Bollettino 2012

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DIOCESI DI TEGGIANO---POLICASTRO -

BOLLETTINO DIOCESANO Organo ufficiale per gli atti del Vescovo e della Curia

Gennaio-Dicembre 2012



PAPA



LETTERA APOSTOLICA IN FORMA DI MOTU PROPRIO PORTA FIDEI DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XVI CON LA QUALE SI INDICE L'ANNO DELLA FEDE

1. La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l'ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E' possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo (cfr Rm 6, 4), mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre, e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del Signore Gesù che, con il dono dello Spirito Santo, ha voluto coinvolgere nella sua stessa gloria quanti credono in Lui (cfr Gv 17,22). Professare la fede nella Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – equivale a credere in un solo Dio che è Amore (cfr 1Gv 4,8): il Padre, che nella pienezza del tempo ha inviato suo Figlio per la nostra salvezza; Gesù Cristo, che nel mistero della sua morte e risurrezione ha redento il mondo; lo Spirito Santo, che conduce la Chiesa attraverso i secoli nell'attesa del ritorno glorioso del Signore. 2. Fin dall'inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ricordato l'esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell'incontro con Cristo. Nell'Omelia della santa Messa per l’inizio del pontificato dicevo: “La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l'amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza” [1]. Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fe-

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de come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato [2]. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone. 3. Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (cfr Mt 5,13-16).Anche l'uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva (cfr Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli (cfr Gv 6,51). L'insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la via eterna” (Gv 6,27). L'interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Gesù: “Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza. 4. Alla luce di tutto questo ho deciso di indire un Anno della fede. Esso avrà inizio l'11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo, il 24 novembre 2013. Nella data dell'11 ottobre 2012, ricorreranno anche i vent'anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, testo promulgato dal mio Predecessore, il Beato Papa Giovanni Paolo II [3], allo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede. Questo documento, autentico frutto del Concilio Vaticano II, fu auspicato dal Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985 come strumento al servizio della catechesi [4] e venne realizzato mediante la collaborazione di tutto l'Episcopato della Chiesa cattolica. E proprio l'Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è stata da me convocata, nel mese di ottobre del 2012, sul tema de La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cri-

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stiana. Sarà quella un'occasione propizia per introdurre l'intera compagine ecclesiale ad un tempo di particolare riflessione e riscoperta della fede. Non è la prima volta che la Chiesa è chiamata a celebrare un Anno della fede. Il mio venerato Predecessore il Servo di Dio Paolo VI ne indisse uno simile nel 1967, per fare memoria del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo nel diciannovesimo centenario della loro testimonianza suprema. Lo pensò come un momento solenne perché in tutta la Chiesa vi fosse “un'autentica e sincera professione della medesima fede”; egli, inoltre, volle che questa venisse confermata in maniera “individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore, umile e franca” [5]. Pensava che in tal modo la Chiesa intera potesse riprendere “esatta coscienza della sua fede, per ravvivarla, per purificarla, per confermarla, per confessarla” [6]. I grandi sconvolgimenti che si verificarono in quell'Anno, resero ancora più evidente la necessità di una simile celebrazione. Essa si concluse con la Professione di fede del Popolo di Dio [7], per attestare quanto i contenuti essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato. 5. Per alcuni aspetti, il mio venerato Predecessore vide questo Anno come una “conseguenza ed esigenza postconciliare” [8], ben cosciente delle gravi difficoltà del tempo, soprattutto riguardo alla professione della vera fede e alla sua retta interpretazione. Ho ritenuto che far iniziare l'Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II possa essere un'occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all'interno della Tradizione della Chiesa … Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre” [9]. Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: “se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di

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più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa” [10]. 6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, affermava: “Mentre Cristo, «santo, innocente, senza macchia» (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr 2Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce” [11]. L'Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un'autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l'Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l'apostolo Paolo, questo Amore introduce l'uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta l'esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell'uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell'uomo (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20-29; 2Cor 5,17).

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7. “Caritas Christi urget nos” (2Cor 5,14): è l'amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr Mt 28,19). Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l'annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l'entusiasmo nel comunicare la fede. Nella quotidiana riscoperta del suo amore attinge forza e vigore l'impegno missionario dei credenti che non può mai venire meno. La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti, il cuore e la mente di quanti ascoltano ad accogliere l'invito del Signore di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli. I credenti, attesta sant'Agostino, “si fortificano credendo” [12]. Il santo Vescovo di Ippona aveva buone ragioni per esprimersi in questo modo. Come sappiamo, la sua vita fu una ricerca continua della bellezza della fede fino a quando il suo cuore non trovò riposo in Dio [13]. I suoi numerosi scritti, nei quali vengono spiegate l'importanza del credere e la verità della fede, permangono fino ai nostri giorni come un patrimonio di ricchezza ineguagliabile e consentono ancora a tante persone in ricerca di Dio di trovare il giusto percorso per accedere alla “porta della fede”. Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; non c'è altra possibilità per possedere certezza sulla propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un amore che si sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio. 8. In questa felice ricorrenza, intendo invitare i Confratelli Vescovi di tutto l'orbe perché si uniscano al Successore di Pietro, nel tempo di grazia spirituale che il Signore ci offre, per fare memoria del dono prezioso della fede. Vorremmo celebrare questo Anno in maniera degna e feconda. Dovrà intensificarsi la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come quello che l'umanità sta vivendo. Avremo l'opportunità di confessare la

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fede nel Signore Risorto nelle nostre Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo; nelle nostre case e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte l'esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre. Le comunità religiose come quelle parrocchiali, e tutte le realtà ecclesiali antiche e nuove, troveranno il modo, in questo Anno, per rendere pubblica professione del Credo. 9. Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l'aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un'occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell'Eucaristia, che è “il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia” [14]. Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata [15], e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno. Non a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare a memoria il Credo. Questo serviva loro come preghiera quotidiana per non dimenticare l'impegno assunto con il Battesimo. Con parole dense di significato, lo ricorda sant'Agostino quando, in un'Omelia sulla redditio symboli, la consegna del Credo, dice: “Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore … Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore” [16]. 10. Vorrei, a questo punto, delineare un percorso che aiuti a comprendere in modo più profondo non solo i contenuti della fede, ma insieme a questi anche l'atto con cui decidiamo di affidarci totalmente a Dio, in piena libertà. Esiste, infatti, un'unità profonda tra l'atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. L'apostolo Paolo permette di entrare all'interno di questa realtà quando scrive: “Con il cuore … si crede … e con la bocca si fa la professione di fede” (Rm 10,10). Il cuore indica che il

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primo atto con cui si viene alla fede è dono di Dio e azione della grazia che agisce e trasforma la persona fin nel suo intimo. L'esempio di Lidia è quanto mai eloquente in proposito. Racconta san Luca che Paolo, mentre si trovava a Filippi, andò di sabato per annunciare il Vangelo ad alcune donne; tra esse vi era Lidia e il “Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo” (At 16,14). Il senso racchiuso nell'espressione è importante. San Luca insegna che la conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che consente di avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato annunciato è la Parola di Dio. Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica una testimonianza ed un impegno pubblici. Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato. La fede è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui. E questo “stare con Lui” introduce alla comprensione delle ragioni per cui si crede. La fede, proprio perché è atto della libertà, esige anche la responsabilità sociale di ciò che si crede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere e dell'annunciare senza timore la propria fede ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa. La stessa professione della fede è un atto personale ed insieme comunitario. E' la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede. Nella fede della Comunità cristiana ognuno riceve il Battesimo, segno efficace dell'ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza. Come attesta il Catechismo della Chiesa Cattolica: “«Io credo»; è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo. «Noi crediamo» è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o più generalmente, dall'assemblea liturgica dei fedeli. «Io credo»: è anche la Chiesa nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire «Io credo», «Noi crediamo»” [17]. Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di fede è essenziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire pienamente con l'intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa. La conoscenza della fede introduce alla totalità del mistero salvifico rivelato da Dio. L'assenso che viene prestato implica quindi che, quando si crede, si accetta libera-

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mente tutto il mistero della fede, perché garante della sua verità è Dio stesso che si rivela e permette di conoscere il suo mistero di amore [18]. D'altra parte, non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico “preambolo” alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La stessa ragione dell'uomo, infatti, porta insita l'esigenza di “ciò che vale e permane sempre” [19]. Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto incontro [20]. Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza. 11. Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso ed indispensabile. Esso costituisce uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II. Nella Costituzione Apostolica Fidei depositum, non a caso firmata nella ricorrenza del trentesimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II, il Beato Giovanni Paolo II scriveva: “Questo Catechismo apporterà un contributo molto importante a quell'opera di rinnovamento dell'intera vita ecclesiale… Io lo riconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l'insegnamento della fede” [21]. E' proprio in questo orizzonte che l'Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede. Nella sua stessa struttura, il Catechismo della Chiesa Cattolica presenta lo sviluppo della fede fino a toccare i grandi temi della vita quotidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto viene presentato non è una teoria, ma l'incontro con una Persona che vive nella Chiesa.Alla professione

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di fede, infatti, segue la spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è presente, operante e continua a costruire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti, la professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la testimonianza dei cristiani. Alla stessa stregua, l'insegnamento del Catechismo sulla vita morale acquista tutto il suo significato se posto in relazione con la fede, la liturgia e la preghiera. 12. In questo Anno, pertanto, il Catechismo della Chiesa Cattolica potrà essere un vero strumento a sostegno della fede, soprattutto per quanti hanno a cuore la formazione dei cristiani, così determinante nel nostro contesto culturale. A tale scopo, ho invitato la Congregazione per la Dottrina della Fede, in accordo con i competenti Dicasteri della Santa Sede, a redigere una Nota, con cui offrire alla Chiesa ed ai credenti alcune indicazioni per vivere quest'Anno della fede nei modi più efficaci ed appropriati, al servizio del credere e dell'evangelizzare. La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l'ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità [22]. 13. Sarà decisivo nel corso di questo Anno ripercorrere la storia della nostra fede, la quale vede il mistero insondabile dell'intreccio tra santità e peccato. Mentre la prima evidenzia il grande apporto che uomini e donne hanno offerto alla crescita ed allo sviluppo della comunità con la testimonianza della loro vita, il secondo deve provocare in ognuno una sincera e permanente opera di conversione per sperimentare la misericordia del Padre che a tutti va incontro. In questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2): in lui trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore umano. La gioia dell'amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all'offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo far-

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si uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione. In lui, morto e risorto per la nostra salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi duemila anni della nostra storia di salvezza. Per fede Maria accolse la parola dell'Angelo e credette all'annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio nell'obbedienza della sua dedizione (cfr Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il suo canto di lode all'Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfr Lc 1,46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Figlio, mantenendo intatta la verginità (cfr Lc 2,6-7). Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode (cfr Mt 2,13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella sua predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr Gv 19,25-27). Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), lo trasmise ai Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr At 1,14; 2,1-4). Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro (cfr Mc 10,28). Credettero alle parole con le quali annunciava il Regno di Dio presente e realizzato nella sua persona (cfr Lc 11,20). Vissero in comunione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento, lasciando loro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati riconosciuti come suoi discepoli dopo la sua morte (cfr Gv 13,34-35). Per fede andarono nel mondo intero, seguendo il mandato di portare il Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15) e, senza alcun timore, annunciarono a tutti la gioia della risurrezione di cui furono fedeli testimoni. Per fede i discepoli formarono la prima comunità raccolta intorno all'insegnamento degli Apostoli, nella preghiera, nella celebrazione dell'Eucaristia, mettendo in comune quanto possedevano per sovvenire alle necessità dei fratelli (cfr At 2,42-47). Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo che li aveva trasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell'amore con il perdono dei propri persecutori. Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l'obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell'attesa del Signore che non tarda a venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso un'azione a favore della giustizia per rendere concreta la parola del Signore, venuto ad annunciare la liberazio-

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ne dall'oppressione e un anno di grazia per tutti (cfr Lc 4,18-19). Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro della vita (cfr Ap 7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vita pubblica, nell'esercizio dei carismi e ministeri ai quali furono chiamati. Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del Signore Gesù, presente nella nostra esistenza e nella storia. 14. L'Anno della fede sarà anche un'occasione propizia per intensificare la testimonianza della carità. Ricorda san Paolo: “Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!” (1Cor 13,13). Con parole ancora più forti - che da sempre impegnano i cristiani - l'apostolo Giacomo affermava: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede»” (Gc 2,14-18). La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Fede e carità si esigono a vicenda, così che l'una permette all'altra di attuare il suo cammino. Non pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con amore a chi è solo, emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cui andare e il più importante da sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto stesso di Cristo. Grazie alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto. “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25,40): queste sue parole sono un monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare quell'amore con cui Egli si prende cura di noi. E' la fede che permette di riconoscere Cristo ed è il suo stesso amore che spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita. Sostenuti dalla fede, guardiamo con speranza al nostro impegno nel mondo, in attesa di “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13; cfr

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Ap 21,1). 15. Giunto ormai al termine della sua vita, l'apostolo Paolo chiede al discepolo Timoteo di “cercare la fede” (cfr 2Tm 2,22) con la stessa costanza di quando era ragazzo (cfr 2Tm 3,15). Sentiamo questo invito rivolto a ciascuno di noi, perché nessuno diventi pigro nella fede. Essa è compagna di vita che permette di percepire con sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio compie per noi. Intenta a cogliere i segni dei tempi nell'oggi della storia, la fede impegna ognuno di noi a diventare segno vivo della presenza del Risorto nel mondo. Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine. “La Parola del Signore corra e sia glorificata” (2Ts 3,1): possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo. Le parole dell'apostolo Pietro gettano un ultimo squarcio di luce sulla fede: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po' di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell'oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime” (1Pt 1,6-9). La vita dei cristiani conosce l'esperienza della gioia e quella della sofferenza. Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr Col 1,24), sono preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce: “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10). Noi crediamo con ferma certezza che il Signore Gesù ha sconfitto il male e la morte. Con questa sicura fiducia ci affidiamo a Lui: Egli, presente in mezzo a noi, vince il potere del maligno (cfr Lc 11,20) e la Chiesa, comunità visibile della sua misericordia, permane in Lui come segno della riconciliazione definitiva con il Padre.

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Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata “beata” perché “ha creduto” (Lc 1,45), questo tempo di grazia. Dato a Roma, presso San Pietro, l'11 ottobre dell'Anno 2011, settimo di Pontificato. Benedetto XVI

Note [1] Omelia per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma (24 aprile 2005): AAS 97(2005), 710. [2] Cfr BENEDETTO XVI, Omelia S. Messa al Terreiro do Paço, Lisbona (11 maggio 2010): Insegnamenti VI,1(2010), 673. [3] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 113-118. [4] Cfr Rapporto finale del Secondo Sinodo Straordinario dei Vescovi (7 dicembre 1985), II, B, a, 4: in Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1797. [5] PAOLO VI, Esort. ap. Petrum et Paulum Apostolos, nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (22 febbraio 1967): AAS 59(1967), 196. [6] Ibid., 198. [7] PAOLO VI, Solenne Professione di fede, Omelia per la Concelebrazione nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, a conclusione dell' “Anno della fede” (30 giugno 1968): AAS 60(1968), 433-445. [8] ID., Udienza Generale (14 giugno 1967): Insegnamenti V(1967), 801. [9] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 57: AAS 93(2001), 308. [10] Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98(2006), 52. [11] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8. [12] De utilitate credendi, 1,2.

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[13] CfrAGOSTINO D'IPPONA, Confessioni, I,1. [14] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10. [15] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 116. [16] Sermo 215,1. [17] Catechismo della Chiesa Cattolica, 167. [18] Cfr CONC. ECUM. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. III: DS 3008-3009; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 5. [19] BENEDETTO XVI, Discorso al Collège des Bernardins, Parigi (12 settembre 2008): AAS 100(2008), 722. [20] CfrAGOSTINO D'IPPONA, Confessioni, XIII, 1. [21] GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 115 e 117. [22] Cfr ID., Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), nn. 34 e106: AAS 91(1999), 31-32, 86-87.

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA QUARESIMA 2012 «Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb10,24)

Fratelli e sorelle, la Quaresima ci offre ancora una volta l'opportunità di riflettere sul cuore della vita cristiana: la carità. Infatti questo è un tempo propizio affinché, con l'aiuto della Parola di Dio e dei Sacramenti, rinnoviamo il nostro cammino di fede, sia personale che comunitario. E' un percorso segnato dalla preghiera e dalla condivisione, dal silenzio e dal digiuno, in attesa di vivere la gioia pasquale. Quest'anno desidero proporre alcuni pensieri alla luce di un breve testo biblico tratto dalla Lettera agli Ebrei: «Prestiamo attenzione gli uni agli altri per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (10,24). E' una frase inserita in una pericope dove lo scrittore sacro esorta a confidare in Gesù Cristo come sommo sacerdote, che ci ha ottenuto il perdono e l'accesso a Dio. Il frutto dell'accoglienza di Cristo è una vita dispiegata secondo le tre virtù teologali: si tratta di accostarsi al Signore «con cuore sincero nella pienezza della fede» (v. 22), di mantenere salda «la professione della nostra speranza» (v. 23) nell'attenzione costante ad esercitare insieme ai fratelli «la carità e le opere buone» (v. 24). Si afferma pure che per sostenere questa condotta evangelica è importante partecipare agli incontri liturgici e di preghiera della comunità, guardando alla meta escatologica: la comunione piena in Dio (v. 25). Mi soffermo sul versetto 24, che, in poche battute, offre un insegnamento prezioso e sempre attuale su tre aspetti della vita cristiana: l'attenzione all'altro, la reciprocità e la santità personale. 1. “Prestiamo attenzione”: la responsabilità verso il fratello. Il primo elemento è l'invito a «fare attenzione»: il verbo greco usato è katanoein,che significa osservare bene, essere attenti, guardare con consapevolezza, accorgersi di una realtà. Lo troviamo nel Vangelo, quando

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Gesù invita i discepoli a «osservare» gli uccelli del cielo, che pur senza affannarsi sono oggetto della sollecita e premurosa Provvidenza divina (cfr Lc 12,24), e a «rendersi conto» della trave che c'è nel proprio occhio prima di guardare alla pagliuzza nell'occhio del fratello (cfr Lc 6,41). Lo troviamo anche in un altro passo della stessa Lettera agli Ebrei, come invito a «prestare attenzione a Gesù» (3,1), l'apostolo e sommo sacerdote della nostra fede. Quindi, il verbo che apre la nostra esortazione invita a fissare lo sguardo sull'altro, prima di tutto su Gesù, e ad essere attenti gli uni verso gli altri, a non mostrarsi estranei, indifferenti alla sorte dei fratelli. Spesso, invece, prevale l'atteggiamento contrario: l'indifferenza, il disinteresse, che nascono dall'egoismo, mascherato da una parvenza di rispetto per la «sfera privata». Anche oggi risuona con forza la voce del Signore che chiama ognuno di noi a prendersi cura dell'altro. Anche oggi Dio ci chiede di essere «custodi» dei nostri fratelli (cfr Gen 4,9), di instaurare relazioni caratterizzate da premura reciproca, da attenzione al bene dell'altro e a tutto il suo bene. Il grande comandamento dell'amore del prossimo esige e sollecita la consapevolezza di avere una responsabilità verso chi, come me, è creatura e figlio di Dio: l'essere fratelli in umanità e, in molti casi, anche nella fede, deve portarci a vedere nell'altro un vero alter ego, amato in modo infinito dal Signore. Se coltiviamo questo sguardo di fraternità, la solidarietà, la giustizia, così come la misericordia e la compassione, scaturiranno naturalmente dal nostro cuore. Il Servo di Dio Paolo VI affermava che il mondo soffre oggi soprattutto di una mancanza di fraternità: «Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli» (Lett. enc. Populorum progressio [26 marzo 1967], n. 66). L'attenzione all'altro comporta desiderare per lui o per lei il bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale. La cultura contemporanea sembra aver smarrito il senso del bene e del male, mentre occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince, perché Dio è «buono e fa il bene» (Sal 119,68). Il bene è ciò che suscita, protegge e promuove la vita, la fraternità e la comunione. La responsabilità verso il prossimo significa allora volere e fare il bene dell'altro, desiderando che anch'egli si apra alla logica del bene; interessarsi al fratello vuol dire aprire gli occhi sulle sue necessità. La Sacra Scrittura mette in guardia dal pericolo di avere il cuore indurito da una sorta di «anestesia spirituale» che rende ciechi alle sofferenze

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altrui. L'evangelista Luca riporta due parabole di Gesù in cui vengono indicati due esempi di questa situazione che può crearsi nel cuore dell'uomo. In quella del buon Samaritano, il sacerdote e il levita «passano oltre», con indifferenza, davanti all'uomo derubato e percosso dai briganti (cfr Lc 10,30-32), e in quella del ricco epulone, quest'uomo sazio di beni non si avvede della condizione del povero Lazzaro che muore di fame davanti alla sua porta (cfr Lc 16,19). In entrambi i casi abbiamo a che fare con il contrario del «prestare attenzione», del guardare con amore e compassione. Che cosa impedisce questo sguardo umano e amorevole verso il fratello? Sono spesso la ricchezza materiale e la sazietà, ma è anche l'anteporre a tutto i propri interessi e le proprie preoccupazioni. Mai dobbiamo essere incapaci di «avere misericordia» verso chi soffre; mai il nostro cuore deve essere talmente assorbito dalle nostre cose e dai nostri problemi da risultare sordo al grido del povero. Invece proprio l'umiltà di cuore e l'esperienza personale della sofferenza possono rivelarsi fonte di risveglio interiore alla compassione e all'empatia: «Il giusto riconosce il diritto dei miseri, il malvagio invece non intende ragione» (Pr 29,7). Si comprende così la beatitudine di «coloro che sono nel pianto» (Mt 5,4), cioè di quanti sono in grado di uscire da se stessi per commuoversi del dolore altrui. L'incontro con l'altro e l'aprire il cuore al suo bisogno sono occasione di salvezza e di beatitudine. Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale. E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo. Nella Sacra Scrittura leggiamo: «Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s). Cristo stesso comanda di riprendere il fratello che sta commettendo un peccato (cfr Mt 18,15). Il verbo usato per definire la correzione fraterna - elenchein - è il medesimo che indica la missione profetica di denuncia propria dei cristiani verso una generazione che indulge al male (cfr Ef 5,11). La tradizione della Chiesa ha annoverato tra le opere di mi-

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sericordia spirituale quella di «ammonire i peccatori». E' importante recuperare questa dimensione della carità cristiana. Non bisogna tacere di fronte al male. Penso qui all'atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene. Il rimprovero cristiano, però, non è mai animato da spirito di condanna o recrimina-zione; è mosso sempre dall'amore e dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello. L'apostolo Paolo afferma: «Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1). Nel nostro mondo impregnato di individualismo, è necessario riscoprire l'importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità. Persino «il giusto cade sette volte» (Pr 24,16), dice la Scrittura, e noi tutti siamo deboli e manchevoli (cfr 1 Gv 1,8). E' un grande servizio quindi aiutare e lasciarsi aiutare a leggere con verità se stessi, per migliorare la propria vita e camminare più rettamente nella via del Signore. C'è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona (cfr Lc 22,61), come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi. 2. “Gli uni agli altri”: il dono della reciprocità. Tale «custodia» verso gli altri contrasta con una mentalità che, riducendo la vita alla sola dimensione terrena, non la considera in prospettiva escatologica e accetta qualsiasi scelta morale in nome della libertà individuale. Una società come quella attuale può diventare sorda sia alle sofferenze fisiche, sia alle esigenze spirituali e morali della vita. Non così deve essere nella comunità cristiana! L'apostolo Paolo invita a cercare ciò che porta «alla pace e alla edificazione vicendevole» (Rm 14,19), giovando al «prossimo nel bene, per edificarlo» (ibid. 15,2), senza cercare l'utile proprio «ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1 Cor 10,33). Questa reciproca correzione ed esortazione, in spirito di umiltà e di carità, deve essere parte della vita della comunità cristiana. I discepoli del Signore, uniti a Cristo mediante l'Eucaristia, vivono in una comunione che li lega gli uni agli altri come membra di un solo corpo. Ciò significa che l'altro mi appartiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vita e la mia salvezza. Tocchiamo qui un elemento molto pro-

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fondo della comunione:la nostra esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale. Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, si verifica tale reciprocità: la comunità non cessa di fare penitenza e di invocare perdono per i peccati dei suoi figli, ma si rallegra anche di continuo e con giubilo per le testimonianze di virtù e di carità che in essa si dispiegano. «Le varie membra abbiano cura le une delle altre»(1 Cor 12,25), afferma San Paolo, perché siamo uno stesso corpo. La carità verso i fratelli, di cui è un'espressione l'elemosina - tipica pratica quaresimale insieme con la preghiera e il digiuno - si radica in questa comune appartenenza. Anche nella preoccupazione concreta verso i più poveri ogni cristiano può esprimere la sua partecipazione all'unico corpo che è la Chiesa. Attenzione agli altri nella reciprocità è anche riconoscere il bene che il Signore compie in essi e ringraziare con loro per i prodigi di grazia che il Dio buono e onnipotente continua a operare nei suoi figli. Quando un cristiano scorge nell'altro l'azione dello Spirito Santo, non può che gioirne e dare gloria al Padre celeste (cfr Mt 5,16). 3. “Per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone”: camminare insieme nella santità. Questa espressione della Lettera agli Ebrei (10,24) ci spinge a considerare la chiamata universale alla santità, il cammino costante nella vita spirituale, ad aspirare ai carismi più grandi e a una carità sempre più alta e più feconda (cfr 1 Cor 12,31-13,13). L'attenzione reciproca ha come scopo il mutuo spronarsi ad un amore effettivo sempre maggiore, «come la luce dell'alba, che aumenta lo splendore fino al meriggio» (Pr 4,18), in attesa di vivere il giorno senza tramonto in Dio. Il tempo che ci è dato nella nostra vita è prezioso per scoprire e compiere le opere di bene, nell'amore di Dio. Così la Chiesa stessa cresce e si sviluppa per giungere alla piena maturità di Cristo (cfr Ef 4,13). In tale prospettiva dinamica di crescita si situa la nostra esortazione a stimolarci reciprocamente per giungere alla pienezza dell'amore e delle buone opere. Purtroppo è sempre presente la tentazione della tiepidezza, del soffocare lo Spirito, del rifiuto di «trafficare i talenti» che ci sono donati per il bene nostro e altrui (cfr Mt 25,25s). Tutti abbiamo ricevuto ricchezze spirituali o materiali utili per il compimento del piano divino, per il bene della Chiesa e per la salvezza personale (cfr Lc 12,21b; 1 Tm 6,18). I maestri

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spirituali ricordano che nella vita di fede chi non avanza retrocede. Cari fratelli e sorelle, accogliamo l'invito sempre attuale a tendere alla «misura alta della vita cristiana» (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte [6 gennaio 2001], n. 31). La sapienza della Chiesa nel riconoscere e proclamare la beatitudine e la santità di taluni cristiani esemplari, ha come scopo anche di suscitare il desiderio di imitarne le virtù. San Paolo esorta: «gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10). Di fronte ad un mondo che esige dai cristiani una testimonianza rinnovata di amore e di fedeltà al Signore, tutti sentano l'urgenza di adoperarsi per gareggiare nella carità, nel servizio e nelle opere buone (cfr Eb 6,10). Questo richiamo è particolarmente forte nel tempo santo di preparazione alla Pasqua. Con l'augurio di una santa e feconda Quaresima, vi affido all'intercessione della Beata Vergine Maria e di cuore imparto a tutti la BenedizioneApostolica. Dal Vaticano, 3 novembre 2011 BENEDICTUS PP. XVI

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA CELEBRAZIONE DELLA XLV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 1° Gennaio 2012 EDUCARE I GIOVANI ALLA GIUSTIZIA E ALLA PACE 1. L'inizio di un nuovo anno, dono di Dio all'umanità, mi invita a rivolgere a tutti, con grande fiducia e affetto, uno speciale augurio per questo tempo che ci sta dinanzi, perché sia concretamente segnato dalla giustizia e dalla pace. Con quale atteggiamento guardare al nuovo anno? Nel Salmo 130 troviamo una bellissima immagine. Il Salmista dice che l'uomo di fede attende il Signore « più che le sentinelle l'aurora » (v. 6), lo attende con ferma speranza, perché sa che porterà luce, misericordia, salvezza. Tale attesa nasce dall'esperienza del popolo eletto, il quale riconosce di essere educato da Dio a guardare il mondo nella sua verità e a non lasciarsi abbattere dalle tribolazioni. Vi invito a guardare il 2012 con questo atteggiamento fiducioso. È vero che nell'anno che termina è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l'economia; una crisi le cui radici sono anzitutto culturali e antropologiche. Sembra quasi che una coltre di oscurità sia scesa sul nostro tempo e non permetta di vedere con chiarezza la luce del giorno. In questa oscurità il cuore dell'uomo non cessa tuttavia di attendere l'aurora di cui parla il Salmista. Tale attesa è particolarmente viva e visibile nei giovani, ed è per questo che il mio pensiero si rivolge a loro considerando il contributo che possono e debbono offrire alla società. Vorrei dunque presentare il Messaggio per la XLV Giornata Mondiale della Pace in una prospettiva educativa: « Educare i giovani alla giustizia e alla pace », nella convinzione che essi, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza al mondo. Il mio Messaggio si rivolge anche ai genitori, alle famiglie, a tutte le componenti educative, formative, come pure ai responsabili nei vari ambiti della vita religiosa, sociale, politica, economica, culturale e della comu-

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nicazione. Essere attenti al mondo giovanile, saperlo ascoltare e valorizzare, non è solamente un'opportunità, ma un dovere primario di tutta la società, per la costruzione di un futuro di giustizia e di pace. Si tratta di comunicare ai giovani l'apprezzamento per il valore positivo della vita, suscitando in essi il desiderio di spenderla al servizio del Bene. È un compito, questo, in cui tutti siamo impegnati in prima persona. Le preoccupazioni manifestate da molti giovani in questi ultimi tempi, in varie Regioni del mondo, esprimono il desiderio di poter guardare con speranza fondata verso il futuro. Nel momento presente sono molti gli aspetti che essi vivono con apprensione: il desiderio di ricevere una formazione che li prepari in modo più profondo ad affrontare la realtà, la difficoltà a formare una famiglia e a trovare un posto stabile di lavoro, l'effettiva capacità di contribuire al mondo della politica, della cultura e dell'economia per la costruzione di una società dal volto più umano e solidale. È importante che questi fermenti e la spinta ideale che contengono trovino la dovuta attenzione in tutte le componenti della società. La Chiesa guarda ai giovani con speranza, ha fiducia in loro e li incoraggia a ricercare la verità, a difendere il bene comune, ad avere prospettive aperte sul mondo e occhi capaci di vedere « cose nuove » (Is 42,9; 48,6)! I responsabili dell'educazione 2. L'educazione è l'avventura più affascinante e difficile della vita. Educare – dal latino educere – significa condurre fuori da se stessi per introdurre alla realtà, verso una pienezza che fa crescere la persona. Tale processo si nutre dell'incontro di due libertà, quella dell'adulto e quella del giovane. Esso richiede la responsabilità del discepolo, che deve essere aperto a lasciarsi guidare alla conoscenza della realtà, e quella dell'educatore, che deve essere disposto a donare se stesso. Per questo sono più che mai necessari autentici testimoni, e non meri dispensatori di regole e di informazioni; testimoni che sappiano vedere più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi. Il testimone è colui che vive per primo il cammino che propone. Quali sono i luoghi dove matura una vera educazione alla pace e alla giustizia? Anzitutto la famiglia, poiché i genitori sono i primi educatori. La famiglia è cellula originaria della società. « È nella famiglia che i figli apprendono i valori umani e cristiani che consentono una convivenza co-

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struttiva e pacifica. È nella famiglia che essi imparano la solidarietà fra le generazioni, il rispetto delle regole, il perdono e l'accoglienza dell'altro » [1]. Essa è la prima scuola dove si viene educati alla giustizia e alla pace. Viviamo in un mondo in cui la famiglia, e anche la vita stessa, sono costantemente minacciate e, non di rado, frammentate. Condizioni di lavoro spesso poco armonizzabili con le responsabilità familiari, preoccupazioni per il futuro, ritmi di vita frenetici, migrazioni in cerca di un adeguato sostentamento, se non della semplice sopravvivenza, finiscono per rendere difficile la possibilità di assicurare ai figli uno dei beni più preziosi: la presenza dei genitori; presenza che permetta una sempre più profonda condivisione del cammino, per poter trasmettere quell'esperienza e quelle certezze acquisite con gli anni, che solo con il tempo trascorso insieme si possono comunicare. Ai genitori desidero dire di non perdersi d'animo! Con l'esempio della loro vita esortino i figli a porre la speranza anzitutto in Dio, da cui solo sorgono giustizia e pace autentiche. Vorrei rivolgermi anche ai responsabili delle istituzioni che hanno compiti educativi: veglino con grande senso di responsabilità affinché la dignità di ogni persona sia rispettata e valorizzata in ogni circostanza. Abbiano cura che ogni giovane possa scoprire la propria vocazione, accompagnandolo nel far fruttificare i doni che il Signore gli ha accordato. Assicurino alle famiglie che i loro figli possano avere un cammino formativo non in contrasto con la loro coscienza e i loro principi religiosi. Ogni ambiente educativo possa essere luogo di apertura al trascendente e agli altri; luogo di dialogo, di coesione e di ascolto, in cui il giovane si senta valorizzato nelle proprie potenzialità e ricchezze interiori, e impari ad apprezzare i fratelli. Possa insegnare a gustare la gioia che scaturisce dal vivere giorno per giorno la carità e la compassione verso il prossimo e dal partecipare attivamente alla costruzione di una società più umana e fraterna. Mi rivolgo poi ai responsabili politici, chiedendo loro di aiutare concretamente le famiglie e le istituzioni educative ad esercitare il loro dirittodovere di educare. Non deve mai mancare un adeguato supporto alla maternità e alla paternità. Facciano in modo che a nessuno sia negato l'accesso all'istruzione e che le famiglie possano scegliere liberamente le strutture educative ritenute più idonee per il bene dei propri figli. Si impegnino a favorire il ricongiungimento di quelle famiglie che sono divise dalla necessità di trovare mezzi di sussistenza. Offrano ai giovani

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un'immagine limpida della politica, come vero servizio per il bene di tutti. Non posso, inoltre, non appellarmi al mondo dei media affinché dia il suo contributo educativo. Nell'odierna società, i mezzi di comunicazione di massa hanno un ruolo particolare: non solo informano, ma anche formano lo spirito dei loro destinatari e quindi possono dare un apporto notevole all'educazione dei giovani. È importante tenere presente che il legame tra educazione e comunicazione è strettissimo: l'educazione avviene infatti per mezzo della comunicazione, che influisce, positivamente o negativamente, sulla formazione della persona. Anche i giovani devono avere il coraggio di vivere prima di tutto essi stessi ciò che chiedono a coloro che li circondano. È una grande responsabilità quella che li riguarda: abbiano la forza di fare un uso buono e consapevole della libertà. Anch'essi sono responsabili della propria educazione e formazione alla giustizia e alla pace! Educare alla verità e alla libertà 3. Sant'Agostino si domandava: « Quid enim fortius desiderat anima quam veritatem? – Che cosa desidera l'uomo più fortemente della verità? ». [2] Il volto umano di una società dipende molto dal contributo dell'educazione a mantenere viva tale insopprimibile domanda. L'educazione, infatti, riguarda la formazione integrale della persona, inclusa la dimensione morale e spirituale dell'essere, in vista del suo fine ultimo e del bene della società di cui è membro. Perciò, per educare alla verità occorre innanzitutto sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura. Contemplando la realtà che lo circonda, il Salmista riflette: « Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell'uomo, perché te ne curi? » (Sal 8,4-5). È questa la domanda fondamentale da porsi: chi è l'uomo? L'uomo è un essere che porta nel cuore una sete di infinito, una sete di verità – non parziale, ma capace di spiegare il senso della vita – perché è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Riconoscere allora con gratitudine la vita come dono inestimabile, conduce a scoprire la propria dignità profonda e l'inviolabilità di ogni persona. Perciò, la prima educazione consiste nell'imparare a riconoscere nell'uomo l'immagine del Creatore e, di conseguenza, ad avere un profondo rispetto per ogni essere umano e aiutare gli altri a realizzare una vita conforme a

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questa altissima dignità. Non bisogna dimenticare mai che « l'autentico sviluppo dell'uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione » [3], inclusa quella trascendente, e che non si può sacrificare la persona per raggiungere un bene particolare, sia esso economico o sociale, individuale o collettivo. Solo nella relazione con Dio l'uomo comprende anche il significato della propria libertà. Ed è compito dell'educazione quello di formare all'autentica libertà. Questa non è l'assenza di vincoli o il dominio del libero arbitrio, non è l'assolutismo dell'io. L'uomo che crede di essere assoluto, di non dipendere da niente e da nessuno, di poter fare tutto ciò che vuole, finisce per contraddire la verità del proprio essere e per perdere la sua libertà. L'uomo, invece, è un essere relazionale, che vive in rapporto con gli altri e, soprattutto, con Dio. L'autentica libertà non può mai essere raggiunta nell'allontanamento da Lui. La libertà è un valore prezioso, ma delicato; può essere fraintesa e usata male. « Oggi un ostacolo particolarmente insidioso all'opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l'apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l'uno dall'altro, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “io”. Dentro ad un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune » [4]. Per esercitare la sua libertà, l'uomo deve dunque superare l'orizzonte relativistico e conoscere la verità su se stesso e la verità circa il bene e il male. Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce lo chiama ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, ad assumere la responsabilità del bene compiuto e del male commesso [5]. Per questo, l'esercizio della libertà è intimamente connesso alla legge morale naturale, che ha carattere universale, esprime la dignità di ogni persona, pone la base dei suoi diritti e doveri fondamentali, e dunque, in ultima analisi, della convivenza giusta e pacifica fra le persone. Il retto uso della libertà è dunque centrale nella promozione della giusti-

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zia e della pace, che richiedono il rispetto per se stessi e per l'altro, anche se lontano dal proprio modo di essere e di vivere. Da tale atteggiamento scaturiscono gli elementi senza i quali pace e giustizia rimangono parole prive di contenuto: la fiducia reciproca, la capacità di tessere un dialogo costruttivo, la possibilità del perdono, che tante volte si vorrebbe ottenere ma che si fa fatica a concedere, la carità reciproca, la compassione nei confronti dei più deboli, come pure la disponibilità al sacrificio. Educare alla giustizia 4. Nel nostro mondo, in cui il valore della persona, della sua dignità e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni di intenti, è seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell'utilità, del profitto e dell'avere, è importante non separare il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti. La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, poiché ciò che è giusto non è originariamente determinato dalla legge positiva, ma dall'identità profonda dell'essere umano. È la visione integrale dell'uomo che permette di non cadere in una concezione contrattualistica della giustizia e di aprire anche per essa l'orizzonte della solidarietà e dell'amore [6]. Non possiamo ignorare che certe correnti della cultura moderna, sostenute da principi economici razionalistici e individualisti, hanno alienato il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti, separandolo dalla carità e dalla solidarietà: « La “città dell'uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l'amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo » [7]. « Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati » (Mt 5,6). Saranno saziati perché hanno fame e sete di relazioni rette con Dio, con se stessi, con i loro fratelli e sorelle, e con l'intero creato. Educare alla pace 5. « La pace non è la semplice assenza di guerra e non può ridursi ad assicurare l'equilibrio delle forze contrastanti. La pace non si può ottenere sulla terra senza la tutela dei beni delle persone, la libera comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli, l'assidua pratica della fratellanza » [8]. La pace è frutto della giustizia ed

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effetto della carità. La pace è anzitutto dono di Dio. Noi cristiani crediamo che Cristo è la nostra vera pace: in Lui, nella sua Croce, Dio ha riconciliato a Sé il mondo e ha distrutto le barriere che ci separavano gli uni dagli altri (cfr Ef 2,14-18); in Lui c'è un'unica famiglia riconciliata nell'amore. Ma la pace non è soltanto dono da ricevere, bensì anche opera da costruire. Per essere veramente operatori di pace, dobbiamo educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità, essere attivi all'interno della comunità e vigili nel destare le coscienze sulle questioni nazionali ed internazionali e sull'importanza di ricercare adeguate modalità di ridistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti. « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio », dice Gesù nel discorso della montagna (Mt 5,9). La pace per tutti nasce dalla giustizia di ciascuno e nessuno può eludere questo impegno essenziale di promuovere la giustizia, secondo le proprie competenze e responsabilità. Invito in particolare i giovani, che hanno sempre viva la tensione verso gli ideali, ad avere la pazienza e la tenacia di ricercare la giustizia e la pace, di coltivare il gusto per ciò che è giusto e vero, anche quando ciò può comportare sacrificio e andare controcorrente. Alzare gli occhi a Dio 6. Di fronte alla difficile sfida di percorrere le vie della giustizia e della pace possiamo essere tentati di chiederci, come il Salmista: « Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l'aiuto? » (Sal 121,1). Atutti, in particolare ai giovani, voglio dire con forza: « Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero… il volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l'amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore? » [9]. L'amore si compiace della verità, è la forza che rende capaci di impegnarsi per la verità, per la giustizia, per la pace, perché tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (cfr 1 Cor 13,1-13). Cari giovani, voi siete un dono prezioso per la società. Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento di fronte alle difficoltà e non abbandona-

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tevi a false soluzioni, che spesso si presentano come la via più facile per superare i problemi. Non abbiate paura di impegnarvi, di affrontare la fatica e il sacrificio, di scegliere le vie che richiedono fedeltà e costanza, umiltà e dedizione. Vivete con fiducia la vostra giovinezza e quei profondi desideri che provate di felicità, di verità, di bellezza e di amore vero! Vivete intensamente questa stagione della vita così ricca e piena di entusiasmo. Siate coscienti di essere voi stessi di esempio e di stimolo per gli adulti, e lo sarete quanto più vi sforzate di superare le ingiustizie e la corruzione, quanto più desiderate un futuro migliore e vi impegnate a costruirlo. Siate consapevoli delle vostre potenzialità e non chiudetevi mai in voi stessi, ma sappiate lavorare per un futuro più luminoso per tutti. Non siete mai soli. La Chiesa ha fiducia in voi, vi segue, vi incoraggia e desidera offrirvi quanto ha di più prezioso: la possibilità di alzare gli occhi a Dio, di incontrare Gesù Cristo, Colui che è la giustizia e la pace. A voi tutti, uomini e donne che avete a cuore la causa della pace! La pace non è un bene già raggiunto, ma una meta a cui tutti e ciascuno dobbiamo aspirare. Guardiamo con maggiore speranza al futuro, incoraggiamoci a vicenda nel nostro cammino, lavoriamo per dare al nostro mondo un volto più umano e fraterno, e sentiamoci uniti nella responsabilità verso le giovani generazioni presenti e future, in particolare nell'educarle ad essere pacifiche e artefici di pace. È sulla base di tale consapevolezza che vi invio queste riflessioni e vi rivolgo il mio appello: uniamo le nostre forze, spirituali, morali e materiali, per « educare i giovani alla giustizia e alla pace ». Dal Vaticano, 8 Dicembre 2011 BENEDICTUS PP XVI

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Note [1] BENEDETTO XVI, Discorso agli Amministratori della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma (14 gennaio 2011): L'Osservatore

Romano, 15 gennaio 2011, p. 7. [2] Commento al Vangelo di S. Giovanni, 26,5. [3] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 11: AAS 101 (2009), 648; cfr PAOLO VI, Lett. enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 14: AAS 59 (1967), 264. [4] BENEDETTO XVI, 'Discorso in occasione dellapertura del Convegno ecclesiale diocesano nella Basilica di san Giovanni in Laterano (6 giugno 2005): AAS 97 (2005), 816. [5] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. Gaudium et spes, 16. [6] Cfr BENEDETTO XVI, Discorso al Bundestag (Berlino, 22 settembre 2011): L'Osservatore Romano, 24 settembre 2011, p. 6-7. [7] ID., Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 6: AAS 101

(2009),644-645. [8] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2304. [9] BENEDETTO XVI, Veglia con i Giovani (Colonia, 20 agosto 2005): AAS

97 (2005), 885-886.

