era certo il momento storico di produzioni scientificamente consapevoli o ampiamente sperimentate, né di presse a membrana, o di bâtonnage. Pensate a che livello possiamo aver portato questo vino oggi che abbiamo la tecnologia e la consapevolezza della gestione delle più moderne tecniche di cantina, come delle più antiche. Quindi, noi consumatori, per primi proprio noi qui nel Piceno, dovremmo ricominciare a chiedere Falerio, ad assaggiarlo e gustarlo nelle sue diverse declinazioni. Dovremmo pensare che sperimentare e seguire le diverse vie del gusto può essere divertente e che un blend non ha meno dignità di un vino che viene da un solo vitigno. Il Falerio non va gustato freddissimo e in abbinamento all'Oliva Ascolana del Piceno Dop, nella versione ripiena. Ebbene sì, fritta. A completamento del percorso sensoriale, a tutto volume, il pezzo rock dei Fair Warning!

mattino, a primavera inoltrata, si saliva in macchina, carica di damigiane di vetro ricoperte di paglia intrecciata, per andare a prendere il vino bianco per l'estate, il Falerio. Ad Acquaviva, ad Offida, a Castignano. . . così si diceva. Non da chi, ma dove. Poi si tornava a casa, due pastiglie nei vetri colmi e la domenica, caricato il sifone tirando il vino con la bocca, si riempivano le bottiglie che venivano poi chiuse con una tappatrice a leva che stringeva il lucente tappo corona ”. Seguono diverse modifiche, rilevante è

quella del 1 997, che peraltro apre la strada a una nuova visione di questo vino che guiderà la sua evoluzione fino all'ultima modifica del 201 1 . Il Verdicchio e il Pinot Bianco escono dalla menzione dei vitigni utilizzabili, restando nel gruppo dei vitigni ammessi non meglio specificati, e ne viene ridotto il quantitativo percentuale. Il ruolo del Trebbiano viene considerevolmente ridimensionato, e viene aumentata la percentuale del potente Pecorino che mette l'asso nella manica al nuovo blend. Oggi conosciamo il Pecorino come il mattatore che calca le scene in as-

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L'amore hamillefacce, quelloperla terraneèuna

AGRICOLTORI PER SCELTA Il trend inarrestabile degli arrivi in campagna di Massimiliano Paoloni Voglio andare a vivere in campagna. Toto Cutugno lo diceva, pardon, cantava, quasi vent’anni fa, ma i tempi non dovevano essere maturi visto che il brano finì agli ultimi posti in quel di Sanremo ‘95. Non lo erano neppure un decennio più tardi, con gli scalcagnati vip del reality “La Fattoria” che suscitarono più umana compassione che brama di zappa e trattore. Oggi suona, invece, tutta un’altra musica. In questi ultimi anni il ritorno ai campi è divenuto un fenomeno sociale, culturale ed economico, alternativo a un modello di sviluppo di cui la crisi ha evidenziato tutti i limiti. Ci troviamo così dinanzi a un caso raro di mestiere, quello dell’agricoltore, che da una cronica marginalità nella considerazione pubblica ha saputo riconquistarsi un ruolo da protagonista. Un ruolo, aggiungiamo, che gli spetterebbe pure di diritto, perché se avere l’iPhone fa figo e “lo stivaletto in tinta/ti fa far l’amore” (cit. Afterhours), mangiare è pur sempre una necessità di tutti. Non può stupire, dunque, che proprio nella regione più rurale d’Europa, le Marche, si moltiplichino i casi di “mollo tutto” per lavorare e, soprattutto, vivere la terra. Del resto, solo un giovane su dieci che apre un’azienda agricola viene dal lavoro nei campi, mentre il 34 per cento era precedentemente occupato nell’industria, nei servizi o nelle costruzioni (analisi Coldiretti su dati Psr Marche). Basti pensare a Manuel Giobbi, trentasettenne bergamasco di nascita ma senigalliese di adozione. Dopo una prima parte di vita passata tra i listini delle Borse di tutto il mondo ha realizzato che, se proprio voleva lavorare quindici ore al giorno, sarebbe stato meglio farlo tra uliveti e vigneti piuttosto che davanti al pc. Il risultato è un’azienda pluripremiata e con una fiorente attività di e-commerce (vabbè, il lupo perde il pelo...). La veneta Jessica Masullo faceva l’impiegata in una ditta sul lago di Garda, con il marito Marco idraulico e marchigiano di nascita. La crisi li ha spinti a trasferirsi a Pollenza (Macerata) dove i genitori di lui avevano un po’ di terra. Cosa ci facciamo? Alleviamo capre! Oggi hanno una cinquantina di capi, dai quali ricavano latte, yogurt e formaggio. Antonio Errani ha abbandonato, invece, la vendita di acciaio per multinazionali tedesche come la Krupp e, galeotto l’incontro con Raikhan, kazaka con un negozio da parrucchiera, si è messo a recuperare antiche varietà di frutti quasi scomparsi a Castelplanio (Ancona). Ora, invece di bulloni e shampoo, producono e vendono confetture e succhi bio. Lavorava in una multinazionale, ma di articoli sportivi, anche Pascale Palmieri. Assieme al marito Massimo, tour operator, ha scelto di trasferirsi in Vallesina. Sono partiti con un campo di cipolle e oggi producono un Lacrima di Morro d’Alba già premiato dalle guide. E pure Nico Speranza era progettista per un’azienda veneta prima di mollare tutto e tornare nel Fermano, avviando a Monsampietro Morico una cantina ecosostenibile. Cosa fai nella vita? L’agricoltore! Figo!

Ilpantonedelcreato eilguadoperl'azzurro

LE MARCHE DEI COLORI NATURALI L'esperienza di Oasicolori, eccellenza internazionale di Borgopace

Il guado per l’azzurro, la reseda per il giallo, la robbia per il rosso, lo scotano per il nero e il marrone, olivo per il verde. Nel Medioevo il Pantone si controllava nelle campagne, con le piante tintorie che, in un’Europa ancora autarchica, fornivano i colori necessari ad assicurare vesti sgargianti e dipinti in grado di reggere l’usura del tempo. L’affermazione definitiva della stagione dei commerci, che oggi si chiama globalizzazione, e la ricerca chimica arrivarono, però, nel giro di qualche secolo, a “pensionare” le coltivazioni. Ma ora, visto che per le pensioni attuali e future non tira una bella aria, c’è chi ha deciso di rimettere mano a vanga e pennello. È la storia di Massimo Baldini e della sua cooperativa Oasicolori,

una sede a Borgopace, tra i monti pesaresi, e una decina di ettari di terreni sparsi tra il Montefeltro e la Vallesina. Da qui sta (ri)nascendo la prima filiera moderna del colore, con la riscoperta delle piante tintorie e il loro utilizzo in una molteplicità di campi che vanno dal calzaturiero all’abbigliamento, dal legno all’edilizia, fino alla cosmetica. Ma andiamo con ordine. Tutto parte dalle ricerche di due storici di Urbania, don Corrado Leonardi e Delio Bischi, qualche anno addietro. Il primo, sacerdote, studia l’uso del blu nelle pale d’altare mentre il secondo si chiede a cosa servissero tutte quelle macine (ben quarantacinque) presenti nell’Alto Pesarese, che non sembravano adatte né a fare l’olio né, tanto meno, il vino. La conclusione a cui arrivano è che nella zona era presente una fiorente coltivazione di guado, la pianta tintoria che fino al 1 600 rappresenterà l’unica fonte di colore blu del Vecchio Continente (a quei tempi un po’ meno vecchio). Una rivelazione che non lascia indifferente Massimo Baldini, un impegno come operatore turistico e una passione per la storia locale. Inizia i primi esperimenti, coltiva le prime piante e, pian piano, suscita l’interesse di qualche nome di spicco della moda, grazie anche a una nuova attenzione verso il problema delle allergie/intolleranze e alla conseguente ricerca di sostanze naturali. Nel 201 3 Oasicolori entra da protagonista nel progetto del Distretto culturale evoluto della Provincia di Fermo, assieme a una molteplicità di partner pubblici e privati, tra cui spicca Cariaggi, leader nazionale nel settore del cashmere. L’interesse fermano non è causale, poiché l’obiettivo è dare vita a una filiera agricola che coinvolga in primis il settore calzaturiero, garantendo la tintura in botte di scarpe e pellami. Un’idea che è già valsa a Baldini l’ingresso tra i finalisti nazionali dell’Oscar Green, il premio all’innovazione assegnato da Coldiretti Giovani Impresa sotto l’alto patronato della Presidenza della Repubblica. Il progetto si sta ora allargando all’uso degli scarti di lavorazione ortofrutticoli (buccia di cipolla, pomodoro, ecc.), con la concreta speranza di coinvolgere nuovi marchi del manifatturiero locale e nazionale. Una filiera dal campo alla... passerella che potrebbe aiutare le Marche a vedere il futuro meno nero. (mp)


FOOD &WI N E L'importanzadeifiltri dell'acquaperuncaffèal top

UN CAFFÈ BUONO È UN CAFFÈ PURO

Un“miraggio”inzonaportoaSan BenedettodelTronto

IL RISTORANTE PUERTO BALOO E SAI CHE PESCE MANGI a cura dello Staff del Puerto Baloo

Il servizio giornalistico andato in onda su Report qualche tempo fa sulle macchine da caffè e la loro assurda manutenzione, destò grande scalpore perché togliere o inquinare un caffè agli italiani è come fare rotonda la baguette ai francesi. Per noi il caffè è un rito e, anche se a volte la fretta ne condiziona la degustazione, una tazzina di liquido nero ci risolve perfino qualche piccola crisi momentanea di mancanza d'affetto o di turbamento esistenziale. Così, per un buon caffè, non basta una miscela che sia all'altezza delle nostre aspettative, ma anche l'insieme dei componenti necessari alla sua produzione. Uno di questi (a Napoli direbbero indispensabile) è l'acqua. Purtroppo il nostro paese non disponendo di una rete idrica impeccabile, ha bisogno di “purificare” l'acqua che sgorga dai rubinetti con tutta una serie di composti chimici che, se da una parte ne determinano la purezza e la potabilità, dall'altra ne condizionano a volte irrimediabilmente il gusto. Dopo mille tentativi spesso coronati da successo, ma altre volte no, per rendere pura l'acqua e togliere ogni possibile sapore da contaminazione idrica, è stato messo a punto un sistema di filtro che si basa sul principio dell'osmosi inversa, un fenomeno naturale che si verifica quando due soluzioni di diversa concentrazione (ad esempio acqua pura e acqua salina), vengono separate da una membrana semimpermeabile. La membrana tratterrà tutti i sali disciolti, batteri, microrganismi e tutte le sostanze in sospensione, rendendo l'acqua purissima e insapore, condizione indispensabile per gustare un caffè secondo i crismi dell'aroma all'ennesima potenza. I filtri di cui abbiamo scritto, sono parte integrante della filosofia “Capsy&Cialdy” per l'utilizzo al meglio delle macchinette da caffè. Un valore aggiunto che pone la “proposta” C&C al top della degustazione delle bevande calde e un'assicurazione totale nei confronti di un pubblico sempre più esigente in materia di qualità dell'alimentazione.

A San Benedetto del Tronto ci sono tanti ristoranti di pesce e non potrebbe essere diversamente, considerata la tradizione marinara del luogo e la generosità del mare Adriatico. Ma non tutti offrono ai clienti la possibilità di assaporare ottimi piatti di alta cucina immersi in una suggestiva atmosfera come quella della zona porto, all’interno di un locale arredato con gusto, adatto per ogni occasione e dotato persino di un giardino estivo. Il Ristorante Puerto Baloo è in grado di garantire questo ed anche di più. Complice la buona cucina e la bellezza naturale del luogo, la struttura ha una capienza di oltre 300 coperti e una linea improntata soprattutto sulla semplicità e il rispetto della tradizione, elementi fondamentali per realizzare pietanze che hanno conquistato il palato dei più esigenti buongustai. Ne è chiara dimostrazione l’abbondanza di recensioni positive che annoverano Puerto Baloo tra le eccellenze culinarie marchigiane, in cui a trionfare non sono solo i buoni piatti, ma anche il rapporto qualitàprezzo e la disponibilità di uno staff altamente qualificato, pronto a seguire i clienti in ogni momento, guidandoli nelle scelte e consigliando i piatti più adatti per l’occasione. Location ideale per matrimoni e banchetti di ogni tipo, grazie alla sua ampia sala ricevimenti e allo splendido giardino, il ristorante sambenedettese è uno dei più recensiti in rete da parte di quanti hanno avuto modo di apprezzare il gusto della sua cucina mediterranea. C’è addirittura chi lo considera come ‘un miraggio nel deserto della zona industriale, una visione lacustre, un’oasi insperata che aggrada il palato sotto tutti gli aspetti’. Un luogo ideale in cui pranzare all’aperto, lasciandosi accarezzare dalla lieve brezza che accompagna ogni portata. Eccellenti le cozze, squisiti gli scampi e i gamberi crudi, molto particolari le cozze fritte. C’è anche chi definisce Puerto Baloo il ‘ tempio degli antipasti’ per la varietà di assaggini misti caldi, freddi, crudi e il trionfo delle fritturine. Le specialità? Antipasti di mare, brodetto alla sambenedettese, brodetto di pesce, carpaccio di pesce crudo, frittura di pesce, pesce alla griglia, pesce crudo, spaghetti alle vongole veraci, spaghetti allo scoglio, frutti di mare, zuppa di pesce. Numerosi i riconoscimenti finora conseguiti, l’ultimo dei quali è il ‘Premio Brodetto’ dell’Accademia Italiana della Cucina. Ma Puerto Baloo è anche un ristorante che si contraddistingue per la sua adesione alla prestigiosa Chaîne de Rôtisseurs, la più antica associazione gastronomica del mondo che opera per la diffusione dell’arte culinaria. Un motivo in più per inserire il ristorante nella lista dei preferiti.

Ristorante PUERTO BALOO: via A.Vespucci n.30 – Molo Nord San Benedetto del Tronto (AP), tel. 0735.593551. Chalet BALOO: lungomare A.De Gasperi n.5 – Grottammare (AP), tel. 0735.633543.

