Bollettino diocesano 2013

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DIOCESI DI TEGGIANO---POLICASTRO -

BOLLETTINO DIOCESANO Organo ufficiale per gli atti del Vescovo e della Curia

Gennaio-Dicembre 2013



PAPA



BENEDETTO XVI



MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA CELEBRAZIONE DELLA XLVI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 1 gennaio 2013 Beati gli operatori di pace 1. Ogni anno nuovo porta con sé l'attesa di un mondo migliore. In tale prospettiva, prego Dio, Padre dell'umanità, di concederci la concordia e la pace, perché possano compiersi per tutti le aspirazioni di una vita felice e prospera. A 50 anni dall'inizio del Concilio Vaticano II, che ha consentito di rafforzare la missione della Chiesa nel mondo, rincuora constatare che i cristiani, quale Popolo di Dio in comunione con Lui e in cammino tra gli uomini, si impegnano nella storia condividendo gioie e speranze, tristezze ed angosce [1], annunciando la salvezza di Cristo e promuovendo la pace per tutti. In effetti, i nostri tempi, contrassegnati dalla globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato e corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l'uomo. Allarmano i focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualista espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra gli uomini. E tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l'innata vocazione dell'umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata. In altri termini, il desiderio di pace corrisponde ad un principio morale fondamentale, ossia, al dovere-diritto di uno sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa 7


parte del disegno di Dio sull'uomo. L'uomo è fatto per la pace che è dono di Dio. Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alle parole di Gesù Cristo: « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5,9). La beatitudine evangelica 2. Le beatitudini, proclamate da Gesù (cfr Mt 5,3-12 e Lc 6,20-23), sono promesse. Nella tradizione biblica, infatti, quello della beatitudine è un genere letterario che porta sempre con sé una buona notizia, ossia un vangelo, che culmina in una promessa. Quindi, le beatitudini non sono solo raccomandazioni morali, la cui osservanza prevede a tempo debito – tempo situato di solito nell'altra vita – una ricompensa, ossia una situazione di futura felicità. La beatitudine consiste, piuttosto, nell'adempimento di una promessa rivolta a tutti coloro che si lasciano guidare dalle esigenze della verità, della giustizia e dell'amore. Coloro che si affidano a Dio e alle sue promesse appaiono spesso agli occhi del mondo ingenui o lontani dalla realtà. Ebbene, Gesù dichiara ad essi che non solo nell'altra vita, ma già in questa scopriranno di essere fi gli di Dio, e che da sempre e per sempre Dio è del tutto solidale con loro. Comprenderanno che non sono soli, perché Egli è dalla parte di coloro che s'impegnano per la verità, la giustizia e l'amore. Gesù, rivelazione dell'amore del Padre, non esita ad offrirsi nel sacrificio di se stesso. Quando si accoglie Gesù Cristo, Uomo-Dio, si vive l'esperienza gioiosa di un dono immenso: la condivisione della vita stessa di Dio, cioè la vita della grazia, pegno di un'esistenza pienamente beata. Gesù Cristo, in particolare, ci dona la pace vera che nasce dall'incontro fiducioso dell'uomo con Dio. La beatitudine di Gesù dice che la pace è dono messianico e opera umana ad un tempo. In effetti, la pace presuppone un umanesimo aperto alla trascendenza. È frutto del dono reciproco, di un mutuo arricchimento, grazie al dono che scaturisce da Dio e permette di vivere con gli altri e per gli altri. L'etica della pace è etica della comunione e della condivisione. È indispensabile, allora, che le varie culture odierne superino antropologie ed etiche basate su assunti teorico-pratici meramente soggettivistici e pragmatici, in forza dei quali i rapporti della convivenza vengono ispirati a criteri di potere o di profitto, i mezzi diventano fini e viceversa, la cultura e l'educazione sono centrate soltanto sugli strumenti, sulla tecnica e

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sull'efficienza. Precondizione della pace è lo smantellamento della dittatura del relativismo e dell'assunto di una morale totalmente autonoma, che preclude il riconoscimento dell'imprescindibile legge morale naturale scritta da Dio nella coscienza di ogni uomo. La pace è costruzione della convivenza in termini razionali e morali, poggiando su un fondamento la cui misura non è creata dall'uomo, bensì da Dio. « Il Signore darà potenza al suo popolo, benedirà il suo popolo con la pace », ricorda il Salmo 29 (v. 11). La pace: dono di Dio e opera dell'uomo 3. La pace concerne l'integrità della persona umana ed implica il coinvolgimento di tutto l'uomo. È pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontà. È pace interiore con se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con tutto il creato. Comporta principalmente, come scrisse il beato Giovanni XXIII nell'Enciclica Pacem in terris, di cui tra pochi mesi ricorrerà il cinquantesimo anniversario, la costruzione di una convivenza fondata sulla verità, sulla libertà, sull'amore e sulla giustizia [2]. La negazione di ciò che costituisce la vera natura dell'essere umano, nelle sue dimensioni essenziali, nella sua intrinseca capacità di conoscere il vero e il bene e, in ultima analisi, Dio stesso, mette a repentaglio la costruzione della pace. Senza la verità sull'uomo, iscritta dal Creatore nel suo cuore, la libertà e l'amore sviliscono, la giustizia perde il fondamento del suo esercizio. Per diventare autentici operatori di pace sono fondamentali l'attenzione alla dimensione trascendente e il colloquio costante con Dio, Padre misericordioso, mediante il quale si implora la redenzione conquistataci dal suo Figlio Unigenito. Così l'uomo può vincere quel germe di oscuramento e di negazione della pace che è il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste. La realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un'unica famiglia umana. Essa si struttura, come ha insegnato l'Enciclica Pacem in terris, mediante relazioni interpersonali ed istituzioni sorrette ed animate da un « noi » comunitario, implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove si riconoscono sinceramente, secondo verità e giustizia, i reciproci diritti e i vicendevoli doveri. La pace è ordine vivificato ed integrato dall'amore, così da sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei propri beni e rendere sempre

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più diffusa nel mondo la comunione dei valori spirituali. È ordine realizzato nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di persone, che per la loro stessa natura razionale, assumono la responsabilità del proprio operare [3]. La pace non è un sogno, non è un'utopia: è possibile. I nostri occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all'edificazione di un mondo nuovo. Infatti, Dio stesso, mediante l'incarnazione del Figlio e la redenzione da Lui operata, è entrato nella storia facendo sorgere una nuova creazione e una nuova alleanza tra Dio e l'uomo (cfr Ger 31,31-34), dandoci la possibilità di avere « un cuore nuovo » e « uno spirito nuovo » (cfr Ez 36,26). Proprio per questo, la Chiesa è convinta che vi sia l'urgenza di un nuovo annuncio di Gesù Cristo, primo e principale fattore dello sviluppo integrale dei popoli e anche della pace. Gesù, infatti, è la nostra pace, la nostra giustizia, la nostra riconciliazione (cfr Ef 2,14; 2 Cor 5,18). L'operatore di pace, secondo la beatitudine di Gesù, è colui che ricerca il bene dell'altro, il bene pieno dell'anima e del corpo, oggi e domani. Da questo insegnamento si può evincere che ogni persona e ogni comunità – religiosa, civile, educativa e culturale –, è chiamata ad operare la pace. La pace è principalmente realizzazione del bene comune delle varie società, primarie ed intermedie, nazionali, internazionali e in quella mondiale. Proprio per questo si può ritenere che le vie di attuazione del bene comune siano anche le vie da percorrere per ottenere la pace. Operatori di pace sono coloro che amano, difendono e promuovono la vita nella sua integralità 4. Via di realizzazione del bene comune e della pace è anzitutto il rispetto per la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Veri operatori di pace sono, allora, coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente. La vita in pienezza è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita. Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell'aborto, for-

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se non si rendono conto che in tal modo propongono l'inseguimento di una pace illusoria. La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l'uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell'ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri? Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all'ambiente. Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell'essere umano e sull'abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all'aborto e all'eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita. Anche la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale. Questi principi non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del diritto alla libertà religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l'umanità. L'azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi, perché ciò costituisce un'offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace. Perciò, è anche un'importante cooperazione alla pace che gli ordinamenti giuridici e l'amministrazione della giustizia riconoscano il diritto all'uso del principio dell'obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l'aborto e l'eutanasia. Tra i diritti umani basilari, anche per la vita pacifica dei popoli, vi è quello dei singoli e delle comunità alla libertà religiosa. In questo momento storico, diventa sempre più importante che tale diritto sia promosso non solo dal punto di vista negativo, come libertà da – ad esempio, da obblighi e costrizioni circa la libertà di scegliere la propria religione –, ma anche dal

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punto di vista positivo, nelle sue varie articolazioni, come libertà di: ad esempio, di testimoniare la propria religione, di annunciare e comunicare il suo insegnamento; di compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza che permettono di applicare i precetti religiosi; di esistere e agire come organismi sociali, strutturati secondo i principi dottrinali e i fini istituzionali che sono loro propri. Purtroppo, anche in Paesi di antica tradizione cristiana si stanno moltiplicando gli episodi di intolleranza religiosa, specie nei confronti del cristianesimo e di coloro che semplicemente indossano i segni identitari della propria religione. L'operatore di pace deve anche tener presente che, presso porzioni crescenti dell'opinione pubblica, le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia insinuano il convincimento che la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo dell'erosione della funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali. Ora, va considerato che questi diritti e doveri sono fondamentali per la piena realizzazione di altri, a cominciare da quelli civili e politici. Tra i diritti e i doveri sociali oggi maggiormente minacciati vi è il diritto al lavoro. Ciò è dovuto al fatto che sempre più il lavoro e il giusto riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non vengono adeguatamente valorizzati, perché lo sviluppo economico dipenderebbe soprattutto dalla piena libertà dei mercati. Il lavoro viene considerato così una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari. A tale proposito, ribadisco che la dignità dell'uomo, nonché le ragioni economiche, sociali e politiche, esigono che si continui «a perseguire quale priorità l'obiettivo dell'accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti» [4]. In vista della realizzazione di questo ambizioso obiettivo è precondizione una rinnovata considerazione del lavoro, basata su principi etici e valori spirituali, che ne irrobustisca la concezione come bene fondamentale per la persona, la famiglia, la società.Aun tale bene corrispondono un dovere e un diritto che esigono coraggiose e nuove politiche del lavoro per tutti. Costruire il bene della pace mediante un nuovo modello di sviluppo e di economia. 5. Da più parti viene riconosciuto che oggi è necessario un nuovo modello di sviluppo, come anche un nuovo sguardo sull'economia. Sia uno svi-

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luppo integrale, solidale e sostenibile, sia il bene comune esigono una corretta scala di beni-valori, che è possibile strutturare avendo Dio come riferimento ultimo. Non è sufficiente avere a disposizione molti mezzi e molte opportunità di scelta, pur apprezzabili. Tanto i molteplici beni funzionali allo sviluppo, quanto le opportunità di scelta devono essere usati secondo la prospettiva di una vita buona, di una condotta retta che riconosca il primato della dimensione spirituale e l'appello alla realizzazione del bene comune. In caso contrario, essi perdono la loro giusta valenza, finendo per assurgere a nuovi idoli. Per uscire dall'attuale crisi finanziaria ed economica – che ha per effetto una crescita delle disuguaglianze – sono necessarie persone, gruppi, istituzioni che promuovano la vita favorendo la creatività umana per trarre, perfino dalla crisi, un'occasione di discernimento e di un nuovo modello economico. Quello prevalso negli ultimi decenni postulava la ricerca della massimizzazione del profitto e del consumo, in un'ottica individualistica ed egoistica, intesa a valutare le persone solo per la loro capacità di rispondere alle esigenze della competitività. In un'altra prospettiva, invece, il vero e duraturo successo lo si ottiene con il dono di sé, delle proprie capacità intellettuali, della propria intraprendenza, poiché lo sviluppo economico vivibile, cioè autenticamente umano, ha bisogno del principio di gratuità come espressione di fraternità e della logica del dono [5]. Concretamente, nell'attività economica l'operatore di pace si configura come colui che instaura con i collaboratori e i colleghi, con i committenti e gli utenti, rapporti di lealtà e di reciprocità. Egli esercita l'attività economica per il bene comune, vive il suo impegno come qualcosa che va al di là del proprio interesse, a beneficio delle generazioni presenti e future. Si trova così a lavorare non solo per sé, ma anche per dare agli altri un futuro e un lavoro dignitoso. Nell'ambito economico, sono richieste, specialmente da parte degli Stati, politiche di sviluppo industriale ed agricolo che abbiano cura del progresso sociale e dell'universalizzazione di uno Stato di diritto e democratico. È poi fondamentale ed imprescindibile la strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali; essi vanno stabilizzati e maggiormente coordinati e controllati, in modo da non arrecare danno ai più poveri. La sollecitudine dei molteplici operatori di pace deve inoltre volgersi – con maggior risolutezza rispetto a quanto si è fatto sino ad oggi – a considerare la crisi alimentare, ben più grave di quella finanziaria. Il te-

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ma della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari è tornato ad essere centrale nell'agenda politica internazionale, a causa di crisi connesse, tra l'altro, alle oscillazioni repentine dei prezzi delle materie prime agricole, a comportamenti irresponsabili da parte di taluni operatori economici e a un insufficiente controllo da parte dei Governi e della Comunità internazionale. Per fronteggiare tale crisi, gli operatori di pace sono chiamati a operare insieme in spirito di solidarietà, dal livello locale a quello internazionale, con l'obiettivo di mettere gli agricoltori, in particolare nelle piccole realtà rurali, in condizione di poter svolgere la loro attività in modo dignitoso e sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale ed economico. Educazione per una cultura di pace: il ruolo della famiglia e delle istituzioni 6. Desidero ribadire con forza che i molteplici operatori di pace sono chiamati a coltivare la passione per il bene comune della famiglia e per la giustizia sociale, nonché l'impegno di una valida educazione sociale. Nessuno può ignorare o sottovalutare il ruolo decisivo della famiglia, cellula base della società dal punto di vista demografico, etico, pedagogico, economico e politico. Essa ha una naturale vocazione a promuovere la vita: accompagna le persone nella loro crescita e le sollecita al mutuo potenziamento mediante la cura vicendevole. In specie, la famiglia cristiana reca in sé il germinale progetto dell'educazione delle persone secondo la misura dell'amore divino. La famiglia è uno dei soggetti sociali indispensabili nella realizzazione di una cultura della pace. Bisogna tutelare il diritto dei genitori e il loro ruolo primario nell'educazione dei figli, in primo luogo nell'ambito morale e religioso. Nella famiglia nascono e crescono gli operatori di pace, i futuri promotori di una cultura della vita e dell'amore [6]. In questo immenso compito di educazione alla pace sono coinvolte in particolare le comunità religiose. La Chiesa si sente partecipe di una così grande responsabilità attraverso la nuova evangelizzazione, che ha come suoi cardini la conversione alla verità e all'amore di Cristo e, di conseguenza, la rinascita spirituale e morale delle persone e delle società. L'incontro con Gesù Cristo plasma gli operatori di pace impegnandoli alla comunione e al superamento dell'ingiustizia. Una missione speciale nei confronti della pace è ricoperta dalle istituzio-

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ni culturali, scolastiche ed universitarie. Da queste è richiesto un notevole contributo non solo alla formazione di nuove generazioni di leader, ma anche al rinnovamento delle istituzioni pubbliche, nazionali e internazionali. Esse possono anche contribuire ad una riflessione scientifica che radichi le attività economiche e finanziarie in un solido fondamento antropologico ed etico. Il mondo attuale, in particolare quello politico, necessita del supporto di un nuovo pensiero, di una nuova sintesi culturale, per superare tecnicismi ed armonizzare le molteplici tendenze politiche in vista del bene comune. Esso, considerato come insieme di relazioni interpersonali ed istituzionali positive, a servizio della crescita integrale degli individui e dei gruppi, è alla base di ogni vera educazione alla pace. Una pedagogia dell'operatore di pace 7. Emerge, in conclusione, la necessità di proporre e promuovere una pedagogia della pace. Essa richiede una ricca vita interiore, chiari e validi riferimenti morali, atteggiamenti e stili di vita appropriati. Difatti, le opere di pace concorrono a realizzare il bene comune e creano l'interesse per la pace, educando ad essa. Pensieri, parole e gesti di pace creano una mentalità e una cultura della pace, un'atmosfera di rispetto, di onestà e di cordialità. Bisogna, allora, insegnare agli uomini ad amarsi e a educarsi alla pace, e a vivere con benevolenza, più che con semplice tolleranza. Incoraggiamento fondamentale è quello di « dire no alla vendetta, di riconoscere i propri torti, di accettare le scuse senza cercarle, e infine di perdonare » [7], in modo che gli sbagli e le offese possano essere riconosciuti in verità per avanzare insieme verso la riconciliazione. Ciò richiede il diffondersi di una pedagogia del perdono. Il male, infatti, si vince col bene, e la giustizia va ricercata imitando Dio Padre che ama tutti i suoi fi gli (cfr Mt 5,21-48). È un lavoro lento, perché suppone un'evoluzione spirituale, un'educazione ai valori più alti, una visione nuova della storia umana. Occorre rinunciare alla falsa pace che promettono gli idoli di questo mondo e ai pericoli che la accompagnano, a quella falsa pace che rende le coscienze sempre più insensibili, che porta verso il ripiegamento su se stessi, verso un'esistenza atrofizzata vissuta nell'indifferenza. Al contrario, la pedagogia della pace implica azione, compassione, solidarietà, coraggio e perseveranza. Gesù incarna l'insieme di questi atteggiamenti nella sua esistenza, fi no al dono totale di sé, fino a «perdere la vita» (cfr Mt 10,39; Lc 17,33; Gv

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12,25). Egli promette ai suoi discepoli che, prima o poi, faranno la straordinaria scoperta di cui abbiamo parlato inizialmente, e cioè che nel mondo c'è Dio, il Dio di Gesù, pienamente solidale con gli uomini. In questo contesto, vorrei ricordare la preghiera con cui si chiede a Dio di renderci strumenti della sua pace, per portare il suo amore ove è odio, il suo perdono ove è offesa, la vera fede ove è dubbio. Da parte nostra, insieme al beato Giovanni XXIII, chiediamo a Dio che illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alla sollecitudine per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il prezioso dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, a rafforzare i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri e a perdonare coloro che hanno recato ingiurie, così che in virtù della sua azione, tutti i popoli della terra si affratellino e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace [8]. Con questa invocazione, auspico che tutti possano essere veri operatori e costruttori di pace, in modo che la città dell'uomo cresca in fraterna concordia, nella prosperità e nella pace. Dal Vaticano, 8 Dicembre 2012

BENEDICTUS PP. XVI

Note: [1] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 1. [2] Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963):AAS 55 (1963), 265-266. [3] Cfr ibid.:AAS 55 (1963), 266. [4] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 32: AAS 101 (2009), 666-667. [5] Cfr ibid., 34 e 36:AAS 101 (2009), 668-670 e 671-672. [6] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1994 (8 dicembre 1993):AAS 86 (1994), 156-162. [7] BENEDETTO XVI, Discorso in occasione dell’Incontro con i membri del Governo, delle istituzioni della Repubblica, con il corpo diplomatico, i capi religiosi e rappresentanze del mondo della cultura, Baabda-Libano (15 settembre 2012): L’Osservatore Romano, 16 settembre 2012, p. 7. [8] Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963):AAS 55 (1963), 304.

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DECLARATIO Carissimi Fratelli, vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell'animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l'elezione del nuovo Sommo Pontefice. Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l'amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell'eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio. Dal Vaticano, 10 febbraio 2013

BENEDICTUS PP XVI

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA QUARESIMA 2013 Credere nella carità suscita carità «Abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16) Cari fratelli e sorelle, la celebrazione della Quaresima, nel contesto dell'Anno della fede, ci offre una preziosa occasione per meditare sul rapporto tra fede e carità: tra il credere in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, e l'amore, che è frutto dell'azione dello Spirito Santo e ci guida in un cammino di dedizione verso Dio e verso gli altri. 1. La fede come risposta all'amore di Dio. Già nella mia prima Enciclica ho offerto qualche elemento per cogliere lo stretto legame tra queste due virtù teologali, la fede e la carità. Partendo dalla fondamentale affermazione dell'apostolo Giovanni: «Abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16), ricordavo che «all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva... Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10), l'amore adesso non è più solo un ”comandamento”, ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro» (Deus caritas est, 1). La fede costituisce quella personale adesione – che include tutte le nostre facoltà – alla rivelazione dell'amore gratuito e «appassionato» che Dio ha per noi e che si manifesta pienamente in Gesù Cristo. L'incontro con Dio Amore che chiama in causa non solo il cuore, ma anche l'intelletto: «Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l'amore, e il sì della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e sentimento nell'atto totalizzante dell'amore. Questo però è un processo che rimane continuamente in cammino: l'amore non è mai “concluso” e completato» (ibid., 17). Da qui deriva per tutti i cristiani e, in particolare, per gli «operatori della carità», la necessità della fede, di

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quell'«incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l'amore e apra il loro animo all'altro, così che per loro l'amore del prossimo non sia più un comandamento imposto per così dire dall'esterno, ma una conseguenza derivante dalla loro fede che diventa operante nell'amore» (ibid., 31a). Il cristiano è una persona conquistata dall'amore di Cristo e perciò, mosso da questo amore - «caritas Christi urget nos» (2 Cor 5,14) –, è aperto in modo profondo e concreto all'amore per il prossimo (cfr ibid., 33). Tale atteggiamento nasce anzitutto dalla coscienza di essere amati, perdonati, addirittura serviti dal Signore, che si china a lavare i piedi degli Apostoli e offre Se stesso sulla croce per attirare l'umanità nell'amore di Dio. «La fede ci mostra il Dio che ha dato il suo Figlio per noi e suscita così in noi la vittoriosa certezza che è proprio vero: Dio è amore! ... La fede, che prende coscienza dell'amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sulla croce, suscita a sua volta l'amore. Esso è la luce – in fondo l'unica – che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire» (ibid., 39). Tutto ciò ci fa capire come il principale atteggiamento distintivo dei cristiani sia proprio «l'amore fondato sulla fede e da essa plasmato» (ibid., 7). 2. La carità come vita nella fede Tutta la vita cristiana è un rispondere all'amore di Dio. La prima risposta è appunto la fede come accoglienza piena di stupore e gratitudine di un'inaudita iniziativa divina che ci precede e ci sollecita. E il «sì» della fede segna l'inizio di una luminosa storia di amicizia con il Signore, che riempie e dà senso pieno a tutta la nostra esistenza. Dio però non si accontenta che noi accogliamo il suo amore gratuito. Egli non si limita ad amarci, ma vuole attiraci a Sé, trasformarci in modo così profondo da portarci a dire con san Paolo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (cfr Gal 2,20). Quando noi lasciamo spazio all'amore di Dio, siamo resi simili a Lui, partecipi della sua stessa carità. Aprirci al suo amore significa lasciare che Egli viva in noi e ci porti ad amare con Lui, in Lui e come Lui; solo allora la nostra fede diventa veramente «operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6) ed Egli prende dimora in noi (cfr 1 Gv 4,12). La fede è conoscere la verità e aderirvi (cfr 1 Tm 2,4); la carità è «camminare» nella verità (cfr Ef 4,15). Con la fede si entra nell'amicizia

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con il Signore; con la carità si vive e si coltiva questa amicizia (cfr Gv 15,14s). La fede ci fa accogliere il comandamento del Signore e Maestro; la carità ci dona la beatitudine di metterlo in pratica (cfr Gv 13,13-17). Nella fede siamo generati come figli di Dio (cfr Gv 1,12s); la carità ci fa perseverare concretamente nella figliolanza divina portando il frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22). La fede ci fa riconoscere i doni che il Dio buono e generoso ci affida; la carità li fa fruttificare (cfr Mt 25,14-30). 3. L'indissolubile intreccio tra fede e carità Alla luce di quanto detto, risulta chiaro che non possiamo mai separare o, addirittura, opporre fede e carità. Queste due virtù teologali sono intimamente unite ed è fuorviante vedere tra di esse un contrasto o una «dialettica». Da un lato, infatti, è limitante l'atteggiamento di chi mette in modo così forte l'accento sulla priorità e la decisività della fede da sottovalutare e quasi disprezzare le concrete opere della carità e ridurre questa a generico umanitarismo. Dall'altro, però, è altrettanto limitante sostenere un'esagerata supremazia della carità e della sua operosità, pensando che le opere sostituiscano la fede. Per una sana vita spirituale è necessario rifuggire sia dal fideismo che dall'attivismo moralista. L'esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell'incontro con Dio per poi ridiscendere, portando l'amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio. Nella Sacra Scrittura vediamo come lo zelo degli Apostoli per l'annuncio del Vangelo che suscita la fede è strettamente legato alla premura caritatevole riguardo al servizio verso i poveri (cfr At 6,1-4). Nella Chiesa, contemplazione e azione, simboleggiate in certo qual modo dalle figure evangeliche delle sorelle Maria e Marta, devono coesistere e integrarsi (cfr Lc 10,38-42). La priorità spetta sempre al rapporto con Dio e la vera condivisione evangelica deve radicarsi nella fede (cfr Catechesi all'Udienza generale del 25 aprile 2012). Talvolta si tende, infatti, a circoscrivere il termine «carità» alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario. E' importante, invece, ricordare che massima opera di carità è proprio l'evangelizzazione, ossia il «servizio della Parola». Non v'è azione più benefica, e quindi caritatevole, verso il prossimo che spezzare il pane della Parola di Dio, renderlo par-

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tecipe della Buona Notizia del Vangelo, introdurlo nel rapporto con Dio: l'evangelizzazione è la più alta e integrale promozione della persona umana. Come scrive il Servo di Dio Papa Paolo VI nell'Enciclica Populorum progressio, è l'annuncio di Cristo il primo e principale fattore di sviluppo (cfr n. 16). E' la verità originaria dell'amore di Dio per noi, vissuta e annunciata, che apre la nostra esistenza ad accogliere questo amore e rende possibile lo sviluppo integrale dell'umanità e di ogni uomo (cfr Enc. Caritas in veritate, 8). In sostanza, tutto parte dall'Amore e tende all'Amore. L'amore gratuito di Dio ci è reso noto mediante l'annuncio del Vangelo. Se lo accogliamo con fede, riceviamo quel primo ed indispensabile contatto col divino capace di farci «innamorare dell'Amore», per poi dimorare e crescere in questo Amore e comunicarlo con gioia agli altri. A proposito del rapporto tra fede e opere di carità, un'espressione della Lettera di san Paolo agli Efesini riassume forse nel modo migliore la loro correlazione: «Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo» (2, 8-10). Si percepisce qui che tutta l'iniziativa salvifica viene da Dio, dalla sua Grazia, dal suo perdono accolto nella fede; ma questa iniziativa, lungi dal limitare la nostra libertà e la nostra responsabilità, piuttosto le rende autentiche e le orienta verso le opere della carità. Queste non sono frutto principalmente dello sforzo umano, da cui trarre vanto, ma nascono dalla stessa fede, sgorgano dalla Grazia che Dio offre in abbondanza. Una fede senza opere è come un albero senza frutti: queste due virtù si implicano reciprocamente. La Quaresima ci invita proprio, con le tradizionali indicazioni per la vita cristiana, ad alimentare la fede attraverso un ascolto più attento e prolungato della Parola di Dio e la partecipazione ai Sacramenti, e, nello stesso tempo, a crescere nella carità, nell'amore verso Dio e verso il prossimo, anche attraverso le indicazioni concrete del digiuno, della penitenza e dell'elemosina. 4. Priorità della fede, primato della carità Come ogni dono di Dio, fede e carità riconducono all'azione dell'unico e medesimo Spirito Santo (cfr 1 Cor 13), quello Spirito che in noi gri-

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da «Abbà! Padre» (Gal 4,6), e che ci fa dire: «Gesù è il Signore!» (1 Cor 12,3) e «Maranatha!» (1 Cor 16,22; Ap 22,20). La fede, dono e risposta, ci fa conoscere la verità di Cristo come Amore incarnato e crocifisso, piena e perfetta adesione alla volontà del Padre e infinita misericordia divina verso il prossimo; la fede radica nel cuore e nella mente la ferma convinzione che proprio questo Amore è l'unica realtà vittoriosa sul male e sulla morte. La fede ci invita a guardare al futuro con la virtù della speranza, nell'attesa fiduciosa che la vittoria dell'amore di Cristo giunga alla sua pienezza. Da parte sua, la carità ci fa entrare nell'amore di Dio manifestato in Cristo, ci fa aderire in modo personale ed esistenziale al donarsi totale e senza riserve di Gesù al Padre e ai fratelli. Infondendo in noi la carità, lo Spirito Santo ci rende partecipi della dedizione propria di Gesù: filiale verso Dio e fraterna verso ogni uomo (cfr Rm 5,5). Il rapporto che esiste tra queste due virtù è analogo a quello tra due Sacramenti fondamentali della Chiesa: il Battesimo e l'Eucaristia. Il Battesimo (sacramentum fidei) precede l'Eucaristia (sacramentum caritatis), ma è orientato ad essa, che costituisce la pienezza del cammino cristiano. In modo analogo, la fede precede la carità, ma si rivela genuina solo se è coronata da essa. Tutto parte dall'umile accoglienza della fede («il sapersi amati da Dio»), ma deve giungere alla verità della carità («il saper amare Dio e il prossimo»), che rimane per sempre, come compimento di tutte le virtù (cfr 1 Cor 13,13). Carissimi fratelli e sorelle, in questo tempo di Quaresima, in cui ci prepariamo a celebrare l'evento della Croce e della Risurrezione, nel quale l'Amore di Dio ha redento il mondo e illuminato la storia, auguro a tutti voi di vivere questo tempo prezioso ravvivando la fede in Gesù Cristo, per entrare nel suo stesso circuito di amore verso il Padre e verso ogni fratello e sorella che incontriamo nella nostra vita. Per questo elevo la mia preghiera a Dio, mentre invoco su ciascuno e su ogni comunità la Benedizione del Signore! Dal Vaticano, 15 ottobre 2012

BENEDICTUS PP XVI

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA XXVIII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ «Andate e fate discepoli tutti i popoli!» (cfr Mt 28,19)

Cari giovani, vorrei far giungere a tutti voi il mio saluto pieno di gioia e di affetto. Sono certo che molti di voi sono tornati dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid maggiormente «radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede» (cfr Col 2,7). Quest'anno, nelle varie Diocesi, abbiamo celebrato la gioia di essere cristiani, ispirati dal tema: «Siate sempre lieti nel Signore!» (Fil 4,4). E ora ci stiamo preparando alla prossima Giornata Mondiale, che si celebrerà a Rio de Janeiro, in Brasile, nel luglio 2013. Desidero anzitutto rinnovarvi l'invito a partecipare a questo importante appuntamento. La celebre statua del Cristo Redentore, che domina quella bella città brasiliana, ne sarà il simbolo eloquente: le sue braccia aperte sono il segno dell'accoglienza che il Signore riserverà a tutti coloro che verranno a Lui e il suo cuore raffigura l'immenso amore che Egli ha per ciascuno e per ciascuna di voi. Lasciatevi attrarre da Lui! Vivete questa esperienza di incontro con Cristo, insieme ai tanti altri giovani che convergeranno a Rio per il prossimo incontro mondiale! Lasciatevi amare da Lui e sarete i testimoni di cui il mondo ha bisogno. Vi invito a prepararvi alla Giornata Mondiale di Rio de Janeiro meditando fin d'ora sul tema dell'incontro: «Andate e fate discepoli tutti i popoli!» (cfr Mt 28,19). Si tratta della grande esortazione missionaria che Cristo ha lasciato alla Chiesa intera e che rimane attuale ancora oggi, dopo duemila anni. Ora questo mandato deve risuonare con forza nel vostro cuore. L'anno di preparazione all'incontro di Rio coincide con l'Anno della fede, all'inizio del quale il Sinodo dei Vescovi ha dedicato i suoi lavori a «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». Perciò sono contento che anche voi, cari giovani, sia-

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te coinvolti in questo slancio missionario di tutta la Chiesa: far conoscere Cristo è il dono più prezioso che potete fare agli altri. 1. Una chiamata pressante La storia ci ha mostrato quanti giovani, attraverso il dono generoso di se stessi, hanno contribuito grandemente al Regno di Dio e allo sviluppo di questo mondo, annunciando il Vangelo. Con grande entusiasmo, essi hanno portato la Buona Notizia dell'Amore di Dio manifestato in Cristo, con mezzi e possibilità ben inferiori a quelli di cui disponiamo al giorno d'oggi. Penso, per esempio, al Beato José de Anchieta, giovane gesuita spagnolo del XVI secolo, partito in missione per il Brasile quando aveva meno di vent'anni e divenuto un grande apostolo del Nuovo Mondo. Ma penso anche a quanti di voi si dedicano generosamente alla missione della Chiesa: ne ho avuto una sorprendente testimonianza alla Giornata Mondiale di Madrid, in particolare nell'incontro con i volontari. Oggi non pochi giovani dubitano profondamente che la vita sia un bene e non vedono chiarezza nel loro cammino. Più in generale, di fronte alle difficoltà del mondo contemporaneo, molti si chiedono: io che cosa posso fare? La luce della fede illumina questa oscurità, ci fa comprendere che ogni esistenza ha un valore inestimabile, perché frutto dell'amore di Dio. Egli ama anche chi si è allontanato da Lui o lo ha dimenticato: ha pazienza e attende; anzi, ha donato il suo Figlio, morto e risorto, per liberarci radicalmente dal male. E Cristo ha inviato i suoi discepoli per portare a tutti i popoli questo annuncio gioioso di salvezza e di vita nuova. La Chiesa, nel continuare questa missione di evangelizzazione, conta anche su di voi. Cari giovani, voi siete i primi missionari tra i vostri coetanei! Alla fine del Concilio Ecumenico Vaticano II, di cui quest'anno celebriamo il 50° anniversario, il Servo di Dio Paolo VI consegnò ai giovani e alle giovani del mondo un Messaggio che si apriva con queste parole: «È a voi, giovani uomini e donne del mondo intero, che il Concilio vuole rivolgere il suo ultimo messaggio. Perché siete voi che raccoglierete la fiaccola dalle mani dei vostri padri e vivrete nel mondo nel momento delle più gigantesche trasformazioni della sua storia. Siete voi che, raccogliendo il meglio dell'esempio e dell'insegnamento dei vostri genitori e dei vostri maestri, formerete la società di domani:

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voi vi salverete o perirete con essa». E concludeva con un appello: «Costruite nell'entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!» (Messaggio ai giovani, 8 dicembre 1965). Cari amici, questo invito è di grande attualità. Stiamo attraversando un periodo storico molto particolare: il progresso tecnico ci ha offerto possibilità inedite di interazione tra uomini e tra popolazioni, ma la globalizzazione di queste relazioni sarà positiva e farà crescere il mondo in umanità solo se sarà fondata non sul materialismo ma sull'amore, l'unica realtà capace di colmare il cuore di ciascuno e di unire le persone. Dio è amore. L'uomo che dimentica Dio è senza speranza e diventa incapace di amare il suo simile. Per questo è urgente testimoniare la presenza di Dio affinché ognuno possa sperimentarla: è in gioco la salvezza dell'umanità e la salvezza di ciascuno di noi. Chiunque comprenda questa necessità, non potrà che esclamare con san Paolo: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16). 2. Diventate discepoli di Cristo Questa chiamata missionaria vi viene rivolta anche per un'altra ragione: è necessaria per il nostro cammino di fede personale. Il Beato Giovanni Paolo II scriveva: «La fede si rafforza donandola» (Enc. Redemptoris missio, 2). Annunciando il Vangelo voi stessi crescete nel radicarvi sempre più profondamente in Cristo, diventate cristiani maturi. L'impegno missionario è una dimensione essenziale della fede: non si è veri credenti senza evangelizzare. E l'annuncio del Vangelo non può che essere la conseguenza della gioia di avere incontrato Cristo e di aver trovato in Lui la roccia su cui costruire la propria esistenza. Impegnandovi a servire gli altri e ad annunciare loro il Vangelo, la vostra vita, spesso frammentata tra diverse attività, troverà la sua unità nel Signore, costruirete anche voi stessi, crescerete e maturerete in umanità. Ma che cosa vuol dire essere missionari? Significa anzitutto essere discepoli di Cristo, ascoltare sempre di nuovo l'invito a seguirlo, l'invito a guardare a Lui: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Un discepolo, in effetti, è una persona che si pone all'ascolto della Parola di Gesù (cfr Lc 10,39), riconosciuto come il Maestro che ci ha amati fino al dono della vita. Si tratta dunque, per ciascuno di voi, di lasciarsi plasmare ogni giorno dalla Parola di Dio:

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essa vi renderà amici del Signore Gesù e capaci di far entrare altri giovani in questa amicizia con Lui. Vi consiglio di fare memoria dei doni ricevuti da Dio per trasmetterli a vostra volta. Imparate a rileggere la vostra storia personale, prendete coscienza anche della meravigliosa eredità delle generazioni che vi hanno preceduto: tanti credenti ci hanno trasmesso la fede con coraggio, affrontando prove e incomprensioni. Non dimentichiamolo mai: facciamo parte di una catena immensa di uomini e donne che ci hanno trasmesso la verità della fede e contano su di noi affinché altri la ricevano. L'essere missionari presuppone la conoscenza di questo patrimonio ricevuto, che è la fede della Chiesa: è necessario conoscere ciò in cui si crede, per poterlo annunciare. Come ho scritto nell'introduzione di YouCat, il Catechismo per giovani che vi ho donato all'Incontro Mondiale di Madrid, «dovete conoscere la vostra fede con la stessa precisione con cui uno specialista di informatica conosce il sistema operativo di un computer; dovete conoscerla come un musicista conosce il suo pezzo; sì, dovete essere ben più profondamente radicati nella fede della generazione dei vostri genitori, per poter resistere con forza e decisione alle sfide e alle tentazioni di questo tempo.» (Premessa). 3. Andate! Gesù ha inviato i suoi discepoli in missione con questo mandato: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato» (Mc 16,15-16). Evangelizzare significa portare ad altri la Buona Notizia della salvezza e questa Buona Notizia è una persona: Gesù Cristo. Quando lo incontro, quando scopro fino a che punto sono amato da Dio e salvato da Lui, nasce in me non solo il desiderio, ma la necessità di farlo conoscere ad altri. All'inizio del Vangelo di Giovanni vediamo Andrea il quale, dopo aver incontrato Gesù, si affretta a condurre da Lui suo fratello Simone (cfr 1,40-42). L'evangelizzazione parte sempre dall'incontro con il Signore Gesù: chi si è avvicinato a Lui e ha fatto esperienza del suo amore vuole subito condividere la bellezza di questo incontro e la gioia che nasce da questa amicizia. Più conosciamo Cristo, più desideriamo annunciarlo. Più parliamo con Lui, più desideriamo parlare di Lui. Più ne siamo conquistati, più desideriamo condurre gli altri a Lui. Mediante il Battesimo, che ci genera a vita nuova, lo Spirito Santo

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prende dimora in noi e infiamma la nostra mente e il nostro cuore: è Lui che ci guida a conoscere Dio e ad entrare in amicizia sempre più profonda con Cristo; è lo Spirito che ci spinge a fare il bene, a servire gli altri, a donare noi stessi. Attraverso la Confermazione, poi, siamo fortificati dai suoi doni per testimoniare in modo sempre più maturo il Vangelo. È dunque lo Spirito d'amore l'anima della missione: ci spinge ad uscire da noi stessi, per «andare» ed evangelizzare. Cari giovani, lasciatevi condurre dalla forza dell'amore di Dio, lasciate che questo amore vinca la tendenza a chiudersi nel proprio mondo, nei propri problemi, nelle proprie abitudini; abbiate il coraggio di «partire» da voi stessi per «andare» verso gli altri e guidarli all'incontro con Dio. 4. Raggiungete tutti i popoli Cristo risorto ha mandato i suoi discepoli a testimoniare la sua presenza salvifica a tutti i popoli, perché Dio nel suo amore sovrabbondante, vuole che tutti siano salvi e nessuno sia perduto. Con il sacrificio di amore della Croce, Gesù ha aperto la strada affinché ogni uomo e ogni donna possa conoscere Dio ed entrare in comunione di amore con Lui. E ha costituito una comunità di discepoli per portare l'annuncio di salvezza del Vangelo fino ai confini della terra, per raggiungere gli uomini e le donne di ogni luogo e di ogni tempo. Facciamo nostro questo desiderio di Dio! Cari amici, volgete gli occhi e guardate intorno a voi: tanti giovani hanno perduto il senso della loro esistenza. Andate! Cristo ha bisogno anche di voi. Lasciatevi coinvolgere dal suo amore, siate strumenti di questo amore immenso, perché giunga a tutti, specialmente ai «lontani». Alcuni sono lontani geograficamente, altri invece sono lontani perché la loro cultura non lascia spazio a Dio; alcuni non hanno ancora accolto il Vangelo personalmente, altri invece, pur avendolo ricevuto, vivono come se Dio non esistesse. A tutti apriamo la porta del nostro cuore; cerchiamo di entrare in dialogo, nella semplicità e nel rispetto: questo dialogo, se vissuto in una vera amicizia, porterà frutto. I «popoli» ai quali siamo inviati non sono soltanto gli altri Paesi del mondo, ma anche i diversi ambiti di vita: le famiglie, i quartieri, gli ambienti di studio o di lavoro, i gruppi di amici e i luoghi del tempo libero. L'annuncio gioioso del Vangelo è destinato a tutti gli ambiti della nostra vita, senza alcun limite.