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CELEBRAZIONE DEI VESPRI NELLA FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE IN OCCASIONE DELLA XVI GIORNATA DELLA VITA CONSACRATA OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI 2 Febbraio 2012

Cari fratelli e sorelle! La festa della Presentazione del Signore, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, ci mostra Maria e Giuseppe che, in obbedienza alla Legge mosaica, si recano al tempio di Gerusalemme per offrire il bambino, in quanto primogenito, al Signore e riscattarlo mediante un sacrificio (cfr Lc 2,2224). E' uno dei casi in cui il tempo liturgico rispecchia quello storico, perché oggi si compiono appunto quaranta giorni dalla solennità del Natale del Signore; il tema di Cristo Luce, che ha caratterizzato il ciclo delle feste natalizie ed è culminato nella solennità dell'Epifania, viene ripreso e prolungato nella festa odierna. Il gesto rituale dei genitori di Gesù, che avviene nello stile di umile nascondimento che caratterizza l'Incarnazione del Figlio di Dio, trova una singolare accoglienza da parte dell'anziano Simeone e della profetessa Anna. Per divina ispirazione, essi riconoscono in quel bambino il Messia annunziato dai profeti. Nell'incontro tra il vegliardo Simeone e Maria, giovane madre, Antico e Nuovo Testamento si congiungono in modo mirabile nel rendimento di grazie per il dono della Luce, che ha brillato nelle tenebre ed ha impedito loro di prevalere: Cristo Signore, luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele (cfr Lc 2,32). Nel giorno in cui la Chiesa fa memoria della presentazione di Gesù al tempio, si celebra la Giornata della Vita Consacrata. In effetti, l'episodio evangelico a cui ci riferiamo costituisce una significativa icona della donazione della propria vita da parte di quanti sono stati chiamati a ripresentare nella Chiesa e nel mondo, mediante i consigli evangelici, i tratti caratteristici di Gesù, vergine, povero ed obbediente, il Consacrato del

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Padre. Nella festa odierna celebriamo, pertanto, il mistero della consacrazione: consacrazione di Cristo, consacrazione di Maria, consacrazione di tutti coloro che si pongono alla sequela di Gesù per amore del Regno di Dio. Secondo l'intuizione del Beato Giovanni Paolo II, che l'ha celebrata per la prima volta nel 1997, la Giornata dedicata alla vita consacrata si prefigge alcuni scopi particolari. Vuole rispondere anzitutto all'esigenza di lodare e ringraziare il Signore per il dono di questo stato di vita, che appartiene alla santità della Chiesa. Ad ogni persona consacrata è dedicata oggi la preghiera dell'intera Comunità, che rende grazie a Dio Padre, datore di ogni bene, per il dono di questa vocazione, e con fede nuovamente lo invoca. Inoltre, in tale occasione si intende valorizzare sempre più la testimonianza di coloro che hanno scelto di seguire Cristo mediante la pratica dei consigli evangelici con il promuovere la conoscenza e la stima della vita consacrata all'interno del Popolo di Dio. Infine la Giornata della Vita Consacrata intende essere, soprattutto per voi, cari fratelli e sorelle che avete abbracciato questa condizione nella Chiesa, una preziosa occasione di rinnovare i propositi e ravvivare i sentimenti che hanno ispirato e ispirano la donazione di voi stessi al Signore. Questo vogliamo fare oggi, questo è l'impegno che siete chiamati a realizzare ogni giorno della vostra vita. In occasione del cinquantesimo anniversario dell'apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, ––'ho indetto come sapete lAnno della fede, che si aprirà nel prossimo mese di ottobre. Tutti i fedeli, ma in modo particolare i membri degli Istituti di vita consacrata, hanno accolto come un dono tale iniziativa, ed auspico che vivranno l'Anno della fede come tempo favorevole per il rinnovamento interiore, di cui sempre si avverte il bisogno, con un approfondimento dei valori essenziali e delle esigenze della propria consacrazione. Nell'Anno della fede voi, che avete accolto la chiamata a seguire Cristo più da vicino mediante la professione dei consigli evangelici, siete invitati ad approfondire ancora di più il rapporto con Dio. I consigli evangelici, accettati come autentica regola di vita, rafforzano la fede, la speranza e la carità, che uniscono a Dio. Questa profonda vicinanza al Signore, che deve essere l'elemento prioritario e caratterizzante della vostra esistenza, vi porterà ad una rinnovata adesione a Lui e avrà un positivo influsso sulla vostra particolare presenza e forma di apostolato all'interno del Popolo di Dio, mediante l'apporto dei vostri

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carismi, nella fedeltà al Magistero, al fine di essere testimoni della fede e della grazia, testimoni credibili per la Chiesa e per il mondo di oggi. La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, con i mezzi che riterrà più adeguati, suggerirà indirizzi e si adopererà per favorire che questo Anno della fede costituisca per tutti voi un anno di rinnovamento e di fedeltà, affinché tutti i consacrati e le consacrate si impegnino con entusiasmo nella nuova evangelizzazione. Mentre rivolgo il mio cordiale saluto al Prefetto del Dicastero, Monsignor João Braz de Aviz – che ho voluto annoverare tra quanti creerò Cardinali nel prossimo Concistoro –, colgo volentieri questa lieta circostanza per ringraziare lui e i Collaboratori del prezioso servizio che rendono alla Santa Sede e a tutta la Chiesa. Cari fratelli e sorelle, ringrazio anche ciascuno di voi, per aver voluto partecipare a questa Liturgia, che, grazie anche a alla vostra presenza, si distingue per uno speciale clima di devozione e di raccoglimento. Auguro ogni bene per il cammino delle vostre Famiglie religiose, come pure per la vostra formazione e il vostro apostolato. La Vergine Maria, discepola, serva e madre del Signore, ottenga dal Signore Gesù che “quanti hanno ricevuto il dono di seguirlo nella vita consacrata lo sappiano testimoniare con un'esistenza trasfigurata, camminando gioiosamente con tutti gli altri fratelli e sorelle verso la patria celeste e la luce che non conosce tramonto” (Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Vita consecrata, 112). Amen.

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENDETTO XVI PER LA XXVII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÚ 2012 «Siate sempre lieti nel Signore!» (Fil 4,4)

Cari giovani, sono lieto di rivolgermi nuovamente a voi, in occasione della XXVII Giornata Mondiale della Gioventù. Il ricordo dell'incontro di Madrid, lo scorso agosto, resta ben presente nel mio cuore. E' stato uno straordinario momento di grazia, nel corso del quale il Signore ha benedetto i giovani presenti, venuti dal mondo intero. Rendo grazie a Dio per i tanti frutti che ha fatto nascere in quelle giornate e che in futuro non mancheranno di moltiplicarsi per i giovani e per le comunità a cui appartengono. Adesso siamo già orientati verso il prossimo appuntamento a Rio de Janeiro nel 2013, che avrà come tema «Andate e fate discepoli tutti i popoli!» (cfr Mt 28,19). Quest'anno, il tema della Giornata Mondiale della Gioventù ci è dato da un'esortazione della Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi: «Siate sempre lieti nel Signore!» (4,4). La gioia, in effetti, è un elemento centrale dell'esperienza cristiana. Anche durante ogni Giornata Mondiale della Gioventù facciamo esperienza di una gioia intensa, la gioia della comunione, la gioia di essere cristiani, la gioia della fede. È una delle caratteristiche di questi incontri. E vediamo la grande forza attrattiva che essa ha: in un mondo spesso segnato da tristezza e inquietudini, è una testimonianza importante della bellezza e dell'affidabilità della fede cristiana. La Chiesa ha la vocazione di portare al mondo la gioia, una gioia autentica e duratura, quella che gli angeli hanno annunciato ai pastori di Betlemme nella notte della nascita di Gesù (cfr Lc 2,10): Dio non ha solo parlato, non ha solo compiuto segni prodigiosi nella storia dell'umanità, Dio si è fatto così vicino da farsi uno di noi e percorrere le tappe

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dell'intera vita dell'uomo. Nel difficile contesto attuale, tanti giovani intorno a voi hanno un immenso bisogno di sentire che il messaggio cristiano è un messaggio di gioia e di speranza! Vorrei riflettere con voi allora su questa gioia, sulle strade per trovarla, affinché possiate viverla sempre più in profondità ed esserne messaggeri tra coloro che vi circondano. 1. II nostro cuore è fatto per la gioia L'aspirazione alla gioia è impressa nell'intimo dell'essere umano. Al di là delle soddisfazioni immediate e passeggere, il nostro cuore cerca la gioia profonda, piena e duratura, che possa dare «sapore» all'esistenza. E ciò vale soprattutto per voi, perché la giovinezza è un periodo di continua scoperta della vita, del mondo, degli altri e di se stessi. È un tempo di apertura verso il futuro, in cui si manifestano i grandi desideri di felicità, di amicizia, di condivisione e di verità, in cui si è mossi da ideali e si concepiscono progetti. E ogni giorno sono tante le gioie semplici che il Signore ci offre: la gioia di vivere, la gioia di fronte alla bellezza della natura, la gioia di un lavoro ben fatto, la gioia del servizio, la gioia dell'amore sincero e puro. E se guardiamo con attenzione, esistono tanti altri motivi di gioia: i bei momenti della vita familiare, l'amicizia condivisa, la scoperta delle proprie capacità personali e il raggiungimento di buoni risultati, l'apprezzamento da parte degli altri, la possibilità di esprimersi e di sentirsi capiti, la sensazione di essere utili al prossimo. E poi l'acquisizione di nuove conoscenze mediante gli studi, la scoperta di nuove dimensioni attraverso viaggi e incontri, la possibilità di fare progetti per il futuro. Ma anche l'esperienza di leggere un'opera letteraria, di ammirare un capolavoro dell'arte, di ascoltare e suonare musica o di vedere un film possono produrre in noi delle vere e proprie gioie. Ogni giorno, però, ci scontriamo anche con tante difficoltà e nel cuore vi sono preoccupazioni per il futuro, al punto che ci possiamo chiedere se la gioia piena e duratura alla quale aspiriamo non sia forse un'illusione e una fuga dalla realtà. Sono molti i giovani che si interrogano: è veramente possibile la gioia piena al giorno d'oggi? E questa ricerca percorre varie strade, alcune delle quali si rivelano sbagliate, o perlomeno pericolose. Ma come distinguere le gioie veramente durature dai piaceri immediati e ingannevoli? Come trovare la vera gioia nella vita, quella che dura e non ci abbandona anche nei momenti difficili?

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2. Dio è la fonte della vera gioia In realtà le gioie autentiche, quelle piccole del quotidiano o quelle grandi della vita, trovano tutte origine in Dio, anche se non appare a prima vista, perché Dio è comunione di amore eterno, è gioia infinita che non rimane chiusa in se stessa, ma si espande in quelli che Egli ama e che lo amano. Dio ci ha creati a sua immagine per amore e per riversare su noi questo suo amore, per colmarci della sua presenza e della sua grazia. Dio vuole renderci partecipi della sua gioia, divina ed eterna, facendoci scoprire che il valore e il senso profondo della nostra vita sta nell'essere accettato, accolto e amato da Lui, e non con un'accoglienza fragile come può essere quella umana, ma con un'accoglienza incondizionata come è quella divina: io sono voluto, ho un posto nel mondo e nella storia, sono amato personalmente da Dio. E se Dio mi accetta, mi ama e io ne divento sicuro, so in modo chiaro e certo che è bene che io ci sia, che esista. Questo amore infinito di Dio per ciascuno di noi si manifesta in modo pieno in Gesù Cristo. In Lui si trova la gioia che cerchiamo. Nel Vangelo vediamo come gli eventi che segnano gli inizi della vita di Gesù siano caratterizzati dalla gioia. Quando l'arcangelo Gabriele annuncia alla Vergine Maria che sarà madre del Salvatore, inizia con questa parola: «Rallegrati!» (Lc 1,28). Alla nascita di Gesù, l'Angelo del Signore dice ai pastori: «Ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11). E i Magi che cercavano il bambino, «al vedere la stella, provarono una gioia grandissima» (Mt 2,10). Il motivo di questa gioia è dunque la vicinanza di Dio, che si è fatto uno di noi. Ed è questo che intendeva san Paolo quando scriveva ai cristiani di Filippi: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). La prima causa della nostra gioia è la vicinanza del Signore, che mi accoglie e mi ama. E infatti dall'incontro con Gesù nasce sempre una grande gioia interiore. Nei Vangeli lo possiamo vedere in molti episodi. Ricordiamo la visita di Gesù a Zaccheo, un esattore delle tasse disonesto, un peccatore pubblico, al quale Gesù dice: «Oggi devo fermarmi a casa tua». E Zaccheo, riferisce san Luca, «lo accolse pieno di gioia» (Lc 19,5-6). E' la gioia dell'incontro con il Signore; è il sentire l'amore di Dio che può trasformare l'intera esistenza e portare salvezza. E Zaccheo decide di cambiare vita e di dare la metà dei suoi beni ai poveri.

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Nell'ora della passione di Gesù, questo amore si manifesta in tutta la sua forza. Negli ultimi momenti della sua vita terrena, a cena con i suoi amici, Egli dice: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore... Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,9.11). Gesù vuole introdurre i suoi discepoli e ciascuno di noi nella gioia piena, quella che Egli condivide con il Padre, perché l'amore con cui il Padre lo ama sia in noi (cfr. Gv 17,26). La gioia cristiana è aprirsi a questo amore di Dio e appartenere a Lui. Narrano i Vangeli che Maria di Magdala e altre donne andarono a visitare la tomba dove Gesù era stato posto dopo la sua morte e ricevettero da un Angelo un annuncio sconvolgente, quello della sua risurrezione. Allora abbandonarono in fretta il sepolcro, annota l'Evangelista, «con timore e gioia grande» e corsero a dare la lieta notizia ai discepoli. E Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!» (Mt 28,8-9). E' la gioia della salvezza che viene loro offerta: Cristo è il vivente, è Colui che ha vinto il male, il peccato e la morte. Egli è presente in mezzo a noi come il Risorto, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20). Il male non ha l'ultima parola sulla nostra vita, ma la fede in Cristo Salvatore ci dice che l'amore di Dio vince. Questa gioia profonda è frutto dello Spirito Santo che ci rende figli di Dio, capaci di vivere e di gustare la sua bontà, di rivolgerci a Lui con il termine «Abbà», Padre (cfr Rm 8,15). La gioia è segno della sua presenza e della sua azione in noi. 3. Conservare nel cuore la gioia cristiana A questo punto ci domandiamo: come ricevere e conservare questo dono della gioia profonda, della gioia spirituale? Un Salmo ci dice: «Cerca la gioia nel Signore: esaudirà i desideri del tuo cuore» (Sal 37,4). E Gesù spiega che «il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo» (Mt 13,44). Trovare e conservare la gioia spirituale nasce dall'incontro con il Signore, che chiede di seguirlo, di fare la scelta decisa di puntare tutto su di Lui. Cari giovani, non abbiate paura di mettere in gioco la vostra vita facendo spazio a Gesù Cristo e al suo Vangelo; è la strada per avere la pace e la vera felicità nell'intimo di noi stessi, è la strada per la vera realizzazione della nostra esistenza di figli di Dio, creati a sua immagine e somiglianza.

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Cercare la gioia nel Signore: la gioia è frutto della fede, è riconoscere ogni giorno la sua presenza, la sua amicizia: «Il Signore è vicino!» (Fil 4,5); è riporre la nostra fiducia in Lui, è crescere nella conoscenza e nell'amore di Lui. L'«Anno della fede», che tra pochi mesi inizieremo, ci sarà di aiuto e di stimolo. Cari amici, imparate a vedere come Dio agisce nelle vostre vite, scopritelo nascosto nel cuore degli avvenimenti del vostro quotidiano. Credete che Egli è sempre fedele all'alleanza che ha stretto con voi nel giorno del vostro Battesimo. Sappiate che non vi abbandonerà mai. Rivolgete spesso il vostro sguardo verso di Lui. Sulla croce, ha donato la sua vita perché vi ama. La contemplazione di un amore così grande porta nei nostri cuori una speranza e una gioia che nulla può abbattere. Un cristiano non può essere mai triste perché ha incontrato Cristo, che ha dato la vita per lui. Cercare il Signore, incontrarlo nella vita significa anche accogliere la sua Parola, che è gioia per il cuore. Il profeta Geremia scrive: «Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore» (Ger 15,16). Imparate a leggere e meditare la Sacra Scrittura, vi troverete una risposta alle domande più profonde di verità che albergano nel vostro cuore e nella vostra mente. La Parola di Dio fa scoprire le meraviglie che Dio ha operato nella storia dell'uomo e, pieni di gioia, apre alla lode e all'adorazione: «Venite, cantiamo al Signore... adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti» (Sal 95,1.6). In modo particolare, poi, la Liturgia è il luogo per eccellenza in cui si esprime la gioia che la Chiesa attinge dal Signore e trasmette al mondo. Ogni domenica, nell'Eucaristia, le comunità cristiane celebrano il Mistero centrale della salvezza: la morte e risurrezione di Cristo. E' questo un momento fondamentale per il cammino di ogni discepolo del Signore, in cui si rende presente il suo Sacrificio di amore; è il giorno in cui incontriamo il Cristo Risorto, ascoltiamo la sua Parola, ci nutriamo del suo Corpo e del suo Sangue. Un Salmo afferma: «Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci in esso ed esultiamo!» (Sal 118,24). E nella notte di Pasqua, la Chiesa canta l'Exultet, espressione di gioia per la vittoria di Gesù Cristo sul peccato e sulla morte: «Esulti il coro degli angeli... Gioisca la terra inondata da così grande splendore... e questo tempio tutto risuoni per le acclamazioni del popolo in festa!». La gioia cristiana nasce dal sapere di essere amati da un Dio che si è fatto uomo, ha dato la sua vita per noi e ha sconfitto il male e la morte; ed è vivere di amo-

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re per lui. Santa Teresa di Gesù Bambino, giovane carmelitana, scriveva: «Gesù, è amarti la mia gioia!» (P 45, 21 gennaio 1897, Op. Compl., pag. 708). 4. La gioia dell'amore Cari amici, la gioia è intimamente legata all'amore: sono due frutti inseparabili dello Spirito Santo (cfr Gal 5,23). L'amore produce gioia, e la gioia è una forma d'amore. La beata Madre Teresa di Calcutta, facendo eco alle parole di Gesù: «si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35), diceva: «La gioia è una rete d'amore per catturare le anime. Dio ama chi dona con gioia. E chi dona con gioia dona di più». E il Servo di Dio Paolo VI scriveva: «In Dio stesso tutto è gioia poiché tutto è dono» (Esort. ap. Gaudete in Domino, 9 maggio 1975) Pensando ai vari ambiti della vostra vita, vorrei dirvi che amare significa costanza, fedeltà, tener fede agli impegni. E questo, in primo luogo, nelle amicizie: i nostri amici si aspettano che siamo sinceri, leali, fedeli, perché il vero amore è perseverante anche e soprattutto nelle difficoltà. E lo stesso vale per il lavoro, gli studi e i servizi che svolgete. La fedeltà e la perseveranza nel bene conducono alla gioia, anche se non sempre questa è immediata. Per entrare nella gioia dell'amore, siamo chiamati anche ad essere generosi, a non accontentarci di dare il minimo, ma ad impegnarci a fondo nella vita, con un'attenzione particolare per i più bisognosi. Il mondo ha necessità di uomini e donne competenti e generosi, che si mettano al servizio del bene comune. Impegnatevi a studiare con serietà; coltivate i vostri talenti e metteteli fin d'ora al servizio del prossimo. Cercate il modo di contribuire a rendere la società più giusta e umana, là dove vi trovate. Che tutta la vostra vita sia guidata dallo spirito di servizio, e non dalla ricerca del potere, del successo materiale e del denaro. A proposito di generosità, non posso non menzionare una gioia speciale: quella che si prova rispondendo alla vocazione di donare tutta la propria vita al Signore. Cari giovani, non abbiate paura della chiamata di Cristo alla vita religiosa, monastica, missionaria o al sacerdozio. Siate certi che Egli colma di gioia coloro che, dedicandogli la vita in questa prospettiva, rispondono al suo invito a lasciare tutto per rimanere con Lui e dedicarsi con cuore indiviso al servizio degli altri. Allo stesso modo, grande è la gioia che Egli riserva all'uomo e alla donna che si donano totalmente

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l'uno all'altro nel matrimonio per costituire una famiglia e diventare segno dell'amore di Cristo per la sua Chiesa. Vorrei richiamare un terzo elemento per entrare nella gioia dell'amore: far crescere nella vostra vita e nella vita delle vostre comunità la comunione fraterna. C'è uno stretto legame tra la comunione e la gioia. Non è un caso che san Paolo scriva la sua esortazione al plurale: non si rivolge a ciascuno singolarmente, ma afferma: «Siate sempre lieti nel Signore» (Fil 4,4). Soltanto insieme, vivendo la comunione fraterna, possiamo sperimentare questa gioia. Il libro degli Atti degli Apostoli descrive così la prima comunità cristiana: «spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore» (At 2,46). Impegnatevi anche voi affinché le comunità cristiane possano essere luoghi privilegiati di condivisione, di attenzione e di cura l'uno dell'altro. 5. La gioia della conversione Cari amici, per vivere la vera gioia occorre anche identificare le tentazioni che la allontanano. La cultura attuale induce spesso a cercare traguardi, realizzazioni e piaceri immediati, favorendo più l'incostanza che la perseveranza nella fatica e la fedeltà agli impegni. I messaggi che ricevete spingono ad entrare nella logica del consumo, prospettando felicità artificiali. L'esperienza insegna che l'avere non coincide con la gioia: vi sono tante persone che, pur avendo beni materiali in abbondanza, sono spesso afflitte dalla disperazione, dalla tristezza e sentono un vuoto nella vita. Per rimanere nella gioia, siamo chiamati a vivere nell'amore e nella verità, a vivere in Dio. E la volontà di Dio è che noi siamo felici. Per questo ci ha dato delle indicazioni concrete per il nostro cammino: i Comandamenti. Osservandoli, noi troviamo la strada della vita e della felicità. Anche se a prima vista possono sembrare un insieme di divieti, quasi un ostacolo alla libertà, se li meditiamo più attentamente, alla luce del Messaggio di Cristo, essi sono un insieme di essenziali e preziose regole di vita che conducono a un'esistenza felice, realizzata secondo il progetto di Dio. Quante volte, invece, costatiamo che costruire ignorando Dio e la sua volontà porta delusione, tristezza, senso di sconfitta. L'esperienza del peccato come rifiuto di seguirlo, come offesa alla sua amicizia, porta ombra nel nostro cuore. Ma se a volte il cammino cristiano non è facile e l'impegno di fedeltà all'amore del Signore incontra ostacoli o registra cadute, Dio, nella sua

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misericordia, non ci abbandona, ma ci offre sempre la possibilità di ritornare a Lui, di riconciliarci con Lui, di sperimentare la gioia del suo amore che perdona e riaccoglie. Cari giovani, ricorrete spesso al Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione! Esso è il Sacramento della gioia ritrovata. Domandate allo Spirito Santo la luce per saper riconoscere il vostro peccato e la capacità di chiedere perdono a Dio accostandovi a questo Sacramento con costanza, serenità e fiducia. Il Signore vi aprirà sempre le sue braccia, vi purificherà e vi farà entrare nella sua gioia: vi sarà gioia nel cielo anche per un solo peccatore che si converte (cfr Lc 15,7). 6. La gioia nelle prove Alla fine, però, potrebbe rimanere nel nostro cuore la domanda se veramente è possibile vivere nella gioia anche in mezzo alle tante prove della vita, specialmente le più dolorose e misteriose, se veramente seguire il Signore, fidarci di Lui dona sempre felicità. La risposta ci può venire da alcune esperienze di giovani come voi che hanno trovato proprio in Cristo la luce capace di dare forza e speranza, anche in mezzo alle situazioni più difficili. Il beato Pier Giorgio Frassati (1901-1925) ha sperimentato tante prove nella sua pur breve esistenza, tra cui una, riguardante la sua vita sentimentale, che lo aveva ferito in modo profondo. Proprio in questa situazione, scriveva alla sorella: «Tu mi domandi se sono allegro; e come non potrei esserlo? Finché la Fede mi darà forza sempre allegro! Ogni cattolico non può non essere allegro... Lo scopo per cui noi siamo stati creati ci addita la via seminata sia pure di molte spine, ma non una triste via: essa è allegria anche attraverso i dolori» (Lettera alla sorella Luciana, Torino, 14 febbraio 1925). E il beato Giovanni Paolo II, presentandolo come modello, diceva di lui: «era un giovane di una gioia trascinante, una gioia che superava tante difficoltà della sua vita» (Discorso ai giovani, Torino, 13 aprile 1980). Più vicina a noi, la giovane Chiara Badano (1971-1990), recentemente beatificata, ha sperimentato come il dolore possa essere trasfigurato dall'amore ed essere misteriosamente abitato dalla gioia. All'età di 18 anni, in un momento in cui il cancro la faceva particolarmente soffrire, Chiara aveva pregato lo Spirito Santo, intercedendo per i giovani del suo Movimento. Oltre alla propria guarigione, aveva chiesto a Dio di illuminare con il suo Spirito tutti quei giovani, di dar loro la sapienza e la luce:

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«È stato proprio un momento di Dio: soffrivo molto fisicamente, ma l'anima cantava» (Lettera a Chiara Lubich, Sassello, 20 dicembre 1989). La chiave della sua pace e della sua gioia era la completa fiducia nel Signore e l'accettazione anche della malattia come misteriosa espressione della sua volontà per il bene suo e di tutti. Ripeteva spesso: «Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch'io». Sono due semplici testimonianze tra molte altre che mostrano come il cristiano autentico non è mai disperato e triste, anche davanti alle prove più dure, e mostrano che la gioia cristiana non è una fuga dalla realtà, ma una forza soprannaturale per affrontare e vivere le difficoltà quotidiane. Sappiamo che Cristo crocifisso e risorto è con noi, è l'amico sempre fedele. Quando partecipiamo alle sue sofferenze, partecipiamo anche alla sua gloria. Con Lui e in Lui, la sofferenza è trasformata in amore. E là si trova la gioia (cfr Col 1,24). 7. Testimoni della gioia Cari amici, per concludere vorrei esortarvi ad essere missionari della gioia. Non si può essere felici se gli altri non lo sono: la gioia quindi deve essere condivisa. Andate a raccontare agli altri giovani la vostra gioia di aver trovato quel tesoro prezioso che è Gesù stesso. Non possiamo tenere per noi la gioia della fede: perché essa possa restare in noi, dobbiamo trasmetterla. San Giovanni afferma: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi... Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena» (1Gv 1,3-4). A volte viene dipinta un'immagine del Cristianesimo come di una proposta di vita che opprime la nostra libertà, che va contro il nostro desiderio di felicità e di gioia. Ma questo non risponde a verità! I cristiani sono uomini e donne veramente felici perché sanno di non essere mai soli, ma di essere sorretti sempre dalle mani di Dio! Spetta soprattutto a voi, giovani discepoli di Cristo, mostrare al mondo che la fede porta una felicità e una gioia vera, piena e duratura. E se il modo di vivere dei cristiani sembra a volte stanco ed annoiato, testimoniate voi per primi il volto gioioso e felice della fede. Il Vangelo è la «buona novella» che Dio ci ama e che ognuno di noi è importante per Lui. Mostrate al mondo che è proprio così! Siate dunque missionari entusiasti della nuova evangelizzazione! Portate a coloro che soffrono, a coloro che sono in ricerca, la gioia che

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Gesù vuole donare. Portatela nelle vostre famiglie, nelle vostre scuole e università, nei vostri luoghi di lavoro e nei vostri gruppi di amici, là dove vivete. Vedrete che essa è contagiosa. E riceverete il centuplo: la gioia della salvezza per voi stessi, la gioia di vedere la Misericordia di Dio all'opera nei cuori. Il giorno del vostro incontro definitivo con il Signore, Egli potrà dirvi: «Servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone!» (Mt 25,21). La Vergine Maria vi accompagni in questo cammino. Ella ha accolto il Signore dentro di sé e l'ha annunciato con un canto di lode e di gioia, il Magnificat: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc 1,46-47). Maria ha risposto pienamente all'amore di Dio dedicando la sua vita a Lui in un servizio umile e totale. E' chiamata «causa della nostra letizia» perché ci ha dato Gesù. Che Ella vi introduca in quella gioia che nessuno potrà togliervi! Dal Vaticano, 15 marzo 2012

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SANTA MESSA DEL CRISMA OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Giovedì Santo, 5 Aprile 2012

Cari fratelli e sorelle! In questa Santa Messa i nostri pensieri ritornano all'ora in cui il Vescovo, mediante l'imposizione delle mani e la preghiera, ci ha introdotti nel sacerdozio di Gesù Cristo, così che fossimo “consacrati nella verità” (Gv 17,19), come Gesù, nella sua Preghiera sacerdotale, ha chiesto per noi al Padre. Egli stesso è la Verità. Ci ha consacrati, cioè consegnati per sempre a Dio, affinché, a partire da Dio e in vista di Lui, potessimo servire gli uomini. Ma siamo anche consacrati nella realtà della nostra vita? Siamo uomini che operano a partire da Dio e in comunione con Gesù Cristo? Con questa domanda il Signore sta davanti a noi, e noi stiamo davanti a Lui. “Volete unirvi più intimamente al Signore Gesù Cristo e conformarvi a Lui, rinunziare a voi stessi e rinnovare le promesse, confermando i sacri impegni che nel giorno dell'Ordinazione avete assunto con gioia?” Così, dopo questa omelia, interrogherò singolarmente ciascuno di voi e anche me stesso. Con ciò si esprimono soprattutto due cose: è richiesto un legame interiore, anzi, una conformazione a Cristo, e in questo necessariamente un superamento di noi stessi, una rinuncia a quello che è solamente nostro, alla tanto sbandierata autorealizzazione. È richiesto che noi, che io non rivendichi la mia vita per me stesso, ma la metta a disposizione di un altro – di Cristo. Che non domandi: che cosa ne ricavo per me?, bensì: che cosa posso dare io per Lui e così per gli altri? O ancora più concretamente: come deve realizzarsi questa conformazione a Cristo, il quale non domina, ma serve; non prende, ma dà – come deve realizzarsi nella situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi? Di recente, un gruppo di sacerdoti in un Paese europeo ha pubblicato un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche esempi concreti di come possa esprimersi questa disobbedienza, che dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del Magistero – ad esempio nella questione circa l'Ordinazione delle donne, in merito alla quale il beato Papa

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Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera irrevocabile che la Chiesa, al riguardo, non ha avuto alcuna autorizzazione da parte del Signore. La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa? Vogliamo credere agli autori di tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove – per riportare la Chiesa all'altezza dell'oggi. Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee? Ma non semplifichiamo troppo il problema. Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l'obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida. A Lui stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l'arbitrio dell'uomo. E non dimentichiamo: Egli era il Figlio, con l'autorità e la responsabilità singolari di svelare l'autentica volontà di Dio, per aprire così la strada della parola di Dio verso il mondo dei gentili. E infine: Egli ha concretizzato il suo mandato con la propria obbedienza e umiltà fino alla Croce, rendendo così credibile la sua missione. Non la mia, ma la tua volontà: questa è la parola che rivela il Figlio, la sua umiltà e insieme la sua divinità, e ci indica la strada. Lasciamoci interrogare ancora una volta: non è che con tali considerazioni viene, di fatto, difeso l'immobilismo, l'irrigidimento della tradizione? No. Chi guarda alla storia dell'epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l'inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l'azione efficace dello Spirito Santo. E se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono l'essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell'obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell'amore. Cari amici, resta chiaro che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento. Ma forse la figura di Cristo ci appare a volte troppo elevata e troppo grande, per poter osare di prendere le misure da Lui. Il Signore lo sa. Per questo ha provveduto a “traduzioni” in ordini di grandezza più accessibili e più vicini a noi. Proprio per questa ragione,

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Paolo senza timidezza ha detto alle sue comunità: imitate me, ma io appartengo a Cristo. Egli era per i suoi fedeli una “traduzione” dello stile di vita di Cristo, che essi potevano vedere e alla quale potevano aderire. A partire da Paolo, lungo tutta la storia ci sono state continuamente tali “traduzioni” della via di Gesù in vive figure storiche. Noi sacerdoti possiamo pensare ad una grande schiera di sacerdoti santi, che ci precedono per indicarci la strada: a cominciare da Policarpo di Smirne ed Ignazio d'Antiochia attraverso i grandi Pastori quali Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno, fino a Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Giovanni Maria Vianney, fino ai preti martiri del Novecento e, infine, fino a Papa Giovanni Paolo II che, nell'azione e nella sofferenza ci è stato di esempio nella conformazione a Cristo, come “dono e mistero”. I Santi ci indicano come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire che Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell'umile segno del granello di senape. Cari amici, vorrei brevemente toccare ancora due parole-chiave della rinnovazione delle promesse sacerdotali, che dovrebbero indurci a riflettere in quest'ora della Chiesa e della nostra vita personale. C'è innanzitutto il ricordo del fatto che siamo – come si esprime Paolo – “amministratori dei misteri di Dio” (1Cor 4,1) e che ci spetta il ministero dell'insegnamento, il (munus docendi), che è una parte di tale amministrazione dei misteri di Dio, in cui Egli ci mostra il suo volto e il suo cuore, per donarci se stesso. Nell'incontro dei Cardinali in occasione del recente Concistoro, diversi Pastori, in base alla loro esperienza, hanno parlato di un analfabetismo religioso che si diffonde in mezzo alla nostra società così intelligente. Gli elementi fondamentali della fede, che in passato ogni bambino conosceva, sono sempre meno noti. Ma per poter vivere ed amare la nostra fede, per poter amare Dio e quindi diventare capaci di ascoltarLo in modo giusto, dobbiamo sapere che cosa Dio ci ha detto; la nostra ragione ed il nostro cuore devono essere toccati dalla sua parola. L'Anno della Fede, il ricordo dell'apertura del Concilio Vaticano II 50 anni fa, deve essere per noi un'occasione di annunciare il messaggio della fede con nuovo zelo e con nuova gioia. Lo troviamo naturalmente in modo fondamentale e primario nella Sacra Scrittura, che non leggeremo e mediteremo mai abbastanza. Ma in questo facciamo tutti l'esperienza di aver bisogno di aiuto per trasmetterla rettamente nel presente, affinché tocchi

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veramente il nostro cuore. Questo aiuto lo troviamo in primo luogo nella parola della Chiesa docente: i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono gli strumenti essenziali che ci indicano in modo autentico ciò che la Chiesa crede a partire dalla Parola di Dio. E naturalmente ne fa parte anche tutto il tesoro dei documenti che Papa Giovanni Paolo II ci ha donato e che è ancora lontano dall'essere sfruttato fino in fondo. Ogni nostro annuncio deve misurarsi sulla parola di Gesù Cristo: “La mia dottrina non è mia” (Gv 7,16). Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo servitori. Ma questo naturalmente non deve significare che io non sostenga questa dottrina con tutto me stesso e non stia saldamente ancorato ad essa. In questo contesto mi viene sempre in mente la parola di sant'Agostino: E che cosa è tanto mio quanto me stesso? Che cosa è così poco mio quanto me stesso? Non appartengo a me stesso e divento me stesso proprio per il fatto che vado al di là di me stesso e mediante il superamento di me stesso riesco ad inserirmi in Cristo e nel suo Corpo che è la Chiesa. Se non annunciamo noi stessi e se interiormente siamo diventati tutt'uno con Colui che ci ha chiamati come suoi messaggeri così che siamo plasmati dalla fede e la viviamo, allora la nostra predicazione sarà credibile. Non reclamizzo me stesso, ma dono me stesso. Il Curato d'Ars non era un dotto, un intellettuale, lo sappiamo. Ma con il suo annuncio ha toccato i cuori della gente, perché egli stesso era stato toccato nel cuore. L'ultima parola-chiave a cui vorrei ancora accennare si chiama zelo per le anime (animarum zelus). È un'espressione fuori moda che oggi quasi non viene più usata. In alcuni ambienti, la parola anima è considerata addirittura una parola proibita, perché – si dice – esprimerebbe un dualismo tra corpo e anima, dividendo a torto l'uomo. Certamente l'uomo è un'unità, destinata con corpo e anima all'eternità. Ma questo non può significare che non abbiamo più un'anima, un principio costitutivo che garantisce l'unità dell'uomo nella sua vita e al di là della sua morte terrena. E come sacerdoti naturalmente ci preoccupiamo dell'uomo intero, proprio anche delle sue necessità fisiche – degli affamati, dei malati, dei senzatetto. Tuttavia noi non ci preoccupiamo soltanto del corpo, ma proprio anche delle necessità dell'anima dell'uomo: delle persone che soffrono per la violazione del diritto o per un amore distrutto; delle persone che si trovano nel buio circa la verità; che soffrono per l'assenza di verità e di amo-

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re. Ci preoccupiamo della salvezza degli uomini in corpo e anima. E in quanto sacerdoti di Gesù Cristo, lo facciamo con zelo. Le persone non devono mai avere la sensazione che noi compiamo coscienziosamente il nostro orario di lavoro, ma prima e dopo apparteniamo solo a noi stessi. Un sacerdote non appartiene mai a se stesso. Le persone devono percepire il nostro zelo, mediante il quale diamo una testimonianza credibile per il Vangelo di Gesù Cristo. Preghiamo il Signore di colmarci con la gioia del suo messaggio, affinché con zelo gioioso possiamo servire la sua verità e il suo amore.Amen.

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VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Sabato Santo, 7 Aprile 2012

Cari fratelli e sorelle! Pasqua è la festa della nuova creazione. Gesù è risorto e non muore più. Ha sfondato la porta verso una nuova vita che non conosce più né malattia né morte. Ha assunto l'uomo in Dio stesso. “Carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio”, aveva detto Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi (15,50). Lo scrittore ecclesiastico Tertulliano, nel secolo III, in riferimento alla risurrezione di Cristo e alla nostra risurrezione aveva l'audacia di scrivere: “Abbiate fiducia, carne e sangue, grazie a Cristo avete acquistato un posto nel Cielo e nel regno di Dio” (CCL II 994). Si è aperta una nuova dimensione per l'uomo. La creazione è diventata più grande e più vasta. La Pasqua è il giorno di una nuova creazione, ma proprio per questo la Chiesa comincia in tale giorno la liturgia con l'antica creazione, affinché impariamo a capire bene quella nuova. Perciò all'inizio della Liturgia della Parola nella Veglia pasquale c'è il racconto della creazione del mondo. In relazione a questo, due cose sono particolarmente importanti nel contesto della liturgia di questo giorno. In primo luogo, la creazione viene presentata come una totalità della quale fa parte il fenomeno del tempo. I sette giorni sono un'immagine di una totalità che si sviluppa nel tempo. Sono ordinati in vista del settimo giorno, il giorno della libertà di tutte le creature per Dio e delle une per le altre. La creazione è quindi orientata verso la comunione tra Dio e creatura; essa esiste affinché ci sia uno spazio di risposta alla grande gloria di Dio, un incontro di amore e di libertà. In secondo luogo, del racconto della creazione la Chiesa, nella Veglia pasquale, ascolta soprattutto la prima frase: “Dio disse: «Sia la luce!» (Gen 1,3). Il racconto della creazione, in modo simbolico, inizia con la creazione della luce. Il sole e la luna vengono creati solo nel quarto giorno. Il racconto della creazione li chiama fonti di luce, che Dio ha posto nel firmamento del cielo. Con ciò toglie consapevolmente ad esse il carattere divino che le grandi religioni avevano loro attribuito.