Capsy & Cialdi, via Silvio Pellico, 91 – SS 16 – San Benedetto del Tronto (AP), tel. 0735 386376

IL GELATO CHE DIVENTA PRE DESSERT

Il consiglio del Mastro Gelatiere per una tavola ricca di sapori e di colori di Fabio Bracciotti – Creme Glacèe

Già da molto tempo il gelato è entrato a far parte del mondo della ristorazione. Normalmente, infatti, gli chef piu' bravi si cimentano nella preparazione di questo dolce con ingredienti più comuni nella loro cucina, come formaggi e verdure... Oggi però vi parlerò del gelato come predessert, che viene servito prima del dessert finale e di norma prima dell'ultima portata, delineando un trait d'union tra i due. E proprio per questo preciso momento, esso denota un carattere diverso dal dessert che è il coronamento finale del pasto e dovrebbe essere la massima espressione di gusto e sapori delle portate che lo hanno preceduto. Si intuisce quindi che realizzare un gelato come predessert è un compito particolarmente difficile. Dovremmo creare un gelato né dolce né pesante e, visto che potrebbe essere gustato tra un piatto salato e il dolce finale, deve essere un felice contrasto tra dolcezza e acidità. Con queste premesse entriamo quindi in una ricerca intensa di ingredienti e sapori delineati in un equilibrio nuovo. A mio avviso un gelato come predessert dovrebbe dare spazio a spezie ed erbe aromatiche, pensiamo ai chiodi di garofano, anice stellato, pepe, cannella, erba cipollina, ecc. Oggi vi propongo una ricetta per la vostra tavola facile da realizzare: un gelato allo yogurt con insalatina condita con uvetta, pinoli, sedano, pepe rosa, olio extra vergine di oliva e sale rosa dell'Himalaya. Questo gustoso predessert, facile da realizzare, rinfrescherà il vostro palato e vi accompagnerà alla pietanza successiva, che in questo caso potrà essere sia di carne che di pesce. Crème Glacèe, via Gabrielli, 8 - SS.16 - Porto d'Ascoli - San Benedetto del Tronto (AP) - tel. 349.0524031

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Unatradizione chediventa rituale

IL MAIALE E L'ANTICA FESTA DELLA MACELLAZIONE a cura del Salumificio artigianale Stipa

Lealidell'angeloMichaelche profumavanodibiscotti

L'AMORE PER IL PANE, I DOLCI, LA PIZZA a cura di Dolce Forno

Il forno è un’autentica fucina di odori, meravigliosi e inebrianti, che spesso hanno il potere di rievocare piacevoli ricordi legati alla buona tavola ma anche ai sentimenti. A quanti di voi sarà capitato di pensare ai biscotti che faceva un tempo la nonna, dopo essere passati davanti a un forno e aver percepito quella miriade di profumi che sanno di buono come il pane? Non a caso in un

noto film americano, ‘Michael’ con protagonista John Travolta, un bambino sosteneva fermamente che le ali degli angeli emanassero un odore di biscotti. Così ci fa piacere pensare che è un po’ il profumo del Paradiso quello che si può respirare in un forno. Pertanto, alla luce di queste considerazioni, possiamo tranquillamente affermare che è davvero ‘dolce’ il ‘forno’ di Giuliano Lanciotti il quale, mantenendo alta la bandiera della tradizione dei sapori locali, nel 1 986 ha avviato la sua attività partendo proprio dal vecchio forno situato al centro di Massignano, piccolo paese collinare in Provincia di Ascoli Piceno. Dolce Forno è una delizia non solo per il palato, ma anche per gli occhi e per l’olfatto, sensi che vengono sollecitati dalla bontà dei prodotti genuini come il pane, la pizza, i biscotti, le varie tipologie di dolci, amorevolmente preparati da un titolare che ha saputo gestire la propria impresa come se fosse una famiglia. La cortesia, infatti, è uno degli elementi che contraddistingue questo esercizio commerciale in cui non mancano di certo la professionalità, il rispetto nei confronti del prossimo, un ottimo rapporto fra titolare e dipendenti, uniti dall’intento di sfornare prelibatezze in grado di conquistare il palato di grandi e piccini. I prodotti di Dolce Forno, disponibili anche nei supermercati, uniscono la tradizione all’innovazione in un sapiente mix in cui a trionfare è la qualità degli ingredienti. Due i fiori all’occhiello, pronti a diventare la caratteristica del forno: il ‘Moro di Massignano’, dolce tipico a base di soffice Pan di Spagna guarnito con granella di nocciola, gocce di cioccolato, aromatizzato con mandorle amare e ricoperto di cioccolato. Una vera delizia. Così come è altrettanto buono l’ultimo ‘nato’ di Dolce Forno: sua maestà il Frollino, delicato e friabile, da gustare a fine pasto. Ma anche accompagnato da un buon tè, oppure semplicemente da solo, per il piacere di assaporare una gustosa pasta frolla con cui allietare i vari momenti della giornata. Attenzione, però. Un frollino tira l’altro ma, a differenza delle sigarette, fa bene alla salute e all’umore! Dolce Forno – Contrada Marezi – Massignano (AP). Tel. 0735.72467. www.dolce-forno.it

Nella famiglia mezzadrile marchigiana l’uccisione del maiale era una delle grandi scadenze dell'anno, tutte legate al ciclo della terra e alla produzione del cibo per i bisogni della famiglia e per le esigenze del Padrone. Oggi l’uccisione non può non avvenire che nei mattatoi sotto stretto controllo veterinario. Ma appena 30, 40 anni fa non era difficile imbattersi in quello che era un vero e proprio rituale. L’uccisione avveniva con il freddo, in pieno inverno, magari con la neve, per favorire la conservazione delle carni e sfruttare il clima per la salatura e la fase di asciugatura dei salumi. La macellazione del maiale è un rito antico e legato a un mondo ormai quasi in via d’estinzione: un mondo contadino strettamente legato alla terra e ai suoi frutti che segue il ritmo naturale del tempo e delle stagioni. Nella cultura contadina l’uccisione del maiale assume un valore simbolico e un momento di coinvolgente aggregazione sociale. È un giorno di festa lungamente atteso nel quale, finalmente, si raccolgono i sospirati frutti di mesi e mesi passati amorevolmente a nutrire e ad allevare il maiale, nella certezza che anche in quelle giornaliere attenzioni, dipenda la bontà e l’abbondanza delle sue carni. È un giorno che i bambini attendono con trepidazione e paura consapevoli che assistere all’uccisione del maiale è come una sorta di iniziazione. È un giorno in cui si sacrifica un essere simpatico e grufolante divenuto, ormai, membro della famiglia ma il momentaneo dispiacere per la perdita è ricompensato dalla quantità delle carni. Il maiale è un vero simbolo di abbondanza e fertilità e, ancor oggi, la sua morte accidentale o per malattia, è vista quale presagio di sventure e carestie. La tradizione vuole che la macellazione avvenga con i primi rigori invernali: i mesi propizi sono novembre, dicembre e gennaio. La scelta di questo periodo dell’anno si deve a una semplice ragione: le rigide temperature, infatti, raffreddano e asciugano più velocemente la carne e di conseguenza favoriscono una più veloce lavorazione Tradizione e proverbi, indicando il periodo invernale, contenevano in sottinteso, un consiglio igienico; infatti, la macellazione nei mesi caldi era pericolosa agli effetti della conservazione della carne fresca e anche per la stagionatura degli insaccati. Si tiene conto anche delle fasi lunari: occorre luna piena, altrimenti, si crede, i salami non "legano". I sapori, gli odori e il primo impatto con il gusto di una volta si possono trovare dal Salumificio artigianale Stipa di Massignano, un punto di riferimento per gli amanti dei prodotti genuini, ottenuti con procedimenti simili a quelli iniziati ormai negli anni '80 all'avvio della attività. Tra i prodotti che il Salumificio confeziona è possibile trovare le tradizionali braciole di pancia (scoperchiature), taglio di carne che, all'epoca, veniva consumato subito dopo l'uccisione del maiale con grandi grigliate. Salumificio artigianale Stipa, via Marezi 45/a – Massignano (AP), tel. 0735.72549 – www.salumificiostipa.it

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ARTE& CULTURA SI FA PRESTO 25annidigrandemusica

A DIRE JAZZ

Il Cotton Jazz Club di Ascoli Piceno e una sfolgorante programmazione 201 5. Fino a maggio artisti di fama mondiale

di Massimo Consorti Il Jazz è merce rara, soprattutto in una zona in cui il Pop impera e la House Music rimbecillisce. Uno spruzzo di Ligabue, un altro di Tiziano Ferro, una ventata di Vasco e si compone un panorama musicale italiano asfittico come non mai. Parlare di Jazz quindi può sembrare un assurdo in termini, roba da radical chic un po' snob e un po' in là con gli anni, nostalgici e amanti del tiptapare che il ritmo di una musica che non stanca mai, procura a ogni nota apparentemente strana. Il Jazz bisogna amarlo prima che conoscerlo, altrimenti lo si odia o peggio, crea quello strano sentire interiore che si chiama indifferenza. Non la pensano così quelli del Cotton Jazz Club di Ascoli Piceno, benemerita associazione che da venticinque anni si porta sulle spalle il peso di diffondere una musica che non ha frotte di estimatori, ma quelli buoni sono buoni davvero. Compleanno importante questo. Venticinque anni di presenza sulla scena del Jazz rappresentano una sfida nella sfida, con le lacrime agli occhi e il cuore in tumulto potremmo perfino definirlo “eroismo”. Da loro, nelle location che cambiano anno dopo anno, sono passati tutti i più grandi jazzisti del mondo. Concerti live indimenticabili, assoli straordinari, jam session da restare senza fiato e tuffi, con tanto di salti mortali carpiati, che hanno fatto la storia del Jazz nel Piceno e non solo. I livelli altissimi raggiunti dal “Cotton” sono sotto gli occhi di tutti, come le “stagioni” o annate come il buon vino, che hanno portato da quelle parti veri e propri giganti di un genere musicale che pretende innanzitutto una grandissima maestria strumentale. Per celebrare i venticinque anni di attività, il Cotton Jazz Club ha organizzato una stagione unica che partita a ottobre del 201 4, terminerà a maggio 201 5 con il solito, consolidato, prestigioso Premio alla carriera assegnato per questa occasione straordinaria al trombettista Enrico Rava. Ma vediamoli da vicino gli spettacoli di questo inizio d'anno, prendendo in prestito la brochure dello stesso Cotton curata dal direttore artistico Emiliano D'Auria, ultimo rampollo di una straordinaria famiglia di musicisti e musicista lui stesso. “Per l'inizio del nuovo anno – scrive D'Auria – incontreremo il Tinissima Quartet di Francesco Bearzatti (23 gennaio) con 'Monk 'n Roll', progetto originale dove le composizioni di Thelonious Monk convivono armonicamente con brani presi in prestito dall'enciclopedia del Rock. A febbraio (il 20) un salto alle

origini con il 'Lino Patruno Jazz Show'. Nel mese di marzo avremo un duplice appuntamento con la musica d'oltreoceano. Il 6, il quartetto piano-less di Jack Walrath e Gary Smulyan renderanno omaggio alle musiche del grande Gerry Mulligan ripercorrendo le sue incisioni con Chet Baker, e il 20 ospiteremo uno dei sassofonisti più in voga sulla scena down-town newyorkese. Mark Turner e il suo ultimo lavoro discografico prodotto dalla rinomata etichetta tedesca ECM, 'Lathe of Heaven'. Il 1 7 aprile verrà presentato 'The Place Between The Things', il nuovo progetto discografico del quintetto marchigiano 'Jano', con la guest del trombettista Luca Aquino”. L'8 maggio, conclusione col botto: l'attesissimo concerto di Enrico Rava, premio alla carriera, e il suo Quintet.

Palcoscenicopertuttiigusti

IL TEATRO DEL CIRCUITO AMAT

E un gennaio da trascorrere in platea Da Haber/Boni a Giorgio Felicetti passando per Lella Costa e Angela Finocchiaro, il gennaio teatrale marchigiano è ricco di spettacoli da seguire con interesse perché rappresentano, in sintesi, quanto di meglio si muove nel bene e nel male, in questi anni di crisi sui palcoscenici italiani. Proviamo a tracciare una mappa di alcuni dei momenti che riteniamo imperdibili tralasciando, non omettendo, quelli che invece possono essere considerati spettacoli da andare a vedere perché fuori fa freddo e i teatri sono solitamente ben riscaldati. Nonostante le agevolazioni che l'AMAT prevede con le sue card agli amanti del teatro, i biglietti costano e non sempre si ha la possibilità/disponibilità di acquistare un posto in piccionaia, figuriamoci in prima fila. E questo nonostante l'Istat dica, meglio certifichi, che in Italia i soldi ci sono ma gli italiani preferiscono metterli nel materasso piuttosto che spenderli. Andremo sicuramente al Ventidio Basso il 6 o il 7 gennaio per “Il visitatore” (regia di Valerio Binasco), con protagonisti Alessandro Haber e Alessio Boni. Lo spettacolo, tratto da Éric-Emmanuel Schmitt, è la storia dell'incontro fra Freud, ateo dichiarato, e Dio in persona interpretato da Alessio Boni. Lo scenario è quello della follia nazista e Freud-Haber, a un certo punto si pone la domanda choc: “Se Dio esiste perché permette tutto ciò”? A Montecarotto, il 9 gennaio, è di scena Giorgio Felicetti, attore-autore-regista di Civitanova Marche che abbiamo amato visceralmente per la sua “Vita di Adriano”, affresco di archeologia industriale che poneva al centro della trama i devastanti effetti dell'amianto della “Cecchetti”, fabbrica di veleni e di morte della sua città. Dopo l'esperienza fatta portando in scena la vicenda di Enrico Mattei, Giorgio Felicetti dà respiro internazionale alla fisarmonica con un chiaro riferimento all'industria artigianale di Castelfidardo. Lo spettacolo si intitola “Fissòarmonikòs” e si porta dentro una parte della storia dell'emigrazione italiana. Appuntamento a Fano (1 0/1 1 gennaio) e a Civitanova (il 23), con Lella Costa e Paolo Calabresi che portano in scena “Nuda proprietà” di Lidia Ravera per la regia di Emanuela Giordano. La “commedia celebra le fragilità umane ma soprattutto la forza della vita a qualsiasi età, contro gli stereotipi, grazie alle parole di una scrittrice italiana tra le più sensibili, nota ai più grazie al suo primo bestseller 'Porci con le Ali'”. Angela Finocchiaro, Maria Amelia Monti e Stefano Annoni, sono i protagonisti di “La scena”, testo scritto e diretto da Cristina Comencini, al Teatro Rossini di Pesaro dal 1 6 al 1 8 gennaio. Il 20 gennaio al Teatro Spontini di Maiolati, Leo Gullotta in un classico di Giuseppe Patroni Griffi, “Prima del silenzio” con la regia di Fabio Grossi. Molto glamour e in linea con i cinepanettoni dell'era De Laurentiis la proposta del Teatro dell'Aquila di Fermo, il 24 e 25 gennaio: “Signori... le patè de la maison”, con Sabrina Ferilli, Maurizio Micheli e Pino Quartullo, regia dello stesso Micheli. Un classico anzi, un classicissimo, a San Severino Marche il 25gennaio: “Sogno di una notte di mezza sbornia”, di Eduardo De Filippo, con Luca De Filippo e la regia di Armando Pugliese. A Porto Sant'Elpidio invece, sempre il 25 gennaio, va in scena Giobbe Covatta con il suo ultimo spettacolo “Sei gradi”, scritto e diretto con Paola Catella. A Camerino, il 27 gennaio, arriva Amanda Sandrelli con “Oscare la dama in rosa”, tratto da Éric-Emmanuel Schmitt, diretto da Lorenzo Gioielli. Un gennaio che si chiude con sacri fuochi teatrali pirotecnici; a Pesaro, al Teatro Rossini, 30 e 31 con Stefano Accorsi e il “Decamerone. Vizi, virtù e passioni”, liberamente tratto da Giovanni Boccaccio. Buon teatro a tutti. (mc)


Ilprogettoperunmondodiverso

MY SOUL E CESARE D'ANTONIO. UN ARTISTA RINASCIMENTALE OGGI

Da Frigidaire a Dario Fo, da Franco Zeffirelli a Paperissima il percorso creativo del “maestro di feste” di San Benedetto del Tronto di Rosita Spinozzi