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Vorrei sottolineare due campi in cui il vostro impegno missionario deve farsi ancora più attento. Il primo è quello delle comunicazioni sociali, in particolare il mondo di internet. Come ho già avuto modo di dirvi, cari giovani, «sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita! [...] A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito della evangelizzazione di questo “continente digitale”» (Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24 maggio 2009). Sappiate dunque usare con saggezza questo mezzo, considerando anche le insidie che esso contiene, in particolare il rischio della dipendenza, di confondere il mondo reale con quello virtuale, di sostituire l'incontro e il dialogo diretto con le persone con i contatti in rete. Il secondo ambito è quello della mobilità. Oggi sono sempre più numerosi i giovani che viaggiano, sia per motivi di studio o di lavoro, sia per divertimento. Ma penso anche a tutti i movimenti migratori, con cui milioni di persone, spesso giovani, si trasferiscono e cambiano Regione o Paese per motivi economici o sociali. Anche questi fenomeni possono diventare occasioni provvidenziali per la diffusione del Vangelo. Cari giovani, non abbiate paura di testimoniare la vostra fede anche in questi contesti: è un dono prezioso per chi incontrate comunicare la gioia dell'incontro con Cristo. 5. Fate discepoli! Penso che abbiate sperimentato più volte la difficoltà di coinvolgere i vostri coetanei nell'esperienza di fede. Spesso avrete constatato come in molti giovani, specialmente in certe fasi del cammino della vita, ci sia il desiderio di conoscere Cristo e di vivere i valori del Vangelo, ma questo sia accompagnato dal sentirsi inadeguati e incapaci. Che cosa fare? Anzitutto la vostra vicinanza e la vostra semplice testimonianza saranno un canale attraverso il quale Dio potrà toccare il loro cuore. L'annuncio di Cristo non passa solamente attraverso le parole, ma deve coinvolgere tutta la vita e tradursi in gesti di amore. L'essere evangelizzatori nasce dall'amore che Cristo ha infuso in noi; il nostro amore, quindi, deve conformarsi sempre di più al suo. Come il buon Samaritano, dobbiamo essere sempre attenti a chi incontriamo, saper

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ascoltare, comprendere, aiutare, per condurre chi è alla ricerca della verità e del senso della vita alla casa di Dio che è la Chiesa, dove c'è speranza e salvezza (cfr Lc 10,29-37). Cari amici, non dimenticate mai che il primo atto di amore che potete fare verso il prossimo è quello di condividere la sorgente della nostra speranza: chi non dà Dio, dà troppo poco! Ai suoi apostoli Gesù comanda: «Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,1920). I mezzi che abbiamo per «fare discepoli» sono principalmente il Battesimo e la catechesi. Ciò significa che dobbiamo condurre le persone che stiamo evangelizzando a incontrare Cristo vivente, in particolare nella sua Parola e nei Sacramenti: così potranno credere in Lui, conosceranno Dio e vivranno della sua grazia. Vorrei che ciascuno si chiedesse: ho mai avuto il coraggio di proporre il Battesimo a giovani che non l'hanno ancora ricevuto? Ho invitato qualcuno a seguire un cammino di scoperta della fede cristiana? Cari amici, non temete di proporre ai vostri coetanei l'incontro con Cristo. Invocate lo Spirito Santo: Egli vi guiderà ad entrare sempre più nella conoscenza e nell'amore di Cristo e vi renderà creativi nel trasmettere il Vangelo. 6. Saldi nella fede Di fronte alle difficoltà della missione di evangelizzare, talvolta sarete tentati di dire come il profeta Geremia: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Ma anche a voi Dio risponde: «Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò» (Ger 1,6-7). Quando vi sentite inadeguati, incapaci, deboli nell'annunciare e testimoniare la fede, non abbiate timore. L'evangelizzazione non è una nostra iniziativa e non dipende anzitutto dai nostri talenti, ma è una risposta fiduciosa e obbediente alla chiamata di Dio, e perciò si basa non sulla nostra forza, ma sulla sua. Lo ha sperimentato l'apostolo Paolo: «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2 Cor 4,7). Per questo vi invito a radicarvi nella preghiera e nei Sacramenti. L'evangelizzazione autentica nasce sempre dalla preghiera ed è sostenuta da essa: dobbiamo prima parlare con Dio per poter parlare di Dio. E nella preghiera, affidiamo al Signore le persone a cui siamo inviati,

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supplicandolo di toccare loro il cuore; domandiamo allo Spirito Santo di renderci suoi strumenti per la loro salvezza; chiediamo a Cristo di mettere le parole sulle nostre labbra e di farci segni del suo amore. E, più in generale, preghiamo per la missione di tutta la Chiesa, secondo la richiesta esplicita di Gesù: «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Mt 9,38). Sappiate trovare nell'Eucaristia la sorgente della vostra vita di fede e della vostra testimonianza cristiana, partecipando con fedeltà alla Messa domenicale e ogni volta che potete nella settimana. Ricorrete frequentemente al Sacramento della Riconciliazione: è un incontro prezioso con la misericordia di Dio che ci accoglie, ci perdona e rinnova i nostri cuori nella carità. E non esitate a ricevere il Sacramento della Confermazione o Cresima se non l'avete ricevuto, preparandovi con cura e impegno. Con l'Eucaristia, esso è il Sacramento della missione, perché ci dona la forza e l'amore dello Spirito Santo per professare senza paura la fede. Vi incoraggio inoltre a praticare l'adorazione eucaristica: sostare in ascolto e dialogo con Gesù presente nel Sacramento diventa punto di partenza di nuovo slancio missionario. Se seguirete questo cammino, Cristo stesso vi donerà la capacità di essere pienamente fedeli alla sua Parola e di testimoniarlo con lealtà e coraggio. A volte sarete chiamati a dare prova di perseveranza, in particolare quando la Parola di Dio susciterà chiusure od opposizioni. In certe regioni del mondo, alcuni di voi vivono la sofferenza di non poter testimoniare pubblicamente la fede in Cristo, per mancanza di libertà religiosa. E c'è chi ha già pagato anche con la vita il prezzo della propria appartenenza alla Chiesa. Vi incoraggio a restare saldi nella fede, sicuri che Cristo è accanto a voi in ogni prova. Egli vi ripete: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,11-12). 7. Con tutta la Chiesa Cari giovani, per restare saldi nella confessione della fede cristiana là dove siete inviati, avete bisogno della Chiesa. Nessuno può essere testimone del Vangelo da solo. Gesù ha inviato i suoi discepoli in missione insieme: «fate discepoli» è rivolto al plurale. È dunque sempre come membri della comunità cristiana che noi offriamo la nostra testi-

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monianza, e la nostra missione è resa feconda dalla comunione che viviamo nella Chiesa: dall'unità e dall'amore che abbiamo gli uni per gli altri ci riconosceranno come discepoli di Cristo (cfr Gv 13,35). Sono grato al Signore per la preziosa opera di evangelizzazione che svolgono le nostre comunità cristiane, le nostre parrocchie, i nostri movimenti ecclesiali. I frutti di questa evangelizzazione appartengono a tutta la Chiesa: «uno semina e l'altro miete», diceva Gesù (Gv 4,37). A tale proposito, non posso che rendere grazie per il grande dono dei missionari, che dedicano tutta la loro vita ad annunciare il Vangelo sino ai confini della terra. Allo stesso modo benedico il Signore per i sacerdoti e i consacrati, che offrono interamente se stessi affinché Gesù Cristo sia annunciato e amato. Desidero qui incoraggiare i giovani che sono chiamati da Dio, a impegnarsi con entusiasmo in queste vocazioni: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35). A coloro che lasciano tutto per seguirlo, Gesù ha promesso il centuplo e la vita eterna! (cfr Mt 19,29). Rendo grazie anche per tutti i fedeli laici che si adoperano per vivere il loro quotidiano come missione là dove sono, in famiglia o sul lavoro, affinché Cristo sia amato e servito e cresca il Regno di Dio. Penso in particolare a quanti operano nel campo dell'educazione, della sanità, dell'impresa, della politica e dell'economia e in tanti altri ambiti dell'apostolato dei laici. Cristo ha bisogno del vostro impegno e della vostra testimonianza. Nulla - né le difficoltà, né le incomprensioni - vi faccia rinunciare a portare il Vangelo di Cristo nei luoghi in cui vi trovate: ognuno di voi è prezioso nel grande mosaico dell'evangelizzazione! 8. «Eccomi, Signore!» In conclusione, cari giovani, vorrei invitarvi ad ascoltare nel profondo di voi stessi la chiamata di Gesù ad annunciare il suo Vangelo. Come mostra la grande statua di Cristo Redentore a Rio de Janeiro, il suo cuore è aperto all'amore verso tutti, senza distinzioni, e le sue braccia sono tese per raggiungere ciascuno. Siate voi il cuore e le braccia di Gesù! Andate a testimoniare il suo amore, siate i nuovi missionari animati dall'amore e dall'accoglienza! Seguite l'esempio dei grandi missionari della Chiesa, come san Francesco Saverio e tanti altri. Al termine della Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid, ho bene-

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detto alcuni giovani di diversi continenti che partivano in missione. Essi rappresentavano i tantissimi giovani che, riecheggiando il profeta Isaia, dicono al Signore: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8). La Chiesa ha fiducia in voi e vi è profondamente grata per la gioia e il dinamismo che portate: usate i vostri talenti con generosità al servizio dell'annuncio del Vangelo! Sappiamo che lo Spirito Santo si dona a coloro che, in umiltà di cuore, si rendono disponibili a tale annuncio. E non abbiate paura: Gesù, Salvatore del mondo, è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20)! Questo appello, che rivolgo ai giovani di tutta la terra, assume un rilievo particolare per voi, cari giovani dell'America Latina! Infatti, alla V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano che si è svolta ad Aparecida nel 2007, i Vescovi hanno lanciato una «missione continentale». E i giovani, che in quel continente costituiscono la maggioranza della popolazione, rappresentano una forza importante e preziosa per la Chiesa e per la società. Siate dunque voi i primi missionari! Ora che la Giornata Mondiale della Gioventù fa il suo ritorno in America Latina, esorto tutti i giovani del continente: trasmettete ai vostri coetanei del mondo intero l'entusiasmo della vostra fede! La Vergine Maria, Stella della Nuova Evangelizzazione, invocata anche con i titoli di Nostra Signora di Aparecida e Nostra Signora di Guadalupe, accompagni ciascuno di voi nella sua missione di testimone dell'amore di Dio. A tutti, con particolare affetto, imparto la mia Benedizione Apostolica. Dal Vaticano, 18 ottobre 2012

BENEDICTUS PP XVI

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SALUTO DI CONGEDO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AGLI EM.MI SIGNORI CARDINALI PRESENTI IN ROMA Sala Clementina Giovedì, 28 febbraio 2013

Venerati e cari Fratelli! Con grande gioia vi accolgo e porgo a ciascuno di voi il mio più cordiale saluto. Ringrazio il Cardinale Angelo Sodano che, come sempre, ha saputo farsi interprete dei sentimenti dell'intero Collegio: Cor ad cor loquitur. Grazie Eminenza di cuore. E vorrei dire – riprendendo il riferimento all'esperienza dei discepoli di Emmaus – che anche per me è stata una gioia camminare con voi in questi anni, nella luce della presenza del Signore risorto. Come ho detto ieri davanti alle migliaia di fedeli che riempivano Piazza San Pietro, la vostra vicinanza e il vostro consiglio mi sono stati di grande aiuto nel mio ministero. In questi otto anni, abbiamo vissuto con fede momenti bellissimi di luce radiosa nel cammino della Chiesa, assieme a momenti in cui qualche nube si è addensata nel cielo. Abbiamo cercato di servire Cristo e la sua Chiesa con amore profondo e totale, che è l'anima del nostro ministero. Abbiamo donato speranza, quella che ci viene da Cristo, che solo può illuminare il cammino. Insieme possiamo ringraziare il Signore che ci ha fatti crescere nella comunione, e insieme pregarlo di aiutarvi a crescere ancora in questa unità profonda, così che il Collegio dei Cardinali sia come un'orchestra, dove le diversità – espressione della Chiesa universale – concorrano sempre alla superiore e concorde armonia. Vorrei lasciarvi un pensiero semplice, che mi sta molto a cuore: un pensiero sulla Chiesa, sul suo mistero, che costituisce per tutti noi - possiamo dire - la ragione e la passione della vita. Mi lascio aiutare da un'espressione di Romano Guardini, scritta proprio nell'anno in cui i Padri del Concilio Vaticano II approvavano la Costituzione Lumen Gentium, nel suo ultimo libro, con una dedica personale anche per me; perciò le parole di questo libro mi sono particolarmente care. Dice

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Guardini: La Chiesa “non è un'istituzione escogitata e costruita a tavolino…, ma una realtà vivente… Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi… Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo”. E' stata la nostra esperienza, ieri, mi sembra, in Piazza: vedere che la Chiesa è un corpo vivo, animato dallo Spirito Santo e vive realmente dalla forza di Dio. Essa è nel mondo, ma non è del mondo: è di Dio, di Cristo, dello Spirito. Lo abbiamo visto ieri. Per questa è vera ed eloquente anche l'altra famosa espressione di Guardini: “La Chiesa si risveglia nelle anime”. La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime, che - come la Vergine Maria - accolgono la Parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo; offrono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa, il Mistero dell'Incarnazione rimane presente per sempre. Cristo continua a camminare attraverso i tempi e tutti i luoghi. Rimaniamo uniti, cari Fratelli, in questo Mistero: nella preghiera, specialmente nell'Eucaristia quotidiana, e così serviamo la Chiesa e l'intera umanità. Questa è la nostra gioia, che nessuno ci può togliere. Prima di salutarvi personalmente, desidero dirvi che continuerò ad esservi vicino con la preghiera, specialmente nei prossimi giorni, affinché siate pienamente docili all'azione dello Spirito Santo nell'elezione del nuovo Papa. Che il Signore vi mostri quello che è voluto da Lui. E tra voi, tra il Collegio Cardinalizio, c'è anche il futuro Papa al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza ed obbedienza. Per questo, con affetto e riconoscenza, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

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FRANCESCO



ELEZIONE DI S.S. PAPA FRANCESCO 13 marzo 2013 Annuntio vobis gaudium magnum; habemus Papam: Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum Georgium Marium Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Bergoglio qui sibi nomen imposuit Franciscum

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BENEDIZIONE APOSTOLICA "URBI ET ORBI" DEL SANTO PADRE FRANCESCO 13 Marzo 2013

Fratelli e sorelle, buonasera! Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo … ma siamo qui … Vi ringrazio dell'accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca. [Recita del Padre Nostro, dell'Ave Maria e del Gloria al Padre] E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l'uno per l'altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio Cardinale Vicario, qui presente, sia fruttuoso per l'evangelizzazione di questa città tanto bella! E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me. […] Adesso darò la Benedizione a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini

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e le donne di buona volontĂ . [Benedizione] Fratelli e sorelle, vi lascio. Grazie tante dell'accoglienza. Pregate per me e a presto! Ci vediamo presto: domani voglio andare a pregare la Madonna, perchĂŠ custodisca tutta Roma. Buona notte e buon riposo!

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SANTA MESSA IMPOSIZIONE DEL PALLIO E CONSEGNA DELL'ANELLO DEL PESCATORE PER L'INIZIO DEL MINISTERO PETRINO DEL VESCOVO DI ROMA OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO Piazza San Pietro, 19 Marzo 2013

Cari fratelli e sorelle! Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l'onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza. Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico. Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all'educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris

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Custos, 1). Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all'episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l'amore ogni momento. E' accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù. Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall'uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E' il custodire l'intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d'Assisi: è l'avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l'ambiente in cui viviamo. E' il custodire la gente, l'aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E' l'aver cura l'uno dell'altro nella famiglia: i coniugi si custodisco-

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no reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E' il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell'uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio! E quando l'uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell'uomo e della donna. Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell'altro, dell'ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l'odio, l'invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza! E qui aggiungo, allora, un'ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d'animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all'altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza! Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l'inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro

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sull'amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l'intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,3146). Solo chi serve con amore sa custodire! Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l'orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l'orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio. Custodire Gesù con Maria, custodire l'intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato! Chiedo l'intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen.

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CAPPELLA PAPALE PER L'INSEDIAMENTO DEL VESCOVO DI ROMA SULLA CATHEDRA ROMANA OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO Basilica di San Giovanni in Laterano II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia 7 aprile 2013

Con gioia celebro per la prima volta l'Eucaristia in questa Basilica Lateranense, Cattedrale del Vescovo di Roma. Vi saluto tutti con grande affetto: il carissimo Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari, il Presbiterio diocesano, i Diaconi, le Religiose e i Religiosi e tutti i fedeli laici. Porgo anche i miei saluti al Signor Sindaco e a sua moglie e a tutte le Autorità. Camminiamo insieme nella luce del Signore Risorto. 1. Celebriamo oggi la Seconda Domenica di Pasqua, denominata anche «della Divina Misericordia». Com'è bella questa realtà della fede per la nostra vita: la misericordia di Dio! Un amore così grande, così profondo quello di Dio verso di noi, un amore che non viene meno, sempre afferra la nostra mano e ci sorregge, ci rialza, ci guida. 2. Nel Vangelo di oggi, l'apostolo Tommaso fa esperienza proprio della misericordia di Dio, che ha un volto concreto, quello di Gesù, di Gesù Risorto. Tommaso non si fida di ciò che gli dicono gli altri Apostoli: «Abbiamo visto il Signore»; non gli basta la promessa di Gesù, che aveva annunciato: il terzo giorno risorgerò. Vuole vedere, vuole mettere la sua mano nel segno dei chiodi e nel costato. E qual è la reazione di Gesù? La pazienza: Gesù non abbandona il testardo Tommaso nella sua incredulità; gli dona una settimana di tempo, non chiude la porta, attende. E Tommaso riconosce la propria povertà, la poca fede. «Mio Signore e mio Dio»: con questa invocazione semplice ma piena di fede risponde alla pazienza di Gesù. Si lascia avvolgere dalla misericordia divina, la vede davanti a sé, nelle ferite delle mani e dei piedi, nel costato aperto, e ritrova la fiducia: è un uomo nuovo, non più incredu-

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lo, ma credente. E ricordiamo anche Pietro: per tre volte rinnega Gesù proprio quando doveva essergli più vicino; e quando tocca il fondo incontra lo sguardo di Gesù che, con pazienza, senza parole gli dice: «Pietro, non avere paura della tua debolezza, confida in me»; e Pietro comprende, sente lo sguardo d'amore di Gesù e piange. Che bello è questo sguardo di Gesù – quanta tenerezza! Fratelli e sorelle, non perdiamo mai la fiducia nella misericordia paziente di Dio! Pensiamo ai due discepoli di Emmaus: il volto triste, un camminare vuoto, senza speranza. Ma Gesù non li abbandona: percorre insieme la strada, e non solo! Con pazienza spiega le Scritture che si riferivano a Lui e si ferma a condividere con loro il pasto. Questo è lo stile di Dio: non è impaziente come noi, che spesso vogliamo tutto e subito, anche con le persone. Dio è paziente con noi perché ci ama, e chi ama comprende, spera, dà fiducia, non abbandona, non taglia i ponti, sa perdonare. Ricordiamolo nella nostra vita di cristiani: Dio ci aspetta sempre, anche quando ci siamo allontanati! Lui non è mai lontano, e se torniamo a Lui, è pronto ad abbracciarci. A me fa sempre una grande impressione rileggere la parabola del Padre misericordioso, mi fa impressione perché mi dà sempre una grande speranza. Pensate a quel figlio minore che era nella casa del Padre, era amato; eppure vuole la sua parte di eredità; se ne va via, spende tutto, arriva al livello più basso, più lontano dal Padre; e quando ha toccato il fondo, sente la nostalgia del calore della casa paterna e ritorna. E il Padre? Aveva dimenticato il figlio? No, mai. É lì, lo vede da lontano, lo stava aspettando ogni giorno, ogni momento: è sempre stato nel suo cuore come figlio, anche se lo aveva lasciato, anche se aveva sperperato tutto il patrimonio, cioè la sua libertà; il Padre con pazienza e amore, con speranza e misericordia non aveva smesso un attimo di pensare a lui, e appena lo vede ancora lontano gli corre incontro e lo abbraccia con tenerezza, la tenerezza di Dio, senza una parola di rimprovero: è tornato! E quella è la gioia del padre. In quell'abbraccio al figlio c'è tutta questa gioia: è tornato! Dio sempre ci aspetta, non si stanca. Gesù ci mostra questa pazienza misericordiosa di Dio perché ritroviamo fidu-

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cia, speranza, sempre! Un grande teologo tedesco, Romano Guardini, diceva che Dio risponde alla nostra debolezza con la sua pazienza e questo è il motivo della nostra fiducia, della nostra speranza (cfr Glaubenserkenntnis, Würzburg 1949, p. 28). E' come un dialogo fra la nostra debolezza e la pazienza di Dio, è un dialogo che se noi lo facciamo, ci dà speranza. 3. Vorrei sottolineare un altro elemento: la pazienza di Dio deve trovare in noi il coraggio di ritornare a Lui, qualunque errore, qualunque peccato ci sia nella nostra vita. Gesù invita Tommaso a mettere la mano nelle sue piaghe delle mani e dei piedi e nella ferita del costato. Anche noi possiamo entrare nelle piaghe di Gesù, possiamo toccarlo realmente; e questo accade ogni volta che riceviamo con fede i Sacramenti. San Bernardo in una bella Omelia dice: «Attraverso … le ferite [di Gesù] io posso succhiare miele dalla rupe e olio dai ciottoli della roccia (cfr Dt 32,13), cioè gustare e sperimentare quanto è buono il Signore» (Sul Cantico dei Cantici 61, 4). É proprio nelle ferite di Gesù che noi siamo sicuri, lì si manifesta l'amore immenso del suo cuore. Tommaso lo aveva capito. San Bernardo si domanda: ma su che cosa posso contare? Sui miei meriti? Ma «mio merito è la misericordia di Dio. Non sono certamente povero di meriti finché lui sarà ricco di misericordia. Che se le misericordie del Signore sono molte, io pure abbonderò nei meriti» (ivi, 5). Questo è importante: il coraggio di affidarmi alla misericordia di Gesù, di confidare nella sua pazienza, di rifugiarmi sempre nelle ferite del suo amore. San Bernardo arriva ad affermare: «Ma che dire se la coscienza mi morde per i molti peccati? “Dove è abbondato il peccato è sovrabbondata la grazia” (Rm 5,20)» (ibid.). Forse qualcuno di noi può pensare: il mio peccato è così grande, la mia lontananza da Dio è come quella del figlio minore della parabola, la mia incredulità è come quella di Tommaso; non ho il coraggio di tornare, di pensare che Dio possa accogliermi e che stia aspettando proprio me. Ma Dio aspetta proprio te, ti chiede solo il coraggio di andare a Lui. Quante volte nel mio ministero pastorale mi sono sentito ripetere: «Padre, ho molti peccati»; e l'invito che ho sempre fatto è: «Non temere, va' da Lui, ti sta aspettando, Lui farà tutto». Quante proposte mondane sentiamo attorno a noi, ma lasciamoci afferrare dalla proposta di Dio, la sua è una carezza di amore. Per Dio noi non siamo

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numeri, siamo importanti, anzi siamo quanto di più importante Egli abbia; anche se peccatori, siamo ciò che gli sta più a cuore. Adamo dopo il peccato prova vergogna, si sente nudo, sente il peso di quello che ha fatto; eppure Dio non abbandona: se in quel momento inizia l'esilio da Dio, con il peccato, c'è già la promessa del ritorno, la possibilità di ritornare a Lui. Dio chiede subito: «Adamo, dove sei?», lo cerca. Gesù è diventato nudo per noi, si è caricato della vergogna di Adamo, della nudità del suo peccato per lavare il nostro peccato: dalle sue piaghe siamo stati guariti. Ricordatevi quello di san Paolo: di che cosa mi vanterò se non della mia debolezza, della mia povertà? Proprio nel sentire il mio peccato, nel guardare il mio peccato io posso vedere e incontrare la misericordia di Dio, il suo amore e andare da Lui per ricevere il perdono. Nella mia vita personale ho visto tante volte il volto misericordioso di Dio, la sua pazienza; ho visto anche in tante persone il coraggio di entrare nelle piaghe di Gesù dicendogli: Signore sono qui, accetta la mia povertà, nascondi nelle tue piaghe il mio peccato, lavalo col tuo sangue. E ho sempre visto che Dio l'ha fatto, ha accolto, consolato, lavato, amato. Cari fratelli e sorelle, lasciamoci avvolgere dalla misericordia di Dio; confidiamo nella sua pazienza che sempre ci dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore, lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua tenerezza, tanto bella, sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di amore.

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ATTO DI AFFIDAMENTO A MARIA* Beata Maria Vergine di Fatima, con rinnovata gratitudine per la tua presenza materna uniamo la nostra voce a quella di tutte le generazioni che ti dicono beata. Celebriamo in te le grandi opere di Dio, che mai si stanca di chinarsi con misericordia sull'umanità, afflitta dal male e ferita dal peccato, per guarirla e per salvarla. Accogli con benevolenza di Madre l'atto di affidamento che oggi facciamo con fiducia, dinanzi a questa tua immagine a noi tanto cara. Siamo certi che ognuno di noi è prezioso ai tuoi occhi e che nulla ti è estraneo di tutto ciò che abita nei nostri cuori. Ci lasciamo raggiungere dal tuo dolcissimo sguardo e riceviamo la consolante carezza del tuo sorriso. Custodisci la nostra vita fra le tue braccia: benedici e rafforza ogni desiderio di bene; ravviva e alimenta la fede; sostieni e illumina la speranza; suscita e anima la carità; guida tutti noi nel cammino della santità. Insegnaci il tuo stesso amore di predilezione per i piccoli e i poveri, per gli esclusi e i sofferenti, per i peccatori e gli smarriti di cuore: raduna tutti sotto la tua protezione e tutti consegna al tuo diletto Figlio, il Signore nostro Gesù. Amen. FRANCESCO (*Atto di affidamento a Maria, Vergine di Fátima, al termine della Messa in occasione della Giornata Mariana (Piazza San Pietro, 13 ottobre 2013)

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PREGHIERA ALLA SANTA FAMIGLIA DI NAZARETH* Gesù, Maria e Giuseppe a voi, Santa Famiglia di Nazareth, oggi, volgiamo lo sguardo con ammirazione e confidenza; in voi contempliamo la bellezza della comunione nell'amore vero; a voi raccomandiamo tutte le nostre famiglie, perché si rinnovino in esse le meraviglie della grazia. Santa Famiglia di Nazareth, scuola attraente del santo Vangelo: insegnaci a imitare le tue virtù con una saggia disciplina spirituale, donaci lo sguardo limpido che sa riconoscere l'opera della Provvidenza nelle realtà quotidiane della vita. Santa Famiglia di Nazareth, custode fedele del mistero della salvezza: fa' rinascere in noi la stima del silenzio, rendi le nostre famiglie cenacoli di preghiera e trasformale in piccole Chiese domestiche, rinnova il desiderio della santità, sostieni la nobile fatica del lavoro, dell'educazione, dell'ascolto, della reciproca comprensione e del perdono. Santa Famiglia di Nazareth, ridesta nella nostra società la consapevolezza del carattere sacro e inviolabile della famiglia, bene inestimabile e insostituibile. Ogni famiglia sia dimora accogliente di bontà e di pace per i bambini e per gli anziani, per chi è malato e solo, per chi è povero e bisognoso.

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Ges첫, Maria e Giuseppe voi con fiducia preghiamo, a voi con gioia ci affidiamo. FRANCESCO

*Preghiera del Papa per il Sinodo sulla Famiglia (27 ottobre 2013)

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA



65ª ASSEMBLEA GENERALE CEI

20-24 Maggio 2013 Comunicato finale Se fosse di raccontare in uno scatto fotografico la 65ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana – riunita a Roma, sotto la guida del Cardinale Angelo Bagnasco, dal 20 al 24 maggio 2013 – l’immagine ritrarrebbe i Vescovi delle Chiese che sono in Italia far corona attorno alla Tomba di San Pietro, a ridirsi le ragioni e le esigenze del loro aver consacrato la vita nella fede nel Signore Gesù. Fra loro – uno di loro, come ha voluto evidenziare – Papa Francesco, che invita ciascuno a misurarsi con la domanda enorme – “l’unica questione veramente essenziale” – posta da Gesù a Pietro: “Mi ami tu?”. Poco prima, il Cardinale Bagnasco gli aveva espresso la “convinta adesione” a vivere “l’unità della comunione ecclesiale come una grazia e una missione”. Il Presidente dei Vescovi italiani ha ricondotto a tale appartenenza la fecondità dell’annuncio evangelico e della testimonianza della carità. E il Papa, nel ringraziare e incoraggiare, ha rilanciato: “Avete tanti compiti: la Chiesa in Italia, il dialogo con le istituzioni culturali, sociali e politiche…”. In quest’orizzonte si sono svolti i lavori assembleari. Il confronto ha contribuito a comporre il volto del territorio nazionale, segnato dalla povertà di prospettive e dalla mancanza di lavoro, che lacerano – come “una lama dolorosa” – la carne della gente. A fronte di questa grave sofferenza, che vede le comunità ecclesiali in prima fila nell’opera di prossimità solidale, l’Assemblea ha denunciato con forza il divario tra benestanti e nuovi poveri, richiamando i responsabili della cosa pubblica a pensare al bene del Paese. Nel contempo, i Vescovi hanno condiviso l’esigenza di non appiattirsi sulla dimensione assistenzialistica, per offrire una teologia della storia, che aiuti a interpretare gli eventi. Ne è parte anche il rinnovato impegno per il compito educativo, a cui sono dedicati gli Orientamenti pastorali del decennio. In questa direzione, i Vescovi hanno approfondito il tema dell’anno in corso, legato alla figu-

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ra degli educatori nella comunità cristiana. Nella medesima direzione si pone anche il Convegno Ecclesiale Nazionale del 2015, di cui è stato scelto il titolo. L’Assemblea ha, quindi, dato spazio ad alcune determinazioni in materia giuridico-amministrativa: la presentazione e l’approvazione del bilancio consuntivo della CEI per l’anno 2012, nonché delle ripartizioni e assegnazioni delle somme derivanti dall’otto per mille per l’anno 2013; l’approvazione di due delibere sul Master per l’insegnamento della religione cattolica e sugli statutitipo degli Istituti Diocesani e Interdiocesani per il sostentamento del clero; la presentazione del bilancio consuntivo dell’Istituto Centrale per il sostentamento del clero per l’anno 2012. Distinte comunicazioni hanno illustrato il Motu proprio Intima Ecclesiae natura, un Seminario di studi per nuovi Vescovi, la situazione dei settimanali diocesani, un’iniziativa nazionale sulla scuola. Inoltre, sono stati presentati alcuni appuntamenti di rilievo: la Giornata della carità del Papa, la Giornata Mondiale della Gioventù e la 47ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani; è stato presentato il Calendario delle attività della CEI per l’anno 2013-2014. Ai lavori assembleari hanno preso parte 224 membri, 31 Vescovi emeriti, 21 delegati di Conferenze Episcopali Europee, rappresentanti di presbiteri, religiosi, consacrati e della Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali, nonché esperti in ragione degli argomenti trattati. Tra i momenti significativi vi è stata la Concelebrazione Eucaristica nella Basilica di San Pietro, presieduta da S.E. Mons. Adriano Bernardini, Nunzio Apostolico in Italia.

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1. Con il cuore del Papa “Grazie per questo saluto. Complimenti per il lavoro di questa Assemblea: sono sicuro che il lavoro è stato forte!” Con queste parole, pronunciate a braccio, Papa Francesco ha risposto al saluto del Cardinale Bagnasco in apertura della celebrazione della professio fidei, che nella Basilica di San Pietro, giovedì 23 maggio, ha coinvolto tutti i Vescovi italiani. Il Santo Padre ha, quindi, aggiunto: “Avete tanti compiti: la Chiesa in Italia, il dialogo con le istituzioni culturali, sociali e politiche – è compito vostro, non facile –, il lavoro per rendere forti le Conferenze Regionali, perché siano voci delle diverse realtà. So inoltre che c'è una Commissione che opera per ridurre il numero tanto pesante delle diocesi…”. E ha concluso: “Andate avanti con fratellanza. Andate avanti, in quello spirito di dialogo che ho ricordato: con le istituzioni culturali, sociali e politiche. Questo è cosa vostra. Avanti, Eminenza! Avanti!” Del resto, fin dal primo istante, il Vescovo di Roma è stato partecipe “a titolo speciale e unico” dell'Assemblea Generale. I Pastori della Chiesa che vive in Italia ne hanno incrociato a più riprese lo sguardo: il suo nome, le sue parole, i suoi gesti sono riecheggiati ripetutamente nel corso dei lavori, a conferma della piena condivisione di quanto affermato dal Cardinale Presidente già nella Prolusione: “Il nostro cuore desidera pulsare con il cuore di Papa Francesco”. Tale sintonia i Vescovi l'hanno ricondotta a conseguenze precise: l'impegno a uscire dai “piccoli porti” dell'autoreferenzialità; il rinnovamento dell'impostazione pastorale nella linea di una maggiore essenzialità, di un linguaggio più semplice e di una piena dedizione educativa; l'assunzione coraggiosa della funzione profetica; la disponibilità ad andare verso le periferie… In questo cammino di radicalità evangelica – che, come è stato ampiamente sottolineato, sta attirando una nuova attenzione sulla Chiesa – i Vescovi si sono riconosciuti come i primi destinatari degli appelli del Papa a quella santificazione personale che rimane la condizione per quella di sacerdoti e comunità. Di qui, la particolare significatività che ha rivestito la solenne celebrazione della professio fidei, presieduta dal Papa sulla Tomba di San Pietro. L'iniziativa, posta a conclusione della visita – iniziata da Benedetto XVI e proseguita da Francesco – ad Limina Apostolorum delle 226 Diocesi italiane, era stata voluta dal Consiglio Permanente come momento qualificante dell'Anno della Fede. In questa direzione il contributo assembleare ha evidenziato come una fede debole esponga anche il pastore a quei pericoli indicati dallo stesso Santo

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Padre: la tiepidezza, la dimenticanza, persino l'insofferenza, nonché quelle deviazioni che sono frutto di compromessi con lo spirito del mondo. In realtà, l'Assemblea si è riconosciuta nella sincera e appassionata tensione a Cristo, nella convinzione che la Chiesa vive della Sua luce e la riflette nelle opere, che la rendono presenza amica in cui si manifesta la mano provvidente di Dio, l'annuncio del Vangelo, il segno di quella maternità ecclesiale che è fonte di consolazione e di speranza anche e soprattutto per quanti oggi sono maggiormente provati. 2. Voce della gente Riprendendo a piene mani alcuni spunti della prolusione, i Vescovi si sono fatti voce delle situazioni di grave sofferenza in cui versa il Paese: l'alta percentuale di disoccupazione giovanile, la perdita del lavoro nella fascia adulta, le conseguenze economiche e il disorientamento psicologico sulle famiglie, la delusione a fronte di promesse di legalità sistematicamente disattese, l'inaccettabile sperequazione di risorse tra ipergarantiti e nuovi poveri, la condizione esposta degli immigrati, il degrado nelle carceri. Pienamente condiviso è stato anche l'appello ai responsabili della cosa pubblica, perché pensino al Paese e alla gente senza ulteriori distrazioni né populismi inconcludenti e dannosi, ma ponendo ciascuno sul tavolo le migliori risorse di intelletto, di competenza e di cuore. Nella luce della Dottrina sociale della Chiesa è stata avvertita l'esigenza di farsi coscienza critica della città degli uomini, attenti a educare a nuovi stili di vita, sapendo che crescente è la fascia delle povertà.È stato osservato che, se in determinate circostanze non ci si può esimere dal far fronte alle richieste di solidarietà – esemplare, al riguardo, la testimonianza della Caritas in seguito al terremoto che lo scorso anno ha colpito sette comunità diocesane, distribuite tra Emilia Romagna, Veneto e Lombardia – la Chiesa non può ridursi a essere una presenza puramente sostitutiva dello Stato sociale. Con questo, i Vescovi hanno ribadito a più riprese la volontà di camminare con la gente, animati da quella fede operosa, che distingue la Chiesa dalle diverse agenzie e che parla nei tanti segni di prossimità posti dai parroci e dalle comunità cristiane: il loro spessore permette di non risolvere l'annuncio nella denuncia e nella sola risposta caritativa. Anche per evitare questa deriva, è stata avvertita la necessità di assumere quel discernimento che nasce da una teologia della storia e si esprime nella capa-

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cità di interpretare ciò che accade alla luce congiunta di fede e ragione: un giudizio, quindi, che mentre restituisce speranza, impegna alla progettazione di un nuovo assetto sociale. A queste condizioni – di cui è intessuta la vita buona e onesta di tanta gente – i Vescovi hanno espresso la fiducia che dalla crisi si potrà uscire più saggi, maturando anche quella sobrietà intellettuale che prende le distanze tanto dall'indebita enfatizzazione della crescita continua, quanto dalla frammentazione della persona in un individualismo esasperato. In questa luce è emersa con forza ancora più evidente l'estrema attualità del compito educativo a cui la Chiesa italiana ha dedicato questo decennio. 3. L'identità degli educatori Il confronto assembleare si è svolto nella prospettiva di una comunità ecclesiale che educa conducendo ogni uomo alla sequela dell'unico e vero Maestro. I Vescovi hanno recuperato la consapevolezza che educare presuppone l'adulto; vive di cura, di custodia e di formazione, elementi che rimandano a precisi criteri di scelta quanto alla figura dell'educatore. In continuità con la riflessione programmatica degli Orientamenti pastorali del decennio, i lavori hanno focalizzato la figura degli educatori nella comunità cristiana, soffermandosi in particolare sui criteri per la loro scelta (fede accolta e vissuta, senso di appartenenza alla Chiesa, capacità relazionali e di prossimità, competenze specifiche, spirito di gratuità e di collaborazione) e sulla loro formazione permanente (la catechesi degli adulti, quale “forma della catechesi”, la valorizzazione di esperienze formative che appartengono agli ambiti di vita delle persone, il coinvolgimento nei diversi momenti della vita della comunità, a partire dalla carità, dalla liturgia, dalla pastorale familiare). Quanto alla definizione di nuove figure educative, se ne sono individuate alcune: evangelizzatori degli adulti, coppie impegnate nella pastorale battesimale e post-battesimale, persone in grado di accompagnare nelle situazioni di fragilità, nelle crisi familiari, nei luoghi della cura e dell'accoglienza; mediatori per l'integrazione degli immigrati nella comunità cristiana; animatori di percorsi su temi sociali e inerenti il mondo della comunicazione. 4. Una fede che si fa cultura dell'umano “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” è il titolo, definito dall'Assemblea Generale, del prossimo Convegno Ecclesiale Nazionale (Firenze 2015). Già nella sua definizione mira a non ridurre la fede cristiana a uno dei tan-