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No, non sono affatto dei. Sono corpi luminosi, creati dall'unico Dio. Sono però preceduti dalla luce, mediante la quale la gloria di Dio si riflette nella natura dell'essere che è creato. Che cosa intende dire con ciò il racconto della creazione? La luce rende possibile la vita. Rende possibile l'incontro. Rende possibile la comunicazione. Rende possibile la conoscenza, l'accesso alla realtà, alla verità. E rendendo possibile la conoscenza, rende possibile la libertà e il progresso. Il male si nasconde. La luce pertanto è anche espressione del bene che è luminosità e crea luminosità. È giorno in cui possiamo operare. Il fatto che Dio abbia creato la luce significa che Dio ha creato il mondo come spazio di conoscenza e di verità, spazio di incontro e di libertà, spazio del bene e dell'amore. La materia prima del mondo è buona, l'essere stesso è buono. E il male non proviene dall'essere che è creato da Dio, ma esiste solo in virtù della negazione. È il “no”. A Pasqua, al mattino del primo giorno della settimana, Dio ha detto nuovamente: “Sia la luce!”. Prima erano venute la notte del Monte degli Ulivi, l'eclissi solare della passione e morte di Gesù, la notte del sepolcro. Ma ora è di nuovo il primo giorno – la creazione ricomincia tutta nuova. “Sia la luce!”, dice Dio, “e la luce fu”. Gesù risorge dal sepolcro. La vita è più forte della morte. Il bene è più forte del male. L'amore è più forte dell'odio. La verità è più forte della menzogna. Il buio dei giorni passati è dissipato nel momento in cui Gesù risorge dal sepolcro e diventa, Egli stesso, pura luce di Dio. Questo, però, non si riferisce soltanto a Lui e non si riferisce solo al buio di quei giorni. Con la risurrezione di Gesù, la luce stessa è creata nuovamente. Egli ci attira tutti dietro di sé nella nuova vita della risurrezione e vince ogni forma di buio. Egli è il nuovo giorno di Dio, che vale per tutti noi. Ma come può avvenire questo? Come può tutto questo giungere fino a noi così che non rimanga solo parola, ma diventi una realtà in cui siamo coinvolti? Mediante il Sacramento del battesimo e la professione della fede, il Signore ha costruito un ponte verso di noi, attraverso il quale il nuovo giorno viene a noi. Nel Battesimo, il Signore dice a colui che lo riceve: Fiat lux – sia la luce. Il nuovo giorno, il giorno della vita indistruttibile viene anche a noi. Cristo ti prende per mano. D'ora in poi sarai sostenuto da Lui e entrerai così nella luce, nella vita vera. Per questo, la Chiesa antica ha chiamato il Battesimo “photismos” – illuminazione. Perché? Il buio veramente minaccioso per l'uomo è il fatto che egli, in ve-

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rità, è capace di vedere ed indagare le cose tangibili, materiali, ma non vede dove vada il mondo e da dove venga. Dove vada la stessa nostra vita. Che cosa sia il bene e che cosa sia il male. Il buio su Dio e il buio sui valori sono la vera minaccia per la nostra esistenza e per il mondo in generale. Se Dio e i valori, la differenza tra il bene e il male restano nel buio, allora tutte le altre illuminazioni, che ci danno un potere così incredibile, non sono solo progressi, ma al contempo sono anche minacce che mettono in pericolo noi e il mondo. Oggi possiamo illuminare le nostre città in modo così abbagliante che le stelle del cielo non sono più visibili. Non è questa forse un'immagine della problematica del nostro essere illuminati? Nelle cose materiali sappiamo e possiamo incredibilmente tanto, ma ciò che va al di là di questo, Dio e il bene, non lo riusciamo più ad individuare. Per questo è la fede, che ci mostra la luce di Dio, la vera illuminazione, essa è un'irruzione della luce di Dio nel nostro mondo, un'apertura dei nostri occhi per la vera luce. Cari amici, vorrei aggiungere, infine, ancora un pensiero sulla luce e sull'illuminazione. Nella Veglia pasquale, la notte della nuova creazione, la Chiesa presenta il mistero della luce con un simbolo del tutto particolare e molto umile: con il cero pasquale. Questa è una luce che vive in virtù del sacrificio. La candela illumina consumando se stessa. Dà luce dando se stessa. Così rappresenta in modo meraviglioso il mistero pasquale di Cristo che dona se stesso e così dona la grande luce. Come seconda cosa possiamo riflettere sul fatto che la luce della candela è fuoco. Il fuoco è forza che plasma il mondo, potere che trasforma. E il fuoco dona calore. Anche qui si rende nuovamente visibile il mistero di Cristo. Cristo, la luce, è fuoco, è fiamma che brucia il male trasformando così il mondo e noi stessi. “Chi è vicino a me è vicino al fuoco”, suona una parola di Gesù trasmessa a noi da Origene. E questo fuoco è al tempo stesso calore, non una luce fredda, ma una luce in cui ci vengono incontro il calore e la bontà di Dio. Il grande inno dell'Exsultet, che il diacono canta all'inizio della liturgia pasquale, ci fa notare in modo molto sommesso un altro aspetto ancora. Richiama alla memoria che questo prodotto, il cero, è dovuto in primo luogo al lavoro delle api. Così entra in gioco l'intera creazione. Nel cero, la creazione diventa portatrice di luce. Ma, secondo il pensiero dei Padri, c'è anche un implicito accenno alla Chiesa. La cooperazione della comunità viva dei fedeli nella Chiesa è quasi come l'operare delle api.

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Costruisce la comunità della luce. Possiamo così vedere nel cero anche un richiamo a noi stessi e alla nostra comunione nella comunità della Chiesa, che esiste affinché la luce di Cristo possa illuminare il mondo. Preghiamo il Signore in quest'ora di farci sperimentare la gioia della sua luce, e preghiamoLo, affinché noi stessi diventiamo portatori della sua luce, affinché attraverso la Chiesa lo splendore del volto di Cristo entri nel mondo (cfr LG 1).Amen.

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SANTA MESSA PER L’APERTURA DELL’ANNO DELLA FEDE OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI 11 Ottobre 2012

Venerati Fratelli, cari fratelli e sorelle! Con grande gioia oggi, a 50 anni dall'apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, diamo inizio all'Anno della fede. Sono lieto di rivolgere il mio saluto a tutti voi, in particolare a Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli, e a Sua Grazia Rowan Williams, Arcivescovo di Canterbury. Un pensiero speciale ai Patriarchi e agli Arcivescovi Maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche, e ai Presidenti delle Conferenze Episcopali. Per fare memoria del Concilio, che alcuni di noi qui presenti – che saluto con particolare affetto - hanno avuto la grazia di vivere in prima persona, questa celebrazione è stata arricchita di alcuni segni specifici: la processione iniziale, che ha voluto richiamare quella memorabile dei Padri conciliari quando entrarono solennemente in questa Basilica; l'intronizzazione dell'Evangeliario, copia di quello utilizzato durante il Concilio; la consegna dei sette Messaggi finali del Concilio e quella del Catechismo della Chiesa Cattolica, che farò al termine, prima della Benedizione. Questi segni non ci fanno solo ricordare, ma ci offrono anche la prospettiva per andare oltre la commemorazione. Ci invitano ad entrare più profondamente nel movimento spirituale che ha caratterizzato il Vaticano II, per farlo nostro e portarlo avanti nel suo vero senso. E questo senso è stato ed è tuttora la fede in Cristo, la fede apostolica, animata dalla spinta interiore a comunicare Cristo ad ogni uomo e a tutti gli uomini nel pellegrinare della Chiesa sulle vie della storia. L'Anno della fede che oggi inauguriamo è legato coerentemente a tutto il cammino della Chiesa negli ultimi 50 anni: dal Concilio, attraverso il Magistero del Servo di Dio Paolo VI, il quale indisse un «Anno della fede» nel 1967, fino al Grande Giubileo del 2000, con il quale il Beato Giovanni Paolo II ha riproposto all'intera umanità Gesù Cristo quale unico Salvatore, ieri, oggi e sempre. Tra questi due Pontefici, Paolo VI e Giovanni

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Paolo II, c'è stata una profonda e piena convergenza proprio su Cristo quale centro del cosmo e della storia, e sull'ansia apostolica di annunciarlo al mondo. Gesù è il centro della fede cristiana. Il cristiano crede in Dio mediante Gesù Cristo, che ne ha rivelato il volto. Egli è il compimento delle Scritture e il loro interprete definitivo. Gesù Cristo non è soltanto oggetto della fede, ma, come dice la Lettera agli Ebrei, è «colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (12,2). Il Vangelo di oggi ci dice che Gesù Cristo, consacrato dal Padre nello Spirito Santo, è il vero e perenne soggetto dell'evangelizzazione. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). Questa missione di Cristo, questo suo movimento continua nello spazio e nel tempo, attraversa i secoli e i continenti. E' un movimento che parte dal Padre e, con la forza dello Spirito, va a portare il lieto annuncio ai poveri di ogni tempo – poveri in senso materiale e spirituale. La Chiesa è lo strumento primo e necessario di questa opera di Cristo, perché è a Lui unita come il corpo al capo. «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Così disse il Risorto ai discepoli, e soffiando su di loro aggiunse: «Ricevete lo Spirito Santo» (v. 22). E' Dio il principale soggetto dell'evangelizzazione del mondo, mediante Gesù Cristo; ma Cristo stesso ha voluto trasmettere alla Chiesa la propria missione, e lo ha fatto e continua a farlo sino alla fine dei tempi infondendo lo Spirito Santo nei discepoli, quello stesso Spirito che si posò su di Lui e rimase in Lui per tutta la vita terrena, dandogli la forza di «proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista», di «rimettere in libertà gli oppressi» e di «proclamare l'anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Il Concilio Vaticano II non ha voluto mettere a tema la fede in un documento specifico. E tuttavia, esso è stato interamente animato dalla consapevolezza e dal desiderio di doversi, per così dire, immergere nuovamente nel mistero cristiano, per poterlo riproporre efficacemente all'uomo contemporaneo. Al riguardo, così si esprimeva il Servo di Dio Paolo VI due anni dopo la conclusione dell'Assise conciliare: «Se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine. Basterebbe ricordare [alcune] affermazioni conciliari (…) per rendersi conto dell'essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla

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vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa» (''Catechesi nellUdienza generale dell8 marzo 1967). Così Paolo VI nel '67. Ma dobbiamo ora risalire a colui che convocò il Concilio Vaticano II e che lo inaugurò: il Beato Giovanni XXIII. Nel Discorso di apertura, egli presentò il fine principale del Concilio in questi termini: «Questo massimamente riguarda il Concilio Ecumenico: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito ed insegnato in forma più efficace. (…) Lo scopo principale di questo Concilio non è, quindi, la discussione di questo o quel tema della dottrina… Per questo non occorreva un Concilio… E' necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (AAS 54 [1962], 790.791-792). Così Papa Giovanni nell'inaugurazione del Concilio. Alla luce di queste parole, si comprende quello che io stesso allora ho avuto modo di sperimentare: durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell'oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede risuona l'eterno presente di Dio, che trascende il tempo e tuttavia può essere accolto da noi solamente nel nostro irripetibile oggi. Perciò ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l'attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell'anelito a riannunciare Cristo all'uomo contemporaneo. Ma affinché questa spinta interiore alla nuova evangelizzazione non rimanga soltanto ideale e non pecchi di confusione, occorre che essa si appoggi ad una base concreta e precisa, e questa base sono i documenti del Concilio Vaticano II, nei quali essa ha trovato espressione. Per questo ho più volte insistito sulla necessità di ritornare, per così dire, alla «lettera» del Concilio – cioè ai suoi testi – per trovarne l'autentico spirito, e ho ripetuto che la vera eredità del Vaticano II si trova in essi. Il riferimento ai documenti mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità. Il Concilio non ha escogitato nulla di nuovo come materia di fede, né ha voluto sostituire quanto è antico. Piuttosto si è preoccupato di far sì che la medesima fede continui ad essere vissuta nell'oggi, continui ad essere una fede viva in un mondo in cambiamento.

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Se ci poniamo in sintonia con l'impostazione autentica, che il Beato Giovanni XXIII volle dare al Vaticano II, noi potremo attualizzarla lungo questo Anno della fede, all'interno dell'unico cammino della Chiesa che continuamente vuole approfondire il bagaglio della fede che Cristo le ha affidato. I Padri conciliari volevano ripresentare la fede in modo efficace; e se si aprirono con fiducia al dialogo con il mondo moderno è proprio perché erano sicuri della loro fede, della salda roccia su cui poggiavano. Invece, negli anni seguenti, molti hanno accolto senza discernimento la mentalità dominante, mettendo in discussione le basi stesse del depositum fidei, che purtroppo non sentivano più come proprie nella loro verità. Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della fede e la nuova evangelizzazione, non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n'è bisogno, ancor più che 50 anni fa! E la risposta da dare a questo bisogno è la stessa voluta dai Papi e dai Padri del Concilio e contenuta nei suoi documenti. Anche l'iniziativa di creare un Pontificio Consiglio destinato alla promozione della nuova evangelizzazione, che ringrazio dello speciale impegno per l'Anno della fede, rientra in questa prospettiva. In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale. Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, al tempo del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. E' il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall'esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c'è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada. La prima Lettura ci ha parlato della sapienza del viaggiatore (cfr Sir 34,9-13): il viaggio è metafora della vita, e il sapiente viaggiatore è colui che ha appreso l'arte di vivere e la può condividere con i fratelli – come avviene ai pellegrini lungo il Cammino di Santiago, o sulle altre Vie che non a caso sono tornate in auge in questi anni. Come mai tante persone oggi sentono il bisogno di fare questi cammini? Non è forse perché qui trovano, o alme-

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no intuiscono il senso del nostro essere al mondo? Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione, come pure lo è il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato 20 anni or sono. Venerati e cari Fratelli, l'11 ottobre 1962 si celebrava la festa di Maria Santissima Madre di Dio. A Lei affidiamo l'Anno della fede, come ho fatto una settimana fa recandomi pellegrino a Loreto. La Vergine Maria brilli sempre come stella sul cammino della nuova evangelizzazione. Ci aiuti a mettere in pratica l'esortazione dell'apostolo Paolo: «La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda… E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di Lui a Dio Padre» (Col 3,16-17).Amen.

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LETTERA APOSTOLICA IN FORMA DI MOTU PROPRIO DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XVI SUL SERVIZIO DELLA CARITÁ

Proemio «L'intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l'uno dall'altro» (Lett. enc. Deus caritas est, 25). Anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza (cfr ibidem); tutti i fedeli hanno il diritto ed il dovere di impegnarsi personalmente per vivere il comandamento nuovo che Cristo ci ha lasciato (cfr Gv 15,12), offrendo all'uomo contemporaneo non solo aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell'anima (cfr Lett. enc. Deus caritas est, 28). All'esercizio della diakonia della carità la Chiesa è chiamata anche a livello comunitario, dalle piccole comunità locali alle Chiese particolari, fino alla Chiesa universale; per questo c'è bisogno anche di un'«organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato» (cfr ibid., 20), organizzazione articolata pure mediante espressioni istituzionali. A proposito di questa diakonia della carità, nella Lettera enciclica Deus caritas est segnalavo che «alla struttura episcopale della Chiesa […] corrisponde il fatto che, nelle Chiese particolari, i Vescovi quali successori degliApostoli portino la prima responsabilità della realizzazione» del servizio della carità (n. 32), e notavo che «il Codice di Diritto Canonico, nei canoni riguardanti il ministero episcopale, non tratta espressamente della carità come di uno specifico ambito dell'attività episcopale» (ibidem). Anche se «il Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi ha approfondito più concretamente il dovere della carità come compito intrinseco della Chiesa intera e del Vescovo nella sua Diocesi» (ibidem), rimaneva

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comunque il bisogno di colmare la suddetta lacuna normativa in modo da esprimere adeguatamente, nell'ordinamento canonico, l'essenzialità del servizio della Carità nella Chiesa ed il suo rapporto costitutivo con il ministero episcopale, tratteggiando i profili giuridici che tale servizio comporta nella Chiesa, soprattutto se esercitato in maniera organizzata e col sostegno esplicito dei Pastori. In tale prospettiva, perciò, col presente Motu Proprio intendo fornire un quadro normativo organico che serva meglio ad ordinare, nei loro tratti generali, le diverse forme ecclesiali organizzate del servizio della carità, che è strettamente collegata alla natura diaconale della Chiesa e del ministero episcopale. E' importante, comunque, tenere presente che «l'azione pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l'amore per l'uomo, un amore che si nutre dell'incontro con Cristo» (ibid., 34). Pertanto, nell'attività caritativa, le tante organizzazioni cattoliche non devono limitarsi ad una mera raccolta o distribuzione di fondi, ma devono sempre avere una speciale attenzione per la persona che è nel bisogno e svolgere, altresì, una preziosa funzione pedagogica nella comunità cristiana, favorendo l'educazione alla condivisione, al rispetto e all'amore secondo la logica del Vangelo di Cristo. L'attività caritativa della Chiesa, infatti, a tutti i livelli, deve evitare il rischio di dissolversi nella comune organizzazione assistenziale, divenendone una semplice variante (cfr ibid., 31). Le iniziative organizzate che, nel settore della carità, vengono promosse dai fedeli nei vari luoghi sono molto differenti tra di loro e richiedono un'appropriata gestione. In modo particolare, si è sviluppata a livello parrocchiale, diocesano, nazionale ed internazionale l'attività della «Caritas», istituzione promossa dalla Gerarchia ecclesiastica, che si è giustamente guadagnata l'apprezzamento e la fiducia dei fedeli e di tante altre persone in tutto il mondo per la generosa e coerente testimonianza di fede, come pure per la concretezza nel venire incontro alle richieste dei bisognosi. Accanto a quest'ampia iniziativa, sostenuta ufficialmente dall'autorità della Chiesa, nei vari luoghi sono sorte molteplici altre iniziative, scaturite dal libero impegno di fedeli che, in forme differenti, vogliono contribuire col proprio sforzo a testimoniare concretamente la carità verso i bisognosi. Le une e le altre sono iniziative diverse per origine e per regime giuridico, pur esprimendo egualmente sensibilità e desiderio di rispondere ad un medesimo richiamo.

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La Chiesa in quanto istituzione non può dirsi estranea alle iniziative promosse in modo organizzato, libera espressione della sollecitudine dei battezzati per le persone ed i popoli bisognosi. Perciò i Pastori le accolgano sempre come manifestazione della partecipazione di tutti alla missione della Chiesa, rispettando le caratteristiche e l'autonomia di governo che, secondo la loro natura, competono a ciascuna di esse quali manifestazione della libertà dei battezzati. Accanto ad esse, l'autorità ecclesiastica ha promosso, di propria iniziativa, opere specifiche, attraverso le quali provvede istituzionalmente ad incanalare le elargizioni dei fedeli, secondo forme giuridiche e operative adeguate che consentano di arrivare più efficacemente a risolvere i concreti bisogni. Tuttavia, nella misura in cui dette attività siano promosse dalla Gerarchia stessa, oppure siano esplicitamente sostenute dall'autorità dei Pastori, occorre garantire che la loro gestione sia realizzata in accordo con le esigenze dell'insegnamento della Chiesa e con le intenzioni dei fedeli, e che rispettino anche le legittime norme date dall'autorità civile. Davanti a queste esigenze, si rendeva necessario determinare nel diritto della Chiesa alcune norme essenziali, ispirate ai criteri generali della disciplina canonica, che rendessero esplicite in questo settore di attività le responsabilità giuridiche assunte in materia dai vari soggetti implicati, delineando, in modo particolare, la posizione di autorità e di coordinamento al riguardo che spetta al Vescovo diocesano. Dette norme dovevano avere, tuttavia, sufficiente ampiezza per comprendere l'apprezzabile varietà di istituzioni di ispirazione cattolica, che come tali operano in questo settore, sia quelle nate su impulso dalla stessa Gerarchia, sia quelle sorte dall'iniziativa diretta dei fedeli, ma accolte ed incoraggiate dai Pastori del luogo. Pur essendo necessario stabilire norme a questo riguardo, occorreva però tener conto di quanto richiesto dalla giustizia e dalla responsabilità che i Pastori assumono di fronte ai fedeli, nel rispetto della legittima autonomia di ogni ente.

Parte dispositiva Di conseguenza, su proposta del Cardinale Presidente del Pontificio Consiglio «Cor Unum», sentito il parere del Pontificio Consiglio per i Testi

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Legislativi, stabilisco e decreto quanto segue: Art. 1 § 1. I fedeli hanno il diritto di associarsi e d'istituire organismi che mettano in atto specifici servizi di carità, soprattutto in favore dei poveri e dei sofferenti. Nella misura in cui risultino collegati al servizio di carità dei Pastori della Chiesa e/o intendano avvalersi per tale motivo del contributo dei fedeli, devono sottoporre i propri Statuti all'approvazione della competente autorità ecclesiastica ed osservare le norme che seguono. § 2. Negli stessi termini, è anche diritto dei fedeli costituire fondazioni per finanziare concrete iniziative caritative, secondo le norme dei cann. 1303 CIC e 1047 CCEO. Se questo tipo di fondazioni rispondesse alle caratteristiche indicate nel § 1 andranno anche osservate, congrua congruis referendo, le disposizioni della presente legge. § 3. Oltre ad osservare la legislazione canonica, le iniziative collettive di carità a cui fa riferimento il presente Motu Proprio sono tenute a seguire nella propria attività i principi cattolici e non possono accettare impegni che in qualche misura possano condizionare l'osservanza dei suddetti principi. § 4. Gli organismi e le fondazioni promossi con fini di carità dagli Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica sono tenuti all'osservanza delle presenti norme ed in essi deve anche seguirsi quanto stabilito dai cann. 312 § 2 CIC e 575 § 2 CCEO. Art. 2 § 1. Negli Statuti di ciascun organismo caritativo a cui fa riferimento l'articolo precedente, oltre alle cariche istituzionali ed alle strutture di governo secondo il can. 95 § 1 CIC, saranno espressi anche i principi ispiratori e le finalità dell'iniziativa, le modalità di gestione dei fondi, il profilo dei propri operatori, nonché i rapporti e le informazioni da presentare all'autorità ecclesiastica competente. § 2. Un organismo caritativo può usare la denominazione di "cattolico" solo con il consenso scritto dell'autorità competente, come indicato dal can. 300 CIC. § 3. Gli organismi promossi dai fedeli ai fini della carità possono avere un Assistente ecclesiastico nominato a norma degli Statuti, secondo i cann. 324 § 2 e 317 CIC.

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§ 4. Allo stesso tempo, l'autorità ecclesiastica tenga presente il dovere di regolare l'esercizio dei diritti dei fedeli secondo i cann. 223 § 2 CIC e 26 § 2 CCEO, onde venga evitato il moltiplicarsi delle iniziative di servizio di carità a detrimento dell'operatività e dell'efficacia rispetto ai fini che si propongono. Art. 3 § 1. Agli effetti degli articoli precedenti, s'intende per autorità competente, nei rispettivi livelli, quella indicata dai cann. 312 CIC e 575 CCEO. § 2. Trattandosi di organismi non approvati a livello nazionale, anche se operanti in varie diocesi, per autorità competente si intende il Vescovo diocesano del luogo dove l'ente abbia la sua sede principale. In ogni caso, l'organizzazione ha il dovere di informare i Vescovi delle altre diocesi ove operasse, e di rispettare le loro indicazioni riguardanti le attività delle varie entità caritative presenti in diocesi. Art. 4 § 1. Il Vescovo diocesano (cfr can. 134 § 3 CIC e can. 987 CCEO) esercita la propria sollecitudine pastorale per il servizio della carità nella Chiesa particolare a lui affidata in qualità di Pastore, guida e primo responsabile di tale servizio. § 2. Il Vescovo diocesano favorisce e sostiene iniziative ed opere di servizio al prossimo nella propria Chiesa particolare, e suscita nei fedeli il fervore della carità operosa come espressione di vita cristiana e di partecipazione alla missione della Chiesa, come segnalato dai cann. 215 e 222 CIC e 25 e 18 CCEO. § 3. Spetta al rispettivo Vescovo diocesano vigilare affinché nell'attività e nella gestione di questi organismi siano sempre osservate le norme del diritto universale e particolare della Chiesa, nonché le volontà dei fedeli che avessero fatto donazioni o lasciti per queste specifiche finalità (cfr cann. 1300 CIC e 1044 CCEO). Art. 5 Il Vescovo diocesano assicuri alla Chiesa il diritto di esercitare il servizio della carità, e curi che i fedeli e le istituzioni sottoposte alla sua vigilanza osservino la legittima legislazione civile in materia.

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Art. 6 E' compito del Vescovo diocesano, come indicato dai cann. 394 § 1 CIC e 203 § 1 CCEO, coordinare nella propria circoscrizione le diverse opere di servizio di carità, sia quelle promosse dalla Gerarchia stessa, sia quelle rispondenti all'iniziativa dei fedeli, fatta salva l'autonomia che loro competesse secondo gli Statuti di ciascuna. In particolare, curi che le loro attività mantengano vivo lo spirito evangelico. Art. 7 § 1. Le entità di cui all'art. 1 § 1 sono tenute a selezionare i propri operatori tra persone che condividano, o almeno rispettino, l'identità cattolica di queste opere. § 2. Per garantire la testimonianza evangelica nel servizio della carità, il Vescovo diocesano curi che quanti operano nella pastorale caritativa della Chiesa, accanto alla dovuta competenza professionale, diano esempio di vita cristiana e testimonino una formazione del cuore che documenti una fede all'opera nella carità. A tale scopo provveda alla loro formazione anche in ambito teologico e pastorale, con specifici curricula concertati con i dirigenti dei vari organismi e con adeguate offerte di vita spirituale. Art.8 Ove fosse necessario per numero e varietà di iniziative, il Vescovo diocesano stabilisca nella Chiesa a lui affidata un ufficio che a nome suo orienti e coordini il servizio della carità. Art. 9 § 1. Il Vescovo favorisca la creazione, in ogni parrocchia della sua circoscrizione, d'un servizio di «Caritas» parrocchiale o analogo, che promuova anche un'azione pedagogica nell'ambito dell'intera comunità per educare allo spirito di condivisione e di autentica carità. Qualora risultasse opportuno, tale servizio sarà costituito in comune per varie parrocchie dello stesso territorio. § 2. Al Vescovo ed al parroco rispettivo spetta assicurare che, nell'ambito della parrocchia, insieme alla «Caritas» possano coesistere e svilupparsi altre iniziative di carità, sotto il coordinamento generale del parroco, tenendo conto tuttavia di quanto indicato nell'art. 2 § 4.

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§ 3. E' dovere del Vescovo diocesano e dei rispettivi parroci evitare che in questa materia i fedeli possano essere indotti in errore o in malintesi, sicché dovranno impedire che attraverso le strutture parrocchiali o diocesane vengano pubblicizzate iniziative che, pur presentandosi con finalità di carità, proponessero scelte o metodi contrari all'insegnamento della Chiesa. Art. 10 § 1. Al Vescovo spetta la vigilanza sui beni ecclesiastici degli organismi caritativi soggetti alla sua autorità. § 2. E' dovere del Vescovo diocesano assicurarsi che i proventi delle collette svolte ai sensi dei cann. 1265 e 1266 CIC, e cann. 1014 e 1015 CCEO, vengano destinati alle finalità per cui siano stati raccolti [cann. 1267 CIC, 1016 CCEO). § 3. In particolare, il Vescovo diocesano deve evitare che gli organismi di carità che gli sono soggetti siano finanziati da enti o istituzioni che perseguono fini in contrasto con la dottrina della Chiesa. Parimenti, per non dare scandalo ai fedeli, il Vescovo diocesano deve evitare che organismi caritativi accettino contributi per iniziative che, nella finalità o nei mezzi per raggiungerle, non corrispondano alla dottrina della Chiesa. § 4. In modo particolare, il Vescovo curi che la gestione delle iniziative da lui dipendenti sia testimonianza di sobrietà cristiana.Atale scopo vigilerà affinché stipendi e spese di gestione, pur rispondendo alle esigenze della giustizia ed ai necessari profili professionali, siano debitamente proporzionate ad analoghe spese della propria Curia diocesana. § 5. Per consentire che l'autorità ecclesiastica di cui all'art. 3 § 1 possa esercitare il suo dovere di vigilanza, le entità menzionate nell'art. 1 § 1 sono tenute a presentare all'Ordinario competente il rendiconto annuale, nel modo indicato dallo stesso Ordinario. Art. 11 Il Vescovo diocesano è tenuto, se necessario, a rendere pubblico ai propri fedeli il fatto che l'attività d'un determinato organismo di carità non risponda più alle esigenze dell'insegnamento della Chiesa, proibendo allora l'uso del nome "cattolico" ed adottando i provvedimenti pertinenti ove si profilassero responsabilità personali.

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Art. 12 § 1. II Vescovo diocesano favorisca l'azione nazionale ed internazionale degli organismi di servizio della carità sottoposti alla sua cura, in particolare la cooperazione con le circoscrizioni ecclesiastiche più povere analogamente a quanto stabilito dai cann. 1274 § 3 CIC e 1021 § 3 CCEO. § 2. La sollecitudine pastorale per le opere di carità, a seconda delle circostanze di tempo e di luogo, può essere esplicata congiuntamente da vari Vescovi viciniori nei riguardi di più Chiese insieme, a norma del diritto. Se si trattasse di ambito internazionale, sia consultato preventivamente il competente Dicastero della Santa Sede. E' opportuno, inoltre, che, per iniziative di carità a livello nazionale, sia consultato da parte del Vescovo l'ufficio relativo della Conferenza Episcopale. Art. 13 Resta sempre integro il diritto dell'autorità ecclesiastica del luogo di dare il suo assenso alle iniziative di organismi cattolici da svolgere nell'ambito della sua competenza, nel rispetto della normativa canonica e dell'identità propria dei singoli organismi, ed è suo dovere di Pastore vigilare perché le attività realizzate nella propria diocesi si svolgano conformemente alla disciplina ecclesiastica, proibendole o adottando eventualmente i provvedimenti necessari se non la rispettassero. Art. 14 Dove sia opportuno, il Vescovo promuova le iniziative di servizio della carità in collaborazione con altre Chiese o Comunità ecclesiali, fatte salve le peculiarità proprie di ciascuno. Art. 15 § 1. II Pontificio Consiglio «Cor Unum» ha il compito di promuovere l'applicazione di questa normativa e di vigilare affinché sia applicata a tutti i livelli, ferma restando la competenza del Pontificio Consiglio per i Laici sulle associazioni di fedeli, prevista dall'art 133 della Cost. ap. Pastor Bonus, e quella propria della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato e fatte salve le competenze generali degli altri Dicasteri e Organismi della Curia Romana. In particolare il Pontificio Consiglio «Cor Unum» curi che il servizio della carità delle istituzioni cattoliche in ambito internazionale si svolga sempre in comunione con le rispettive

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Chiese particolari. § 2. Al Pontificio Consiglio «Cor Unum» compete parimenti l'erezione canonica di organismi di servizio di carità a livello internazionale, assumendo successivamente i compiti disciplinari e di promozione che corrispondano in diritto. Tutto ciò che ho deliberato con questa Lettera apostolica in forma di Motu Proprio, ordino che sia osservato in tutte le sue parti, nonostante qualsiasi cosa contraria, anche se degna di particolare menzione, e stabilisco che venga promulgato mediante la pubblicazione sul quotidiano «L'Osservatore Romano», ed entri in vigore il giorno 10 dicembre 2012. Dato a Roma, presso San Pietro, l'11 Novembre 2012, ottavo Anno del Pontificato. BENEDICTUS PP. XVI

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SANTA MESSA DI MEZZANOTTE SOLENNITÁ DEL NATALE DEL SIGNORE OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI 24 dicembre 2012

Cari fratelli e sorelle! Sempre di nuovo la bellezza di questo Vangelo tocca il nostro cuore – una bellezza che è splendore della verità. Sempre di nuovo ci commuove il fatto che Dio si fa bambino, affinché noi possiamo amarlo, affinché osiamo amarlo, e, come bambino, si mette fiduciosamente nelle nostre mani. Dio dice quasi: So che il mio splendore ti spaventa, che di fronte alla mia grandezza tu cerchi di affermare te stesso. Ebbene, vengo dunque a te come bambino, perché tu possa accogliermi ed amarmi. Sempre di nuovo mi tocca anche la parola dell'evangelista, detta quasi di sfuggita, che per loro non c'era posto nell'alloggio. Inevitabilmente sorge la domanda su come andrebbero le cose, se Maria e Giuseppe bussassero alla mia porta. Ci sarebbe posto per loro? E poi ci viene in mente che questa notizia, apparentemente casuale, della mancanza di posto nell'alloggio che spinge la Santa Famiglia nella stalla, l'evangelista Giovanni l'ha approfondita e portata all'essenza scrivendo: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11). Così la grande questione morale su come stiano le cose da noi riguardo ai profughi, ai rifugiati, ai migranti ottiene un senso ancora più fondamentale: abbiamo veramente posto per Dio, quando Egli cerca di entrare da noi?Abbiamo tempo e spazio per Lui? Non è forse proprio Dio stesso ad essere respinto da noi? Ciò comincia col fatto che non abbiamo tempo per Dio. Quanto più velocemente possiamo muoverci, quanto più efficaci diventano gli strumenti che ci fanno risparmiare tempo, tanto meno tempo abbiamo a disposizione. E Dio? La questione che riguarda Lui non sembra mai urgente. Il nostro tempo è già completamente riempito. Ma le cose vanno ancora più in profondità. Dio ha veramente un posto nel nostro pensiero? La metodologia del nostro pensare è impostata in modo che Egli, in fondo, non debba esistere. Anche se sembra bussare alla porta del nostro pensiero, Egli

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deve essere allontanato con qualche ragionamento. Per essere ritenuto serio, il pensiero deve essere impostato in modo da rendere superflua l'“ipotesi Dio”. Non c'è posto per Lui. Anche nel nostro sentire e volere non c'è lo spazio per Lui. Noi vogliamo noi stessi, vogliamo le cose che si possono toccare, la felicità sperimentabile, il successo dei nostri progetti personali e delle nostre intenzioni. Siamo completamente “riempiti” di noi stessi, così che non rimane alcuno spazio per Dio. E per questo non c'è neppure spazio per gli altri, per i bambini, per i poveri, per gli stranieri. A partire dalla semplice parola circa il posto mancante nell'alloggio possiamo renderci conto di quanto ci sia necessaria l'esortazione di san Paolo: “Lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare!” (Rm 12,2). Paolo parla del rinnovamento, del dischiudere il nostro intelletto (nous); parla, in generale, del modo in cui vediamo il mondo e noi stessi. La conversione di cui abbiamo bisogno deve giungere veramente fino alle profondità del nostro rapporto con la realtà. Preghiamo il Signore affinché diventiamo vigili verso la sua presenza, affinché sentiamo come Egli bussa in modo sommesso eppure insistente alla porta del nostro essere e del nostro volere. Preghiamolo affinché nel nostro intimo si crei uno spazio per Lui. E affinché in questo modo possiamo riconoscerlo anche in coloro mediante i quali si rivolge a noi: nei bambini, nei sofferenti e negli abbandonati, negli emarginati e nei poveri di questo mondo. C'è ancora una seconda parola nel racconto di Natale sulla quale vorrei riflettere insieme a voi: l'inno di lode che gli angeli intonano dopo il messaggio circa il neonato Salvatore: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del suo compiacimento”. Dio è glorioso. Dio è luce pura, splendore della verità e dell'amore. Egli è buono. È il vero bene, il bene per eccellenza. Gli angeli che lo circondano trasmettono in primo luogo semplicemente la gioia per la percezione della gloria di Dio. Il loro canto è un'irradiazione della gioia che li riempie. Nelle loro parole sentiamo, per così dire, qualcosa dei suoni melodiosi del cielo. Là non è sottesa alcuna domanda sullo scopo, c'è semplicemente il dato di essere colmi della felicità proveniente dalla percezione del puro splendore della verità e dell'amore di Dio. Da questa gioia vogliamo lasciarci toccare: esiste la verità. Esiste la pura bontà. Esiste la luce pura. Dio è buono ed Egli è il potere supremo al di sopra di tutti i poteri. Di questo fatto dovremmo semplicemente gioire in questa notte, insieme agli angeli e ai pastori.

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Con la gloria di Dio nel più alto dei cieli è in relazione la pace sulla terra tra gli uomini. Dove non si dà gloria a Dio, dove Egli viene dimenticato o addirittura negato, non c'è neppure pace. Oggi, però, diffuse correnti di pensiero asseriscono il contrario: le religioni, in particolare il monoteismo, sarebbero la causa della violenza e delle guerre nel mondo; occorrerebbe prima liberare l'umanità dalle religioni, affinché si crei poi la pace; il monoteismo, la fede nell'unico Dio, sarebbe prepotenza, causa di intolleranza, perché in base alla sua natura esso vorrebbe imporsi a tutti con la pretesa dell'unica verità. È vero che, nella storia, il monoteismo è servito di pretesto per l'intolleranza e la violenza. È vero che una religione può ammalarsi e giungere così ad opporsi alla sua natura più profonda, quando l'uomo pensa di dover egli stesso prendere in mano la causa di Dio, facendo così di Dio una sua proprietà privata. Contro questi travisamenti del sacro dobbiamo essere vigilanti. Se un qualche uso indebito della religione nella storia è incontestabile, non è tuttavia vero che il “no” a Dio ristabilirebbe la pace. Se la luce di Dio si spegne, si spegne anche la dignità divina dell'uomo. Allora egli non è più l'immagine di Dio, che dobbiamo onorare in ciascuno, nel debole, nello straniero, nel povero. Allora non siamo più tutti fratelli e sorelle, figli dell'unico Padre che, a partire dal Padre, sono in correlazione vicendevole. Che generi di violenza arrogante allora compaiono e come l'uomo disprezzi e schiacci l'uomo lo abbiamo visto in tutta la sua crudeltà nel secolo scorso. Solo se la luce di Dio brilla sull'uomo e nell'uomo, solo se ogni singolo uomo è voluto, conosciuto e amato da Dio, solo allora, per quanto misera sia la sua situazione, la sua dignità è inviolabile. Nella Notte Santa, Dio stesso si è fatto uomo, come aveva annunciato il profeta Isaia: il bambino qui nato è “Emmanuele”, Dio con noi (cfr Is 7,14). E nel corso di tutti questi secoli davvero non ci sono stati soltanto casi di uso indebito della religione, ma dalla fede in quel Dio che si è fatto uomo sono venute sempre di nuovo forze di riconciliazione e di bontà. Nel buio del peccato e della violenza, questa fede ha inserito un raggio luminoso di pace e di bontà che continua a brillare. Così Cristo è la nostra pace e ha annunciato la pace ai lontani e ai vicini (cfr Ef 2,14.17). Come non dovremmo noi pregarlo in quest'ora: Sì, Signore, annuncia a noi anche oggi la pace, ai lontani e ai vicini. Fa' che anche oggi le spade siano forgiate in falci (cfr Is 2,4), che al posto degli armamenti per la guerra subentrino aiuti per i sofferenti. Illumina le perso-

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ne che credono di dover esercitare violenza nel tuo nome, affinché imparino a capire l'assurdità della violenza e a riconoscere il tuo vero volto. Aiutaci a diventare uomini “del tuo compiacimento” – uomini secondo la tua immagine e così uomini di pace. Appena gli angeli si furono allontanati, i pastori dicevano l'un l'altro: Orsù, passiamo di là, a Betlemme e vediamo questa parola che è accaduta per noi (cfr Lc 2,15). I pastori si affrettavano nel loro cammino verso Betlemme, ci dice l'evangelista (cfr 2,16). Una santa curiosità li spingeva a vedere in una mangiatoia questo bambino, del quale l'angelo aveva detto che era il Salvatore, il Cristo, il Signore. La grande gioia, di cui l'angelo aveva parlato, aveva toccato il loro cuore e metteva loro le ali. Andiamo di là, a Betlemme, dice la liturgia della Chiesa oggi a noi. Trans-eamus traduce la Bibbia latina: “attraversare”, andare di là, osare il passo che va oltre, la “traversata”, con cui usciamo dalle nostre abitudini di pensiero e di vita e oltrepassiamo il mondo meramente materiale per giungere all'essenziale, al di là, verso quel Dio che, da parte sua, è venuto di qua, verso di noi. Vogliamo pregare il Signore, perché ci doni la capacità di oltrepassare i nostri limiti, il nostro mondo; perché ci aiuti a incontrarlo, specialmente nel momento in cui Egli stesso, nella Santissima Eucaristia, si pone nelle nostre mani e nel nostro cuore. Andiamo di là, a Betlemme: con queste parole che, insieme con i pastori, ci diciamo l'un l'altro, non dobbiamo pensare soltanto alla grande traversata verso il Dio vivente, ma anche alla città concreta di Betlemme, a tutti i luoghi in cui il Signore ha vissuto, operato e sofferto. Preghiamo in quest'ora per le persone che oggi lì vivono e soffrono. Preghiamo perché lì ci sia pace. Preghiamo perché Israeliani e Palestinesi possano sviluppare la loro vita nella pace dell'unico Dio e nella libertà. Preghiamo anche per i Paesi circostanti, per il Libano, per la Siria, per l'Iraq e così via: affinché lì si affermi la pace. Che i cristiani in quei Paesi dove la nostra fede ha avuto origine possano conservare la loro dimora; che cristiani e musulmani costruiscano insieme i loro Paesi nella pace di Dio. I pastori si affrettavano. Una santa curiosità e una santa gioia li spingevano. Tra noi forse accade molto raramente che ci affrettiamo per le cose di Dio. Oggi Dio non fa parte delle realtà urgenti. Le cose di Dio, così pensiamo e diciamo, possono aspettare. Eppure Egli è la realtà più importante, l'Unico che, in ultima analisi, è veramente importante. Perché non dovremmo essere presi anche noi dalla curiosità di vedere più da vicino e di

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conoscere ciò che Dio ci ha detto? Preghiamolo affinché la santa curiosità e la santa gioia dei pastori tocchino in quest'ora anche noi, e andiamo quindi con gioia di là, a Betlemme – verso il Signore che anche oggi viene nuovamente verso di noi.Amen.