Cesare D’Antonio racchiude in sé una parte d’infinito che si rispecchia nel limpido mare dei suoi occhi, in grado come pochi di saper guardare ancora il mondo con lo stesso ammirato stupore di un bambino, unito alla consapevolezza di un uomo adulto che sceglie di andare oltre l’effimero per godere della semplice bellezza della vita. La sua concezione del tempo, alquanto propositiva e legata al miglioramento dell’esistenza, rende prezioso ogni attimo trascorso in sua compagnia, durante il quale l’artista marchigiano ha condiviso la sua ricerca mirata a comprendere - attraverso la geometria e la luce/ombra espressa dall’essere umano e dal suo rapportarsi con questa dimensione - le nostre debolezze e, soprattutto, le opportunità che la vita ci offre per migliorare l’esistenza di quanti verranno dopo di noi. D'Antonio ama guardare in profondità, senza mai dare nulla per scontato, perché soltanto così si riesce a percepire l’anima di una persona: osservandone la postura e l’ombra riflessa dal corpo, oppure attraverso la voce e gli occhi che consentono di avvertire stati d’animo come la gioia o la malinconia. Per mettere in atto questo ‘processo’, però, non possiamo essere solo spettatori, ma comunicare e diffondere il piacere di condividere tali scoperte. Per Cesare D’Antonio questa è la vita del vero artista e di quanti vogliono un mondo migliore. La sua ‘missione’, infatti, risiede nel desiderio di trasmettere la propria esperienza artistica agli altri tramite l’insegnamento. Ed è così che dopo aver vissuto e lavorato per tanti anni a Roma, è tornato a San Benedetto del Tronto ed ha fondato l’associazione culturale Studio d’Arte Misoul in viale Colombo, un progetto in cui ha messo veramente l’anima (‘my-soul’). “Ho scelto la zona porto perché è un luogo dove si respira una particolare energia, forte, positiva, e gli spazi sono più aperti rispetto ad un qualsiasi centro o vicolo sambenedettese. Qui posso continuare la mia attività in linea con il concetto di artista rinascimentale che era al tempo stesso pittore, scultore, scenografo, designer, maestro di feste e di certo non l’artista tormentato che dipinge soltanto per esprimere un malessere interiore fine a se stesso”, afferma D’Antonio, diplomato in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Roma. “Seguo le orme della bottega rinascimentale, dove l’allievo pagava per essere preso a ‘lavorare’ fino a quando non sarebbe diventato bravo al punto tale da intraprendere una carriera propria. Il mio scopo è formare persone dotate di tecnica, che non abbiano timore di esprimersi attraverso la pittura o altre discipline, e siano in grado di tirare fuori il proprio stile e linguaggio. Tenacia, pazienza e fiducia in sé stessi sono elementi fondamentali per seguire il mio corso, animato dall’obiettivo di far diventare maestro l’allievo, per poter poi intraprendere il suo cammino. E magari collaborare con me per eventuali lavori”. Un saggio modus operandi dal quale deriva una selezione naturale, che consente ai più talentuosi e determinati di proseguire un percorso artistico degno di essere definito tale. È generoso Cesare D’Antonio, come solo i grandi sanno esserlo. E Cesare grande lo è davvero, come dimostrano l’intensità della sua arte ed un prestigioso curriculum che segna le tappe di una solida carriera artistica sempre in piena evoluzione. Gli esordi? Illustrazioni e storyboards con la Lodolo Film e la Torchio Film, copertine per il settimanale ‘Cioè’; storie a fumetti, tra cui la serie fantastica ‘Roboterie’ per il mensile ‘Frigidaire’. In seguito l’artista si è dedicato quasi esclusivamente alle decorazioni pittoriche e scultoree per il teatro (Dario Fo, Ugo Gregoretti), il cinema (‘Storia di una capinera’ di Franco Zeffirelli) e la televisione (Paperissima, Stasera mi butto, Piacere RaiUno, Festival di Sanremo ’92, Non è la Rai, Numero Uno, Luna Park, I Cervelloni, Go Kart, I Dinosauri, Papi Quotidiani, Scommettiamo che?). Nel 2004 ha realizzato gli oggetti di scena per la serie televisiva R.I.S. (Canale5), mentre nei primi mesi del 2005 si è cimentato nella realizzazione pittorica del sipario per l’opera ‘Il Ballo in Maschera’ di Giuseppe Verdi al Teatro Royal Opera House Covent Garden di Londra. Ci sarebbe molto altro ancora da aggiungere, ma le splendide opere di Cesare D’Antonio sono più eloquenti di tante parole.

TuttipazziperlaNailArt

QUANDO LE UNGHIE DIVENTANO UN’OPERA D’ARTE

Le vie dell’arte non conoscono confini e, oltre ad aguzzare l’ingegno nella spasmodica ricerca di qualcosa che possa ancora stupire, sono anche un incentivo alla creatività che si riversa non solo nel ‘prodotto’ finito, ma anche nel materiale a cui si ricorre per realizzarlo. Voli pindarici a parte, siamo fermamente convinti del fatto che in ogni essere umano si nasconda un lato artistico inespresso, pronto a rivelarsi in circostanze a volte dettate dal caso, altre dalla propria volontà. Perché i piccoli gesti quotidiani variano da persona a persona, e persino apparecchiare una tavola, abbinare indumenti, sistemare un cassetto, possono diventare azioni creative degne di nota. In quest’ottica ci piace inserire l’arte della decorazione delle unghie, meglio nota come nail art, che consente di realizzare autentici capolavori davvero a portata di… mano. Tecnica ormai ampiamente diffusa sia nei saloni di bellezza sia in casa, la nail art ha trasformato il tradizionale concetto di manicure in una vera arte che trova la sua massima fonte di espressione nelle unghie. Non a caso molte ragazze sono diventate vere esperte in materia, realizzando così un’infinità di video tutorial che spopolano su YouTube. Video che, in alcuni casi, hanno decretato la fortuna della ‘guru’ di turno la quale, da studentessa universitaria o semplice commessa, si è trasformata in conduttrice di Nail Lab su Real Time, special guest in manifestazioni dedicate alla nail art, testimonial di prodotti per le unghie, o più semplicemente ‘video maker’ con maggiori consensi espressi dal feroce popolo di Internet. Tutti pazzi per le unghie, insomma. Compresa la sottoscritta, che ha effettuato una vera e propria full immersion in rete con l’alibi di scrivere questo articolo e l’ intento di catturare i segreti di una buona nail art da fare in casa con strumenti basilari come pennelli di vario genere (a punta fine per disegnare, a ventaglio per glitter e sfumature, a punta lunga e sottile per tracciare linee, angolato a sezione piatta per i decori); dotter per realizzare graziosi pois, timbrini per lo stamping, adesivi, magneti, spugnette, stripes e persino stuzzicandenti, cellophane, carta stagnola. Immancabili nel kit una penna correggi smalto, una pinzetta per sopracciglia da usare per prelevare ed applicare adesivi e strass. Si consiglia vivamente solo alle più esperte di avventurarsi nei meandri della water marble, dove la goccia di smalto in cui intingere l’unghia va fatta cadere nell’acqua. Il risultato finale è fantastico solo se la tecnica viene realizzata in modo perfetto, altrimenti esce fuori un disastro. Provare per credere. (rs)


MODA &WELLNESS

LA SEDUZIONE DEL GRIGIO

Sporty, futuristic & so elegant

di Maria Carolina Chipia

di Marco Bagalini

Nell’occhio del ciclone invernale un colore emerge dal binomio sempre glamour black&white, il grigio. Forse per le sue proprietà cromatiche così versatili nelle varietà di sfumature e riflessi o forse per un generale senso di attesa e ricerca, forse per il fatto che abbinare con una vasta palette di colori, si pensi: al freddo blu cobalto, al rarefatto giallo tecnico, al vischioso verde petrolio e al caldo e accogliente bordeaux. È il non-colore delle perle, dei caldi cappotti sartoriali, delle plumbee nubi invernali e del mare d’inverno ma è anche il colore dell’acciaio, della velocità e dello sport che è nuovo punto di partenza del nuovo paradigma che ha fatto del grigio un equilibrato bisogno di comfort e glamour: vivace, dinamico, elegante. Per l'inverno il grigio è stato declinato in almeno un outfit in ogni défilé tra Parigi e Milano. Giorgio Armani ha presentato a Milano dei pezzi in grigio di tagliente raffinatezza, dai capi in spalla strutturati e minimalisti, penso al completo giacca-pantalone in lana grigio-rosso, equilibratamente mannish nel taglio largo del pantalone a pieghe e il largo rever della giacca. A Parigi il Kaiser, Karl Lagerfeld (per Chanel) sceglie delle linee di taglio più retrò nelle ampie forme dei lunghi capi in spalla, un po’ over, e caduta dei tessuti che strizzano l’occhio agli anni ‘50 della maison stessa, rendendo la donna che veste Chanel riconoscibile a colpo d’occhio. Nel lusso sfrenato, la pellicceria della francese Lanvin e dell’italianissima Fendi propongono eleganti e moderne pellicce in volpe grigia con rifiniture perlacee, spesso con abbinamenti di sfumature e riflessi di colori che prendono improvvisamente vita proprio nell’opposizione con il freddo grigio. Il grigio è anche Prêt-à-porter con connotazioni apparentemente antitetiche tra loro, basti pensare alle opposte ispirazioni stilistiche - fumo di Londra versus silver space - i tagli over retrò dei lanosi pullover un po’ maschili e le mini-maniche sostenute degli abiti tagliati in vita, magari con delle stampe metalliche spalmate. Questo Gennaio sembra annunciarsi più siderale del previsto.

A SCUOLA DI TENNIS Storia di uno sport praticato perfino da Nausicaa

Sono più di un milione gli italiani che dichiarano di praticare il tennis, facendo così balzare questo avvincente sport individuale nella classifica delle discipline sportive più popolari. Le sue origini arrivano da lontano e portano all’Asia Minore e alla Grecia, ma resta il fatto che il gioco di ribattere la palla con la mano o con un mezzo adeguato è sempre esistito, anche se con tecniche e regole diverse da quelle attuali. Ad avvalorare questa ipotesi c’è uno strano nome greco, ‘sphairistike’, che indica tale gioco: termine che è giunto fino ai nostri giorni attraverso l’inventore del Lawn Tennis. Inoltre un’antica leggenda narra che la seducente ninfa Nausicaa, la stessa che accolse il naufrago Ulisse, sia stata addirittura protagonista del primo doppio misto. Dalla Grecia passiamo a Roma, dove gli antichi romani tra un bagno e l’altro si dilettavano in giochi con la palla. Poi, una volta esportato in Gallia, il gioco trovò il posto ideale in cui svilupparsi al punto tale da diventare, secoli dopo, la disciplina sportiva più importante della Francia. Radici storiche a parte, il tennis arriva ai nostri giorni come un’attività salutare che può essere praticata da persone di tutte le età. Ad armonizzare questo sport sono tanti parametri, uno dei più noti è l’accorpamento tra capacità fisica e capacità tecnica, ed il fatto che a giocare un ruolo molto importante sul campo in terra battuta è l’attitudine al saper coordinare l’azione fisica con quella mentale. In sintesi, strategia e tattica. Inoltre attraverso la pratica del tennis è facile scaricare la tensione e lo stress accumulati, liberando la mente dai problemi della routine quotidiana e, nello stesso tempo, sciogliendo le tensioni fisiche. Da sottolineare che lo schema di gioco, le strategie da adottare e l’utilizzo di tecniche di coordinamento, fanno sì che il tennis sviluppi anche una elevata capacità di concentrazione, motivo per cui spesso è stato paragonato al gioco degli scacchi. Altro fattore importante risiede nel fatto che il tennis, grazie ai suoi rapidi movimenti, è anche una ‘macchina brucia calorie’ in cui il dispendio energetico è elevato con valori che vanno dalle 400 alle 600 Kcal/h. Non a caso è stato calcolato che un’ora di gioco permette di bruciare circa 600 calorie per gli uomini e 420 calorie per le donne. Numerosi i benefici per la salute, tra cui l’aumento delle capacità aerobiche, l’abbassamento della frequenza cardiaca a riposo e della pressione sanguigna; il miglioramento della funzione metabolica; il potenziamento del tono muscolare, forza e flessibilità delle articolazioni.

Scuola Tennis presso English School, via Delfico, 27 – Teramo – tel. 333 2278873


IL VERO SIGNIFICATO DEL WELLNESS

Intervista a Carlos Velazco, bodybuilder e personal trainer

UN MATRIMONIO DA STUPIRE Colori, papillon libri e ombrelli a cura di Redazione

Ancora non avete scelto cosa regalare ai vostri ospiti? Oggi è possibile scegliere il dono perfetto fra libri, papillon e parasole. Se volete lasciare un piccolo ricordo ai vostri invitati ma, allo stesso tempo, non volete spendere una fortuna vi sono una serie di idee fresche, originali e non troppo impegnative che potrebbero essere personalizzate, magari con l’aiuto del vostro wedding planner di fiducia. Del resto un piccolo pensiero per ringraziare i vostri cari di essere stati presenti in un momento così speciale è giusto che ci sia, anche se la vostra idea originaria fosse stata quella di devolvere il budget previsto per le bomboniere in beneficenza. E allora eccola la nostra selezione di petit cadeaux, da

di Emanuela Pelacchi Il Wellness è l'interazione fra corpo, mente e spirito. Il benessere psicofisico ottimale permette di realizzare gli obiettivi e trovare il senso della nostra vita. Il benessere è la capacità di vivere la vita al meglio e di massimizzare il potenziale personale in una vari modi. Ha come primo obiettivo proporre comportamenti virtuosi nelle attività motorie, nell'alimentazione e nella “manutenzione” dello stato emotivo. Abbiamo intervistato un esperto di wellness, Carlos Velazco, campione italiano di body building e personal trainer. Nato a Caracas, in Venezuela, arriva in Italia da turista, si innamora del nostro Paese e decide di viverci. All'età di 23 anni si trasferisce a Teramo per arrivare poi alla palestra SiSport di San Benedetto del Tronto dove lavora e si allena con il preparatore Giuseppe Disanto, presidente della federazione NABBA/WFF. Oltre al body building l'altra sua grande passione è l'attività fisica legata al benessere psicofisico. Il wellness. Due mondi che richiedono volontà, sacrificio e caparbietà nel raggiungimento degli obiettivi, ma anche consapevolezza e ricerca quotidiana del volersi bene. Nel body building per avere un fisico da gara la preparazione dura 9 mesi e si sviluppa in due fasi. La preparazione di ipertrofia per la crescita della massa muscolare dura 46 mesi, dopodichè inizia la fase di definizione dove si toglie tutto il grasso in eccesso. Come impegno quotidiano comporta due ore di allenamento molto intenso ma l'aspetto più rilevante e difficile è l'alimentazione. Nel periodo di ipertrofia il sacrificio non è eccessivo perchè ci si nutre molto spesso nell'arco della giornata. Il problema arriva quando si iniziano a ridurre le calorie e togliere i carboidrati. scegliere tra qualcosa di colorato e qualcosa da leggere (che scommettiamo diventerà momento di socializzazione ed aggregazione nel corso del ricevimento). Insomma, piccoli doni che non potranno rimanere inosservati ma resteranno nel cuore di molti invitati. Come fare? Iniziando dai vostri ospiti, per esempio, e fornendo loro dei piccoli dettagli da aggiungere alla loro mise. Sappiamo già che gran parte degli invitati uomini saranno impeccabili in giacca e cravatta. Se, però, volete un’atmosfera più allegra e rilassata (quella tipica di un matrimonio shabby chic per intenderci) trasformate voi il look un po’ troppo ingessato dei vostri gentleman offrendogli un dettaglio colorato da aggiungere al loro look. Ad esempio, potreste chiedere a una sarta di confezionarvi tanti fazzoletti da taschino, dei papillon e delle cravatte, scegliendo delle fantasie colorate. Alle invitate, invece, potreste consegnare degli ombrelli parasole o dei ventagli colorati. Il vostro wedding planner saprà guidarvi nella scelta ed aiutarvi nel personalizzarli con i vostri nomi e la data da non dimenticare. Un’idea non banale e molto amata dagli sposi più intellettuali è quella di regalare un libro. Che sia un classico o un titolo originale, la scelta del libro è ben vista da tutti coloro che vogliono dare un significato più profondo e meno superficiale al dono da fare ai propri ospiti. Molte sono le edizioni economiche in circolazione e per questo si può condividere un'emozione regalando qualcosa che ci ha fatto ridere, piangere o sognare. Qual è il libro giusto da regalare? Sicuramente qualche titolo che vi ha emozionato, ma se nella vostra top di libri più amati non c’è nessun titolo che vi sembra adatto, ecco alcuni dei nostri preferiti. Il giorno prima della felicità di Erri de Luca, Novecento di Alessandro Baricco, Sull’amore di Hermann Hesse, Poesie d’amore e di vita di Pablo Neruda, Nuvolo Innamorato e altre fiabe di Nazim Hikmet, La voce delle onde di Yukio Mishima.