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ti fattori umani che innestano processi culturali e sociali, ma a riconoscerla come la sorgente della vita nuova per ogni persona e per l'intera società. Il confronto culturale – per cui anche la scelta della sede nel capoluogo toscano risulta particolarmente significativa – intende rivendicare che l'originario umanesimo non solo non esclude la trascendenza, ma ha radici cristiane. Ai Vescovi è, quindi, stata presentata la modalità di preparazione al Convegno stesso: nel primo anno (2013-2014), sulla base di uno strumento di lavoro, si attiverà un coinvolgimento delle Diocesi per la raccolta di contributi sul tema. Una volta raccolto il materiale, si procederà nell'anno pastorale 2014-2015 al cammino verso il Convegno, aiutati da un documento che orienti le Chiese locali e le realtà ecclesiali a riflettere sul tema in vista della loro partecipazione all'evento. 5. Comunicazioni e informazioni Ai Vescovi è stato presentato il Motu proprio Intima Ecclesiae natura, entrato in vigore in data 10 dicembre 2012. Con questo documento – le cui origini sono nell'enciclica Deus caritas est – Benedetto XVI ha inteso formalizzare la riflessione teologico-pastorale sulle “diverse forme ecclesiali organizzate del servizio della carità” e collocarle all'interno di un più preciso quadro normativo. La Lettera apostolica intende “esprimere adeguatamente nell'ordinamento canonico l'essenzialità del servizio della carità nella Chiesa ed il suo rapporto costitutivo con il ministero episcopale, tratteggiando i profili giuridici che tale servizio comporta nella Chiesa, soprattutto se esercitato in maniera organizzata e col sostegno esplicito dei Pastori”. Una comunicazione ha portato l'attenzione sulla prossima Giornata Mondiale della Gioventù (Rio de Janeiro, 23-28 luglio 2013), dove sono attesi circa 7000 giovani italiani – la cui partecipazione è sostenuta anche dalla Presidenza della CEI – e una quarantina di Vescovi. Per molti gruppi sarà anche l'occasione per andare in visita a realtà sostenute da missionari italiani, rinsaldando un legame con la Chiesa dalla quale sono partiti. Una comunicazione è stata dedicata alla prossima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Torino, 12-15 settembre 2013), di cui è stato distribuito il programma generale, con la scheda di preiscrizione e l'indicazione del numero dei delegati per ciascuna diocesi. La Settimana – “occasione privilegiata per far conoscere a tutta la comunità cristiana la Dottrina Sociale della Chiesa” – è dedicata a “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana”, come titola il documento

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preparatorio, su cui le Diocesi sono invitate a lavorare fin d'ora. Nella consapevolezza della centralità della scuola e della formazione professionale come ambiente educativo, è stata presentata ai Vescovi l'iniziativa di una grande mobilitazione nella primavera 2014 in Piazza San Pietro a Roma, alla presenza del Papa, per ribadire l'interesse della Chiesa in Italia verso le tematiche educative e scolastiche, nonché la incontestabile responsabilità della famiglia e delle sue scelte in merito.Alla scuola sarà dedicata una sessione anche nel corso della Settimana Sociale; altre proposte, accompagnate dalla Segreteria Generale e dagli Uffici interessati, saranno rivolte a livello diocesano e regionale.È stata, quindi, presentata in Assemblea una riflessione sulla situazione dei settimanali diocesani, in un momento in cui la sostenibilità economica di molti di loro potrebbe offuscare il valore di questa informazione vicina alla gente e capace di raccontare la Chiesa e il Paese. Una comunicazione si è soffermata su un Seminario di studi per i Vescovi nominati negli ultimi anni. L'iniziativa, in calendario per i giorni 11-13 novembre 2013, intende offrire alcune indicazioni di base utili per un corretto inquadramento di tematiche ricorrenti nello svolgimento del lavoro oggi richiesto ai Pastori. Altre informazioni hanno riguardato la Giornata per la Carità del Papa (30 giugno 2013), quale appuntamento annuale che esprime il profondo vincolo che unisce le Chiese in Italia con il Successore di Pietro, e alcune iniziative all'interno dell'Anno della fede. Al riguardo, ai Vescovi sono stati ricordati l'invito all'ora di adorazione eucaristica domenica 2 giugno, dalle 17 alle 18, nelle cattedrali di tutto il mondo, in comunione col Santo Padre; la Giornata della Evangelium vitae (15-16 giugno), che offrirà l'opportunità di riunirsi, insieme al Santo Padre, in una comune testimonianza del valore sacro della vita (per cui è stato rinnovato l'appello a favorire l'adesione all'iniziativa “Uno di noi”, a tutela dell'embrione). Infine, a Roma, il pellegrinaggio di seminaristi, novizi, novizie e dei giovani che stanno compiendo un cammino di discernimento vocazionale (4-7 luglio 2013), quello dei catechisti, con un congresso internazionale (26-29 settembre 2013), e quello delle famiglie alla Tomba di Pietro (26-27 ottobre). 6.Adempimenti in materia giuridico-amministrativa L'Assemblea ha approvato l'istituzione del Master di secondo livello per l'insegnamento della religione cattolica nella scuola primaria e

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dell'infanzia ai sensi del punto 4.2.2 della nuova Intesa, sottoscritta il 28 giugno 2012, che ha significativamente innovato tutti i profili di qualificazione professionale degli insegnanti di religione cattolica. I Vescovi hanno, quindi, approvato alcune modifiche dello statuto-tipo degli Istituti Diocesani e Interdiocesani per il sostentamento del clero. Inoltre, hanno avviato un esame delle Disposizioni concernenti la concessione di contributi finanziari della CEI per i beni culturali ecclesiastici e per l'edilizia di culto, in vista di una successiva approvazione da parte dell'Assemblea Generale. Infine, è stato presentato e approvato il bilancio consuntivo della CEI per l'anno 2012; sono stati definiti e approvati i criteri per la ripartizione delle somme derivanti dall'otto per mille per l'anno 2013 ed è stato illustrato il bilancio consuntivo dell'Istituto Centrale per il sostentamento del clero per l'anno 2012. 7. Nomine Nel corso dei lavori, l'Assemblea Generale ha eletto Presidente della Commissione Episcopale per le migrazioni S.E. Mons. Francesco MONTENEGRO,Arcivescovo diAgrigento. Il Consiglio Episcopale Permanente, nella sessione del 22 maggio, ha provveduto alle seguenti nomine: Presidente del Comitato per la promozione del sostegno economico alla Chiesa Cattolica: S.E. Mons. Donato NEGRO,Arcivescovo di Otranto. Presidente del Comitato per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo: S.E. Mons. Alfonso BADINI CONFALONIERI, Vescovo di Susa. Membro della Commissione Episcopale per l'educazione cattolica, la scuola e l'università: S.E. Mons. Gennaro PASCARELLA, Vescovo di Pozzuoli. Presidente Nazionale Femminile della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI): Rita PILOTTI. Consulente ecclesiastico nazionale dell'Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC): Padre Salvatore CURRÒ, C.S.I. Coordinatore nazionale della pastorale per gli immigrati cattolici lituani in Italia: Don PetrasŠIURYS (Telsiai- Lituania). La Presidenza, nella riunione del 20 maggio, ha provveduto alle seguenti nomine: Presidente della Commissione Presbiterale Italiana: S.E. Mons. Mariano

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CROCIATA, Segretario Generale della CEI. Membri del Comitato per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica: Dott. Carlo BINI; Mons. Luca BRESSAN (Milano); Dott. Matteo CALABRESI; Prof. Giorgio FELICIANI; Dott.ssa Elisa MANNA; Mons. Domenico POMPILI, Sottosegretario della CEI. Presidente della Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia (FACI): Don Pier Luigi BETTOLI (Imola). Vice Presidente della Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia (FACI): Don Pantaleo ABBASCIĂ€ (Manfredonia - Vieste - San Giovanni Rotondo). Roma, 24 maggio 2013

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CONFERENZA EPISCOPALE CAMPANA



EVANGELIZZARE LA PIETÀ POPOLARE Norme per le feste religiose

Ai Presbiteri e ai Diaconi della Conferenza Episcopale Campana Ai Religiosi e alle Religiose Ai Fedeli laici Introduzione Carissimi, Paolo VI, nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi sull’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, così si esprime parlando della pietà popolare: “Qui tocchiamo un aspetto dell’evangelizzazione che non può lasciare insensibili. Vogliamo parlare di quella realtà che si designa spesso oggi col termine di religiosità popolare”1. Essa continua il Papa - “ha certamente i suoi limiti. È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi, di superstizioni. Resta spesso a livello di manifestazioni culturali senza impegnare una autentica adesione della fede. Può anche portare alla formazione di sette e mettere in pericolo la vera comunità ecclesiale. Ma se ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori”2. Manifesta, infatti, “una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono riconoscere; rende capaci di generosità e di sacrifici fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione. A motivo di questi aspetti, noi la chiamiamo volentieri pietà popolare, religione del popolo, piuttosto che religiosità”3. Giovanni Paolo II ha sottolineato che la pietà popolare è un vero tesoro del Popolo di Dio e deve essere strumento di evangelizzazione 1

PAOLO VI, “Evangelii Nuntiandi”, in Enchiridion Vaticanum, 5/1643. Ivi. 3 Ivi. 2

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e di liberazione cristiana. Il “Messaggio al Popolo di Dio”, a sua volta, al termine della XIII assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione (7-28 ottobre 2012), dice: “Sentiamo di dover esortare le nostre parrocchie ad affiancare alla tradizionale cura pastorale del Popolo di Dio le forme nuove di missione richieste dalla nuova evangelizzazione. Esse devono permeare anche le varie, importati espressioni della pietà popolare”4. 1. Pietà popolare L’espressione “pietà popolare” designa il complesso di manifestazioni, prevalentemente di carattere comunitario, che nell’ambito della fede cristiana si esprime non secondo i moduli e le leggi proprie della liturgia, ma in forme peculiari sorte dal genio di un popolo e dalla sua cultura e rispondenti a precisi orientamenti spirituali di gruppi di fedeli. Essa fa riferimento esplicitamente alla rivelazione cristiana, cioè alla fede in Dio Uno e Trino, in Cristo vero Dio e vero uomo, Salvatore di tutto il genere umano e alla Chiesa, che è “in Cristo come sacramento o segno e strumento dell’intima comunione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”5. I fondamenti dottrinali sono la Sacra Scrittura e il “Credo” della Chiesa. L’aggettivo popolare richiede una puntualizzazione. Immediatamente esso suscita una reazione negativa: sembra indicare espressioni devozionali scadenti, implicitamente opposte a manifestazioni cultuali scelte, elitarie, velatamente aristocratiche. Ma nel nostro caso “popolare” non va inteso pregiudizialmente in senso negativo perché esprime relazione con il popolo, cioè con il “popolo di Dio”, al quale appartengono fedeli colti e illetterati, poveri e ricchi, chierici e laici. Esso indica, invece, positivamente, che la manifestazione cultuale trae origine dal popolo e, compiuta per il popolo, è portatrice di valori propri del popolo di Dio. Conseguentemente possiamo così definire la “pietà popolare”: “Il complesso di manifestazioni cultuali che sono in sintonia con la cultura di un popolo e ne esprimono l’identità”6. 4

Sinodo del Vescovi, (7-28 2012), Messaggio al Popolo di Dio, n.8. Lumen Gentium, 1. 6 I. M. CALABUIG, “Pietà popolare”, cit., p.1141. 5

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Ma quali sono le caratteristiche, i valori e gli orientamenti della pietà popolare? Come connotati e valori della pietà popolare sono indicati normalmente la spontaneità, in quanto essa nasce non tanto dal ragionamento quanto dal sentimento; l’apertura alla trascendenza come superamento della povertà “esistenziale” in cui spesso il popolo vive; il linguaggio totale con il quale la pietà popolare trasmette la fede non con il ragionamento ma con il silenzio e la parola, il canto e la danza, il gesto individuale e l’azione corale, l’immagine e il colore; la concretezza con cui la pietà popolare dialoga con Dio e affronta i problemi della vita quotidiana segnata spesso dal dolore e dalla fatica (povertà, malattia, mancanza di istruzione e di lavoro …), i grandi cicli dell’esistenza (nascita, crescita e maturazione, matrimonio, anzianità, morte, aldilà) e i contenuti che le danno colore e calore (l’amicizia, l’amore, la solidarietà); la saggezza che tende a congiungere in una sintesi vitale divino e umano, spirito e corpo, persona e comunità, fede e patria, intelligenza e affetto; la memoria che porta a trasmettere il passato come “racconto” e a vederlo come un “fattore di identità” per il gruppo e la collettività; la solidarietà che si incontra più facilmente tra gli umili, i poveri, i semplici che non hanno ideologie che li dividono, ma esperienze di vita e sofferenze che li uniscono: per gli umili e i semplici la condivisione – del pane, del tempo, della parola – è un fatto normale intuendo che non possono aspirare alle ricchezze del cielo senza condividere i beni della terra. Per quanto riguarda gli orientamenti possiamo dire che la pietà popolare, al di là della varietà di situazioni e di culture in cui si esprime, ha alcune caratteristiche comuni: l’adorazione alla Santissima Trinità e l’amore a Dio, padre buono e provvidente, signore onnipotente, giudice giusto e misericordioso; l’attenzione amorosa per l’umanità di Cristo, contemplato soprattutto nei misteri dell’infanzia (Gesù bambino), della passione (Gesù crocifisso, l’Ecce homo, il Volto Santo), del suo amore misericordioso (Sacro Cuore) e della sua presenza nascosta (il Santissimo Sacramento); la venerazione della Madonna; la devozione degli Angeli, il culto dei Santi visti dai fedeli come amici e intercessori del popolo di Dio; la preghiera per i defunti con la celebrazione di sante Messe di suffragio e le indulgenze per i defunti, nonché con la visita dei cimiteri.

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2. La situazione attuale Le numerose feste popolari organizzate nella nostra Regione hanno spesso purtroppo la parvenza del sacro. Per questo motivo esse, svuotate del loro contenuto cristiano, non rendono credibile la fede da parte dei lontani, mentre i giovani le rifiutano perché prive di ogni valore di autentica testimonianza cristiana e i poveri le giudicano più una provocazione che un annuncio gioioso della salvezza. Le stesse processioni frequentemente si risolvono in estenuanti maratone di questuanti che offendono il decoro e il sacro e non sono certo segno di una Chiesa peregrinante. In tale contesto bisogna recepire con tempestività l’istanza di una religiosità essenziale che rifugga da forme colorate e rumorose e che tenda ad una interiorizzazione del culto. Perché le feste religiose siano autentiche celebrazioni di fede incentrate nel mistero di Cristo e siano purificate da infiltrazioni profane riteniamo indifferibile un’azione pastorale che si proponga di vivere le manifestazioni esterne del culto popolare in modo che siano espressioni autentiche e comunitarie di fede; di formare, con una seria e puntuale catechesi, una sana opinione pubblica sul significato cristiano di questi riti collettivi; di purificare il culto popolare, spesso decaduto a sagra mondana e a fatto di folclore, dalle incrostazioni superstiziose che si sono sovrapposte. A tale scopo noi vescovi della Regione Ecclesiastica Campana a quanto sopra detto aggiungiamo alcune direttive pastorali che devono diventare norme operative per le nostre comunità ecclesiali riguardanti le feste religiose e le processioni – che sono di esclusiva competenza e autorizzazione dell’Autorità ecclesiastica che coinvolge, in genere, la Forza Pubblica locale per il necessario servizio di vigilanza e di sicurezza – i pellegrinaggi e i santuari. Altra cosa, invece, sono le feste popolari che nulla hanno di religioso e non sono riferibili all’Autorità ecclesiastica, perché attengono ad appositi comitati, a fatti storici e consuetudini locali, a motivazioni culturali o folcloristiche o turistiche. 3. Evangelizzare la pietà popolare Per superare le carenze e i difetti della pietà popolare, e perché i suoi valori non vadano dispersi, il Magistero e gli studiosi di teologia

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pastorale offrono preziosi indicazioni: - Evangelizzare la pietà popolare con un rapporto continuo e fecondo con la Parola di Dio. - Orientare la pietà popolare verso la liturgia, che è il “culmine verso cui tende tutta l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana la sua virtù”7. Liturgia e pietà popolare sono due espressioni legittime del culto cristiano. Ambedue hanno lo stesso scopo: la glorificazione di Dio e la santificazione dell’uomo. Non sono quindi da opporre ma neanche da equiparare “data la natura di gran lunga superiore della liturgia”8. Liturgia e pietà popolare perciò sono due espressioni cultuali da porre in mutuo e fecondo contatto. La liturgia dovrà costituire il punto di riferimento per incanalare con lucidità e prudenza gli aneliti di preghiera e di vita carismatica che si riscontrano nella pietà popolare mentre questa, con i suoi moduli simbolici ed espressivi, potrà fornire alla liturgia elementi e indicazioni per una valida inculturazione e stimoli per un efficace dinamismo creatore. - Superare il distacco tra culto e vita. Sia sulla liturgia sia sulla pietà popolare incombe il rischio di un distacco tra il momento cultuale e l’impegno di vita. Non sono rari i casi in cui persone che vivono notoriamente in situazioni gravemente lesive della giustizia e dei doveri familiari sono zelantissime nel partecipare a manifestazioni di pietà popolare: processioni, offerte votive, feste patronali, etc. La pietà popolare per comunicare con il soprannaturale cerca spesso il contatto immediato attraverso fenomeni straordinari – apparizioni, visioni, etc. – piuttosto che attraverso la fede; predilige illusorie scorciatoie invece della via maestra della croce; appare viziata dalla vana credulità che al serio impegno sostituisce il facile affidamento a pratiche solo esteriori e da una certa mentalità utilitaristica (lucrare indulgenze, ottenere grazie, assicurarsi l’ingresso in paradiso mediante l’osservanza di certe pratiche vissute peraltro al di fuori del loro contesto originario: i primi venerdì del mese, scapolare della Madonna del Carmine, medaglia miracolosa). 7

Sacrosanctum Concilium, 10. Ivi, 13.

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4. Le feste religiose e le processioni Desiderosi di aiutare le nostre Chiese a purificare, consolidare, elevare le feste religiose, a partire dalla riscoperta delle loro radici, in continuità con i nostri predecessori che nel 1973 emanarono precise direttive sul problema, confortati in questo dai numerosi interventi dottrinali dei Sommi Pontefici Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI STABILIAMO a.– Momento liturgico - celebrativo 1. Le feste sono momenti importanti della vita religiosa di una comunità. Il loro insieme costituisce il “santorale locale” che deve essere custodito con ogni cura e non può essere alterato nel suo equilibrio tradizionale. Ogni nuova festa necessita perciò di espressa autorizzazione dell’Ordinario. 2. La festa sia preparata con un “novenario” o “settenario” o “triduo” ben curati, dando ampio spazio all’ascolto della Parola di Dio per avvicinare con opportune catechesi anche i lontani al sacramento della Riconciliazione e all’adorazione eucaristica, secondo un programma preparato dal Consiglio Pastorale Parrocchiale. 3. Si concluda la preparazione con un gesto di solidarietà all’interno o anche fuori dei confini parrocchiali. b. Momento ludico – esterno Anche il momento ludico è un elemento importante della festa: non va trascurato! Non deve essere però prevalente e staccato dal momento religioso, al quale deve rimanere sempre subordinato. Non è concepibile infatti che una “festa religiosa”, che si qualifica quale pubblica manifestazione di fede, si riduca poi a manifestazione paganeggiante, con sperpero di denaro per il cantate famoso e per i fuochi artificiali. L’equilibrio dei due poli della festa - quello liturgicocelebrativo e quello ludico - è frutto di sapiente dosaggio, fatto “in loco” dal Consiglio Pastorale attingendo alle tradizioni culturali del luogo. Nell’organizzazione concreta il Consiglio Parrocchiale può avva-

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lersi di un Comitato esterno, di cui comunque devono far parte alcuni membri del Consiglio stesso. Ogni comitato va costituito secondo queste tassative norme: - sia sempre presieduto dal parroco che lo forma, chiamando a farne parte persone che si distinguono per impegno ecclesiale e onestà di vita; - non sia permanente, ma resti in carica per la sola celebrazione della festa, secondo il programma di massima preparato dal Consiglio Parrocchiale ed approvato dalla curia almeno un mese prima; - si impegni a rispettare le norme vigenti, sia canoniche che civili (SIAE secondo la convenzione stipulata dalla CEI ed altre tasse), e a redigere entro un mese il bilancio consuntivo della festa, che deve essere vistato dal Consiglio Affari Economici, il quale per l’occasione svolge il ruolo di Collegio dei Revisori dei conti; - le feste esterne siano celebrate nei giorni stabiliti dal calendario liturgico. E’ consentito conservare date tradizionali diverse, purché non coincidano con solennità che godono di assoluta precedenza (Pasqua, Ascensione, Pentecoste, Corpus Domini, SS. Trinità); - le Confraternite non possono organizzare feste, né possono costituirsi autonomamente in comitato senza l’autorizzazione del parroco, al quale compete la presidenza e la richiesta del nulla osta alla Curia. Le Confraternite inoltre sono tenute ad osservare le presenti norme e quindi devono anch’esse provvedere al rendiconto amministrativo nei termini stabiliti di un mese; - sono rigorosamente vietati spettacoli leggeri o di altro tipo, che non diano garanzia nei contenuti, nel linguaggio, nell’abbigliamento, nell’organizzazione per rispetto del decoro e della dignità che una festa religiosa richiede. Si preferiscano invece spettacoli folk, musica seria, di gruppi teatrali (meritevoli di riscoperta e di riproposta sono le “drammatizzazioni tradizionali della vita del santo), di giochi popolari che coinvolgono la gente del luogo e ne promuovono una migliore integrazione sociale: l’identità di un paese non si misura da una serata fantastica, ma dalla partecipazione attiva della gente ai festeggiamenti. - La processione è una espressione pubblica di fede. Perciò non è consentito lasciarla in balia dello spontaneismo, bensì occorre cu-

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rarla e guidarla in maniera tale che sia realmente una corale testimonianza dei genuini sentimenti religiosi della comunità. Pertanto:  Le processioni si possono tenere solo se c’è un concorso di popolo.  Il corteo, guidato dal sacerdote o da un diacono, sia organizzato in modo da favorire il raccoglimento e la preghiera.  Non è lecito attaccare denari alla statua che peraltro non può essere messa all’asta e trasportata dai migliori offerenti. Non è consentito ugualmente raccogliere offerte e fermare la processione mentre si sparano fuochi artificiali.  I comitati non possono in nessun modo interferire nella processione.  Secondo itinerari concordati con il Consiglio Pastorale Parrocchiale le processioni seguano le vie principali e siano di breve durata, contenute possibilmente nello spazio di due ore.  Parte delle offerte raccolte in occasione della festa sia riservata a gesti di carità e a rendere più belle le nostre chiese. 5. pellegrinaggi e santuari Il pellegrinaggio, esperienza religiosa universale, è un’ espressione tipica della pietà popolare, strettamente connessa con il santuario della cui vita costituisce una componente in dispensabile: il pellegrino ha bisogno del santuario e il santuario del pellegrino. Esso si configura come un cammino di conversione. La partenza sia opportunamente caratterizzata da un momento di preghiera nella chiesa parrocchiale oppure in un’altra più adatta. L’accoglienza dei pellegrini potrà dare luogo a una sorta di “liturgia della soglia” mentre la permanenza nel santuario costituirà il momento più intenso del pellegrinaggio e sarà caratterizzato dall’impegno di conversione, opportunamente ratificato dal sacramento della riconciliazione e dalla celebrazione eucaristica, culmine del pellegrinaggio stesso. Al termine i fedeli ringraziano Dio del dono del pellegrinaggio e chiederanno l’aiuto necessario per vivere con più generoso impegno, una volta tornati nelle loro case, la vocazione cristiana. Il santuario è un segno della presenza attiva, salvifica del Signore nella storia; è un luogo di sosta dove il popolo di Dio, pellegrinante

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nelle vie del mondo verso la Città futura, riprende vigore per proseguire il cammino. Pertanto: 1. I cortei diretti ai santuari che ostentano stendardi religiosi coperti di denaro o che trasportano, danzando, trofei votivi sono proibiti. Come proibite sono le manifestazioni di isterismo che profanano il luogo sacro e impediscono la devota e decorosa celebrazione della liturgia. 2. I punti vendita di “ricordi” non siano sistemati all’interno dell’aula liturgica e non abbiano l’apparenza di un mercato. 3. I santuari siano luoghi di evangelizzazione, di carità, di cultura e di impegno ecumenico, sensibile alla grave e urgente istanza dell’unità di tutti i credenti in Cristo, unico Signore e Salvatore. Conclusione Queste norme non vogliono essere una gabbia dove rinchiudervi la libertà e la spontaneità dei fedeli bensì qualificare la pastorale affinché sottolinei con forza la necessità che la nostra religione non può ridursi a qualche pratica esteriore ma deve incidere sul modo di pensare, di giudicare e di vivere dei cristiani. Infatti il pericolo più grave cui la pietà popolare va incontro è quella di restare un fatto esteriore e superficiale che non tocca l’uomo nel suo cuore e nella sua vita, un fatto legato cioè a particolari condizioni sociali e ambientali. Non a caso persone che nella propria parrocchia praticano la religione popolare, una volta fuori di tale ambiente per motivi di lavoro o di emigrazione, abbandonano ogni pratica religiosa. “La religione popolare può sopravvivere ai fenomeni dell’urbanesimo e dell’industrializzazione solo se, attraverso un’intensa opera di evangelizzazione, si correggono le deviazioni e si colmano le sue lacune”9. Mugnano del Cardinale, 18 febbraio 2013 I Vescovi della Conferenza Episcopale Campana 9

G. DE ROSA, La religione popolare, Edizioni Paoline, Roma 1981, p. 114.

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VESCOVO



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INCONTRO DI RIFLESSIONE E DIALOGO SUL BENE COMUNE Intervento di S.E. Mons. Antonio De Luca: “L’educazione alla cittadinanza responsabile. Il compito della comunità cristiana” Teggiano, 4 gennaio 2013

Il Magistero papale e conciliare (nel 50° anniversario dall'apertura del Vaticano II) e quello ecclesiale italiano ispirano e sostengono l'impegno e la proposta specifica che ho consegnato – attraverso gli Orientamenti pastorali – alla nostra Chiesa diocesana di Teggiano-Policastro all'inizio dell'anno pastorale nello scorso mese di settembre, proponendoli a tutti gli amati figli e figlie di questo territorio e che oggi vedo qui rappresentati mediante la partecipazione (numerosa) a questo Incontro dagli amministratori locali, i dirigenti scolastici e insegnanti, gli esponenti della società civile, professionale, politica e militare del nostro entroterra salernitano, dai sacerdoti, catechisti e gruppi di famiglie delle nostre comunità cristiane. A ciascuno di voi e agli illustri relatori (il dott. Pasquali e il prof. Cantelmi) va il mio sentito ringraziamento per essere stati qui oggi ad animare questo nostro incontro di riflessione e dialogo sul bene comune, istituito dal mio predecessore (mons. Angelo Spinillo) e da me fortemente desiderato e voluto, con l'intento specifico di approfondire quest'anno, nel solco del IV Convegno Ecclesiale di Verona (ottobre 2006) e sulla scia degli Orientamenti pastorali dell'Episcopato Italiano per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del Vangelo”, il compito e le responsabilità specifiche dell'educazione alla cittadinanza. A questo punto dei nostri lavori, non mi propongo di aggiungere un ulteriore contributo scientifico a quanto sapientemente i nostri illustri relatori ci hanno già riccamente offerto in questa mattinata di riflessione. Con un vivo senso di umiltà e consapevole dei doni di cui il Signore ha fecondato questa nostra comunità civile ed ecclesiale diocesana, attraverso le vostre persone qui radunate e le realtà sociali che rappresentate, e insieme a tutti coloro che sentono e vivono con dedizione ed entusiasmo l'appello al bene comune

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– vero principio e criterio orientatore alla vita buona di singoli e di gruppi – vorrei portare a maturazione qualche linea guida di natura pastorale per alimentare proposte significative e credibili che ravvivino con rinnovato slancio il campo vasto e complesso – sicuramente difficile, ma altresì affascinante – dell'educazione alla cittadinanza responsabile. Insieme ai vescovi italiani (e sostenuto dai contributi emersi in questa giornata) riconosco che “l'arte delicata e sublime dell'educazione” costituisce “una sfida culturale e un segno dei tempi, ma prima ancora una dimensione costitutiva e permanente della nostra missione di rendere Dio presente in questo mondo e di far sì che ogni uomo possa incontrarlo, scoprendo la forza trasformante del suo amore e della sua verità, in una vita nuova caratterizzata da tutto ciò che è bello, buono e vero”1. Il carattere di 'sfida' e insieme di 'segno dei tempi' attribuito all'educazione (tema portante del cammino ecclesiale in questo decennio) emerge con ancora maggiore consapevolezza nel momento in cui – secondo un'interpretazione attenta e leale – ciascuno nel proprio ambito di riferimento, riesce a cogliere l''urgenza' della sfida educativa, intesa come vera e propria 'emergenza educativa', in particolare quando ci rivolgiamo alle nuove generazioni e alla formazione permanente degli adulti2, tenendo altresì conto di diversi segnali di difficoltà e resistenze che l'educazione oggi deve affrontare, come lo scetticismo circa la possibilità e il valore stesso dell'educare, originato da un falso concetto di autonomia dell'uomo che esclude il riferimento fontale alla natura e alla Rivelazione3: mi riferisco al bisogno di porre oggi – nuovamente con forza – la questione del significato, i contenuti, le modalità e i luoghi fondamentali in cui l'esperienza educativa oggi avviene.., può avvenire.., deve avvenire, con le connesse responsabilità e compiti per svilupparla e favorirla al meglio delle potenzialità di ciascuno. Se l'esame della questione educativa è sufficientemente imparziale e profondo, non dovremmo avere difficoltà ad ammettere che “alla radice della crisi dell'educazione” – perché questa è la vera questione oggi – e io qui direi.. di ogni crisi – anche quella di natura culturale, morale e spirituale dei tempi presenti, non solo di quella economico e finanziaria esplosa nel 2008 negli Stati Uniti e rapidamente diffusasi nel resto del mondo occidentale, e divenuta poi crisi sistemica, globale – in ogni ambito del vivere personale e sociale “c'è infatti una crisi di fiducia nella vita”4 caratterizzata per molte persone e famiglie (anche della nostra diocesi) da preoccupazione, smarrimento, timore del futuro, rassegnazione, ecc.

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Lo vediamo anche sul piano umano e sociale. In Italia, se vogliamo limitarci al nostro contesto più immediato.. si è fermata la speranza e con essa la fiducia, lo slancio, la crescita, anche economica e politica.., più ampiamente, sociale.. Il “declino” di cui tanto si parla oggi nasce proprio da qui, da questa crisi e indebolimento della speranza.. Dinanzi a questo quadro, senza cedere né alla sfiducia, né alla rassegnazione, ciascuno per quanto gli compete nella comunità civile ed ecclesiale ha il dovere di annunciare e testimoniare che “«Anima dell’educazione, come dell'intera vita, può essere solo una speranza affidabile»”. La sua sorgente è Cristo risuscitato da morte. Dalla fede in lui nasce una grande speranza per l'uomo, per la sua vita, per la sua capacità di amare. In questo noi individuiamo il contributo specifico che dalla visione cristiana giunge all'educazione”5, e io direi.. anche nell'ambito dell'educazione alla cittadinanza responsabile, che stamattina abbiamo investigato in ampiezza e profondità. Proprio riferendomi a quest'ultimo ambito (quello della cittadinanza responsabile) in cui maturano e si sviluppano quelle relazioni fondamentali che, opportunamente costruite e sviluppate, aiutano a leggere, interpretare e orientare al bene – bene comune – quelle scelte di progettazione, di contenuti e di modalità che sostanziano l'educazione, mi permetto di individuare e consegnare a ciascuno di noi una parola 'forte' (perché non passi via senza essersi incisa nelle nostre coscienze), che indirizzo a tutte le categorie oggi qui presenti: la politica, la scuola, la società civile, le istituzioni, la comunità cristiana; penso in specie alle amate parrocchie e a chi nella comunità cristiana deve costituire “la prima e indispensabile comunità educante”6, vale a dire la famiglia (da sostenere opportunamente e da rendere “protagonista attiva dell'educazione non solo per i figli, ma per l'intera comunità”7), e al loro fianco penso ai catechisti chiamati a trasmettere non solo “i contenuti della fede, ma di educare la 'mentalità di fede', di iniziare alla vita ecclesiale, di integrare fede e vita”8. “Chi educa è sollecito verso una persona concreta, se ne fa carico con amore e premura costante, perché sboccino, nella libertà, tutte le sue potenzialità. Educare comporta [anche quando ci occupiamo di cittadinanza] la preoccupazione che siano formate in ciascuno l'intelligenza, la volontà e la capacità di amare, perché ogni individuo abbia il coraggio di decisioni definitive. Riecheggia in queste parole l'insegnamento del Concilio Vaticano II: «Ogni uomo ha il dovere di tener fermo il concetto della persona umana integrale, in cui eccellono i valori della intelligenza, della

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volontà, della coscienza e della fraternità, che sono fondati tutti in Dio Creatore e sono stati mirabilmente sanati ed elevati in Cristo»”9. Dovremo aver presente che solo “la cura del bene delle persone, nella prospettiva di un umanesimo integrale e trascendente” è capace di favorire “la specifica responsabilità di educare al gusto dell'autentica bellezza della vita, sia nell'orizzonte proprio della fede, che matura nel dono pasquale della vita nuova, sia come prospettiva pedagogica e culturale, aperta alle donne e agli uomini di qualsiasi religione e cultura, ai non credenti, agli agnostici e a quanti cercano Dio”10. Cari amici, ognuno di noi – senza differenza alcuna – si senta positivamente interpellato e si renda disponibile ad accogliere queste mie Conclusioni con animo aperto e generoso, lavorando insieme poi concretamente in ogni ambito del vissuto con spirito autenticamente cristiano. Questa Chiesa diocesana e la comunità cristiana che in essa vive.., accompagna e sostiene, vi accompagna e vi sostiene in tutto ciò che può facilitare e promuovere vita buona, bella e vera secondo il Vangelo, quel Vangelo che è il Signore Gesù, Maestro e pedagogo buono “che non cessa di educare a una umanità nuova e piena”11. Di tutto cuore vi ringrazio per la vostra presenza qui oggi e paternamente vi benedico. +Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro 1

Cei, Educare alla vita buona del Vangelo, Orientamenti pastorali dell'Episcopato Italiano per il decennio 2010-2020, Presentazione. 2 Il Santo Padre Benedetto XVI dice di essere “di fronte a una «grande “emergenza educativa”, confermata dagli insuc cessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita»” (Benedetto XVI, Lettera alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell'educazione, 21 gennaio 2008). 3 Id., Discorso di Sua Santità Benedetto XVI alla 61ªAssemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, 27 maggio 2010. 4 Id., Lettera alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell'educazione, n. 13. 5 Cei, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 5. 6 Ibid., n. 36. 7 Ibid., n. 38. Per approfondimenti in questo senso, vi rimando a quanto ho già rimarcato nella Lettera alle famiglie dello scorso aprile. 8 Ibid., n. 39. 9 Ibid., n. 5, riferendosi nella parte finale a: Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 61. 10 Ibid. 11 Ibid., Presentazione. Napoli, 26 novembre 2011.

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FESTA DI SANT’ANTONIO ABATE Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Vibonati, 17 Gennaio 2013 Carissimi amici, all'inizio di questa eucarestia nella festa di S.AntonioAbate abbiamo pregato così: O Dio, che hai ispirato a sant'Antonio abate di ritirarsi nel deserto, per servirti in un nuovo modello di vita cristiana, concedi anche a noi per sua intercessione di superare i nostri egoismi per amare te sopra ogni cosa. Questa preghiera liturgica ci offre degli spunti per comprendere la straordinaria figura di S. Antonio, ma è dalla Parola di Dio che voglio far emergere alcune riflessioni in questa festa. Oggi è risuonata la Parola di Dio che in modo tutto particolare traccia l'esistenza di S.Antonio e ci da la possibilità di entrare nella spiritualità di quest'uomo e scoprire l'assoluto primato di Dio a partire proprio dal Vangelo che abbiamo ascoltato: Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi e dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi. Davanti all'urgenza e all'irruzione del Regno non ci possono essere tentennamenti; al cuore dell'uomo assetato di autenticità non ci possono essere altre indicazioni: osservanza dei comandamenti e povertà volontaria. Gesù propone a questo giovane ricco due tappe da percorrere consecutivamente e non alternativamente per entrare nella vita, Regno di Dio, alla sua sequela: comandamenti e povertà volontaria. Il giovane si avvicina a Gesù e a lui chiede cosa fare, come comportarsi per entrare nella vita eterna e Gesù risponde elencando alcuni comandamenti, richiamando specialmente quelli che riguardano il prossimo, da amare come se stessi. Il giovane risponde che questo egli già lo fa, chiede di più, un perfezionamento della risposta dell'uomo a Dio che interpella, ed è a questo punto che Gesù propone: se vuoi essere perfetto, se vuoi fare centro, se vuoi andare fino in fondo, va vendi tutto poi vieni e seguimi. È il cammino della vita cristiana, è la riuscita dell'esistenza che intende mettere Dio al primo posto, è la risposta all'invito che Gesù fa in un altro passo dello stesso Vangelo di Matteo: Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt. 5,48).

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Proposta esaltante perché radicale, alla quale quel giovane non risponde, si spegne l'entusiasmo della ricerca, rimane turbato e sconvolto dall'assurdità della risposta, un prezzo eccessivo da pagare. Quel giovane si fece scuro in volto, si è spenta la luminosità accesa dalla bellezza della ricerca. In effetti ci sono casi in cui Dio chiede molto e la differenza tra santi e mediocri sta nella risposta affermativa a questa richiesta esosa. Troppo spesso, infatti, nella vita dell'uomo interviene un senso di accomodante rifiuto di progredire, di fare passi avanti, di essere impegnati in una ricerca entusiasmante, ci si accontenta di quello che si ha senza andare a impigliarsi nella rete infida di un di più: mediocrità, che non si sposa con santità, perché termini antitetici, impossibili da declinare insieme, il santo non può essere mediocre perché egli rischia con Dio, si compromette con Dio, risponde affermativamente a Dio che chiede ciò che al mediocre risulta essere impossibile da vivere. Il mediocre non lo salva neanche l'osservanza esterna dei comandamenti e della pratica religiosa, perché il cuore e la mente rimangono avvolti nel benessere effimero del momento; la ricchezza ha chiuso cuore, mente, futuro di quel giovane, gli ha impedito di spiccare il volo, non gli ha permesso di seguire la luce della vita. Colui che scrive queste pagine di Vangelo aveva fatto la stessa esperienza di quel giovane, anche Levi-Matteo, ad un certo punto della sua vita disordinata, aveva incontrato il Cristo e, pur non avendo richiesto nulla a quel Rabbì, si sente rivolgere lo stesso invito: Seguimi! Il finale è diverso, si fa strada nel cuore del pubblico peccatore la certezza di aver trovato la risposta a tante sue domande forse inespresse, l'incontro cambia tutto. Questa pagina evangelica ci insegna una cosa molto semplice, ma non sempre chiara: punto di svolta di ogni esistenza è seguire Gesù Cristo ed un impedimento alla realizzazione di ciò è la possessione che il danaro esercita spesso sull'uomo, spesso non è l'uomo a possedere i beni, ma i beni possiedono e determinano la vita dell'uomo. S. Antonio ci insegna che a partire da questa Parola di Gesù la vita può cambiare, come è successo a lui, diventare poveri perché la sequela sia autentica; c'è un altro tipo di povertà, irrinunciabile per ogni cristiano che abbia abbondanza o scarsità di beni materiali, è la povertà di spirito che fa condividere con gli altri il molto o il poco di cui si dispone. S.Antonio diventa per noi un insegnamento vivo e un testimone credibile del Signore Gesù, da lui seguito, amato, servito e soprattutto egli ci parla

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di un valore, che oggi stiamo riscoprendo perché costretti dagli eventi: la essenzialità, della sobrietà, della condivisione. Ricordo con vivo piacere che all'indomani della mia consacrazione episcopale, nel gennaio dello scorso anno, fui contattato da Don Elia per rivolgermi a voi tutti attraverso un messaggio in occasione della Festa di S. Antonio, nostro Patrono. A distanza di un anno ho la grazia di essere con voi e constatare di persona il vostro amore e il vostro affetto per S. Antonio che, più che nell'aspetto esteriore della festa, deve manifestarsi nel seguirne gli esempi e così raggiungere la santità.