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA



MESSAGGIO DEL CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE PER LA XXXIV GIORNATA NAZIONALE PER LA VITA 5 febbraio 2012 “Giovani aperti alla vita”

La vera giovinezza risiede e fiorisce in chi non si chiude alla vita. Essa è testimoniata da chi non rifiuta il suo dono – a volte misterioso e delicato – e da chi si dispone a esserne servitore e non padrone in se stesso e negli altri. Del resto, nel Vangelo, Cristo stesso si presenta come “servo” (cfr Lc 22,27), secondo la profezia dell'Antico Testamento. Chi vuol farsi padrone della vita, invecchia il mondo. Educare i giovani a cercare la vera giovinezza, a compierne i desideri, i sogni, le esigenze in modo profondo, è una sfida oggi centrale. Se non si educano i giovani al senso e dunque al rispetto e alla valorizzazione della vita, si finisce per impoverire l'esistenza di tutti, si espone alla deriva la convivenza sociale e si facilita l'emarginazione di chi fa più fatica. L'aborto e l'eutanasia sono le conseguenze estreme e tremende di una mentalità che, svilendo la vita, finisce per farli apparire come il male minore: in realtà, la vita è un bene non negoziabile, perché qualsiasi compromesso apre la strada alla prevaricazione su chi è debole e indifeso. In questi anni non solo gli indici demografici ma anche ripetute drammatiche notizie sul rifiuto di vivere da parte di tanti ragazzi hanno angustiato l'animo di quanti provano rispetto e ammirazione per il dono dell'esistenza. Sono molte le situazioni e i problemi sociali a causa dei quali questo dono è vilipeso, avvilito, caricato di fardelli spesso duri da sopportare. Educare i giovani alla vita significa offrire esempi, testimonianze e cultura che diano sostegno al desiderio di impegno che in tanti di loro si accende appena trovano adulti disposti a condividerlo. Per educare i giovani alla vita occorrono adulti contenti del dono dell'esistenza, nei quali non prevalga il cinismo, il calcolo o la ricerca del potere, della carriera o del divertimento fine a se stesso. I giovani di oggi sono spesso in balia di strumenti – creati e manovrati da

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adulti e fonte di lauti guadagni – che tendono a soffocare l'impegno nella realtà e la dedizione all'esistenza. Eppure quegli stessi strumenti possono essere usati proficuamente per testimoniare una cultura della vita. Molti giovani, in ogni genere di situazione umana e sociale, non aspettano altro che un adulto carico di simpatia per la vita che proponga loro senza facili moralismi e senza ipocrisie una strada per sperimentare l'affascinante avventura della vita. È una chiamata che la Chiesa sente da sempre e da cui oggi si lascia con forza interpellare e guidare. Per questo, la rilancia a tutti – adulti, istituzioni e corpi sociali –, perché chi ama la vita avverta la propria responsabilità verso il futuro. Molte e ammirevoli sono le iniziative in difesa della vita, promosse da singoli, associazioni e movimenti. È un servizio spesso silenzioso e discreto, che però può ottenere risultati prodigiosi. È un esempio dell'Italia migliore, pronta ad aiutare chiunque versa in difficoltà. Gli anni recenti, segnati dalla crisi economica, hanno evidenziato come sia illusoria e fragile l'idea di un progresso illimitato e a basso costo, specialmente nei campi in cui entra più in gioco il valore della persona. Ci sono curve della storia che incutono in tutti, ma soprattutto nei più giovani, un senso di inquietudine e di smarrimento. Chi ama la vita non nega le difficoltà: si impegna, piuttosto, a educare i giovani a scoprire che cosa rende più aperti al manifestarsi del suo senso, a quella trascendenza a cui tutti anelano, magari a tentoni. Nasce così un atteggiamento di servizio e di dedizione alla vita degli altri che non può non commuovere e stimolare anche gli adulti. a vera giovinezza si misura nella accoglienza al dono della vita, in qualunque modo essa si presenti con il sigillo misterioso di Dio. Roma, 4 novembre 2011 Memoria di San Carlo Borromeo

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NOTA DEL CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE L’ACCESSO NELLE CHIESE La Nota, approvata dal Consiglio Episcopale Permanente nella sessione del 23-26 gennaio 2012, intende riaffermare il principio, tipico della tradizione italiana, dell’apertura gratuita delle chiese, come luoghi dedicati primariamente alla preghiera comunitaria e personale. Tale regola deve applicarsi anche alle chiese di grande rilevanza storico-artistica, interessate da flussi turistici notevoli: è fondamentale che il turista percepisca di essere in un luogo sacro e si comporti in maniera adeguata e rispettosa. In linea di principio, è da escludersi che l’accesso alle chiese aperte al culto sia condizionato al pagamento di un biglietto di ingresso. Ciò vale sia per le chiese di proprietà di enti ecclesiastici che per quelle dello Stato, di altri enti pubblici e di soggetti privati. In caso di grandi flussi turistici, è possibile contingentare il numero delle presenze, per assicurare la conservazione e la sicurezza del bene. Fatto salvo il principio che l’edificio principale della chiesa deve essere liberamente accessibile per la preghiera, è permesso esigere il pagamento di un biglietto per la visita a parti del complesso chiaramente distinte, quali, per esempio, la cripta, il tesoro, il battistero, il campanile, il chiostro o una singola cappella.

Testo della nota 1. Secondo la tradizione italiana, è garantito a tutti l’accesso gratuito alle chiese aperte al culto, perché ne risalti la primaria e costitutiva destinazione alla preghiera liturgica e individuale. Tale finalizzazione è tutelata anche dalle leggi dello Stato. 2. La Conferenza Episcopale Italiana ritiene che tale principio debba essere mantenuto anche in presenza di flussi turistici rilevanti, consentendo l’accesso gratuito nelle chiese nelle fasce orarie tradizionali, salvo casi eccezionali a giudizio dell’Ordinario diocesano.

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Pertanto le comunità cristiane si impegnano ad assicurare l’apertura delle chiese destinate al culto, in special modo quelle di particolare interesse storico e artistico situate nei centri storici e nelle città d’arte, sulla base di calendari e orari certi, stabili e noti. 3. Le comunità cristiane accolgono nelle chiese come ospiti graditi tutti coloro che desiderano entrarvi per pregare, per sostare in silenzio, per ammirare le opere d’arte sacra in esse presenti. 4. Ai turisti che desiderano visitare le chiese, le comunità cristiane chiedono l’osservanza di alcune regole riguardanti l’abbigliamento e lo stile di comportamento e soprattutto il più rigoroso rispetto del silenzio, in modo da facilitare il clima di preghiera: anche durante le visite turistiche, infatti, le chiese continuano a essere “case di preghiera”. 5. In presenza di flussi turistici molto elevati gli enti proprietari, allo scopo di assicurare il rispetto del carattere sacro delle chiese e di garantire la visita in condizioni adeguate, si riservano di limitare il numero di persone che vengono accolte (ricorrendo al cosiddetto contingentamento) e/o di limitarne il tempo di permanenza. 6. Deve essere sempre assicurata la possibilità dell’accesso gratuito a quanti intendono recarsi in chiesa per pregare e deve essere sempre consentito l’accesso gratuito ai residenti nel territorio comunale. 7. L’adozione di un biglietto d’ingresso a pagamento è ammissibile soltanto per la visita turistica di parti del complesso (cripta, tesoro, battistero autonomo, campanile, chiostro, singola cappella, ecc.), chiaramente distinte dall’edificio principale della chiesa, che deve rimanere a disposizione per la preghiera. Roma, 31 gennaio 2012 Memoria di San Giovanni Bosco

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MESSAGGIO DELLA COMMISSIONE EPISCOPALE PER IL CLERO E LA VITA CONSACRATA PER LA XVI GIORNATA MONDIALE DELLA VITA CONSACRATA 2 Febbraio 2012 Educarsi alla vita santa di Gesù La celebrazione annuale della Giornata mondiale della vita consacrata ci invita anzitutto a esprimere un sentito ringraziamento per la testimonianza evangelica e il servizio alla Chiesa e al mondo offerto da voi, che vi siete consacrati totalmente nella sequela di Gesù Cristo. La vostra presenza carismatica e la vostra dedizione, in tempi non facili, sono una grazia del Signore, un segno profetico ed escatologico mai abbastanza apprezzato. Proprio la stima e la riconoscenza che nutriamo per voi ci spinge a sollecitarvi ad accogliere cordialmente gli orientamenti pastorali che la Chiesa in Italia si è data per questo decennio. “Educare alla vita buona del Vangelo” implica certamente l'educare alla vita santa di Gesù. È questo il dono e l'impegno di ogni persona che voglia farsi discepola di Gesù, specialmente di chi è chiamato alla vita consacrata. “Veramente la vita consacrata costituisce memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli” (Giovanni Paolo II, Vita consecrata, n. 22). Il proprium della vita consacrata è riproporre la forma di vita che Gesù ha abbracciato e offerto ai discepoli che lo seguivano: l'evangelica vivendi forma. Questa costituisce una testimonianza fondamentale per tutte le altre forme di vita cristiana e tratteggia un ideale percorso educativo, antropologico ed evangelico. A partire da questa prospettiva, intendiamo richiamare quattro note che mostrano la coerenza della vita con la vostra specifica vocazione e al tempo stesso manifestano la fecondità di un assiduo cammino formativo. 1) Il primato di Dio. Papa Benedetto XVI insiste sul fatto che la sfida principale del tempo presente è la secolarizzazione, che porta all'emarginazione di Dio o alla sua insignificanza, per cui l'uomo resta so-

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lo con la sua rabbia e la sua disperazione. Urge una nuova evangelizzazione, che metta al centro dell'esistenza umana il primo comandamento di Dio, la confessio Trinitatis e la Parola di salvezza, di cui voi avete profonda esperienza spirituale. Nella misura in cui testimoniate la bellezza dell'amore di Dio, che segue l'uomo con infinita benevolenza e misericordia, voi spandete quel “buon profumo divino” che può richiamare l'umanità alla sua vocazione fondamentale: la comunione con Dio. Nella vostra esistenza trasfigurata dalla bellezza della sua santità, siete chiamati ad anticipare la comunità “senza macchie e senza rughe”, “il cielo nuovo e la terra nuova” che ogni uomo desidera (cfr Ap 21,1). 2) La fraternità. La fraternità universale è il sogno di Dio, Padre di tutti. La dilagante conflittualità che deteriora le relazioni umane mostra la perenne attualità della missione di Cristo e dei suoi discepoli: raccogliere in unità i figli di Dio dispersi. La Chiesa è segno e sacramento di questa comunione. “Per presentare all'umanità di oggi il suo vero volto, la Chiesa ha urgente bisogno di comunità fraterne, le quali con la loro stessa esistenza costituiscono un contributo alla nuova evangelizzazione” (Vita consecrata, n. 45). Che bella testimonianza ecclesiale possono offrire alle parrocchie, alle famiglie e ai giovani autentiche fraternità, capaci di accoglienza, di rispetto e di accompagnamento! Sono segni di un amore che sa aprirsi alla Chiesa particolare, a quella universale e al mondo. Tocca alle comunità religiose essere scuole di fraternità che impegnano i propri membri alla formazione permanente alle virtù evangeliche: umiltà, accoglienza dei piccoli e dei poveri, correzione fraterna, preghiera comune, perdono reciproco, condividendo la fede, l'affetto fraterno e i beni materiali (cfr At 2-4; 1Pt 3,8-9). Gesù prega, perché i suoi discepoli “siano una sola cosa”, come lui lo è con il Padre (cfr Gv 17,21). Come ci insegna Benedetto XVI, “mediante l'unità umanamente inspiegabile dei discepoli di Gesù viene legittimato Gesù stesso” (Gesù di Nazaret, vol. II, p.112) e tutti possono giungere alla fede. 3) Lo zelo divino. In un mondo monotono e apatico, dominato dagli istinti e dalle passioni, Gesù e i suoi discepoli testimoniano la forza straordinaria dello zelo divino, che proviene dallo Spirito Santo. Dio è amore, “fuoco divorante”, roveto ardente che brucia senza mai consumarsi (cfr Es 3,2). Nel Cantico dei Cantici, la sposa grida: “Le sue vampe sono vam-

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pe di fuoco, una fiamma divina! Le grandi acque non possono spegnere l'amore né i fiumi travolgerlo” (8,6-7). Il profeta Elia, “pieno di zelo per il Signore” (1Re 19,10), ha comportamenti e parole che lo rendono simile al fuoco. Il profeta Geremia non riesce a contenere nel suo cuore il fuoco ardente di un'irresistibile seduzione (cfr Ger 20,7). Gesù è venuto “a portare il fuoco sulla terra” per accenderla del suo amore (cfr Lc 12,49). Dove passa porta la pace, il perdono, la guarigione, ma anche la divisione. I discepoli, vedendolo, si ricordano delle parole del salmista: “Lo zelo per la tua casa mi divorerà” (Gv 2,17; cfr Sal 69,10). Benedetto XVI, rivolgendosi ai superiori e alle superiore generali degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica ebbe a dire: “Appartenere al Signore vuol dire essere bruciati dal suo amore incandescente, essere trasformati dallo splendore della sua bellezza […]. Essere di Cristo significa mantenere sempre ardente nel cuore una viva fiamma d'amore” (discorso del 22 maggio 2006). Dovremmo preoccuparci non tanto della contrazione numerica delle vocazioni, quanto della vita tutto sommato mediocre di molti, in cui sembra persa la traccia dello zelo, della passione, del fuoco d'amore che animava Gesù e i santi. Per la nuova evangelizzazione a cui la Chiesa oggi è chiamata occorrono nuovi santi, appassionati di Gesù e dell'uomo, sentinelle che sanno intercettare gli orizzonti della storia, in cui ancora una volta Dio ha deciso di servirsi delle creature per realizzare il suo disegno d'amore. Da sempre la vita consacrata è stata laboratorio di nuovo umanesimo, cenacolo di cultura che ha fecondato la letteratura, l'arte, la musica, l'economia e le scienze. È un impegno a cui siamo fortemente chiamati in questo tempo difficile. 4) Stile di vita. La povertà evangelica favorisce uno stile di vita all'insegna dell'essenzialità, della gratuità, dell'ospitalità, superando le derive dell'omologazione e del consumismo. La castità consacrata aiuta a riqualificare la sessualità e a dare ordine e significato vero agli affetti, orientandoli a un amore fedele e fecondo. L'obbedienza libera dall'individualismo e dall'orgoglio, per renderci servi di Dio e disponibili a fare la sua volontà mettendoci a servizio delle persone che lui ci affida, specialmente i poveri. Vissuti sull'esempio di Cristo e dei santi, i consigli evangelici costituiscono una vera testimonianza profetica dal profondo significato antropologico, che suppone e richiede un grande impegno

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educativo. È un cammino da compiere con umiltà, discrezione e misericordia, perché tale Gesù si è mostrato a noi. Lo zelo divino si è coniugato in lui con la costanza che ha vinto le resistenze più dure, con la paziente fiducia che ha superato i pregiudizi più perversi, con l'amore misericordioso che lo ha spinto a dare se stesso in offerta per tutti. Se lo Spirito di Gesù abita nei nostri cuori, anche noi potremo fare quel che ha fatto lui. Cari consacrati, care consacrate, vi accompagni e vi protegga la Vergine Maria, perfetta discepola e dolce maestra. Vi benedicano dall'alto i santi fondatori, i cui carismi illuminano il vostro cammino, tracciando per voi la strada della vita buona del Vangelo. Roma, 6 gennaio 2012 Solennità dell'Epifania del Signore

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64ª ASSEMBLEA GENERALE CEI

21-25 Maggio 2012 Comunicato finale 1. Per un ripensamento culturale collettivo Angustia per una condizione sociale di crisi assai più ampia di ogni previsione e volontà di farsi prossimo con parole non scontate di incoraggiamento e di sostegno. Il Cardinale Presidente, con una lettura apprezzata per coraggio e prospettiva, ha costruito la sua prolusione assumendo come filo conduttore il cuore del pastore che avverte la responsabilità di farsi voce ad un tempo realistica ed equilibrata di quanto vive fra il suo popolo. I Vescovi ne hanno condiviso l’impianto, riprendendolo e approfondendolo ulteriormente, convinti che le sfide del tempo presente non possono essere affrontate con risposte semplicistiche. Al riguardo, tra le priorità rimarcate c’è l’obiettivo dell’accesso al lavoro e, quindi, di segnali che consentano soprattutto ai giovani di andare oltre l’attuale precarietà. Nel contempo, l’Assemblea ha evidenziato che, prima ancora del pur reale bisogno di riforme economiche, c’è quello di un autentico ripensamento culturale collettivo: “ad una crisi epocale si deve rispondere con un cambiamento altrettanto epocale”, innanzitutto di mentalità. L’episcopato ha sottolineato come questo comporti il superamento della cifra dell’individualismo e della logica dell’utilitarismo: se un ciclo si è definitivamente interrotto, “il nuovo sarà comunque diverso” e richiederà “idee, progetti e comportamenti adeguati alla nuova condizione”. Nella consapevolezza che “ci vuole intelligenza, coraggio e perseveranza per proporre strade concrete, efficaci e percorribili”, i pastori della Chiesa che vive in Italia hanno rinnovato l’impegno a fare fino in fondo la loro parte. È parte essenziale di questo impegno la tutela e la promozione della famiglia: ogni “distrazione” su questo fronte ferisce l’intera società, che “indebolisce il suo più rilevante cespite di vitalità, di coesione e di futuro” e rischia di perdere quella “bussola irrinunciabile che orienta ogni dimensione del vivere comune”. Di qui il forte appello dei Vescovi a liberare la domenica dal lavoro, a tutela della dignità delle persone – della donna, soprattutto – e dei tempi della famiglia.

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Rientrano in questo compito anche il sostegno formativo, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, di quanti si impegnano in politica, nonché, più in generale, l’opera educativa, attenta a far gustare come la gioia del servizio non ammetta confronti “con il gusto acre dell’avere a scapito del prossimo”. 2. Quella speranza che nasce dalla fede L’ampia analisi del Cardinale Presidente è stata apprezzata perché riconosciuta innervata da quella speranza che nasce dalla fede e che, anche nelle difficoltà del presente, sa far emergere le risorse e la vita buona dei credenti. Tale ricchezza è stata unanimemente riconosciuta nel valore della pastorale ordinaria, che fa della parrocchia “il miracolo di Dio dispiegato sul territorio”. Ripartire da questa esperienza significa affrontare con “la compagnia buona degli altri” quella solitudine che è “la madre di tutte le crisi”. Più ancora, significa lavorare per superare quella crisi di fede, che non tocca soltanto i lontani: oggi la stessa Chiesa, infatti, – è stato evidenziato in Assemblea – non è segnata da un deficit organizzativo, ma da una preoccupante crisi di fede. Per affrontarla i Vescovi hanno sottolineato la necessità di favorire la formazione, valorizzando i contenuti del Catechismo della Chiesa Cattolica, quale via per riprendere con forza anche l’insegnamento conciliare. Fa parte di questa priorità anche l’indicazione di rimettere al centro della vita ecclesiale il Magistero pontificio, facendone uno strumento essenziale per ricostruire un’identità nel popolo cristiano. 3.Atteggiamenti, contenuti e scelte di maturità La maturità della vita di fede – ossia vivere l’esperienza di Dio nella sequela di Gesù Cristo e nell’appartenenza ecclesiale – è ciò che fa passare da una religiosità puramente ereditata a una convinzione acquisita in maniera personale. Oltre ogni mediocrità, questa prospettiva richiede, secondo i Vescovi, di saper assumere e proporre un orizzonte di santità. Nel decennio che la Conferenza Episcopale Italiana dedica al primato dell’educazione, la missione più alta consiste così nel formare coscienze attente ad ascoltare la chiamata divina e a scoprire in essa la propria identità, la via per diventare testimoni di umanità compiuta fra gli uomini di oggi.

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Attorno a questo orizzonte – che nella scansione degli Orientamenti pastorali declina il tema dell’anno in corso – si è sviluppato un ampio confronto tra i Vescovi, approfondito anche nei lavori di gruppo. Le stesse parole del Santo Padre, nell’intervento di giovedì 24 maggio in Assemblea, sono andate in questa direzione: Benedetto XVI ha esortato l’episcopato a “vegliare e operare perché la comunità cristiana sappia formare persone adulte nella fede perché hanno incontrato Gesù Cristo, che è diventato il riferimento fondamentale della loro vita; persone che lo conoscono perché lo amano e lo amano perché l’hanno conosciuto; persone capaci di offrire ragioni solide e credibili di vita”. Muovendo dalla consapevolezza di come oggi la maturità umana e credente sia tutt’altro che scontata o acquisita una volta per tutte, i Vescovi si sono interrogati su come favorire la formazione, tanto a livello di atteggiamenti, che di contenuti e di scelte. Tra gli atteggiamenti, che una Chiesa orante e accogliente può sviluppare, hanno indicato il servizio, la comunione, la coerenza tra fede e vita; atteggiamenti da promuovere anche aiutando a riscoprire il valore del silenzio, la meraviglia verso i doni ricevuti, la libertà dalle diverse forme di dipendenza, la sobrietà. Quanto ai contenuti di una formazione adeguata agli adulti, la centralità riporta a Gesù Cristo e alla realtà ecclesiale, in un impegno che porti a superare il diffuso analfabetismo dottrinale, con la proposta anche di figure e di esperienza vive, esigenti, fraterne. Solo a queste condivisioni l’adulto sarà in grado di assumere quelle scelte che traducono la libertà in opzioni di fondo e in decisioni precise, rendendolo autenticamente uomo. 4. Una Chiesa esperta in umanità La quaestio fidei , posta nell’attuale cultura, ha caratterizzato l’apprezzato intervento del Segretario Generale e l’ampio dibattito che ne è seguito, attorno alla scelta del tema e delle modalità di preparazione del Convegno ecclesiale nazionale del 2015. Dopo aver riconosciuto come proprio la fede cristiana oggi rischi di diventare evanescente, i Vescovi hanno condiviso la necessità di trovare le forme con cui testimoniare che l’essere credenti crea le condizioni migliori di una vita piena e riuscita, nonché integrata in una prospettiva elevante ed eterna. Qui si radica la ricchezza della vocazione battesimale di ogni credente – è stata rimarcato – come delle vocazioni di speciale con-

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sacrazione. La fede, dunque, come risposta che ricrea l’umano, capace di fondare un nuovo umanesimo, una nuova umanità, aperta alla bellezza, all’arte, a uno sguardo che sa riconoscere i segni del Regno già presenti e operanti nella storia. Del resto, la Chiesa è esperta in umanità (Paolo VI), proprio perché vive in relazione con Dio; l’icona evangelica in cui si specchia è l’incontro al pozzo di Gesù con la donna samaritana (Gv 4), da cui nascono la conversione e la gioia dell’intera città. Sono tornate puntuali le parole rivolte ai Vescovi da Benedetto XVI: “Gli uomini vivono di Dio, di Colui che spesso inconsapevolmente o solo a tentoni ricercano per dare pieno significato all’esistenza”. Il Papa ha quindi aggiunto: “La missione antica e nuova che ci sta innanzi è quella di introdurre gli uomini e le donne del nostro tempo alla relazione con Dio, aiutarli ad aprire la mente e il cuore a quel Dio che li cerca e vuole farsi loro vicino, guidarli a comprendere che compiere la sua volontà non è un limite alla libertà, ma è essere veramente liberi, realizzare il vero bene della vita”. La ricchezza degli interventi inAssemblea sarà ripresa dal Consiglio Episcopale Permanente del prossimo settembre, chiamato a eleggere il Comitato preparatorio del Convegno e a definire anche una proposta di titolo che sarà infine sottoposta all’Assemblea Generale del 2013. 5. Messale Romano, la parola alla Santa Sede L’Assemblea Generale ha approvato pressoché all’unanimità sia i testi propri dell’edizione italiana, concernenti il corpus delle collette poste in Appendice del Messale Romano, sia la terza edizione italiana dello stesso nel suo insieme. È giunto così a conclusione l’iter per la sua approvazione definitiva da parte della Conferenza Episcopale Italiana, dopo che la prima parte era stata esaminata e approvata dalla 62a Assemblea Generale (Assisi, noa vembre 2010) e una seconda parte nel corso della 63 Assemblea Generale (Roma, maggio 2011). Il materiale complessivo può essere ora presentato alla Santa Sede per la necessaria recognitio, i cui esiti saranno vincolanti. 6.Abusi sessuali, le Linee guida In Assemblea sono state presentate le Linee guida per i casi di abuso ses-

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suale nei confronti di minori da parte di chierici. Il testo – sollecitato a ogni Conferenza Episcopale dalla “Lettera Circolare” della Congregazione per la Dottrina della Fede (maggio 2011) e approvato dal Consiglio Episcopale Permanente nella sessione del scorso 23-26 gennaio 2012 – è finalizzato a facilitare la retta applicazione delle norme circa i delicta graviora in questo ambito, alla luce anche della legislazione italiana. La protezione dei minori e la premura verso le vittime degli abusi rimangono la priorità assoluta; ad essa si accompagna la cura per la formazione di sacerdoti e religiosi. Le Linee guida si articolano in una Premessa e in tre successivi paragrafi, dedicati rispettivamente a delineare Profili canonistici, Profili penalistici e rapporti con l’autorità civile, nonché Il servizio della Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana. 7.Adempimenti in materia giuridico-amministrativa Come ogni anno, i Vescovi hanno provveduto ad alcuni adempimenti di carattere giuridico-amministrativo. È così stato presentato e approvato il bilancio consuntivo della CEI per l’anno 2011, sono stati definiti e approvati i criteri per la ripartizione delle somme derivanti dall’otto per mille per l’anno 2012 ed è stato illustrato il bilancio consuntivo dell’Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero per l’anno 2011. 8. Comunicazioni e informazioni Ai Vescovi è stato presentato il nuovo Statuto della Fondazione Migrantes – che recepisce le nuove indicazioni normative della Santa Sede e della CEI – e l’attenzione pastorale nel mondo delle migrazioni e della mobilità umana, profondamente mutato negli ultimi decenni anche in Italia. Una comunicazione è stata dedicata all’imminente Incontro Mondiale delle Famiglie (Milano, 30 maggio - 3 giugno 2012), dedicato al tema “La famiglia: il lavoro e la festa” e impreziosito dalla presenza del Santo Padre. È stata presentata in Assemblea una riflessione volta a condividere alcune linee operative per migliorare la qualità comunicativa e quindi l’immagine della Chiesa veicolata dai media. Si sono forniti, inoltre, ragguagli sul Seminario di studio per i Vescovi nell’Anno della Fede (Roma, 12-14 novembre 2012).Altre informazioni hanno riguardato la Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro

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(23-28 luglio 2013) e la Giornata per la Carità del Papa (24 giugno 2012), appuntamento annuale che esprime il profondo vincolo che unisce le Chiese in Italia con il successore di Pietro: ne è segno il fatto che, pur nel perdurare degli effetti della crisi economica, i dati relativi al 2011 attestano un ulteriore incremento (+ 1,2%). Infine, è stato presentato e approvato il calendario delle attività della CEI per l’anno pastorale 2012-2013. 9. Nomine Nel corso dei lavori, l’Assemblea Generale ha eletto Vice Presidente della CEI per l’area Sud S.E. Mons.Angelo SPINILLO, Vescovo diAversa. Il Consiglio Episcopale Permanente, nella sessione del 23 maggio, ha provveduto alle seguenti nomine: – Presidente del Comitato per i Congressi Eucaristici Nazionali: S.Em. Card.Angelo BAGNASCO (Arcivescovo di Genova). – Delegato della CEI presso la Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE): S.E. Mons. GianniAMBROSIO (Vescovo di Piacenza-Bobbio), per un ulteriore triennio. –Assistente ecclesiastico della Confederazione delle Confraternite delle Diocesi d’Italia: S.E. Mons. Mauro PARMEGGIANI (Vescovo di Tivoli), per un quinquennio. – Coordinatore nazionale della pastorale per le comunità cattoliche malgasce in Italia: Padre Pierre Emile RAKOTOARISOA, SJ, per un quinquennio. – Coordinatore nazionale della pastorale per le comunità cattoliche romene di rito latino in Italia: Mons. Anton LUCACI (Ias¸i – Romania), per un ulteriore quinquennio. – Presidente Nazionale Maschile della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI): Sig. Stefano NANNINI, per un biennio. Infine, ha fissato la data della prossima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Torino, 12-15 settembre 2013). Roma, 25 maggio 2012

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VESCOVO



S.E. Rev.ma Mons. Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro



Biografia S.E. Mons. Antonio De Luca è nato a Torre del Greco (Na), il 1 luglio 1956. Ha emesso i voti religiosi nella Congregazione del Santissimo Redentore il 29 settembre 1973. Ha frequentato i corsi filosofici e teologici presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Sezione San Luigi, in Napoli, conseguendo la Licenza di specializzazione in Teologia Morale, ed è stato ordinato sacerdote il 5 luglio 1981. Da allora ha ricoperto diversi incarichi nella Congregazione religiosa cui appartiene, soprattutto è stato impegnato nel curare la formazione degli studenti, ed ha poi ricoperto l’incarico di Superiore Provinciale della Comunità Redentorista. Direttore e Docente di Teologia morale nella Scuola di formazione per gli operatori pastorali della Diocesi di Napoli, al momento della nomina a vescovo è Pro-Vicario Episcopale per la vita consacrata, membro del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori dell’arcidiocesi partenopea. Notevole è stato il suo impegno per l’animazione delle missioni dei confratelli Redentoristi inArgentina ed in Madagascar. Il 26 novembre 2011, il Santo Padre Benedetto XVI lo ha nominato Vescovo di Teggiano-Policastro. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale nella Chiesa Cattedrale di Napoli il 7 gennaio 2012, nei primi vespri della festa del Battesimo del Signore. Ha iniziato solennemente il ministero pastorale nella Diocesi di Teggiano-Policastro il 4 febbraio 2012.

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BOLLA PONTIFICIA DI NOMINA BENEDETTO VESCOVO, servo dei servi di Dio, al diletto Figlio ANTONIO DE LUCA, della Congregazione del Santissimo Redentore, finora Pro Vicario Episcopale per la Vita Consacrata nell’Arcidiocesi di Napoli, eletto vescovo della Chiesa cattedrale di Teggiano-Policastro, salute e Apostolica Benedizione. Avendo a cuore le loro necessità spirituali e pastorali annunziamo a tutti i fedeli la speranza dei beni futuri, che infonde conforto già nel nostro pellegrinaggio terreno. Poiché la Diocesi di Teggiano-Policastro, che risplende per le sue antiche tradizioni e per la viva fede di quelli che diedero splendido esempio di amore a Cristo e alla Chiesa, dopo il trasferimento del Venerabile FratelloAngelo Spinillo alla Sede di Aversa è priva del suo pastore, Noi stessi, diletto Figlio, ci rivolgiamo a te, che promovesti con passione e dottrina il bene spirituale dei religiosi della Congregazione del Santissimo Redentore e dei fedeli dell’Arcidiocesi di Napoli, dando prova di qualità umane e cristiane. Per questo, in virtù della Nostra Apostolica autorità, con il consiglio della Congregazione per i Vescovi, ti costituiamo vescovo della Diocesi di Teggiano-Policastro con gli annessi diritti e i corrispondenti doveri. Potrai ricevere l’ordinazione episcopale, rispettando le norme liturgiche, fuori della città di Roma da qualsiasi vescovo cattolico. Ma prima dovrai emettere la professione di fede e prestare giuramento di fedeltà a Noi e ai Nostri Successori secondo le consuetudini della Chiesa. Esortiamo il clero e i fedeli affidati alla tua cura pastorale, ai quali notificherai questo Nostro decreto, ad osservare con esattezza nella vita di ogni giorno i divini precetti, in unione con il novello pastore ad essi assegnato. Raccomandiamo a te, diletto Figlio, di occuparti con il più generoso fervore, con rinnovate energie pastorali, della comunità di TeggianoPolicastro che, con l’intercessione di S. Cono, glorioso cittadino e patrono della Diocesi, devi confermare nella fede e guidare con saggezza. Roma, da San Pietro, ventisei novembre dell’anno del Signore 2011, settimo del Nostro Pontificato. BENEDETTO XVI

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STEMMA EPISCOPALE

L’emblema di giurisdizione del Ministero Episcopale di S.E. Mons.Antonio De Luca, nel solco della consuetudine della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, esplica negli elementi che compongono lo stemma, la persona del Vescovo, la Sua biografia, e la missione pastorale svolta in questi anni ispirata alla Parola di Dio che nella scelta del motto è così esplicitata: DUM OMNI MODO CHRISTUSADNUNTIETUR tratto dalla lettera di San PaoloApostolo ai Filippesi (Fil 1,18) esortando con queste parole il Popolo dei credenti all’annuncio di Cristo, in ogni modo, in ogni forma, come dice San Paolo: Purché in ogni maniera, Cristo venga annunziato, …io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene. Ecco il significato del motto pastorale scelto da Mons. De Luca: Purché in ogni modo la verità della salvezza, venga annunciata! Vi è qui un richiamo alla missionarietà della Chiesa sempre viva, l’itineranza diventa lo spazio vitale, stile e spirito dell’Apostolo di Cristo, che segue l’invito del Maestro: Andate, fate miei discepoli… Missionarietà ed itineranza sono dimensioni che riguardano tutto il Popolo dei Redenti chiamato a vivere la pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità, quale strada verso la santità, nella sequela Christi, nella consapevolezza che solamente nel mistero del Verbo incarnato trova luce il mistero dell’uomo; Cristo, infatti, rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione. (GS 22). Il richiamo alla realtà della Parola di Dio e al suo annuncio occupa nell’esistenza del Vescovo un’assoluta priorità, egli è consacrato per annunziare, attraverso la vita e la predicazione, l’abbondante Redenzione

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affinché il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami. (DV 1). Lo stemma è cosi composto: la prima parte è di rosso, smalto che richiama lo spargimento di sangue, ma anche l’audacia, la fortezza, il dominio e l’amore. In questo caso simboleggia quell’amore che è scaturito dal sangue versato da Nostro Signore Gesù Cristo, per redimere l’umanità intera dal peccato. Il rotolo delle Sacre Scritture, la pergamena della Parola è d’oro. L’oro è il metallo più nobile del blasone. È il metallo dei re, degli imperatori, ma è anche simbolo e segno di fede, quella fede che scaturisce dalla Parola di Dio. Le lettere capitali greche alfa e omega, l’inizio e la fine, sono poste sul rotolo rappresentando ciò che è stato in tutti questi anni per S. E. Mons. Antonio De Luca. Nella seconda parte dello stemma il neo Presule ha voluto rappresentare Maria Ss.ma e il mare che bagna le Diocesi di Napoli, da dove il vescovo proviene e di Teggiano-Policastro dove svolgerà il Suo Ministero di Pastore. Questi elementi di colore azzurro sono posizionati su di uno sfondo d’argento. Quest’ultimo, è il secondo metallo usato in araldica. È simbolo di purezza e concordia, di amicizia ed equità, l’azzurro richiama “la fermezza incorruttibile a somiglianza del cielo che non è soggetto a corruzione ne a mutazione”. La stella ad otto punte è icona di Maria, creatura esente da ogni macchia di peccato, Madre della Chiesa, socia della Redenzione, stella che risplende sul cammino di ogni uomo, porto sicuro di salvezza, avvocata e mediatrice di grazia, titoli cari alla spiritualità alfonsiana. Nella terza parte come abbiamo detto all’inizio, nel solco della tradizione, si è inserito lo stemma della Congregazione di provenienza di S. E. Mons. De Luca, i Missionari Redentoristi. La simbologia nello stemma della Congregazione del SS. Redentore è ricca di significato e fu in uso fin dalle origini della stessa, con poche variazioni ed ideato dallo stesso fondatore S. Alfonso dei Liguori. È raffigurato con al centro il simbolo della fede, la Croce che ricorda il momento culminante della redenzione: la morte e la Risurrezione di Nostro Signore Gesù. I monogrammi di Gesù (IS) e Maria (MA) che si vedono ai lati della croce, toccano due temi molto significativi per S.Alfonso nell’espressione di questo mistero: Cristo Gesù, espressione suprema dell’amore e della misericordia del Padre e Maria che intercede e ci accompagna verso il mistero del Figlio. L’occhio radiante è l’elemento più caratteristico dello stemma e si ricollega a delle apparizioni avvenute a Scala, pressoAmalfi, dove la Congregazione nacque. Si vede anche in es-

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so un riferimento all’influenza della Provvidenza nel piano della Redenzione, nell’origine dell’Istituto e nella vita interiore dei membri della Congregazione del SS.mo Redentore. Lo scudo è così araldicamente descritto: troncato semi-partito: nel primo, di rosso, al rotolo della Sacra Scrittura aperto, d'oro, caricato delle lettere greche maiuscole Alfa e Omega di nero male ordinate in fascia; nel secondo, d'argento, alla stella di 8 punte accompagnata in punta da tre fasce ondate diminuite il tutto d'azzurro; nel terzo, d'azzurro alla Croce latina al naturale piantata su un monte di tre cime verde uscente dalla punta, ai cui bracci sono addossate una lancia e una spugna poggiate sulle cime laterali e incrociate in decusse, la croce è addestrata dal nonogramma di Gesù (IS), sinistrata dal monogramma di Maria (MA) e sormontata in capo da un occhio raggiante il tutto d'oro. Il motto: DUM OMNI MODO CHRISTUS ADNUNTIETUR (Fil 1.18) che è in lettere latine maiuscole di nero con le iniziali di rosso, è caricato su di un cartiglio svolazzante al naturale, foderato di rosso.

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ALLA CHIESA DI DIO CHE È IN TEGGIANO-POLICASTRO Messaggio di P. Antonio De Luca C.Ss.R Vescovo eletto di Teggiano-Policastro 26 Novembre 2011

Miei carissimi fratelli e sorelle della Diocesi di Teggiano-Policastro «grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo». Mi presento a voi nel giorno in cui è reso pubblico il volere del Santo Padre Benedetto XVI che mi chiama a essere vostro Vescovo. Al Santo Padre Benedetto ho espresso la mia più viva gratitudine e ho rinnovato la mia obbedienza e fedeltà. Avverto nel cuore emozioni e sentimenti contrastanti per il dono così grande che il buon Dio ha voluto farmi. Non è semplice esprimere ciò che avviene nell'intimo quando Dio irrompe improvvisamente nella vita e chiede l'assunzione di compiti e responsabilità nuove, per porsi nel suo nome a servizio di persone che Egli ama. In primo luogo il mio pensiero e il fraterno saluto vanno al Vescovo Angelo, da tutti amato e stimato, che ha guidato con illuminata sapienza la nostra comunità diocesana negli ultimi anni: sono certo che continuerà a servirla e amarla con la preghiera e i suoi amorevoli consigli. Sicuro della Sua fraternità entrerò nella Chiesa di TeggianoPolicastro in maniera discreta e grata per il grande patrimonio di fede che in essa è custodita. Un saluto particolare agli altri Vescovi originari della Diocesi: Mons. Giuseppe Giudice, Vescovo di Nocera-Sarno, Mons. Antonio Cantisani, Arcivescovo emerito di Catanzaro-Squillace e Mons. Vincenzo Cozzi, Vescovo emerito di Melfi-Rapolla-Venosa. Un caro saluto intendo rivolgere ai sacerdoti della diocesi: cercherò di inserirmi con umiltà e disponibilità nella comunità diocesana imparando da voi ad ascoltare le esigenze della nostra gente laboriosa e semplice e a rispondervi coraggiosamente. Cari sacerdoti vi assicuro che sin d'ora occupate un posto prioritario e privilegiato nelle mie premure pastorali e già mi siete diventati cari.