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Il lavoro psicologico è molto importante. Però quando si raggiungono i massimi livelli come la partecipazione alla manifestazione mondiale “Universo” (tenutasi quest'anno in Inghilterra), si dimenticano tutti i sacrifici. Carlos riesce a conciliare il body building con l'attività di personal trainer. Figura importante che sostiene psicologicamente, facilita il raggiungimento degli obiettivi, e suggerisce la corretta esecuzione degli esercizi a livello di biomeccanica. Il principale beneficio di utilizzare il personal trainer è vedere subito i risultati. Fare attività fisica durante tutto l'anno è il pilastro del benessere. Sentirsi bene, dare al proprio corpo più tonicità non rappresenta solo un fattore estetico ma riguarda la salute generale perchè con più muscolatura il corpo funziona meglio, anche il cuore che è un muscolo. Camminare due-tre volte a settimana, meglio se a digiuno e alla mattina presto perchè il corpo utilizza i grassi a scopo energetico entro 40 minuti/1 ora dal risveglio. Dopo questo lasso di tempo il corpo inizia a utilizzare le proteine perchè subentra il catabolismo, che si verifica quando manca una scorta sufficiente di carboidrati, l’organismo lo rileva e cerca di porvi riparo smontando i muscoli, convertendo le proteine in energia e allo stesso tempo rallentando il metabolismo per sopperire alla mancanza di cibo. Le persone che vogliono dimagrire spesso fanno l'errore di non fare colazione e mangiare meno. Più massa magra abbiamo e più il metabolismo accelera perchè il muscolo consuma molto di più, e quindi si può anche mangiare di più. Psicologicamente è molto positivo, e ci si ammala meno perchè si è più resistenti. Inoltre, l'alimentazione generale è peggiorata e si fa sempre meno attività fisica. Il cibo spazzatura è una tentazione a cui moltissimi non sanno resistere. Si cucina sempre meno. Manca una sana educazione alimentare. La dieta non è rinuncia ma educazione alimentare e non significa non mangiare ma farlo di più e meglio. Alcuni consigli per depurarsi dopo il periodo natalizio: fare attività sportiva sia in palestra che all'aria aperta e mangiare almeno 4 volte al giorno, riducendo le quantità. Anche il pasto dopo l'allenamento è strategico perchè tutto quello che il nostro fisico consuma, macro e micro nutrienti, entro mezz'ora occorre reintegrarlo. Carboidrati veloci come una banana (carboidrati ad alto indice glicemico), riso con pollo o gli integratori, proteine e carboidrati e amminoacidi in polvere, sono tutti ottime soluzioni. Trovare tempo per se stessi, questo è il vero wellness.


PEOPLE Lospiritoche cavalcadueruote

QUELLO CHE NOI SIAMO Il way of life del

Fucking Hole

di Emanuela Pelacchi Quando si parla di motociclisti, ai profani viene in subito mente il rude, sporco e cattivo biker in sella ad una Harley-Davidson. Certo, l’immaginario collettivo è condizionato, attraverso una immagine distorta cresciuta nel tempo, da un modello poco attinente alla cultura motociclistica. Il concetto di fratellanza biker (o biker brotherhood) va molto più in là di certi preconcetti. Ad esempio negli USA, un paese sterminato con paesaggi meravigliosi e strade mitiche (una su tutte la Route 66), troviamo una miriade di gruppi e famiglie allargate che fanno della vita su due ruote. Un “way of life”, seguendo la filosofia basata sulla fratellanza, lo spirito di corpo che unisce i membri dello stesso club e l’orgoglio di indossare i colori (o Back Patch) di un club motociclistico (detto MC). Questa filosofia di vita legata alla tradizione nata negli U.S.A negli anni '40, si è evoluta e diffusa in tutto il mondo, anche in Italia. Noi siamo entrati per due ore nel loro mondo, in una club house nella zona di Ascoli Piceno. Il Fucking Hole è la loro base/casa vera, dove stanno insieme e vivono in tutta libertà la loro realtà. Vivono il club tutti i giorni di tutto l'anno. I membri sono molto uniti, l'organizzazione è salda, con una struttura delineata in cui i compiti sono divisi in base al grado corporativo ricoperto. Abbiamo intervistato Paolo, il fondatore e capo del club ascolano. È stata una grande opportunità dato che la riservatezza è parte integrante del loro stile di vita. Poche persone e ben selezionate conoscono l'indirizzo della club house e vi hanno accesso. Paolo ha iniziato a raccontare le origini della tradizione alla quale attingono, la storia dei bikers club americani. I primi reduci della seconda Guerra Mondiale che non si riadattarono alla vita di tutti i giorni e che, con il denaro delle indennità, acquistarono le Harley-Davidson ricostruendo il cameratismo militare, la stessa fratellanza da trincea. All'epoca la casa produttrice della H.D. era fornitrice dell'esercito americano e alla fine della guerra questi mezzi vennero dismessi e venduti per pochi dollari. Tutto ebbe inizio in California. I primi che codificarono questo stile di vita (che si diffuse velocemente in tutti gli Stati Uniti) furono gli Hells Angels, per arrivare al giorno d'oggi dove la Old Skull Family (assonanza con “Old School” per sottolineare le radici della loro filosofia), e tutti i suoi membri vivono in totale sinergia, sostenendosi gli uni con gli altri, liberamente, girando in moto, ascoltando buona musica, incontrando altri club in giro per il Paese. Non portano volutamente addosso alcun simbolo; lo scopo è quello di tracciare la propria storia in modo indipendente. Il venerdì è il giorno in cui aprono il Fucking Hole a un nucleo ristretto di persone, amici selezionati, per una serata con musica live, ottimo cibo e tanta spensieratezza. Appuntamento volutamente non pubblicizzato e diffuso attraverso contatti diretti telefonici, i social media vengono quasi del tutto ignorati. Per poter far parte della Old Skull Family occorre superare degli step. Si inizia con la fase di reciproca conoscenza, dove il supporter inizierà a frequentare le varie feste organizzate e i membri. Capendo la fattibilità, cioè se piace realmente l'ambiente e lo stile di vita e se tutti i membri sono di parere unanime, il soggetto inizia l'avvicinamento vero e proprio, periodo nel quale si frequenta in maniera assidua il club per un tempo che varia da persona a persona, dove ci si conosce ulteriormente e ci si lega ancora di più, quasi a filo doppio. In questo periodo il supporter diventa membro del club attivo, ma non scatta ancora l'appartenenza effettiva. Questo step, che si chiama Prospect e ha una durata di un anno e mezzo/due, non è uno standard ed è molto soggettivo. Quando l'aspirante membro è pronto ottiene i colori del club

(black & bone), e inizia a ricoprire il ruolo che gli viene assegnato all'interno del club. Rispetto, dignità, lealtà, orgoglio, fratellanza. Quotidianamente questi valori forti vengono vissuti e donati in modo pieno. È uno stile di vita che dà molto ma che richiede altrettanto impegno. La vita del membro del club si compone del tempo dedicato al proprio lavoro per sostenersi, mentre tutta la vita sociale viene assorbita dalla Family. Mogli e figli fanno anche loro parte di questa vita assoluta. Ci sono giorni in cui incontrarsi è obbligatorio, regole da seguire per ricoprire al meglio il proprio ruolo. Esistono diverse cariche che permettono tutte, nessuna esclusa, il perfetto funzionamento del club. La gerarchia interna è molto forte, a livello decisionale esistono diverse figure, come il presidente, il vice, il segretario, il tesoriere, il sergente, il road captain, cappellano, etc. Il club, l'Old Skull Family non è un passatempo, questo stile di vita non è per chi cerca un'evasione dalla solita routine, questi valori non si accendono solo nel weekend. Richiedono costanza, richiedono anima, richiedono volontà di distinguersi dalla massa e di abbracciare un mondo tanto avvolgente quanto totalizzante. Paolo, il presidente del club, raccontandosi durante l'intervista, ammette che ha accettato questa nostra piccola intrusione per togliersi lo sfizio di mostrare la loro realtà, molto presente e forte ma anche nascosta. Per rassicurare e spezzare una lancia a proprio favore, sottolinea che il club e i suoi membri sono tutte persone per bene che vivono una realtà molto loro, che può apparire strana per i ben pensanti o gli esterni al gruppo. Vi sono infinite chiavi di lettura ma loro sicuramente non vivono in questo modo per apparire, per moda, per ribellione. La loro vita è un orgoglio, il loro abbigliamento è un segno distintivo, sempre, non in maniera occasionale. L'abito non fa il monaco ma uno stile di vita lo disegna quasi sempre.


LalezionediessenzialitàdiCocoChanel

I n formazi one Pubbl i c i tari a

LUXURY LIVING

C’era una volta, diversi decadi fa e in un paese non poi così tanto distante dal nostro, una donna. Non è l’inizio di una favola, ma l’inizio di un mito e dello sdoganamento dell’eleganza femminile. Questa donna, Coco Chanel, iniziò a modificare il comune senso del lusso liberando le donne da insensati corsetti nascosti sotto decine di abiti, scomodissimi. Così, da un certo punto in poi, iniziano a prendere forma i pantaloni e le giacche femminili, con l’inserimento delle tasche, oggi le daremmo per scontate ma non lo sono sempre state. Questa rivoluzione nasce un po’ come tutte le rivoluzioni, da un bisogno, in questo caso la necessità di riportare sulla terra la donna che come l’uomo vive una quotidianità fatta di movimenti, di lavoro, di vita! Questo momento ha rappresentato un passaggio di stato, da solido a liquido, che sublima nella ricerca di un’eleganza composta e senza fronzoli, che rimette la donna e la sua vita al centro delle creazioni e che non si lascia affascinare da momentanee stravaganze. Da diversi anni è tornato un po’ questo sentore, il bisogno di un lusso femminile con un valore aggiunto di sofisticatezza e funzionalità: lo stile mannish. In questo paradigma la scarpa è senz’altro il prodotto per eccellenza, poiché deve in qualche modo coniugare i tanti e diversi aspetti della donna dinamica che non intende rinunciare ad un lusso personale, ad un oggetto di qualità durevole che veste in modo confortevole per affrontare giornate a volte un po’ troppo lunghe. Questa è anche la direzione intrapresa dal 2002 dal brand Lanciotti de Verzi, che proponendo le sue collezioni di calzature femminili, centra lo snodo chiave del bisogno di moda e quotidianità che tutte le donne ricercano. Niente a discapito di un lusso: la qualità. La donna che abita questi gioielli di artigianalità italiana è una donna elegante e raffinata che ricerca il comfort di una scarpa funzionale fatta appositamente per camminare; è una donna che ricerca il bello nella stivaleria elegante e sportiva, che ama uno stile con un tocco maschile con inglesine di tendenza e polacchine moderne in una collezione che si coniuga perfettamente con il bisogno di elegante movimento della donna. Non solo scarpe opere d’arte in movimento, che non riescono proprio ad essere limitate dal gusto stagionale poiché un bella scarpa non ha stagioni, è per sempre. Prossimamente anche la donna, poco dopo la presentazione della collezione estiva, avrà la possibilità di essere protagonista. Infatti l’azienda da marzo proporrà il servizio di composizione della scarpa personalizzata. E secondo noi tutto questo è solo una cosa: lusso. (mb)

Unafinestraaffacciatasull'infinito

IL VERO TOCCO DI CLASSE CHE PARTE DALLE SCARPE

Factory store presso “Il Castagno Brand Village” – Strada Brancadoro Mostrapiedi II, Casette d’Ete- Aperto tutti i giorni dalle ore 10.00 alle ore 19.30, orario continuato- telefono 0734.871839

Quando penso al ritratto del gentlemen vecchio stampo mi vengono in mente alcuni personaggi di almeno un secolo fa descritti e un po’ presi in giro da Oscar Wilde; penso al fumo di Londra e alla caccia alla volpe, al gioco d’azzardo e alle cravatte bianche, a tante sigarette e a baffi molto curati. Quali sono le caratteristiche del gentil uomo moderno? Come si è declinata questa figura mitologica al tempo dell’Ipad? Sicuramente un gentil uomo dei giorni nostri, come in passato, si riconosce dal fatto che non si preoccupa di ostentare il possesso del meglio, bensì di goderselo. Come circa un secolo fa possiede diversi tatuaggi, dedica del tempo alla cura del corpo, probabilmente la mattina mangia muesli ed ha sempre la barba ordinata, magari con i moustache; e aggiungerei, sa dire "Buongiorno", "Arrivederci", "Per favore", "Grazie" e... "Dopo di Lei"…in quattro lingue. Lo charme del gentleman si riconosce non solo nei dettagli etici ed estetici spesso soggettivi, ci sono alcuni archetipi che inevitabilmente ruotano attorno all’uomo di classe: gli accessori, intesi come personale ricerca di originalità e pezzi unici. Cravatte. Orologi. Guanti. Gemelli. E soprattutto scarpe! Il must-have sono le calzature, piccoli lussi personali di modelli classici con qualcosa in più perché il gentiluomo moderno non è fossilizzato nel passato ma conosce, e anche bene, il presente che vive. Ed è per questo motivo che lo scatto di qualità si può ottenere solo con la lavorazione a mano, in quanto unica a garantire un prodotto in grado di durare nel tempo, che si adatta perfettamente al piede e ne consente il benessere; tutto ciò mantenendo uno stile riconoscibile, come Lanciotti de Verzi che ha fatto della calzatura una filosofia di vita e dell’autoproduzione un credo che emerge dai capolavori unici che produce. Le scarpe del brand non sono mai succubi di trendsetter passeggeri, come non potrebbe esserlo neanche un vero gentleman. Conosce bene l’eleganza delle strutture e lo stile all’inglese e guarda al presente con ampio assortimento palette colori, un plus in questo caso è nel fatto che si indossa al piede un vero piccolo gioiello di perfezione che emana un intenso profumo di artigianalità e passione. Una passione autentica che produce calzature perfette fatte per camminare e per durare nel tempo, come il must-have della collezione invernale: la classica francesina così vicina alle tradizioni ma con quel tocco di modernità che la sdogana dalla ferree regole dell’abbigliamento classico per un look più giovane e casual. Grazie alla produzione interna l’azienda da marzo darà la possibilità ai suoi clienti di realizzare la propria scarpa custom, potendo scegliere tra diverse lavorazioni, pellami di riconosciuta qualità sulle basi storiche del brand, il cliente avrà cosi la possibilità di esprimere il personale tocco stilistico con la sua unica composizione tra le numerose possibilità offerte. (mb) Lanciotti de Verzi, factory store presso “Il Castagno Brand Village” – Strada Brancadoro Mostrapiedi II, Casette d’Ete- Aperto tutti i giorni dalle ore 10.00 alle ore 19.30, orario continuato- telefono 0734.871839.

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FOCUS COMUNI Unafinestraaffacciatasull'infinito

LA BELLA RIPATRANSONE E I SUOI DIECI MUSEI Olio, vino, arte, cultura e il raggio verde delle poesie d'amore