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LETTERA PASTORALE PER L’ANNO DELLA FEDE Questa è la nostra Fede! Carissimi Cristiani, amati Sacerdoti, cari Religiosi e Religiose, Diaconi, Seminaristi e Popolo santo di Dio, «Noi rendiamo grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, continuamente pregando per voi, avendo avuto notizie della vostra fede in Cristo…» (Col 1,3-4). Giunga a ciascuno il mio cordiale saluto di pace nel Signore Gesù Cristo, accompagnato dalla incessante lode a Lui per il dono che voi tutti siete per me. A nome della Chiesa diocesana di Teggiano-Policastro vi annuncio con grande gioia che è Gesù – nato, morto e risorto «per noi uomini e per la nostra salvezza»1 – la nostra ferma speranza; è Lui, il Figlio di Dio e Signore 2 della nostra storia, l'unico Salvatore di tutti e di ciascuno . Questa verità basilare è possibile, ed è possibile accoglierla, interiorizzarla e testimoniarla – perché diventi la ragion d'essere della nostra esistenza – a motivo della comune fede cristiana, che alle attese e alle speranze, alle difficoltà e alle trepidazioni del nostro tempo risponde oggi e sempre con la parola dell'apostolo Paolo: chiunque crede in Gesù di Nazaret, vale a dire, si fida, si affida e confida in Lui e nel suo santo nome, «non sarà deluso» (Rm 10,11). Il cuore di ogni persona, ogni condizione umana, la realtà intera, attingono da questa consapevolezza, liberamente accolta e responsabilmente esercitata, la pienezza di verità e di grazia che tutto illumina, tutto salva, tutto trasfigura. Questo è opera della nostra fede, la fede della Chiesa, di ciascuno e di tutto il popolo santo di Dio che vive in questa Chiesa particolare, ed è su questa fede e su ciò che essa è capace di operare in noi e in tutti che vorrei ora trasmettervi quello che a mia volta ho ricevuto, il fondamento della nostra fede cristiana, e indirizzare così il cammino delle nostre comunità: «che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15, 3-5). 1. Una Lettera Pastorale per l'Anno della fede che trova l'occasione nell'imminente inizio della Santa Quaresima, tempo favorevole per verificare la qualità umana e cristiana della nostra vita, riconoscendo il pri-

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mato di Dio nei diversi ambiti di essa e, di conseguenza, orientandola con decisione a Lui, principalmente nelle mentalità, nei comportamenti, negli stili di vita di ogni giorno, nelle stesse pratiche della nostra vita di fede. Da qui il bisogno di (ri)conoscere chiaramente chi siamo, ciò che vogliamo essere e fare e ciò che dobbiamo rifiutare: salvati per grazia «mediante la fede» (Ef 2,8), dobbiamo divenire maggiormente consapevoli di promuovere una continua conversione del cuore per renderlo più simile al progetto di amore di Dio su di noi. San Pietro Crisologo (fine IV secolo – 450 d.C.) in un suo Discorso suggerisce come vivere la Quaresima: «Tre sono le cose... o fratelli, per cui sta salda la fede, perdura la devozione, resta la virtù: la preghiera, il digiuno, la misericordia… Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola, e ricevono vita l'una dall'altra. Il digiuno è l'anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna, abbia misericordia»3. La vera Quaresima è (ri)scoprire e vivere seriamente la preghiera, il digiuno e la carità fraterna. Il tempo che stiamo vivendo, da tanti considerato di 'crisi' – economica e sociale, ma primariamente di natura culturale e morale – in cui si registra la mancanza di prospettive storiche chiare e condivise, non deve far addormentare le nostre coscienze chiudendoci in noi stessi e nei nostri egoismi individuali, corporativi e collettivi. Se, in altre parole, quotidianamente facciamo esperienza di debolezze e difficoltà, reticenze e incertezze, pigrizie e ritardi che rallentano il nostro cammino nella fedeltà al dono di Dio – presenza di quel 'mistero del male e del peccato' che si insinua anche nella nostra vita – d'altra parte, questi quaranta giorni devono divenire per noi un vero tempo di grazia, donato da Dio all'uomo perché lo riconosca e viva nella certezza che Lui solo può liberarci e riscattarci in pienezza (cfr: Pr 24,11; Dn 6,28) da tutto ciò che ci impedisce di compiere e dare significato autentico alla nostra storia, personale e sociale. Nella complessità delle vicende umane, la luce della Pasqua e il 'mistero della redenzione' di Gesù Cristo, che si staglia al nostro orizzonte come la meta del nostro cammino, ci aiuti a cogliere e raccordare in unità le speranze terrene e quelle più piene e definitive della nostra umanità, che danno luce e sapore all'esistenza nella sua integralità4

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Mettiamoci allora alla scuola del Maestro e della sua pedagogia divina e 6 lasciamoci illuminare e orientare dalla forza dell'Annuncio cristiano , il kerigma, su cui come Chiesa diocesana in questo anno pastorale abbiamo voluto concentrare la priorità della nostra attenzione, al fine di suscitare – come evidenzia Papa Benedetto XVI nell'indire l'Anno della fede e come ho ripreso negli Orientamenti pastorali diocesani – «in ogni credente l'aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza»7, soffermandomi altresì sulle modalità specifiche con cui attuare questo programma in ogni ambito della vita (affettività, lavoro e festa, fragilità umana, tradizione, cittadinanza)8. 2. Il titolo della Lettera pastorale rinvia al Battesimo, porta della fede. Mi è parso particolarmente significativo attingere dal rito del Battesimo l'ispirazione di questo Messaggio: “Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. E noi ci gloriamo di professarla, in Cristo Gesù nostro Signore.”9. Nel contesto liturgico la formula ha un tono esemplificativo e dichiarativo. Tutta l'assemblea dopo aver rinunciato al male e aver espresso la propria alleanza al bene, al Sommo Bene, alla Trinità Santa e alla Chiesa con una formula pubblica e solenne, mentre accoglie i nuovi battezzati, fa anche memoria del percorso della vita nuova in Cristo. Si tratta di una dichiarazione, ma anche di una indicazione: ciò che il battezzato è, e ciò che è chiamato ad essere con una risposta di fede generosa e fedele – modalità questa che nel corso del tempo non sempre viene vissuta con il vigore e la forza dirompente che le appartiene. È frequente rilevare, infatti, che per tanti battezzati la fede diventa superficiale, anche estranea, persino inutile; da qui allora l'importanza e l'urgenza di favorire un necessario rinnovamento interiore ed esistenziale, che in questo periodo quaresimale trova la sua collocazione quanto mai opportuna e feconda. «Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (cfr Mt 5,13-16).Anche l'uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente zampillante di acqua viva (cfr Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli (cfr Gv 6,51). L'insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza: “Datevi da

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fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna” (Gv 6,27). L'interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Gesù: “Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza»10. 3. Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. L'atteggiamento esistenziale è l'azione più responsabile che l'uomo possa compiere, ossia l'agire più pieno con cui si esprime e valorizza in profondità la propria e altrui libertà, è la decisione credente della fede11. La fede cristiana basa tutta la propria esistenza su un fondamento saldo e sicuro12 costituito dall'incontro personale – da cui la comunione – con Gesù nella comunità ecclesiale, dove si ascolta e si vive la sua Parola di verità (cfr: Gc 1,18; Col 1,5). Nel riflettere sull'atto di fede e sul rapporto grazia di Dio e umana libertà, l'Insegnamento della Chiesa Cattolica – basandosi sulla Sacra Scrittura e la viva Tradizione – sottolinea il primato della grazia divina rispetto alla decisione dell'uomo che crede: la fede è prioritariamente un dono consegnato a ciascuno. Infatti, l'inizio della fede è suscitato da Dio, e l'insopprimibile sete e nostalgia del trascendente è posta nel cuore dell'uomo e fa parte dell'atto creatore di Dio. Questo primo necessario movimento richiede però che si esprima e si sviluppi anche la libera e responsabile risposta dell'uomo e il coinvolgimento maturo della sua libertà: dono e risposta accogliente si declinano insieme. L'icona biblica che continua a guidare il nostro percorso pastorale di quest'anno è tratta dal Vangelo di Giovanni: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1, 37-39)13. Il desiderio innato di cercare e conoscere Dio è connaturale ad ogni uomo, ma non deve fermarsi alla soglia della curiosità o della generica informazione. La fede non è una teoria, il Santo Padre Benedetto XVI scrive: «All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva... Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10), l'amore adesso non è più solo un “comanda-

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mento”, ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro»14. Così esplicitato, possiamo comprendere il progressivo snodarsi del racconto evangelico di cui sopra: i discepoli domandano a Gesù, lo ascoltano, decidono di restare con Lui e ne annunciano il mistero ai fratelli (cfr. Col 4,3; Ef 3,8). Ogni percorso di fede deve indirizzare ad una personale decisione di vivere una significativa esperienza di Dio, ma è altresì determinante la risoluta volontà di lasciarsi trasfigurare dall'incontro con il Maestro. L'incontro con Gesù è finalizzato all'incontro con Dio: «Egli vive al cospetto di Dio, non solo come amico ma come Figlio, in profonda unità con il Padre… Chi vede Gesù vede il Padre (cfr Gv 14,9). Il discepolo che segue Gesù viene in questo modo coinvolto insieme con Lui nella comunione con Dio. Ed è questo che davvero salva»15. Un cuore disponibile alla fede si lascia anche invadere dal «frutto dello Spirito» (Gal 5,22), ossia, la carità: ecco perché «il principale atteggiamento distintivo dei cristiani» è «proprio “l'amore fondato sulla fede e da essa plasmato”»16. La fede è dunque lasciarsi condurre da Dio alla sincera ricerca del suo volto, che in Gesù di Nazareth diventa storia di redenzione e con l'effusione del suo Spirito ci permette di chiamare Dio con il nome di Padre (cfr: Gal 4,6; Rm 8,15) e di scorgere nei fratelli il volto stesso di Gesù (cfr, Mt 25, 31-46). Questa è la nostra fede! Lasciarsi guidare da un interrogativo: 'Maestro, dove abiti?'; acconsentire ad un invito: 'venite e vedrete!' e restare profondamente uniti a Gesù, il Signore, perché innamorati di lui! Decliniamo ora l'annuncio fondamentale della fede riferendoci alle dimensioni principali che scaturiscono dal suo nucleo centrale e secondo quell'articolazione che ne sviluppa gli aspetti essenziali: fede creduta (lex credendi), fede celebrata e pregata (lex orandi), fede vissuta (lex vivendi)17. 4. Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. E noi ci gloriamo di annunciarla, professandola in Cristo Gesù nostro Signore. La fe18 de ci fa annunciare la «verità dell'amore di Cristo» , conoscendo e professando le sue primarie verità, il cui oggetto consiste nel credere in Dio creatore, Uno e Trino, e nel suo disegno salvifico (cfr Simbolo della fede/Credo/Professione di fede), raccontando le meraviglie di grazia da Lui compiute. Per favorire questa opera, abbiamo bisogno di (ri)portare

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al centro del nostro cammino di Chiesa la Parola di Dio, lampada e guida sicura alla nostra storia (cfr Sal 119,105), perché, rispetto alle opacità e smarrimenti, prevalga l'annuncio di quella via sicura, di quella verità reale, di quella vita autentica che da essa promana. «Per mezzo nostro è Dio stesso che esorta» (2Cor 5, 20): lasciamoci (ri)conciliare con Dio! E' questo il momento favorevole in cui l'evangelizzazione (se si preferisce, nuova evangelizzazione), come annuncio della 'buona notizia' dell'amore del Padre, che si è rivelato nella storia di Gesù, diventi la gioiosa missione di ogni credente e delle singole comunità in cui viviamo19. Ciascuno si renda disponibile «con cuore integro e buono» (Lc 8,15) all'ascolto obbediente e all'annuncio fedele e perseverante del Vangelo! A cinquant'anni dall'apertura del Concilio Vaticano II e a vent'anni dalla promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (documenti che attendono ancora una ricezione piena nei nostri contesti ecclesiali), abbiamo bisogno di rimotivare le ragioni della nostra fede per un ruolo responsabile e costruttivo nella società. È necessario allora che l'azione pastorale parrocchiale, foraniale, diocesana, modelli forme e luoghi opportuni, in modo che nella Chiesa ogni persona possa incontrare il Signore in termini personali e comunitari per conoscerlo e seguirlo in un cammino spirituale e formativo-culturale lineare, esauriente, che raggiunga tutti: in particolare penso all'educazione alla vita cristiana compiuta, ma ancora da compiere, nelle nostre parrocchie e alle giovani generazioni, con una rinnovata attenzione agli adulti e alla sinergia da favorire con tutti i soggetti che nella società hanno a cuore l'impresa educativa (famiglia, scuola, istituzioni, ecc.)20. 5. Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. E noi ci gloriamo di annunciarla, celebrandola e pregandola in Cristo Gesù nostro Signore. La fede ci fa annunciare la 'verità dell'amore di Cristo', celebrandolo e pregandolo nelle azioni liturgiche, per essere da Lui santificati nella vita sacramentale, nell'attesa della venuta del suo Regno e dell'incontro faccia a faccia con Lui. Il cuore dell'uomo resta perciò il centro e il riferimento di ogni attenzione pastorale: è in esso che è custodita, per il cristiano, la ricchezza di vita dei sacramenti – in specie quelli dell'iniziazione cristiana (battesimo, confermazione, eucaristia) – anche se, di frequente, viene vissuto come tesoro trascurato o poco influente nelle decisioni quo-

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tidiane. E' nei sacramenti che si fonda, si edifica e si realizza la nostra identità cristiana; è in essi che la Chiesa ritrova continuamente la verità della sua natura: nell'amore di Cristo che si esprime nell'offerta sacrificale di sé (cfr Eb 10, 10.14) e nella comunione alla sua vita donata cui chiama l'umanità intera. E' questa partecipazione alla vita stessa di Cristo che, presente nella liturgia, attua l'opera di salvezza propria della Chiesa21. «La fede e i Sacramenti sono due aspetti complementari della vita ecclesiale. Suscitata dall'annuncio della Parola di Dio, la fede è nutrita e cresce nell'incontro di grazia col Signore risorto che si realizza nei Sacramenti: “La fede si esprime nel rito e il rito rafforza e fortifica la fede”»22. Il mistero cristiano inoltre fonda la nostra preghiera, la cui espressione privilegiata è il Padre Nostro, e costituisce l'oggetto della nostra lode, della nostra supplica, della nostra intercessione: viene così trasformata e arricchita la coscienza di colui/coloro che prega/no, facendoci crescere nella fede. La preghiera degli apostoli diventi la nostra preghiera: «“Accresci in noi la fede!”» (Lc 17, 6). Secondo i destinatari e le differenti situazioni culturali di riferimento, per promuovere una fede più convinta, più autentica, più ardente, invito a (ri)svegliare ed accrescere nei credenti l'educazione al vero spirito liturgico-sacramentale, che porti a migliorare la cura delle celebrazioni e la crescita nella pratica dei fedeli, e ne informi consapevolmente tutta la loro vita. L'importanza primordiale della liturgia non deve portare a sminuire la rilevanza della pietà popolare, che però va purificata, perché rettamente guidata possa divenire esperienza concreta delle nostre comunità23. Ciò che vale per i presbiteri: «Renditi conto di ciò che farai, vivi il mistero che è posto nelle tue mani e sii imitatore di Cristo immolato per noi»24, vale per ogni credente. Tutto questo rende ancora più necessario comprendere e vivere con maturità il significato di quanto sperimentiamo nel contesto celebrativo. 6. Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. E noi ci gloriamo di annunciarla, testimoniandola in Cristo Gesù nostro Signore. La fede ci fa annunciare la 'verità dell'amore di Cristo', vivendola in forma testimoniale nelle piccole e grandi relazioni di ogni giorno, per illuminare e sostenere i figli di Dio nel loro agire. Professando la verità su Cristo e accostandoci ai sacramenti della fede – in primo luogo all'Eucaristia

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– condividiamo nella comunità civile ed ecclesiale il progetto di vita che da essi scaturisce, aprendoci alla fraternità reciproca che si concretizza nell'amare Dio con tutto se stessi e il prossimo come se stessi (cfr: Mt 22, 37; Mc 12, 30-31; Lc 10, 27). Invito la comunità diocesana a vivere, attraverso un annuncio autentico, la comunione di vita con Dio e con i fratelli, a comporre in modo articolato e coerente la propria testimonianza cristiana, ad attingere alla luce della fede progettualità pastorale e imprimere nella vita delle singole comunità parrocchiali, dei gruppi e delle associazioni ecclesiali, la consapevolezza e l'incisività della missione 25. San Giovanni Crisostomo (circa 350 – 407 d.C.), in una delle sue splendide Omelie, pone l'amore verso il prossimo come prova dell'autenticità della fede, e afferma: “L'elemosina purifica dal peccato..., è più grande del sacrificio..., apre i cieli. Essa è più necessaria della verginità; così infatti quelle [le vergini stolte] furono scacciate dalla sala delle nozze; mentre le altre [le vergini prudenti] vi furono ammesse. Consapevoli di tutto ciò, seminiamo generosamente per mietere con maggiore abbondanza e conseguire i beni futuri”26. Alle tradizionali povertà e forme di emarginazione, a cui da sempre va l'attenzione della comunità cristiana, è necessario, a cominciare dalle nostre parrocchie, in particolare in questa fase di difficoltà sociale, con stile di prossimità cristiana, annunciare la vicinanza di Cristo e della Chiesa, ad esempio, alle famiglie in difficoltà, ai giovani alla ricerca di una realizzazione umana e professionale, ai lavoratori in crisi occupazionale, ecc., consapevoli che certo non saremo in grado di fornire soluzioni primariamente concrete, ma vivremo fianco a fianco con quella solidarietà fraterna radicata nell'annuncio testimoniante di Cristo, “principale forza propulsiva”, da cui si può e si deve (ri)partire per favorire “il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera”27. Indicazioni operative Carissimi, permettetemi di offrirvi alcuni suggerimenti per la traduzione operativa di questa Lettera pastorale. 7. La fede è un percorso personale • È necessario in primo luogo riscoprire: la preghiera, la richiesta di aiuto al Signore, la forza di compiere rettamente i propri impegni. • Sforzarsi di racchiudere ogni azione tra una invocazione e un ringra-

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ziamento: sono dimensioni fondamentali della vita cristiana. • Valorizzare durante il giorno: la visita al SS. Sacramento, la preghiera del santo Rosario anche quando si è in viaggio, quando si è in attesa e/o si stanno svolgendo le ordinarie incombenze, e nei tempi di silenzio che vanno decisamente ricercati e ricreati. • La domenica è il giorno del Signore e della Comunità ed è il tempo per l'uomo e la famiglia. La partecipazione all'Eucaristia festiva genera e alimenta la fede. • La confessione/penitenza traccia senz'altro il migliore itinerario di conversione personale. Bisogna riscoprirla e viverla con disponibilità spirituale. • Esorto soprattutto a vivificare la propria fede con il tempo dedicato settimanalmente ad incontrare le persone più 'provate' della vita, tra cui gli ammalati, emarginati, anziani, persone sole e in difficoltà: «Secondo il modello offerto dalla parabola del buon Samaritano [cfr Lc 10, 25-37], la carità cristiana è dapprima semplicemente la risposta a ciò che, in una determinata situazione, costituisce la necessità immediata: gli affamati devono essere saziati, i nudi vestiti, i malati curati in vista della guarigione, i carcerati visitati, ecc.»28. 8. La fede è un percorso comunitario È auspicabile che in quest'Anno della fede: • si riscoprano e si valorizzino nella Celebrazione domenicale il Rito per l'aspersione dell'acqua benedetta (Messale Romano, pagg. 10311036) e il Rinnovo delle promesse battesimali (Messale Romano, pagg. 180-181) concludendo opportunamente con l'acclamazione proposta dal Rito del Battesimo (pag. 65): “Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. E noi ci gloriamo di professarla, in Cristo Gesù nostro Signore. Amen.”. • Si diffonda ulteriormente la preghiera della Liturgia delle Ore (soprattutto Lodi mattutine e Vespri), anche inserita nella celebrazione Eucaristica; si dia spazio alla preghiera di Compieta. Tutto ciò ci spinge a comprendere e spiegare il significato dei Salmi e la loro preziosa e benefica azione spirituale sull'animo umano. • In qualche momento dell'Anno liturgico o in occasione delle vigilie delle feste patronali perché non sperimentare l'adorazione eucaristica prolungata in alcune ore della notte e dell'alba?

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• Nei gruppi, nelle assemblee di preghiera, si diffonda la pratica della lectio divina in maniera semplice, popolare e alla portata di tutti: “lectio”, che cosa dice il testo in sé; -“meditatio”, che cosa dice il testo a me e a noi; -“oratio”, che cosa io dico al Signore che mi parla nel testo; -“actio” e “contemplatio”, che cosa farò come frutto di questo incontro con la Parola del Signore. L'Anno della fede ci coinvolga in un percorso di rivitalizzazione non solo dei contenuti della fede (Catechismo della Chiesa Cattolica, approfondimento della formula del Credo), ma sia anche un'occasione privilegiata per rafforzare l'annuncio cristiano con le missioni al popolo e rinvigorire la carità attraverso il necessario collegamento con la Caritas diocesana e – per quanto possibile, là dove manca – far sorgere la Caritas foraniale. È impressionante il numero di persone e famiglie che quotidianamente si rivolgono alle nostre comunità per un aiuto e un sostegno: «Nella considerazione dei problemi dello sviluppo, non si può non mettere in evidenza il nesso diretto tra povertà e disoccupazione. I poveri in molti casi sono il risultato della violazione della dignità del lavoro umano, sia perché ne vengono limitate le possibilità (disoccupazione, sotto-occupazione), sia perché vengono svalutati “i diritti che da esso scaturiscono, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona, del lavoratore e della sua famiglia”»29. 9. Iniziative a livello diocesano • Pellegrinaggio diocesano a Roma ad Petri sedem: Mercoledì, 10Aprile 2013; • È necessario porre particolare impegno nell'accoglienza della proposta formativa che viene offerta attraverso la Scuola del Vangelo a tutti coloro che desiderano approfondire la fede cristiana e svolgere un servizio nelle nostre comunità (catechisti, ministri straordinari della comunione, operatori pastorali degli oratori, dei gruppi, movimenti ed associazioni, sposi e laici impegnati). • Esercizi spirituali per i presbiteri sul tema: “Alla sequela di Gesù, Verbo della vita”. Le meditazioni saranno dettate da Mons. Ignazio Schinella (docente di Teologia morale, PFTIM di Napoli) presso l'Hotel Torre Oliva di Policastro dall'11 al 15 marzo 2013. • Lectio divina foraniale;

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• Pellegrinaggio dei giovani sacerdoti nella settimana in albis; • Due Celebrazioni diocesane del Sacramento della Confermazione: il 18 Maggio a Sala Consilina e il 19 maggio a Sapri; • Pellegrinaggio diocesano al Santuario Mariano di Pompei nel mese di ottobre 2013; • Giornata regionale di santificazione sacerdotale, l'11 Giugno 2013 a Pompei. «In concreto… la nostra Diocesi di Teggiano-Policastro con la celebrazione… dell'Anno della fede varca la porta della Cattedrale e delle chiese parrocchiali volendo confessare la fede in Cristo e fare anche della nostra Chiesa particolare una casa e scuola di comunione. Spalancare le porte a Cristo, in concreto, significherà per noi vivere il prossimo triennio pastorale 2012-2015 come opportunità per rilanciare una nuova evangelizzazione del territorio diocesano nella prospettiva della fede annunciata, celebrata, vissuta… La complessità del-l'azione educativa ci sollecita ad adoperarci in ogni modo per l'annuncio della fede, dum omni modo Christus adnuntietur (Fil 1, 18) e ci spinge ad adoperarci «affinché si realizzi “un'alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale”. Fede, cultura ed educazione interagiscono, ponendo in rapporto dinamico e costruttivo le varie dimensioni della vita»30. Conclusione La dichiarazione “Questa è la nostra fede” per noi, cari Presbiteri, significa dare vitalità ed entusiasmo alla comunione e al senso di appartenenza. L'Anno liturgico deve scandire i tempi e i percorsi pastorali delle nostre comunità. L'attenzione alla (ri)composizione degli organismi di partecipazione e comunione ci aiuta a guardare con stima e rispetto i laici. «I sacerdoti potranno dedicare maggior attenzione allo studio dei Documenti del Concilio Vaticano II e del Catechismo della Chiesa Cattolica, traendone frutto per la pastorale parrocchiale – la catechesi, la predicazione, la preparazione ai sacramenti – e proponendo cicli di omelie sulla fede»31. Questa è la nostra fede: per gli operatori pastorali deve significare riscoperta e adesione adulta e convinta ai contenuti solidi delle fede cristiana, rinnovando i metodi del comunicare e le modalità dell'annunciare la fede. Il recente Sinodo dei Vescovi su La nuova evangelizzazione per

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la trasmissione della fede cristiana ha richiamato con forza, esortandoci alla responsabilità di testimoniare e annunciare la fede, con coraggio, serenità e fiducia, a tutti e in particolare alle nuove generazioni: «Ovunque infatti si sente il bisogno di ravvivare una fede che rischia di oscurarsi in contesti culturali che ne ostacolano il radicamento personale e la presenza sociale, la chiarezza dei contenuti e i frutti coerenti»32. Questa è la nostra fede: per i giovani del nostro territorio significa non accontentarsi di assimilare consuetudini e mentalità che, seppur hanno garantito la trasmissione di tradizioni encomiabili e significative, devono stimolare ad una più personale e convinta adesione al Vangelo di Gesù Cristo. La fede comporta un necessario cammino di conoscenza e di esperienza approfondita del mistero di amore di Dio. Il Santo Padre Benedetto XVI scrivendo ai giovani ribadisce: «Auspico che i giovani, in mezzo a tante proposte superficiali ed effimere, sappiano coltivare l'attrazione verso i valori, le mete alte, le scelte radicali, per un servizio agli altri sulle orme di Gesù. Cari giovani, non abbiate paura di seguirlo e di percorrere le vie esigenti e coraggiose della carità e dell'impegno generoso!»33. In modo specifico la fede deve allontanare il rischio di rendere Dio estraneo al mondo, o peggio ridurlo ad illusione per l'uomo: questo equivarrebbe al naufragio di ogni umanesimo, vanificazione del futuro e della speranza stessa. Questa è la nostra fede: per le comunità di vita religiosa significa riscoperta della vita fraterna in comunità con una speciale attenzione alla persona. «Siate testimoni e annunciatori della fede con la qualità della vostra vita spirituale, della vostra vita comunitaria e del vostro servizio al prossimo… Siete chiamati – soprattutto coloro che operano coi giovani e nell'educazione – a integrare profondamente e dinamicamente la preoccupazione evangelizzatrice e la preoccupazione educativa»34. Non di minor conto è la ricchezza della missione che nasce dallo specifico carisma di ogni Congregazione. Intraprendo in questi giorni la visita fraterna a tutte le comunità religiose per aiutare, incoraggiare, sostenere e ringraziare per la loro presenza nella nostra Chiesa diocesana. Questa è la nostra fede: per tutte le famiglie provoca l'assunzione di una rinnovata responsabilità educativa capace di suggerire e indicare 'visioni della vita' e prospettive del mondo e della storia abitate da Dio. Solo un ambiente familiare dove si vive l'esperienza dell'accoglienza, del perdono e della vicendevole comprensione, ha anche la garanzia del futuro di

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Dio. Questa è la nostra fede: significa per tutti fare spazio alla profezia, alla testimonianza e al coraggioso impegno per un annuncio che salva! Preghiera per l'Anno della fede O Dio, Padre del Signore Gesù Cristo, effondi il tuo Spirito e illumina le nostre menti. Aumenta la nostra fede con una personale adesione al Vangelo e frutti coerenti di vita. Facci essere ‘germe di nuova umanità’. Dilata gli orizzonti del cuore con il dono della carità che vivifica la verità. Rendi operosa la speranza per edificare la civiltà dell’amore. O Vergine Maria, Donna fedele, Madre credente, Sorella accogliente, aiutaci a riporre la nostra fiducia nella Santa Trinità, nella divina volontà, disponibili a ripetere quotidianamente: questa è la nostra fede! Amen. Con questa intrepida e certa speranza nel cuore vi affido questa Lettera pastorale e la Preghiera per l'Anno della fede, che vorrei ripetessimo nelle nostre assemblee in ogni Celebrazione, al termine dell'orazione dopo la comunione e prima della benedizione. Abbraccio paternamente ciascuno di voi e di cuore vi benedico, augurando a tutti una santa Quaresima! 17 Febbraio 2013 I Domenica di Quaresima

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1 CONC. DI NICEAI, Symbolum Nicaenum, in H. DENZINGER, Enchiridion Symbolorum, a cura di P. HÜNERMANN, EDB, Bologna 2003, n. 125. 2 Cfr CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus, 6 agosto 2000, n. 13. 3 SAN PIETRO CRISOLOGO, Discorso 43, in PL 52, 320. 4 Esprimono bene questa realtà, le parole di seguito riportate: «Il mondo che [il Concilio] ha presente è quello degli uomini… il mondo che i cristiani credono creato e conservato nell'esistenza dall'amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma dal Cristo crocifisso e risorto, con la sconfitta del Maligno, liberato e destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento» (CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, n. 2). 5 Cfr CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell'Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 4 ottobre 2010, Introduzione. 6 Attueremo così concretamente la parola dell'«Apostolo delle genti» (Rm 11,13): “dum omni modo Christus adnuntietur” (Fil 1, 18). 7 A. DE LUCA – DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO, Orientamenti pastorali 20122013, p. 6. Cfr BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, 11 ottobre 2011, qui n. 9. 8 Si tratta degli ambiti individuati e proposti dalla Chiesa italiana al 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona (16-20 otto bre 2006), e sui cui, cfr A. DE LUCA – DIOCESI DI TEGGIANOPOLICASTRO, Orientamenti pastorali 2012-2013, pp. 35-44. 9 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Rito del battesimo dei bambini. Rituale romano a norma dei decreti del Concilio, E.P.I., Roma 1970, pp. 65, 103. 10 BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, n. 3. 11 Solo liberamente, aderendo a Dio, l'uomo può giungere «alla piena e beata perfezione» (CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 17). Per sviluppi, cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, nn. 1730-1748. 12 La radice fondamentale del verbo 'credere' è `āman, da cui il significato di 'dire amen a Dio', con la sicura fiducia in Lui: solo in Dio, che Isaia chiama «Dio fedele [dell'amen]» (Is 65,16), l'uomo può trovare rifugio e salvezza. 13 Per approfondimenti, cfr A. DE LUCA – DIOCESI DI TEGGIANOPOLICASTRO, Orientamenti pastorali 2012-2013, cap. I, II, III, qui p. 9. 14 BENEDETTO XVI, Enc. Deus caritas est, 25 dicembre 2005, n. 1. 15 J. RATZINGER – BENEDETTO XVI, Gesù di Nazareth. Dal Battesimo alla Trasfigurazione, Rizzoli, Milano 2007, pp. 26, 29. 16 Si tratta di uno dei passaggi centrali del Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2013, innervato sulla relazione esistente tra la fede e la carità e su cui cfr BENEDETTO XVI, Credere nella carità suscita carità. «Abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16), 15 ottobre 2012, qui n. 1. Numerosi nel testo i rimandi alla prima enciclica benedet tina, su cui cfr ID., Enc. Deus caritas est. 17 Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, e le sue quattro parti profondamente interrelate, riferimento dottrinale imprescindibile per favorire l'educazione cristiana integrale. La tripartizione presentata rimanda al programma del triennio pastorale diocesano 2012-2015, su cui cfr A. DE LUCA – DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO, Orientamenti pastorali 2012-2013, Introduzione. 18 BENEDETTO XVI, Enc. Caritas in veritate, 29 giugno 2009, n. 5. 19 Per sviluppi, cfr CEI – COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L'ANNUNCIO E LA CATECHESI, Questa è la nostra fede. Nota pastorale sul primo annuncio del Vangelo, 15 maggio 2005. 20 Cfr CEI, Educare alla vita buona del Vangelo.

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21 «…la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore… Dalla liturgia… deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa» (CONCILIO VATICANO II, Cost. Sa crosanctum Concilium, 4 dicembre 1963, n. 10). Su questi aspetti, cfr i diversi capitoli della Cost. conciliare citata. 22 BENEDETTO XVI, Esort. Ap. Sacramentum Caritatis, 22 febbraio 2007, n. 6. 23 Cfr CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia, 17 dicembre 2001. 24 Pontificale Romanum. De Ordinatione Episcopi, presbyterorum et diaconorum, editio typica altera, Typis Polyglottis Vaticanis 1990. 25 CEI, Nota past. Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 30 maggio 2004. 26 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo 50, 3, in PG 58, 508. 27 BENEDETTO XVI, Enc. Caritas in veritate, n. 1. Evidente il riferimento a PAOLO VI, Enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, n. 16. 28 BENEDETTO XVI, Enc. Deus caritas est, n. 31a. 29 ID., Enc. Caritas in veritate, n. 63. 30 A. DE LUCA – DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO, Orientamenti pastorali 20122013, pp. 33-34. 31 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota con indicazioni pastorali per l'Anno della fede, IV, 3. 32 SYNODUS EPISCOPORUM, Messaggio al Popolo di Dio a conclusione della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 26 ottobre 2012, n. 2. 33 BENEDETTO XVI, Messaggio per la L Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, 6 ottobre 2012. 34 COMMISSIONE EPISCOPALE PER IL CLERO E LA VITA CONSACRATA, Messaggio per la 17ª Giornata mondiale della vita consacrata (2 febbraio 2013), 13 gennaio 2013.

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MESSAGGIO PER L’ELEZIONE DI PAPA FRANCESCO

14 marzo 2013

La Chiesa che è in Teggiano-Policastro eleva il suo rendimento di grazie al Signore che nella sua provvidenza non lascia mai mancare pastori che guidino e custodiscano il suo gregge, ed esulta di gioia per l'elezione di Sua Santità il Papa Francesco. Al Santo Padre Francesco, mentre assicuriamo la nostra preghiera perché il Signore, Pastore dei pastori, lo custodisca e benedica il suo ministero a servizio della Chiesa universale, esprimiamo il più vivo e sentito ringraziamento per la disponibilità e l'umiltà con le quali ha accolto questa nuova chiamata a servizio della carità delle Chiese, e per la sollecitudine con cui confermerà la nostra adesione a Cristo. Le sue prime parole, unite alla sua figura e al suo esempio, hanno suscitato nel cuore di tutti noi sentimenti di grande simpatia, amore e riverenza. In attesa di incontrare il Papa, da subito promettiamo sincera e fedele obbedienza rinnovando il desiderio di avere sempre l'entusiasmo e “il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l'unica gloria: Cristo Crocifisso”. +Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro

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grafica Massimo La Corte

Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro

Ai cari Giovani della Diocesi

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MESSAGGIO AI PRESBITERI Non temere... spendi la tua vita per amore. Carissimi Fratelli Sacerdoti, scelti con affetto di predilezione e resi partecipi del ministero di Salvezza da Cristo, Pontefice della nuova ed eterna alleanza, pace e gioia piena in Colui che ci chiama, nel suo nome, a rinnovare il sacrificio redentore1. 2 Come le corde sono unite alla cetra , così, mi sono sentito a voi legato, in questo anno in cui abbiamo camminato insieme. Ho sperimentato la vostra affettuosa vicinanza, la vostra preziosa collaborazione, la profonda comunione, che è sempre ‘dono dall’alto’. Lo scorso anno, nel Messaggio a voi presbiteri per la Messa Crismale, vi esortavo a non trascurare il dono che è in voi (cfr. 1Tm 4,14), invitandovi, così, ad abitare il tempo e anche e soprattutto a renderlo abitabile3. Attraverso una regola di vita, non come precetto esterno da osservare, ma come interiore convinzione da cui scaturiscono scelte consapevoli4, vi esortavo a dare forma alla vostra vita per il nostro essere sacerdoti, dispensatori dei santi misteri. In questa Pasqua dell’Anno della Fede, vorrei rivolgermi a ciascuno di voi per condividere alcune riflessioni su un modello di fede che potrà aiutare la nostra vita sacerdotale. Bisogna costruire la regola di vita con e dentro le nostre comunità. Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te (2 Tm 1,6) L’esortazione di Paolo a Timoteo vale per ogni sacerdote. Nel testo greco il verbo ravvivare evoca l’immagine domestica del ‘rattizzare il fuoco’. Vale a dire che occorre alimentare il carisma ricevuto, un pò come quando si ravviva la brace nel caminetto ad evitare che la cenere faccia illanguidire la fiamma. Il dono del sacerdozio va dunque custodito e curato con amore: il grigiore della quotidianità, infatti, può diventare una sorta di cenere che spegne l’ardore degli inizi, di quando cioè ricevemmo il dono dell’Ordine sacro. Queste brevi note vogliono perciò essere una fraterna esortazione a ravvivare il dono di Dio, che è in noi perché possa risplendere sempre d’una

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luce viva, che scalda senza mai impallidire. Non dirò cose nuove; cercherò semmai di rinverdire quanto già sappiamo, imitando un predicatore che soleva iniziare il suo corso di esercizi, premettendo queste parole: «Non nova ut sciatis, sed vetera ut faciatis»: ciò che conta non è conoscere cose nuove, ma mettere in pratica quelle conosciute. Prese con sé la sua sposa (Mt 1,24) Mi piace riproporvi uno dei punti su cui abbiamo meditato durante gli esercizi spirituali a Scario: la figura di Giuseppe, provvido custode di Gesù e di Maria. Nonostante la straordinarietà del suo ruolo, egli vive senza alcuno sconto la missione di sposo e di padre. Gesù e Maria trovarono in lui reale protezione; il piccolo Gesù lo abbracciava col trasporto proprio d’un figlio. San Francesco di Sales esclama: «O grande san Giuseppe, sposo amatissimo della Madre del Diletto, quante volte hai tenuto tra le braccia l’amore del cielo e della terra; e infiammato dai dolci baci ed abbracci di quel divino Fanciullo, ti scioglievi di dolcezza, allorché ti sussurrava teneramente all’orecchio (o Dio quale soavità!) che tu eri il suo grande amico, il suo carissimo padre tanto amato»5. Al fianco di Giuseppe, Maria si sentiva sicura, amata, compresa. Perché nell’agire di Giuseppe non vi furono ombre: libero da possessività, egli co-nosceva le vie della tenerezza autentica; pudore, rispetto, silenzio sapiente sono elementi determinanti del suo essere. A fronte dell’eccezionale missione affidatagli, non si pensi però che l’umanità di Giuseppe ne uscì mortificata o, in qualche modo, diminuita. La santità, non v’è dubbio, è una via stretta, sempre in salita; però – sia chiaro – chi la percorre contempla nella gioia panorami ineffabili. Per questo, la vita di Giuseppe conobbe senz’altro il sudore e le lacrime, ma non la tristezza. Scrisse a riguardo don Giuseppe De Luca: «Fu una vita lieta. Certo, lietissima. La letizia non sta nello stordimento dei piaceri, nelle fanfare della fama, negl’incensi e negli inni delle dignità. La letizia fugge ed esula da tutto codesto. La letizia vera, che nulla al mondo eguaglia e nulla potrà mai vincere, è la compagna indivisibile della bontà. Si può stare nella sofferenza ed essere lieti, mentre è impossibile essere lieti di solo piacere: il piacere immalinconisce e prostra. Il piacere, quando è passato, ci lascia come l’amarezza di una trappola: è una forza naturale che ci ha piegato al