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Le persone degli Istituti di vita consacrata, che saluto con particolare affetto, continueranno ad essere un richiamo forte di servizio e disponibilità per il bene di tutti, in armonia con le esigenze e la domanda della nuova evangelizzazione. Saluto i diaconi, i seminaristi, e ai giovani voglio ripetere: "Rispondere all'Amore... si può"! Cari giovani riservo per voi una gratitudine speciale per il cammino finora fatto ma anche la richiesta di un impegno generoso sulla strada che insieme dovremo percorrere. Non posso non sentirmi unito ai numerosi figli di questa terra benedetta da Dio, che per ragioni di lavoro risiedono e vivono in diverse parti del mondo. Stringo idealmente le loro mani laboriose e forti salutando tutte le loro famiglie. A tutte le famiglie della diocesi, alle persone provate dalla sofferenza, dalla malattia, e a quanti in questo momento di difficoltà sociale subiscono privazioni e disagio giunga sincero il paterno abbraccio e l'assicurazione di una particolare attenzione. Alle autorità civili e militari il saluto cordiale, nella certezza che un'indispensabile collaborazione potrà rendere più vivibile il nostro territorio, e più proficua la sincera ricerca del bene comune. Il misterioso disegno della Provvidenza ha fatto incrociare le nostre esistenze. Perciò voglio che la mia persona si consumi per il vostro bene, per la vostra crescita umana e cristiana e per la promozione di un mondo più giusto, solidale e umano. Le sfide del tempo presente ci vedranno impegnati insieme ad attraversare la porta della fede e a educarci alla vita buona del Vangelo alla scuola di Gesù nostro unico e comune Maestro. Il rinnovato cammino di conversione delle nostre comunità si concretizza nell'impegno di santità di ogni singolo battezzato. Il Santo Padre Benedetto XVI annunciando l'Anno della Fede ci invita: “a fare memoria del dono prezioso della fede” E aggiunge: «Vorremmo celebrare questo Anno in maniera degna e feconda. Dovrà intensificarsi la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come quello che l'umanità sta vivendo. Avremo l'opportunità di confessare la fede nel Signore Risorto nelle nostre Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo; nelle nostre case e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte l'esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre».(Porta Fidei n 8)

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Affido il mio ministero all'intercessione di S. Cono, protettore della cittĂ di Teggiano e della diocesi, a S. Pietro Pappacarbone, a S. Lucido abate e al Beato Domenico Lentini. S.Alfonso de' Liguori, fondatore della Congregazione dei Missionari Redentoristi e S. Gerardo Maiella, da tutti voi particolarmente venerato, mi sostengano e guidino i nostri passi sulla via della santitĂ . La Vergine Immacolata che accompagna il nostro cammino verso l'Avvento di Cristo, suo Figlio e nostro Redentore, ci sostenga e ci protegga. Vi abbraccio e nell'attesa di vedervi presto, con affetto vi benedico! Napoli, 26 novembre 2011. X Antonio De Luca C.Ss.R. Vescovo eletto di Teggiano-Policastro

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Ringraziamento di S.E. Mons. Antonio De Luca al termine dell’Ordinazione Episcopale Duomo di Napoli, 7 Gennaio 2012

Eminenza Reverendissima, Eccellenze Reverendissime, cari amici, «Io rendo continuamente grazie per voi al mio Dio, a motivo della grazia che vi è stata data in Cristo Gesù. In lui siete stati arricchiti in ogni cosa, in ogni dono di parola e in ogni conoscenza, per la testimonianza di Cristo, che è stata confermata tra voi. Così che non vi manca alcun dono, mentre aspettate la manifestazione del Signor nostro Gesù Cristo». (1 Cor. 1,4-8). La Chiesa celebra oggi il Battesimo di Gesù, momento inaugurale del suo ministero pubblico. Questo evento costituisce la solenne proclamazione della missione di Cristo, aprendo uno sprazzo di luce sul mistero della sua persona. Non si tratta solo della manifestazione di Gesù al mondo, ma anche della rivelazione del volto nascosto di Dio all'umanità! Al Giordano, per la prima volta, il Cielo si "lacera" per elargire lo Spirito (Mc 1,10), dando realizzazione all'invocazione di Isaia: « Se tu squarciassi i cieli e discendessi» (63,19). In Gesù contempliamo il volto del Padre ed il dono del suo Spirito. Subito lo stesso Spirito spinge Gesù – anzi "lo scaraventa" afferma Marco (cf 1,12) – nel deserto e poi nell'annuncio del Regno: quasi a dire che non c'è manifestazione o conoscenza autentica del Padre che non sfoci in una proclamazione esplicita del Vangelo. Il Battesimo è allo stesso tempo momento rivelativo, carismatico e missionario. Contemplazione del volto di Dio, sottomissione alla voce dello Spirito e proclamazione del Vangelo sono i tre eventi del Battesimo di Gesù, che la liturgia di oggi mi consegna come modello per il mio ministero episcopale. In questo giorno, per me ricco di grazia, intendo insieme a voi rivolgermi alla SS.ma Trinità, rendendo grazie al Padre, Figlio e Spirito Santo per il dono ricevuto dal Successore di Pietro, di "presiedere nella carità" la

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Chiesa di Teggiano-Policastro. La comunione col popolo santo di Dio edifica la mia missione pastorale, difatti: «La comunione al mistero trinitario si esprime sempre nella missione. Questa è il frutto e la conseguenza logica della comunione». (Pastores Gregis, 22) Il mio ringraziamento va al S. Padre Benedetto XVI, a cui prometto la mia obbedienza incondizionata, in una fedeltà generosa e creativa. Manifesto vivissima e profonda gratitudine a Lei Eminentissimo Padre, Signor Cardinale Crescenzio Sepe, per la pienezza del sacerdozio ricevuto mediante l'imposizione delle sue mani e la preghiera di consacrazione. Lo stile e lo spirito pastorale con il quale vostra Eminenza serve la Chiesa di Napoli costituisce uno stimolo ed un mònito per il mio servizio episcopale. I legami di affetto e di stima si consolidano in una comunione ecclesiale che, a partire da Lei, raggiunge i carissimi Vescovi ausiliari, i presbiteri, i religiosi e tutto il popolo santo di Dio, in questo tempo speciale del post-giubileo. Ringrazio il Nunzio Apostolico in Italia, Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Adriano Bernardini e i collaboratori della Nunziatura Apostolica in Italia per la cordialità che mi ha manifestato nei vari incontri e circostanze. Rivolgo un particolare e fraterno saluto agli Eccellentissimi Vescovi Con-conconsacranti: al carissimo confratello e amico, l'Arcivescovo Joseph Tobin, Segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata, già Superiore Generale dei Missionari Redentoristi negli anni in cui ho servito la Provincia Religiosa come Superiore dell'Italia Meridionale; al VescovoAngelo Spinillo, pastore diAversa e amministratore apostolico della Chiesa di Teggiano-Policastro, dico "grazie" per l'accoglienza e l'aiuto che mi ha elargito fin dal primo momento della mia nomina. Il ricordo grato e fraterno va anche ai predecessori nel governo pastorale della diocesi: Mons. Bruno Schettino, ora Arcivescovo di Capua, e Mons. Francesco Pio Tamburrino, oraArcivescovo di Foggia-Bovino. Saluto e ringrazio gli Arcivescovi e Vescovi della Conferenza Episcopale Campana: mi presento a voi come fratello bisognoso di aiuto e sostegno che - sono certo - non mi farete mancare. Nella comunione con voi sperimenterò la bellezza dell'unità, nel Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Un fraterno ringraziamento anche agli altri Vescovi che hanno voluto

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onorarmi con la loro presenza e preghiera e particolarmente i Vescovi provenienti dal Madagascar, Mons. Antonio Scopelliti, Vescovo di Ambatondrazaka e Mons. Gaetano Di Pierro, Vescovo di Moramanga, ai quali sono legato da vincoli di amicizia e stima. Non sarà mai abbastanza il sentimento di gratitudine per l'aiuto e l'incoraggiamento che hanno mostrato verso i tanti progetti intrapresi dai Redentoristi per la splendida Chiesa del Madagascar. Alla Congregazione del SS.mo Redentore e a tutti i miei confratelli, qui rappresentati dal Vicario Generale, dal Presidente della Conferenza d'Europa (Jacek Zdrzalek), dai Provinciali di Roma e Napoli, e dai confratelli della Comunità internazionale di Roma e dalle comunità sparse nell'Italia Meridionale, dai laici redentoristi: il ringraziamento per la loro vicinanza. Ai cari amici sacerdoti dell'Arcidiocesi di Napoli e delle diocesi vicine rivolgo il mio ringraziamento per la cordialità e la fiducia riposta nella mia persona. Il vostro generoso servizio pastorale e la vostra dedizione all'edificazione del Regno di Dio mi sono di modello. Porto vivo con me anche l'affetto e il calore dei sacerdoti del XIII Decanato, e i cari fedeli della Parrocchia del SS. Crocifisso di Torre del Greco, accorsi numerosi. Alle persone della Vita consacrata, ai responsabili degli organismi regionali e diocesani di CISM, USMI e CIIS, a religiosi, religiose, istituti secolari, ordo virginum, va il mio saluto per la coraggiosa testimonianza nell'annuncio del Vangelo, in un clima reso talvolta ostile da prospettive di vita che pretendono di fare a meno di Dio. La Chiesa si attende da noi inedite e sorprendenti modalità di testimonianza del primato di Dio, ed un rinnovato entusiasmo nella sfida della nuova evangelizzazione. A tal proposito il nostro Arcivescovo, durante la celebrazione dell'Anno Giubilare per la nostra Diocesi, ci ha costantemente ricordato l'efficacia e il grande valore educativo che dobbiamo riporre nell'attenzione alla "pedagogia dei segni concreti" Durante il servizio come Pro-vicario per la vita consacrata nell'Arcidiocesi, ho sperimentato la presenza paterna ed incoraggiante del p. Filippo Grillo, a cui rinnovo il mio affetto e la mia gratitudine. All'Arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini e al Delegato arcivescovile Dott. Oreste Ciampa che la guida, va il saluto e l'auspicio di una rinnovata effusione dello Spirito, sorgente di comunione ecclesiale nella carità.

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Alla Chiesa di Teggiano-Policastro confermo i vincoli di unità e di carità: vengo tra voi per essere il "collaboratore della vostra gioia" (2 Cor 1,24). Siete giunti numerosi dalle varie parrocchie della diocesi, vi abbraccio tutti e vi benedico! Sento grave il monito dell'insegnamento della Chiesa: «ogni Vescovo è conformato a Cristo, per amare la Chiesa con l'amore di Cristo sposo e per essere, nella Chiesa, ministro della sua unità » (Pastores gregis 13). Se è vero che la diocesi ha bisogno di un vescovo, è altrettanto vero che ogni vescovo ha bisogno della vicinanza della sua gente, per essere per tutti guida e sostegno. Soprattutto a voi, cari giovani di TeggianoPolicastro, rivolgo un caro abbraccio. Non siete soltanto il futuro, ma anche il presente straordinario della Chiesa di Cristo: a Lui guarderemo insieme, certi che ci farà progredire nella sua conoscenza e nel suo amore. Ai cari sacerdoti, ai religiosi e religiose, ai diaconi ed ai seminaristi di Teggiano-Policastro chiedo di accogliermi con carità e pazienza, instaurando un clima di serena collaborazione e di vicendevole rispetto. [«La Chiesa particolare, è una comunità di fedeli affidata alla cura pastorale del Vescovo cum cooperatione presbyterii. Esiste, infatti, tra il Vescovo e i presbiteri una communio sacramentalis in virtù del sacerdozio ministeriale o gerarchico, che è partecipazione all'unico sacerdozio di Cristo e pertanto, anche se in grado diverso, in virtù dell'unico ministero ecclesiale ordinato e dell'unica missione apostolica» (Pastores gregis 47)]. Cari sacerdoti vi assicuro la condivisione, la preghiera ed il sostegno nella cura pastorale delle comunità a voi affidate, e nei diversi ambiti di servizio nei quali annunciate il vangelo. Tra pochi giorni sarò tra voi e con voi. Mi accompagna il Vescovo e Dottore della Chiesa Alfonso de Liguori, del quale celebriamo quest'anno il 250mo anniversario della sua elezione all'episcopato. Egli scrive nel suo libretto "Riflessioni utili ai Vescovi": «i buoni sacerdoti sono il braccio del vescovo, senza cui non potrà mai vedere ben coltivata la sua Chiesa; al che molto giova che egli procuri di dimostrare tutta la sua benevolenza verso i sacerdoti…». Alla mia famiglia: grazie per aver sempre sostenuto ed incoraggiato il mio percorso vocazionale con la testimonianza, la preghiera e l'affetto. A mio papà, ormai anziano, l'espressione della mia gratitudine per la laboriosità e l'impegno trasmessi col suo esempio. Indelebile resta il ricordo di colei che mi ha generato alla vita ed alla fede, e che in questo momento

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dal cielo prega e gioisce per me. Non dimentico, infine, i Signori Sindaci delle Amministrazioni comunali della Diocesi, e tutti gli altri Rappresentanti delle Istituzioni civili e militari di ogni ordine e grado, e tutti coloro che sono in comunione spirituale e di preghiera attraverso le emittenti televisive. Abbiamo vissuto questo evento di fede anche grazie all'impegno organizzativo profuso dal Vicario per la Liturgia e Cerimoniere dell'Arcivescovo, Mons. Salvatore Esposito e dai suoi collaboratori, ai quali va il mio grazie riconoscente. Su voi tutti, amici e conoscenti convenuti da diverse parti, imploro dal Padre celeste il dono consolante della sua benedizione. Affido la mia missione episcopale ai santi Alfonso Maria de Liguori, Gerardo Maiella, Cono e Pietro Pappacarbone, e soprattutto alla Vergine e Madre del Perpetuo Soccorso. Sia Lei a vegliare, sostenere e guidare ogni passo del mio ministero. Grazie!

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SALUTO ALLA CITTÁ DI TEGGIANO nel giorno dell’Inizio del Ministero Pastorale di S.E. Mons. Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro 4 Febbraio 2012

Sono lieto di vivere il mio primo incontro con la Chiesa di TeggianoPolicastro in questo luogo dove si erge la statua del nostro Santo Patrono San Cono, quasi a protezione di tutti noi, ad indicarci, dall’alto della sua posizione, il cielo come mèta del nostro pellegrinaggio. Ringrazio di cuore il Sindaco di Teggiano, Sig. Michele Di Candia, per le cortesi espressioni di benvenuto che ha voluto rivolgermi. Ringrazio inoltre per la sua presenza la giunta comunale che rende più ricco questo nostro primo incontro. Saluto e ringrazio di cuore i Sindaci che rappresentano le varie comunità che compongono la nostra Diocesi. Un particolare e deferente saluto alle autorità politiche, civili e militari, ai rappresentanti delle istituzioni a coloro che in ogni ordine e grado s’industriano per la ‘vivibilità’ del nostro territorio e per la promozione della qualità delle nostre relazioni interpersonali. La preoccupazione per una cultura che rispetta la dignità della persona, l’edificazione del bene comune e la responsabilità della solidarietà saranno oggetto di comune impegno ecclesiale e civile. Nella comunione il percorso diventa più facile ed agevole. Le contrapposizioni e gli sterili steccati possono vanificare la bellezza della pluralità delle vedute che se ci distinguono, non possono tuttavia distoglierci dal comune impegno per il bene di tutti, convinti che tutto ciò che è autenticamente umano è già cristiano! Ringrazio tutti voi per la vostra presenza numerosa, questa accoglienza mi fa sentire a casa, ma permettetemi di ringraziare soprattutto i giovani: sappiate che voi sarete una priorità della nostra pastorale diocesana, la vo-

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stra crescita mi sta a cuore più di ogni altra cosa perché un giorno possiate essere cittadini e cristiani impegnati per il progresso di tutti. Grazie all’accompagnamento spirituale e pastorale dei nostri sacerdoti, avete fatto esperienza di Gesù Cristo, credete nel suo Vangelo, per questo siete chiamati a continuare in questa vostra crescita, mettendo a servizio di tutti le vostre capacità, le vostre doti, la vostra intelligenza, il vostro entusiasmo, il vostro impegno, offrendo il vostro personale contributo perché la Chiesa e le vostre Città siano sempre luoghi di incontro e di condivisione. Cari Sacerdoti, Religiosi, religiose, diaconi, operatori pastorali formatori ed educatori abbiamo la responsabilità gravissima di formare i nostri battezzati ad una robusta unità di vita, ad una coerenza tra fede e comportamento, tra Vangelo e cultura, così come la Costituzione Pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II significativamente sottolinea: «compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile, ma che cerchiamo quella futura, pensano di potere per questo trascurare i propri doveri terreni e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno … i fedeli siano desiderosi di «esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissimadirezione tutto viene coordinato a gloria di Dio» (n. 43). Saluto con particolare affetto coloro che oggi non sono qui fisicamente perché sofferenti e ammalati, sono certo che la loro preghiera “sale a Dio come sacrificio di soave odore”. Dal cuore di questa terra il mio pensiero e l’abbraccio di tutti noi vuole raggiungere i nostri conterranei che hanno valicato i confini nazionali, e nelle terre d’oltre oceano hanno custodito la fede dei padri, le tradizioni apprese in famiglia e che hanno soprattutto portato alto il nome e l’onore della laboriosità e dell’intraprendenza delle popolazioni del Vallo di Diano e del Golfo di Policastro. Da oggi mi inserisco in un territorio splendido, ricco di tradizioni e di bellezza naturale, con un passato eroico, dove si può trovare ancora oggi, la genuinità della vita, della fede, dell’educazione. Per questo guarderemo al futuro con la precisa volontà di salvaguardare, accrescere e trasmettere il bene ed il bello di cui siamo i destinatari e custodi.

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In questo nostro contesto di crisi economica dagli esiti imprevedibili e che ha toccato tutti, il Santo Padre Benedetto XVI (alla preghiera dell’Angelus il 7 gennaio 2012) ha ricordato che : «la Chiesa, grazie alla Parola di Dio, vede attraverso queste nebbie. Non possiede soluzioni tecniche, ma tiene lo sguardo rivolto alla meta, e offre la luce del Vangelo a tutti gli uomini di buona volontà, di qualunque nazione e cultura». Chiesa e PubblicaAmministrazione abbiamo inoltre il dovere etico di farci carico della fasce più deboli e più provate, di andare incontro a coloro a cui manca il necessario per l’onesto sostentamento: ciò sarà per tutti noi occasione di mostrare, senza tentennamenti, che «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (GS, 1). Ognuno di noi deve impegnarsi perché «sia reso accessibile all'uomo tutto ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l'abitazione, il diritto a scegliersi liberamente lo stato di vita e a fondare una famiglia, il diritto all'educazione, al lavoro, alla reputazione, al rispetto, alla necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso» (GS, 26). Se riusciremo a migliorare la società in cui viviamo realizzeremo pienamente non solo la nostra vocazione umana, ma anche la nostra vita cristiana potrà aprirsi all’infinito di Dio. San Cono, cittadino e Protettore di Teggiano e dell’intera Diocesi, benedica tutti noi. Grazie!

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INIZIO DEL MINISTERO PASTORALE DI S.E. MONS. ANTONIO DE LUCA VESCOVO DI TEGGIANO-POLICASTRO Omelia Cattedrale di Teggiano 4 febbraio 2012

Carissimi Amici, Oggi con il mandato del Santo Padre Benedetto XVI, al quale va la mia riconoscenza e il mio impegno di fedeltà, vengo tra voi per essere con voi umile cercatore di Dio e artigiano di comunione. In nome del Vangelo che crediamo, io e voi fin da oggi dobbiamo manifestare una totale e incondizionata disponibilità verso quanti sono impegnati a edificare la mistica comunione nel Corpo di Cristo che è la Chiesa e verso quanti ancora non vi appartengono (cfr Pastores Gregis, 42). Eminenza Reverendissima Sig. Cardinale Crescenzio Sepe, Presidente della Conferenza Episcopale della Campania; Ecc.za Rev. MonsAngelo Spinillo, AmministratoreApostolico della Diocesi di Teggiano-Policastro; EccellentissimiArcivescovi e Vescovi convenuti; M. R. P. Provinciale dei Redentoristi d’Italia Meridionale, Carissimi Confratelli Redentoristi e gruppi provenienti da alcune comunità dell’Italia Meridionale; Carissimi Sacerdoti, Religiosi e Religiose, Seminaristi, Diaconi, rappresentanti di gruppi, movimenti ed associazioni; carissimo Don Salvatore Sanseverino, delegato ad omnia della Diocesi; Signori Sindaci; Autorità Civili e militari; Giunga a tutti voi il saluto deferente e rispettoso unito al grato ringraziamento per l’espressione della vostra vicinanza che si è concretizzato nell’accogliere l’invito ad essere qui questo pomeriggio, «ringrazio sem-

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pre Dio per tutti voi ricordandovi nelle mie preghiere … memore davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo». (I Ts 1,1). In particolar modo desidero salutare i giovani della nostra Diocesi ai quali prometto un accompagnamento particolare e paterno. Agli ammalati, alle persone sole ed anziane, ai fratelli e alle sorelle provenienti da altre nazioni e che risiedono nel nostro territorio, il mio fraterno pensiero e il mio saluto. Ci poniamo in ascolto della Parola di Dio proclamata nella nostra assemblea dalla quale vogliamo trarre alimento e alla quale costantemente dobbiamo riferirci per comprendere la volontà di Dio su ciascuno di noi, sulle nostre famiglie, sulle nostre comunità e sulla nostra Chiesa Diocesana. Il racconto del Vangelo intende mettere in luce la realizzazione dei tempi messianici, il tempo di Dio si è compiuto in Gesù, e la certezza di questo tempo pieno è la gioia ridonata ai peccatori, ai malati, agli esclusi… Gesù guarisce e libera da ogni impedimento verso la gioia e verso la salvezza e i destinatari sono tutti gli uomini. Gesù è consapevole che il concorso entusiasta di popolo, che accompagna i suoi miracoli può oscurare il senso vero della sua missione perciò Gesù nel ritiro e nella preghiera riprende continuamente contatto con il Padre, per confrontarsi con la sua volontà alla quale intende restare filialmente fedele. La preghiera di Gesù è il culmine della sua attività ma è anche sorgente di nuove e impegnative iniziative. Gesù riafferma la sua preoccupazione missionaria e abbandona i suoi concittadini per percorrere tutta la Galilea, poiché «per questo egli è venuto». L’annuncio del Vangelo è il servizio più autentico e veritiero che la Chiesa rende al mondo. Per tutti i cristiani questo annuncio si connota di responsabilità, di conoscenza, di testimonianza e di impegno che deve essere tradotto da una teoria alla prassi della vita quotidiana, impregnare di Vangelo la vita familiare, la politica, l’economia, la convivenza delle nostre città e dei nostri paesi… Questo sforzo si chiama “convertirsi e credere nel Vangelo!”. Paolo ci ricorda che il suo correre per il mondo ad annunciare il vangelo non è frutto di iniziativa personale … ma è il dono della chiamata. Perciò né il vangelo né quello che egli fa per esso è motivo di vanto o di gloria personale. L’unica premura è che il vangelo conquisti i cuori.

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Il messaggio della lettura del libro di Giobbe, prefigura ciò che oggi è la certezza: persino le vicende più tristi e i momenti più amari di sofferenza e di solitudine determinati dalle privazioni e dalla malattia possono essere compresi alla luce del Vangelo, come ci ricorda il Concilio: (cfr GS 22): «Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che senza il suo Vangelo sarebbe insopportabile…». Porremo attenzione a muovere i primi passi nella continuità e nella custodia premurosa dei percorsi fatti e delle prospettive aperte. Guarderemo insieme verso alcuni orizzonti pastorali da condividere e da far maturare insieme agli organismi di partecipazione e di comunione, individuando altresì le mete, le risorse, i tempi e i protagonisti.Abbiamo dinanzi alcuni obiettivi: la prospettiva della nuova evangelizzazione; il primato della Parola di Dio, la carità della comunione. 1. “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6). «Molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». L’aver misconosciuto e abbandonato Gesù è significato per molti uomini e donne l’impatto doloroso con la solitudine e la tristezza di chi, smarrito e sconfitto, ha cercato di costruire la sua vita senza Dio. A questi fratelli e sorelle vogliamo guardare in questo momento di particolare trepidazione della storia. Siamo invitati ad entrare nella stagione della nuova evangelizzazione “per riscoprire la gioia del credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede“ (Benedetto XVI 15 ottobre 2011) con la consapevolezza che la fede si rinnova donandola! Non si tratta solo di trovare nuove strategie di evangelizzazione, né solo di rivitalizzare i nostri collaudati percorsi pastorali, nuova evangelizzazione è soprattutto una spiritualità che ci permettere di riscoprire l’intimità della nostra amicizia con Gesù, la dolcezza della sua parola sanante e santificante, il gusto di sentirsi consegnati dalle mani di Lui che è il Pastore grande delle nostre anime (Eb 13,20) alla infinita misericordia del Padre. La comunione con Gesù Cristo ci spinge a ritrovare il nostro ruolo e la nostra vocazione nella Chiesa che attraverso la liturgia, soprattutto l’Eucarestia ci rende destinatari di una rinnovata effusione dello Spirito Santo. Con Gesù siamo nella Chiesa, in comunione mistica con i santi e i testimoni del Vangelo. Soprattutto ai laici vorrei ricordare che il loro apostolato è «…partecipazione alla missione sal-

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vifica stessa della Chiesa; a questo apostolato sono tutti destinati dal Signore stesso per mezzo del battesimo e della confermazione … Ma i laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo. Così ogni laico, in virtù dei doni che gli sono stati fatti, è testimonio e insieme vivo strumento della stessa missione della Chiesa « secondo la misura del dono del Cristo » (Ef 4,7). (LG 33). La nuova evangelizzazione deve avere come obiettivo l’incontro personale con Cristo, ma anche individuare le modalità per una conoscenza approfondita dei contenuti della nostra fede. Per questa ragione accoglieremo come provvidenziale l’indizione dell’Anno della Fede voluto da Papa Benedetto XVI, che anche nella nostra diocesi, ci aiuterà a ricomprendere il messaggio sempre attuale del Concilio Vaticano II e del Catechismo della Chiesa Cattolica. Alla luce di queste esigenze è necessario pensare la formazione degli operatori pastorali, la formazione permanente dei presbiteri, la formazione iniziale dei nostri seminaristi. Su queste indicazioni è anche urgente rimodellare il primo e rinnovato annuncio della fede che non solo vuole rimotivare la fede di quanti già si sentono membra vive della Chiesa, ma soprattutto riuscire a trasmettere l’esaltante avventura di fede a quanti sono lontani, a coloro che restano esitanti sulla soglia e a tutti coloro che per qualunque ragione hanno smarrito la fede. Non possiamo ignorare che alle radici di un indebolimento dell’adesione di fede «possono aver contribuito non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione» (GS, 19). Abbiamo come indicazione l’impegno a riqualificare i percorsi d’iniziazione cristiana senza trascurare gli itinerari per gli adulti che già percorrono sentieri maturi di fede. 2. "Guai a me se non predicassi il vangelo!" (1 Cor 9,16) L’apostolo Paolo ritiene la responsabilità del servizio alla Parola non una iniziativa personale, “è un incarico che mi è stato affidato” (v. 17), ed è per questo che non può non predicare. In Paolo è forte la coscienza dell’urgenza di questo compito. Egli arriva a dire che per lui sarebbero solo guai se non predicasse. Ecco, è proprio co-

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sì: sarebbero guai per una Chiesa che non predicasse più, che non sentisse il primato dell’annuncio della Parola su ogni altra cosa. Guai, perché finirebbe per tradire se stessa, per acquisire un volto che non è il suo volto, per fare altro da ciò che il suo Signore le chiede. Tutto ciò che Dio si aspetta da noi, dalla sua Chiesa, è che essa annunci il vangelo del suo Figlio, che sia capace di far conoscere e di testimoniare alla generazione nella quale vive la vita, le parole, la Pasqua del Signore Gesù. Il mio servizio tra voi è finalizzato all’annuncio esplicito e straordinario della Bella notizia di Gesù Cristo. Soprattutto riscoprirsi frequentemente, io e voi, alla scuola dell’unico Maestro. Ho meditato a lungo le parole del santo vescovoAgostino: «Nei vostri riguardi siamo come pastori, ma rispetto al sommo Pastore siamo delle pecore come voi. A considerare il posto che occupiamo, siamo vostri maestri, ma rispetto a quell’unico Maestro, siamo vostri condiscepoli e frequentiamo la stessa scuola» (En. in Ps 126,3). La Parola, annunciata e creduta, che genera la fede, deve permeare l’azione pastorale delle comunità cristiane, l’incontro con la persona di Gesù Cristo avviene accostandosi alle Scritture, egli si comunica a noi attraverso la sua Parola. È necessario dunque incrementare la pastorale biblica nella prospettiva che si giunga ad una animazione biblica dell’intera pastorale. Questo grave compito dell’annuncio della Parola grava soprattutto sul Vescovo che, attraverso l’Ordinazione episcopale, ha ricevuto la fondamentale missione di annunciare autorevolmente la Parola, restando ad essa sottomesso. La prospettiva dell’educazione alla vita buona del Vangelo significa anche impegno a indicare la vita nello Spirito come vita riuscita in pienezza. La spiritualità non si esaurisce esclusivamente nella pratica religiosa, ma è soprattutto risposta etica alla vocazione cristiana, vita secondo i doni dello Spirito. Senza un recupero sincero della vita spirituale ogni nostro programma rischia di diventare una efficace organizzazione, ma la vita in Cristo e nella Chiesa si poggia sulla dimensione spirituale della nostra adesione al Vangelo. Perciò la fonte viva di ogni autentica spiritualità cristiana resta sempre la Parola di Dio (cf Vita Consecrata 94). La lectio divina è l’incontro con una persona viva, con Dio stesso che parla, rivela la sua volontà e sostiene le nostre scelte: “Qualunque cosa tu faccia, appoggiati sulla testimonianza delle sante Scritture”, diceva

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Antonio, il padre dei monaci (Serie alfabetica,Antonio 3). E’ necessario riprendere tra le mani il Vangelo, per comprenderlo, pregarlo e soprattutto permettere alla Parola di operare le necessarie trasformazioni nella nostra vita. La Parola di Dio ci impegna a testimoniare la fede in una carità operosa. È un invito a uscire dai nascondigli delle nostre certezze per incontrare Cristo presente nei fratelli. Siamo invitati dalla Parola a verificare la nostra coerenza cristiana e la nostra responsabilità missionaria a favore della solidarietà universale. Il riferimento alla Parola diventa dunque la fonte e la ragione di ogni impegno e di ogni vocazione nella Chiesa, laici, presbiteri, religiosi, diaconi, seminaristi… Per tutti risuona l’appello etico: la grandezza della vocazione dei fedeli in cristo consiste nell’obbligo di portare frutto nella carità per la vita del mondo (cf O.T., 16). 3. «Purché Cristo venga annunziato» Questo principio pastorale rivolto alla comunità di Filippi, fu determinato nell’animo dell’apostolo Paolo dalla consapevolezza che nella sfida pastorale bisogna avere la forza di trasformare tutte le difficoltà in opportunità, di servirsi persino degli ostacoli per farli diventare ponti di incontri e di trasmissione della fede. All’apostolo Paolo viene riferito che «alcuni, è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, ma altri con buoni sentimenti. Questi lo fanno per amore, sapendo che sono stato posto per la difesa del vangelo; quelli invece predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non pure, pensando di aggiungere dolore alle mie catene». L’Apostolo non si lascia turbare, ma con lucidità e senza arrendevolezza proclama che, di fronte all’urgenza dell’annuncio e alla grazia del Vangelo, tutto è occasione per trasmettere il bene… non interessano le contese umane, non importano i protagonismi eccessivi, non è di ostacolo la superbia e nemmeno nostri limiti umani, tutto questo che conta? Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene» (Fil., 1, 1518). La passione per l’annuncio della copiosa Redemptio ci spinge a non sottovalutare il bene intorno a noi, ci aiuta ad accogliere con simpatia e sufficiente discernimento le suggestioni che ci giungono dalla tradizione del-

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la pietà popolare, dal mondo della cultura, dall’arte. Una disponibilità sincera al dialogo e al confronto franco e cortese con tutti ci colloca nel comune esercizio della ricerca della verità e dell’edificazione della civiltà dell’amore. Alla Vergine Maria Madre del Redentore e madre nostra affido gli inizi del mio ministero pastorale. A te, Vergine Maria volgeremo lo sguardo, saremo attenti alla tua voce, tu dona a tutti la gioia di camminare nella consapevole e attiva solidarietà con i più poveri, annunciando in modo nuovo e coraggioso il Vangelo del tuo Figlio, fondamento e culmine di ogni umana convivenza, che aspira ad una pace vera, giusta e duratura. A te non manca né potenza, né bontà per soccorrerci in ogni necessità e in ogni bisogno. Quella attuale è l’ora tua! Vieni dunque in nostro aiuto e sii per tutti noi rifugio e speranza. Amen!

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CELEBRAZIONE EUCARISTICA Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Concattedrale di Policastro Bussentino 11 febbraio 2012

A pochi giorni dal mio ingresso in Diocesi sono qui, dove la fede dei nostri padri è nata e si alimentata, a presiedere questa eucaristia in questa Chiesa Cattedrale. Ringrazio per l'accoglienza l'Amministratore Parrocchiale Don Antonino Savino, i parroci e i sacerdoti presenti e tutti coloro che si sono adoperati per la preparazione di questo evento. Mi riempie di viva commozione essere oggi su questa Cattedra dalla quale rifulse il Magistero di alcuni venerati predecessori, tra i quali il Servo di Dio Mons. Federico Pezzullo, qui sepolto e del quale è in corso il processo di Beatificazione e Mons. Umberto Altomare; ma il pensiero va alla santa e venerata memoria di Mons. Nicola Maria Laudisio, redentorista e vescovo di questa antica e nobilissima Diocesi dal 1824 al 1862. Guardo con venerazione a queste grandi figure di Pastori generosi che per il bene del popolo di Dio hanno consumato la loro esistenza. La liturgia della Parola di questa VI domenica del tempo ordinario ci pone dinnanzi al prodigioso intervento di Gesù a favore di un malato di lebbra, una delle malattie più terribili, estremamente contagiosa e che soprattutto è orrenda nei suoi effetti, cioè il disfacimento della carne mentre si è ancora in vita. Esperienza terrificante! Ancora di più perché al lebbroso non era consentito vivere insieme agli altri, poiché ritenuto impuro era rifiutato da tutti e tagliato fuori dalle relazioni. Va ricordato che nell'Israele antico il lebbroso rappresentava la persona emarginata per eccellenza: colpito da una malattia sentita non solo come ripugnante, ma anche come giusta punizione divina per i peccati commessi, il lebbroso viveva la condizione più disperante e vergognosa in Israele. Alle sofferenze fisiche si aggiungevano infatti quelle connesse alla sua separazione dalla famiglia e dalla società, nonché il giudizio religioso che faceva di lui un peccatore e, dunque, un castigato da Dio

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(cf. Nm 12,14; Lv 13,45-46). Non dobbiamo scandalizzarci per questo: accade anche a noi oggi ragionare in un certo modo: se la sofferenza bussa alla nostra porta subito diciamo: Che male ho fatto; quando invece vediamo soffrire un altro siamo tentati di giudicare la sua malattia come un guaio meritato. La lebbra al tempo di Gesù era il segno inequivocabile di una vita immorale, lontana da Dio, il quale colpisce il peccatore con questa terribile malattia. Gesù, con il suo comportamento e i suoi gesti smentisce questa visione e l'Evangelista Marco sottolinea che la potenza di Gesù salva anche coloro che la legge mosaica riteneva irrimediabilmente esclusi; Gesù abbatte e sovverte la separazione legalistica tra il puro e l'impuro, ciò che rende talvolta l'uomo indegno sono i giudizi emessi, le diffidenze diffuse, il sospetto che separa, la critica che rende l'altro un avversario o un antagonista. Vorrei sottolineare alcuni passaggi fondamentali: - La condizione di miseria del lebbroso suscita in Gesù un moto di compassione: egli è preso allo stomaco, come una mano che stritola le viscere, una partecipazione umana che lo spinge ad agire. Solo una profonda umanità ci colloca nella logica sincera della solidarietà. - Il lebbroso, sebbene non compie un atto di fede, nell'atteggiamento e nelle parole dimostra una fede profonda nei confronti di Gesù; la fede non è una formula, ma è un moto del cuore che si traduce in orientamento di vita. - Gesù tocca il lebbroso e sa bene di infrangere una legge. È una grande lezione di obiezione di coscienza di fronte a un diritto che si può trasformare in delitto. - Gesù intima al lebbroso purificato di non divulgare il fatto. Gesù vuole essere riconosciuto salvatore e redentore non per la potenza delle sua azioni miracolose, la fede è altra cosa, non può nascere da segni seppur straordinari. - Il lebbroso guarito non tace, ma proclama ovunque la guarigione ricevuta. Forse in Marco questo elemento rimanda all'aspetto catechetico: i purificati nel battesimo devono proclamare e diffondere il bene ricevuto. Il bene parla da se! Non può essere represso. Gesù inaugura una prospettiva nuova, un orientamento sorprendente: coloro che erano esclusi diventano i primi destinatari dell'azione

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salvifica del Messia, Gesù comincia dagli ultimi, mostrando vicinanza e compassione. Le persone rifiutate (pubblicani, prostitute, lebbrosi, indemoniati) diventano gli amici di Gesù; con loro egli condivide tutto, anche il rifiuto della morte in croce. Il tema dell'emarginazione è quanto mai attuale. Ci interpella come Chiesa, fino a comprometterci per dare una seria risposta alle attese di coloro che ci guardano e che aspettano da noi una concreta presa di posizione per porvi rimedio. Non possiamo stare con le mani in mano davanti ai soprusi, alle ingiustizie, alle prevaricazioni perpetrate nei confronti dei poveri, sofferenti, rifiutati, oppressi, esclusi. Gli ultimi della terra sono l'armatura di Dio, il parametro sul quale la Chiesa da sempre misura l'intensità della propria fedeltà al suo Signore. E'a questo volto di Chiesa che vogliamo modellare i tratti e lo spirito della nostra Chiesa Diocesana, che ha imparato a fare delle difficoltà feconde opportunità, che trasforma gli ultimi in privilegiati di tutte la proprie risorse pastorali. È Gesù stesso che ci interpella e attende da noi una risposta. Accogliamo questa provocazione e impegniamoci seriamente per rendere più vivibile il nostro mondo. L'intercessione della Beata Vergine Maria di Lourdes, dei santi Patroni San Cono, San Pietro Pappacarbone e San Lucido, ci concedano di sperimentare la dolcezza di una speciale protezione.Amen.

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CELEBRAZIONE EUCARISTICA BENEDIZIONE ED IMPOSIZIONE DELLE CENERI Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Cattedrale di Teggiano Mercoledì delle Ceneri, 22 febbraio 2012

Carissimi fratelli e sorelle, come ogni anno in questo giorno iniziamo a muovere i nostri passi nell'itinerario quaresimale che ci permetterà di celebrare la Pasqua del Signore con il cuore rinnovato dalla grazia della conversione. Oggi la Chiesa indìce il digiuno dei Quaranta giorni a ricordo del digiuno di Cristo Signore, che, in questo modo, si preparò alla sua pubblica attività messianica. La Quaresima è periodo di preparazione alla solennità di Pasqua. In questo giorno, limitando al minimo il consumo dei cibi, tutti chiniamo il nostro capo, perché il sacerdote vi deponga le ceneri. La quaresima è caratterizzata da due aspetti che il Concilio ha voluto ribadire per mostrarne la vera natura: la dimensione penitenziale e la chiara ispirazione battesimale. La dimensione penitenziale, che consiste nell'esigenza di una continua conversione misurando continuamente la propria vita con il parametro evangelico, è fortemente sottolineata in questo tempo liturgico e dalla liturgia deve toccare la vita, NEL PREFAZIO diciamo: «Con il digiuno quaresimale tu vinci le nostre passioni, elèvi lo spirito, infondi la forza e doni il premio» in una prospettiva pasquale; la dimensione battesimale che intende sottolineare la necessità che tutti noi battezzati siamo impegnati a rivivere e approfondire le tappe mai compiutamente assimilate del cammino della fede. La quaresima ci offre la possibilità di ricalibrare la nostra esistenza perché essa si incammini sulla strada della carità e delle opere buone. Il S. Padre Benedetto XVI nel suo messaggio per la quaresima intende sottolineare proprio questo aspetto essenziale della vita cristiana attingendo dalla Lettera agli Ebrei il passo che afferma: «Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb10,24). Il Papa sottolinea tre passaggi: l'attenzione all'altro, la reciprocità e la san-

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tità personale. - la responsabilità verso il fratello. - il dono della reciprocità. - camminare insieme nella santità. L'attenzione all'altro significa responsabilità verso il fratello, fissare lo sguardo sull'altro, prima di tutto su Gesù, e ad essere attenti gli uni verso gli altri, a non mostrarsi estranei, indifferenti alla sorte dei fratelli. Spesso però, afferma il S. Padre, prevale l'atteggiamento contrario: l'indifferenza, il disinteresse, che nascono dall'egoismo, mascherato da una parvenza di rispetto per la «sfera privata». All'inizio di questa quaresima non possiamo non ricordarci dell'invito che ci viene da Dio stesso di essere custodi premurosi dei nostri fratelli. La reciprocità è dono che scaturisce dall'appartenere alla comunità cristiana, nella quale l'Eucarestia è segno di comunione viva e reale con Gesù Cristo e tra noi. La reciprocità è valore che deve far comprendere ai discepoli di Cristo che si è membra di un solo Corpo e per questo nella comunità cristiana non ci può essere spazio per gli individualismi sterili, per le contrapposizioni che distruggono, per gli egoismi che uccidono la fratellanza universale. Ciò significa, afferma Benedetto XVI, che l'altro mi appartiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vita e la mia salvezza. L'affermazione della Lettera agli Ebrei: Stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone è un richiamo forte ed esigente ad intraprendere con serietà il cammino che conduce alla santità come progetto di vita su cui puntare tutte le nostre energie per essere e sentirci figli dell'unico Padre Celeste. La fantasia della carità e l'impegno che fa nascere le opere buone sono criteri su cui modellare non solo il nostro cammino quaresimale quest'anno, ma devono diventare caratteristiche esemplari della nostra vita, peculiarità che definiscono la nostra fede. La prima lettera di S. Pietro infatti ricorda a tutti noi che La carità copre una moltitudine di peccati (1Pt. 4, 8). Il segno della cenere che domina in questa giornata acquista una valenza eccezionale a patto che non resti a livello di pura esteriorità, distintivo di coloro che rifiutano un'esistenza dispersa, che sanno fermarsi, che non fondano la vita sulle cose che posseggono. La teologia biblica rivela un duplice significato dell'uso delle ceneri: 1 - Anzitutto sono segno della debole e fragile condizione dell'uomo.