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di Rosita Spinozzi Un paese antico e meraviglioso reso ancora più magico dallo scorrere del tempo che, da vero gentiluomo, sembra fare un inchino all’intramontabile bellezza del capoluogo, situato su un alto colle a 494 sopra il livello del mare Adriatico. È questa la sensazione che pervade chiunque abbia visitato Ripatransone, uno dei territori comunali più estesi della Provincia di Ascoli Piceno (74,1 6 km² ) che offre allo sguardo una visione panoramica talmente ampia e spettacolare da accelerare i battiti del cuore, fino a dare la piena consapevolezza di cosa significhi avere una ‘finestra’ che si affaccia direttamente sull’infinito, dove il cielo di giorno gioca con il sole e altre con le nuvole, mentre la notte lascia trionfare il grande disco argenteo della luna. Definita a pieni meriti con l’appellativo di Belvedere del Piceno, la Città di Ripatransone porta con sé tutta la fierezza dello stemma comunale - un leone con un giglio d’oro nella zampa anteriore destra, posto su cinque colli che rappresentano le cinque tradizionali alture della città: Belvedere, Monte Antico, Capodimonte, Roflano, Agello - derivante da una gloriosa storia ricca di tradizioni, cultura, turismo, eccellenze, attività produttive che si fondono in modo mirabile gettando un ponte che unisce passato, presente e futuro. La struttura di base di Ripatransone è medievale, come dimostrano i numerosi resti delle antiche fortificazioni, mentre l’aria che si respira è unica non solo per il clima tipico del mediterraneo, in questo caso permeato dall’altitudine, ma anche per l’humus culturale le cui tracce sono immediatamente visibili non appena da Corso Vittorio Emanuele, costeggiato da palazzi signorili di epoche diverse, ci si incammina verso il centro storico e Piazza XX Settembre che racchiudono tesori architettonici di grande pregio. A partire dal Palazzo Municipale del XIII secolo, rimaneggiato più volte tra il Cinquecento e l’Ottocento, che presenta un portale bugnato in pietra sormontato dallo stemma comunale, due stemmi con memorie epigrafiche e una meridiana. Splendido lo storico Teatro ‘Luigi Mercantini’, emblema del fervore risorgimentale ripano e simbolo della tradizione comunale, che ha aperto di nuovo le sue porte alla città nel mese di aprile 201 2, dopo tre anni di chiusura necessari per renderlo accessibile tramite una serie di lavori di restauro e adeguamento impiantistico. Cuore pulsante della città, il Mercantini è uno dei teatri più significativi delle Marche risalente ai primi decenni del XIX secolo e ricavato dagli spazi del trecentesco Palazzo del Podestà, complesso edificio monumentale che affonda le proprie radici nel Medioevo e presenta un ampio porticato a sette archi, con un loggiato rialzato rispetto al piano di posa originario. L’insieme è completato dalla torre civica, due ali ottocentesche, e le lapidi con i busti scolpiti in memoria di due illustri ripani: il patriota e letterato Luigi Mercantini, autore della celebre poesia rinascimentale ‘La spigolatrice di Sapri’, il cui manoscritto originale (1 857) è ‘tornato a casa’ poiché è stato acquistato dalla Banca di Ripatransone alla casa d’asta londinese Bloomsbury, che ha una sede anche a Roma, sbaragliando la ‘concorrenza’ del Comune di Sapri; e il pedagogista Emidio Consorti, fondatore nel 1 889 della ‘Scuola di Lavoro Manuale Educativo’, la prima in Italia, che ebbe ambiti riconoscimenti da parte delle più alte autorità scolastiche, compresa la visita nel 1 894 del Ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli. Tra le maggiori attrattive ripane spicca il vicolo più stretto d’Italia (43 cm per poi restringersi in alto fino a 38 cm), curiosità urbanistica che calamita l’attenzione di molti visitatori ai quali l’Ufficio Turistico rilascia un ‘attestato’ che ne certifica l’attraversamento. Situato tra le viuzze del quartiere Roflano, nelle vicinanze di Piazza XX Settembre, il vicolo lo scorso anno è stato intitolato al professor Antonio Giannetti (1 939-201 4), grazie all’apposizione di una targa per ricordare l’uomo straordinario che nel 1 968 lo ‘identificò, studiò e valorizzò, individuandone anche la funzione che svolge nel particolare comparto urbano della Città’. Questo ulteriore atto di stima e affetto nei confronti del poliedrico professor Giannetti, storico, ricercatore e titolare negli ultimi anni dell’Ufficio Turistico Iat e conservatore dei Musei Civici, è stato effettuato in conco-


mitanza con i festeggiamenti per l’Ottava di Pasqua, evento che porta tanti turisti a Ripatransone sia per la venerazione dell’antica Madonna di San Giovanni, patrona della diocesi, sia per la curiosità di assistere al suggestivo rito dell’accensione del Cavallo di Fuoco, riconosciuto nel 201 1 ‘Patrimonio d’Italia per la Tradizione’. Degni di nota anche il Duomo Basilica, costruito dal 1 597 al 1 623 e dedicato a San Gregorio Magno e Santa Margherita, nonché chiesa principale della cittadina picena e storicamente dell’intera diocesi; la bella Piazza in cui sorge il Monumento ai Caduti del primo conflitto mondiale, che porta ‘ab antiquo’ il nome dell’eroina ripana Donna Bianca De Tharolis; il suggestivo Teatro all’aperto delle Fonti che durante l’estate ospita spettacoli di ogni genere e l’opera lirica nell’ambito del Rolf-Ripatransone Opera Leonis Festival; l’antica oreficeria Stasierowski di Piazza Matteotti, dal 1 950 parte integrante del centro storico; il Quercus Park, primo percorso acrobatico forestale della riviera marchigiana sito all’interno di un bosco di querce noto come ‘La Selva dei Frati’; Zona del Colle di San Nicolò con gli effetti benefici della sua speciale aria permeata dall’influsso dei pini. Ma la vera caratteristica di Ripatransone risiede nel fatto che la cittadina picena, con i suoi dieci Musei dove sono custoditi oltre 1 2.000 ‘pezzi’ (Museo delle Sculture in Legno di Ines Cataldi, Pinacoteca Civica-Gipsoteca ‘Uno Gera’, Museo della Barbie di Rosella Iobbi, Museo Archeologico, Museo Storico-Etnografico, Museo Vescovile di Arte Sacra, Museo della Civiltà Contadina ed Artigiana, Museo del Giudizio Universale di Sergio Tapia Radic, Museo della Tradizione Garibaldina, e il Museo del Vasaio temporaneamente chiuso dopo la scomparsa di Innocenzo Peci), vanta la più alta concentrazione museale d’Italia in rapporto alla sua popolazione di circa 5.000 abitanti. Per quanto riguarda la qualità del territorio, il sindaco Remo Bruni ricorda con orgoglio che, dal 1 9 luglio 2002 , sventola in terra ripana la Bandiera Arancione, certificazione del Touring Club inerente la qualità turistico ambientale di una cittadina la cui economia è basata sul settore agricolo (Ripatransone è Città dell’Olio, Città del Vino, e vanta numerose cantine: una per tutte, la Cantina dei Colli Ripani, la più grande società enologica delle Marche che, con oltre 350 soci, rende lustro al territorio tramite la sua intensa attività iniziata nel 1 977); il settore industriale (il Comune appartiene ad uno dei poli dell’industria del mobile nelle Marche), il settore turistico (oltre alle sue infinite attrattive, il Belvedere del Piceno dista pochi chilometri dalle località balneari di Grottammare e Cupra Marittima). Non a caso personaggi illustri come il campione olimpico Juri Chechi, l’attore e comico Enzo Iacchetti, la cantante neozelandese Raewyn Blade hanno investito nel territorio ripano, dove risiedono in alcuni periodi dell’anno. Ma Ripatransone è anche un terreno fertile di curiosità, a partire dal fenomeno atmosferico del ‘raggio verde’ visibile d’estate, ad occhio nudo, in particolar modo nelle zone di media altura adriatica con l’orizzonte rivolto ai Sibillini, quando il sole sparendo al tramonto crea un sottile strato luminoso che nasce e si arresta in pochi secondi. Degna di nota anche l’ironica leggenda de ‘Il Diavolo e il Vento’ che, oltre ad aver ispirato l’omonimo cd del musicista ripano Vincenzo Travaglini, svela il motivo per cui in Piazza XX Settembre c’è un punto particolare dove il vento non smette mai di soffiare, allargandosi poi per le due adiacenti piazze e il centro storico. La leggenda narra che proprio qui il Vento incontrò il Diavolo e gli propose di andare a bere insieme un bicchiere di vino. Ma il Diavolo aveva una faccenda da sbrigare in Municipio, quindi chiese al Vento di aspettarlo. Ed il Vento lo aspetta ancora oggi, invano, perché il Diavolo si è trovato così bene a Palazzo che non si è più mosso da lì. Leggende a parte, Ripatransone vanta anche una solida realtà musicale che ha come suo massimo esponente il Conte Luciano Neroni (1 909-1 951 ), celebre basso lirico ripano alla memoria del quale è intitolato il biennale ‘Concorso Internazionale di Canto Lirico’. Neroni, che con la sua splendida voce ha fatto volare alto nel mondo il nome della città natale, è anche padre illustre di Brunilde Neroni, scrittrice e poetessa nota in campo internazionale per aver tradotto in italiano 1 8 libri di poesie e scritti vari del grande poeta indiano Tagore, ed insignita nel maggio 2008 della Ruota dell’India, massima onorificenza indiana per meriti culturali, a lei assegnata come messaggera della cultura orientale in Occidente. Altre realtà musicali di grande rilievo sono l’associazione corale ‘Madonna di San Giovanni’ diretta dal maestro Nazzareno Fanesi e presieduta da Franca Basso, il Corpo Bandistico ‘Città di Ripatransone’ diretto dal maestro Roberto Vespasiani. Due autentici fiori all’occhiello che, oltre a organizzare eventi di notevole valenza culturale tra cui la Rassegna Corale Internazionale ‘Belvedere del Piceno’ e la Giovanile Orchestra di Fiati, prendono parte a tutti i momenti solenni della vita cittadina. Un plauso anche all’Associazione Musicale Marchigiana diretta da Clementina Perozzi, che ogni anno porta la grande musica in angoli, scorci e strutture ripane di suggestiva bellezza; e all’intensa attività dell’Associazione Musicale Rolf che, grazie all’impegno del baritono Ettore Nova e del mezzosoprano Ambra Vespasiani, ha permesso alla città di diventare un polo di attrattiva per i melomani.

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deve il nome alla passione per la storia di uno dei figli di Laura Frattini. Bere il Centurione è un piacere. Non troppo dolce e con una punta di amaro che emerge appena da un bouquet di sapori come papaveri da un mazzo di fiori di campo, il vino cotto che ci sta davanti in un bicchiere da degustazione, racconta di vigne e di terra fertile, di sole e di quella brezza di mare che spira a pochi chilometri di distanza. La coltivazione e il procedimento rigorosamente biologici (compresa l'assenza di solfiti aggiunti), sono testimoniati dal numero del lotto di appartenenza scritto a penna sulla retroetichetta, e che questo sia davvero un nettare lo si capisce dall'assenza totale di effetti collaterali sgraditi. Il prossimo obiettivo degli appassionati creatori del vino cotto, sarà quello del riconoscimento dell'origine del prodotto, del legame indissolubile con il territorio che ne sancirà definitivamente la qualità. Il vino cotto è un frutto tipico dell'agricoltura marchigiana e picena in particolare. Occorre un timbro, un logo, un marchio che ne certifichi finalmente l'originalità e un protocollo valido per tutti che ne sancisca i confini produttivi. Che venga ancora considerato un alimento e non un vino a tutti gli effetti non è un aspetto secondario ma neppure il principale. Alla fine vince sempre la qualità. L'Azienda Agricola Laura Frattini, si trova in Contrada Canali, n. 33 a Ripatransone. I numeri di telefono sono 0735 971 04 e 328 2732083. Il punto vendita autorizzato si trova presso il Bar Ristorante Dalla Padella alla Brace, via Turati 1 07, a San Benedetto del Tronto, tel. 0735 751 277. Nella pagina dei coupons di questo numero di Life Marche, si trova quello per acquistare il Centurione con il 1 0% di sconto.

UnnettarepergliuominisiaggiranelleMarche

STORIA DEL “CENTURIONE” Il vino cotto che aiutò Giulio Cesare a conquistare la Gallia è oggi disponibile in bottiglia. 50cc di godimento di Massimo Consorti Si racconta che dal 58 al 51 /50 Avanti Cristo, Giulio Cesare abbia portato a termine una delle più grandi conquiste dell'Impero Romano, quella della Gallia. Al condottiero del dado tratto sul Rubicone, occorsero ben otto anni prima di venire a capo di una vicenda fra le più violente e ardite della storia dell'umanità. Qualcuno dirà “sì, va beh, ma che c'entra Giulio Cesare con il vino cotto”? C'entra perché forse non tutti sanno che presso i romani (e prima ancora i Greci) il vino cotto era tenuto in grandissima considerazione per le sue mille qualità, e non soltanto per quelle legate al gusto. In quei tempi il vino c'era già, solo che il metodo di fabbricazione era, diciamo così, un po' grezzo. Il vino non era il nettare degli dei perché era una bevanda aspra, acidula, quasi disgustosa tanto che i romani erano abituati ad aromatizzarla con l'aggiunta di spezie e miele. E che usassero addolcire un vino praticamente aceto, è testimoniato dalle analisi di quello ritrovato nelle anfore delle galee romane affondate nel Mar Mediterrano. Il vino cotto no. Il vero nettare era lui. In poco tempo, questo vino aromatico e armonioso, diventò la bevande preferita nei banchetti dei patrizi e dei nobili, dei senatori ma anche dei centurioni che, narra sempre la storia di quel tempo, traevano dall'uso quotidiano del vino cotto energia e vigore. Insieme ai gladiatori, i centurioni si cospargevano il corpo con quel liquido ambrato che, udite udite, pare servisse a rinvigorire i muscoli e renderli pronti e scattanti per ogni combattimento. Nel corso del tempo, del vino cotto facevano uso i nostri nonni che lo consideravano una panacea, una specie di medicina utile praticamente a tutto, dal mal di testa a quello dei denti, dal mal di stomaco all'”aiutino” per grandi prestazioni a letto. Nostra nonna, che non era un'avvinazzata, usava il vino cotto per i suoi frequenti mal di testa. Solo che erano talmente frequenti che non si riusciva mai a capire quando la testa le dolesse davvero o quando era il suo palato che voleva gustare quel vino che scendeva giù con grande facilità e

con altrettanta facilità risaliva fino a intorpidire le membra e obnubilare il cervello. Il vino cotto era preparato da quasi tutte le famiglie contadine che mettevano a bollire l'uva caduta dai tralci o quella che non era utilizzabile per il vino normale. Gli scarti, insomma, venivano riciclati per preparare il vino cotto, tanto dolce da non aver bisogno di cure particolari. Non riuscendo a catalogarlo in nessun genere di vino esistente, il legislatore italiano si è ben guardato dall'elaborare un protocollo che ne tutelasse la qualità, l'origine, la composizione, il metodo di fabbricazione. Così, semplicemente, il vino cotto non poteva e non può essere commercializzato come un vino qualunque né può giovarsi di etichette che ne attestino l'origine e la qualità. Il fatto che tutti i viticoltori lo facciano e lo vendano (salatissimo) agli amici e agli amici degli amici senza incorrere negli strali della legge, è una faccenda tutta italiana, un modo di dire che sintetizza il concetto di pressappochismo a oltranza. Poi, per puro caso, ci è capitato di imbatterci in una cantina che il vino cotto lo fa seguendo tutte le regole che un prodotto tipicamente piceno deve osservare non solo per essere commercializzato, ma prodotto, invecchiato e imbottigliato a regola d'arte. E non essendoci un disciplinare né qualcuno in grado di dare indicazioni corrette e concrete in merito, l'azienda agricola di Laura Frattini, milanese trapiantata nelle Marche con il pallino dell'agricoltura biologica, ha iniziato una ricerca che l'ha portata a produrre il primo vino cotto biologico commerciabile in bottiglia e vendibile dovunque. Il risultato è stato ottenuto grazie a una serie di certificazioni che l'azienda agricola ha richiesto e ottenuto dopo una serie di osservazioni che non avrebbero tutelato né la tradizione della produzione né le caratteristiche di un vino che necessita di invecchiare in botti di legno e non d'acciaio o di cemento, e che deve bollire in contenitori di rame con il fuoco della legna e non del gas. Assicurati i necessari nulla-osta igienici (compresa una minuziosa analisi che escludeva la presenza nel vino cotto di rame, piombo e di tutti i minerali che la bollitura sprigiona), è iniziata una produzione che al contrario di quella classica dell'ascolano (solo uva bianca) e di Loro Piceno (solo uva nera), prevede una sorta di blended con uva proveniente da vitigni di Montepulciano, Sangiovese, Pecorino e Passerina. Il risultato finale, dopo almeno 1 8 mesi di invecchiamento, è il “Centurione”, una bottiglia da 50cc, che

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BUSINESS Il“nero”chevinceedominadovunque

CAFFÈ AMORE MIO... E LASCIAMOCI TRASPORTARE di Emanuela Pelacchi Oggi anche l’amore o l’avversione per il caffè diventano un fatto genetico. Una nuova ricerca inglese ha infatti individuato alcuni geni che influenzerebbero il nostro rapporto con la caffeina. Ognuno di noi è diverso e quello che ha voluto mostrare la ricerca è che reagiamo in maniera differente all’assunzione di caffè a seconda del nostro organismo e più nello specifico alla presenza o meno di alcuni geni. Per arrivare a questa conclusione lo studio, condotto da un team della Harvard School of Public Health e del Brigham and Women’s Hospital, ha voluto servirsi di un campione molto ampio, ben 1 20mila bevitori abituali di caffè, uomini europei o afro americani a cui è stato esaminato il genoma. La componente chiave alla quale si reagisce nelle ore successive a cui si beve un caffè è ovviamente la caffeina e sarebbero 6 le varianti genetiche a rendere la bevanda solo un piacere per alcuni, motivo di tachicardia, agitazione e difficoltà a prender sonno (soprattutto la sera) per altri. Ognuno di noi comunque, da quanto emerso dallo studio, sembra sappia istintivamente regolare il consumo quotidiano di caffè per ottimizzarne gli eventuali benefici. Paese che vai caffè che trovi: 23 modi di farlo nel mondo