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servizio delle leggi di natura; la letizia invece è cosa dello spirito, libera e liberatrice. Non si riesce ad immaginare, soltanto per un attimo, san Giuseppe triste: addolorato sì, e sino all’estremo, non però mai triste»6. Papa Francesco nell’omelia pronunciata il 19 marzo, in occasione dell’inizio del Ministero Petrino, ha detto: «Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne al Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l’amore ogni momento. È accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita»7. Ora, il sacerdote vive un’esperienza molto simile a quella di Giuseppe. La Chiesa è la sua sposa, i fedeli la sua ricca e variegata figliolanza. Anche il sacerdote, come Giuseppe, è chiamato a spendersi per la sua sposa, ad amarla, difenderla, custodirla: si potrebbe dire che il sacerdote è chiamato a prendere con sé la sua sposa, usandole tutto il riguardo e l’amore che Giuseppe ebbe per Maria. Il cammino del sacerdote si snoda attraverso un percorso segnato dalla responsabilità, la quale tuttavia non tende all’autocompiacimento ma alla me-ta di ogni vocazione, cioè la carità. Ciò spiega perché il ministero sacerdotale riesce veramente fruttuoso, se vissuto nella fedeltà secondo lo spirito della vera libertà. Contento del grande dono ricevuto, il sacerdote non cede all’ambizione, al desiderio del possesso o dell’interesse, alla vanagloria, alla mania dell’emergere o del comparire a tutti i costi. Don Primo Mazzolari è lapidario a riguardo: «La nostra carriera finisce il giorno della Prima Messa e davanti al cancello del cimitero della nostra Parrocchia»8. Parole altissime: non contengono un monito minaccioso, ma un invito alla fedeltà a Cristo e ai fratelli. Il sacerdote che si immerge nel Mistero dell’Altare ha consapevolezza che non v’è meta più alta a cui aspirare. “Il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa”9, così come pregheremo domani sera durante la Celebrazione della Cena del Signore. Come Giuseppe, il sacerdote autentico trova la sua gioia nel compiere il proprio dovere; non cerca applausi umani, perché ben più alta gratificazione lo attende: la benevolenza di Dio. Mette il massimo impegno nella cura pastorale, sentendosi forte non per capacità personali ma per essere

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inviato da Cristo stesso: è in Cristo infatti che attinge magnanimità, vigore, coraggio, perseveranza, serenità. Massimo impegno nella cura pastorale, dicevo, ma anche massimo rispetto e massimo pudore verso tutte le persone che incontra. Per un sacerdote cosiffatto la parrocchia non è una sorta di feudo di cui egli è il capo, come sostiene il parroco di Torcy nel Diario di un curato di campagna: «Ai miei tempi – egli afferma – si formavano uomini di Chiesa, sì, uomini di Chiesa, capi di parrocchia, padroni, insomma uomini di comando. Gente che teneva a bada il paese così, con una mossa del mento»10. Con buona pace del parroco di Torcy, occorre seguire una prospettiva radicalmente diversa. «Non dimentichiamo mai – ha ribadito Papa Francesco il 19 marzo – che il vero potere è il servizio». Giuseppe, figura del sacerdote, è l’uomo che sa andare controcorrente. E ciò vale, in maniera particolare, nella nostra epoca, la quale a volte come infatuata soltanto da ciò che "fa immagine". Giuseppe all’esterno non ha nulla di eclatante, e tuttavia è grande agli occhi di Dio. Sia così ogni sacerdote: agli occhi del mondo appaia pure un essere di poco valore; ciò che conta è che valga agli occhi di Dio. Il Signore - infatti - non bada a ciò che colpisce lo sguardo dell'uomo: l'uomo guarda all'apparen-za, ma il Signore guarda al cuore (1 Sam 16,7). Quell’uomo aveva fede. San Giovanni Crisostomo, meditando sulla fuga in Egitto (Mt 2,13 e ss.), considera l’ammirevole obbedienza di Giuseppe di fronte al comando divino ricevuto in sogno: «Udito ciò, Giuseppe non si scandalizzò né disse: Questa cosa è un enigma; non avevi detto prima che avrebbe salvato il suo popolo? E ora non salva nemmeno se stesso, ma ci sono necessari la fuga, il viaggio, un lungo trasferimento; questi eventi sono contrari alla promessa. Ma non dice niente di questo, perché quell’uomo aveva fede… non si perse d’animo davanti a questa prospettiva, ma ubbidisce e crede, sopportando con gioia ogni prova. Difatti Dio, nella sua bontà, unì a queste sofferenze anche delle cose piacevoli, e agisce così con tutti i santi, senza disporre in modo continuativo i pericoli e i momenti di sollievo, ma intessendo la vita dei giusti con gli uni e con gli altri»11. Un sacerdote passa non di rado attraverso i duri tratti della prova. Figlio, se ti presenti per servire il Signore, prepàrati alla tentazione (Sir 2,1). Si profilano due strade: la ribellione amara, e l’accettazione sofferta ma fi-

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duciosa. Quest’ultima è possibile soltanto là dove vi sia una fede robusta, radicata. Se non avesse avuto fede, Giuseppe avrebbe mandato all’aria mille volte la sua impegnativa missione. Non dovrà dirsi la stessa cosa per il sacerdote? Nel corso di questo Anno della Fede è bene perciò meditare lungamente sul valore della prima virtù teologale, così necessaria ad ogni cristiano e, a maggior ragione, ad ogni sacerdote. Riguardo alla fede, sottolineo un punto, che mi pare particolarmente interessante all’interno del discorso fin qui svolto: sia le virtù umane che le virtù teologali sono fortemente legate tra di loro: non procedono mai separate. L’esercizio di una virtù umana conduce gradualmente all’acquisizione anche delle altre virtù cardinali. Allo stesso modo, nel dono della fede è contenuto anche quello della speranza e della carità. Unico, a proposito, è il magistero di Paolo e di Giacomo: non vi è fede senza le opere; non vi sono opere senza la fede (cfr. Ef 2, 8-9; Gc 2, 26). «Perché, – scrive san Gregorio di Nissa – come nel caso del corpo umano, il cristiano venga riconosciuto nella sua integrità, l’uomo fedele deve mostrare nella propria vita l’impronta di tutti i beni che si possono pensare conformi a Cristo»12. Nel dono della fede riceviamo pertanto anche gli altri «beni», che permettono una crescita armonica di tutta la persona. Inoltre, se le virtù cardinali elevano l’uomo rendendolo idoneo a ricevere il dono delle virtù teologali, queste, a loro volta, incidono profondamente nel potenziamento e nello sviluppo delle virtù umane. Un autentico cammino di fede, perciò, libera dalle schizofrenie, contribuendo a una maturazione sferica della persona. Di tutto questo la vita del sacerdote dev’essere una viva testimonianza per gli altri. «Sì, oggi, che non si fa più affidamento sulla funzione, ma sulla persona, l’autorevolezza del presbitero è ancora più necessaria ed è legata alla sua statura umana e spirituale. Davanti a Dio e agli uomini niente può sostituire una vita personale autentica!»13. Alcuni suggerimenti. In spirito di fraternità vi ripropongo alcune indi-cazioni operative che vi ho già affidato nella Lettera Pastorale per la Quaresima 201314. Anzitutto siamo chiamati a ridare vitalità ed entusiasmo alla comunione.

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Nella Scrittura vi è un monito: Vae soli (Qo 4,10)! Il presbiterio deve sempre più diventare luogo di fraternità, che aiuti e fortifichi ciascun presbitero. Non solo: quanto più cresce l’identità col presbiterio, tanto più si sviluppa la comunione coi laici, i quali vanno coinvolti maggiormente negli organismi di partecipazione e comunione. «Da questi familiari rapporti tra i laici e i pastori si devono attendere molti vantaggi per la Chiesa»15. È confortante apprendere che le riunioni mensili tra i presbiteri nelle diverse foranie stiano favorendo un clima di maggiore fraternità e amicizia. Va poi incoraggiata ed estesa l’iniziativa di animare queste riunioni con lo studio e la riflessione intorno ai Documenti del Concilio Vaticano II, al Catechismo della Chiesa Cattolica, alle fonti cristiane. Da ciò potrà trarre arricchimento in maniera particolare la predicazione, che, tenendosi distante da ogni improvvisazione, deve offrire contenuti solidi ed arricchenti. Una cosa non manchi mai in ciascuno di noi, e mai diminuisca: il contatto vivo con nostro Signore Gesù Cristo attraverso la preghiera, intensa e perse-verante. La preghiera, ci insegna Santa Teresa d’Avila, è «un rapporto d’amicizia, un trovarsi frequentemente da soli a soli con chi sappiamo che ci ama»16 e, al suo Amore, niente dobbiamo anteporre17. Nulla potrà abbatterci, nulla potrà farci ve-ramente paura, se lasceremo che la nostra amicizia con Cristo cresca di giorno in giorno. Sant’Ambrogio perciò ci insegna: Remedium taediorum omnium Christus et Scriptura. Grazie, cari Fratelli Sacerdoti. «Per il resto, fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi» (2 Cor 13,11). Con voi desidero così pregare: Signore Gesù Cristo, Sacerdote del Padre, Unto dello Spirito Santo, per Grazia mi hai assimilato al tuo sacerdozio: rendimi uomo di fede robusta. Costituiscimi giusto per Te. Non tema di prendere con me

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quelli che Tu mi affidi. Stabiliscimi custode felice della tua Sposa, la Chiesa. Fa che la solitudine non mi sgomenti, i consensi non mi seducano, l'incomprensione non mi scoraggi, le differenze non mi impauriscano, la prova non mi inasprisca, gli insuccessi non mi indeboliscano! Adorna la mia povera vita con la bellezza dell'umiltĂ , con lo splendore della saggezza, il fulgore del silenzio, e la roccia della fedeltĂ . Possa testimoniare il mistero di Nazaret: la vita spesa per amore, solo per amore! Maria, madre dei sacerdoti, prega per me. Amen.

Teggiano, 27 Marzo 2013 Santa Messa Crismale + Antonio, Vescovo

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MESSALE ROMANO, Prefazio della Messa Crismale, LEV 1984. Cfr.A. DE LUCA– DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO, Messaggio ai Presbiteri, Messa Crismale 2012, p. 6. 3 Ibid. 4 Ibid, pagg. 9-10 5 S. FRANCESCO DI SALES, Trattato dell’amor di Dio, Milano, Paoline 1996, p. 78. 6 G. DE LUCA, L’Anno del Cristiano, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1981, p. 426. 7 «L’Osservatore Romano», mercoledì 20 marzo 2013. 8 P. MAZZOLARI, Ai Preti, Vicenza, La Locusta 1977, p. 11. 9 MESSALE ROMANO, Prefazio della SS. Eucaristia I, LEV, 1984. 10 G. BERNANOS, Diario di un curato di campagna in ID., Romanzi, Milano, Mondadori, 2000, p. 542. 11 GIOVANNI CRISTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo, I, Roma, Città Nuova, 2003, p. 162. 12 GREGORIO DI NISSA, La perfezione cristiana, Roma, Città Nuova, 1996, pp. 83-84. Mutuato dalle dottrine platonico-stoiche, il concetto sull’intimo legame che lega le virtù (antacoluthía), viene tradotto da Gregorio di Nissa nella prospettiva cristiana. 13 E. BIANCHI, Ai Presbiteri, Magnano, Qiqajon, 2004, p. 70. 14 Cfr.A. DE LUCA, Questa è la nostra Fede. Lettera Pastorale per la Quaresima 2013, p. 24. 15 CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen Gentium, n.37. 16 TERESA D’AVILA, Libro della vita, cap.8, par.5. (Opere complete, Milano, Paoline, 1998, p. 136). 17 Regola di San Benedetto, capo 4, 21. 2

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CELEBRAZIONE EUCARISTICA PER IL 50° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI MONS. ORONZO CALDAROLA VESCOVO DI DIANO-TEGGIANO Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Parrocchia Sacro Cuore Prato Perillo, 13 aprile 2013

Sia lodato Gesù Cristo! La celebrazione di questa Eucarestia intende essere un rendimento di grazie al Signore per il ministero episcopale che Mons. Oronzo Caldarola ha svolto nella nostra Chiesa diocesana. Un particolare ringraziamento al mio carissimo Vicario Generale e Parroco di questa Parrocchia Don Salvatore Sanseverino che con particolare premura ha voluto dare risalto a questa grande figura di Pastore con una particolare celebrazione. Questo luogo è significativo perché Mons. Caldarola è sepolto proprio qui, in questa Parrocchia da lui fortemente e tenacemente voluta e da questo luogo attende la resurrezione. Un fraterno ringraziamento ai Presbiteri presenti e a tutti voi presenti. La Parola di Dio proclamata ci esorta ad entrare nel mistero della resurrezione di Cristo come fondamento di ogni ministero nella vita della Chiesa. È dalla fede nella resurrezione che scaturisce il ministero dell’Apostolo Pietro, è dall’aver riconosciuto nella fede il suo Signore che riceve il mandato di pascere il gregge di Dio. Il testo contiene il racconto della pesca miracolosa alla presenza di Gesù e la triplice dichiarazione di amore di Pietro a Gesù e il conseguente conferimento di un particolare ministero direttamente a Pietro, costituito capo visibile della Chiesa di Cristo. L’arresto, il processo a Gesù e la sua morte in croce gettano Pietro in una prostrazione interiore dilaniante, senza speranza e apparentemente senza via d’uscita. Pietro crede che il ritorno alla vita di sempre come pescatore gli darà la possibilità di dimenticare la pur avvincente avventura con Gesù. La delusione è troppa e il senso di scoraggiamento gli soffoca il cu-

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ore. Riflettere sullo stato d’animo di Pietro è per noi importante perché molte volte ci troviamo nella stessa situazione: spesso le vicissitudini della vita ci costringono ad essere impotenti e scoraggiati. Un clima di estrema tristezza avvolge il cuore di questi uomini; proprio allora Gesù risorto si fa presente e, dopo aver trascorso un’intera notte senza pescare nulla, invita a gettare la rete sulla parte destra della barca: la pesca è abbondantissima, segno dell’inizio di una nuova gioiosa presenza di Cristo nella comunità dei credenti e della salvezza offerta a tutte le genti. È il segno dell’abbondanza che ci rimanda all’abbondanza del vino a Cana e al segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci. È la sua presenza che rinfranca e riscalda il cuore, il senso di smarrimento si dilegua, la tristezza lascia spazio alla speranza che le parole del Signore ora trovano compimento. La forza e la luce dello Spirito Santo promesso da Gesù inizia a diradare le tenebre del cuore e della mente degli Apostoli, per cui l’intuizione dell’Apostolo che Gesù amava: E’ il Signore! Non ci sono dubbi, è proprio lui. Che accoglie i suoi, che mangia con loro e che di nuovo, spezza il pane, richiamo autentico al sacrificio della croce. In seguito il dialogo tra Gesù risorto e Pietro ristabilisce l’Apostolo nella giusta relazione con il Maestro, relazione falsificata dal triplice rinnegamento di Pietro. Alle domande di Gesù Pietro risponde manifestando amore e disponibilità al servizio, reso alla Chiesa fino al dono supremo della vita. Ed è in questa direzione che vorrei suggerire alcune riflessioni sulla eccelsa figura di Mons. Oronzo Caldarola che la Diocesi di DianoTeggiano ebbe per quarant’anni Pastore amorevole. Catechista del popolo, i temi che gli stanno più a cuore sono la pace, la dottrina cristiana, la parrocchia e la famiglia. Negli anni della guerra richiama i fedeli a riflettere su questa orribile tragedia che fortemente contrista il mondo. Raccomanda fortemente ai sacerdoti la predicazione della Parola di Dio, gli esercizi spirituali, l’ora di adorazione mensile, l’Associazione dell’Apostolato della preghiera. Si impegna soprattutto perché la formazione dei sacerdoti sia all’altezza del ministero che svolgono. Leggendo alcune espressioni delle sue lettere pastorali si trovano spunti e riflessioni che a distanza di tempo, conservano ancora una straordinaria attualità. Riguardo alla famiglia egli afferma: Dell’avvenire saremo ancora più sicuri, se avremo preparata alla famiglia una base solidamente cristiana; ai Sacerdoti raccomandava: Base e forza del sacerdo-

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te è la santità…Fiorente questa tutto è in fiore; spenta questa, non v’illudete, tutto rovina. Voleva che particolare cura si riservasse ai giovani e ai fanciulli perché la loro esistenza fosse ispirata ai più alti ideali cristiani. Esortava i sacerdoti a rivolgere attenzione anche ai genitori dei bambini del catechismo, a coinvolgerli nella catechesi; affermava: L’opera vostra non sarà mai feconda di favori celesti, se non avrà la calda e pronta cooperazione dei genitori. Oggi i Vescovi italiani raccomandano le alleanze educative per uscire da una crisi non solo economica, ma soprattutto di valori etici condivisibili. Particolare investimento di energie impiegò per la riapertura del seminario vescovile, annunciata ancor prima di fare ingresso nella Diocesi nel lontano 1916: i frutti non tardarono ad arrivare. Il suo luminoso Magistero si espresse in particolare con le varie Lettere pastorali di cui arricchì la Chiesa Diocesana. Non si può in ultimo dimenticare la convocazione del primo Sinodo Diocesano nel 1922. Mons. Caldarola si dimostrò essere un grande Vescovo… si distinse per cultura e capacità pastorali. Con lui a capo della Diocesi i preti riscoprirono la dignità e la bellezza della missione sacerdotale…sotto di lui il seminario risorse a vita nuova e tra le sue mura cominciò a formarsi una generazione di preti destinati a far parlare di se per il senso del dovere e del sacrificio, per la generosità del servizio sacerdotale, per l’amore al papa e al proprio pastore (MARIO CASELLA, Alla scoperta della religiosità nell’Italia meridionale, La diocesi di Diano-Teggiano tra ‘800 e ‘900). Particolare premura egli riservò alla costruzione e all’erezione di questa comunità parrocchiale e proprio per questo, per suo espresso volere, le sue spogli mortali furono qui traslate il 31 maggio 1966. Voi dunque conservate non solo i resti mortali del Vescovo Mons. Oronzo Caldarola, ma soprattutto dovete essere coloro che trasmettono, anche a distanza di 50 anni, i grandi insegnamenti di quest’uomo, di questo prete e di questo Vescovo fedele alla sua vocazione e alla sua missione. Mons. Oronzo Caldarola incontrò sorella morte all’età di 92 anni il 6 febbraio 1963 nella città di Napoli. Ricorrendo il 50° anniversario della sua morte tutti sentiamo il dovere di ricordare il Pastore buono, sapiente, mite che spese la sua vita per il bene del suo popolo. AMEN.

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ORDINAZIONE PREBITERALE DI DON PASQUALE GAITO Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Teggiano, Chiesa Cattedrale 20 aprile 2013 - IV Domenica di Pasqua

Cristo si è fatto obbediente per noi (Fil. 2, 6-11) Rivolgo il più sentito e caloroso saluto a te, carissimo Pasquale, che in questa celebrazione doni al Signore il frutto della tua obbedienza offerta insieme a Cristo; saluto i presenti a questo momento di grazia, i familiari, i genitori di Don Pasquale; il carissimo Don Salvatore Sanseverino, Vicario Generale; un affettuoso abbraccio e saluto nel Signore ai cari presbiteri che accoglieranno Pasquale nel grembo del presbiterio e saranno di sostegno perché egli si senta accolto nella nostra casa presbiterale; un caro saluto ai formatori presenti che hanno accompagnato la crescita umana e cristiana di Don Pasquale, alla comunità parrocchiale che ne ha seguito la crescita come umana e cristiana di Don Pasquale. A tutti voi presenti il sentito ringraziamento per la vostra presenza in quest’ora di grazia. Ringrazio il Signore Dio, dal quale viene ogni grazia, per questa santa celebrazione nella quale il nostro Pasquale viene consacrato da Dio, per mezzo del ministero episcopale che ho ricevuto da Signore, per il servizio del suo popolo che è la Chiesa. Questa quarta domenica di Pasqua ritorna ogni anno come la giornata del Pastore, giorno nel quale la Chiesa invoca dal Signore il dono della vocazione soprattutto alla vita presbiterale e religiosa; la Parola del Vangelo ci aiuta infatti a riflettere sulla figura di Gesù buon Pastore, disposto a dare la vita per il suo gregge, come esempio di ogni vocazione. Dio ci ha parlato nella sua Parola appena ascoltata e alla quale rivolgeremo la nostra attenzione per trarre da essa gli stimoli necessari per la nostra crescita interiore e che oggi, in modo particolare è rivolta a te, caro Pasquale. Fissiamo allora il nostro sguardo sul testo evangelico nel quale Gesù si rivela come Pastore che si prende cura del suo gregge.

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Il brano della liturgia di questa domenica è tratto dal capitolo decimo di S. Giovanni e riporta il discorso di Gesù durante la festa giudaica della dedicazione del Tempio di Gerusalemme. Gesù si trova davanti i giudei che pretendono da lui una risposta chiara sulla sua identità: Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente (Gv. 10, 24). Essi non credono alle parole di Cristo e non intendono appartenere al gregge di cui egli è capo, ma vogliono sapere se lui è il Messia, il Cristo. Gesù allora usa l’immagine suggestiva (da noi poco compresa) del pastore bello e del gregge, Tra il buon Pastore e il suo gregge vi è un legame che nasce dalla conoscenza reciproca, tanto che anche la sola voce del Pastore diventa familiare. Questa profonda conoscenza fa scaturire la sequela, la stessa che tu Pasquale, da oggi, in modo più radicale devi testimoniare davanti ai tuoi fratelli, diventando tu stesso pastore del gregge al quale il Signore ti invierà. Il gregge ascolta la voce e segue il Pastore nell’obbedienza non come imposizione, ma come accoglienza gioiosa, adesione e soprattutto come scelta di vita. Sappiamo come nel linguaggio biblico la conoscenza non si riferisce mai ad una esperienza superficiale, epidermica, ma è sempre esperienza che coinvolge mente, cuore, azioni tanto da orientare la vita stessa ad un progetto specifico. Nel Vangelo di Giovanni Gesù arriva ad affermare che la vita eterna consiste nella conoscenza di Dio e di colui che egli ha inviato: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17, 3). L’uomo, il discepolo che ha ascoltato la voce di Cristo e con coraggio ha deciso di seguirlo impara anche a conoscere la soavità della sua voce che lo chiama e lo invita a spendere l’esistenza senza risparmio, lo riconosce come unico Pastore e si impegna a seguirlo ogni giorno, nella fedeltà alla scelta fatta una volta per tutte. Il discepolo conserva inoltre una certezza che mai verrà meno perché fondata sulla parola di Cristo: “Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano”. Gesù, in quanto Figlio del Padre, è in grado di dare la vita eterna, la sua stessa vita di Figlio, che egli è venuto per mettere a disposizione di tutti, perché tutti coloro che il Padre gli ha affidato raggiungano la sua stessa gloria. Questa vita che il Figlio dona a coloro che ascoltano la sua voce è più forte della morte, anzi la vince e diventa fonte di acqua zampillante, offerta a chiunque crede in lui e che è già a disposizione di coloro che credono in lui. Di questa affermazione di Gesù mi piace sottolineare la forza che proviene dalla sua mano, sicuro rifugio di coloro che sperano in lui. La mano in-

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dica la forza, il potere, la capacità di tenere stretti coloro gli appartengono ed è la mano stessa di Dio Padre, che protegge da ladri, mercenari e briganti che tenteranno di disperdere il gregge. La presenza di Cristo assicura alla sua comunità una stabilità che le permetterà di superare tutte le tentazioni di paura e di dispersione. “Io e il Padre siamo uno” è il culmine della rivelazione di Gesù, è la sua pretesa assurda e blasfema che lo condurrà alla morte, ma per i discepoli è la rivelazione più piena della sua identità di comunione intima con il Padre suo, comunione di amore, unico agire, unico volere. È il mistero del nostro Dio uno, ma in se stesso unità di amore tra Padre e Figlio. “Elemento fondamentale e riconoscibile di ogni vocazione al sacerdozio e alla consacrazione è l'amicizia con Cristo. Gesù viveva in costante unione con il Padre, ed è questo che suscitava nei discepoli il desiderio di vivere la stessa esperienza, imparando da Lui la comunione e il dialogo incessante con Dio. Se il sacerdote è l' “uomo di Dio”, che appartiene a Dio e che aiuta a conoscerlo e ad amarlo, non può non coltivare una profonda intimità con Lui, rimanere nel suo amore, dando spazio all'ascolto della sua Parola. La preghiera è la prima testimonianza che suscita vocazioni. Come l'apostolo Andrea, che comunica al fratello di aver conosciuto il Maestro, ugualmente chi vuol essere discepolo e testimone di Cristo deve averlo "visto"personalmente, deve averlo conosciuto, deve aver imparato ad amarlo e a stare con Lui”. (Benedetto XVI, Messaggio del Santo Padre per la XLVII giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, 25APRILE 2010). Ma caro Don Pasquale da oggi sei pastore…risuona allora per te e per tutti noi il monito del S. Padre Francesco: «Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21,18). E’una parola rivolta anzitutto a noi Pastori: non si può pascere il gregge di Dio se non si accetta di essere portati dalla volontà di Dio anche dove non vorremmo, se non si è disposti a testimoniare Cristo con il dono di noi stessi, senza riserve, senza calcoli, a volte anche a prezzo della nostra vita. Ma questo vale per tutti: il Vangelo va annunciato e testimoniato. Ciascuno dovrebbe chiedersi: Come testimonio io Cristo con la mia fede? Ho il coraggio di Pietro e degli altri Apostoli di pensare, scegliere e vivere da cristiano, obbedendo a Dio?». Spogliarci dei tanti idoli piccoli o grandi che abbiamo e nei quali ci rifugiamo, nei quali cerchiamo e molte volte riponiamo la nostra sicurezza. Sono idoli che spesso teniamo

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ben nascosti; possono essere l’ambizione, il carrierismo, il gusto del successo, il mettere al centro se stessi, la tendenza a prevalere sugli altri, la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita, qualche peccato a cui siamo legati, e molti altri. Il grande Maestro e Dottore della Chiesa, S.Alfonso De Liguori così si rivolgeva al Signore: «Crea in me, o Dio, un cuore puro» (Sal 51, 10). Ne va di mezzo il tuo stesso onore, avendomi fatto tuo sacerdote, tuo ministro, destinato a sacrificarti il tuo stesso figlio. Fammi vivere da sacerdote. Dammi un cuore che ti ami da sacerdote. Consumami nelle fiamme del tuo santo amore; distruggi in me ogni affetto terreno. E poi continua: Mio Dio, attirami tutto a te. Dammi pazienza e rassegnazione nelle prove e nelle avversità. Dammi la forza di mortificarmi per amor tuo. Dammi lo spirito della vera umiltà fino a compiacermi di essere ritenuto vile e buono a nulla. «Insegnami a fare la tua volontà», (Sal 143, 10) Dio mio, io spero di amarti eternamente: voglio amarti molto in questa vita, per amarti molto nell’eternità. E perché ti amo, o Signore, vorrei vederti da tutti conosciuto e amato. Mi hai fatto tuo sacerdote, ora dammi anche la grazia di saper lavorare per te e portarti tante persone. Lo spero per i tuoi meriti, o Gesù mio. Amen». Nel tuo cammino di formazione hai meditato su un versetto della Scrittura che oggi diventa per te modello al quale ispirare la tua esistenza presbiterale: Cristo si è fatto obbediente per noi (Fil. 2, 6-11). È l’esistenza umana di Gesù vissuta sempre alla presenza di Dio. L’obbedienza di Cristo è il paradigma della nostra esistenza, senza la quale non avrebbe senso. L’obbedienza di Cristo diventa il motivo di giustificazione per noi tutti, egli ci costituisce giusti in virtù della sua obbedienza (Rm, 5, 19). Cristo, il quale imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì ( Eb. 5, 8), diventa il modello della tua vita sacerdotale, vissuta nella gioia dell’obbedienza che rende ricco ed incisivo il proprio ministero, obbedienza a Dio, che ti ha chiamato alla vita, alla fede, alla vita presbiterale, quando manifesterà la sua volontà di affidare alle tue cure pastorali una porzione del suo popolo santo. Dovrai essere testimone gioioso di una vita vissuta in continuo ascolto della sua divina Parola e alla quale dovrai sottometterti sempre, perché sia vissuto da te in prima persona ciò che insegni ai tuoi fratelli. Promettendo obbedienza alla Chiesa offri la tua vita perché Dio ne disponga liberamente, diventando strumento di salvezza e redenzione per i fratelli.

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Avrai per questo tanti motivi per ringraziare il Signore, ma avrai certamente anche sofferenza e delusione, dovrai sopportare le immancabili prove che però ti aiuteranno a ripartire sempre da Cristo, autore del tuo sacerdozio. Ti accompagni sempre l’intercessione materna di Maria Santissima, Madre dei sacerdoti e l’intercessione dei nostri Santi Patroni Cono e Pietro Vescovo, mentre la nostra Chiesa di Teggiano-Policastro da oggi ti acclama suo Sacerdote in eterno. Amen.

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ORDINAZIONE PREBITERALE DI DON RAFFAELE BRUSCO Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Policastro Bussentino, Chiesa Concattedrale 27 aprile 2013 - V Domenica di Pasqua

È con il cuore colmo di gioia che rivolgo il più caro e paterno saluto a te, carissimo don Raffaele, in questo giorno importante per la tua vita nel quale il Signore ti configura a sé, eterno Sacerdote. Al carissimo Vicario Generale Don Salvatore Sanseverino il più vivo ringraziamento per la sua preziosa collaborazione; al Presbiterio che il Signore mi ha affidato il saluto fraterno nella comunione della stessa vocazione; al Parroco di Vibonati, Don Elia Guercio il sentito grazie per aver seguito con paterna sollecitudine il cammino vocazionale di Don Raffaele; alla Comunità parrocchiale, ai familiari e amici di Don Raffaele giunti qui oggi per condividere la sua gioia, la vostra presenza rende questa assemblea Chiesa che ringrazia il Signore. La celebrazione dell’Ordinazione Presbiterale di Don Raffaele esprime la divina benevolenza che si manifesta proprio nel dono del sacerdozio ministeriale che abbiamo ricevuto per metterci al servizio del suo Corpo che è la Chiesa. La Parola di Dio che abbiamo appena ascoltato ci introduce e ci orienta alla comprensione del mistero che celebriamo È rivolta a tutti noi, ma per te, caro Raffaele, assume un particolare significato. Nel brano evangelico siamo entrati nell’intimità del cenacolo, nel momento in cui Gesù consegna alla Chiesa il comandamento e il testamento nuovo. Siamo nel quadro dell’ultima cena, Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli e annunzia il compiersi della gloria del Figlio dell’uomo. Gesù ci insegna in che cosa consiste la glorificazione: «Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse: “Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito”» (Gv. 13, 31-33). Tutto ciò avviene nel momento in cui Gesù sta per donare alla sua comu-

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nità tutto se stesso. È l’ora della gloria che si manifesta nel tradimento, e mentre tutto parla di abbandono, sconfitta, Gesù compie il gesto più alto: in qua nocte tradebatur prese il pane…. prese il vino… fate questo in memoria di me… A questo reiterato comando dovrai ispirare la tua esistenza, anche quando l’incertezza, l’aridità, il senso dell’abbandono saranno in agguato nelle tue giornate, dovrai riandare al Signore Gesù, autore di una gioia che non tramonta. La Chiesa delle origini, così come abbiamo ascoltato nella prima lettura, nasce e si costituisce intorno alla persecuzione, tribolazione e difficoltà. Paolo e Barnaba attraversano tra disagi e avversità l’Asia minore costituendo ed organizzando la vita delle comunità intorno agli anziani. Sono gli Apostoli che li costituiscono e li designano, non è la comunità che li sceglie o li proclama, dopo la preghiera e digiuno in un contesto di insondabile mistero, si scelgono i presbiteri. Anche tu, caro Don Raffaele sei eletto, consacrato e inviato non dove tu scegli, ma dove il Signore ti destina. Diventa annunziatore forte e mite della Parola che ci salva, celebra i Sacramenti, soprattutto l’Eucarestia, conservando lo stupore per il gran dono ricevuto. Vorrei richiamare brevemente per tutti i propositi che il Santo Vescovo Alfonso Maria De Liguori fece nel giorno della sua Ordinazione Sacerdotale: - Son sacerdote; la mia dignità supera quella degli angeli; dunque debbo avere una somma purità, e per quanto posso, debbo essere un uomo angelico. - La Santa Chiesa mi onora, ed io debbo onorare la Chiesa colla santità della vita, collo zelo, colla fatica e col decoro. - Il popolo cristiano mi considera come un ministro di riconciliazione con Dio, e debbo essere io sempre caro a Dio e godere di sua amicizia. - I poveri peccatori aspettano da me di essere liberati dalla morte del peccato, ed io debbo farlo colle preghiere, coll'esempio, colla voce e coll'opera. - Mi debbo preparare colla sapienza per difendere la santa religione ed abbattere gli errori e l'empietà. - Debbo maledire l'ambizione e l'interesse come la peste dello stato sacerdotale: tanti sacerdoti per l'ambizione hanno perduta la fede. - Il raccoglimento, il fervore, la soda virtù, l'esercizio dell'orazione devo-

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no essere la mia continua occupazione, se voglio piacere a Dio. - Sono sacerdote; devo ispirare virtù, e glorificare il sommo ed eterno sacerdote Gesù Cristo. Il Santo Padre Francesco nell’omelia della Messa Crismale ha voluto così affermare: «Bisogna uscire a sperimentare la nostra unzione, il suo potere e la sua efficacia redentrice: nelle “periferie” dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni. Non è precisamente nelle autoesperienze o nelle introspezioni reiterate che incontriamo il Signore: i corsi di autoaiuto nella vita possono essere utili, però vivere la nostra vita sacerdotale passando da un corso all’altro, di metodo in metodo, porta a diventare pelagiani, a minimizzare il potere della grazia, che si attiva e cresce nella misura in cui, con fede, usciamo a dare noi stessi e a dare il Vangelo agli altri, a dare la poca unzione che abbiamo a coloro che non hanno niente di niente». Da questa sera, in modo tutto particolare, Cristo vivrà in te, sarai immagine viva di lui che continua a offrire per tutti la vita; chiamato anche tu a dare la vita, dovrai manifestare nelle opere questa disponibilità, operando scelte non sempre semplici, ma che ti daranno quotidianamente la gioia di essere stato guardato con benevolenza da Dio. Noi offriremo al Signore la nostra preghiera per te, perché conservi sempre la fedeltà; la Vergine Maria accompagni sempre la tua esistenza e i nostri Santi Patroni Cono e Pietro Vescovo ti custodiscano sempre, mentre con immensa gioia la nostra Chiesa di Teggiano-Policastro da oggi ti acclama suo Sacerdote per sempre.

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CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN SUFFRAGIO DI FRANCESCO CETROLA Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Santa Marina, 17 maggio 2013

Cari fratelli e sorelle, cara Signora Romanina, cari congiunti del nostro Francesco, un sentimento di forte lacerazione invade oggi il cuore di noi tutti, riuniti per pregare il Signore in suffragio del nostro fratello Francesco, per chiedere all'autore della vita di prendere nelle sue mani Francesco affinché trovi riposo, dopo che una morte assurda lo ha strappato all'affetto di tutti noi. La presenza di molti sacerdoti, autorità civili e militari, che ringrazio, testimoniano quanto è preziosa agli occhi di Dio la vita dei suoi fedeli. In momenti difficili come questo ci viene in aiuto la Parola di Dio che accende una speranza nuova che sostiene questo doloroso momento. Il Signore Gesù è il Pastore che si prende cura del suo gregge, che lo guida, lo custodisce e che è disposto a sacrificare la sua vita per il bene delle sue pecore: è questa la manifestazione più alta dell'amore che non riserva niente per sé e che Gesù Cristo ha avuto per noi. Gesù ci ha comunicato che da lui noi abbiamo la vita eterna, che siamo suoi e che nulla potrà mai strapparci dalla sua mano. L'immagine della mano di Gesù che ci tiene forte vorrei fosse in questo momento fonte di speranza e di consolazione per tutti. La Scrittura ci dice che le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, che loro stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l'Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. Questo dimostra che la morte, per quanto traumatica e sempre assurda, non è la fine di tutto, che nonostante gli erro-

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ri e gli sbagli dell'uomo, Dio si conserva fedele alla sua promessa di eternità per tutti coloro che credono in Lui. In questo momento di forte prova vorrei che tutti ricordassimo che solo l'amore, il bene, l'onestà, la laboriosità i veri e grandi valori in cui crediamo, tutto ciò continua a sopravvivere a noi e ci dischiudono le porte della beatitudine. Sulla nostra misera condizione umana brilla la croce e la resurrezione di Cristo che ci da sicurezza che la sua presenza ci accompagna soprattutto quando il dolore entra nella nostra vita. Questi nostri fratelli hanno testimoniato con semplicità che l'esistenza è impegno, è sacrificio, è responsabilità nella famiglia, nel lavoro, nelle relazioni. La loro esistenza ci narra che la felicità è fare bene il proprio dovere, senza venir mai meno ai propri impegni, nella fedeltà quotidiana al dovere. Per questo siamo certi che il Signore, Dio della vita, ha già accolto nel suo Regno Francesco e le altre vittime di questa sciagura, che poteva e doveva essere evitata. All'infinita misericordia di Dio affidiamo Francesco e le altre vittime del disastro di Genova. Vogliamo insieme darci da fare seriamente perché tutto ciò non accada mai più, che l'impegno delle persone, istituzioni, della Chiesa costruisca per tutti un futuro di sicurezza e serenità per tutti. La Vergine Maria, Donna Fedele, Madre Credente, Sorella Accogliente, accolga questi nostri fratelli e li presenti al suo Figlio Gesù e continui a proteggere i familiari e tutti coloro che con impegno si sforzano di costruire il Regno di Dio nel nostro mondo. Amen.

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CELEBRAZIONE EUCARISTICA E AMMINISTRAZIONE DEL SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Teggiano, 18 maggio 2013

Carissimi Ragazzi e Ragazze, cari Genitori, Padrini e Madrine, cari amici presenti a questa straordinaria celebrazione, è con vera gioia che vi do il benvenuto per vivere insieme un momento forte di fede celebrata comunitariamente a livello diocesano, sono grato a voi, ai vostri Parroci, ai catechisti che hanno permesso di celebrare oggi qui un momento speciale per la vostra vita cristiana, il giorno in cui scegliete di confermare il dono della fede ricevuto nel battesimo. Il brano della prima lettura, tratta dal libro dell'Esodo, descrive l'Alleanza e la rivelazione di Dio al Sinai. Dio si manifesta, si mostra attraverso l'Alleanza che stipula con il suo popolo, ricordando tutto l'amore che egli nutre per Israele, chiamato a non dimenticare tutti i benefici che il Signore ha operato. Vorrei notare come l'iniziativa è sempre di Dio, è lui che opera e chiama l'uomo alla condivisione; così Israele diventa un Regno di Sacerdoti, Nazione santa, bene sacro di Dio, a lui consacrato e partecipe della sua santità. Il brano della seconda lettura è tratta dalla lettera ai Romani, nel capitolo in cui S. Paolo delinea la vita secondo lo Spirito, descrivendo in primo luogo lo stato di attesa e di speranza, che sfocia nella preghiera animata dallo Spirito. La salvezza è già presente perché lo Spirito è stato effuso su di noi e oggi in modo del tutto speciale su di voi, cari ragazzi. Questa salvezza ha dimensioni cosmiche, riguardano tutta intera la creazione che attende la redenzione e geme, soffre, spera che essa si compia presto. Gli uomini attendono la pienezza dell'adozione a figli, la redenzione del genere umano. Lo Spirito Santo intercede per noi, in noi esprime la preghiera che altrimenti non sapremmo porgere a Dio il quale ascolta il grido e il gemito dell'uomo di ogni tempo perché a parlare è lo Spirito Santo.