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Abramo rivolgendosi a Dio dice: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere..." (Gen 18,27). Giobbe riconoscendo il limite profondo della propria esistenza, con senso di estrema prostrazione, afferma: "Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere" (Gb 30,19). In tanti altri passi biblici può essere riscontrata questa dimensione precaria dell'uomo simboleggiata dalla cenere (Sap 2,3; Sir 10,9; Sir 17,27). 2 - Ma la cenere è anche il segno esterno di colui che si pente del proprio agire malvagio e decide di compiere un rinnovato cammino verso il Signore. Particolarmente noto è il testo biblico della conversione degli abitanti di Ninive a motivo della predicazione di Giona: "I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere" (Gio 3,5-9). Nel Vangelo abbiamo ascoltato come Gesù invita il cristiano a fuggire ogni propaganda e pubblicità, indicando che la sua esistenza deve essere scandita nel segreto, lontano dagli sguardi altrui, per ricevere lo sguardo benedicente del Padre. La pratica religiosa dei discepoli di Cristo deve essere superiore a quella degli scribi e farisei, la giustizia dei discepoli deve comportare un di più, poiché non ci si deve accontentare del rispetto esteriore di una pratica religiosa, al rispetto esteriore della lettera dei comandamenti, ma il discepolo aderisce allo spirito della legge di Dio. Ma dove risiede questo di più, questo modo straordinario che il discepolo deve perseguire? Gesù ce lo dice oggi nel Vangelo e lo fa proponendo quello che già la pietà giudaica proponeva: elemosina, preghiera e digiuno. Gesù imbastisce il suo discorso su una duplice opposizione: non davanti agli uomini (4 volte), ma nel segreto (4 volte). Elemosina, preghiera e digiuno sono azioni che il credente compie in obbedienza alla legge, azioni compiute nel segreto, nel luogo dove solo Dio ha libero accesso, poiché è Dio il vero destinatario. Con l'elemosina si vuole ribadire a Dio che non siamo attaccati al danaro; la preghiera intende manifestare a Dio che è lui solo l'Altro davanti al quale si piegano le nostre ginocchia; il digiuno indica il nostro non vivere per mangiare, ma vivere per Dio. Insieme con tutta la Chiesa ci rivolgiamo al Padre all'inizio con questa quaresima:

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Accogli, o Dio pietoso, le preghiere e le lacrime che il tuo popolo effonde in questo tempo santo e invochiamo su di noi lo sguardo materno di Maria: Ave, regina dei cieli, ave, signora degli angeli; porta e radice di salvezza, rechi nel mondo la luce. Gioisci, vergine gloriosa, bella fra tutte le donne; salve, o tutta santa, prega per noi Cristo Signore. Amen.

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MESSAGGIO AI PRESBITERI DI S.E. MONS. ANTONIO DE LUCA VESCOVO DI TEGGIANO-POLICASTRO Messa Crismale 2012

Non trascurare il dono che è in te (1Tm 4,14) Ate presbitero: “grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro” (1 Tm 1,2). Il 4 febbraio 2012, dopo alcuni mesi dal XXV anniversario dell’unificazione delle Diocesi di Teggiano e di Policastro (Cfr. Decreto della Sacra Congregazione del 30 settembre 1986), ho dato inizio al mio ministero Episcopale in questa meravigliosa Diocesi. Provvidenziale coincidenza! In questo giorno speciale per il ministero ordinato, per la prima volta busso alla porta del tuo cuore per intrattenermi con te, per condividere preoccupazioni, per sussurrarti parole di speranza, per risvegliare la tua spiritualità. Questo fermarmi con te, prendermi cura di te è per me Vescovo, impegno e missione (Cfr. PO 7) e sono certo che anche dalla nostra fraternità e comunione dipenderà la santità della Chiesa di TeggianoPolicastro. L’odierna liturgia ci invita ad inneggiare al Signore per il grande dono del nostro sacerdozio. La Chiesa mette sulle nostre labbra e nel nostro cuore l’acclamazione dell’Apocalisse: "A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen"(Apocalisse 1,5-6). È ancora la liturgia d’oggi a chiederci di rinnovare, nel segno della fedeltà, le promesse che al momento dell’ordinazione presbiterale abbiamo fatto davanti al nostro Vescovo e al popolo santo di Dio.

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Lasciamoci tutti afferrare, ancora una volta, dallo Spirito del Signore: è lo stesso Spirito di cui ha parlato profeticamente Isaia (Isaia 61,1-3.6.89) e di cui ci ha dato testimonianza Gesù nella sinagoga di Nazaret (Luca 4,16-21). A ciascuno di noi, in forza della consacrazione sacerdotale, è concesso di ripetere in verità: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio…” (Luca 4,18). Questo versetto, a mio parere, sintetizza molto bene tutta la spiritualità o "vita secondo lo Spirito" di noi presbiteri. Ed è alla luce di queste brevissime parole, che Gesù dichiara essersi pienamente compiute in lui e che per la grazia dell’Ordine sacro si compiono anche in ciascuno di noi, che oggi voglio condividere con te alcune riflessioni sull’esperienza presbiterale costellata dalla comunione e dalla passione per la verità che trovano la loro esplicazione nella Regola di vita, significativo strumento che ti aiuta non solo ad abitare il tempo ma anche e soprattutto a renderlo abitabile.

Il presbiterio e il Vescovo: come corde alla cetra La comunione, voluta da Gesù tra quanti partecipano del sacramento dell’Ordine, deve manifestarsi in modo tutto particolare nelle relazioni dei Presbiteri con il Vescovo. Il Concilio Vaticano II parla a questo proposito di una "comunione gerarchica", derivante dall’unità di consacrazione e di missione. Leggiamo: "Tutti i presbiteri, in unione con i vescovi, partecipano del medesimo e unico sacerdozio e ministero di Cristo, in modo tale che la stessa unità di consacrazione e di missione esige la comunione gerarchica dei presbiteri con l’ordine dei vescovi manifestata ottimamente nel caso della concelebrazione liturgica, questa unione con i vescovi è affermata esplicitamente nella celebrazione eucaristica” (PO 7). Ed ancora: "Per ragione dell’Ordine e del ministero, tutti i Sacerdoti, sia diocesani che religiosi, sono associati al corpo episcopale" (LG 28). Questa comunione si nutre della collaborazione ad una stessa opera: l’edificazione spirituale della Comunità. Certo, ogni Presbitero ha un campo personale d’attività, in cui può impegnare tutte le sue facoltà e qua-

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lità, ma tale campo rientra nel quadro dell’opera più vasta con cui ogni Chiesa locale tende a sviluppare il Regno di Cristo. L’opera è essenzialmente comunitaria, sicché ciascuno è chiamato ad agire in cooperazione con gli altri operai dello stesso Regno. A tale proposito consegno alla tua riflessione l’immagine patristica testimoniata da S. Ignazio di Antiochia che, nella sua lettera alla comunità di Efeso, scrive: “Conviene procedere d’accordo con la mente del vescovo, come già fate. Il vostro presbiterato ben reputato degno di Dio è molto unito al vescovo come le corde alla cetra. Per questo dalla vostra unità e dal vostro amore concorde si canti a Gesù Cristo. E ciascuno diventi un coro, affinché nell’armonia del vostro accordo prendendo nell’unità il tono di Dio, cantiate ad una sola voce per Gesù Cristo al Padre, perché vi ascolti e vi riconosca, per le buone opere, che siete le membra di Gesù Cristo. È necessario per voi trovarvi nella inseparabile unità per essere sempre partecipi di Dio”. A me il dono e la responsabilità di far fare coro, a te l’impegno faticoso ma necessario ed esaltante della partecipazione, della corresponsabilità e della complementarietà ecclesiale. Insieme operiamo affinché la nostra comunione “dono dall’alto” sia visibile, concreta, operosa e quindi credibile.

“Consacrali nella verità” Essere consacrati nella verità, vuol dire essere consacrati in Cristo, il quale ha detto: "Io sono la via, la verità e la vita"" . Consacrali nella verità": il Signore – ha ricordato Benedetto XVI – chiede che Dio stesso li attragga verso di sé, dentro la sua santità. Chiede che Egli li sottragga a se stessi e li prenda come sua proprietà, affinché, a partire da Lui, essi possano svolgere il servizio sacerdotale per il mondo. Consacrali nella verità – ciò vuol dire, dunque, nel più profondo: rendili una cosa sola con me, Cristo. Lègali a me. Tìrali dentro di me. E di fatto: esiste in ultima analisi solo un unico sacerdote della Nuova Alleanza, lo stesso Gesù Cristo. E il sacerdozio dei discepoli, pertanto, può essere solo partecipazione al sacerdozio di Gesù. Il nostro essere sacerdoti non è quindi altro che un nuovo e ra-

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dicale modo di unificazione con Cristo. Consacrato, sostenuto da Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, sii consapevole che attraverso l’esercizio del tuo ministero cresci nella fede e approfondisci la tua vita spirituale che non è soltanto fedeltà alla liturgia e alla pietà, ma è soprattutto necessità di tradurre la tua unione con Dio nella pratica quotidiana della comunione presbiterale e in relazioni interpersonali mature e responsabili. In particolare, preparando l’annuncio della Parola impari ad ascoltarla nel tuo cuore e a renderla risorsa per la tua vita; vivendo l’Eucarestia, sperimenti la gratitudine di diventare capace di consolazione per i fratelli, esercitando il sacramento della riconciliazione verifichi ogni giorno la possibilità di essere segno di benevolenza, riferimento per ogni scelta attraversata dalla misericordia di Dio. La vita spirituale riceve così linfa vitale dal ministero; il ministero vissuto nel suo ordine nutre la vita spirituale. Ti incoraggio a continuare il cammino di santificazione seguendo quanto la Provvidenza ti affida ogni giorno nel tuo ministero per la missione di evangelizzazione della Chiesa. Soffermati su quanto nel tuo ministero già si manifesta come buono, bello, giusto e santo non per i tuoi meriti, ma per l’amore di Cristo Sacerdote.

La regola di vita Quest’anno ritengo opportuno richiamare il tema della Regola di vita che è stato sottolineato durante la 56a Assemblea Generale della CEI del maggio 2006 nella quale, i Vescovi hanno trattato della vita e del ministero dei presbiteri indirizzando poi una Lettera ai sacerdoti italiani che ti esorto a rileggere e approfondire nella tua meditazione. Mons. Luciano Monari, nel contesto dell’Assemblea Generale ricordava che: “Dopo il Concilio di Trento e l’istituzione dei seminari si era affermata, poco alla volta, una ‘regola di vita’del prete abbastanza precisa e costante. Dal mattino alla sera un prete sapeva cosa fare: quali i momenti necessari di preghiera, quali le attività pastorali. Questo modo di organizzare il tempo è irrimediabilmente saltato. Ma non si può vivere bene

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senza un ordine. Diventa indispensabile costruire una nuova regola di vita che aiuti a rinunciare alle attività negative o superflue e a mettere ordine in quelle necessarie secondo una corretta gerarchia di priorità. Anzitutto difendere ritmi equilibrati e distesi: il riposo e il lavoro, la preghiera e il servizio, il rapporto con gli altri preti e quello coi parrocchiani, lo studio e la distensione… L’equilibrio tra questi diversi momenti va cercato e deciso consapevolmente. Non si può vivere sul ‘momento’e sperare che le cose si equilibrino e si aggiustino da sé; questo, soprattutto in una società caotica e ‘liquida’come la nostra, è realmente impossibile”. Vorrei ora rilevare l’importanza per noi di avere una regola di vita. Si tratta, in altre parole, della necessità di pervenire ad una disciplina interiore ed esteriore, senza la quale non è possibile vivere bene. La regola di vita non può essere un precetto esterno da osservare ma interiore convinzione da cui scaturiscono scelte consapevoli. Benedetto XVI nell’Angelus del 3 settembre 2006 così ha parlato: “La vita del pastore d’anime deve essere una sintesi equilibrata di contemplazione e di azione, animata dell’amore che tocca vette altissime quando si piega misericordioso sui mali profondi degli altri. La capacità di piegarsi sulla miseria altrui è la misura della forza di slancio verso l’alto”. In un mondo che continuamente cambia, ogni presbitero deve “rimanere dentro le difficoltà e tensioni della vita con una certa serenità e senza il bisogno di frequenti e impulsive gratificazioni devianti, di affrontare con energia e creatività gli ostacoli e le contrarietà ordinarie del ministero, di ritrovare con pazienza, verso di sé e gli altri, un senso buono alla fatica, alla rinuncia, agli insuccessi e ai fallimenti, quindi di ammettere i propri errori da correggere o i peccati di cui pentirsi, con quell’umiltà che è tutt’altra cosa della depressione e del vittimismo. Questa condizione fondamentale, che in buona parte è data dalla sufficiente o buona salute psichica del soggetto, respira e si alimenta solamente nello spazio di un’intimità con se stessi – habitare secum – che si manifesta e cresce in un esercizio personale e semplice, quotidiano e riconoscente di ascolto, di riflessione e di preghiera. In questo spazio di intimità personale, grazie all’ascolto della parola e del Signore e all’opera efficace del suo Spirito, i sentimenti, i vissuti, gli incontri e i legami possono trovare il loro

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profondo e autentico significato, quindi purificazione e orientamento, assunzione e trasformazione” (E. PAROLARI – D. PAVONE, Ministero alla prova, 572). Ti esorto a scrivere una regola di vita per dare forma alla tua vita. Ricordati di essere il primo responsabile del tuo cammino spirituale. Riascoltiamo un’esortazione di san Carlo Borromeo che la Liturgia delle Ore ci fa leggere in occasione della sua festa: "Ascolta ciò che ti dico. Se già qualche scintilla del divino amore è stata accesa in te, non cacciarla via, non esporla al vento. Tieni chiuso il focolare del tuo cuore, perché non si raffreddi e non perda calore. Fuggi, cioè, le distrazioni per quanto puoi… Eserciti la cura d’anime? Non trascurare per questo la cura di te stesso, e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso".

Abitare il tempo e renderlo abitabile Ci rendiamo conto che diventa sempre più urgente vivere il tempo non in modo disordinato ma regolato, misurato cioè sugli impegni personali e sociali, spirituali e pastorali che siamo chiamati ad assolvere. Là dove il tempo ci sfugge di mano, diviene per noi difficile se non impossibile una vita sana, buona e bella, veramente significativa ed incisiva da un punto di vista sia umano che spirituale. In una società sempre più accelerata, anche il presbitero rischia di essere schiavo dell’idolatria del tempo, alienato dal vortice che frustra la sua vita umana e depotenzia la sua interiorità. Una mancata educazione all’ascesi del tempo genera una vita disordinata, incapace di stabilire e rispettare una priorità degli impegni: la liturgia santa, la guida della comunità nei diversi modi richiesti, il riposo. Proprio in questa linea si erano espressi i Vescovi italiani scrivendo: "La complessità propria della vita contemporanea rende ancor più acuta la necessità che ogni presbitero scelga e segua, come condizione e frutto di maturità spirituale, una regola di vita, non formalistica ma sapienziale,

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operativa e concreta. Irrinunciabile appare, anche sotto questo aspetto, il ruolo della responsabilità personale. Tocca ad ogni presbitero prendersi cura del dono della propria esistenza: non solo la vita spirituale e la preghiera, la meditazione, l’apostolato, ma anche gli aspetti più concreti dell’economia personale, della salute, del riposo, del tempo libero…"(Lettera dell'Episcopato italiano ai presbiteri, 22 febbraio 1993). Come aiutarti ad organizzare bene il tuo tempo? Ti consiglio come icona di riferimento la giornata di Gesù (Mc 1,21-39) attraverso cui puoi verificare la tua vita di presbitero, lo scorrere delle tue giornate e per trovare forza per il tuo cammino presbiterale: Gesù insegna nella sinagoga (v. 21); libera l’uomo posseduto dallo spirito immondo (v. 25); entra nelle case per guarire i malati (v. 29); incontra la città presso la porta (v. 33); prega in un luogo deserto (v. 35); predica per altri villaggi (v. 39). Alla luce dell’esperienza di Gesù possiamo dedurre che il segreto per abitare il tempo e renderlo abitabile risiede nel tempo dedicato a Dio. Il tempo dedicato a Dio è un moltiplicatore di tempo, in quanto solo trasferendosi nell’Eterno si può dilatare il tempo, non certo cronologicamente, ma sicuro qualitativamente; per cui dando a Dio del tempo se ne riceve cento volte tanto. Mentre il tempo sottratto a Dio per fare altro è l’opposto, un riduttore, perché senza il contatto con l’Eterno la forza si riduce e lo spirito s’infiacchisce, rendendoci deboli e incapaci di svolgere a pieno la nostra missione. Sono certo che in questo nostro tempo spesso arido e appesantito, il Signore Gesù ci prende per mano e ci invita a proseguire il nostro cammino presbiterale tra la gente con piena fiducia nel suo immancabile aiuto. Il nostro canto sia veramente la nostra confessione di fede: "Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla… Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perchè tu sei con me"(Salmo 22,1.4). Ti ringrazio per il tuo impegno e ti sostengo con la mia preghiera. Di cuore ti benedico affidando al Signore e alla Vergine Maria e ai nostri Santi Patroni questa straordinaria avventura ecclesiale che da poco si è aperta per noi!

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Preghiera per i presbiteri Spirito del Signore, dono del Risorto agli Apostoli del Cenacolo, gonfia di passione la vita dei tuoi presbiteri. Riempi di amicizie discrete la loro solitudine. Rendili innamorati della Terra, capaci di misericordia per tutte le sue debolezze. Confortali con la gratitudine della gente, con l’olio della comunione fraterna. Ristora la loro stanchezza, perché non trovino appoggio più dolce per il loro riposo se non sulla spalla del Maestro. Liberali dalla paura di non farcela più. Dai loro occhi partano inviti a sovrumane trasparenze. Dal loro cuore si sprigioni audacia mista a tenerezza. Dalle loro mani grondi il crisma su tutto ciò che accarezzano. Fà risplendere di gioia i loro corpi. Rivesti loro di abiti nuziali e cingili con cinture di luce perché, per essi e per tutti, lo Sposo non tarderà.

(+ Tonino Bello)

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SANTA MESSA DEL CRISMA Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Cattedrale di Teggiano 5 aprile 2012

É con viva commozione che celebro l'Eucarestia in comunione con tutti voi. É la prima messa crismale che ho la grazia di celebrare insieme a tutto il presbiterio diocesano e a tutta la chiesa di Teggiano Policastro. Il mio saluto a tutti voi cari Presbiteri, ai religiosi e alle religiose; ai Diaconi e a nostri seminaristi. Saluto con particolare affetto i sacerdoti anziani e malati che ho incontrato in questi giorni, vi porto il loro saluto e la certezza della loro preghiera per tutti noi. In questi giorni di particolare impegno pastorale riceviamo con gratitudine l'aiuto di altri sacerdoti e religiosi in special modo voglio ringraziare i confratelli redentoristi della comunità internazionale di Roma; gli altri carissimi religiosi che si affiancano a noi in questa settimana santa. La bellezza e la ricchezza di una molteplicità di carismi rende la comunione ecclesiale più vivace e particolarmente efficace. Ascoltando il Vangelo, abbiamo “visto” Gesù che entra nella sinagoga e annuncia un anno di grazia. “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20). Gesù è anche in mezzo a noi per annunciarci un anno di grazia. È Lui che ci ha salutato all'inizio della celebrazione, “La Pace sia con voi” (cfr Gv 20,26). Ogni eucaristia è un rinnovato annuncio di grazia. Per questo vorrei, ogni anno durante la messa crismale, anch'io annunciare un cammino di grazia per la vita del presbiterio e in esso per ciascun presbitero di questa chiesa di Cristo. Facendomi aiutare dal vangelo, ho pensato di raccontare ogni anno alla chiesa diocesana la grazia del sacramento dell'ordine ricevuta nel giorno della consacrazione presbiterale e alla quale rinnoviamo in ogni messa crismale la nostra adesione. L'anno di grazia per ogni presbitero, e per tutto il presbiterio, è vivere nella fedeltà, consapevoli che la fedeltà del sacerdote è la Fedeltà di Cristo,

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così come il santo Padre Benedetto XVI ci ha ricordato nell'anno del sacerdozio. Nella messa crismale ringraziamo il Padre per il sacerdozio di Cristo e della Chiesa. Nel prefazio della messa crismale pregheremo con queste parole: “Padre santo, […] con l'unzione dello Spirito Santo hai costituito il Cristo tuo Figlio Pontefice della nuova ed eterna alleanza, e hai voluto che il tuo unico sacerdozio fosse perpetuato nella Chiesa. Egli comunica il sacerdozio regale a tutto il popolo dei redenti e con affetto di predilezione sceglie alcuni tra i fratelli […] servi premurosi del tuo popolo”. Con quest'omelia vorrei infondere al presbiterio la speranza mentre vive continuamente un ministero alla prova; ad ogni battezzato, pur se non parlerò direttamente del suo sacerdozio battesimale, vorrei indicargli nella persona del Vescovo, dell'intero presbiterio e del collegio diaconale, l'alleanza fedele del sacerdozio di Cristo Capo e Servo per la comunità dei figli di Dio. Voi fratelli e sorelle battezzate in Cristo, “anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt 2,4-5). Il ministero ordinato è di vostro aiuto perché è il “collaboratore della vostra gioia” (2 Cor 1,24) e possiate così nel sacerdozio regale collaborare alla costruzione del Regno nelle vicende di questo mondo (cfr LG.GS). Carissimi presbiteri, la santa Chiesa celebra la memoria annuale del giorno in cui Cristo Signore comunicò agli Apostoli e a noi il suo sacerdozio. Volete rinnovare le promesse, che al momento dell'ordinazione avete fatto davanti al vostro vescovo e al popolo santo di Dio? Anche nella messa di quest'anno stai con il vescovo davanti al popolo di Dio per manifestare la tua disponibilità a servire “come Cristo ha amato la Chiesa” (Ef 5,25) e questa Chiesa di Teggiano-Policastro. Le promesse le hai fatte durante la tua ordinazione presbiterale, ora le rinnovi perché sei ancora disponibile a stare “davanti” al vescovo, ma soprattutto con me “davanti” al popolo di Dio. Infatti, anche il giorno dell'ordinazione ti fu detto dall'allora vescovo diocesano: Figlio carissimo, prima di ricevere l'ordine del presbiterato, devi manifestare davanti al popolo di Dio la volontà di assumerne gli impegni. Vuoi esercitare per tutta la vita il ministero sacerdotale nel grado di presbitero, come fedele cooperatore dell'ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo? Con il tuo “Sì, lo vo-

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glio” hai dato la disponibilità a stare sempre “davanti” al popolo. 1. “Lo Spirito del Signore mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare un lieto messaggio” (Lc 4,18) Ed è questa “Disponibilità frontale”, lasciatemi passare questo termine, la sostanza della domanda posta dal vescovo nel giorno dell'ordinazione; è questo l'annuncio che ti vorrei fare e indicartelo presente innanzitutto nel gesto di Gesù della lavanda dei piedi. “Prima della festa di Pasqua, Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano … si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto”. (Gv13, 1-5). Lavanda dei piedi e ultima cena, il Sacramento dell'Eucaristia. Con questa sequenza, durante la Cena Eucaristica, anche qui Gesù rivelava nelle sue parole e azioni il servizio che la Chiesa porterà avanti nell'evangelizzazione: la dimensione profetica, sacerdotale e regale. Come diremmo oggi, Parola, Liturgia e Carità. Compiti della Chiesa, sì, che esprimono la sua natura e non possono essere separati1, ma ancor pri2 ma sono nella missione di Cristo , anzi sono Cristo stesso: Lui è la Parola, è la Liturgia, la Carità. Con la sequenza intensa di: amorevole kenosi - “depose le vesti”; animo vigilante – “se lo cinse attorno alla vita”; inimmaginabile ospitalità - “cominciò a lavare i piedi”; versava l'acqua del battesimo pasquale, e il sangue della nuova alleanza; ristorava nell'estremità del corpo “l'anima di ogni apostolato” dalle delusioni della pesca andata a vuoto e inaugurava la diaconia di ogni ministero ecclesiale nel primato della grazia. Nell'ultima cena, con il pane spezzato e il vino versato, e con la lavanda dei piedi, Gesù da una parte raccontava la sua vita, e dall'altra scriveva ai discepoli il testamento, vincolante nel futuro: l'Eucaristia, “Fate questo in memoria di me”. Anticipava il suo stare in Croce “davanti” all'uomo per servirlo nella salvezza della Pasqua, indirizzava alla Speranza di fronte alla fragilità, al lavoro e alla festa, alla cittadinanza, all'affettività, alla tradizione. Il Concilio ci ricorda nella Sacrosanctum Concilium 47: “Il nostro Salvatore nell'ultima Cena, la notte in cui veniva tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del Suo Sangue, col quale perpe-

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tuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua Morte e Risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, 'nel quale si riceve Cristo, l'anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura'”. 2. “Oggi si è adempiuta questa Scrittura” (Lc 4,21) Ancora una volta, in quest'eucaristia, “oggi si è adempiuta questa Scrittura”, e si realizza il pegno della gloria futura (cfr CCC 1402-1405). “Il Regno di Dio è già qui in mezzo a noi” (Lc 17,20-25). Per questo, vorrei invitare tutta la chiesa di Teggiano-Policastro a ringraziare stasera durante la liturgia del Giovedì “Colui che viene” (Ap 1,4). In particolare, potrebbe essere significativo valorizzare il momento della lavanda dei piedi e l'adorazione eucaristica nella veglia comunitaria: il Futuro che ci viene chiesto e che cerchiamo, nascosto a volte quasi dalle nebbie del tempo presente, è già donato ogni volta, anche se non del tutto, nella celebrazione dell'Eucaristia. E stare “davanti” alla comunità, per me vescovo insieme a te presbiterio intero, durante la celebrazione eucaristica vuol dire rimanere fedeli alla conformazione di Cristo-Sposo annunciando alla Chiesa-Sposa il mantenimento divino dell'alleanza, “Io infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane, e dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: 'Questo è il mio corpo, che è per voi, fate questo in memoria di me'. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: 'Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me'. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga” (1 Cor 11, 23-26). “Sottolinea Metodo d'Olimpo: le nozze tra Cristo e la Chiesa, celebrate sulla croce, continuano nella Chiesa mediante il Battesimo e l'Eucaristia. 'il Verbo di Dio è disceso per unirsi alla Sua Sposa, morendo volontariamente per lei, al fine di renderla gloriosa ed immacolata nel bagno della purificazione. Per la Chiesa, infatti, sarebbe impossibile concepire i credenti e farli rinascere con il bagno della rigenerazione, se Cristo non morisse di nuovo, non si unisse a Lei, donandole la forza del suo costato, affinché, tutti coloro che sono nati dal bagno battesimale, possano fortificarsi in una fede adulta' (Banchetto, III,8)'. Così il battesimo rigenera continuamente i cristiani, preci-

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pitandoli nella morte di Cristo; l'Eucaristia li fa perpetuamente crescere, vivificandoli con la forza del costato di Cristo, cioè con la comunione alla sua carne risuscitata”3. Questo mistero eucaristico ci fa partecipare alle nozze dell'Agnello. 3. Lo Spirito mi ha mandato “…per predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4,19) Permettetemi di ricordare, a questo punto, il segno dell'impegno del vescovo alla sponsalità e la venuta del Signore nella nostra chiesa. L'anello episcopale mi è stato consegnato nella liturgia di ordinazione con queste parole: “Ricevi l'anello, segno di fedeltà, e nell'integrità della fede e nella purezza della vita custodisci la santa Chiesa, sposa di Cristo” (dal rito di ordinazione episcopale). Ridico quanto il giorno della mia ordinazione episcopale dissi nel ringraziamento finale. “Sento grave il monito dell'insegnamento della Chiesa: 'ogni Vescovo è conformato a Cristo, per amare la Chiesa con l'amore di Cristo sposo e per essere, nella Chiesa, ministro della sua unità' (Pastores gregis 13). Anche tu presbitero, come collaboratore dell'ordine episcopale, partecipando dell'unico sacerdozio di Cristo, in qualche modo, ci ricorda il Direttorio per il Ministero e la vita dei Presbiteri (n°13), partecipi della dimensione sponsale nei riguardi della Chiesa e dovrai essere fedele alla Sposa e, icona vivente del Cristo Sposo nella multiforme donazione di Cristo alla sua Chiesa. Carissimi battezzati, popolo sacerdotale, comprendete allora in che modo, a volte, noi ministri ordinati sentiamo il peso della nostra missione sacerdotale. Il nostro stare “davanti”4 come sposi nello Sposo, ci fa sentire sempre strumenti insufficienti e siamo consapevoli che a volte annebbiamo la fedeltà di Cristo che vorreste avere attraverso di noi maggiormente nella vostra vita. E noi ministri, sono forse rivolte proprio a noi questa parole della Lettera alla Chiesa di Laodicea: “conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli

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occhi e recuperare la vista. Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere con ne, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono” (Ap 3,15-22). L'ascoltatore è ripreso per la sua vita tiepida, per essersi ritenuto superiore alla grazia divina; è cieco e nudo. Ha bisogno di essere rivestito: “abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità”. È il dono della “veste” candida, il sacramento del battesimo, rivestito in Cristo. … è l'acqua della lavanda, è il sangue della Croce e la luce dello Spirito. La veste potrebbe essere la dignità sacerdotale donataci nel giorno dell'ordinazione. La nostra fragilità ci deve portare a maggior ragione alla rinnovata decisione di adesione alla Parola. “Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. Non è questo anticipato nel banchetto eucaristico? Mi sento di dire in definitiva che come nell'Eucaristia si apre la sponsalità pasquale definitiva di Cristo, “sono giunte le nozze dell'Agnello e la sua sposa è pronta”, così il ministero ordinato nell'esercizio costante e fedele dell'ascolto/pratica della Parola gusterà per sé e farà gustare all'intera comunità la sponsalità di Cristo. Pur se consapevoli che questa fedeltà del sacerdote sarà possibile soltanto nella fedeltà di Cristo, il vescovo unito al suo presbiterio deve fare tutto il possibile per Rimanere “davanti al popolo di Dio”. E così, ho pensato di scrivervi alcuni appunti di vita spirituale in un messaggio per voi fratelli sacerdoti, Il presbiterio sposo in Cristo nel tempo. Mi sento di suggerirvi la fedeltà al ministero, nel tempo quotidiano, come via nella quale rendere accessibile, per voi e per il popolo dei fedeli, la presenza di Cristo Sposo. Solo il rimanere in ogni tempo del ministero, “portando all'altare la gioia e la fatica di ogni giorno”, sarà la nuova evangelizzazione perché senza disciplina del tempo non c'è vita spirituale cristiana. Potrebbe sembrarvi strano, in questo nostro tempo la missione non è tanto andare piuttosto è rimanere, innanzitutto noi, in Cristo. CONCLUSIONE Nell'eucologia della liturgia bizantina per il conferimento dell'ordinazione presbiterale, così come riporta il Catechismo della Chiesa Cattolica (n° 1587) il vescovo mentre impone le mani dice queste parole con le quali vorrei pregare per l'intero presbiterio: Signore, riempi di

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Spirito Santo colui che ti sei degnato di elevare alla dignità sacerdotale, affinché sia degno di stare irreprensibile davanti al tuo altare, di annunciare il Vangelo del tuo Regno, di compiere il ministero della parola di verità, di offrirti doni e sacrifici spirituali, di rinnovare il tuo popolo mediante il lavacro della rigenerazione; in modo che egli stesso vada incontro al nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo, tuo unico Figlio, nel giorno della sua seconda venuta, e riceva dalla tua immensa bontà la ricompensa di un fedele adempimento del suo ministero. Auguro al presbiterio intero e a ciascun presbitero e diacono la pienezza della totale configurazione a Cristo nella santificazione del tempo, nell'ascolto della parola, nella celebrazione dei sacramenti, nella guida della comunità; in questo sforzo anche voi, come ogni battezzato, siete chiamati a vivificare e santificare la fragilità, la cittadinanza, il lavoro e la festa, la vita affettiva, la tradizione, “purché in ogni maniera Cristo venga annunciato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene” (Fil 1,18).

Note 1

Deus caritas est di Benedetto XVI che al n. 25 afferma: «L'intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l'uno dall'altro.

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Dal sito dell'Ufficio catechistico della CEI la relazione di S. E. mons. Franco Giulio Brambilla che recava il titolo originario “La pastorale della chiesa in Italia tra annuncio, celebrazione, carità e ambiti di vita della persona”, pronunciata in occasione del Laboratorio della Segreteria della CEI del 3 febbraio 2010. Naturalmente non fa riferimento alla lavanda dei piedi.

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J. DANIELOU, Bibbia e Liturgia. La teologia biblica dei Sacramenti e delle feste secondo i Padri della Chiesa, CAAL, Roma 1998, 184.

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“Il sacerdote mentre è nella Chiesa, si trova anche di fronte ad essa”. Esortazione Presbiterorum ordinis 16. È importante avere sempre nel cuore questa duplice collocazione per evitare estremismi nell'identità e missione presbiterale. Un presbitero che viva soltanto di fronte la comunità potrebbe vivere lontano dal popolo di Dio, quasi al di fuori di esso; al contrario, vivere soltanto nella comunità potrebbe far mancare il servizio della mediazione al sacerdozio regale.

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VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Cattedrale di Teggiano, Sabato Santo, 7 aprile 2012

Carissimi Fratelli e sorelle, ancora una volta risuona l’annunzio di Pasqua: Cristo è veramente Risorto! E la luce di questo giorno viene a disperdere le nostre tenebre, le nostre zone d’ombra perché tutto acquisti senso e compimento. La Pasqua del Signore, che segna la definitiva sconfitta della morte e il trionfo della vita come risposta all’anelito dell’uomo, costituisce l’evento più importante della storia; questa notte abbiamo rivissuto le grandi opere che Dio ha compiuto per noi, questa notte l’agnello è stato immolato e grazie al suo sangue l’uomo è ormai libero da ogni forma di schiavitù. È la Pasqua del Signore! È il passaggio dalla morte alla vita, Cristo Risorto è la risposta definitiva di Dio. Durante il triduo santo abbiamo avuto modo di contemplare gli ultimi giorni della vicenda umana di Gesù, la cena pasquale, l’arresto, la sua condanna, la via dolorosa, la crocifissione, la morte; su Gesù e il suo messaggio sembra calare il sipario, davanti allo spettacolo della morte di Cristo tutto tace, soprattutto l’uomo cade in un silenzio assordante: che fine hanno fatto le promesse del Messia, il suo messaggio ora non è in grado di dare conforto, tutto quello che ha detto sembra caduto nell’oblio, l’uomo non è in grado di ricordare quello che Gesù ha detto. Tutto è finito e per di più con un finale tragico, inaspettato, cruento, dolorosissimo. Non restava che tornare a casa e riprendere le proprie faccende giornaliere. L’esperienza delle sequela, per quanto esaltante ora, dopo la morte di Gesù, non può avere un seguito. La grande pietra è stata rotolata sulla bocca del sepolcro e con questa la separazione è netta: Gesù è nel regno dei morti, noi che siamo al di qua dobbiamo pur andare avanti. Che scenario desolante! Spesso la pensiamo così, anche quando ci lasciano i nostri cari. Se c’è un aspetto della nostra fede che più è difficile da digerire è quel-

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lo della resurrezione: come può un corpo morto risorgere? A tutto si può credere e a parole ci crediamo e lo affermiamo anche tutte le domeniche nella professione di fede, ma nella vita concreta ciò fa problema, è troppo ruvida questa realtà. In questo giorno di luce splendidissima meditiamo su una realtà centrale, che è sorgente di speranza: Cristo è risorto! Si è vero pochi giorni fa abbiamo assistito alla morte di Dio che muore per amore, oggi con la risurrezione tutto trova conferma, anche ciò che sembrava assurdo. E la resurrezione è così importante nella fede cristiana che S. Paolo ci provoca e afferma che se Gesù non è risorto noi siamo degli illusi, se la resurrezione è impossibile allora siamo qui a fare semplice ricordo di un personaggio vissuto nel passato; se così fosse poveri noi! Ora invece Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti: Gesù è risorto e vive nei secoli alla destra del Padre. Gesù è risorto, è vivo, presente e lo possiamo incontrare. Non più nella tomba o presso di essa, non nella volontà di ungere un corpo freddo come nelle intenzioni di Maria quel mattino, Gesù lo incontriamo innanzitutto nell’Eucarestia, pane del nostro cammino e della condivisione, che sostenta e incoraggia a continuare il cammino, anche tra mille avversità; lo incontriamo nella Parola, quando con essa si scandisce il nostro vissuto ed essa diventa la bussola della vita, quando non la uso a mio compiacimento, ma soprattutto quando la Parola diventa un Tu col quale ci si confronta: allora sì che la Parola parla al mio cuore e detta le linee per vivere nella fedeltà il rapporto con il Signore risorto. Ma Cristo lo incontro anche nei poveri, dove egli stesso ha chiesto di essere cercato secondo la famosa pagina escatologica di Matteo del momento del giudizio che mette in guardia la Chiesa: ogni volta che l’avete fatto a un piccolo, ad un povero l’avete fatto a me: questa non è solo uno stimolo per la Chiesa a vivere la dimensione della carità, ma questa è una pagina di vera cristologia che getta un fascio di luce sul mistero di Cristo con la quale la Chiesa stessa deve misurarsi non meno che sul versante della genuinità della fede. La tomba è solo una collocazione provvisoria per Gesù, presso la quale, se veramente lo voglio incontrare, non devo dirigermi. Le donne del mattino di Pasqua questo non lo avevano compreso, anzi andavano a compiere un ultimo gesto di pietà verso il corpo martoriato di Gesù, finire di pulirlo e passarvi l’unguento; i discepoli, ormai senza un punto di riferimento, erano chiusi nel loro dolore, incapaci forse anche di comunicare

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tra loro, pieni di paura e vergogna per la fine impietosa del loro Rabbì; quando tutto sembra dover rientrare nella normalità (l’esperienza, ad es. dei discepoli di Emmaus) e il caos di qualche giorno prima solo un ricordo da cancellare, proprio allora l’annunzio: Non è qui, è risorto! Non è qui, non è qui che lo dovete cercare, questa era solo una collocazione provvisoria, cercatelo piuttosto dove egli stesso vi ha detto che si farà trovare. Inizia per gli Apostoli l’esperienza meravigliosa delle fede nella Resurrezione, a piccoli passi, come si addice all’uomo. È l’evento resurrezione che diventa come la chiave di lettura di tutta la l’esistenza di Cristo, che getta un fascio di luce sulla vicenda del Nazareno. L’incomprensione proverbiale degli Apostoli, che in tutto il Vangelo fanno fatica a seguire nella sua vocazione il Figlio dell’uomo, con la Resurrezione iniziano ad aprire non solo gli occhi, ma soprattutto il cuore all’intelligenza delle Scritture e a riconoscere la presenza trasfigurata del Maestro. L’esperienza di Maria di Màgdala è singolare, così come narrata da Giovanni: dopo aver visto che la l’enorme pietra che chiudeva l’ingresso alla tomba di Gesù era stata tolta dal sepolcro, invece di entrare e di assicurarsi di cosa era accaduto, lascia quel giardino e corre da Pietro che è colui che rappresenta tutti glia altri, è il discepolo tipo, ciò che egli esprime è il sentimento di tutti gli altri discepoli, anche quando rinnega il Maestro rappresenta gli altri e noi. A Pietro, l’evangelista associa l’altro discepolo, mai chiamato per nome, definito solo per quello che Gesù prova per lui: gli vuol bene; egli rappresenta il costante invito al cammino che ognuno di noi dovrebbe fare, cioè sentirsi amati da Gesù. E Maria riferisce ciò che ella ha potuto comprendere, perché non entrata nella tomba: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto» (Gv 20,2). A Maria preme recuperare il cadavere, non dice: chi l’ha preso, o perché l’hanno preso, vuole solo sapere dove l’hanno posto, perché è sua intenzione andare a prenderlo.Anche a Gesù stesso non riconosciuto chiede se fosse stato lui a trafugare il corpo. Inizia la corsa verso il sepolcro e anche mille pensieri affollano la mente dei due discepoli. Il discepolo amato arriva per prima, vede i teli, ma non entra. Pietro per primo entra nel sepolcro, si guarda intorno vede che tutto sembra in ordine, i teli, il sudario, manca il corpo di Gesù. Quali sentimenti hanno attraversato il cuore e la mente di Pietro, i ricordi con il

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Maestro, l’avventura della predicazione del Regno, poi la morte e ora? Pietro vede, ma ancora non si rende conto di cosa sia accaduto, quel vedere non provoca ancora la fede nella resurrezione. Entra anche l’altro discepolo e l’evangelista afferma: Vide e credette! Oltre a vedere crede, vede e comprende che qualcosa di straordinario è accaduto quel mattino. A differenza di Pietro questo discepolo crede, anche se immediatamente dopo l’evangelista dice che non comprendevano ancora la Scrittura, che egli cioè doveva risorgere dai morti. È la stessa esperienza dei discepoli di Emmaus, chiusi alla possibilità della Resurrezione perché avevano la mente chiusa all’intelligenza delle Scritture. Ciò significa che si può iniziare a credere anche se non tutto riusciamo a comprendere, infatti c’è una fede che vive di cose intuite che hanno significato solo per chi sa coglierle. Questo discepolo, più di ogni altro, ha saputo accogliere la fede nella Resurrezione proprio perché si è sentito amato e così noi, sentiamoci amati da Gesù, solo in questo modo potremo gustare la sorprendente gioia che scaturisce dalla Resurrezione. A Maria chiediamo di accompagnarci a comprendere le meraviglie che Dio compie nella nostra vita, interceda per noi una fede irradiante, una speranza viva e una carità operosa. Prega per noi, Maria, Figlia di Sion, donna dell’ottavo giorno, in cui l’Eterno compì le meraviglie della nostra salvezza! Amen.