Stati Uniti: Cafe breve: simile al nostro cappuccino, con la diffe-

Germania: Eiskaffee: più simile a una coppa che a un caffè, anche per via dell’aggiunta della panna, del gelato alla vaniglia e del cacao in superficie, che si vanno a sommare al fondo di caffè istantaneo. Non so quanto convenga berlo a fine pasto, con l’intenzione di digerire. Pharisäer: un caffè che scalda e nutre, grazie alla zolletta di zucchero e ai 4 cl di rum della ricetta originale, che risale al diciannovesimo secolo quando i Frisoni tedeschi per aggirare il divieto di bere alcol l’hanno nascosto nel caffè. Amato anche dal gruppo tedesco Godewind che gli ha dedicato una canzone. Austria: Wiener melange: ricorda lo zabaione questo caffè rinforzato con il tuorlo dell’uovo, zucchero di canna e panna montata. Della serie “colazione dei campioni”. Vienna coffee: per i freddi pomeriggi viennesi, se non volete concedervi il lusso di una fetta sacher, per rinfrancare lo spirito potete accontentarvi di questo caffè, che nella nostra lingua si chiamerebbe “doppio espresso con panna”. Vietnam: Ca phe da: il Vietnam è il secondo produttore di caffè al mondo, dopo il Brasile. Là si prepara con il latte condensato, proprio perché è difficile reperire quello fresco. Poi si aggiunge acqua, ghiaccio e un caffè macinato grossolanamente, seguendo un vero e proprio rituale di filtraggio. Grecia – Cipro: Frappé coffee: in Grecia e a Cipro si beve il caffè istantaneo mescolato con l’acqua e talvolta con l’aggiunta di un po’ di latte. Il risultato è una bevanda scura con un bel cappello di schiuma, che fa pensare più a una mezza pinta di Stout che a un caffè.

renza che oltre alla schiuma, c’è una parte di latte mescolato con la stessa quantità di panna. Praticamente il contrario del black coffee. Cafe tobio: un caffè americano un po’ più strong, con una parte di caffè “normale” e una di espresso. Per sentirsi degli intenditori senza sbilanciarsi troppo. The Gibraltar: gli americani chiamano caffè di Gibilterra quello che in Spagna è il Cortado, ovvero un espresso lungo macchiato con la schiuma di latte. Nato a San Francisco, il nome deriva dal bicchiere di vetro di quattro once in cui viene servito. The Red Eye: nome evocativo per un caffè che si beve quando ci si vuole “davvero” svegliare. Una parte di caffè americano si combina con l’espresso forte, per un effetto “bomba di caffeina”. Talmente famoso da esser diventato anche il nome di una birra, la Red Eye Coffee Porter. Spagna – Portogallo – Colombia: Café bon bon: nome zuccherino per questo caffè nato dalla combo espresso-latte condensato, che in Spagna chiamano dulce de leche. Molto bello da vedere per il contrasto tra il caffè scuro che rimane in superficie e la banda chiara del latte condensato sul fondo. Café con miel: se siete amanti del caffè con più zucchero che caffeina questo è ciò che fa per voi. Tra la cannella, il latte caldo e il miele, la dose quotidiana di dolcezza è assicurata. Cortado: il caffè cortado ha probabilmente tratto in inganno tanti italiani che si sono recati in vacanza nei paesi hispanohablantes e in Portogallo, e che l’hanno ordinato aspettandosi un caffè corto. Sorpresa! Il cortado è il nostro caffè macchiato. Galao: simile al latte macchiato, viene servito in alti bicchieri di vetro, riempiti di poco caffè e molta molta schiuma. Mazagran: se vi trovate a Lisbona nella calura nel Barrio Alto un caffè bollente non è la scelta più azzeccata. Forse è per questo che è stato inventato il mazagran, un caffè con cubetti di ghiaccio e l’aggiunta di limone. Australia – Nuova Zelanda: Flat white: un po’ più piccolo del nostro cappuccino, ma molto simile. Una parte di espresso si combina con il latte fumante e un topping di schiuma.

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PAROLA D'ORDINE: “CAMERETTA” Quando ladesign vita dietutti i giorni si unisce al alla sicurezza a cura di Mobil Dick Le camerette per ragazzi hanno un’importanza fondamentale nel mondo dei giovani e dei propri figli. Molto più di qualsiasi altro ambiente della casa. Le camere di ragazzi e ragazze sono il primo luogo in cui è possibile allenare e affermare la propria individualità, cullare i propri sogni, vestire di conquiste e ricordi ogni momento della propria vita, dall’hobby ai primi importanti impegni di studio, senza trascurare il buon riposo. Lo scopo è offrire soluzioni colorate e razionali, piacevoli da vivere, e che stimolano la fantasia. Sono idee intelligenti e di design per ragazzi dinamici che assicurano il massimo dell'organizzazione. L’intento delle camerette è pertanto quello di fornire soluzioni d’arredo versatili con l’ausilio di mobili componibili pratici e sicuri, in grado di soddisfare le esigenze non solo dei ragazzi, ma dei genitori che esigono sicurezza e qualità da un prodotto di buona fattura in grado di coniugare versatilità ed economia degli spazi. Il tutto con colore, inventiva ed un design in grado di riflettere una cura squisitamente tipica dell’arredamento “Made in Italy”. Armadi personalizzabili,cassettiere componibili multicolore,letti pratici e funzionali studiati per la salvaguardia dello spazio, scrivanie ergonomiche e confortevoli per rendere anche lo studio più “leggero”. Una serie di maniglie e accessori colorati vanno a completare una combinazioni d’arredo di camerette per ragazzi il cui unico confine è quello dettato dalla fantasia. Le camerette riflettono la personalità dei vostri ragazzi. E' il loro mondo, quindi rendiamolo bello, pratico ma soprattutto sicuro in merito a salubrità dei materiali, robustezza delle strutture e attenzione a particolari di anti infortunistica. Queste innovazioni tecniche e di design si possono trovare da Mobildick, centro all'avanguardia in questo settore ed esclusivista del noto marchio Spar. Prezzi molto competitivi, coniugano qualità ed esperienza sei suoi arredatori e artigiani. Per i lettori di Life Marche, Mobildick regalerà un tablet a chi acquisterà una cameretta, presentando il coupon che trovate a pag. 31 . Mobil Dick si trova in Via Pasubio n. 57/c, San Benedetto del Tronto – tel. 0735 6561 95. www.mobildick.it


Hong Kong: Yuanyang: questo caffè, servito tradizionalmente nei

chioschi all’aperto, è composto da un mix di tè nero, latte condensato e caffè. Da bere in coppia: il nome deriva, infatti, dalle anatre cinesi, che sono il simbolo dell’amore coniugale nella cultura cinese. Cuba: Cafe cubano: il caffè a Cuba è un rito quasi come in Italia. In questo caso, però, lo zucchero viene aggiunto direttamente nella brocca. Amanti del caffè nero, per una volta dovrete fare un’eccezione. Messico: Cafe de olla: la stecca di cannella è la cifra identificativa del caffè messicano, che si prepara facendo bollire l’acqua in una pentola di coccio, la olla, da cui prende il nome. Fondamentale è l’utilizzo del piloncillo, lo zucchero di canna messicano. Senegal: Cafe touba: secondo i suoi inventori, questa bevanda ha poteri curativi. Un vero e proprio rito che risale al 1 300 e che è particolarmente amato dalla medicina ayurvedica. Sembra che il pepe longorum, con cui è preparato, assieme alle proprietà energetiche del caffè, abbia effetti depurativi e stimolatori. Francia: Café au lait: ordinarlo ti fa sentire chic e retrò. Celebrato anche nelle poesie – ci viene a mente Déjeuner du matin di Jacques Prévert – il cafè au lait, il nostro caffelatte, è un’istituzione sulle tavole francesi della prima colazione. India: Indian filter coffee: la leggenda narra che fu Baba Budan, tornando da un pellegrinaggio a La Mecca, a iniziare gli indiani alla sottile arte del caffè nel diciassettesimo secolo. Se oggi si beve questo caffè realizzato con acqua, latte e polvere di caffè, forse è merito suo. Turchia: Turkish coffee: per fare il caffè turco avrete bisogno dell’ibrik, il caratteristico bricco tradizionalmente in ottone. Si fa bollire la polvere di caffè e si aggiunge il cardamomo. La cosa divertente è che poi vi potrete applicare nella lettura dei fondi. Austria -Svizzera – Olanda: Cafe melange: è il cugino del nostro cappuccino, ma non provate a chiamarlo così. La differenza, infatti sta tutta nella abbondanza di latte e nella tostatura più leggera del caffè. Malaysia: Kopi susu panas: il più difficile da ricordare, se non conoscete la lingua malese, è diffuso anche in Indonesia ed è molto simile al precedente ca phe da. Il caffè è stato introdotto dagli inglesi nel 1 800: per poter piacere ai locali la scura bevanda doveva essere addolcita. Come? Utilizzando il latte condensato ovviamente. Consiglio: non bevetelo fino in fondo se non volete mangiarvi la polvere del caffè. Irlanda: Irish coffee: il più famoso dei caffè stranieri, tanto che viene preparato anche nei pub italiani di ispirazione anglosassone, è composto da caffè, whisky irlandese, zucchero di canna e

PRIMA DI PARTIRE PER UN LUNGO VIAGGIO L'esperienza di Studio Impresa consulting a cura di Studio Impresa Consulting Lo facciamo ogni volta quando decidiamo di partire per una vacanza. Che sia da soli, con amici o in famiglia, scegliere la destinazione per un viaggio è sempre un processo logico da definire. Facciamo delle scelte, decidiamo dei percorsi, dei costi, il tutto per soddisfare le nostre esigenze. Oggi più che mai di fronte al mappamondo ci si prospettano innumerevoli possibilità, e a volte è difficile scegliere rischiando di confondersi o scendere troppo spesso a compromessi. Quindi, conoscere bene prima di muoversi, definire bene le proprie capacità prima di scegliere, e infine fare bene la valigia, prima di partire. Detto ciò, se si parla di vacanza possiamo anche partire zaino in spalla e scoprire il mondo in solitaria… ma se parliamo del viaggio di un’azienda, di un prodotto, di una storia, forse è il caso di soffermarsi e riflette su alcuni aspetti fondamentali. Sembra strano ma uno dei problemi delle aziende che decidono di internazionalizzare è quello di sottovalutare l’analisi del mercato interno; non si conoscono bene i paesi, spesso si minimizzano gli effetti che potrebbe avere il nuovo investimento su tutta la struttura aziendale, compresa quella nazionale. È importante allora insistere sul conoscersi bene, sul capire internamente le proprie possibilità ed i propri obiettivi, prima di redigere vari business plan e fare ricerche di mercato. La struttura odierna di Studio Impresa consulting, composta da un gruppo di professionisti esperti e dinamici, consente all’azienda di avere un’analisi puntuale della situazione economica, patrimoniale e finanziaria e di governare un sistema di controllo di gestione interno, attraverso budget e consuntivi. Un servizio di consulenza di preparazione all’internazionalizzazione intesa quale informazione personalizzata, per consentire

panna. Si dice che sia stato inventato nel 1 942 per consolare i passeggeri di un volo della Pan Am che era stato rimandato per il brutto tempo. Italia: espresso, ristretto, lungo, al ginseng, d'orzo, lungo con cacao, lungo corretto, schiumato, shakerato con Bayleis, all'anice, dek macchiato, marocchino con cioccolato bianco, macchiato chiaro, macchiato freddo, marocchino, criollio, doppio lungo, doppio ristretto, doppio, shakerato, sospeso, mokaccino, irish coffe, doppio in tazza grande, macchiato con panna montata, corretto, moka, decaffeinato, cappuccino, in crema, corto, corto macchiato, cappuccino estivo, al pepe, allo zenzero, viennese, ice cafè, imperiale, bicerin, alla parigina, in tazzina di vetro con manico di ferro, corto con fettina d'arancia, alla turca, con ghiaccio servito a parte, americano, con cioccolato, del marinaio, ristretto corretto, miele e cannella, macchiato scuro. L’avvento delle cialde prima e delle capsule poi ha letteralmente stravolto il mercato del caffè che si beve a casa o in ufficio. Le nuove macchinette per il caffè si sono imposte non solo in Italia ma anche all’estero, in alcuni casi facendo addirittura scoprire il caffè italiano a chi non lo beveva regolarmente. Per comprendere a fondo il successo delle capsule basti pensare che di recente l’Istat ha inserito le cialde nel suo paniere per il calcolo dell’inflazione. Negli ultimi dodici mesi, in Italia, il prezzo medio delle capsule è sceso del 2,5% mentre il tasso di crescita dei volumi di vendita continua ad essere molto sostenuto (+20%). A livello mondiale i numeri del mercato delle cialde sono già ora molto importanti: secondo Euromonitor vale 8 miliardi di dollari e salirà fino a 1 2 miliardi entro il 201 5 con una crescita di oltre il 50% in un biennio. Il grande successo del caffè in cialde e capsule deriva anche e soprattutto dalla qualità prossima a quella del bar e alla comodità del farsi un ottimo caffè per una pausa vera, non come succede nei bar, entrando di corsa per bere l'amato nettare. Un esempio di azienda del settore molto ben avviata e di successo è Capsy e Cialdy di San Benedetto del Tronto. In questo punto vendita abbiamo riscontrato prezzi decisamente inferiori rispetto alla grande distribuzione, ma soprattutto la vasta presenza di compatibili. Fatto molto importante e apprezzatissimo perchè attualmente rappresentano una rarità, e offrono una soluzione per eliminare il vincolo di cercare fra i solito marchi senza poter scegliere, tra l'altro, la qualità del caffè. Anche dal lato “benefici per la salute”, Capsy e Cialdy vende capsule in cui non si utilizza alluminio ma un filtro di carta per sigillare le stesse. Per queste e altre positive peculiarità, la giovane azienda sta riscuotendo grande approvazione e diventando l'unico punto di riferimento del sud delle Marche.

alle aziende di valutare accuratamente le opportunità offerte da ogni Paese, approfondire la conoscenza delle condizioni economiche e fiscali, familiarizzare con gli strumenti finanziari ed assicurativi a supporto di progetti di internazionalizzazione, fino ad accompagnare l’imprenditore nei suoi programmi di sviluppo all’estero. L’apertura Internazionale rappresenta la soluzione per la crescita economica anche per le piccole e medie imprese. Tuttavia, i processi di crescita all’estero comportano difficoltà e impedimenti per le imprese di minori dimensioni, che rendono complessa la scelta di internazionalizzarsi. L’obiettivo di Studio Impresa consulting, è quello di accrescere il grado di internazionalizzazione delle aziende, attraverso fasi strutturate volte alla individuazione della strategia di sviluppo; ricerca delle risorse finanziarie; riduzione dei costi per la raccolta delle informazioni; implementazione del progetto estero sul sistema di budget e reporting italiano. STUDIO IMPRESA consulting srl nata nel 2000 quale naturale evoluzione del background professionale di un team di professionisti complementari e sinergici, è cresciuta e si è integrata con lo STUDIO COMMERCIALE ASSOCIATO (2006), e nel tempo ha acquisito, attraverso un linguaggio univoco e distintivo, la capacità di rispondere efficacemente alle specifiche esigenze della clientela. Il team opera in esclusiva, attraverso uno staff di professionisti, Senior partner e collaboratori, affiancando l'imprenditore, coordinando e gestendo l'insieme delle grandi decisioni ed azioni che determinano la struttura generale del business aziendale. Il continuo confronto con l'imprenditore e la necessità di sapersi relazionare con lo staff aziendale, stimolano continuamente il processo di formazione professionale dell'intero team, oggi sempre più capace di recepire ed integrare innovazioni e miglioramenti continui, al fine di assicurare la crescita del valore delle aziende assistite