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Nel brano evangelico Gesù promette l'acqua viva come segno della rivelazione nella prima parte; il dono dell'acqua è segno, simbolo dello Spirito Santo nella seconda parte. Questo è già contenuto nell'A.T. in modo particolare nel profeta Isaia: «O voi tutti assetati, venite all'acqua, voi che non avete denaro, venite; comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte». In modo particolare è qui contenuta la promessa dello Spirito Santo. Nel giorno di Pentecoste Gesù è glorificato, asceso al cielo e dalla destra del Padre e dona alla Chiesa lo Spirito, a tutti i credenti, affinchè apra la loro mente all'intelligenza delle Scritture per comprendere che Gesù è la promessa adempiuta del Padre e così rendere testimonianza. Ora siete cresciuti, e potete voi stessi dire il vostro personale «sì» a Dio, un «sì» libero e consapevole. Il sacramento della Cresima conferma il Battesimo ed effonde su di voi con abbondanza lo Spirito Santo. Voi stessi ora, pieni di gratitudine, avete la possibilità di accogliere i suoi grandi doni che vi aiutano, nel cammino della vita, a diventare testimoni fedeli e coraggiosi di Gesù. I doni dello Spirito sono realtà stupende, che vi permettono di formarvi come cristiani, di vivere il Vangelo e di essere membri attivi della comunità. Ricordo brevemente questi doni, dei quali già ci parla il profeta Isaia e poi Gesù: – il primo dono è la sapienza, che vi fa scoprire quanto è buono e grande il Signore e, come dice la parola, rende la vostra vita piena di sapore, perché siate, come diceva Gesù, «sale della terra»; – poi il dono dell'intelletto, così che possiate comprendere in profondità la Parola di Dio e la verità della fede; – quindi il dono del consiglio, che vi guiderà alla scoperta del progetto di Dio sulla vostra vita, vita di ognuno di voi; – il dono della fortezza, per vincere le tentazioni del male e fare sempre il bene, anche quando costa sacrificio; – viene poi il dono della scienza, non scienza nel senso tecnico, come è insegnata all'Università, ma scienza nel senso più profondo che insegna a trovare nel creato i segni le impronte di Dio, a capire come Dio parla in ogni tempo e parla a me, e ad animare con il Vangelo il lavoro di ogni giorno; capire che c'è una profondità e capire questa profondità e così dare sapore al lavoro, anche quello difficile; – un altro dono è quello della pietà, che tiene viva nel cuore la fiamma dell'amore per il nostro Padre che è nei cieli, in modo da pregarLo ogni

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giorno con fiducia e tenerezza di figli amati; di non dimenticare la realtà fondamentale del mondo e della mia vita: che c'è Dio e che Dio mi conosce e aspetta la mia risposta al suo progetto; - il settimo e ultimo dono è il timore di Dio - abbiamo parlato prima della paura -; timore di Dio non indica paura, ma sentire per Lui un profondo rispetto, il rispetto della volontà di Dio che è il vero disegno della mia vita ed è la strada attraverso la quale la vita personale e comunitaria può essere buona; e oggi, con tutte le crisi che vi sono nel mondo, vediamo come sia importante che ognuno rispetti questa volontà di Dio impressa nei nostri cuori e secondo la quale dobbiamo vivere; e così questo timore di Dio è desiderio di fare il bene, di fare la verità, di fare la volontà di Dio. Cari ragazzi e ragazze, tutta la vita cristiana è un cammino, è come percorrere un sentiero che sale su un monte - quindi non è sempre facile, ma salire su un monte è una cosa bellissima - in compagnia di Gesù; con questi doni preziosi la vostra amicizia con Lui diventerà ancora più vera e più stretta. Essa si alimenta continuamente con il sacramento dell'Eucaristia, nel quale riceviamo il suo Corpo e il suo Sangue. Per questo vi invito a partecipare sempre con gioia e fedeltà alla Messa domenicale, quando tutta la comunità si riunisce insieme a pregare, ad ascoltare la Parola di Dio e prendere parte al Sacrificio eucaristico. E accostatevi anche al Sacramento della Penitenza, alla Confessione: è un incontro con Gesù che perdona i nostri peccati e ci aiuta a compiere il bene; ricevere il dono, ricominciare di nuovo è un grande dono nella vita, sapere che sono libero, che posso ricominciare, che tutto è perdonato. Non manchi poi la vostra preghiera personale di ogni giorno. Imparate a dialogare con il Signore, confidatevi con Lui, ditegli le gioie e le preoccupazioni, e chiedete luce e sostegno per il vostro cammino. La santità è la via normale del cristiano: non è riservata a pochi eletti, ma è aperta a tutti. Naturalmente, con la luce e la forza dello Spirito Santo, che non ci mancherà se estendiamo le nostre mani e apriamo il nostro cuore! E con la guida di nostra Madre. Chi è nostra Madre? E' la Madre di Gesù, Maria. A lei Gesù ci ha affidati tutti, prima di morire sulla croce. La Vergine Maria custodisca allora sempre la bellezza del vostro «sì» a Gesù, suo Figlio, il grande e fedeleAmico della vostra vita. Così sia!

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CONVEGNO PASTORALE DIOCESANO Celebrare la Fede: «adorare il Padre in spirito e verità» (cf Gv 4, 23-24) Intervento conclusivo di S.E. Mons. Antonio De Luca Teggiano, 19 giugno 2013

Carissimi Cristiani, Sacerdoti, Diaconi, Religiosi e Religiose, Fratelli e Sorelle, «grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo» (Rm 1,7). Al termine del nostro convegno diocesano mi preme consegnarvi alcune linee di riflessioni che, ulteriormente approfondite nei prossimi mesi, diventeranno gli Orientamenti Pastorali per l'anno 2013/2014. In quest'anno pastorale abbiamo riflettuto sulla tematica della fede annunciata, siamo partiti dal l'icona biblica "Maestro dove abiti... Vieni e vedi" (Gv 1,38-39). La fede passa attraverso l'annuncio ma deve diventare proposta ed esperienza concreta. Non tanto e non solo l'acquisizione di un dato dottrinale, ma soprattutto l'esperienza di un evento, l'incontro con una persona: Gesù Cristo. Come già emerge dagli Orientamenti Pastorali del triennio 2012-2015: "I due discepoli del Vangelo seguendo Gesù hanno varcato la porta fidei che li ha introdotti alla stabile comunione di vita con Lui: sono entrati nella casa di Gesù che è «casa e scuola di comunione»".1Gesù mostra che un percorso educativo nella fede si stabilisce innanzitutto sulla base di un incontro personale con Lui: non si tratta di trasmettere nozioni astratte ma di offrire un'esperienza da condividere. Accanto a questa prospettiva contenutistica, abbiamo cercato di porre attenzione alla svolta del Convegno di Verona che privilegia i cinque ambiti antropologici per dire la fede oggi... siamo agli inizi, e gli sforzi devono moltiplicarsi: "Occorre ripensare l'unità della pastorale, articolata nelle funzioni e/o uffici della Chiesa (Parola, Sacramento, Carità/comunione e Carità/servizio), incentrandola maggiormente sull'unità della persona, sulla rilevanza educativa e formativa che queste funzioni possono avere. Credo che si debba aggiungere: non si tratta

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di sostituire al criterio ecclesiologico la rilevanza antropologica nel disegnare l'unità e l'articolazione della missione della Chiesa, quanto invece di mostrare che la pastorale in prospettiva missionaria deve sapere in ogni caso condurre l'uomo all'incontro con la speranza viva del Risorto. Diversa è, infatti, la funzione del criterio ecclesiologico e della rilevanza antropologica: lo schema dei tria munera dice l'unità della missione della Chiesa negli elementi che la costituiscono come dono dall'alto, ne dice l'eccedenza irriducibile a ogni cosiddetto umanesimo; il rilievo antropologico dell'azione pastorale della chiesa, destinato all'unità della persona e alla figura buona della vita che vuole suscitare, dice l'insonne compito dell'agire missionario della Chiesa di dirsi dentro le forme universali dell'esperienza, che sono sempre connotate dall'ethos culturale e dalle forme civili di un'epoca. Saper mostrare la qualità antropologica dei gesti della chiesa è oggi un'urgenza non solo dettata dal momento culturale moderno e post, ma è un istanza imprescindibile per dire che il Vangelo è per l'uomo e per la pienezza della vita personale". E ancora: "Non si tratta di abbandonare lo schema ecclesiologico del triplex munus in favore di una non meglio identificata "attenzione antropologica", emblematicamente declinata nei cinque ambiti di Verona, ma di articolare correttamente le due istanze, con il loro rispettivo funzionamento teologico".2 Volendo procedere nel nostro itinerario pastorale, conservando la logica e l'impegno dell'educare, desideriamo proporre un passaggio ulteriore: dalla fede annunciata alla fede celebrata. Non si tratta di considerare chiusa una fase, né possiamo credere di avere esaurito un compito, è piuttosto un naturale sviluppo e una crescita di consapevolezza. Non direi dopo "l’annuncio" ma accanto all'annuncio ci incamminiamo nell'impegno del "celebrare" la fede. In fondo si annuncia celebrando e si celebra annunciando! Il celebrare la fede, non si risolve in una ritualità, infatti nella costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosantum Concilium, si precisa: "la liturgia spinge i fedeli, nutriti dei «sacramenti pasquali», a vivere «in perfetta unione»; prega affinché «esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede»; la rinnovazione poi dell'alleanza di Dio con gli uomini nell'eucaristia introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa. Dalla liturgia , dunque, e particolarmente dall'eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quel-

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la glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa". 3 Celebrare la fede rinvia a quella dimensione sacerdotale di tutto il popolo di Dio che trae origine dal sacramento del battesimo. Tale sacerdozio ci abilita e ci indirizza nella dimensione dell'offerta e di oblatività a Dio, così come insegna il Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium: "Infatti per la rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le attività del cristiano, spirituali sacrifici, e far conoscere i prodigi di colui, che dalle tenebre li chiamò all'ammirabile sua luce (cfr. 1 Pt 2,4-10). Tutti quindi i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio (cfr. At 2,42-47), offrano se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio (cfr. Rm 12,1)".4 E' in grado di offrire solo chi ha gustato la gioia del dono e della compagnia di Dio. Nella logica della fusione tra annunciare la fede e celebrare la fede intervengono i vescovi di tutto il mondo, e scrivendo al popolo santo di Dio sottolineano: "La bellezza della fede deve risplendere, in particolare, nelle azioni della sacra Liturgia, nell'Eucaristia domenicale anzitutto. Proprio nelle celebrazioni liturgiche la Chiesa svela infatti il suo volto di opera di Dio e rende visibile, nelle parole e nei gesti, il significato del Vangelo. Sta a noi oggi rendere concretamente accessibili esperienze di Chiesa, moltiplicare i pozzi a cui invitare gli uomini e le donne assetati e lì far loro incontrare Gesù, offrire oasi nei deserti della vita. Di questo sono responsabili le comunità cristiane e, in esse, ogni discepolo del Signore: a ciascuno è affidata una testimonianza insostituibile, perché il Vangelo possa incrociare l'esistenza di tutti; per questo ci è chiesta la santità della vita"5, consapevoli che per mezzo della fede annunciata e cele6 brata il "mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami". Anche quest'anno vorrei che la Parola di Dio rappresentasse il costante punto di riferimento del nostro impegno pastorale: è da questa Parola che bisogna partire e sempre riandare. Vi suggerisco la frase di Gesù: "Adorare il Padre in Spirito e verità" (cf Gv 4,23-24). È tratta dal celebre incontro tra Gesù e la donna samaritana, un testo di rara bellezza e intensità teologica. In questa donna, l'evangelista Giovanni ci vuole far incontrare non soltanto uno dei tanti "disprezzati" o peccatori (tali erano i samaritani agli occhi dei giudei) verso cui Gesù mostra sempre attenzione e misericordia. In questa donna ci è presentata un'icona dell'umanità nel suo in-

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sieme: in perpetua ricerca di senso, ai crocicchi della storia e ai pozzi che di volta in volta gli vengono offerti dalla scienza, dal progresso o dalla storia. Un'umanità eternamente assetata di risposte e alla ricerca del compagno ideale, di colui che le darà il senso e il gusto di vivere. L'icona è già nota dall'Antico Testamento: la sposa e lo sposo sono un'immagine paradigmatica del rapporto che lega Dio al suo popolo, e più concretamente ognuno di noi a Colui che ci ha creati e ci ha scelti. Ebbene, dopo aver toccato vari argomenti, soprattutto la vita avventurosa della donna, in perpetua ricerca dell'uomo che le darà la felicità sperata (ha già avuto cinque mariti), il discorso cade sul tema del Tempio e dell'adorazione. È risaputo che l'ostilità tra giudei e samaritani riposava proprio sulla disputa riguardante il Santuario. Quale dei due era quello autentico: quello di Gerusalemme, sul monte Moria, luogo dove, secondo la tradizione, Abramo si era recato per compiere il sacrificio di Isacco, oppure quello samaritano, sul monte Garizim, che rimandava invece a Giosuè e all'entrata di Israele nella Terra promessa? L'ostilità tra i due popoli era stata accentuata dal fatto che a più riprese gli abitanti di Gerusalemme avevano distrutto il Tempio samaritano sul Garizim, perpetuando così un insulto ed un offesa che si tramandava da generazione in generazione. Il Tempio non è un semplice luogo di culto, ma è la casa di Dio, il luogo dove innalzare la preghiera e offrire i sacrifici per il perdono dei peccati: si capisce così come la questione sul "vero" Tempio sia d'importanza capitale. Gesù sembra in un primo tempo sposare la tesi gerosolimitana, ma ben presto apre il discorso a una questione più ampia, spostando l'argomento dal 'dove' (tempio) al 'come' adorare: "Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre" (Gv 4,21). Adorare indica il servizio che l'uomo rende a Dio nella preghiera e nelle pratiche del culto. Il tema dell' "ora" è caro a Giovanni ed indica il momento in cui Gesù sarà "glorificato" sulla croce. Quello che in poche parole Gesù afferma è che la sua morte e risurrezione provocherà un cambiamento radicale nel modo di vivere il culto al Padre, eliminando l'esclusività o la prerogativa di un unico luogo come via d'accesso a Dio. "Né qui né a Gerusalemme". Allora dove e come sarà possibile adorare il Padre a partire dall'ora "0" instaurata dalla morte-risurrezione di Gesù? È a questa domanda che vuole rispondere l'affermazione successiva di Gesù: "Viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il

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Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano" (Gv 4,23). Non solo "santificare le feste", ma anche "adorare in Spirito e verità". Si tratta di un'affermazione centrale non solo in questo brano, ma in tutto il quarto vangelo, che mira a mostrare come l'incarnazione-morte-resurrezione di Gesù imprima alla storia ed anche al sistema religioso e cultuale d'Israele una svolta copernicana. Una nuova tappa della storia della salvezza prende inizio in Gesù, ed essa sarà caratterizzata da un nuovo modo di "adorare il Padre, in Spirito e verità". L'affermazione di Gesù è di estrema importanza, e vorrei proporla a voi come icona biblica o traccia di riflessione e di cammino per il nuovo anno pastorale. Ma fermiamoci brevemente a sondarne il significato. "Adorare il Padre" Parlando di adorazione, Gesù si inserisce nella tradizione più genuina d'Israele. Ogni ebreo rinnova quotidianamente il dovere di adorare Dio recitando la preghiera dello Shema': "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze" (Dt 6, 4-5). "Adorare" è infatti sinonimo di "amare" e indica la dedizione e l'amore incondizionato che l'uomo deve a Dio. È questo il senso del ricco apparato di culto e sacrifici che ogni giorno i sacerdoti compiono nel tempio. Adorare Dio non è dunque altro che il compimento del primo comandamento. L'uomo è stato creato per nient'altro che per adorare il suo creatore. Non si tratta tuttavia di una corvée o di una sanzione imposta all'uomo dall'esterno, quanto di un desiderio inscritto nel profondo del suo cuore. È ciò che Agostino, al termine della sua travagliata ricerca, esprimeva lapidariamente con: "Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te"7 . Dio è la sete e la fame dell'uomo. Adorare il Padre è il desiderio più potente e recondito del cuore umano. È ciò che lo rende perpetuamente inquieto. Egli è stato creato semplicemente per questa adorazione, che è la sua gioia, la sua pace, la sua pienezza. L'adorazione del Padre stana tutte le false concezioni di gioia, spesso confusa con autodeterminazione, libertà di fare quello che si vuole, egocentrismo. Adorare il Padre significa fondamentalmente decentrarsi, uscire dal cortocircuito del proprio ego, per accettare di ricevere il senso della vita da qualcun altro. L'uomo non è mai così grande come quando si fa adoratore del Padre, perché è là che scopre la sua identità di figlio amato eternamente, che non ha altra ragione di vivere che contraccambiare questo amore. Gesù conferma dunque

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quanto era già il cuore di tutto l'Antico Testamento: farsi adoratore del Padre è la vocazione più profonda e sublime di ogni vita umana. "In Spirito e verità" Se nella prima parte della frase Gesù non fa che ripetere la fede tradizionale di Israele, in ciò che segue egli enuncia una vera e propria novità. L'adorazione del Padre, come amore totale e incondizionato a Lui, deve avvenire secondo Gesù "in Spirito e verità". Si tratta di due termini che hanno nel quarto vangelo un'estrema ricchezza. Il primo (lo Spirito) è il difensore, il consolatore, soprattutto colui che ricorda e completa nei credenti quanto detto e fatto da Gesù. Egli è la presenza stessa di Gesù risorto nella comunità dei credenti e nel cuore stesso di ogni individuo. Anche la "verità" evoca un insieme di significati disparati: essa è l'essenza del Padre, il contenuto della Parola, e un sinonimo stesso per dire Gesù. La verità è ciò che egli ha detto e fatto per l'umanità, in una parola Lui stesso. Ritornando alla nostra frase, ciò che Gesù afferma alla samaritana è che l'adorazione, cioè la dedizione personale a Dio, non è più legata a un posto preciso (il Tempio di Gerusalemme o del Garizim), e nemmeno ad un apparato di gesti e parole da compiere. Nell'era nuova instaurata da Gesù questo culto al Padre sarà reso per mezzo dello Spirito e in Gesù stesso. Non conta più il luogo né i gesti particolari, quanto una comunione con il Figlio e lo Spirito che rendono ogni luogo e ogni tempo atto e idoneo. La novità enunciata da Gesù non è soltanto un ampliamento ma si tratta di una completa rivoluzione. Gesù stacca infatti il culto di Dio da un ambito geografico e temporale preciso per allargarlo e universalizzarlo oltre ogni limite. Il luogo nuovo in cui adorare è la persona, tempio in cui vive il Figlio e lo Spirito. La vera adorazione non è più qualcosa di esterno che essa compie (il sacrificio o la preghiera vocale) ma un modo nuovo di essere e di vivere. Il nuovo tempio è l'uomo stesso, con la sua vita, il suo lavoro, le sue facoltà. Altrove Gesù farà capire come questo culto "totale" coincide e si esprime nel comandamento dell'amore (di Dio e del Prossimo). È quanto san Paolo compendierà in modo eminente, dicendo: "Vi esorto dunque, fratelli, a offrire i vostri corpi come un sacrificio vivente, santo, gradito a Dio, come vostro culto spirituale" (Rm 12,1). Il nuovo culto istituito da Gesù sulla croce ed annunciato in anticipo alla donna samaritana è una vita che si lascia tutta impregnare dalla grazia e dalla legge dell'amore, trasformandosi in un tempio vivo. È questo il culto che

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il Padre cerca: una vita che si fa tutta intera inno di lode a Lui. "I veri adoratori" Se questi sono i presupposti, chi sono dunque i veri adoratori che il Padre cerca? Non si tratta senz'altro di coloro che passano ore interminabili in chiesa o in ginocchio (non che siano cose negative – al contrario – ma non è questo il punto). Gesù ci invita a spogliarci di quell'atteggiamento farisaico, che può colpire facilmente anche l'ambito della preghiera e del culto, di fare dell'adorazione un ambito distinto della vita, una scatola chiusa in cui rifugiarsi in alcune ore della giornata o della settimana, che non ha nessun contatto col nostro vissuto e la nostra quotidianità. I farisei passavano lunghissime ore in preghiera e nello studio della parola di Dio, ma questo tempo non permeava assolutamente il resto della loro vita. I veri adoratori del Padre, che Gesù non manca di additare lungo il cammino della sua vita, sono persone umili, per nulla appariscenti, che vivono la fede in una dimensione esistenziale: una povera vedova che dà tutto quanto ha al tempio (cf Mc 12,41-44); una donna peccatrice che versa il suo olio sul capo di Gesù (cf Mc 14, 3), e la lista potrebbe continuare. Il vero culto che Gesù elogia ha dunque come oggetto il cuore più che i gesti. Esso si coniuga con la semplicità, col silenzio e soprattutto con l'umiltà di cuore. Ciò è d'altronde quanto già affermato dal salmista "uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, tu, o Dio, non disprezzi" (Sal 50). Ecco il vero culto che Dio non disprezza, a cui cioè non può resistere né negare il suo consenso: una vita che si fa "semplice" davanti a Lui, e un cuore che riconosce il bisogno fondamentale del suo amore. "È quel «culto spirituale» che Paolo, ancora nella lettera ai Romani (12,1), definisce come offerta dei «corpi in sacrificio vivente santo e gradito a Dio», cioè un culto dell'esistenza e di tutto l'essere credente. E' solo se c'è questa liturgia che l'altra, quella rituale, acquista senso. E' solo se c'è la Chiesa vivente degli adoratori in Spirito e verità che ha significato la chiesa materiale, destinata all'adorazione pubblica"8 . Celebrare la fede non è un settore, né un momento, della vita, ma evoca e avvolge tutta la vita. Traduzione operativa e obiettivi - Bisogna fare ogni sforzo per comprendere il "celebrare la fede" nell'ottica dell'Educare alla vita buona del Vangelo. - Stimolare la formazione di educatori di comunità con il chiaro senso di

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Fede, appartenenza, con relazioni equilibrate, capaci di lavorare insieme, attenti alla formazione permanente. Incontrerò gli operatori pastorali e i catechisti di ogni forania. - Il percorso dell'iniziazione Cristiana, tenga in debita considerazione la proposta dell'oratorio parrocchiale e la celebrazione della Cresima in età adolescenziale. - Scuola di preghiera per fidanzati. - Offrire formazione e spazi per celebrare la fede alle coppie di separati, risposati… - Nell'imminenza della celebrazione della Cresima, in ogni forania si organizzi una celebrazione comune per il rito della consegna del Vangelo. - Curare la costituzione del gruppo dei ministranti. - Speciale attenzione al persone destinate a svolgere il compito di servire all'altare e di proclamare la Parola di Dio nell'Assemblea. - La celebrazione Eucaristica domenicale costituisca davvero il momento di confluenza tra l'annuncio e la celebrazione della fede. - Si propone la conoscenza e progressiva assimilazione del documento dei Vescovi della Campania Evangelizzare la pietà popolare al fine di curarne la graduale e responsabile attuazione. Al fine di favorire una presentazione più completa e dettagliata della vitalità pastorale delle singole realtà locali, suggerisco ed invito a curare una buona documentazione video da consegnare all'Ufficio per le Comunicazioni Sociali della Diocesi, al quale potete anche chiedere sostegno e supporto in occasione di eventi pastorali significativi. Il mio più vivo ringraziamento è rivolto ai Sacerdoti, agli operatori pastorali delle nostre comunità, ai Religiosi e Religiose presenti, a coloro che hanno preparato e organizzato la celebrazione di questo evento negli aspetti tecnici, logistici, nei contenuti video e a coloro che a vario titolo, hanno prestato le loro competenze. In attesa di rivedervi per la presentazione degli Orientamenti Pastorali, saluto e benedico di cuore tutti. 1

ANTONIO DE LUCA, "Orientamenti Pastorali", 2012. F.G. BRAMBILLA, "La pastorale della Chiesa in Italia. Dai tria munera ai 'cinque ambiti'?", in La Rivista del Clero Italiano, 6/ 2011, pp. 389-407. 3 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10 (il 4 dicembre del 2013 ricorre il 50° della promulgazione). 4 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 10. 5 Messaggio al popolo di Dio della XIII assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi. 2

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Conc. Ecum. Vat.II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 1. S.AGOSTINO, Confessioni I, 1,1 5 8 GIANFRANCO RAVASI, Secondo le Scritture p. 410, ed. Piemme, Casale Monferrato, 1999. 7

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ORIENTAMENTI PASTORALI ANNO PASTORALE 2013-2014

CELEBRARE LA FEDE: ‘ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ’ (cf Gv 4,23-24)

Carissimi Cristiani, Sacerdoti, Diaconi, Religiosi e Religiose, Fratelli e Sorelle, «grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo» (Rm 1,7). Nell’anno pastorale 2012-2013 abbiamo riflettuto sulla tematica della fede annunciata: siamo partiti dall’icona biblica «“Che cosa cercate”?... “Venite e vedrete”» (Gv 1,38-39) e abbiamo compreso e testimoniato che la fede passa attraverso l’annuncio, ma deve diventare proposta ed esperienza concreta. Non si tratta tanto e solo di acquisire un dato dottrinale, ma soprattutto occorre fare esperienza di un evento, l’incontro con una persona: Gesù Cristo, il Verbo eterno fatto carne (cf Gv 1,1-18), morto e risorto per compiere il disegno di salvezza affidatogli dal Padre (cf: Gv 5,36; 17,4)1. Questo è emerso ampiamente dagli Orientamenti pastorali diocesani del triennio 2012-2015: «I due discepoli del Vangelo seguendo Gesù hanno varcato la porta fidei che li ha introdotti alla stabile Comunione di vita con Lui: sono entrati nella casa di Gesù che è “la casa e la scuola della comunione”»2. Gesù mostra che un percorso educativo nella fede si stabilisce innanzitutto sulla base di un incontro personale con Lui3; non si tratta di trasmettere nozioni astratte ma di offrire un’esperienza da condividere, quella che scaturisce dalla logica propria della fede cristiana, secondo quanto è stato da ultimo ribadito dal Sommo Pontefice Francesco nella sua prima Lettera Encicli1

CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. Dei Verbum, 18 novembre 1965, n. 4. A. DE LUCA – DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO, Orientamenti pastorali, 2 settembre 2012, p. 12. Per sviluppi e indicazioni ulteriori sul progetto pastorale diocesano del triennio 2012-2015, cf Ibid. 3 È quanto i vescovi italiani hanno affermato riflettendo sull’educazione «a partire dall’incontro con Gesù Cristo e il suo Vangelo, del quale quotidianamente sperimentiamo la forza sanante e liberante» (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 4 ottobre 2010, n. 4). 2

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ca, Lumen Fidei: «La fede in Cristo ci salva perché è in Lui che la vita si apre radicalmente a un Amore che ci precede e ci trasforma dall’interno, che agisce in noi e con noi»4. Accanto a questa prospettiva contenutistica, abbiamo cercato di porre attenzione alla svolta del 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona (16-20 ottobre 2006), che privilegia i cinque ambiti antropologici per dire la fede oggi: «vita affettiva, lavoro e festa, fragilità umana, tradizione, cittadinanza»5. In questa direzione siamo consapevoli di essere agli inizi, e gli sforzi devono moltiplicarsi: «Occorre ripensare l’unità della pastorale, articolata nelle funzioni e/o uffici della Chiesa (Parola, Sacramento, Carità/comunione e Carità/servizio), incentrandola maggiormente sull’unità della persona, sulla rilevanza educativa e formativa che queste funzioni possono avere. Credo che si debba aggiungere: non si tratta di sostituire al criterio ecclesiologico la rilevanza antropologica nel disegnare l’unità e l’articola-zione della missione della Chiesa, quanto invece di mostrare che la pastorale in prospettiva missionaria deve sapere in ogni caso condurre l’uomo all’incontro con la speranza viva del Risorto. Diversa è, infatti, la funzione del criterio ecclesiologico e della rilevanza antropologica: lo schema dei tria munera dice l’unità della missione della Chiesa negli elementi che la costituiscono come dono dall’alto, ne dice l’eccedenza irriducibile a ogni cosiddetto umanesimo; il rilievo antropologico dell’azione pastorale della chiesa, destinato all’unità della persona e alla figura buona della vita che vuole suscitare, dice l’insonne compito dell’agire missionario della Chiesa di dirsi dentro le forme universali dell’esperienza, che sono sempre connotate dall’ethos culturale e dalle forme civili di un’epoca. Saper mostrare la qualità antropologica dei gesti della chiesa è oggi un’urgenza non solo dettata dal momento culturale moderno e post, ma è un istanza imprescindibile per dire che il Vangelo è per l’uomo e per la pienezza della vita personale»6. E ancora: 4

FRANCESCO, Lett. enc. Lumen fidei, 29 giugno 2013, n. 20. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Nota past. “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande 'Si' di Dio all'uomo, 29 giugno 2007, n. 12. 6 F.G. BRAMBILLA, «Partenza da Verona. La Chiesa italiana dopo il Convegno», in La Rivista del Clero Italiano 87 [2006] 735-736. 5

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«Non si tratta di abbandonare lo schema ecclesiologico del triplex munus in favore di una non meglio identificata “attenzione antropologica”, emblematicamente declinata nei cinque ambiti di Verona, ma di articolare correttamente le due istanze, con il loro rispettivo funzionamento teologico». 7

1. La fede pregata Volendo procedere nel nostro itinerario pastorale, conservando la logica e l’impegno dell’educare, desideriamo proporre un passaggio ulteriore: dalla fede annunciata alla fede celebrata8. Non si tratta di considerare chiusa una fase, né possiamo credere di avere esaurito un compito, è piuttosto un naturale sviluppo e una crescita di consapevolezza. Per ciascuno di noi risuona grave e sempre attuale il monito: «guai a me se non annuncio il Vangelo» (1 Cor 9,16). Non direi dopo l’annuncio, ma accanto all’annuncio ci incamminiamo nell’impegno del celebrare la fede. In fondo si annuncia celebrando e si celebra annunciando! Il celebrare la fede non si risolve in una ritualità, infatti nella Costituzione del Vaticano II sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, si precisa: «la liturgia spinge i fedeli, nutriti dei “sacramenti pasquali”, a vivere “in perfetta unione”; prega affinché “esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede”; la rinnovazione poi dell’alleanza di Dio con gli uomini nell'eucaristia introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa. Dalla liturgia, dunque, e particolarmente dall’eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale

7 ID., «La pastorale della Chiesa in Italia. Dai tria munera ai ‘cinque ambiti’?», in Ibid. 92 [2011] 389-407. 8 Cf A. DE LUCA – DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO, Orientamenti pastorali, p. 6, anno 2012.

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tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa»9. Celebrare la fede rinvia a quella dimensione sacerdotale di tutto il popolo di Dio che trae origine dal sacramento del battesimo. Tale sacerdozio ci abilita e ci indirizza nella dimensione dell’offerta e di oblatività a Dio, così come insegna il Concilio Vaticano II nella Costituzione Lumen Gentium: «Infatti per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le attività del cristiano, spirituali sacrifici, e far conoscere i prodigi di colui, che dalle tenebre li chiamò all’ammirabile sua luce (cfr. 1 Pt 2,4-10). Tutti quindi i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio (cfr. At 2,42-47), offrano se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio (cfr. Rm 12,1)»10. È in grado di offrire se stesso solo chi ha gustato la gioia del dono e della compagnia di Dio. Nella logica dell’integrazione tra annunciare la fede e celebrare la fede intervengono i Vescovi di tutto il mondo, che – scrivendo al popolo santo di Dio – sottolineano: «La bellezza della fede deve risplendere, in particolare, nelle azioni della sacra Liturgia, nell’Eucaristia domenicale anzitutto. Proprio nelle celebrazioni liturgiche la Chiesa svela infatti il suo volto di opera di Dio e rende visibile, nelle parole e nei gesti, il significato del Vangelo. Sta a noi oggi rendere concretamente accessibili esperienze di Chiesa, moltiplicare i pozzi a cui invitare gli uomini e le donne assetati e lì far loro incontrare Gesù, offrire oasi nei deserti della vita. Di questo sono responsabili le comunità cristiane e, in esse, ogni discepolo del Signore: a ciascuno è affidata una testimonianza insostituibile, perché il Vangelo possa incrociare l’esistenza di tutti; per questo ci è chiesta la santità della vita»11. In forza di questo ulteriore invito, diventiamo maggiormente con9

CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 4 dicembre 1963, n. 10 (il grassetto nel testo è dello scrivente). Il 4 dicembre del 2013 ricorre il 50° dalla promulgazione del testo conciliare. 10 ID., Cost. Lumen Gentium, 21 novembre 1964, n. 10. 11 SINODO DEI VESCOVI, Messaggio al Popolo di Dio a conclusione della XIII Assemblea Generale Ordinaria, 7-28 ottobre 2012, n. 3.

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sapevoli che per mezzo della fede annunciata e celebrata il «mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami»12. Ritengo che il nesso fede-preghiera vada inquadrato nel concetto di amicizia, intesa come incontro personale con il Signore Risorto, fondamento della nostra fede, speranza e carità. Questa amicizia – intesa come centro della vita cristiana – diventa di fondamentale importanza, perché è proprio questa relazione che trasfigura il nostro essere e agire. «“Non vi chiamo più servi, ma amici”. Ho potuto farne un’esperienza profonda: Egli, il Signore, non è soltanto Signore, ma anche amico. Egli ha posto la sua mano su di me e non mi lascerà»13. Una mano, quella del Signore, che vuole toccare tutti: lo evidenzia bene papa Francesco quando scrive: «Se dare la vita per gli amici è la massima prova di amore (cfr Gv 15,13), Gesù ha offerto la sua per tutti, anche per coloro che erano nemici, per trasformare il cuore»14. Tutto ciò è possibile perché la fede, che diventa incontro nella preghiera, è infatti prima di tutto incontro con una Persona, Gesù Cristo Signore, che rende la vita migliore, come ricorda il Concilio: «Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo»15. Lo si segue perché lo si incontra continuamente, Egli opera nella liturgia, si rende presente nei sacramenti, accompagna il cammino della Chiesa, ma non tutto finisce ‘in Chiesa’! L’evento della Resurrezione di Cristo, che assicura – mediante lo Spirito Santo – la presenza del Signore nella sua Chiesa per sempre, è il fondamento di questa relazione tra il Maestro e il discepolo. La nostra fede celebrata ha un punto di riferimento nella persona stessa di Gesù Cristo, considerato come Sacerdote che celebra la sua fede. L’approfondimento che ci è stato offerto nel Convegno Pastorale Diocesano (18-19 giugno 2013) ha messo in evidenza che Gesù celebra la sua fede con l’offerta che Egli compie di se stesso: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”. Dopo aver detto: Tu 12

CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. Dei Verbum, n. 1. BENEDETTO XVI, Omelia in occasione dell’80° genetliaco, 15 aprile 2007. 14 FRANCESCO, Lett. enc. Lumen fidei, n. 16. 15 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. Gaudium et Spes, 7 dicembre 1965, n. 41. 13

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non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo» (Eb 10, 5-9). C’è un ‘culto quotidiano’ di Gesù che consiste nel ‘fare la volontà del Padre suo’ (cf Gv 4,34) e si esplica in una molteplicità di relazioni, di azioni e di attività che il Padre vuole e che Gesù conosce e compie nella potenza dello Spirito Santo e lo pone in comunione di intenti e di azione con il Padre suo. Gesù celebra la sua fede facendo la volontà del Padre suo (cf: Mt 7,21; Gv 6,40). La predicazione di Gesù è la forma più concreta con la quale egli celebra la fede. La predicazione è vero e proprio atto di culto. San Paolo ne ha la chiara coscienza: annunciando il Vangelo del Figlio, lui rende culto al Padre (cf Rm 1,9). La predicazione della Parola di Dio provoca nell’uomo che ascolta ciò che l’“apostolo delle genti” afferma quando scrive: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,1-2). Gesù è cosciente che la conoscenza del Padre attraverso la sua missione conduce l’uomo alla sua liberazione e così la sua vita acquista senso e significato. È una predicazione molteplice: Gesù parla in parabole per annunciare i misteri del regno: (cf Mt 13,1-52); ai suoi spiega ogni cosa (cf Mc 4,34). La sua è una predicazione itinerante: Luca presenta l’insegnamento di Gesù ‘sulla strada’, mentre va a Gerusalemme16 per dare compimento al suo mistero pasquale. Gesù non ha una cattedra, alla cui scuola poter andare sistematicamente; davanti a Lui scorre la vita nei suoi innumerevoli affanni e problemi, mentre Lui riconduce tutto alla verità del Padre. Porta ogni relazione, con Dio, con gli altri, con se stessi, con la natura, nella pienezza della sua verità17. 16

Cf: Lc 9,57; 10,31; 10,4; 12,58; 18,35; 19,36. La questione della verità è centrale per poter ‘comprendere’ e ‘restare saldi’ in ogni aspetto della vita. Fondamentale e inscindibile è il rapporto fede-verità, verità-amore, fede17

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La carità è un altro aspetto del culto che Gesù ha esercitato nel suo ministero, così rilevante al punto che Egli subordina il culto stesso alla carità, affinché esso possa donare il suo significato pieno a tutta l’esistenza. La parabola del buon Samaritano (cf Lc 10,25-37) richiama in modo inequivocabile questo elemento, facendo dipendere l’esercizio del culto dalla carità verso il prossimo. Il sacerdote e il levita sono convinti del contrario, per questo non si avvicinano al malcapitato per non contaminarsi, per loro esiste solo il culto, ritenendo tutto il resto secondario e a questo subordinato. Gesù invece insegna che il prossimo ha la priorità nel servizio; ogni altro impegno – compreso quello del tempio – diviene secondario. Prima viene il prossimo e poi ogni altro servizio, anche il più santo e il più sacro. Tra il culto e la vita, Gesù dice che si deve dare ogni priorità alla vita. Salvata la vita, resta tutto lo spazio per il culto. Gesù arriverà ad identificarsi proprio con coloro che necessitano di tutto, con il povero e l’escluso: «“In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”» (Mt 25,40). Il Signore ci insegna che il servizio all’uomo è servizio a Dio, divenendo Lui stesso servo degli uomini18. Oltre alla predicazione e alla carità, Gesù ha offerto agli uomini la possibilità di relazionarsi con il Padre, Egli ha messo nel cuore degli uomini la nostalgia di Dio, accendendo nei loro cuori la speranza. Ha rivestito l’uomo di una nuova dignità, la stessa che il peccato aveva deturpato19. Nei segni e miracoli operati da Gesù vi è la celebrazione della sua fede, come fiducia nel Padre e come fede celebrata a servizio dell’umanità sofferente20. Egli sa di essere con Lui «“una cosa sola”» (Gv 10,30). Da qui, Egli agisce ed opera per alleviare le umane sofferenze: febbre (Mt 8,14-15; Mc 1,29-31; Lc 4,38-39), sordomuti (Mt 9,32-34; Mc 7,31-37); cecità (Mt 9,27-31; 20,29-34); infermità nelle ossa (Lc 13,10-17); flussi di sangue (Mt 9,20-22); idropisia (Lc 14,1ragione, oggetto di riflessione teologica e magisteriale e su cui da ultimo, cf FRANCESCO, Lett. enc. Lumen fidei, II capitolo. 18 Cf: Mt 20,20-28; Mc 10,35-45; Lc 22,24-27; Gv 13,1-20. 19 Cf G. DE LUCA, Celebrare la fede, Relazione al Convegno Pastorale Diocesano, Teggiano, 19 giugno 2013. 20 Su questi significati della fede, da ultimo, cf FRANCESCO, Lett. enc. Lumen fidei, nn. 10, 13.

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6); ferite (Lc 22,50); lebbra (Mt 8,1-4; Lc 17,11-19); paralisi (Mt 8,513; 9,1-8; 12,9-14; Gv 4,46-54; 5,1-9). Questo suo potere rischia di essere frainteso dalle folle che vogliono farlo re (cf Gv 6,15), non comprendono che ciò che sta a cuore a Gesù è la salvezza di tutto l’uomo dal potere delle tenebre, del male, della morte. Egli si rifiuta di usare questo suo potere per attirare l’attenzione della gente (cf Lc 23,8) e riporta l’attenzione sul vero senso del miracolo e del segno, manifestazione della potenza di Dio. Ogni qualvolta Gesù opera un miracolo intende celebrare la sua fede nel Padre. L’apice della celebrazione della fede di Gesù si è realizzata attraverso il sacrificio della croce, momento supremo in cui offre se stesso, come «vittima pura, santa e immacolata»21 per la salvezza del mondo. Un’offerta anticipata già durante il suo ministero pubblico, nel suo pellegrinare sulle strade dell’uomo, quando non viene compreso, non è riconosciuto, non è accolto. In quel momento estremo Egli non ha più nulla da offrire se non Se stesso e questo sacrificio lo rende consapevole che quella morte, quel dono di Sé, rimetterà per sempre in comunione Dio e l’uomo.

2. La nostra icona biblica Anche quest’anno vorrei che la Parola di Dio rappresentasse il costante punto di riferimento del nostro impegno pastorale: è da questa Parola che bisogna partire e sempre ritornare. Vi suggerisco la frase che rimanda alle parole di Gesù: ‘Adorare il Padre in spirito e verità’ (cf Gv 4,23-24). È tratta dal noto incontro tra Gesù e la donna samaritana (cf Gv 4,1-30), un testo di rara bellezza e intensità teologica. In questa donna, l’evangelista Giovanni ci vuole far incontrare non soltanto uno dei tanti ‘disprezzati’ o peccatori (tali erano i samaritani agli occhi dei giudei) verso cui Gesù mostra sempre attenzione e misericordia. In questa donna ci è presentata un’icona dell’umanità nel suo insieme: in perpetua ricerca di senso, ai crocicchi della storia e ai pozzi che di volta in volta le vengono offerti dalla scienza, dal progresso o dalla 21

Messale romano, Preghiera eucaristica I.