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LETTERA ALLA FAMIGLIE DELLA NOSTRA DIOCESI DI S.E. MONS. ANTONIO DE LUCA VESCOVO DI TEGGIANO-POLICASTRO Pasqua 2012

A voi dilette famiglie della Chiesa di Dio che è in Teggiano-Policastro, rivolgo il mio sincero saluto ed un cordiale augurio pasquale di Risurrezione e di vita. Ringraziandovi ancora per la calorosa accoglienza che mi avete riservato all'ingresso in Diocesi il 4 febbraio u.s., permettetemi di entrare umilmente ed in punta di piedi nelle vostre case per poter condividere con voi gioie e speranze, ansie e preoccupazioni, fatiche e aspirazioni, attese e progetti di tutto il popolo di Dio; se me lo consentite, lasciate che ciò avvenga attraverso la fede comune in Gesù di Nazaret, “il Signore e il Maestro” (Gv 13, 14) della nostra storia. Desidererei abbracciare ognuno di voi con tutto l'ardore apostolico e la vicinanza pastorale che ho assunto a motto del mio episcopato con voi, fra di voi, e per voi sul modello dell'apostolo Paolo: “Purché in ogni maniera sia annunciato Cristo” (Fil 1, 18). Con questa mia lettera mi piacerebbe in qualche modo poter contribuire nell’accompagnare, sostenere e incoraggiare i nostri, i vostri percorsi di umanità e di vita buona, alla luce e secondo gli orientamenti che la fede cristiana ed il Magistero della Chiesa cattolica propongono ed invitano i suoi amati figli a farli propri e a testimoniarli nel concreto del vissuto personale, familiare, professionale, più ampiamente sociale, civile e istituzionale. Per questo vi vengo incontro sapendo che la famiglia oggi, più di ieri, ha una grande e delicata responsabilità, originale e insostituibile1. Essa è: il 2 “santuario della vita” , luogo di accoglienza, di generazione, maturazione e servizio alla vita in pienezza; “prima e indispensabile comunità educante”3 alla vita e ai valori che danno senso alla vita; “scuola di socialità... all'insegna del rispetto, della giustizia, del dialogo, dell'amore”4 in ogni ambito del vissuto. Vorrei consegnarvi con questo mio scritto una frase di san Paolo e quanto

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da essa discende: “… se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” (2 Cor 5, 17). L'apostolo delle genti fa esperienza che attraverso la riconciliazione operata da Cristo e la sua vittoria sul peccato e sulla morte tutto è nuovo, tutto è rivestito di luce, tutto è vita nuova. Anche nelle nostre, famiglie non ci sia più un pensiero ed un agire improntato a rimpianti o nostalgie, indecisioni, paure o disperazione, ma tutto in Cristo diventi 'nuovo'. Vi scrivo in questo tempo di Pasqua, tempo di luce e gioia, di pace vera, sincera, autentica, profonda da creare, ri-creare sempre e dovunque con nuovo vigore. Lasciamo che la Risurrezione di Cristo faccia risorgere anche la nostra vita e le nostre comunità. Penso in particolare a tutti quei contesti dove per le più svariate ragioni si sperimenta maggiormente il senso della sofferenza, della fragilità e del limite umano. Datemi la possibilità di indicarvi qualche modalità mediante cui questo percorso di rinnovata umanizzazione può essere reso possibile e fecondo per noi tutti. La luce della Pasqua e l'identità della famiglia cristiana: essere in Cristo creature nuove. Molti anni fa in un'intervista Madre Teresa di Calcutta (1910-1997) esclamò: “Se le famiglie tornassero a pregare insieme, avrebbero più pace. Niente mette tanta pace, quanto la preghiera fatta insieme”. Viviamo tempi di crisi, generalmente considerata di natura economica, ma non solo. Essa è primariamente di natura etica e culturale, antropologica: ci sentiamo tutti intimamente più deboli e fragili. Mentre il Paese si va impoverendo ogni giorno, e lo sviluppo tecnico-scientifico si rivela strutturalmente ambiguo, facciamo fatica a vivere con dignità; veniamo allora ricondotti ad una sobria essenzialità e portati a chiederci nuovamente: su cosa crescerà in noi? Quale vera crescita e autentico sviluppo potremo favorire? La fede cristiana ha una parola significativa da dire per aiutare le nostre famiglie a uscire da questa e da tutte le forme di crisi? Nel contesto attuale le difficoltà presenti obbligano al discernimento e ad una rinnovata progettualità5 compiuti con quel fiducioso realismo, saggezza e speranza attinti con forza e slancio proprio alla luce della fede pasquale. Papa Leone XIII (1810-1903) disse: “La famiglia è la cellula della

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società; se essa è sana, tutto l'organismo prospera. Se essa è malata, l'intera comunità deperisce e muore”. Guardando alla famiglia di Gesù e radicati su valori profondi riscopriamo insieme la nostra identità, la grandezza della vostra vocazione e del servizio che rendete alla Chiesa e alla società civile proprio vivendo con generosa coerenza e disponibilità ciò che contrassegna la vostra realtà familiare. Richiamo qualche ambito privilegiato. Innanzitutto l’accoglienza e la trasmissione del dono della vita e della fede, con cui edificate la Chiesa e la società. Penso a ciò che contraddistingue le realtà fondamentali dell'esperienza familiare: il Vangelo dell'amore cristiano che si esprime stabilmente e con tutto se stessi, fino al dono di sé, attraverso le relazioni complementari fondate sul matrimonio all'interno e all'esterno della vita coniugale e familiare tra uomo e donna, marito e moglie, padre e madre, genitori e figli, fratelli e sorelle, tra parenti e familiari e via via allargando il cerchio verso tutti, come stupore per l'esistenza dell'altro, la gioia di riceversi, accogliersi e donarsi, la fedeltà al proprio dono nel servizio disinteressato, la fecondità e l'apertura al futuro nelle varie dimensioni dell'esistenza. La vita è un miracolo grande nella storia del mondo, ma sempre fragile e minacciato: per questo ha bisogno da parte di tutti di attenzione, cura, rispetto in ogni sua forma, in specie per quegli ambiti intangibili e non negoziabili, come il diritto alla vita dal concepimento fino alla morte naturale, alla famiglia e alla libertà di educazione (specie, quella religiosa), ma anche politiche giuste per la salute ed il rispetto del creato, le giovani generazioni, la casa, il lavoro e una sana economia, l'armonizzazione tra i tempi di vita familiare e il lavoro, la tutela della donna come madre e lavoratrice, la crescita della società civile, l'investimento in una nuova cultura politica, la difesa dei più poveri ed emarginati, gli anziani fragili, i disabili, senza dimenticare le tante persone migranti che si trovano nel nostro territorio con tutto il loro carico di aspirazioni e problemi, e che auspico – anche attraverso la nostra collaborazione – possano integrarsi sempre più fra di noi. Inoltre, vorrei ricordare che è in famiglia che si imparano i primi elementi fondamentali della religione cristiana: il segno della croce, le preghiere del mattino, della sera e dei pasti, il modo di vivere la domenica e il tempo della festa, il riconoscimento e la pratica convinta dei simboli della fede. Altresì, è in famiglia che si impara il modo corretto di trattare

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le persone, i piccoli, i poveri, gli ammalati e gli anziani con rispetto e nel servizio reciproco e fraterno, le modalità 'umane' con cui relazionarsi con ciascuno e con tutti, i contenuti essenziali di ciò che ha valore nella vita e merita salvaguardia e promozione. Sulla scia del IV Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona (16-20 ottobre 2006) ritroviamo personalmente e comunitariamente una più robusta coscienza missionaria nel divenire autentici testimoni di Gesù Risorto, Speranza del mondo, perché i differenti ambiti della vita affettiva, lavoro e festa, fragilità umana, tradizione e cittadinanza si basino sempre più sulla sua Pasqua e sulla vita vera e bella, felice che da essa scaturisce per tutti6. La luce della Pasqua e la missione della famiglia cristiana: essere nuovi nella fede e agire in novità di vita Forti della nostra identità, siamo impegnati con particolare dedizione e responsabilità a far nostro il pressante appello con cui il Santo Padre Benedetto XVI ci ha esortato lo scorso ottobre 2011 a varcare la “porta della fede” (At 14, 27), tenendo lo sguardo fisso su Gesù (cf., Eb 12, 2), l´inviato del Padre, attraverso una particolare riflessione e riscoperta del dono della fede7. Tale invito si fonda sulla consapevolezza che solo una sempre più profonda conoscenza di Cristo e del suo mistero, una continua ricerca della contemplazione del suo volto, una viva e virtuosa esperienza di incontro con Lui nella Parola e nei sacramenti, una convinta accoglienza della chiamata universale alla santità e, insieme, l´attenzione ragionevole al mutare del contesto culturale e sociale possono dare efficacia all´annuncio del Vangelo e credibilità alla sua testimonianza secondo quelle modalità costanti e sempre nuove rese opportune da un 'nuovo zelo' nell'opera di ri-evangelizzazione e di promozione umana da ricercare e favorire negli svariati contesti in cui si svolge ogni giorno la nostra missione. Questa è anche la prospettiva contenuta negli Orientamenti pastorali della Chiesa italiana per questo decennio. Infatti, vi leggiamo: “… Per i genitori, l'educazione è un dovere essenziale… nel senso che non può essere delegato né surrogato. Educare in famiglia è oggi un'arte davvero difficile. Molti genitori soffrono, infatti, un senso di solitudine, di inadeguatezza e, addirittura, d'impotenza. Si tratta di un isolamento anzitutto sociale, perché la società privilegia gli individui e non considera la

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famiglia come sua cellula fondamentale” . Conosco le inquietudini e i travagli con cui voi mariti e mogli, padri e madri, figli, faticate in famiglia e in società a proporre e realizzare in misura adeguata ragioni profonde per vivere. A tal fine, vi esorto ad essere testimoni veridici e infaticabili di quell'amore sponsale consacrato all'altare, promosso e valorizzato all'interno della coppia, per i vostri figli e verso tutti coloro che incontrate sul vostro cammino. Il prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie (il cui tema sarà "La Famiglia: il lavoro e la festa”), che si svolgerà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno p.v., costituirà un importante evento di mobilitazione e coscientizzazione sulla vocazione e missione della famiglia cristiana. Le novità del presente, la ricchezza e la complessità dei percorsi del pensiero umano, come anche dell’esperienza di ogni giorno, richiedono una costante traduzione in parole e opere delle ragioni della speranza cristiana9, in modo che sia possibile proporre a ogni persona e all'intera società i criteri e le norme di vita che scaturiscono dall´autentica realtà dell´uomo, quale ci è stata pienamente rivelata in Gesù Cristo. E' lui “l'uomo nuovo… il nuovo Adamo”, Colui che “rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione”10. Il mistero dell'uomo nella luce del Verbo incarnato, morto e risorto per la nostra salvezza comporta la condivisione del cammino di ogni uomo e donna, mettendo in chiara luce la partecipazione delle famiglie cristiane alla missione della Chiesa oggi: esse, aiutate dalle comunità parrocchiali in cui sono inserite, dai gruppi ecclesiali, associazioni e movimenti, sono chiamate ad assumere e testimoniare in comportamenti concreti e visibili i valori evangelici, aiutando nello stesso tempo ogni persona che incontrano negli ambiti di vita da loro frequentati (scuola e ambienti educativi, parrocchia, massmedia, lavoro e professione, realtà istituzionali, svago e tempo libero, ecc.) a lasciarsi interpellare dalla verità sull'uomo donata a noi dal Vangelo e risplendente in forma completa e autentica nel Signore Gesù, unico vero Salvatore dell'uomo, di ogni uomo e tutto l'uomo. E' la novità della Pasqua che vogliamo vivere con tutta l'intensità possibile della fede a dischiudere per noi orizzonti di speranza e di fiducia in cammini di umanità sempre rispettosi della sua dignità trascendente e che mai pongano altro al suo posto, in particolare quando, per le difficoltà che si possono incontrare nella vita o seguendo falsi ideali e parziali prospetti-

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ve, si vorrebbe ridurre l'uomo a ciò che esso non è, né può mai essere. Ne deriverebbe solo una sterile e infruttuosa riduzione di significato che avrebbe conseguenze nefaste per la vita buona di ciascuno e di tutti coloro con cui siamo chiamati a coltivare e custodire con dignità il 'giardino' nel quale siamo stati posti per un progetto di amore e che il Signore ci fa abitare (cf., Gen 2, 15). Alla luce della Pasqua, cosa far nascere di nuovo nelle nostre famiglie? E' a partire da questa ri-motivata presa a cuore dell'identità e missione a voi generosamente affidata dall'appartenenza alla comunità cristiana, per camminare in novità di vita invito le vostre famiglie con forza a essere 'piccola Chiesa', dal Concilio chiamata “Chiesa domestica”11 che crede, professa, educa, annuncia e vive, prega in comunione di amore e di vita al suo interno e con tutte le altre famiglie e componenti del vissuto cristiano. Con tutta la Chiesa diocesana e i cari sacerdoti, vi incoraggio e sostengo nel presentare in ogni contesto di vita le ragioni della fede in modo serio e condivisibile, prestando attenzione alle domande, alle reali attese e alle scelte delle persone che sono accanto e attorno a voi. Nel dialogo con chi non crede sappiate attingere luce dal Vangelo, impegnandovi con convinzione perché il Cristo che in esso rifulge diventi vostro inseparabile e fedele compagno di viaggio nella vita di ogni giorno, facendovi prossimi a tutti (cf., Lc 10, 29-37), ma senza conformarvi a quei modelli culturali e ideologici che non vi consentono di “discernere la volontà di Dio, ciò che buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2). Desidero vivamente che sappiate dire e vivere il Vangelo con le parole e le opere semplici della vita ordinaria, per imparare a parlare al cuore di ogni uomo. Mi sembra questo il modo per comporre in forma significativa la tensione missionaria che scaturisce dalla fede cristiana e la conseguente coerenza della vita, senza frammentazioni e sovrapposizioni tra ciò che sarebbe proprio della fede e ciò che invece inerisce gli impegni temporali. “… a Gesù Cristo, che ci ama, sta a cuore tutto l'uomo”12. In particolare, insieme a voi ci impegniamo nel seno delle nostre comunità parrocchiali e lo faremo in forma ecclesiale nel prossimo Convegno diocesano in giugno, sforzandoci di declinare in forme diffuse e popolari il progetto di vita buona che è proprio della vita cristiana, aiutandoci tutti insieme ad analizzare e giudicare da credenti le questioni impellenti del

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nostro tempo, ed esprimere di conseguenza valutazioni e orientamenti legati ad una visione autentica della persona umana e dei problemi che la riguardano nella sua totalità. Siate coscienza critica e propositiva secondo la fede in tutti gli ambienti della società civile, sociale e politica della nostra amata Diocesi, evitando il più possibile divisioni faziose, opposizioni e chiusure di parte che non conducono al raggiungimento del vero bene comune di ciascuno e di tutti. Ricerchiamo insieme forme efficaci di presenza sul territorio diocesano e di valorizzazione autentica della vocazione affidata a ognuno, perché in ogni luogo risplenda la bellezza della testimonianza cristiana in tutta la sua autenticità, per una efficace penetrazione nel vissuto delle nostre società. Con competenza e disponibilità siate presenti, valorizzando l'apporto di ciascuno dei componenti dei vostri nuclei familiari, con una feconda assunzione di responsabilità nei cammini formativi delle nostre comunità parrocchiali. In questo senso, nello specifico, vorrei che si sviluppassero a livello parrocchiale e interparrocchiale, foraniale e diocesano luoghi significativi e momenti forti di formazione, per alimentare il cammino di fede e l'impegno di testimonianza di tutti i credenti, nel delicato e opportuno servizio alla comunità ecclesiale, civile e politica. L´annuncio della Parola, la preghiera e la celebrazione dei sacramenti traccino itinerari di spiritualità che formino in maniera significativa bambini, ragazzi, giovani e adulti ad una vita di carità autentica, sullo stile dell'amore di Dio, radicato e già presente in tante realtà della nostra Diocesi, ma sempre da ri-vitalizzare nei contenuti e nelle modalità, perché nell'adesione al comune cammino di crescita, si esprima nello specifico una più consapevole appartenenza alla vita della nostra comunità cristiana. “… Mediante l'amore siate invece a servizio gli uni degli altri” (Gal 5, 13). Vi chiedo di imparare quotidianamente a donare con ribadita convinzione quello che siamo, 'comunità d'amore', per far crescere e moltiplicare il bene della carità fra tutti gli uomini, ed in particolare verso chi vive isolato o è escluso dal banchetto della vita (cf.: Lc 16, 19-31; Mt 22, 1-14), ed è bisognoso del pane dell'amore per poter vivere. Nessuno si senta emarginato fra di voi. Vi esorto a non stancarvi di essere operatori di bene in questo tempo di fragilità sia personale e interpersonale che sociale. Siate capaci di trarre il bene dalle esperienze negative che ogni giorno si presentano nelle vostre case. Se è vero che “Dio è amore” (1 Gv

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4, 8) e “l'amore è da Dio” (1 Gv 4, 7), impegniamoci ad invocare con insistenza nella preghiera il dono dell'amore vero perché – da Lui generati e da Lui amati fino al dono della sua stessa Vita per noi – restiamo in Lui (cf., Gv 15, 1-17) e diveniamo suoi veri testimoni per la vita buona del mondo13. Si, implorate incessantemente il Signore. Ciascuno lo invochi con il proprio coniuge, insieme ai vostri figli, con i vostri anziani genitori. A immagine della Trinità divina, siate una cosa sola, una sola voce, una sola invocazione (cf., Gv 17, 21-23). Invocatelo sempre. Pregate spesso come ci ha suggerito sant'Anselmo d'Aosta (1033-1109): “Guarda, Signore, esaudisci, illuminaci, mostrati a noi. Ridonati a noi perché ne abbiamo bene: senza di te stiamo tanto male. Abbi pietà delle nostre fatiche, dei nostri sforzi verso di te: non valiamo nulla senza te. Insegnami a cercarti e mostrati quando ti cerco: non posso cercarti se tu non mi insegni, né trovarti se non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti, che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti”14. Con la vostra testimonianza evangelica e nello stile cristiano del dialogo e del confronto con tutti, condividete e collaborate con ogni uomo di buona volontà, illuminando di spirito cristiano ogni realtà vitale di cui è impregnato il nostro bel territorio. Una parola di speciale vicinanza vorrei rivolgere a tutte quelle famiglie che vivono momenti di difficoltà, in questo nostro tempo impegnativo e difficile, ma non meno bello e straordinario per l'opportunità di far fiorire nuove vocazioni alla comunione di vita e di amore nella famiglia. Non sentitevi mai soli, il Signore Gesù e tutta la comunità diocesana con Lui sentiamo vivo il peso delle vostre fatiche, oscurità e sofferenze, di qualsiasi natura esse siano: economiche, affettive, morali e spirituali. Siamo consapevoli che solo riscoprendoci tutti appartenenti all'unica famiglia dei figli di Dio e fratelli in Gesù Cristo gli uni degli altri, insieme secondo quel tesoro di bene che ciascuno è e vuole rendere partecipi i fratelli nella condivisione della comunità familiare, ecclesiale e civile, sociale e istituzionale, potremo superare tutte le tenebre che offuscano il nostro cammino, perché su ogni uomo e donna sfolgori in tutta la sua luminosità e calore umano il sole di Pasqua. Nella reciprocità costruttiva della fede che ci unisce, ognuno di noi divenga familiare e responsabile delle vicende vitali di ogni altro membro della comunità: scopriremo così il senso vero e genuino dell'essere gli uni con gli altri e per gli altri,

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non “… più stranieri né ospiti, ma… concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d'angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per divenire abitazione di Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2, 19-22; altresì, cf., 1 Pt 2, 9-10). Vorrei che questa lettera vi dicesse tutto l'amore mio e del Presbiterio, facendovi parte del mio cuore di padre e pastore del gregge a me umilmente affidato, perché ciascuno di voi possa essere raggiunto e confortato, animato nella costruzione responsabile della sua vita personale, familiare e più ampiamente sociale, secondo lo Spirito del Signore Gesù. Vi invito a imitare quei santi genitori che con fatica hanno seguito i loro figli nel cammino della vita. Essi sono stati un punto di riferimento imprescindibile per le loro scelte. Se non ci fosse stata la scuola di santa Monica, non avremmo avuto sant’Agostino; se non ci fosse stata mamma Margh-erita non avremmo avuto san Giovanni Bosco; se non ci fossero sante madri e santi padri il mondo sarebbe più povero di umanità. La famiglia è scuola di preghiera e di umanità. Beati voi se sarete capaci di accompagnare i vostri figli con la preghiera, la presenza discreta e una testimonianza credibile nel quotidiano. Avremo così nel futuro uomini e donne capaci di cambiare le sorti del mondo, a cominciare da quelle del nostro travagliato Meridione. Sant’Agostino (354-430) nelle Confessioni scriverà: “Ciò che io sono lo debbo alla virtù e alla preghiera di mia madre”. Beati voi se un giorno un vostro figlio dirà questo di voi. Un ricordo speciale alle famiglie provate dalla sofferenza, e a quei coniugi che vivono situazioni irregolari di unione. Saluto con affetto tutti i nostri emigrati all’estero e che aspetto di incontrare nei paesi d’origine. Vi benedico tutti con molta e viva cordialità, augurando a ciascuna e a tutte le nostre amate famiglie una serena Pasqua di Risurrezione. Pasqua di Risurrezione 8 aprile 2012 X Antonio, Vescovo

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Note 1

Su questi aspetti, cf., GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Familiaris consortio, qui n. 36. Più ampiamente, mi permetto di rimandare a: CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, Parte II, cap. I; PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, cap. V. 2 GIOVANNI PAOLO II, Enc. Evangelium vitae, qui n. 92. 3 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti past. per il decennio 2010-2020, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 36. 4 GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Familiaris consortio, n. 43. 5 Cf., BENEDETTO XVI, Enc. Caritas in veritate, n. 21. 6 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Nota past. “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande 'Si' di Dio all'uomo. 7 L'11 ottobre 2011 è stato indetto l'“Anno della fede”: esso avrà inizio l'11 ottobre 2012 nel 50° anniversario dall'apertura del Concilio Vaticano II e terminerà il 24 novembre 2013, solennità di Cristo Re dell'universo: cf., BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta Fidei. 8 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti past. per il decennio 2010-2020, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 36. 9 Cf., BENEDETTO XVI, Enc. Spe salvi. 10 CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 22. 11 CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen Gentium, n. 11; cf., ID., Decr. Apostolicam Actuositatem, n. 11. 12 BENEDETTO XVI, Enc. Caritas in veritate, n. 15. 13 D., Deus caritas est. 14 SANT'ANSELMO, Proslògion, ed. F.S. Schmitt, Seckau-Edimburgo 1938, cap. I, 99-100 (cf., Seconda Lettura dall'Ufficio delle Ore del Venerdi della I Settimana di Avvento).

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MESSAGGIO AI GIOVANI DI S.E. MONS. ANTONIO DE LUCA VESCOVO DI TEGGIANO-POLICASTRO

Carissimi giovani, vi ho cercato molto, ho desiderato tanto l'incontro con voi e la vostra amicizia, perchè so che senza di voi non faremo molta strada. Senza il vostro entusiasmo, la vostra fiducia e la vostra grande carica umana, questa Chiesa di Dio che è in Teggiano-Policastro e che il Signore mi ha affidato non riuscirà a superare la fatica e le stanchezze di un mondo invaso dalla noia e dal qualunquismo, aggredito da laceranti mediocrità e disarmanti indifferenze. Senza il vostro aiuto non riusciremo a capire quale direzione dare ai nostri pensieri e su quale terra e con quali mezzi dobbiamo gettare il seme del Regno, per un futuro di speranza, di carità e di fede. Io so che anche voi, tutti voi, desiderate queste cose, ciascuno a modo suo, fino a confondere i linguaggi e, qualche volta a camuffarli e nasconderli, o fino a renderli trasgressivi ed esagerati. Esagerare diventa spesso un modo per mostrarsi e non tacere le passioni del cuore. Esagerare per essere. Essere presenti e vivi nella selva dell'effimero, dell'arroganza dei poteri e del solenne trionfo del nulla. Vi ho cercato molto perchè so che voi non sopportate queste cose e le volete combattere e, mentre vi confido la mia debolezza e il mio grande bisogno della vostra compagnia, vi dico anche qual è la mia forza e per quale ragione mi unisco, con tutto il cuore, alla vostra tenace ricerca. Voi forse non lo sapete, ma tutto ciò che vi fa scoppiare il cuore e lo fa tremare di gioia per tutto l'amore del mondo, lo ha inventato Gesù Cristo. Ve lo dico non perchè l'ho letto da qualche parte ma perche’l'ho vissuto e lo vivo ancora. É lui la mia forza... e vorrei donarvela! Alcuni anni fa, quando ero più giovane, un cantautore sconvolse l'opinione pubblica cantando "voglio una vita spericolata... la voglio piena di guai". Le parole di questa canzone divennero il manifesto di un'intera generazione e ancora oggi quel motivo e la sua struggente poesia accompagnano il sogno ribelle e inquieto di migliaia di giovani. Quelle parole, cosi’evidentemente anticonformiste, quasi col sapore o la pretesa di essere la formula magica di un mondo nuovo, che non si lascia

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ingessare da regole morali e da etichette, mi hanno sempre sconcertato e mi hanno suggerito emozioni e pensieri pieni di Vangelo. Gesù di Nazareth aveva iniziato la sua vita pubblica immerso nelle acque di un fiume, dove era andato ad abbracciare il sogno profetico del più grande e spericolato ribelle della storia umana, Giovanni Battista, e lì ricevette da Dio il potere di combattere ogni forma di ingiustizia, di miseria e di male sparsi sulla terra. La sua storia, iniziata in un torrente di rigenerazione, continuò in giro per le città e i villaggi di Galilea, a cercare disperati, infelici, prostitute, affamati, malati terminali, gente posseduta dal male, a cercarli per liberarli e farli diventare suoi amici. La sua vita, mai restia dinanzi al pericolo, alle minacce di morte e alle trappole degli ipocriti, in una corsa affannosa verso Gerusalemme, finì su una croce, tra delinquenti comuni, tradito dagli amici e reso argomento di scandalo per tutti... la sua vita, finita per essere cosi spericolata e per essersi presa tutti i guai del mondo, è la vita più bella che si possa vivere. Morire d'amore, nel disprezzo delle false certezze, delle finte passioni e della finta fede, morire d'amore e uccidere la morte perchè non è possibile restare suoi schiavi, è la vita più spericolata che si possa vivere ma, in assoluto, la più degna di essere vissuta, di essere manifestata e raccontata, l'unica vita veramente bella. Ho sempre ascoltato cosi’ le parole di quella canzone e le ho sempre sentite infinitamente vicine al mio desiderio di seguire Gesù e oggi, da apostolo del suo Vangelo, sento sempre più forte la tentazione di non scansare il pericolo, ma di abbatterlo, di non nascondermi o rifugiarmi dietro muri imbiancati, ma di scavalcarli e guardare cosa c'è oltre, di non evitare i guai, ma anzi di andarli a cercare, se serve a salvare qualcuno, anche uno soltanto. Per tutte queste ragioni vi ho cercato e vi ho raggiunti con questo biglietto, che spero arrivi a tutti. Vi prego di fare anche voi lo stesso. Cercatemi e mi farete felice. Voglio collaborare alla vostra gioia, aiutandovi a scoprire quello che ho scoperto prima io: la persona di Gesù Cristo! So che le scoperte hanno un prezzo e anche questo lo voglio pagare io per primo, pur di potervi annunciare che la vostra gioia è Cristo. Lo dovrete solo cercare e, una volta incontrato, sentirvi costantemente interpellati da Lui che energicamente chiede ad ognuno: «mi ami tu?» (Gv 21,16). 12 Maggio 2012

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PRIMI VESPRI DELLA SOLENNITÁ DI SAN CONO PATRONO DELLA DIOCESI Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Cattedrale di Teggiano, 2 giugno 2012

È con un intimo senso di gratitudine al Signore che oggi, insieme a voi, per la prima volta celebro i primi vespri della solennità di S. Cono, cittadino e Protettore della Città e Diocesi di Teggiano-Policastro. Fin dal primo momento della mia venuta in questo luogo ho potuto toccare con mano la vostra devozione verso questo giovane santo che nella sua breve esistenza ha cercato innanzitutto di piacere a Dio, operando scelte che lo ponevano in una sequela radicale del modello lasciato dallo stesso Signore Gesù. Questo forte attaccamento si evince anche dalla presenza della sua immagine che svetta dall’alto dell’obelisco posto nella piazza della Città, come segno di protezione su tutti noi, ma anche come un richiamo che ci ricorda che il senso definitivo della nostra esistenza non si esaurisce nell’orizzonte di questo mondo: La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso (Fil. 3,20). Alui i nostri padri, lungo i secoli, si sono rivolti per ottenere aiuto e protezione e in nessuna occasione S. Cono si è sottratto a questo suo ministero di sostegno e difesa del nostro popolo. Siano rese grazie a Dio che ci benedice con la testimonianza dei suoi santi. Vorrei offrire alcune piste di riflessione sulla natura della santità così come la Chiesa ce la presenta. La santità non è solo delle realtà future ma soprattutto è spazio vitale in cui far scorrere la propria vicenda umana: non vi è nulla di cristiano che non sia allo stesso tempo genuinamente umano. Santi non si diventa per uno sforzo umano, un’ascesi che esula dalla concretezza della storia, la santità non è perfezione raggiunta una volta e per sempre; la santità è ten-

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dere a Dio, in grado di ascoltare nel nostro silenzio la sua voce, accogliere incondizionatamente il suo continuo manifestarsi, senza se e senza ma, mettendo sempre da parte i rumori che disturbano questo suo comunicare con noi. I santi manifestano la potenza della resurrezione di Cristo perché hanno sperimentato nella loro vita ciò che S. Paolo scrive ai Galati: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal. 2,20). L’identificazione è piena proprio perché il Signore riempie e dilata il cuore di coloro che decidono di seguilo fedelmente: «Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore» (sal. 118, 32). Il Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato quella santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore: «Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste» (Mt 5,48). Mandò infatti a tutti lo Spirito Santo, che li muova internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cfr Mc 12,30), e ad amarsi a vicenda come Cristo ha amato loro (cfr. Gv 13,34; 15,12). I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi (LG, 40). La santità dunque è conquista di tutti i battezzati, nel battesimo l’uomo partecipa di questo dono divino, ecco perché il cristiano vive avendo piena coscienza della sua santità. A noi oggi, avendo come modello S. Cono, si impone un interrogativo che deve risuonare ogni giorno e la cui eco non deve mai diminuire: che cosa vuol dire essere santi? Chi è chiamato ad essere santo? Non è monopolio di alcuni, è invece impegno di tutti, non a raggiungerla (l’uomo non potrebbe), ma a riceverla come il dono più prezioso. San Paolo riferisce di un disegno di Dio che abbraccia ogni uomo e tutto l’universo: «In lui – Cristo – (Dio) ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,4). In Cristo, che è la santità stessa, Dio sceglie ed elegge gli uomini a partecipare alla sua santità attraverso la grazia che il Signore conferisce con i sacramenti. Cristo è il centro di un progetto d’amore, di elezione e di vocazione, di santità. La santità è dunque riservata a tutti i battezzati. Come comprendere e percorrere questo cammino di santità? Come ri-

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spondere con responsabilità e generosità a questo appello di Dio? Bastano le sole forze dell’uomo? Una vita santa non è frutto principalmente del nostro sforzo, delle nostre azioni, è Dio, che partecipa questa grazie della santità ai suoi figli: «I seguaci di Cristo, chiamati da Dio non secondo le loro opere, ma secondo il disegno della sua grazia e giustificati in Gesù Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere nella loro vita e perfezionare la santità che hanno ricevuta» (LG, 40). Quali mezzi, quali vie abbiamo a disposizione per prendere coscienza del dono della santità già ricevuto? La santità cristiana non è altro che la carità pienamente vissuta. «Dio è amore; chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1Gv 4,16). Ora, Dio ha largamente diffuso il suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato (cfr Rm 5,5); perciò il dono primo e più necessario è la carità, con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Lui». S. Cono, nostro amato protettore, ci insegna l’amore per Dio e per il prossimo, egli è indicatore di strada come ci ricorda il S. Padre Benedetto XVI. Ci ricorda con la sua testimonianza che nell’esistenza bisogna far centro, dobbiamo fare la nostra opzione per Dio e renderlo presente con le parole e le opere che lo Spirito ci suggerisce. Ci insegna che seguire la vocazione che Dio ha posto nel nostro animo è sorgente di realizzazione e serenità, che non ci si può sottrarre a quell’urgente appello di vita piena a cui tutti aspiriamo. L’intercessione fraterna e amorevole di S. Cono aiuti tutti a comprendere che la santità è considerare fino in fondo che la nostra destinazione ultima è legata a quella di Cristo in modo indissolubile e che lui, il Signore, a portare a compimento le grandi opere che Dio vuole compiere in noi. Amen.

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CELEBRAZIONE EUCARISTICA NELLA SOLENNITÁ DEL SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO ORDINAZIONE PRESBITERALE don Antonio Altarcha e don Antonio Palma

Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Cattedrale di Teggiano, 9 giugno 2012

E’ con viva commozione e con un sentimento di intensa trepidazione che questa sera celebro l’Eucarestia nella quale saranno ordinati Presbiteri i nostri Diaconi don Antonio Altarcha e don Antonio Palma. La presenza del presbiterio è fonte di conforto in questo momento nel quale venite immessi per opera dello Spirito Santo in questa comunione presbiterale, vi accogliamo con affetto e disponibilità a sostenere i vostri primi passi del ministero presbiterale. Siete accolti come fratelli presbiteri capaci di portare in seno al presbiterio tutte le vostre capacità, i vostri doni, i vostri carismi; vi invito a guardare in noi il bene che possiamo darvi e a mettere da parte tutto ciò che potrebbe scoraggiarvi e deludervi. Dopo di me tutti i presbiteri imporrano sul vostro capo le loro mani: cari presbiteri con questo gesto voi accogliete i neo sacerdoti nella famiglia presbiterale e, in certo qual modo, con me vi impegnate davanti a Dio ad essere per loro custodi premurosi, fratelli che si pongono accanto, in grado di amare e sostenere. Nei giorni scorsi riflettevo come le vocazioni al ministero ordinato sono la garanzia più certa che una comunità diocesana si impegna a vivere con coerenza il Vangelo di Cristo. Questo impegno genera vocazioni generose, pronte a mettersi al servizio di Dio e del prossimo. E pensavo anche che la nostra Diocesi è la prova che la fedeltà di Dio non viene mai meno: oggi voi, carissimi diaconi, domenica prossima, nella Concattedrale di Policastro, altri tre diaconi saranno ordinati presbiteri. Non si poteva scegliere un giorno migliore per celebrare l’ordinazione sa-

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cerdotale dei nostri fratelli che la solennità odierna. Eucarestia e sacerdozio sono intimamente legate, non solo perché Gesù le ha istituiti nello stesso giorno – anzi nello stesso momento, dicendo: “fate questo in memoria di me” – ma anche perché questi due sacramenti sono intimamente legati a livello teologico. Il sacerdozio è intimamente legato all’Eucarestia, e l’Eucarestia è radicata nel sacerdozio. Non si può comprender l’una senza l’altro. La Chiesa universale oggi celebra il Corpo e Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, ed è opportuno che partiamo da questa festa, per poi rivenire al sacramento dell’Ordine. La Parola di Dio ci guida a comprendere come Dio, lungo la storia della salvezza, ha preparato l’umanità a comprendere e ricevere questo grande dono che è l’Eucarestia. Già nell’AT, ci racconta la prima lettura, Dio ha convocato Israele per stringere con lui un’alleanza, di cui Mosè è il mediatore. - Essa è sigillata da “sacrifici di comunione” ed in particolare da un rituale del sangue, che consiste nello spargere il sangue di animali sull’altare e poi sul popolo. Questo rito è completato dalla lettura della Legge, che detta le condizioni per restare in questa alleanza. - La Parola ed il Sangue sono fin dall’inizio i due segni dell’alleanza, che altro non è che una relazione esclusiva d’amore tra Dio ed il suo popolo. - Il sangue indica la vita, e ciò che di più prezioso l’uomo possiede. L’aspersione dell’altare indica che d’ora in poi essa è legata indissolubilmente a quella di Dio, ed in qualche modo gli appartiene. L’alleanza non è dunque che una ratifica della creazione. La vita appartiene già a Dio perché è lui che ha creato l’uomo. Ma nel patto di alleanza l’uomo decide liberamente e di sua iniziativa di accettare questa dipendenza, in qualche modo la riconosce e l’assume. - Sangue e Parola, identità dell’uomo e quella di Dio, sono dunque già nell’AT gli elementi su cui si stabilisce la relazione di fede e di vita tra i due. La seconda lettura, tratta dalla lettera agli ebrei, è comprensibile alla luce della prima e ne svela il compimento in Cristo. - Egli è l’artefice della Nuova Allenza, che a differenza della prima, si opera una volta per sempre (efapax) e per mezzo del suo stesso sangue. Non più il sacrificio di vittime, da ripetere annualmente per la rinnovazione dell’alleanza, ma il sangue del Figlio di Dio. Con la sua passione,

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evento irripetibile, egli compie e perfeziona l’alleanza una volta per tutte. - L’offerta volontaria di Cristo non sostituisce solo quella delle vittime, ma anche quella dell’umanità intera. La salvezza è compiuta una volta per tutte, in maniera irrevocabile ed irripetibile. L’uomo ha così la possibilità di accedere ad una salvezza definitiva e completa. - Ma si pone il problema: come l’uomo può comunicare o accedere a questo dono immenso che la morte di Cristo gli ha meritato? Come si realizza il “meraviglioso commercio” tra la grazia acquistata da Gesù e la vita dell’uomo, soggetta al male ed al peccato? È quello che Gesù stesso illumina nel racconto eucaristico, che costituisce anche la terza lettura. Il Vangelo mostra dunque come tutto questo piano di salvezza, iniziato da Dio con Israele, possa raggiungere il compimento ed estendersi ad ogni uomo. - Gesù istituisce l’eucarestia durante la cena pasquale, che ricordava la prima alleanza d’Israele con Dio. Ce lo mostra il fatto che Gesù invia a discepoli a preparare questa cena molto importante. - Egli trasforma tuttavia questo rito antico in qualcosa di nuovo, l’inaugurazione della nuova alleanza. - Le parole «Prendete, questo è il mio corpo… Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti» indicano che il dono di sé, che si compirà di lì a poco nella passione, sono il momento dell’inaugurazione della nuova alleanza. - Essa è irripetibile, ma la grazia che ne scaturisce è infinita. Ogni volta che i discepoli di ogni tempo si accosteranno al pane ed al vino in ricordo di Gesù, la grazie della morte e risurrezione di Gesù si riattualizza per loro, ed essi potranno di nuovo beneficiarne. - Ecco dunque la grandezza, ma anche il mistero velato in questo sacramento. Celebrando l’eucarestia noi accediamo di nuovo, sotto i segni del pane e del vino, alla grazia infinita contenuta nel mistero della salvezza, la morte e risurrezione di Gesù. Mistero incredibile e quasi inaccettabile per la mente umana, ma visibile con gli occhi della fede. Questo miracolo può avvenire ancora oggi in mezzo a noi per mezzo del Sacerdozio, ministro mediante cui il miracolo della comunicazione alla salvezza mediante l’Eucarestia si rende accessibile. Contemplando questo mistero, sant’Alfonso concludeva che «Gesù è morto per fare un sacerdote».