Ilbusinessdelgelatoartigianale

NICCHIA SÌ, NICCHIA NO MA SEMPRE GRANDE QUALITÀ

Intervista a Fabio Bracciotti di Creme Glacèe di Massimo Consorti Il mondo del “gelato” è estremamente più complesso di quanto potessimo immaginare. Innanzitutto chi materialmente crea quel prodotto buono a tutte le età e a ogni latitudine, si chiama “gelatiere” e non “gelataio”, fatto che per noi comuni mortali abituati a ingurgitare gelati senza soffermarci nella fase della degustazione, suona come una bacchettata a mani aperte. Poi, chi come Fabio Bracciotti, inventore e proprietario di Creme Glacèe, diventa maestro gelatiere perché oltre che una professione il gelato è una passione viscerale, il mestiere non è solo mestiere ma qualcosa in più. “Ho iniziato a fare il gelato in casa – ci dice Bracciotti – con la macchina che si compra nei centri commerciali. Già allora mi piaceva inventare cose nuove partendo dai gusti classici. Poi mi sono accorto che creare gelati stava diventando una malattia e ho iniziato a frequentare corsi gestiti dalle grandi aziende produttrici. Volevo capire di più e farlo meglio”. Quanto l'hanno aiutata i corsi che ha frequentato? “All'inizio parecchio, soprattutto dal punto di vista tecnico. Poi però mi sono reso conto che i processi erano tutti uguali e tutti a base di quelle miracolose cartine grazie alle quali ottieni lo stesso gusto in ogni parte d'Italia”. A questo punto cosa ha deciso di fare? “L'unica cosa logica e sana, andare a bottega, a scuola di un vero maestro gelatiere e lì mi si è aperto un altro mondo”. Ed è arrivata la maniacalità... “Di più, è partita la voglia di esagerare, nel senso che dalla scelta degli ingredienti, tutti di altissima qualità, all'uso di macchine che permettono al gelatiere di decidere lui quando il gelato è pronto, ho deciso che avrei fatto del mio lavoro un momento artistico, una svolta che mi avrebbe portato alla nicchia ma piena di soddisfazioni personali” Secondo lei, il consumatore medio riesce a distinguere un prodotto di qualità da un gelato che si trova nei bar o nei grandi circuiti commerciali? “Non sempre purtroppo. Il fatto è che in questi ultimi anni il consumatore si è assuefatto agli odori, ai sapori, a un tipo di pastosità. In più si è aggiunta quella che definirei 'pigrizia strutturale', la forza che occorre per leggere e capire un prodotto non nello standard. Le dirò che molti adolescenti che entrano in gelateria non sanno neppure leggere i cartellini con il nome del gusto, occorrerebbe mettere uno smile ma non sempre è possibile”. Che tipo di rapporto ha una struttura artigianale come la sua con la grande distribuzione? “Praticamente nessuno. Ma il fatto grave è che la grande distribuzione si sta appropriando di alcuni degli strumenti caratteristici dei maestri gelatieri, come i contenitori a pozzetto e le macchine verticali. Cercano insomma di riprodurre l'ambiente di una gelateria artigianale vendendo un gelato che di artigianale ha praticamente nulla”. Ma allora in cosa consiste il valore anche economico delle gelaterie artigianali? Nell'essere uniche e irriproducibili. Ognuna ha le sue caratteristiche e le sue qualità. Rappresentiamo un prodotto di nicchia perché sarebbe impossibile riproporre a livello industriale il risultato di anni di lavoro e di ricerca sul gusto. E il prodotto di nicchia si paga caro perché sai come e di cosa è fatto”. Crème Glacèe, via Gabrielli, 8 - SS.16 - Porto d'Ascoli - San Benedetto del Tronto (AP) - tel. 349.0524031

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EXCLUSI VE A duepassidalcielo

DUBAI IL LUSSO MADE IN MARCHE Con i piedi piantati per terra anzi, nella sabbia di Marco Iaconetti Dubai è sicuramente la città più tecnologica e fantascientifica che abbia mai visto, dove l’ambizione umana, le sue innumerevoli risorse e anche un pizzico di spregiudicatezza hanno creato una città che non ha eguali al mondo. I giudizi non sempre collimano tra loro perché ci sono pareri positivi che la collocano tra le migliori esaltanti visioni architettoniche contemporanee, mentre altri giudizi, sicuramente più prudenti la considerano una vera cattedrale nel deserto di per sé troppo impattante. Tutti, però, sono concordi nel dire che il lusso è uno dei punti cardini su cui ruota l’economia della metropoli. Personalmente ne sono rimasto affascinato a partire dalla innovativa metropolitana di superficie, che coniuga una dinamica forma di conchiglia e che è stata il metronomo del mio viaggio, scandendo con una perfetta precisione i giorni della mia visita e che diveniva spesso un punto di refrigero dall’afa esterna, non sempre sopportabile in piena estate. Dubai è una fabbrica dei sogni, di quelli grandiosi che non si possono realizzare in altri paesi, perché a differenza di nazioni come la nostra ha avuto a disposizione vasti estensioni desertiche dove è stato possibile realizzare edifici ed urbanizzazioni senza mettersi in contrapposizione con centri storici e manufatti di antico pregio architettonico, che nella maggior parte dei casi influenzano nella scelta progettuale gli addetti ai lavori. Sicuramente anche una burocrazia più elastica e più incline al “fare” come si suol dire, e che non bada a distanze o a piccole inezie ha caratterizzato il costruito della città nell’ultimo decennio. In Italia ogni nuova idea diviene motivo di discussione ed oramai con un edificato già consolidato è davvero difficile realizzare nuove opere di elevato pregio, che spesso

partono con notevole difficoltà o accumulano ritardi a causa dell’asfissiante legislazione spesso troppo poco al passo con i tempi e con le normative europee. Anche per la scelta di nuove pavimentazioni nei centri storici o innovazioni tecnologiche rimaniamo impantanati senza mai riuscire a trovare la soluzione, sia perché spesso si scontrano diversi pensieri politici che entrano in collisione tra loro, sia perché il nostro retaggio artistico non ci permette di ammodernarci. Speriamo veramente che l’anno venturo con l’Expo possiamo finalmente mostrare ciò che veramente valiamo invertendo la rotta di questa infinita crisi. A Dubai, invece tutto ciò che ha dell’innovativo, tecnologico e lussuoso, diviene un punto fondamentale della nazione, da mostrare con orgoglio ai sempre più numerosi turisti. Le sfide celebri tra Cina e gli Emirati che si combattono in altezza per mostrare la propria potenza economica, danno la sensazione che la dura battuta d’arresto del 2009 non ha fermato i sogni di grandezza degli sceicchi. Tutti noi abbiamo visto almeno una volta il celebre Burj Kalifha, ex grattacielo più alto del mondo, la famosa Dubai Marina e sopratutto Palm Island che sono il “leit motiv” della città, eppure ciò che ho apprezzato maggiormente durante la mia visita sono state le sue urbanizzazioni. Siamo in pieno deserto, tuttavia si ha la sensazione di essere in un oasi verde tanta è le cospicua presenza di una folta vegetazione ed inoltre i suoi ricchi

camminamenti danno la netta sensazione di toccare con mano quel lusso che precedentemente avevo evidenziato. Adiacente al Burj Kalifha, ricche pavimentazioni dalle diverse sfumature che sembrano ricalcare la maglia “cartesiana” su cui è stata realizzata la città sono forse uniche nel loro genere. Le palme che segnano il passo sono incorniciate a lastricati di colore grigio, alternati a disegni dalle geometriche forme. Ad arricchire però la bellezza dei lussuosi camminamenti arabi c’è tanto di made in Marche, ed infatti il travertino delle cave di Acquasanta Terme va a mettere in luce le potenzialità di questo espressivo materiale proprio nel cuore dei Dubai.


MI STERI Oredisuspenseeallafinelaconfessione

CROP CIRCLES E I BUONTEMPONI DI FERMO Il non mistero dei cerchi nel grano di Altidona di GiovannaMascaretti

Mario G., ancora amareggiato per lo scherzo subìto, ci racconta la mattinata assurda passata nella sua campagna di Altidona. La tazza di caffè a terra e il tintinnio della ceramica, avevano accompagnato il grido dell’agricoltore che aveva terrorizzato l’intera famiglia, facendola affacciare alla finestra a scrutare il campo di grano stravolto come se fosse stato colpito da un tornado. Una semplice forma circolare inspiegabile, di dieci metri per dieci, aveva messo in allarme il signor Mario che si era precipitato nel suo campo per capire cosa fosse accaduto e cercare una spiegazione logica. Gli tornarono in mente programmi televisivi e articoli di giornali che sostenevano la tesi dei famosi crop circles, malgrado le spighe fossero spezzate e non piegate. Il suo stato d’animo cambiava di minuto in minuto e si alternava fra il terrore di incontrare un UFO, magari nascosto fra le spighe, e la voglia di raccontare al mondo intero l'accaduto per potersi presentare su un canale televisivo o diventare ospite di qualche trasmissione. Non si era accorto, il novello Giacobbo, che in qualche modo era già visibile su uno schermo. Esattamente lo schermo del telefonino di un giovane salito su un albero che stava riprendendo la scena a poca distanza da lui. Ma era tanta l'eccitazione che il ragazzo non riuscì a frenarsi e scoppiò in una fragorosa risata. Il contadino pensò che nel campo ci fosse qualcuno, e iniziò a urlare e a invitare l'ospite inatteso a uscire fuori e a presentarsi. Mentre Mario diventava paonazzo tendente al cianotico, il “burlone” che si stava facendo scoprire per le matte risate, scese con un balzo dalla pianta di ulivo e come nei migliori film inciampò, storcendosi la caviglia. Fu a quel punto che con una falce tra le mani, deciso a vendere cara la pelle, il proprietario del terreno capì cosa era accaduto realmente. Niente UFO, nessun fenomeno paranormale, solo un ragazzo di Fermo che con un'altra decina di burloni delle sue parti e di un paio di ragazze di Ascoli Piceno, avevano voluto rappresentare la scena di un libro nella quale si descrivevano appunto i cerchi di grano, con annessa elencazione dell'attrezzatura adatta. Insomma, una pallida imitazione dei crop circles. L'unica fregatura per i buontemponi, fu che nei casi precedenti era stata chiesta l'autorizzazione ai proprietari dei terreni, mentre nel caso di Mario avevano architettato uno scherzo più pesante. Il risultato? La immediata cancellazione del video e mille scuse (accettate).

Cosìdicelaleggenda

LU SCIJÒ, IL PORTATORE DELLA FORMULA MAGICA ANTI ANIME DISPERATE E mentre recitava il suo mantra di parole e bestemmie agitava un coltello e... di Emily Forlini I marinai che sentivano pronunciare il suo nome, si segnavano la fronte e le labbra con il pollice. A disegnare una croce. Un brivido li faceva tremare, pari al freddo incontrastabile della notte in mare aperto. Perché lu Scijò non ha pietà: il suo è castigo e maledizione. E arriva a reclamare pegno o a reclutare nuovi servitori. Il principio erano i venti di ponente e levante. La loro danza e il fronteggiarsi per padroneggiare l’avanzare delle nuvole che si addensavano, ricongiungendosi in un’unica massa oscura. Il mare si faceva livido ed era come se il tempo si fermasse. Allora le paranze rimanevano immobili come sospese sull’acqua prima di essere travolte dal vortice marino. Ma nel terrore e nel sibilare orrendo delle sferzate feroci di aria, la massa iniziava a cambiare forma e, mentre si contorceva contro il cielo plumbeo, partoriva un tentacolo che la ricongiungeva al mare e la faceva scivolare rapida verso le barche. L’occhio dello Scijò fissava quelli di cubia disegnati sulle prue, carico di sfida. Ora che si faceva vicino, ai pescatori appariva una visione spaventosa: dal suo ventre iniziavano a materializzarsi i volti dispe-

rati e sadici delle anime dannate che si dice abbiano subito il torto o l’offesa del marinaio. A reclamare giustizia. Vogliono la barca e risparmiano l’equipaggio. Oppure si prendono tutta la ciurma e restituiscono il legno. O ancora selezionano chi portarsi via e allora i compagni li vedevano sollevarsi in aria come tirati da braccia invisibili, per poi perdersi dentro al muro di corpi aggrovigliati nel veloce turbine che li risucchiava. La sola speranza di ritornare tra le braccia del proprio porto era avere a bordo un tagliatore di Scijò. Primogenito di famiglia marinara, iniziato fin da ragazzino all’arte dello scongiuro, portava con sé il segreto di una formula magica, insegnata dal Diavolo in persona al primo marinaio che solcò l’Adriatico. Da solo fronteggiava la massa di anime disperate. E mentre recitava il suo mantra di parole e bestemmie, sempre mantenendo il corpo chino per non farsi irretire dai fantasmi, agitava un coltello e tagliava più volte il cono diabolico. I corpi si piegavano come mutilati del loro sostegno e precipitavano, mentre la massa si dissolveva riassorbendosi alle altre nuvole. E la barca era salva. Ma secondo i marinai, al mare che pretende giustizia non piace essere beffato, perché la sua è legge inesorabile come quella divina. Dunque il tagliatore era un sacrilego che sfidava la volontà delle acque. A ogni scongiuro le anime gli tendevano una trappola, cercavano di distrarlo per legargli le mani e impedirgli di spezzare il loro turbinare. Mai si sarebbe dovuto sporcare le mani di sangue umano. O l’anima del malcapitato, subito reclutato dallo Scijò, lo avrebbe perseguitato fino al giorno in cui, preso alla sprovvista, il tagliatore non sarebbe riuscito a pronunciare la formula. E il mare si sarebbe ripreso ciò che gli era stato tolto. Così narra la leggenda de Lu Scijò.


SALA DI ROCCAFLUVIONE

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WORLD A windowoverlookinginfinity

THE BEAUTIFUL RIPATRANSONE AND ITS TEN MUSEUMS Oil, wine, art, culture and the green ray of love poems

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by Rosita Spinozzi An ancient and wonderful town made even more magical by the passage of time, like a true gentleman, it seems to bow to the timeless beauty of the capital, located on a high hill at 494 meters above the level of the Adriatic Sea. This is the feeling that pervades anyone who has visited Ripatransone, one of the largest municipalities in the Province of Ascoli Piceno (74.1 6 km²), which offers a panoramic view that is so extensive and spectacular that it makes the heart beat faster, until one becomes aware of what it means to have a 'window' that directly overlooks infinity, where during the day the sky plays with the sun and on other days plays with the clouds, while the night lets the big silver disc of the moon triumph over all. Defined with full merits by the nickname of Belvedere of Piceno, the City of Ripatransone carries with pride the municipal coat of arms - a lion with a gold lily in the front right paw, placed on five hills that represent the five traditional heights of the city: Belvedere, Monte Antico, Capodimonte, Roflano, Agello - originating from a glorious history rich in tradition, culture, tourism, excellence, productive activities that admirably come together, a bridge between the past, present and future. The basic structure of Ripatransone is medieval, as evidenced by the numerous remains of the ancient fortifications, and the air one breathes is unique not only for the climate typical of the Mediterranean, in this case permeated by the altitude, but also for the cultural humus, traces of which are immediately visible when from Corso Vittorio Emanuele, coasted with stately buildings of different ages, we walk into the historic center and Piazza XX Settembre that encloses architectural treasures of great value. Starting from the thirteenth century Town Hall, which has been rebuilt several times between the sixteenth and nineteenth centuries, with its ashlar stone portal surmounted by the coat of arms of the Municipality, two emblems with epigraphic memories and a sundial. The beautiful historic theater 'Luigi Mercantini' emblem of the Renaissance fervor of Ripatransone and symbol of communal tradition, which again opened its doors to the city in April 201 2, after being closed for three years in order to make it accessible through a series of restoration jobs and engineering improvements. The pulsing heart of the city, the Mercantini is one of the most important theaters of the Marche dating back to the early decades of the nineteenth century, and obtained from spaces of the fourteenth century Palazzo del Podesta, monumental building complex that dates back to the Middle Ages with a large porch with seven arches, and an open gallery above the original floor laying. The whole is completed by the civil tower, two wings of the nineteenth century, and tombstones with busts carved in memory of two illustrious citizens of Ripatransone: the patriot and scholar Louis Mercantini, author of the famous Renaissance poem 'The gleaner of Sapri', whose original manuscript (1 857) 'returned home' after being purchased by the Bank of Ripatransone at the London auction house of Bloomsbury, which has an office in Rome, beating the 'competition' of the City of Sapri; and the educator Emidio Consorti, founder in 1 889 of the 'School of Educational Manual Work', the first in Italy, who was awarded coveted acknowledgments by higher education authorities, including the visit in 1 894 of the Minister of Education Guido Baccelli. Among the major attractions of Ripatransone is the narrowest alley in Italy (43 cm which then narrows at the top to 38 cm), an urban curiosity which attracts the attention of many visitors to whom the Tourist Office issues a 'certificate' that certifies the crossing. Located between the small streets of the Roflano neighborhood, near Piazza XX Settembre, last year the alley was named after Professor Antonio Giannetti (1 939-201 4), with the inclusion of a plaque to commemorate the extraordinary man who in 1 968 'identified, studied and valorized it, identifying the role it plays in the particular urban plan of the City'. This further act of esteem and affection for the polyhedral Professor Giannetti, historian, researcher and owner in recent years of the IAT Tourist Office and curator of the Civic Museums, was carried out in connection with the celebration of the Easter Octave, an event brings many tourists to Ripatransone both to venerate the ancient Madonna of St. John, the patron saint of the diocese,