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storia. Un’umanità eternamente assetata di risposte e alla ricerca del fratello, compagno e amico ideale, di Colui che le darà il senso e il gusto autentico di vivere. L’icona è già nota dall’Antico Testamento: lo sposo e la sposa sono un’immagine paradigmatica del rapporto che lega Dio al suo popolo, e più concretamente ognuno di noi a Colui che ci ha creati e ci ama. Ebbene, stando alla pericope in questione, dopo aver toccato vari argomenti – soprattutto la vita avventurosa della donna in perpetua ricerca dell’uomo che le darà la felicità sperata (ha già avuto cinque mariti) – il discorso cade sul tema del Tempio e dell’adorazione. È risaputo che l’ostilità tra giudei e samaritani riposava proprio sulla disputa riguardante il Santuario. Quale dei due era quello autentico: quello di Gerusalemme, sul monte Moria, luogo dove secondo la tradizione Abramo si era recato per compiere il sacrificio di Isacco (cf Gen 22,1-19), oppure quello samaritano, sul monte Garizìm, che rimandava invece a Giosuè e all’entrata di Israele nella Terra promessa (cf Gs 8,30-35)? L’ostilità tra i due popoli era stata accentuata dal fatto che a più riprese gli abitanti di Gerusalemme avevano distrutto il Tempio samaritano sul Garizìm, perpetuando così un insulto e un offesa che si tramandava di generazione in generazione. Il Tempio non è un semplice luogo di culto, ma è la casa di Dio (cf: 2 Sam 7,13; 1 Re, 5-8), il luogo dove innalzare la preghiera e offrire i sacrifici per il perdono dei peccati: si capisce così come la questione del ‘vero’ Tempio sia d’importanza capitale. Gesù sembra in un primo tempo sposare la tesi gerosolimitana, ma ben presto apre il discorso a una questione più ampia, spostando l’argomento dal ‘dove’ (Tempio) al ‘come’ adorare: «“Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre”» (Gv 4,21). Adorare indica il servizio che l’uomo rende a Dio nella preghiera e nelle pratiche del culto. Il tema dell’“ora” è caro a Giovanni ed indica il momento in cui Gesù sarà glorificato sulla croce. Quello che in poche parole Gesù afferma è che la sua morte e risurrezione provocherà un cambiamento radicale nel modo di vivere il culto verso il Padre, eliminando l’esclusività o la prerogativa di un unico luogo come via d’accesso a Dio. Allora dove e come sarà possibile adorare il Padre, a partire dall’“ora” instaurata

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dalla morte-risurrezione di Gesù? È a questa domanda che vuole rispondere l’affermazione successiva di Gesù: «“viene l’ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano”» (Gv 4,23). Non solo ‘santificare le feste’ (cf: Dt 5,14; Es 20,10; Mc 2,27-28), ma anche «“adorare in spirito e verità”» (Gv 4,24). Si tratta di un’affermazione centrale non solo in questo brano, ma in tutto il Vangelo di Giovanni, che mira a mostrare come l’Incarnazione-Morte-Resurrezione di Gesù imprima alla storia e anche al sistema religioso e cultuale d’Israele una svolta copernicana. Una nuova e compiuta tappa della storia della salvezza prende inizio in Gesù, ed essa sarà caratterizzata da un nuovo modo di adorare il Padre, “in spirito e verità”. L’affermazione di Gesù è di estrema importanza, e vorrei proporla a voi come icona biblica o traccia di riflessione e di cammino per il nuovo anno pastorale. Fermiamoci brevemente a sondarne il significato.

3. Adorare il Padre Parlando di adorazione, Gesù si inserisce nella tradizione più genuina d’Israele. Ogni ebreo rinnova quotidianamente il dovere di adorare Dio recitando la preghiera dello Shemà: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,45). Adorare è infatti sinonimo di amare e indica la dedizione e l’amore incondizionato che l’uomo deve a Dio. È questo il senso del ricco apparato di culto e sacrifici che ogni giorno i sacerdoti compiono nel tempio. Adorare Dio non è dunque altro che il compimento del primo comandamento (cf: Es 20,2-5; Dt 5,6-9; Mt 4,10). L’uomo è stato creato per adorare il suo Dio. Non si tratta tuttavia di una corvée o di una sanzione imposta all’uomo dall’esterno, quanto di un desiderio inscritto nel profondo del suo cuore, che lo spinge a «conoscere e amare Dio»22 e Colui che Egli ha mandato, Gesù Cristo (cf Gv 17,3). 22 Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, nn. 1-3.

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È ciò che Agostino, al termine della sua travagliata ricerca, esprimeva lapidariamente con: «Signore… ci hai fatti per te e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te»23. Dio è la sete e la fame dell’uomo. Adorare il Padre è il desiderio più potente e recondito del cuore umano. È ciò che lo rende perpetuamente inquieto. L’uomo è stato creato semplicemente per questa adorazione, che è la sua gioia, la sua pace, la sua pienezza. L’adorazione del Padre stana tutte le false concezioni di gioia, spesso confusa con autodeterminazione, libertà di fare quello che si vuole, egocentrismo. Adorare il Padre significa fondamentalmente decentrarsi, uscire dal cortocircuito del proprio ego, per accettare di ricevere il senso della vita da qualcun altro. L’uomo non è mai così grande come quando si fa adoratore del Padre, perché è in quel momento che scopre la sua identità di figlio amato eternamente, che non ha altra ragione di vivere se non per contraccambiare questo amore. Gesù conferma dunque quanto era già al cuore di tutto l’Antico Testamento: diventare adoratori del Padre è la vocazione più profonda e sublime di ogni vita umana.

4. In spirito e verità Se nella prima parte della frase Gesù non fa che ripetere la fede tradizionale di Israele, in ciò che segue Egli enuncia una vera e propria novità radicale. L’adorazione del Padre, come amore totale e incondizionato a Lui, deve avvenire secondo Gesù “in spirito e verità”. Si tratta di due termini che hanno, nel quarto Vangelo, un’estrema ricchezza. Il primo (lo Spirito) è il difensore, il consolatore, soprattutto è Colui che ricorda e completa nei credenti quanto detto e fatto da Gesù. Egli è la presenza stessa di Gesù risorto nella comunità dei credenti e nel cuore stesso di ogni persona. Anche la “verità” evoca un insieme di significati disparati: essa è l’essenza del Padre, il contenuto della Parola e un sinonimo stesso per dire Gesù. La Verità è ciò che Egli ha detto e fatto per l’umanità, in una parola Lui stesso. Ritornando alla nostra frase, ciò che Gesù afferma alla samaritana è che l’adorazione, cioè la dedizione personale a Dio, non è più legata a un 23

SANT’AGOSTINO, Confessiones, 1, 1,1.

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posto preciso (il Tempio di Gerusalemme o il Garizim), e nemmeno ad un apparato di gesti e parole da compiere. Nell’era nuova instaurata da Gesù, questo culto al Padre sarà reso per mezzo dello Spirito e in Gesù stesso. Non conta più il luogo né i gesti particolari, quanto una comunione con il Figlio e lo Spirito che rendono ogni luogo e ogni tempo atto e idoneo. La novità enunciata da Gesù non è soltanto un ampliamento, ma si tratta di una completa rivoluzione. Gesù stacca infatti il culto di Dio da un ambito geografico e temporale preciso, per allargarlo e universalizzarlo oltre ogni limite. Il luogo nuovo in cui adorare è la persona, tempio in cui vive il Figlio e lo Spirito. La vera adorazione non è più qualcosa di esterno a chi la compie (il sacrificio o la preghiera vocale), ma un modo nuovo di essere e di vivere. Il nuovo tempio è l’uomo stesso, con la sua vita, il suo lavoro, le sue facoltà. Altrove Gesù farà capire come questo culto ‘totale’ coincide e si esprime nel comandamento dell’amore di Dio e del prossimo (cf: Mt 22,37.39; Mc 12,29-31; Lc 10,27). È quanto san Paolo compendierà in modo eminente, dicendo: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Il nuovo culto istituito da Gesù sulla croce e annunciato in anticipo alla donna samaritana è una vita che si lascia tutta impregnare dalla grazia e dalla legge dell’amore, trasformandosi in un tempio vivo. È questo il culto che il Padre cerca: una vita che si fa interamente inno di lode e di adorazione a Lui.

5. I veri adoratori Se questi sono i presupposti, chi sono dunque i veri adoratori che il Padre cerca? Non si tratta senz’altro di coloro che passano ore interminabili in chiesa o in ginocchio (non che siano cose negative – al contrario – ma non è questo il punto). Gesù ci invita a spogliarci di quell’atteggiamento farisaico, che può colpire facilmente anche l’ambito della preghiera e del culto, di fare dell’adorazione un ambito

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distinto dalla vita, una scatola chiusa in cui rifugiarsi in alcune ore della giornata o della settimana, che non ha nessun contatto col nostro vissuto e la nostra quotidianità. I farisei passavano lunghissime ore in preghiera e nello studio della Parola di Dio, ma questo tempo non permeava assolutamente il resto della loro vita. I veri adoratori del Padre, che Gesù non manca di additare lungo il cammino della sua vita, sono persone umili, per nulla appariscenti, che vivono la fede in una dimensione esistenziale: una povera vedova che dà tutto quanto possiede al tempio (cf: Mc 12,41-44; Lc 21,1-4); una donna peccatrice che versa il suo olio sul capo di Gesù (cf: Mc 14,3-9; Mt 26,6-13; Lc 7,36-50; Gv 12,1-8), e molti poveri dalla fede salda (ad esempio, l’episodio della donna che soffriva di emorragia in Lc 8,48, o il cieco di Gerico in Lc 18,42). Il vero culto che Gesù elogia ha dunque come oggetto il cuore più che i gesti esteriori. Esso si coniuga con la semplicità, col silenzio e soprattutto con l’umiltà di cuore. Ciò è d’altronde quanto già affermato dal salmista: «uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi» (Sal 51,19). Ecco il vero culto che Dio non disprezza, a cui cioè non può resistere, né negare il suo consenso: una vita che si fa umile davanti a Lui e un cuore che riconosce il bisogno fondamentale del suo amore. «È quel “culto spirituale” che Paolo, ancora nella lettera ai Romani (12,1), definisce come offerta dei “corpi in sacrificio vivente, santo e gradito a Dio”, cioè un culto dell’esistenza e di tutto l’essere credente. È solo se c’è questa liturgia che l’altra, quella rituale, acquista senso. È solo se c’è la Chiesa vivente degli adoratori in Spirito e verità che ha significato la chiesa materiale, destinata all’adora-zione pubblica»24. Celebrare la fede non è un settore, né un momento della vita, ma evoca e avvolge tutta l’esistenza, che così diventa autenticamente cristiana.

24 G. RAVASI, Secondo le Scritture: doppio commento alle letture della domenica, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1999, p. 410.

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6. Il Cristiano celebra la fede La destinazione ultima del Maestro è il modello di riferimento per l’esistenza del discepolo: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,34). Rischiare la propria vita pur di seguire Gesù diventa per ogni credente un imperativo che non può essere trascurato, con il pericolo di sciupare per sempre il dono che Dio ci ha fatto chiamandoci alla vita. Nella fede che diventa preghiera attraverso lo stile di Gesù essposto prima, noi scorgiamo le grandi meraviglie operate dal Padre, per mezzo del Figlio unigenito, nello Spirito Santo; assaporiamo la bellezza di credere in un Dio che è Padre e che si prende cura di tutti i suoi figli: «Hai compassione di tutti… Tu infatti ami tutte le cose che esistono… Signore amante della vita» (Sap 11,23.24.26) e la preghiera trasfigura e cambia il cuore. Fondamentalmente la fede pregata si esplica nella liturgia e nei sacramenti, ma non si esaurisce in essi, perché la fede nel Cristo non può prescindere dall’attenzione alle forme di testimonianza che la fede stessa ci impone; queste dimensioni costituiscono il luogo teologico in cui la creatura incontra il suo Dio e Signore.

7. Fede e culto È questo un binomio che interessa noi tutti in modo particolare, come del resto ha interessato tutta la profezia e anche l’insegnamento di Gesù. Sono molte le volte in cui i profeti denunciano le pratiche religiose piene di formalismo ed estremamente lontane dall’invocare con rettitudine il nome di Dio. Le stesse persone che opprimono il povero, l’orfano e la vedova sono coloro che hanno la sfrontatezza di presentarsi davanti a Dio nel luogo santo del Tempio, credendo di poter giustificare il loro comportamento offrendo a Dio sacrifici ed olocausti, dimenticando la misericordia e la giustizia25. 25

Cf: Dt 10,18; 27,19; Es 22,21; Ger 7,6; 22,3; Is 1,17; Zc 7,10.

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Quale culto è gradito a Dio? Come celebrare il Signore con la certezza che si è a Lui graditi? La fede di Israele si basa sull’Alleanza stipulata tra Dio e il popolo, costituita dal Decalogo e dall’intero Codice della Legge, che prevede come suggello l’effusione del sangue con i sacrifici di comunione e olocausti. Il richiamo continuo all’osservanza della Legge nella sua interezza assicura lo sguardo benevolo di Dio e nel sacrificio e negli olocausti trova un’espressione adeguata, un segno visibile di essere a Lui graditi: non è allora il culto in se stesso che assicura la salvezza, non può essere un rito a salvare l’uomo, ma l’osservanza dell’Alleanza e l’ascolto della Parola eterna di Dio che continuamente interpella l’uomo, il quale esprime nel culto la fedeltà al suo Dio26. Se l’Alleanza è infranta, il culto e la liturgia diventano ipocrisia; se l’uomo è oppresso, il culto è falso: non possono coesistere ingiustizia e vero culto gradito a Dio. «“Perché mi offrite i vostri sacrifici senza numero? - dice il Signore. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di pingui vitelli. Il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede a voi questo: che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili; l’incenso per me è un abominio, i noviluni, sabati e le assemblee sacre: non posso sopportare delitto e solennità. Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicaste le preghiere, io non ascolterei: le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”» (Is 1,11-17). Anche Gesù avrà parole dure per coloro che intendono relazionarsi con Dio solo attraverso il culto esteriore, tenendo lontano il cuore dall’Alleanza e dalla Parola rivelata. In modo particolare scribi e farisei erano i detentori della perfetta religiosità, scrupolosi osservanti dei precetti e delle norme rituali, con il loro comportamento essi si ritenevano di esempio agli altri, a loro volta ritenuti imperfetti e incapaci dell’osservanza della Legge. 26

Cf: 1 Sam 15,22; Am 2,6b-8; 5,4-6; 5,14-15; Ger 7,1-7; Is 1,2-20.

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Le tre dimensioni della religiosità erano l’elemosina, la preghiera e il digiuno27, pratiche religiose osservate e ostentate; Gesù con il suo insegnamento aiuta a ricomprendere questi modelli di religiosità esemplare definendo ipocriti coloro che li praticano senza coinvolgimento e senz’anima (cf Mt 6,2.5.16), divenendo perciò idolatri di se stessi e delle loro azioni. Cristo però non si lascia abbagliare da questo tipo di fede incapace di manifestare nelle opere ciò in cui si crede. Chi vive questa ritualità esteriore pretende la gloria, la lode, gli applausi della gente, essere chiamato rabbì e per questo crede di compiere le opere di Dio, falsificando il culto e la preghiera (cf Mt 23,78). Il rischio che si corre, oggi come un tempo, è che la sete insaziabile di consensi, gratificazioni e riconoscimenti allontani da Dio e dalla comunità anche coloro che sono responsabili della crescita nella fede dei propri fratelli. “La liturgia infatti, mediante la quale, specialmente nel divino sacrificio dell'eucaristia, “si attua l’opera della nostra redenzione”, contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa. Questa ha infatti la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina; tutto questo in modo tale, però, che ciò che in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati»28. Segni, riti e simboli non fanno parte della vita ordinaria, ma sono in grado di darle senso e valore, sono profondamente umani, sono mezzi di espressione e permettono all’uomo di manifestare realtà che sfuggono alla vita di ogni giorno. Risulta chiaro come essi devono essere contestualizzati nell’ambiente in cui si celebrano, altrimenti si rischia di svilire ciò che si compie rendendolo inefficace e privo di senso. I riti devono essere significativi per chi li vive, sono espressione della fede di un popolo che si riconosce inserito in una storia di 27 28

«È meglio la preghiera con il digiuno e l’elemosina con la giustizia» (Tb 12,8). CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 2.

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salvezza. La liturgia riveste particolare importanza nella vita della Chiesa, perché dimensione fondamentale di espressione del vero culto gradito a Dio. Essa non esaurisce la dimensione celebrativa, ma è il luogo proprio in cui si celebra il Signore e le grandi opere che ha compiuto, protraendosi nella vita vissuta, nel quotidiano. Il Concilio insegna che vi è continuità sacramentale e storica tra Cristo, la Chiesa e la vita liturgica29: in Gesù Cristo, Verbo fatto carne, Unto di Spirito Santo, Mediatore tra Dio e gli uomini (cf 1 Tm 2,5), il Padre compie la redenzione di tutto l’uomo e di ogni uomo, attraverso il mistero pasquale della Passione-Morte-Risurrezione dai morti e l’Ascensione di Cristo, il quale, morendo ha distrutto la morte e risorgendo ci ha ridonato la vita30. Dal Padre al Cristo, dal Cristo agli Apostoli, da questi ai loro successori, i quali vengono inseriti da Cristo nella sua stessa opera di salvezza, non solo mandati ad annunziare la buona Notizia della salvezza, ma a confermare con la celebrazione del sacrificio di Cristo e dei sacramenti quella stessa opera, che è al cuore del loro annunzio. Da allora la Chiesa non ha mai smesso di celebrare il Sacrificio della Messa e gli altri sacramenti, garanzia della presenza del Risorto in mezzo ad essa. Chiamato a celebrare la sua fede con la vita, il cristiano deve giungere alla consapevolezza che attraverso la celebrazione dei sacramenti e la carità operosa egli si rinnova in Cristo e partecipa della sua vita divina. Soffermiamoci ora sinteticamente sul significato e l’opera specifica di ciascuno di questi segni, che per la loro strettissima inerenza alla fede vengono chiamati «sacramenti della fede»31. Il sacramento del Battesimo, chiamato altrimenti ‘Illuminazione’, è il sacramento che ci rende figli di Dio per adozione e, in quanto resi figli nel Figlio, riceviamo «una nuova identità filiale»32. L’uomo pas-

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Ad esempio, cf, Ibid., n. 5. Cf Messale romano, Prefazio pasquale [I]. 31 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 59. Nell’esposizione che segue, si evidenzia in particolare quanto è emerso durante i lavori del Convegno pastorale diocesano (Teggiano, 19 giugno 2013). 32 Sugli elementi caratteristici di questa nuova identità personale e comunitaria del cristiano, da ultimo, cf FRANCESCO, Lett. enc. Lumen fidei, in specie nn. 40-45, dove si sofferma sul rapporto fede-sacramenti, in particolare quelli dell’iniziazione cristiana. 30

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sa dalla condizione di cieco a quella di vedente33. Emblematico il racconto giovanneo della guarigione del cieco nato compiuta da Gesù (cf Gv 9,1-41), così evidenziato nella testimonianza di un autore dei primi secoli: «Poiché nella creazione secondo Adamo l’uomo essendo caduto nella trasgressione aveva bisogno della rigenerazione, dopo avere spalmato il fango sui suoi occhi, gli disse: “Va a lavarti a Siloe dandogli contemporaneamente la plasmazione e la rigenerazione attraverso il bagno»34. Colui che nel battesimo illumina è Gesù, il quale – squarciando le tenebre dell’uomo – si rivela come «luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Con il sacramento della Cresima il credente riceve in dono il sigillo dello Spirito Santo che viene elargito in modo del tutto particolare e si rinnova sui cresimandi il prodigio della Pentecoste. Questo sacramento perfeziona la dignità di figlio di Dio, già operata nel Battesimo, costituisce la perfetta conformazione a Cristo e rende effettiva l’unione intima con la Chiesa, Corpo mistico di Cristo. «I fedeli… Col sacramento della confermazione vengono vincolati più perfettamente alla Chiesa, sono arricchiti di una speciale forza dallo Spirito Santo e in questo modo sono più strettamente obbligati a diffondere e a difendere la fede con la parola e con l’opera, come veri testimoni di Cristo»35. Il Santissimo Sacramento dell’Eucarestia36 perfeziona l’iniziazione cristiana, iniziata con il Battesimo e proseguita con la Cresima e 33

«Poiché la fede è ascolto e visione, essa si trasmette anche come parola e come luce» (Ibid., n. 37): è una frase molto adatta a indicare l’opera che si attua nei sacramenti. Sono immagini, quelle appena evidenziate, che ricorrono estensivamente nel testo papale citato per esporre il contributo scaturente dal dono e dall’impegno a vivere la fede cristiana. 34 IRENEO DI LIONE, Adversus haereses, 5, 15, 3. 35 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. Lumen Gentium, n. 11. 36 Nei Prefazi della Messa della SS. Eucarestia troviamo esposto in mirabile sintesi il mistero in essa racchiuso: «Sacerdote vero ed eterno, egli istituì il rito del sacrificio perenne; a te per primo si offrì vittima di salvezza, e comandò a noi di perpetuare l’offerta in sua memoria… Il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa» (Prefazio [I]); «Nell’ultima cena con i suoi Apostoli, egli volle perpetuare nei secoli il memoriale della sua passione e si offrì a te, Agnello senza macchia, lode perfetta e sacrificio a te gradito. In questo grande mistero tu nutri e santifichi i tuoi fedeli, perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra» (Prefazio [II]); «Tu hai voluto che il tuo Figlio, obbediente fino alla morte di croce, ci precedesse sulla via del ritorno a te, termine ultimo di ogni umana attesa. Nell’Eucaristia, testamento del suo amore, egli si fa cibo e bevanda spirituale per il nostro viaggio verso la Pasqua eterna» (Prefazio [III]).

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costituisce il centro, il cuore, il vertice dell’esistenza cristiana. Uniti intimamente a Cristo attraverso l’Eucarestia, anche noi celebriamo il sacrificio della vita, offrendo al Padre, attraverso Gesù Cristo, l’offerta di tutto noi stessi. Nel sacramento della Riconciliazione il Signore opera la trasformazione del nostro cuore, ci dona la possibilità di riprendere il cammino dopo l’esperienza deformante del peccato. Cristo Risorto è il ‘porto’ della misericordia e della pace, che ci accoglie nelle tempeste del mondo, che ci sprona a un’esistenza sempre più dignitosa e priva di male, imbandisce per noi la tavola della salvezza e converte la nostra esistenza. Con il sacramento dell’Unzione degli infermi il Signore si rende vicino alle sofferenze dell’uomo e gli dona la possibilità di testimoniare la sua fede, senza perdere la speranza. Ricevuto con fede questo sacramento produce la fortezza nella prova, rimette i peccati e riveste l’infermo della forza di Cristo. Il sacramento dell’Ordine Sacro rende presente nell’oggi della storia Cristo, Capo e Pastore del suo popolo. Ordinati innanzitutto per l’evangelizzazione, Vescovi, Presbiteri e Diaconi celebrano i sacramenti e vivono nella carità la propria esistenza per amore di Cristo e dei fratelli. Il sacramento del Matrimonio conferisce agli sposi cristiani la grazia necessaria per condurre l’intera esistenza nella fedeltà coniugale, fa dei due «una carne sola» (Mc 10,8; cf Mt 19,5-6), produce il bene dei coniugi e li rende disponibili e aperti alla vita dei figli. Vissuto in pienezza, esso diventa immagine del ‘mistero grande’ – segno dell’amore che Cristo Sposo nutre per la Chiesa, sua sposa (cf Ef 5,32). La vita sacramentale deve però essere liberata da alcune confusioni che possono mortificarne la straordinaria portata. Bisogna evitare il pericolo di identificare l’ambito sacramentale con il solo campo rituale e pensare che i ministri ordinati siano i soli a doversi occupare dei sacramenti. La comunità deve sentirsi tutta interpellata e, in questo senso, deve esprimersi mediante una ministerialità ben differenziata, in cui ognuno (vescovo, presbiteri e religiosi, diaconi, laici) dà il suo contributo secondo la propria vocazione e missione specifica

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nella Chiesa. Non è solo un rischio teorico, al contrario, come affermato dai Vescovi italiani ed evidenziato anche nei gruppi di studio per foranie durante i lavori del Convegno pastorale diocesano (19 giugno u.s.): «Nonostante i tantissimi benefici apportati dalla riforma liturgica del Concilio Vaticano II, spesso uno dei problemi più difficili oggi è proprio la trasmissione del vero senso della liturgia cristiana. Si constata qua e là una certa stanchezza e anche la tentazione di tornare a vecchi formalismi o di avventurarsi alla ricerca ingenua dello spettacolare. Pare, talvolta, che l’evento sacramentale non venga colto. Di qui l’urgenza di esplicitare la rilevanza della liturgia quale luogo educativo e rivelativo, facendone emergere la dignità e l’orientamento verso l’edificazione del Regno. La celebrazione eucaristica chiede molto al sacerdote che presiede l’assemblea e va sostenuta con una robusta formazione liturgica dei fedeli. Serve una liturgia insieme seria, semplice e bella, che sia veicolo del mistero, rimanendo al tempo stesso intelligibile, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con gli uomini»37.

8. La pietà popolare «La locuzione “pietà popolare” designa… le diverse manifestazioni cultuali di carattere privato o comunitario che, nell’ambito della fede cristiana, si esprimono prevalentemente non con i moduli della sacra Liturgia, ma nelle forme peculiari derivanti dal genio di un popolo o di una etnia e della sua cultura»38. È doveroso sottolineare che la pietà popolare è un «vero tesoro del popolo di Dio»39, essa coinvolge pienamente tutti coloro che cele37 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del 2000, 29 giugno 2001, n. 49. 38 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, n. 9. 39 GIOVANNI PAOLO II, Omelia pronunziata durante la Celebrazione della Parola a La Serena (Chile), 2, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X/1 (1987), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1988, p. 1078.

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brano nella semplicità il Signore e riescono a vivere la propria esistenza pienamente uniti al volere di Dio. Il termine pietà richiama alla mente il dono dello Spirito Santo che intende sottolineare la capacità dell’uomo di relazionarsi con Dio, parlare a lui in modo familiare, confidenziale, senza filtri; quando ciò avviene ci si relaziona con il prossimo allo stesso modo, nella semplicità, senza troppe mediazioni che spesso appesantiscono le relazioni. La pietà popolare: «manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione»40. Essa appartiene alla vita della Chiesa: infatti, è lo Spirito che dà origine a queste manifestazioni, avendo il mistero di Cristo come riferimento essenziale, la gloria di Dio e la salvezza dell’uomo come fine principale. Tutto ciò riguarda in modo particolare il nostro territorio diocesano dove la pietà popolare si manifesta nella genuinità della fede, nell’attaccamento alle tradizioni, nelle celebrazioni delle feste dei Santi patroni, nei frequenti pellegrinaggi, nelle devozioni che hanno nutrito la fede dei nostri antenati, in modo particolare verso la Passione di Cristo, la Vergine Maria, i nostri Santi. In questo periodo di permanenza in Diocesi ho sperimentato in modo diretto la fede e la fiducia della nostra gente, a chi si rivolge nei momenti di sofferenza e chi ringrazia nei momenti di gioia. La partecipazione alle feste patronali mi ha consentito (tranne in alcuni casi) di riscontrare la fede del nostro popolo, di toccare con mano la spontaneità di molti fedeli che avvertono la vicinanza e la paternità di Dio, la sua Signoria, la sua presenza nella propria vita. Anche in conseguenza di ciò, ribadisco che la pietà popolare costituisce un grande patrimonio delle comunità cristiane, essa è manifestazione concreta della fede del nostro popolo che costituisce da secoli la principale forma di comunicazione con il trascendente, mezzo privilegiato per fare esperienza di Dio. La pietà popolare è un elemento importante per la vita delle no40

PAOLO VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, n. 48.

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stre comunità, ma necessita di una ‘purificazione’ per evitare che si trasformi in autonoma manifestazione che ben poco possiamo definire religiosa. A tal proposito la Conferenza Episcopale Campana ha emanato un Documento normativo che aiuterà le nostre comunità parrocchiali a celebrare sempre meglio le manifestazioni della pietà popolare41. In primo luogo, dobbiamo ribadire con fermezza la priorità della domenica come giorno in cui la comunità si riunisce per celebrare la propria fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. È necessario formare le persone e costruire comunità adulte nella fede, dove si sperimenta sempre più e sempre meglio la bellezza di appartenere al Signore, comunità in cui ci si relaziona nella verità, senza infingimenti, mettendo a disposizione di tutti i doni che Dio ha fatto a ciascuno. Questo è un cammino di conversione che tocca innanzitutto i pastori della Chiesa, il vescovo e il presbiterio; solo così potrà avere una ricaduta benefica anche sulle persone che il Signore ci ha affidato. Nei prossimi anni i presbiteri, sorretti dalla vicinanza del vescovo, dovranno impegnarsi perché le necessarie rettifiche alla pietà popolare possano trovare serena accoglienza nelle comunità, evangelizzando coraggiosamente anche le forme estreme di religiosità popolare. Non si tratta di togliere qualcosa, eliminare le manifestazioni, sopprimere le espressioni della pietà popolare, ma – partendo dalle medesime – occorre ribadire la centralità del mistero di Cristo e condurre la persone all’incontro con il Signore. Il vescovo e i presbiteri in questa nuova impostazione dovranno essere aiutati dal Consiglio pastorale diocesano e parrocchiale. Soprattutto, ogni festa dovrà concludersi con un impegno di solidarietà nei confronti dei più poveri, tralasciando lo sperpero di danaro per scopo di divertimento (concerti, giochi pirotecnici) che pur dovrà esserci, ma in maniera drasticamente ridotta. Ecco perché è fatto obbligo a tutti i parroci e rettori di Chiese e Santuari, in occasione delle feste religiose, di richiedere alla Curia Vescovile i necessari permessi e di presentare entro un mese dalla fine della manifestazione il bilancio della festa. Sarà compito dei parroci e rettori vigilare perché una 41 Cf CONFERENZA EPISCOPALE CAMPANA, Evangelizzare la pietà popolare. Norme per le feste religiose, Pompei 2013.

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volta per sempre sia estirpata la disdicevole abitudine di apporre danaro sulle immagini sacre o sistemare accanto alla statua nastri per la raccolta di danaro. Per favorire il processo di graduale adeguamento a quanto appena esposto, dobbiamo disporci con animo adatto ad un percorso di graduale accoglienza e formazione in rapporto agli Orientamenti pastorali della Chiesa Italiana e alle disposizioni della Conferenza Episcopale Campana.

9. La preghiera: respiro della vita interiore Se la preghiera liturgica ci immerge immediatamente nella dinamica trinitaria di lode e contemplazione, una speciale attenzione merita il percorso educativo che si attiva nella preghiera personale e familiare. «Chi prega si salva, chi non prega certamente di danna!» è un’espressione famosa di S. Alfonso, il quale scrisse nel 1759 un’opera intitolata Del gran mezzo della preghiera, che egli considerava il più utile tra tutti i suoi scritti. Infatti, Egli descrive la preghiera come «il mezzo necessario e sicuro per ottenere la salvezza e tutte le grazie di cui abbiamo bisogno per conseguirla». Inoltre, «Il salvarsi insomma senza pregare è difficilissimo, anzi impossibile… ma pregando il salvarsi è cosa sicura e facilissima»42. In ogni situazione della vita non si può fare a meno di pregare, specie nel momento della prova e nelle difficoltà. Sempre dobbiamo bussare con fiducia alla porta del Signore, sapendo che in tutto Egli si prende cura dei suoi figli. «“Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”» (Mt 26,41). Spesso Gesù ha parlato della preghiera, Egli stesso avvertiva il bisogno di ritirarsi in luoghi deserti per pregare43 e ha raccomandato ai suoi discepoli di fare altrettanto. Ha insegnato a non fare grossi discorsi, ma a improntare il rapporto con Dio nella libertà e nella verità; ha richiamato la nostra at42 ALFONSO DE LIGUORI, Del gran mezzo della preghiera per conseguire la salute eterna, e tutte le grazie, che desideriamo da Dio, Tipografia C. Puccinelli, Roma 1829, Introduzione e II Parte, Conclusione. 43 Cf: Mt 26,39; 26,42; Mc 1,35; 6,46; Lc 6,12; 9,28; 23,34.

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tenzione perché non pregassimo per essere visti e ammirati (cf Mt 6,1-6); ha ricordato la necessità del perdono al fratello prima di entrare nella preghiera (cf Mc 11,25). Gesù esorta alla preghiera44, mettendo però in chiaro che non si può fuggire dai problemi ripiegando su una concezione errata di preghiera: ci vuole impegno nella vita quotidiana, non si può presumere di salvarsi limitandosi a dire «“Signore, Signore”» (Mt 7,21), ma nell’agire concreto c’è bisogno di fare sempre e comunque la volontà di Dio, affidandosi totalmente al Padre, come ha fatto Gesù Maestro45. La preghiera ci difende dal male, ci salva dai momenti di sconforto e di tentazione, ci fa attingere il coraggio e la necessaria fortezza nelle prove, rivolgendoci a Dio con tutto noi stessi. Gesù insegna ai suoi discepoli la splendida preghiera del Padre nostro (cf: Mt 6,9-13; Lc 11,2-4) che costituisce un modo sempre nuovo di rivolgerci al Padre, una preghiera da assimilare nel profondo più che da dire semplicemente, indirizzandoci in modo semplice e insieme completo a Colui che già sa di cosa abbiamo bisogno, ed è «più forte di ogni nostra fragilità»46. La preghiera devozionale occupa un posto importante nella vita dei nostri fedeli, molto spesso ne scandisce il tempo, costituisce un percorso di santità privo di sensazionalismi, al contrario ne irrobustisce le scelte, sostiene la speranza, alimenta la fede, accresce la carità. Spesso avviene che nelle nostre Parrocchie si assiste ad una manifestazione di preghiera intensa, silenziosa, raccolta, lontana dal chiasso e dal rumore che non favoriscono affatto il colloquio familiare con Dio. I nostri anziani affezionati a forme di preghiera devozionale che hanno santificato intere generazioni di cristiani ancora oggi continuano ad alimentare la fede con questo tesoro di inestimabile valore. La preghiera personale nasce dalla necessità di entrare in se stessi per colloquiare con Dio, lasciando soprattutto spazio alla sua azione vivificante. «… quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la 44

«Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!» (Mt 7,7-11). 45 «… l’uomo di fede poggia sul Dio-Amen, sul Dio fedele (cfr Is 65,16), e così diventa egli stesso saldo» (FRANCESCO, Lett. enc. Lumen fidei, n. 50). 46 Ibid., n. 53.

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porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,6). Entrare nella propria camera, ossia, nell’interiorità di sé, nel «sacrario» della propria coscienza dove risuona inequivocabile la voce di Dio che chiama l’uomo alla sua vera dignità47. La preghiera è vera se essa produce un cambiamento nella vita, se cioè dall’incontro con Dio scaturiscono scelte di vita coerenti con la fede che annunziamo e celebriamo. La preghiera, dice il Crisostomo, «è un’ancora sicura a chi sta in pericolo di naufragare: è un tesoro immenso di ricchezze a chi è povero, è una medicina efficacissima a chi è infermo, ed è una custodia certa a chi vuol conservarsi in santità»48. I Santi testimoniano che la preghiera cambia la vita, intesse relazioni buone con Dio e i fratelli, fa gustare la bellezza di sentirsi amati e di amare sempre nuovamente; anche se l’uomo vive l’esperienza degradante del peccato, la preghiera gradualmente cambia il cuore, rinnova i sentimenti, solidifica le convinzioni, restituisce la gioia della comunione. Il cristiano non può non pregare, dovrebbe sentirne forte e impellente il bisogno, non può trascurare questo incontro vitale senza sentirne il peso insopportabile qualora non si sia capaci di relazioni sane ed equilibrate con Dio.

10. Traduzione operativa ed obiettivi La priorità fondamentale del nostro impegno pastorale è quella di orientare ogni sforzo per comprendere e vivere il ‘celebrare la fede’ nell’ottica dell’educazione «alla vita buona del Vangelo», perché la vita cristiana conformi sempre più progressivamente a Cristo, «maestro e pedagogo»49 dell’umanità. Per progredire in questa direzione, individuo alcuni passaggi ineludibili da concretizzare operativamente: - Occorre stimolare la formazione di educatori di comunità con 47

Cf CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. Gaudium et Spes, n. 16. GIOVANNI CRISOSTOMO, Hom. de consubstantiali contra Anomoeos, 7, 7. 49 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti past. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 1; cf. n. 20. 48

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un chiaro senso di fede cristiana, di appartenenza alla comunità ecclesiale, con relazioni equilibrate, capaci di lavorare insieme, attenti alla formazione permanente. Incontrerò gli operatori pastorali e i catechisti di ogni forania; - Il percorso dell’iniziazione cristiana tenga in debita considerazione la proposta dell’oratorio parrocchiale e la celebrazione della Cresima in età adolescenziale. - È da favorire una Scuola di preghiera per fidanzati, oltre a offrire formazione e spazi per celebrare la fede delle coppie di separati, risposati, ecc.; - Nell’imminenza della celebrazione della Cresima, in ogni forania si organizzi una celebrazione comune per il rito della consegna del Vangelo; - Si curi in ogni parrocchia la costituzione stabile del gruppo dei ministranti; - Speciale attenzione bisogna rivolgere alla formazione delle persone che svolgono il compito di servire all’Altare e di proclamare la Parola di Dio nell’assemblea; - La celebrazione Eucaristica domenicale costituisca davvero il momento di confluenza tra l’annuncio e la celebrazione della fede. - La celebrazione comunitaria dei Sacramenti dell’iniziazione cristiana sia solenne, preparata, ma allo stesso tempo sobria ed essenziale. - A nessuna celebrazione liturgica o evento pastorale sia legata l’obbligatorietà dell’offerta. Tuttavia, i fedeli siano debitamente sensibilizzati alla partecipazione e alla corresponsabilità nell’esercizio delle iniziative pastorali, del luogo di culto e delle esigenze di gestione, anche economica, della parrocchia. - Si favorisca la conoscenza e progressiva acquisizione del Documento dei Vescovi della Campania Evangelizzare la pietà popolare50 al fine di curarne la graduale e responsabile attuazione. Confido nella generosa e attiva accoglienza di questi Orientamenti. Tutti affido all’intercessione della Beata Vergine Maria,

50

CONFERENZA EPISCOPALE CAMPANA, Evangelizzare la pietà popolare.

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«Donna fedele, Madre credente, Sorella accogliente»51 e dei nostri Santi Patroni Cono e Pietro Vescovo. Teggiano, 1 settembre 2013 XXII Domenica del Tempo ordinario + Antonio De Luca

51 A. DE LUCA – DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO, Questa è la nostra fede. Lettera Pastorale per l’Anno della Fede, 17 febbraio 2013, p. 27.