and out of curiosity to witness the impressive rite of the Fire Horse, recognized in 201 1 as 'Italian Traditional Heritage'. Worthy of note are the Cathedral Basilica, built from 1 597 to 1 623 and dedicated to St. Gregory the Great and St. Margaret, as well as the main church of the Picenian town and historically of the entire diocese; the beautiful square in which stands the Monument to the Fallen of the First World War, that leads to the 'ab antique' the name of the heroine of Ripatransone Donna Bianca De Tharolis; the charming outdoor Teatro delle Fonti which during the summer hosts performances of all kinds, and the opera as part of Rolf-Ripatransone Leonis Opera Festival; the antique goldsmith Stasierowski in Piazza Matteotti, since 1 950 an integral part of the old town; the Quercus Park, the first forest acrobatic path of the Marches Riviera located inside an oak forest known as 'La Selva dei Frati’; Area of the Hill of St. Nicholas with the beneficial effects of its special air permeated by the influence of the pines. But the real feature of Ripatransone lies in the fact that the Picenian town, with its ten museums which house over 1 2,000 'pieces' (Museum of Wooden Sculptures Ines Cataldi, Gypsotheque Art Gallery 'Uno Gera', the Barbie Museum of Rosella Iobbi, Archaeological Museum, Historical-Ethnographic Museum, Bishops Museum of Sacred Art, Museum of Rural and Artisan Civilization, Museum of the Last Judgment by Sergio Tapia Radic, Museum of Garibaldi Tradition, and the Museum of the Potter temporarily closed after the death of Innocenzo Peci), boasts the highest concentration of museums of Italy in relation to its population of about 5,000 inhabitants. As for the quality of the territory, the Mayor Remo Bruni proudly points out that, since 1 9 July 2002 an Organg Flag waves over Ripanian land, certification of the Touring Club inherent the environmental tourist quality of a town whose economy is based on agriculture (Ripatransone is an Oil City, Wine City, and boasts numerous wineries: among which the Cantina Colli Ripani, the largest wine company in the Marche which, with over 350 members, gives prestige to the territory through its intense activity started in 1 977); the industrial sector (the municipality belongs to one of the centers of the furniture industry in the Marches), the tourism sector (in addition to its many attractions, the Belvedere of Piceno is a few kilometers from the seaside towns of Grottammare and Cupra Marittima). It is no coincidence that famous people like the Olympic champion Yuri Chechi, the actor and comedian Enzo Iacchetti, New Zealand singer Raewyn Blade have invested in the Riparian territory, where they reside at certain times of the year. But Ripatransone is also a breeding ground of curiosity, starting with atmospheric phenomenon of the 'green flash' visible to the naked eye in the summer, especially in average height Adriatic areas with the horizon over the Sibillini mountains when the sun, disappearing at sunset, creates a thin ray of light that originates and stops within seconds. Also of noteworthy is the ironic legend of 'The Devil and the Wind' which, besides having inspired the eponymous cd of the Riparian musician Vincenzo Travaglini, reveals why in Piazza XX Settembre is a particular point where the wind never stops blowing, spreading down to the two adjacent squares and the historic center. Legend has it that here is where the Wind met the Devil and offered to go and drink a glass of wine together. But the Devil had a matter to attend to in the Town Hall, therefore he asked the Wind to wait for him. And the wind is still waiting for him, in vain, because the Devil found himself so well at the Palazzo that he no longer moved from there. Legends aside, Ripatransone also boasts a solid musical reality that has as its greatest exponent in Count Luciano Neroni (1 909-1 951 ), famous Riparian bass opera singer to whose memory is entitled the biennial 'International Singing Competition'. Neroni, who with his wonderful voice made the name of the town fly high throughout the world, is also the father of the illustrious Brunnhilde Neroni, writer and poet known internationally for having translated into Italian 1 8 books of poetry and various writings of the great Indian poet Tagore, and awarded in May 2008 the Wheel of India, the highest Indian honor for cultural merits, assigned to her as a messenger of Oriental culture in the West. Other musical realities of great importance is the choral association 'Madonna di San Giovanni' conducted by Nazzareno Fanesi and chaired by Franca Basso, the 'City of Ripatransone' Band Corps conducted by Roberto Vespasiani. Two authentic jewels that, in addition to organizing events of great cultural value including the International Choir Festival 'Belvedere of Piceno' and the Youth Wind Orchestra, take part in all the solemn moments of city life. Praise also goes to the Associazione Musicale Marche directed by Clementina Perozzi, which each year brings great music in Riparian corners, views and structures of striking beauty; and the intense activity of the Rolf Musical Association that with the commitment of the baritone Ettore Nova and mezzo-soprano Amber Vespasiani, has made city a center of attraction for music lovers.

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Marche region and in Piceno area in particular. We need a stamp, a logo, a mark that finally certifies its originality and a valid protocol for everyone that attests to the boundaries of production. The fact that it is still considered a food rather than a wine to all effects is not a minor issue, but not even a major issue. Eventually quality always wins. The Laura Frattini Agricultural Holding, is located in Contrada Canali, N° 33, Ripatransone. Telephone 0735 971 04 and 328 2732083. The authorized point of sale is at the Bar Restaurant “Dalla Padella alla Brace”, Via Turati 1 07, in San Benedetto del Tronto, tel. 0735 751 277. On the coupons page of this issue of Life Marche, there is a coupon to purchase Centurione with a 1 0% discount.

A nectarformenhoversintheMarcheRegion

STORY OF “CENTURIONE”

The cooked wine that helped Julius Caesar conquer Gaul is now available in 50 cc bottles of pure enjoyment by Massimo Consorti It is said that from 58 to 51 /50 BC, Julius Caesar achieved one of the greatest conquests of the Roman Empire, that of Gaul. It took eight years for this leader, who cast the dice on the Rubicon, to come to terms with one of the most violent and daring events in human history. Some will say “yes, okay, but what has Julius Caesar got to do with cooked wine”? Because not many know that among the Romans (and even before the Greeks) cooked wine was held in high esteem for its many qualities, and not only those related to the taste. In those days wine already existed, only that the method of manufacture it was, shall we say, a bit rough. Wine was not the nectar of the gods because it was a bitter, sour, almost disgusting drink, so much so that the Romans were accustomed to seasoning it with spices and honey. And that they used to sweeten wine that was almost vinegar, is basically demonstrated by the analysis of that found in the amphorae of Roman galleys sunk in the Mediterranean Sea. But not cooked wine. That was the real nectar. In no time, this aromatic and harmonious wine became the favorite drink at banquets given by patricians, nobles and senators but also of the centurions who, as narrated by the story of that time, drew energy and vigor from daily use of cooked wine. Together with the gladiators, centurions sprinkled their body with the amber liquid that, unbelievable, apparently served to invigorate the muscles and make them ready for any fight. Over time, our grandparents used cooked wine considering it a panacea, a kind of medicine for virtually everything from headaches to toothache, from stomach aches to “help” for great bed performance. Our grandmother, who was not a drunken, used cooked wine for her frequent headaches. Only that they were so frequent that you could never tell when her head really ached or when it was her palate that wanted to taste that wine that would go down very easily and just as easily came back to numb limbs and clouded brain. Cooked wine was prepared by almost all rural families who would boil the grapes that fell from the branches or those that were not used for normal wine. The waste, in short, was recycled to prepare cooked wine, so sweet that it did not need special care. Since it could not be cataloged as any kind of existing wine, Italian legislature thought

well to establish a protocol to safeguard the quality, origin, composition, method of manufacture. Therefore cooked wine could not simply be marketed as just any wine nor could the labels certify the origin and quality. The fact that all winemakers produce it and sell it (at a high cost) to friends and friends of friends without incurring legal sanctions, is an entirely Italian matter, a way of doing things that sums up the concept of carelessness to the bitter end. Then, by chance, we happen to come across a cellar that makes cooked wine following all the rules that a typically Piceno product must observe not only to be marketed, but produced, aged and bottled in a workmanlike manner. And since there are no regulations, nor someone able to give correct and concrete information in this regard, the farm of Laura Frattini, born in Milan and transferred to the Marche Region with a passion for organic farming, began a search that led her, after a period of logical discussions with the Local Health Authorities, to producing the first bottled organic cooked wine for sale everywhere. The result was achieved thanks to a series of certifications that the farm requested and obtained from the Local Health Authorities, after a series of absurd demands that would not protect either traditional production nor the characteristics of a wine, that needs to age in wooden barrels and not in steel or concrete, and which must boil in copper containers with a wood burning fire and not gas. Having secured the necessary hygiene permits (including a detailed analysis which excluded the presence in the cooked wine of copper, lead and all the minerals that boiling releases), a production was started which, as opposed to the classical productions of the Ascoli area (only white grapes) and the Piceno area (only black grapes), contemplates a blend of grapes from the vines of Montepulciano, Sangiovese, Pecorino and Passerina. The end result, after at least 1 8 months of aging, is the “Centurione”, a 50 cc bottle, which owes its name to the passion that one of Laura Frattini’s sons has for history. Drinking Centurione is a pleasure. Not too sweet and with a hint of bitterness that emerges from a bouquet of flavors like poppies from a bunch of wildflowers, the cooked wine set before us in a tasting glass tells of vineyards and fertile land, of sunshine and a sea breeze that blows just a few kilometers away. The strictly organic cultivation and process (including the absence of sulfites), are witnessed by the lot number written in pen on the back label, and you can tell that this is truly nectar by the total absence of undesirable side effects. The next goal of cooked wine enthusiasts, will be that of obtaining recognition of the origin of the product, of the unbreakable bond with the territory which will mark the final quality. Cooked wine is a typical fruit of agriculture in the

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PAGI N A 29 MACCHERONCINI DI CAMPOFILONE ... allecapesante, pomodorini epestodibasilico

Ingredienti per 4 P: 300 gr polpa di capesante, 200 gr pomodorini pachino, 1 mazzetto di basilico fresco, 250 gr maccheroncini di ALDO, 1 aglio, 1 scalogno, 1 costa di sedano, 1 bicchiere vino bianco, sale e pepe qb, olio evo. Tagliate a pezzetti le capesante, tritate finemente lo scalogno, sedano e aglio e fate rosolare in pentola con dell'olio. Aggiungete le capesante e dopo qualche minuto bagnate con il vino bianco, fate evaporare ed unite i pomodorini tagliati a pezzetti. Cuocete per alcuni minuti, salate e togliete dal fuoco. Pulite e lavate il basilico, asciugate ed emulsionate con l'olio ottenendo un pesto leggero. Lessate i maccheroncini in abbondante acqua facendo attenzione a non girarli spesso, scolate e condite con la salsa ottenuta decorando con il pesto di basilico. Sandwich Time è un self-service che ha in sé tutti gli elementi del Ristorante moderno: qualità, servizio, pulizia, ambiente. Fra le sue tante proposte, nuovi arrivati sono il “Menù Light” con cibi dalle calorie “calibrate” seguiti da un esperto nutrizionista ed il “Menù Bio” composto da contorni e frutta freschi provenienti tutti i giorni da fattorie rigorosamente Bio. Ampia ed eccellente la cantina che presenta tante etichette del Territorio Marchigiano

RISOTTO AI PORCINI ... ezafferano

a cura del Ristorante Capolinea Ingredienti per una porzione 80 g di riso (paraboil) 1 bustina di zafferano 20 g di porcini (già cotti) 1 00 ml di panna 20 g di burro 20 g di parmigiano. Mettere in una padella il riso, 200 ml di acqua calda, i porcini, un pizzico di sale e far cuocere per 1 5 minuti, aggiungere la panna e una bustina di zafferano. Mantecare con burro e parmigiano e servire nel piatto con del prezzemolo.


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Eluceanlestelle

L'INFLUSSO DEI PIANETI NELLA NOSTRA VITA di Stefania Marinelli Tra la fine di un anno e l’inizio di quello successivo moltissime persone rivolgono la propria attenzione all’astrologia, anche quelle che normalmente considerano oroscopi e previsioni una pura barzelletta (a volte anche a ragione). È un riflesso incondizionato dell’inconscio umano pensare che in un momento di chiusura temporale qual è la fine di un anno, ci sia qualche forza sconosciuta e incontrollabile che possa guidare, direzionare, illuminare la strada verso il futuro, con la pretesa da parte dell’Uomo che quel futuro sia assolutamente radioso, positivo, meraviglioso, nonostante le sue attuali condizioni di vita non siano esattamente rosee. Anzi, proprio perché non lo sono, l’Uomo tende a vedere nel futuro un momento di riscatto da un presente insoddisfacente. Così ci si affanna a leggere quante più previsioni possibili, per guadagnarsi un momento di speranza. Ebbene, l’Astrologia, quella vera, quella con la A maiuscola, è ben altro che questo. Questo tipo di Astrologia vuole aiutare l’Uomo a mettere se stesso al centro, a prendersi la responsabilità delle proprie scelte e delle ovvie conseguenze. Questo tipo di Astrologia insegna a vedere il futuro come una costruzione precisa, curata e attenta di una strada che parte dal trovare appagamento e soddisfazione nel presente in cui si vive. E i transiti planetari sono finestre di opportunità che ci si aprono davanti per permetterci di vivere una data esperienza. Così la vita non è più l’aspettativa del domani, ma è un progetto dinamico, frutto di un’attenta auto-osservazione, ancorata a una visione pragmatica che viene nutrita da un’alta ispirazione creativa. In questa ottica, ogni pianeta, nel suo movimento orbitale intorno al Sole, crea un modello geometrico interattivo, che si propaga nell’etere e giunge fino a noi, dove crea un’onda di forma che noi assorbiamo attraverso il respiro. Conoscendo qual è il significato di quel dato pianeta e del segno che occupa, noi lo possiamo rapportare nel nostro disegno individuale, il nostro tema natale, e comprendere quale sia la finestra di opportunità che si sta aprendo per noi in quel momento. Un assaggio di questo lo abbiamo avuto lo scorso 24 dicembre 201 4, quando Saturno, uno dei pianeti lenti del nostro sistema solare, ha cambiato segno dopo 2 anni e 2 mesi di permanenza nello Scorpione, segno d’Acqua legato all’inconscio. È passato ora nel segno del Sagittario, dell’elemento Fuoco, entusiasta e propositivo. Questa nuova combinazione di Saturno, considerato Maestro importante per la crescita evolutiva di un essere umano, nel segno intraprendente del Sagittario, ci riporta dal buio alla luce, crea chiarezza, dona una forte dose di intuitività e ripristina l’autostima. Consolida le posizioni precedentemente acquisite e ci permette di vedere bene come muovere passi decisivi per la nostra attuale esistenza. Tutto questo può essere rapportato alla nostra vita quotidiana attraverso l’analisi del proprio tema natale, che è la fotografia del cielo al momento della nascita. Una consulenza astrologica è un metodo di auto-conoscenza profondo e preciso, per comprendere come usare al meglio i talenti di cui disponiamo, per arrivare ad un grado di serenità interiore che ci faccia sentire realizzati ed appagati di ciò che abbiamo in modo naturale e spontaneo, perché la vita sia facile, senza troppe complicazioni spesso create da noi stessi e dai giochi illusori della mente. Se siete curiosi su quali siano i vostri talenti e come utilizzarli al meglio, potete contattarmi su astrostefania@gmail.com per un appuntamento in studio o un’analisi scritta del vostro tema natale.


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