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CURIA



ATTI E NOMINE

S.E. Mons.Antonio De Luca: s con Decreto del 30/04/2012, ha incardinato per un triennio P. Enzo Rispi, C.Ss.R. s con Decreto del 02/01/2013, ha nominato Don Giovanni Citro, Parroco della Parrocchia Sant'Alfonso in Marina di Camerota. s con Decreto del 18/01/2013, ha nominato Don Otello Russo, Cappellano della Casa Circondariale di Sala Consilina. s con Decreto del 26/01/2013, ha nominato Don Salvatore Sanseverino, Amministratore Parrocchiale della Parrocchia Beata M.V. di Pompei in Silla di Sassano. s con Decreto del 02/03/2013, ha nominato Don Domenico Santangelo, Consigliere ecclesiastico Coldiretti. s con Decreto del 19/03/2013 Erezione a Santuario Diocesano della Chiesa della Madonna dei Martiri in SicilĂŹ. s con Decreto del 13/04/2013 Decreto di Approvazione dello Statuto del Consiglio Pastorale Diocesano. s con Decreto del 20/04/2013 Nomina della Commissione Ufficio diocesano per il clero. s con Decreto del 20/04/2013 Don Ivan Sarto, Vice-Direttore dell'Ufficio diocesano per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso. s con Decreto del 20/04/2013 Antonio Tortorella, Direttore dell'Ufficio diocesano per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso. s con Decreto del 20/04/2013 Nomina della Commissione dell'Ufficio liturgico diocesano: - Don Romolo Barbarulo; - DonAngelo Fiasco; - Don FrancescoAlpino; - Massimo La Corte. s con Decreto del 20/04/2013 Don Luciano La Peruta, Parroco della Parrocchia S.Anna e della Parrocchia S.Antonio in Sala Consilina. s con Decreto del 20/04/2013 Don Antonio Toriello, Parroco della Parrocchia San Marco evangelista in Licusati. s con Decreto del 20/04/2013 Don Andrea Sorrentino, Parroco della Par-

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rocchia San Daniele e San Nicola in Camerota. s con Decreto del 09/05/2013 Marco Ambrogi, Coordinatore e responsabile del museo diocesano di Teggiano. s con Decreto del 09/05/2013 Don Michele Della Monica, Direttore diocesanoA.d.p. s con Decreto del 11/05/2013 Don Pasquale Gaito, Amministratore Parrocchiale della Parrocchia San Giovanni Battista in Terranova, dal 01/06/2013. s con Decreto del 11/05/2013 Don Giuseppe Marotta, Parroco della Parrocchia San Nicola di Bari in Bosco, dal 01/09/2013. s con Decreto del 11/05/2013 Don Raffaele Brusco, Amministratore Parrocchiale della Parrocchia San Nicola di Bari e San Giovanni Battista in Roccagloriosa, dal 01/07/2013. s con Decreto del 11/05/2013 Don Francesco Alpino, Vicario parrocchiale della Parrocchia San PietroApostolo in Torraca, dal 01/07/2013. s con Decreto del 11/05/2013 Don Francesco Alpino, Parroco della Parrocchia S. MariaAssunta in Tortorella, dal 01/07/2013. s con Decreto del 11/05/2013 Don Giuseppe Iodice, Parroco della Parrocchia San Nicola di Bari in Ispani, San Ferdinando Re in Capitello e San Cristoforo in S. Cristoforo, dal 01/09/2013. s con Decreto del 11/05/2013 Don Antonio Palma, Parroco della Parrocchia San Nicola di Bari in Petina, dal 01/09/2013. s con Decreto del 16/05/2013 Don Antonio Alaa Altarcha, Amministratore Parrocchiale della Parrocchia San Nicola di Bari in Casaletto Spartano, della Parrocchia Santa Maria della Stella in Battaglia e della Parrocchia San Giuseppe in Fortino, dal 01/06/2013. s con Decreto del 16/05/2013 Don Agnello Forte, Parroco della Parrocchia Sant'Anna in Montesano sulla Marcellana, dal 01/09/2013. s con Decreto del 16/05/2013 Don Bernardino Abbadessa, Parroco della Parrocchia Beata M.V. di Pompei in Silla di Sassano, dal 07/06/2013. s con Decreto del 25/05/2013 Decreto di indizione dell'Anno centenario di San Cono, patrono della Diocesi, 3 giugno 2013-2014. s con Decreto del 05/06/2013 Don Antonio Palma, Direttore dell'Ufficio Diocesano giustizia, pace e salvaguardia del creato. s con Decreto del 05/06/2013 Don Antonio Alaa Altarcha, Collaboratore dell'Ufficio Diocesano per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso. s con Decreto del 05/06/2013 Don Pasquale Gaito, Collaboratore

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dell'Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia e della vita s con Decreto del 05/06/2013 Don Agnello Forte, Collaboratore dell'Ufficio diocesano per la pastorale scolastica e universitaria e progetto culturale. s con Decreto del 05/06/2013 Don Raffaele Brusco, Collaboratore dell'Ufficio diocesano per l'annuncio e la catechesi. s con Decreto del 06/06/2013 Decreto con il quale si concede l'indulgenza plenaria, per il solo giorno della festa, per sette anni, nel Santuario di Maria SS. della Tempa in San Rufo (SA). s con Decreto del 06/06/2013 Don Paolo Longo, Direttore dell'Ufficio Diocesano per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport. s con Decreto del 10/06/2013 Decreto di promulgazione per la Diocesi di Teggiano-Policastro del documento della CEC "Evangelizzare la pietà popolare. Norme per le feste religiose" – in vigore dal 14/09/2013 s con Decreto del 10/06/2013 Decreto di approvazione dello Statuto dei Vicari Foranei. s con Decreto del 13/06/2013 Decreto di nomina del Collegio dei Vicari Foranei, con decorrenza 01/09/2013, per un quinquennio: - Forania di Policastro: donAntonino Savino; - Forania di Camerota: don Pietro Scapolatempo; - Forania di Padula-Montesano: donAntonio Garone; - Forania di Teggiano-Sala: don Gabriele Petroccelli; - Forania di Polla: don Luigi Terranova; - Forania degliAlburni: don Elvio Fores; - Forania del Fasanella: don Nicola Coiro. s con Decreto del 24/06/2013 Decreto di approvazione del Regolamento del Consiglio per gliAffari Economici Diocesano. s con Decreto del 09/07/2013 Mons. Orazio Pepe, Postulatore per la causa di Beatificazione del Servo di Dio Federico Pezzullo s con Decreto del 09/07/2013 Costituzione del Collegio dei Revisori dei Conti per un quinquennio: Don Antonio Cantelmi, Dott. Ivo De Maio, Don Domenico Santangelo. s con Decreto del 09/07/2013 Costituzione del Consiglio Diocesano per gliAffari Economici per un quinquennio: Don Michele Casale, Ing. Mariano Alliegro, Avv. Renivaldo La Greca, Rag. Antonio Giordano, Don BernardinoAbbadessa. s con Decreto del 01/10/2013 IndizioneAnno Mariano, Parrocchia S. Ma-

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ria Maggiore in San Rufo s con Decreto del 01/10/2013 Nomina Capitolo Cattedrale: Mons. Romano Tardugno, Arcidiacono del Capitolo Cattedrale, Don Antonio Cantelmi, Canonico del Capitolo Cattedrale, Don Salvatore Sanseverino, Canonico del Capitolo Cattedrale. s con Decreto del 28/10/2013 Decreto di approvazione dello Statuto e del Regolamento dell'Archivio Diocesano s con Decreto del 28/10/2013 Decreto di approvazione dello Statuto della Commissione diArte Sacra s con Decreto del 28/10/2013 Don Maurizio Esposito, Parroco di Montesano sulla Marcellana s con Decreto del 09/11/2013 Decreto indizione elezioni per il rinnovo del CdAe del Collegio dei Revisori dell'IDSC s con Decreto del 11/11/2013 Don Salvatore Sanseverino, Amministratore Parrocchiale di Monte San Giacomo s con Decreto del 23/11/2013 Don Francesco Alpino, Parroco della Parrocchia San PietroApostolo in Torraca s con Decreto del 27/11/2013 Modifiche allo Statuto dell'IDSC. s con Decreto del 12/12/2013 Don Pasquale Lisa Collaboratore dell'ufficio Servizio per il Sostentamento del Clero

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ORDINAZIONI E MINISTERI s Il giorno 20 aprile 2013, nella Cattedrale di Teggiano alle ore 18.00 il Vescovo Diocesano S. E. Mons.Antonio De Luca, ha ordinato presbitero don Pasquale Gaito della Comunità Parrocchiale di Varco Notar Ercole. s Il giorno 27 aprile 2013, nella Concattedrale di Policastro alle ore 18.30 il Vescovo Diocesano S. E. Mons.Antonio De Luca, ha ordinato presbitero don Raffaele Brusco della Parrocchia di Vibonati. s Il giorno 17 settembre 2013, nella Cattedrale di Teggiano alle ore 18.00 il Vescovo Diocesano S. E. Mons. Antonio De Luca, ha ammesso agli Ordini Sacri i seminaristi Antonio Calandriello della comunità di Varco Notar Ercole eAntonio Romaniello della comunità di Roccagloriosa. s Il giorno 12 dicembre 2013, nella Cappella del Seminario Metropolita di Salerno, alle ore 17.00 l’Aricivescovo di Amalfi-Cava, S. E. Mons. Orazio Soricelli, ha istituito lettori Antonio Calandriello della comunità di Varco Notar Ercole e Antonio Romaniello della comunità di Roccagloriosa. s Il giorno 12 dicembre 2013, nella Cappella del Seminario Metropolita di Salerno, alle ore 17.00 l’Aricivescovo di Amalfi-Cava, S. E. Mons. Orazio Soricelli, ha istituito accoliti Varuzza Donato Ciro della Parrocchia di Prato Perillo, Simone Lacorte della Parrocchia di Bosco.

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ANTONIO DE LUCA PER GRAZIA DI DIO E DELLA SEDE APOSTOLICA VESCOVO DI TEGGIANO-POLICASTRO Prot. 5/2013

Decreto Il Consiglio pastorale diocesano è l'organismo consultivo del Vescovo, espressivo di tutti i fedeli, chiamato ad offrire «conclusioni operative su quanto riguarda le attività pastorali della Diocesi» (can. 511). Con il presente atto, a norma del can. 513 § 1, approviamo lo Statuto del Consiglio pastorale diocesano nel testo allegato al presente decreto. Il presente decreto ha efficacia dalla data odierna e si raccomanda a chi ne ha facoltà di dare sollecita attuazione a quanto stabilito nello Statuto. Sui membri del Consiglio pastorale diocesano e su tutti i fedeli della Diocesi di Teggiano-Policastro invochiamo dal Signore Gesù ogni benedizione. Dato a Teggiano, dalla Sede Vescovile, Il giorno 13 aprile 2013 X Antonio De Luca Vescovo Sac. Bernardino Abbadessa Cancelliere Vescovile

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STATUTO DEL CONSIGLIO PASTORALE DIOCESANO

I. NATURA, FINALITÀ, ORGANI Art. 1 Il Consiglio pastorale diocesano, composto da Presbiteri, Diaconi, consacrati e soprattutto da Laici, ai sensi dei canoni 511-514 del Codice di diritto canonico, è un organo consultivo che contribuisce a realizzare la comunione nella Chiesa particolare come strumento di partecipazione, aperto a tutte le componenti del Popolo di Dio. Art. 2 Il Consiglio pastorale diocesano, sotto l'autorità del Vescovo, ha il compito di studiare, valutare e proporre conclusioni operative per quanto riguarda le attività pastorali della Diocesi in ordine alle attuazioni concrete e di dare contributi al Vescovo, in particolare riguardo al piano pastorale diocesano (cfr can. 511). Non sono di pertinenza del Consiglio pastorale diocesano le questioni relative allo stato delle persone fisiche, né quelle relative a nomine, rimozioni e trasferimenti. Art. 3 Il Consiglio pastorale diocesano è presieduto dal Vescovo, assistito dal Vicario generale. Il Consiglio pastorale diocesano è convocato dal Vescovo, cui spetta determinare le questioni da trattare e disporre l'ordine dei lavori, sentite le proposte dei Consiglieri (cfr can. 514, § 1). Art. 4 Ogni Consigliere, senza vincolo di mandato, arricchendo il Consiglio della propria particolare esperienza, attento alle realtà ecclesiali in cui è inserito, ricerca, con gli altri membri, il bene dell'intera comunità diocesana, in piena comunione con il Vescovo.

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II. COMPOSIZIONE, DESIGNAZIONE, DURATAIN CARICA ART. 5 Il Consiglio pastorale diocesano è composto dai membri sotto elencati, in rappresentanza di tutta la porzione del Popolo di Dio che costituisce la Diocesi, tenuto conto delle sue articolazioni e dei diversi ruoli esercitati dai fedeli nell'apostolato, sia singolarmente, sia in forma associata (cfr can. 512, § 2): a) il Vicario Generale, di diritto; b) tre Presbiteri nominati uno per ciascuna Zona Pastorale (Camerota-Policastro, Vallo di Diano, Alburni-Fasanella); c) un Diacono permanente; d) un Religioso designato dal Segretariato diocesano per i religiosi; e) sette laici, designati uno per ciascun Consiglio Pastorale Foraniale; f) cinque Religiose designate dalla Segreteria diocesana USMI; g) il Presidente dell'Azione cattolica; h) un Rappresentante designato dalle Associazioni e dai Movimenti della Diocesi; i) cinque membri laici nominati dal Vescovo, espressione dei cinque ambiti di Verona. Art. 6 Possono essere membri del Consiglio pastorale diocesano solo fedeli in piena comunione con la Chiesa cattolica e che si distinguono per fede sicura, buoni costumi e prudenza (cfr can. 512, §§ 1 e 3). Art. 7 Il Consiglio pastorale diocesano nel suo insieme si rinnova ogni cinque anni. Art. 8 I singoli Consiglieri decadono dall'incarico: a) per dimissioni, presentate per iscritto e motivate al Vescovo. b) per trasferimento ad altra Diocesi; c) per altre cause previste dal diritto.

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III.

ASSEMBLEA

A. LE SESSIONI DELCONSIGLIO PASTORALE DIOCESANO Art. 9 Il Consiglio pastorale diocesano sarà convocato in sessione ordinaria almeno una volta all'anno, secondo il calendario stabilito dal Vescovo, all'inizio di ogni anno pastorale. Potrà venire convocato in sessione straordinaria per iniziativa del Vescovo o su richiesta della maggioranza assoluta dei Consiglieri. In questo caso i Consiglieri richiedenti la convocazione del Consiglio dovranno presentare istanza scritta alla Segreteria, proponendo gli argomenti da porre all'ordine del giorno. Art. 10 Il Consiglio pastorale diocesano può essere invitato dal Vescovo a giornate di spiritualità e a momenti di formazione teologico-pastorali. Momenti di preghiera comune sono previsti in occasione di ogni sessione. Sono altresì previsti, ove la programmazione della sessione lo consenta, momenti di libero dialogo con il Vescovo o di approfondimento tematico con esperti esterni, invitati dal Vescovo stesso.

B. CONVOCAZIONE, ORDINE DELGIORNO E PREPARAZIONE DELLE SESSIONI Art. 11 L'ordine del giorno delle sessioni è stabilito dal Vescovo. È redatto dal Segretario e firmato dal Vescovo e dal Segretario stesso. Art. 12 I singoli Consiglieri, a cura del Segretario, dovranno venire convocati per le sessioni dell'Assemblea a mezzo avviso scritto, almeno quindici giorni prima della data fissata per la sessione, con allegato l'ordine del giorno. L'invio dell'avviso di convocazione potrà essere effettuato anche mediante posta elettronica.

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C. SVOLGIMENTO DELLE SESSIONI Art. 13 Le sessioni del Consiglio pastorale diocesano sono presiedute dal Vescovo o dal Vicario generale. Art. 14 L'Assemblea del Consiglio pastorale diocesano risulterà validamente costituita con la presenza della maggioranza assoluta dei Consiglieri. In caso di presenza di un numero di Consiglieri inferiore a quello legale, l'Assemblea potrà validamente proseguire e concludere i lavori ove il Vescovo, o il Vicario che presiede la sessione, lo consenta. IV. SEGRETERIA Art. 15 Il Consiglio pastorale diocesano ha un Segretario, nominato dal Vescovo tra i membri del Consiglio. Il Segretario resta in carica fino allo scadere del mandato del Consiglio. Art. 16 È compito del Segretario: a) curare la redazione e l'invio, nei termini stabiliti, dell'ordine del giorno delle sessioni, con i documenti annessi e con l'avviso di convocazione. b) stendere il verbale delle sessioni, raccogliere notizie e documentazioni riguardanti l'attività del Consiglio e tenere aggiornato l'archivio; c) redigere la relazione delle sessioni del Consiglio. d) svolgere tutte le attività necessarie per il buon andamento del Consiglio al servizio e in collaborazione del Vescovo e del Vicario. V.

NORME FINALI

Art. 17 La partecipazione alle attività del Consiglio pastorale diocesano è un servizio gratuito reso alla Comunità ecclesiale. Le spese vive per il funzio-

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namento del Consiglio e delle sue Commissioni sono a carico della Diocesi. Art. 18 Le norme del presente statuto possono essere modificate dal Vescovo di propria iniziativa o su richiesta di almeno due terzi dei Consiglieri.

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ANTONIO DE LUCA PER GRAZIA DI DIO E DELLA SEDE APOSTOLICA VESCOVO DI TEGGIANO-POLICASTRO Prot. 24/2013

Decreto Il vicariato foraneo, organismo intermedio tra le parrocchie e la diocesi, ha la funzione di mediare la pastorale diocesana, adeguandola alle situazioni concrete del territorio. Con il presente atto, a norma dei cann. 553-555, approviamo lo Statuto dei Vicari Foranei della Diocesi di Teggiano-Policastro nel testo allegato al presente decreto. Il presente decreto ha efficacia dalla data odierna e si raccomanda di dare sollecita attuazione a quanto stabilito nello Statuto. Sui Vicari Foranei e su tutti i fedeli della Diocesi di TeggianoPolicastro invochiamo dal Signore Ges첫 ogni benedizione. Dato a Teggiano, dalla Sede Vescovile, Il giorno 10 giugno 2013 X Antonio De Luca Vescovo Sac. Bernardino Abbadessa Cancelliere Vescovile

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STATUTO DEI VICARI FORANEI

l - Natura e compiti del Vicariato Art. 1. Per favorire la pastorale d'insieme, le parrocchie della Diocesi di Teggiano-Policastro vengono raggruppate in sette vicariati foranei: - Teggiano-Sala Consilina; - Polla; - Sicignano degliAlburni; - Fasanella; - Padula-Montesano; - Policastro; - Camerota. Art. 2. Il vicariato foraneo, organismo intermedio tra le parrocchie e la diocesi, ha la funzione di mediare la pastorale diocesana, adeguandola alle situazioni concrete che nel territorio diocesano sono spesso differenziate. Art. 3. Il vicariato foraneo ha lo scopo precipuo di far sì che i parroci, i diaconi, i religiosi, le religiose e i laici impegnati nell'apostolato, nelle confraternite, nelle associazioni, nei gruppi e nei movimenti ecclesiali del medesimo territorio, con l'aiuto del vicario foraneo, formino tra loro una cellula del presbiterio diocesano, attorno al quale venga opportunamente coordinata tutta l'attività pastorale, al fine di incrementare ed armonizzare la comune azione pastorale. Art. 4. Il vicariato foraneo non deve, tuttavia, assorbire le responsabilità propriamente parrocchiali o coprire assenze o vuoti pastorali, e neppure sostituirsi alle parrocchie, ma deve promuovere e coordinare l'attività pastorale e fornire, quando è il caso, soluzioni omogenee e convergenti.

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Art. 5. La struttura del vicariato e l'attività della zona vicariale devono assolvere ai seguenti compiti: a) favorire la comunione ecclesiale tra le parrocchie vicine, coltivare la fraternità e la collaborazione pastorale tra le comunità religiose, stimolare i laici a lavorare insieme attraverso incontri, cooperazione e scambi; b) promuovere la valorizzazione delle persone e dei gruppi suscitando e favorendo la collaborazione tra le parrocchie; c) stimolare allo studio dei documenti del magistero e alla attuazione e verifica dei piani pastorali; d) svolgere il primo livello di consultazione in ordine ai problemi e agli orientamenti pastorali diocesani; e) offrire il necessario sostegno ai presbiteri laici e comunità ecclesiali che si trovano in difficoltà. Art. 6. Il segretario del vicariato (scelto tra i presbiteri della forania) redigerà, di volta in volta in volta, il verbale della riunione.

II - Figura e compiti dei Vicario foraneo Art. 7. Il Vicario foraneo è il sacerdote preposto all'azione animatrice e coordinatrice del vicariato. È nominato dal Vescovo, dopo aver consultato nel vicariato i sacerdoti diocesani e religiosi, i diaconi ed eventualmente anche alcuni operatori pastorali laici. Art. 8. L'ufficio di Vicario foraneo viene affidato ad un presbitero, diocesano o religioso, parroco o non, preferibilmente dimorante nella zona vicariale, che viene giudicato idoneo e disponibile. Art. 9. Il Vicario foraneo è nominato per un quinquennio rinnovabile, può essere rimosso dal Vescovo liberamente e per giusta causa, secondo il suo prudente giudizio.

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Art. 10. Il Vicario foraneo ha il diritto-dovere di: a) promuovere, coordinare, animare l'attività pastorale comune nell'ambito del vicariato; b) aver cura della vita spirituale, culturale e pastorale dei membri del presbiterio vicariale, promuovendo incontri di preghiera, di studio e lo scambio di esperienze pastorali; c) favorire l'amicizia e la fraternità sacerdotale, stimolando la partecipazione agli incontri mensili del presbiterio diocesano e vicariale e agli esercizi spirituali annuali promossi dalla diocesi; d) prestare cura particolare ai presbiteri anziani o ammalati e a coloro che si trovano in situazioni difficili, personali e pastorali; e) in caso di prolungata malattia o di eventuale decesso di un presbitero, informarne il Vescovo ed assumere la custodia di quanto appartiene alla chiesa o alla parrocchia; f) provvedere nei casi urgenti alla supplenza dei parroci, personalmente o mediante altri confratelli e regolare il turno per le ferie dei singoli presbiteri; g) vigilare sulla fedele e corretta applicazione delle norme liturgiche nella celebrazione dei Sacramenti e del culto Eucaristico, nonché delle indicazioni pastorali per la celebrazione delle feste religiose; h) vigilare sulla cura e il decoro degli edifici di culto, sulle sacre suppellettili e sui libri liturgici; i) accertarsi che ogni parrocchia sia dotata dei propri registri parrocchiali: dei battezzati, dei cresimati, dei matrimoni, delle prime comunioni, dei defunti, delle cronache parrocchiali, dell'amministrazione dei beni, dei legati, debitamente aggiornati e conservati nell'archivio parrocchiale; l) partecipare, come membro di diritto, al consiglio presbiterale; m) essere consultato dall'Ordinario diocesano in occasione della nomina, trasferimento o rimozione dei parroci della zona; n) aver la facoltà di assolvere in foro sacramentale dalle censure latæ sententiæ non dichiarate e non riservate alla SedeApostolica; o) avere la facoltà, nei casi di urgente necessità, di concedere ad actum il permesso di binazione nei giorni feriali, trinazione nei giorni festivi e di quadrinazione, sempre nei giorni festivi, limitatamente a due celebranti.

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Art. 11. Per meglio coordinare i vari settori dell'attivitĂ pastorale della forania, il Vicario foraneo curerĂ l'istituzione e il funzionamento delle commissioni vicariali per la/le: - Catechesi, - Caritas, - Liturgia, - Vocazioni, - Missioni, - Famiglia, - Giovani, - Scuola, - Lavoro e Turismo, - Comunicazioni sociali, - Ecumenismo, - Sensibilizzazione per il sostentamento economico. Art. 12. Il Vicario foraneo promuoverĂ la costituzione della Consulta foraniale delle aggregazioni laicali e il Consiglio pastorale foraniale. Art. 13. Spetta al Vicario foraneo convocare mensilmente il presbiterio foraniale, determinare l'ordine del giorno e presiedere le riunioni. Art. 14. Alle riunioni pastorali del vicariato, di norma, siano invitati a parteciparvi anche i diaconi, i religiosi, le religiose e, se si ritiene opportuno, alcuni operatori pastorali laici appartenenti a confraternite, associazioni, gruppi e movimenti ecclesiali.

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ANTONIO DE LUCA PER GRAZIA DI DIO E DELLA SEDE APOSTOLICA VESCOVO DI TEGGIANO-POLICASTRO Prot. 28/2013

Decreto Il Consiglio Diocesano per gli Affari Economici (CDAE), eretto a norma dei cann. 492-493, esprime la partecipazione e la collaborazione dei fedeli che aiutano il Vescovo nell'amministrazione dei beni della Diocesi e delle persone giuridiche o enti comunque soggetti al Vescovo diocesano. Con il presente atto, a norma del Codice di Diritto Canonico, approviamo il Regolamento del Consiglio Diocesano per gli Affari Economici della Diocesi di Teggiano-Policastro nel testo allegato al presente decreto. Il presente decreto ha efficacia dalla data odierna e si raccomanda a chi ne ha facoltĂ di dare sollecita attuazione a quanto stabilito nello Statuto. Sui membri del Consiglio Diocesano per gli Affari Economici e su tutti i sacerdoti e fedeli della Diocesi di Teggiano-Policastro invochiamo dal Signore GesĂš ogni benedizione. Dato a Teggiano, dalla Sede Vescovile, Il giorno 24 giugno 2013 X Antonio De Luca Vescovo Sac. Bernardino Abbadessa Cancelliere Vescovile

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REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO DIOCESANO PER GLI AFFARI ECONOMICI

Art. 1 - Natura Il Consiglio Diocesano per gli Affari Economici (CDAE), eretto a norma dei cann. 492-493, esprime la partecipazione e la collaborazione dei fedeli che aiutano il Vescovo nell'amministrazione dei beni della Diocesi e delle persone giuridiche o enti comunque soggetti al Vescovo diocesano. Art. 2 - Competenze I compiti fondamentali del CDAE sono due: 1. quello di collaborare con il Vescovo per una programmazione diocesana in materia economica, tenendo presente non solo l'Ente Diocesi, ma anche tutti gli enti dipendenti dall'Ordinario; 2. quello di dare, a norma del Diritto, il proprio consenso o il proprio parere su atti economici da compiersi dalla Diocesi e dagli enti dipendenti dall'Ordinario. Il CDAE esprime al Vescovo il proprio consenso circa: 1. gli atti di amministrazione straordinaria posti dalla Diocesi o da altre persone giuridiche che il Vescovo amministra (can. 1277 e delibera CEI n. 37); 2. il rilascio della licenza per gli atti che possono peggiorare lo stato patrimoniale di un ente (can. 1295) e per le alienazioni di beni ecclesiastici (can. 1291) di valore superiore alla somma minima fissata dalla CEI (can. 1292 § 1 e delibera CEI n° 20) oppure di ex-voto o di oggetti di valore artistico o storico (can. 1292 § 2); 3. il rilascio della licenza relativa alla stipulazione di contratti di locazione di immobili appartenenti alla Diocesi o ad altra persona giuridica amministrata dal Vescovo, di valore superiore alla somma minima fissata dalla Delibera CEI n° 20, eccetto il caso che il locatario sia un ente ecclesiastico (can. 1297 e delibera CEI n° 38). Il CDAE esprime al Vescovo il proprio parere circa: 1. l'imposizione di tributi e tasse alle persone giuridiche soggette al Ve-

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scovo (can. 1263); 2. la determinazione degli atti di amministrazione straordinaria per le persone giuridiche soggette al Vescovo (can. 1281 § 2) 3. l'investimento di denaro e di beni mobili assegnati a una pia fondazione a titolo di dote (can. 1305); 4. la riduzione degli oneri delle volontà dei fedeli a favore di cause pie (can. 1310 § 2); 5. la nomina e la rimozione dell'Economo diocesano (can. 494 § 1 e § 2); 6. ogni altra questione su cui il Vescovo ritiene opportuno sentire il Consiglio. Le competenze specifiche del CDAE sono indicate prevalentemente nei canoni 493, 494, 1263, 1277, 1281 § 2, 1287 § 1, 1292 § 1, 1305, 1310 § 2. Esse sono diverse secondo che si tratti di beni della Diocesi oppure di beni degli enti soggetti all'Ordinario diocesano. Per i beni della Diocesi compete al CDAE principalmente: 1. predisporre ogni anno, secondo le indicazioni del Vescovo, il bilancio preventivo «delle questue e delle elargizioni» per l'anno seguente in riferimento alla gestione economica generale della Diocesi (can.493); 2. approvare il bilancio annuale consuntivo (gennaio-dicembre) dell'esercizio finanziario della Diocesi (can. 493, 494 § 4); 3. dare il parere sui criteri secondo i quali l'Economo diocesano deve amministrare i beni della Diocesi (can. 494 § 3); 4. dare il parere circa la destinazione delle somme derivanti dall'otto per mille ricevute annualmente dalla CEI. Per i beni degli Enti soggetti all'Ordinario diocesano compete al CDAE principalmente: 1. esaminare i preventivi e i consuntivi annuali fatti dagli amministratori, laici o chierici, di beni ecclesiastici e in particolare quelli dell'Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero (can. 1287); 2. dare il parere circa le imposizioni di tasse agli enti e alle persone fisiche (can. 1263); 3. dare il parere circa la collocazione della dote delle fondazioni (can. 1305); 4. dare il parere circa la riduzione degli oneri di cause pie (can. 1310 § 2).

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Art. 3 - Membri Il CDAE è composto da quattro a sei membri, nominati dal Vescovo; devono avere i requisiti di cui al can. 492 § 1, durano in carica cinque anni e il loro mandato può essere rinnovato. Al momento dell'accettazione della nomina, i consiglieri garantiscono con giuramento davanti all'Ordinario di svolgere onestamente e fedelmente il proprio incarico (can. 1283 § 1). Non possono essere nominati membri del CDAE i congiunti del Vescovo fino al quarto grado di consanguineità e affinità e quanti hanno in essere, attraverso un contratto formale, rapporti economici con la Diocesi. Nei casi di morte, di dimissioni, di revoca o di permanente invalidità di un membro del CDAE, il Vescovo, entro 30 giorni, nominerà il sostituto; i consiglieri così nominati rimangono in carica fino alla scadenza del Consiglio stesso. I membri del CDAE, il segretario e quanti vi partecipano sono tenuti al segreto professionale. Art. 4 - Presidente e segretario Il CDAE è presieduto dal Vescovo che convoca, determina l'ordine del giorno e presiede le riunioni. Il segretario è nominato dal Vescovo anche al di fuori dei membri del CDAE. Egli dura in carica per cinque anni e il suo mandato può essere rinnovato. A lui spetta, in particolare: redigere il verbale delle sedute, curare l'archivio del Consiglio, preparare il materiale relativo alle diverse pratiche in accordo con i competenti Uffici di Curia e trasmettere agli stessi le delibere dopo l'approvazione del Vescovo. Art. 5 - Riunioni del Consiglio Il CDAE si riunisce ameno due volte l'anno, nonché ogni volta che il Vescovo lo ritenga opportuno. L'Economo diocesano partecipa alle riunioni in qualità di relatore. Art. 6 - Validità delle sedute e verbalizzazione Per la validità delle riunioni del Consiglio è necessaria la presenza del Vescovo e della maggioranza dei consiglieri. I verbali del Consiglio, redatti su apposito registro, devono essere firmati dal presidente e dal segretario del Consiglio.

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Art. 7 - Procedura d'urgenza Qualora esistano ragioni d'urgenza su una pratica di competenza del CDAE e non sia possibile attendere la riunione programmata del Consiglio, si può ricorrere a una procedura speciale. Sarà sufficiente, in questo caso, per l'approvazione della pratica, la firma del Vescovo e di due Consiglieri. Nella seduta successiva, il Vescovo, o uno dei Consiglieri firmatari della delibera d'urgenza, illustrerà al CDAE la pratica in questione, motivando la decisione presa con carattere d'urgenza. Art. 8 - Decadenza del Consiglio Il CDAE scade per terminato quinquennio o per vacanza della Diocesi. Il CDAE sarà così rinnovato: 1. in caso di decadenza per terminato quinquennio, entro 30 giorni; 2. in caso di decadenza per vacanza della Diocesi, entro un anno dalla presa di possesso del nuovo Vescovo. Durante la vacanza della Diocesi il CDAE rimane in funzione solo per l'ordinaria amministrazione ed è presieduto dall' Amministratore diocesano o da un suo delegato fino alla presa di possesso del nuovo Vescovo. Art. 9 - Rimando alle norme generali Per tutto quanto non è contemplato nel presente statuto si applicheranno le norme generali del Diritto della Chiesa.



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AVVENIMENTI



ORDINAZIONE EPISCOPALE DI S.E. MONS. PASQUALE CASCIO ARCIVESCOVO DI SANT’ANGELO DEI LOMBARDI-CONZA-NUSCO-BISACCIA Materdomini, 5 gennaio 2013

Sabato 5 gennaio, nel Santuario di San Gerardo Maiella in Materdomi (AV) Mons. Pasquale Cascio ha ricevuto l'Ordinazione Episcopale. Ha presieduto il rito S.Em. il Sig. Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo di Napoli, conconsacranti Mons. Francesco Alfano, Arcivescovo di Sorrento-Castellammare di Stabia e Mon. Antonio De Luca, Vescovo di Teggiano-Policastro. Erano presenti numerosi Arcivescovi e Vescovi della Campania e di regioni limitrofe, nonchè gli Abati di Montevergine e Cava dei Tirreni. Tantissimi i sacerdoti che hanno affollato la Basilica, insieme ad una rappresentanza della Parrocchia di origine e delle Parrocchie in cui è stato parroco Mons. Cascio. Domenica 6 gennaio Mons. Cascio ha iniziato solennemente il suo ministero pastorale nella Cattedrale di Sant'Angelo dei Lombardi.

Biografia S.E. Mons. Pasquale Cascio è nato a Castelcivita, provincia di Salerno e diocesi di Teggiano-Policastro, il 29 novembre 1957, secondo di quattro figli. Entrato nel Seminario diocesano ha seguito la formazione per il presbiterato, prima al Seminario “Pio XI” di Salerno, e poi, come alunno dell'Almo Collegio Capranica di Roma, seguendo i corsi di filosofia e di teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e conseguendo la Licenza in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico. È stato ordinato sacerdote il 23 luglio 1983 per la Diocesi di TeggianoPolicastro.

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Incarichi e uffici pastorali da lui svolti: 1988-2007: Docente presso l'Istituto di Scienze Religiose di Teggiano. Dal 1984: Parroco di S. Giovanni in Terranova di Sicignano degli Alburni. Dal 1991: Parroco anche di San Nicola in Controne. Vicario Foraneo per la zona degli Alburni; Direttore dell'Ufficio tecnico diocesano; Membro del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori. Inoltre, è docente di Sacra Scrittura presso l'Istituto Teologico di Basilicata a Potenza, presso il Seminario Metropolitano “Giovanni Paolo II” a Salerno, e in passato anche all'Istituto Superiore di Scienze Religiose in Vallo della Lucania.

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IN MEMORIAM



Mons. VITO D’ALTO Arcidiacono del Capitolo Cattedrale Il Vescovo e i Presbiteri della Diocesi di Teggiano-Policastro elevano fervide preghiere per Mons. Vito D'Alto, Arcidiacono del Capitolo Cattedrale, che ha servito a lungo la Chiesa con carità apostolica nei vari ministeri a Lui affidati dai Vescovi. Le esequie saranno celebrate da S.E. Mons. Antonio De Luca, domani 21 giugno alle ore 9.30, nella Cattedrale di Teggiano.

Mons. Vito D'Alto, era nato a Teggiano il 1° aprile 1922. Ordinato Sacerdote il 15 luglio 1945, aveva frequentato il Seminario Vescovile di Teggiano, poi il Seminario Regionale di Salerno e il Seminario Regionale S. Luigi a Posillipo Napoli. Dottore in Sacra teologia, aveva ricoperto i seguenti incarichi: -Arcidiacono del capitolo Cattedrale; - Professore nel Seminario Vescovile di Teggiano; - Preside della Scuola parificata del Seminario Vescovile; - Rettore del Seminario Vescovile; - Vicario generale della Diocesi di Teggiano dal 1982 al 1986; - Amministratore diocesano nella sede vacante per la morte di Mons. Altomare. - Vicario generale della Diocesi di Teggiano-Policastro dal 1987 al 1998. - Amministratore diocesano nella sede vacante in seguito al trasferimento di Mons. Schettino alla Sede di Capua.

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S.E. Mons. VINCENZO COZZI Vescovo emerito di Melfi-Rapolla-Venosa

All'alba di mercoledÏ 3 luglio, dopo il calvario della sofferenza, vissuta con serenità e straordinario spirito di accettazione cristiana, è deceduto S.E. Mons. Vincenzo Cozzi, Vescovo emerito di Melfi-Venosa-Rapolla. Le esequie saranno celebrate il 4 luglio 2013, alle ore 10.30, nella Parrocchia di Trecchina (PZ). Il Vescovo Mons. De Luca, i sacerdoti e tutta la Diocesi di TeggianoPolicastro, elevano preghiere di suffraggio, ringraziando il Signore per la testimonianza di fede e di donazione lasciata da Mons. Cozzi. Nato a Lauria (PZ) il 26 novembre 1926 e ordinato sacerdote il 18 giugno 1950 dal Servo di Dio Mons. Federico Pezzullo, Vescovo di Policastro, fu Rettore del Seminario Vescovile e parroco della Cattedrale di Policastro. Dal 1969, e fino alla nomina a Vescovo avvenuta nel 1981, fu parroco di Lagonegro (PZ). Con la ridefinizione dei confini e il passaggio delle Par-

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rocchie ricadenti nella provincia di Potenza dalla Diocesi di Policastro a quella di Tursi-Lagonegro, fu vicario generale di quest'ultima. Eletto Vescovo di Melfi-Rapolla-Venosa il 12 settembre 1981, fu consacrato il 25 ottobre e prese possesso della suddetta Diocesi il 15 novembre. Il 13 dicembre 2002, per raggiunti limiti di etĂ , divenne vescovo emerito e da allora scelse di vivere a Trecchina (PZ), in comunitĂ sacerdotale con don Guido Barbella, collaborando in Parrocchia nella pastorale e dedicandosi alla predicazione, a ritiri e corsi di esercizi spirituali in Diocesi e fuori.

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don GIOVANNI DE CRESCENZO Don Giovanni De Crescenzo, era nato a Tortorella (SA) il 6 marzo 1915. Ordinato Sacerdote il 16 giugno 1940, aveva frequentato il Seminario Vescovile di Policastro Bussentino, poi il Seminario di Posillipo a Napoli. Aveva inoltre conseguito la laurea in Lettere. Fu Parroco di Torraca dal 1942 al 1968. Insegnò lettere nel Seminario di Policastro e nella Scuola Media di Sapri. Fu Preside della Scuola Media di MontanoAntilia (SA). Fino a qualche anno prima della morte fu Cappellano del Buon Pastore a Sapri. Ha terminato il suo pellegrinaggio in questa vita mortale il giorno 6 agosto 2013, festa della Trasfigurazione del Signore.

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AGENDA



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Sommario Papa Lettera Apostolica «Porta Fidei» Messaggio per la Quaresima 2012 Messaggio per la XLV Giornata Mondiale della Pace 2012 Omelia per la XVI Giornata della Vita Consacrata Messaggio per XXVII Giornata Mondiale della Gioventù Omelia per la Messa Crisimale Omelia per la Veglia Pasquale Omelia per l’Apertura dell’Anno della Fede Lettera Apostolica sul Servizio della Carità Omelia per la Messa di Natale

5 19 25 34 37 47 52 56 61 70

Conferenza Episcopale Italiana Messaggio per la XXXIV Giornata Nazionale per la Vita Nota per l’accesso nelle Chiese Messaggio per la XVI Giornata Mondiale della Vita Consacrata 64a Assemblea Generale CEI - Comunicato finale

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Vescovo Biografia Bolla Pontificia di nomina Stemma Episcopale Primo messaggio alla Chiesa di Teggiano-Policastro Ringraziamento al termine dell’Ordinazione Episcopale Inizio del Ministero Pastorale - Saluto alla Città - Omelia Omelia, visita Concattedrale di Policastro Omelia per il Mercoledì delle Ceneri Messaggio ai Presbiteri Omelia per la Messa Crismale Omelia per la Veglia Pasquale Lettera alle Famiglie della nostra Diocesi Messaggio ai giovani Omelia per i Primi Vespri della Solennità di S. Cono Omelia per la Solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo Omelia per le Ordinazioni Presbiterali Omelia per le Ordinazioni Diaconali Orientamenti Pastorali anno 2012-2013 Omelia per l’Apertura dell’Anno della Fede

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Curia Atti e nomine Ordinazioni e ministeri Statuto della Curia Statuto del Consiglio Presbiterale Collette anno 2012 Rendiconto relativo alla erogazione delle somme attribuite alla Diocesi dalla Conferenza Episcopale Italiana per l’anno 2011

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Uffici Pastorali

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Avvenimenti

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Studi e interventi XXIII Convegno Pastorale Diocesano Lectio Divina Gv 1,35-51 di don Cesare Mariano "Felici e credenti" di Giuseppe Pantuliano

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Agenda

307

Appendice

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Editing, impaginazione e grafica Massimo La Corte

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