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Oggi è un giorno splendido per la nostra amatissima Chiesa di TeggianoPolicastro perché i nostri cari diaconi sentono rivolgersi dal Signore le espressioni del salmo 2: «Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato». La Chiesa è quotidianamente generata dall’amore di Dio, oggi questa Parola si compie per i nostri diaconi Antonio Altaarcha e Antonio Palma e diventa significativa per la loro esistenza per sempre. In ogni momento della vostra vita abbiate il coraggio di sentire la voce del Padre che vi elegge e chiama figli, generati dal suo amore. Il vostro sacerdozio sia modellato sull’esempio del Maestro, il quale nell’Eucarestia ci mostra un amore che va fino all’estremo, che non conosce limiti e che diventa memoriale del sacrificio della croce, un sacrificio che si perpetua e si ripresenta in tutta la sua forza attraverso il ministero dei Presbiteri. Quanta attenzione e quanto amore dovrete porre ogni qualvolta si accosterete all’altare di Dio per la celebrazione del sacrificio: Verrò all'altare di Dio, al Dio della mia gioia, del mio giubilo (sal. 42). Nel pronunciare le parole che rendono viva la presenza di Cristo non potete non riandare con la vostra memoria al momento in cui il Signore, nella cena pasquale, inaugura la nuova Alleanza non più con il sangue degli animali, ma sugellata nel suo Corpo e nel suo Sangue. Voi non potrete dire quelle Parole senza un pieno coinvolgimento di voi stessi, senza che la vostra esistenza sia travolta da quell’amore dal quale esse scaturirono, senza che esse non abbiano una piena attuazione nella vita. Se tutto ciò non avviene la celebrazione dell’Eucarestia sarà solo un rito che, per quanto solenne e preciso, non potrà generare la fede. Abbiate alta la coscienza che da questa sera siete immagine perfetta di Cristo, cercate di mantenerla sempre limpida attraverso la testimonianza di una vita sacerdotale sempre pronta a compiere non il proprio volere ma quello del Padre. In questo cammino al servizio di Dio e dei fratelli vi accompagni la presenza materna di Maria, Madre della Chiesa e dei Sacerdoti, custode premurosa del vostro Sacerdozio e l’intercessione fraterna dei nostri Patroni S. Cono e S. Pietro Vescovo. Carissimi don Antonio e don Tony la Chiesa di Dio che è in TeggianoPolicastro oggi vi saluta e vi acclama suoi sacerdoti in eterno. Amen.

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CELEBRAZIONE EUCARISTICA ORDINAZIONE PRESBITERALE don Francesco Alpino, don Agnello Forte e don Antonio Toriello

Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Concattedrale di Policastro Bussentino, 17 giugno 2012

È bello rendere grazie al Signore e cantare al tuo nome, o Altissimo, annunciare al mattino il tuo amore, la tua fedeltà lungo la notte. (Salmo 91) Carissimi fratelli e sorelle, cari Antonio, Agnello e Francesco, oggi è un giorno di grande gioia per tutta la nostra cara e amata Diocesi di Teggiano-Policastro perché in questa concelebrazione Eucaristica, per opera dello Spirito Santo, sarete ordinati Presbiteri della Chiesa e immessi a titolo speciale a partecipare del sacerdozio di Cristo, per il bene dell’umanità. Siamo immersi in un fiume di grazia, sabato 9 giugno, infatti, altri due diaconi della nostra Chiesa particolare sono stati ordinati sacerdoti, Don Antonio Palma e Don Antonio Altarcha, che saluto con grande affetto. Oggi è il vostro giorno, nel quale vedete coronato il sogno e la promessa che vi ha visti impegnati negli ultimi anni nei quali vi siete preparati a questo evento. Insieme a voi saluto e ringrazio le vostre famiglie, le vostre comunità parrocchiali e i vostri parroci, che vi hanno accompagnato in questi anni e che oggi vi fanno corona per gioire con voi e per voi. Ringrazio tutti i presbiteri presenti a questo evento, voi miei cari costituite la bellezza della nostra Chiesa diocesana, mi sento fortemente legato a voi per la condivisione della stessa vocazione per la costruzione del Regno di Dio, a servizio del nostro popolo. Vi ringrazio per la vostra presenza, è mio desiderio condividere con voi in piena comunione i progetti, gli sforzi, le idee che possono contribuire ad un rinnovato annunzio della no-

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stra fede. Voglio che sappiate che voi avete un posto speciale nel mio cuore. Un caro saluto agli amatissimi seminaristi, primavera della nostra Chiesa diocesana: guardo voi con la fierezza di un padre che vede crescere e fortificarsi i propri figli. In questo vespro mirabile tornano i prodigi di Dio, la Parola ci ha interpellati e attende da noi una risposta che genera un cambiamento, un rimetterci sulla strada che conduce al Signore. La prima lettura, del profeta Ezechiele, ci ha riportato in uno dei periodi più bui della storia di Israele quando Gerusalemme fu distrutta e inizia deportazione dei figli di questo popolo. In un grave momento di crisi, dove anche la speranza messianica sembra spegnersi senza possibilità di ripresa, la voce del profeta rompe gli schemi, guarda oltre, sa indicare oltre l'immediato orizzonti nuovi ricchi speranza. Sa andare al di la di ciò che appare e che è desolante. Il coraggio del profeta che sa percepire un barlume di speranza in un futuro incerto, di una svolta che riguarderà tutto l'Israele di Dio. Sembra strano, ma l'intervento di Dio avviene quando tutto sembra perduto, finito, senza speranza, nell'ora dell'impossibile, del totale offuscamento di ogni possibilità di riscatto. Nell'ora della prova Dio parla. In questo senso, cari ordinandi, la vostra voce profetica dovrà scuotere le persone quando sembra ormai inutile, quando l'oscurità offusca la visione di un futuro certo, quando si nutrono dubbi sulla presenza e bontà di Dio, allora la vostra voce dovrà alzarsi forte e imponente per affermare il primato assoluto di Dio. Così troverà senso la vostra presenza tra coloro ai quali Dio vi manda come suoi testimoni. Tutto ciò deve essere realizzato cercando con tutto voi stessi di piacere a Dio in ogni cosa e di essere sempre a lui graditi, come ci ricorda l'Apostolo Paolo nella seconda lettura della liturgia di oggi. Per un prete che significa essere gradito a Dio? Nel nostro contesto attuale come si può e attraverso cosa si deve essere graditi a Dio? Innanzitutto con un'esistenza trasparente, che rifugge ogni pericolo di sottile doppiezza, che non ha spazio per scomparti nascosti, inaccessibili. Lasciate che Dio entri nelle pieghe più intime della vostra storia personale per redimerla, trasfigurarla, e diventare così in tutto simili a lui. La storia recente purtroppo ci dice che non sempre Dio occupa il primo posto nella vita dei sacerdoti. Mi ritornano alla memoria impegnative le parole che S. Alfonso ha scritto nella Pratica di amare Gesù Cristo: "Quando manca all'ordinando l'esperimento della buona vita, non solo pecca gravemen-

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te il soggetto che si ordina, ma pecca ancora il Vescovo che lo promuove all'Ordine sacro senza la dovuta prova per cui si sia reso moralmente certo della buona vita dell'ordinanando" e nelle Riflessioni utili a Vescovi soggiunge: "I Vescovi non devono accontentarsi delle fedi scritte dei parroci, in quanto alle volte si fanno solo per rispetti umani". Tra non molto io domanderò a voi ordinandi: Volete essere sempre più strettamente uniti a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, consacrando voi stessi a Dio insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini. Cari Antonio, Agnello e Francesco questa domanda vi impegna per sempre perché rispondendo sì voi offrite la vostra vita come sacrificio gradito al Padre, in unione a Cristo Altare, Vittima e Sacerdote. Nel brano evangelico il Maestro propone due parabole, la prima riguarda il seme che spunta da solo e che costituisce una particolarità di Marco mancando un parallelo in Matteo e Luca e la seconda riguarda il granello di senapa. Il Regno di Dio è come quel seme deposto nella terra e che paradossalmente cresce fino al frutto maturo, non è l'uomo a determinare con le sue azioni il pieno compimento della presenza della signoria di Dio. Al contadino è chiesto di gettare il seme, ma non è la sua azione a determinare la crescita del grano: "Invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore; il Signore ne darà a i suoi amici nel sonno" (salmo 127,2). La fiducia in Dio è l'atteggiamento dell'uomo saggio che anche in mezzo alle difficoltà continua a credere che il Signore compie le sue promesse. Miei cari sacerdoti, spesso sembra che in alcune situazioni la battaglia è persa, manca la spinta, si spegne l'entusiasmo, solitudine e incomprensione possono diventare compagne perfide delle nostre giornate. Non arrendiamoci, queste sono valutazioni nostre, dove Dio non è presente, sono pericoli che tutti corriamo e che insieme possiamo sconfiggere, ponendo ogni fiducia in colui che ha detto: "Ti porto nelle palme delle mie mani". Questa parabola ci richiama l'atteggiamento della pazienza, capace di sopravvivere a tutte le traversie e che trova nella Parola di Dio il suo fondamento sicuro. La parabola del granello di senapa appare anch'essa in un contrasto forte tra la piccolezza del seme (il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra) e la grandezza dell'albero che ne germoglia. Il Regno di Dio è come quell'albero dove si radunano e si riparano gli uccelli, simbolo del regno

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del Messia che radunerà la gente dispersa in un unico popolo. Le due parabole sulla bocca di Gesù sono espressione di fiduciosa certezza nella promessa di Dio. Carissimi Antonio, Agnello e Francesco, vorrei consegnarvi l'ultima immagine che il Vangelo di questa sera contiene e che per voi ha un significato speciale, in questo giorno di profonda esultanza: "Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa". È il rapporto di predilezione di Gesù per i suoi discepoli, lo stesso che il Signore da oggi, in modo più stretto, vuole instaurare con voi. Egli è la ragion d'essere del vostro sacerdozio, vivete da oggi senza mai dimenticarlo, lo scorrere degli anni non offuschi mai l'entusiasmo e lo slancio con cui oggi voi mettete la vostra vita nelle mani di Dio. La preghiera sia l'alimento della vostra esistenza, la disponibilità alla volontà di Dio contraddistingui il vostro essere preti, fino a proclamare con la vita le parole del Maestro: "Mio cibo è fare la volontà del Padre". Le parole del salmista trovano eco in questa assemblea eucaristica: "È bello rendere grazie al Signore e cantare al tuo nome, o Altissimo, annunciare al mattino il tuo amore, la tua fedeltà lungo la notte" (salmo 91). Amore e fedeltà sono caratteristiche di Dio che oggi interpellano la vostra vita; oggi il Signore vi chiede di impegnarvi in un amore generoso e fedele, a servizio delle comunità nelle quali svolgerete il vostro ministero. Carissimi Antonio, Agnello e Francesco l'intero presbiterio vi accoglie e con indicibile esultanza la Chiesa di Teggiano-Policastro oggi vi acclama suoi sacerdoti in eterno. Amen.

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CELEBRAZIONE EUCARISTICA ORDINAZIONE DIACONALE Raffaele Brusco e Pasquale Gaito

Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Cattedrale di Teggiano, 1 settembre 2012

Carissimi Raffaele e Pasquale, carissimi fratelli e sorelle, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell'amore che avete verso tutti i santi, non cesso di render grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui (Ef. 1,15-17). Un inno di lode si innalza oggi al nostro Dio e Padre, al Figlio Gesù Cristo e allo Spirito Santo perché ancora una volta si compie la promessa che il Signore non abbandona il suo popolo e continua ad inviare annunziatori forti e miti della Parola che ci salva. Carissimi Raffaele e Pasquale permettete che mi rivolga in modo particolare a voi in questo giorno di luce splendida perché con fraterna vicinanza vorrei condividere con voi alcune riflessioni che scaturiscono dalla proclamazione della Parola di Dio e dal particolare momento di grazia che la nostra Chiesa di TeggianoPolicastro vive oggi con la vostra Ordinazione Diaconale. La Parola di Dio che oggi è risuonata, infatti, se rivolta a tutta la comunità, interpella in modo del tutto speciale voi Ordinandi chiamati a dilatare il cuore perché la Parola possa trovare un terreno favorevole: Ti ho manifestato le mie vie e mi hai risposto; insegnami i tuoi voleri. Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore. (Sal. 118). Il brano del libro del Deuteronomio che costituisce la I Lettura della Liturgia di oggi, si colloca in un primo grande discorso di introduzione nel quale a parlare è Mosè, l’Amico di Dio. Israele non può vivere senza obbedire ai comandi del Signore e la fedeltà all’Alleanza permetterà al po-

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polo eletto di vivere sotto la continua benedizione di Dio. Mosè dopo aver mostrato, nella parte precedente del discorso, la fedeltà di Dio al popolo attraverso gli avvenimenti nei quali era evidente il suo intervento, ora passa a trattare della fedeltà del popolo nei confronti di Dio, che trova riscontro nell’osservanza della rivelazione operata da Dio sul Sinai. Leggi e norme consegnate per essere osservate come condizione per vivere nella terra che il Signore aveva preparato, in obbedienza ai precetti divini: ciò permetterà a Israele di essere riconosciuto sapiente e prudente dalle nazioni e dagli altri popoli. Il brano della Lettera di S. Giacomo si trova nella sezione nella quale l’Apostolo tratta della Parola di Dio nella vita cristiana. Dal Padre della luce discende ogni buon regalo e dono perfetto: come non accostare questa bellissima espressione a voi, cari Raffaele e Pasquale, che oggi ricevete dal Padre il dono di essere assimilati a Cristo con l’Ordinazione Diaconale? Come primizia delle sue creature, l’Apostolo esorta ad accogliere la Parola con docilità, che voi, da oggi, dovete proclamare non solo con la sapienza della parola, ma soprattutto con la vita. Riceverete il libro dei Vangeli e vi verrà chiesto in primo luogo di credere a ciò che con la bocca si proclama, di insegnare ciò che la fede ricevuta e trasmessa ci narra e soprattutto di vivere ciò che la fede fa scaturire dalle labbra: Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l'annunziatore: credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni. La Parola di Dio possiede una forza e una dinamica capace di condurre l’uomo saggio che sa ascoltarla alla salvezza, aprirlo alle esigenze del prossimo, di colui che ci è accanto. Ciò che il nostro Dio gradisce di più è preoccuparsi del bene e della crescita del fratello bisognoso, nel quale Gesù stesso si identifica e vuole che sia riconosciuto. È la vostra vocazione diaconale, vocazione di tutta la Chiesa che se intende essere sale e luce della terra deve misurare la sua fedeltà a Gesù Cristo proprio a partire dal servizio. Il brano del Vangelo di Marco si colloca al termine della sezione nella quale Gesù esercita il ministero in Galilea e riporta un’accesa discussione riguardante le tradizioni farisaiche. I capi religiosi avevano aggiunto alla legge scritta di Mosè tanti precetti e regole che riguardavano ciò che il Vangelo elenca e che riguardano l’igiene del corpo. Le regole religiose rischiavano di soffocare il rapporto Creatore-creatura, non era più possibile concepire questo rapporto in termini si fedeltà a leggi puramente

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umane. Si rischia di cadere in un vuoto formalismo religioso che per nulla incide nella vita interiore della persona; già Isaia aveva biasimato un certo ritualismo sterile che Gesù riprende e porta alle estreme conseguenze. Il falso culto tributato a Dio e del quale Dio non sa che farsene provoca solamente un graduale e inesorabile distacco tra l’uomo e Dio. L’insegnamento di Gesù ci colloca nel vero ed equilibrato rapporto tra la forma esteriore, importante, ma non determinante e l’interiorità della persona che invece ne esprime tutta la straordinaria capacità di amare il Signore. L’Ordinazione Diaconale dei nostri Raffaele e Pasquale si colloca nell’orizzonte nel quale vorrei si inserisca l’intera comunità diocesana, imparare nuovamente a essere al servizio di coloro ai quali lo Spirito ci invia, senza tentennamenti, avendo a cuore il progresso spirituale della nostra gente: così facendo anche noi ministri del Vangelo possiamo raggiungere la pienezza della nostra vocazione, come afferma la colletta della memoria di S. Gregorio Magno: «…Dona il tuo spirito di sapienza a coloro che hai posto maestri e guide nella Chiesa, perché il progresso dei fedeli sia gioia eterna dei pastori…». Dopo il periodo della formazione Raffaele e Pasquale questa sera intendono assumere l’impegno di essere immagine viva di Cristo, a servizio della nostra Chiesa diocesana. Voi carissimi Ordinandi avete udito la voce di Dio e generosamente avete risposto a questa chiamata, vi siete impegnati nel non facile cammino di formazione, avete superato le tante carenze tipiche dell’esperienza umana e oggi vi impegnate a mettere a servizio della Chiesa le vostre capacità, la vostra generosità, la volontà ferma e decisa di esercitare il sacro ministero. L’Ordinazione diaconale vi inserisce più intimamente a Cristo, modello della vostra consacrazione: è significativo notare che Gesù stesso si definisce servo, per questo sarete la sua immagine viva nel seno della Chiesa, che vi ha rigenerati alla grazia e oggi chiede per voi lo Spirito Santo perché vi renda veri servi della Parola e dei poveri. Il dono dello Spirito imprime nel diacono un indelebile carattere sacramentale che diventa per la sua vita ministeriale fonte di grazia. Attraverso il ministero del Vescovo voi sarete consacrati e abilitati ad una nuova missione nella Chiesa. Non lasciate che le vicende della vita offuschino anche solo per un istante la bellezza della vostra generosità con la quale oggi, in modo irrevocabile, consegnate la vostra esistenza al Signore perché divenga lui il modello supremo al quale ispirare

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la vostra esistenza. Durante il rito di Ordinazione vi verrà chiesto di alimentare lo spirito di preghiera, adempiendo fedelmente l’impegno della Liturgia delle ore per la Chiesa e per il mondo intero. Questo vi permetterà di essere sempre uniti al Signore al quale vi rivolgete perché la vostra vita sia sempre più intimamente unita alla sua, nel servizio all’altare sul quale si compie la promessa di Gesù di rimanere sempre con noi. L’evento che oggi celebriamo riempie di gioia la nostra amata Chiesa di Teggiano-Policastro perché oggi si arricchisce del vostro prezioso ministero a servizio del popolo di Dio. Ed è in vista del servizio che oggi voi ricevete questo dono dall’alto, l’imposizione delle mani e la preghiera di consacrazione vi renderanno immagine di Cristo servo, venuto non per essere servito, ma per servire, pronto a dare perfino la vita per il bene e la salvezza dell’uomo. Il mio vivo ringraziamento è per le vostre famiglie, le comunità parrocchiali, i parroci e per tutti coloro che gioiscono con voi in questo giorno nel quale il Signore vi costituisce servi della Parola e della comunità cristiana nell’Ordine del Diaconato. Mi sento particolarmente sostenuto dalla presenza del presbiterio che oggi, con la sua presenza, rende queste celebrazione azione di tutta la Chiesa, nei suoi vari ministeri e carismi: carissimi presbiteri grazie per la vostra testimonianza e il vostro prezioso servizio alla comunità diocesana. Cari Raffele e Pasquale vi accompagneremo sempre e chiederemo al Signore per voi il dono della fedeltà perché sostenuti dalla grazia, con l’intercessione della Beata Vergine Maria e dei Santi Cono e Pietro Vescovo, possiate arrivare a vedere compiuta in voi la grande opera di Dio. Amen.

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ORIENTAMENTI PASTORALI ANNO PASTORALE 2012-2013

INTRODUZIONE Carissimi fedeli, amati sacerdoti, diaconi, religiose e religiosi e seminaristi, la nostra amata Chiesa di Teggiano-Policastro, facendo proprio l’anelito della Conferenza Episcopale Italiana negli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 Educare alla vita buona del Vangelo1, si impegna a promuovere una nuova stagione dell’Evangelizzazione con appropriati percorsi di ‘vita buona’ nei vari ambiti della vita cristiana proposti dal 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona (16-20 ottobre 2006): «vita affettiva, lavoro e festa, fragilità umana, tradizione, cittadinanza»2. Tale cammino sarà ritmato dai prossimi trienni, così caratterizzati rispettivamente: • • •

Educare alla Fede (2012-2015) Educare alla Speranza (2015-2018) Educare alla Carità (2018-2020)

In tale prospettiva, in comunione con il Santo Padre Benedetto XVI, faremo nostra la Lettera apostolica Porta fidei dell’11 ottobre 2011, con la quale Sua Santità ha indetto un «Anno della fede»3. Esso avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e nel ventesimo anniversario della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, e terminerà il 24 novembre 2013, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo. A partire dalla luce di Cristo che purifica, illumina e santifica nella celebrazione della sacra liturgia (cfr. Cost. Sacrosanctum Conci1

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti past. Educare alla vita buona del Vangelo, 4 ottobre 2010. 2 ID., Nota past. “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande 'Si' di Dio all'uomo, 29 giugno 2007, n. 12. 3 BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, 11 ottobre 2011.

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lium) e con la sua Parola divina (cfr. Cost. dogm. Dei Verbum), il Concilio ha voluto approfondire l’intima natura della Chiesa (cfr. Cost. dogm. Lumen Gentium) e il suo rapporto con il mondo contemporaneo (cfr. Cost. past. Gaudium et Spes). Attorno alle sue quattro Costituzioni, veri pilastri del Concilio, si raggruppano le Dichiarazioni e i Decreti, che affrontano alcune delle maggiori sfide del nostro tempo4. Innestato su queste basi, il nostro primo triennio pastorale – dedicato alla fede – avrà un triplice orizzonte di riferimento: 1. La fede - annuncio (2012-2013): nella prospettiva della lex credendi la priorità pastorale sarà quella di suscitare «in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza»5. 2. La fede - preghiera (2013-2014): nell’ottica della lex orandi si potrà «intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia”»6. 3. La fede - testimonianza (2014-2015): nella dimensione della lex vivendi si sottolineerà il corale impegno a una coerente testimonianza di vita dei credenti che ne esprimerà la sua visibile credibilità7. In sintesi, potremmo dire che il primo triennio pastorale 20122015 vorrà essere espressione di una educazione alla fede, accolta e professata, celebrata e pregata, testimoniata e vissuta, come cifra pastorale di un «cammino di relazione e di fiducia»8 con Gesù e fra i discepoli. Per questi motivi, il Convegno pastorale diocesano di quest’anno svoltosi a Teggiano il 26 e 27 giugno u.s. si è voluto caratterizzare per una duplice sottolineatura: Parola ascoltata e Parola pregata. Da questa esperienza si è voluto far maturare il bisogno di 4

Cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota con indicazioni pastorali per l’Anno della fede, 6 gennaio 2012. 5 BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, n. 9. 6 Ibid. Nel testo si riprende la famosa espressione conciliare, su cui, cfr. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 10. 7 Cfr. Ibid. 8 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti past. Educare alla vita buona del Vangelo, cap. III.

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entrare nell’impegno pastorale con una rinnovata professione di fede e un nuovo impulso all’annuncio del mistero di Cristo. La fede – non dimentichiamolo – «viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10, 17). Quest’anno, pertanto, sarà un’occasione propizia perché tutti i fedeli comprendano più profondamente che il fondamento della fede cristiana è «“l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. Fondata sull’incontro con Gesù Cristo risorto, la fede potrà essere riscoperta nella sua integrità e in tutto il suo splendore. “Anche ai nostri giorni la fede è un dono da riscoprire, da coltivare e da testimoniare”, perché il Signore “conceda a ciascuno di noi di vivere la bellezza e la gioia dell’essere cristiani”»9.

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CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota con indicazioni pastorali per l’Anno della fede, riprendendo dapprima BENEDETTO XVI, Lett. enc. Deus caritas est, 25 dicembre 2005, n. 1, e poi ID., Omelia nella Festa del Battesimo del Signore, 10 gennaio 2010.

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CAPITOLO PRIMO “CHE COSA CERCATE? ... “VENITE E VEDRETE” (GV 1, 38-39)

1. La prima parola posta sulla bocca del Signore nel Vangelo di Giovanni e rivolta ai discepoli è: «Che cosa cercate?» (Gv 1, 38). L’incontro di Gesù e dei primi due discepoli è immediato: «E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1, 37-39). Nella relazione tenuta dal prof. Cesare Mariano il 26 giugno 2012 a Teggiano durante il primo giorno del Convegno Ecclesiale è emerso che l’incontro con Gesù presenta una dinamica in cinque tempi: I. ascolto: «sentendolo parlare così» (v. 37); II. sequela: «seguirono Gesù» (v. 37); III. colloquio IV. permanenza: «quel giorno rimasero con lui…» (v. 39); V. annuncio ad altri «…Abbiamo trovato il Messia» (v. 41). In questo schema vengono sottolineati soprattutto tre elementi, che sono cruciali per mettere a fuoco ‘il metodo’ con cui Cristo ha chiamato e chiama, ha salvato e salva. a) La sequela precede, si trova all’inizio. La troviamo poi anche alla fine, ma si trova già all’inizio. È ragionevole cominciare a seguire Gesù anche senza averlo ancora conosciuto o sentito parlare? Sì, è ragionevole, cioè corrisponde all’intelligenza, all’affezione umana. b) Il metodo attraverso cui avviene il primo contatto e poi tutto il resto è quello dell’esperienza. Né il fideismo, né il razionalismo: ma la fede che germoglia dall’esperienza. Ecco l’espressione cruciale ἔρχεσθε καὶ ὄψεσθε, in cui il kaì presenta una sfumatura di senso con-

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secutivo o forse finale: venite, così da vedere; venite per vedere. Il verbo orào fa riferimento a un vedere che non riguarda solo gli occhi della carne: parte da lì, dal vedere concreto, reale, ma arriva al vedere del cuore. È un vedere capace di arrivare sino al fondo del reale, cioè sino alla gloria del Verbo Incarnato. Ricordiamo due passaggi cruciali del Prologo: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria… Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1, 14.18). c) L’incontro è personale, ma non individualista: è un incontro comunitario. Il metodo attraverso cui Cristo incontra gli uomini è nel contesto di una comunità. Gesù non si presenta come un guru, come un personal trainer dello spirito, ma come il Capo di una nuova comunità umana, in cui è data agli uomini la possibilità di rimanere con Lui, cioè di vivere in amicizia con Lui, in comunione con Lui. In questa piccola comunità di tre persone è già rappresentato il ‘Mistero’ della Chiesa: la comunità umano-divina (sono tre uomini, di cui uno dei tre è il Verbo fatto carne) in cui Cristo è presente e si comunica umanamente, direbbe G. Ungaretti (1888-1970) «per riedificare Umanamente l’uomo»10.

2. Nella domanda di Gesù, «Che cosa cercate?», si coglie, tra l’altro, un incoraggiamento a recuperare la domanda di senso della propria ricerca: è una pro-vocazione che mira a suscitare la risposta di fede e riconoscere il desiderio di felicità inscritto nel cuore dell’uomo, poiché, come dice Sant’Agostino «Tota vita christiani boni sanctum desiderium est»11. Nel contesto odierno le persone fanno sempre più fatica a dare un senso profondo all’esistenza: «ne sono sintomi il disorientamento, il ripiegamento su se stessi…, il diffondersi dell’infelicità»12. Queste inquietudini e ansie del mondo contemporaneo, non sono forse ascrivibili a quella ricerca di pienezza di vita di 10

G. UNGARETTI, Poesia Mio fiume anche tu, in ID., Vita d’un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1988, pp. 229-230. 11 AGOSTINO, In Io. Ep. tr. 4, 6. 12 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti past. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 9.

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cui hanno fatto esperienza tanti santi: «inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te»?13. Così, la ricerca dei due discepoli del Vangelo di Giovanni (cfr. Gv 1, 38-39) è la ricerca di senso di ogni uomo nel cammino della storia. Anche nel Vangelo di Matteo Gesù è pronto a cogliere un interrogativo di grande importanza: «Ed ecco, un tale si avvicinò e gli disse: “Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?”. Gli rispose: “Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti” (Mt 19, 16-17). Anche in questo testo si cela una domanda di senso e, in qualche modo, una ricerca di percorso sulla vita buona del Vangelo. Commentando questo passo il Beato Giovanni Paolo II scrive: «Nel giovane, che il Vangelo di Matteo non nomina, possiamo riconoscere ogni uomo che, coscientemente o no, si avvicina a Cristo, Redentore dell'uomo, e gli pone la domanda morale. Per il giovane, prima che una domanda sulle regole da osservare, è una domanda di pienezza di significato per la vita. E, in effetti, è questa l’aspirazione che sta al cuore di ogni decisione e di ogni azione umana, la segreta ricerca e l'intimo impulso che muove la libertà. Questa domanda è ultimamente un appello al Bene assoluto che ci attrae e ci chiama a sé, è l’eco di una vocazione di Dio, origine e fine della vita dell'uomo»14. La Chiesa è stata voluta da Dio per continuare ad essere nel mondo una risposta credibile ed autentica alla ricerca esplicita o implicita dell’uomo all’amore del Dio uno e trino.

3. Nell’antichità, il monachesimo occidentale ha focalizzato il “quaerere Deum” – il cercare Dio, nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, come cifra della ricerca dell’Essenziale15. D’altra parte, le Universitas medievali, seguendo la lezione teologica di Tommaso d’Aquino sul nostro desiderium naturale videndi Deum16 13

AGOSTINO, Confessiones, I, 1, 1. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Veritatis Splendor, 6 agosto 1993, n. 7. 15 BENEDETTO XVI, Discorso all’Incontro con il mondo della cultura al ‘College des Bernardins’, Parigi, 12 settembre 2008. 16 TOMMASO D’AQUINO, Summa theologiae, I-II, q. 3, a. 8; ID., Contra Gentiles, III, cc. 25, 50. 14

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hanno visto che nella ricerca di senso «il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l’uomo e soltanto in Dio l’uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa»17, come riferisce il primo capitolo del Catechismo della Chiesa Cattolica18. «Che cosa cercate?»: è il Maestro che fa appello alla libertà e a ciò che di più autentico abita nel cuore, facendone emergere il desiderio inespresso: «Maestro –, dove dimori?» (Gv, 1, 38). L’uomo vuole stare con Colui che «è stabile nei cieli» (Sal 119, 89). I due discepoli del Vangelo sono alla ricerca di ciò che è duraturo, stabile. Nella postmodernità caratterizzata dalla “società liquida”, come la definisce Zygmunt Bauman – sociologo e filosofo polacco19 – i due discepoli diventano icona della ricerca di punti fermi negli ambiti vitali proposti dal Convegno Ecclesiale di Verona: come cercare e trovare stabilità nella vita affettiva, nel lavoro e nella festa, nelle fragilità, nella tradizione, nella cittadinanza20. La postmodernità ‘fluida’ segnata dall’instabilità dei legami affettivi, dalla precarietà del lavoro e del tempo di riposo festivo, dalle molteplici fragilità, dalla complessa tradizione, dalla indefinita appartenenza e cittadinanza, è chiamata a riconoscere che «la parola del Signore rimane in eterno» (1 Pt 1, 25) e Cristo Gesù è sempre lo stesso «heri et hodie ipse et in saecula» (Eb 13, 8). I due discepoli del Vangelo seguendo Gesù hanno varcato la porta fidei che li ha introdotti alla stabile Comunione di vita con Lui: sono entrati nella casa di Gesù, che è “la casa e la scuola della comunione”21. Gesù mostra che un rapporto educativo che affonda le sue radici nella fede cristiana si stabilisce innanzitutto sulla base di un 17

Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 27. Al fine di favorire il rinnovamento dell’intera vita ecclesiale, il Catechismo della Chiesa Cattolica è riconosciuto «“come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento della fede”» (GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum, 11 ottobre 1992, cit. in BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, n. 11). 19 L’autore ha indicato nella ‘liquidità’ la caratteristica saliente dell’epoca post-moderna. Tra le sue opere ricordiamo in lingua italiana: Z. BAUMAN, Modernità liquida, Laterza, RomaBari 2002; ID., Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Laterza, Roma-Bari 2006; ID., Vita liquida, Laterza, Roma-Bari 2006; ID., Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Erickson Editore, Trento 2007. 20 Cfr. l’Introduzione di questo lavoro. 21 GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo Millennio Ineunte, 6 gennaio 2001, n. 43. 18

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incontro personale con Lui: «non si tratta di trasmettere nozioni astratte, ma di offrire un’esperienza da condividere»22.

22 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti past. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 25.

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CAPITOLO SECONDO COS’È LA FEDE?

1. L’Antica Alleanza e la stabilità della fede Il popolo dell’Antica Alleanza, nella sua esperienza di esodo, aveva ricevuto dal Signore il dono della Legge (Toràh) e come meta la Terra promessa. Nello stesso tempo, aveva vissuto nella sua storia di salvezza una difficile itineranza. Nella Terra promessa, il Deuteronomio attualizza nel presente l’unica legge data da Dio al popolo: legge data da Dio a Mosè, quando il popolo era nomade e della medesima condizione sociale, non rispondeva più alla situazione sedentaria del presente e piuttosto agricolo-latifondista, caratterizzata dall’ingiustizia dei ricchi verso i poveri, dalla minaccia dei culti pagani e dalle nefaste alleanze politiche conseguenti. In un certo senso, siamo di fronte a una forma di ‘relativismo’ ante litteram rispetto alla Legge di Dio, alla giustizia sociale e all’agire etico-religioso. La memoria della salvezza dei padri ad opera di Dio rischiava di cedere il passo al delirio del presente vissuto nella sedentarietà e nel benessere che è appannaggio di pochi, nell’ingiustizia sociale e nelle disparità tra ricchi e poveri. Tutto ciò aveva minato alla base la fede d’Israele e il primato di Dio e del suo agire nella storia. Era necessaria una rilettura della Torah che facesse vivere nell’oggi la fedeltà all’unica Alleanza stipulata da Dio con Israele: nasce così il credo storico di Dt 26. A differenza del libro dell’Esodo che narra l’evento dell’alleanza sul monte Sinai (cfr. Es 19, 3), il Deuteronomio parla del monte Oreb (cfr. Dt 1, 6). La differenza di nomi riconduce all’unico simbolo biblico del monte, luogo che indica il discendere di Dio verso l’uomo e l’ascesa di questi verso Dio, che gli viene incontro. Il testo di Dt 26, 111 presenta il credo storico d’Israele, in particolare nel seguente passaggio: «Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri pa-

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dri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione… Ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso... Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele» (Dt 26, 5-9). Una certa precarietà nell’itineranza del popolo di Dio, l’instabilità geografica e identitaria vissute, un nomadismo etnico-culturale e religioso sperimentati, sono state anche le coordinate per mettere a fuoco la terminologia ebraica del credere e della fede, esprimendo innanzitutto il senso di ciò che è durevole, permanente, vero. Così il termine ebraico più importante per dire credere è ᾿āman, da cui deriva il nostro amen, vale a dire: «così deve essere, ciò è vero e certo»23. La radice della parola ᾿āman indica qualcosa di saldo, attendibile e perciò stesso affidabile. In tal senso indica una realtà o una persona e un servo fidati (cfr. 1 Sam 22, 14), un testimone credibile (cfr.: Pr 14, 5; Is 8, 2) e un profeta fedele (cfr. 1 Sam 3, 20). La vulnerabilità delle relazioni e delle incerte alleanze umane aiutano Israele a focalizzare la fiducia nel Dio fedele al suo patto e ricco di misericordia (hesed): «“Maledetto l’uomo che confida nell’uomo… Benedetto l’uomo che confida nel Signore”» (Ger 17, 5.7). La fede, dunque, è ritenere Dio incondizionatamente fedele alle sue promesse: ad Abramo (cfr. Gen 15); a Mosè (cfr. Es 3), ai padri e ai profeti: «“Se non crederete, non resterete saldi”» (Is 7, 9). In altri termini, la fede in Dio è condizione di stabilità personale e sociale. Il popolo di Dio nell’Antica Alleanza ha fatto più volte esperienza che estromettere Dio dal proprio orizzonte vitale è naufragare nei flutti del caos personale e sociale. Aderire a Dio che si rende presente nella storia con parole ed eventi e rispondere «con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6, 5) è condizione di benedizione, pace, stabilità di vita. Se Dio ha ascoltato il grido del suo popolo e lo ha liberato, il primo comandamento della Torah che apre alla fede in Dio diventa un verbo imperativo dell’ascolto: «“Shemà, Israel”» (Dt 5, 1). In un certo senso, già potremmo dire: porta fidei, porta oboedientiae. L’ascolto e la risposta a Dio che si rivela in eventi e parole è l’obbedienza della fede. Così, la fede come risposta al Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, ecc. 23 H. SCHMID, voce Fede, in A.M. PIAZZONI – P. OCCHIPINTI (edd.), Grande Enciclopedia illustrata della Bibbia, vol. I, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1997, p. 532.

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diventa risposta del popolo dell’Alleanza alle promesse (cfr.: Gen 15, 6; Nm 20, 12; Ger 39, 18). Credere significa prendere sul serio Dio ed esserGli fedele fino in fondo (cfr.: Es 14, 31; 19, 9; Dt 1, 32), rifugiarsi in Lui (cfr.: Sal 7, 2; 16, 1; 25, 20; 57, 2; 91, 4), sperare in Lui (cfr.: Ger 8, 15; Is 69, 9.11), fidarsi di Lui.

2. La novità della fede nel Nuovo Testamento a. Nel Nuovo Testamento ‘il Verbo di Dio’ diventa visibile, ‘si fa carne’ (cfr. Gv 1). Nella vicenda di Gesù, il Figlio di Dio, morto e risorto, è racchiuso il nucleo originario della fede cristiana. Tale contenuto è ben espresso dalle parole di San Paolo ai Romani: «Se con la tua bocca proclamerai (omologhìa): “Gesù è il Signore!”, e con il tuo cuore crederai (pistéuo) che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (Rm 10, 9). La fede in Cristo morto e risorto, Signore della storia, intimamente accolta e creduta diventa fede annunciata, confessata pubblicamente, narrata. In tale prospettiva la narratio fidei non ha solo valenza kerigmatico-formativa, ma assume significato profeticoperformativo, ovvero mira a trasformare e trasfigurare il mondo, a convertire il cuore dell’uomo e le sue relazioni interpersonali e comunitarie, per la potenza stessa della Parola annunziata. L’‘Apostolo delle genti’ nella Lettera ai Filippesi sottolinea il primato del Kerigma, ovvero la centralità dell’Annuncio di fede, anche al di là delle convinzioni personali, delle prospettive pastorali o ideali di ciascuno: «dum omni modo Christus adnuntietur»24 (Fil 1, 18). Per Paolo al centro della fede sta Gesù Cristo con la sua opera di salvezza e di espiazione (cfr. Rm 3, 21). Da qui è prioritario il vivere in Cristo, ovvero la salvezza dell’uomo non dipende immediatamente dalle opere buone che può 24 In Fil 1, 15-18, san Paolo sottolinea la priorità dell’Annuncio che segue l’accoglienza della fede: «Alcuni, è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, ma altri con buoni sentimenti. Questi lo fanno per amore, sapendo che io sono stato incaricato della difesa del Vangelo; quelli invero predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non rette, pensando di accrescere dolore alle mie catene. Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per convenienza o per sincerità, Cristo venga annunciato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene».

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accumulare agli occhi di Dio (come meriti di cui vantarsi o dai suoi sforzi di auto-giustificazione, come un volontarismo che mira ad operare il bene solo con le proprie forze). E’ la morte e risurrezione di Gesù, la fede nella potenza del suo amore che libera, redime e salva. E’ la potenza della sua croce che giustifica e libera l’uomo dal suo male radicale e dal peccato. E’ questo che si intende per giustificazione mediante la fede, ovvero per grazia, «sapendo tuttavia che l’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge» (Gal 2, 16). Così san Paolo non combatte il bene in sé fatto dall’uomo, ma l’opinione che il bene fatto è condizione sufficiente per ottenere la salvezza, un merito accumulato da presentare come conto a Dio nel giudizio. Chi la pensa così annulla la croce di Cristo, la sua Vita offerta nella morte e risurrezione. Si necessita, quindi, di un atteggiamento di fede – ovvero di adesione alla vicenda di Gesù – per prendere posizione nei confronti di se stesso, del suo passato, del suo presente e del suo futuro. In altri termini, la fede del credente è assimilabile a un’esistenza pervasa da Cristo risorto: «Per me infatti il vivere è Cristo» (Fil 1, 21). L’uomo credente non deve vivere chiuso in se stesso e fidarsi delle proprie forze, ma deve poggiare con tutto se stesso su Cristo Gesù. b. Gesù stesso, nei Vangeli sinottici, appare radicato nella fede del popolo dell’Antica Alleanza, ha riaffermato quella fede dei padri e dei patriarchi in una nuova prospettiva: «Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Mt 5, 17). Il Vangelo di Marco fa iniziare la missione pubblica di Gesù con un solenne proclama: «“convertitevi e credete nel Vangelo”» (Mc 1, 15). La fede dei discepoli in Gesù è condizione di perdono e guarigione del paralitico (cfr. Mc 2, 5) e la fede personale di altri protagonisti è condizione necessaria per la propria liberazione dal male (cfr.: Mc 5, 34; 10, 52; Mt 9, 22; 15, 28; Lc 5, 20; 7, 50; 8, 48; 17, 19). Nel Vangelo di Giovanni – che abbiamo scelto come icona del nostro percorso annuale – questo compimento dell’Opera di Dio si manifesta con la morte e risurrezione di Gesù: «“È compiuto!”» (Gv 19,

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30). Anche la Prima Lettera di Giovanni pone l’accento sull’annuncio della fede che segue l’esperienza personale del contatto con Gesù: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo» (1 Gv 1, 1-3). In quanto Messia, Gesù è la piena rivelazione di Dio e della sua salvezza: credere significa aderire a Gesù, egli è il ‘Vangelo’, la buona notizia della Vita: «Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20, 30-31). Così, in Giovanni accettare Gesù, la sua testimonianza, la sua parola, andare con ‘Lui’, ascoltarlo, seguirlo, restare con Lui, si equivalgono come atteggiamenti della fede25. La salvezza è legata alla persona di Gesù: «chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna» (Gv 5, 24)26. La fede nasce dalla parola di Gesù (cfr.: Gv 4, 39-42; 5, 25.47) e dalle sue opere (cfr.: Gv 5, 36; 10, 38; 12, 37). Così il Verbo fatto carne è la manifestazione più grande dell’agire di Dio, che già nell’Antico Testamento si era rivelato con eventi e parole intimamente connessi. In Giovanni, credere in Gesù e conoscere il vero Dio sono una cosa sola (cfr.: Gv 6, 47; 17, 3). La fede nella persona del Logos, che rappresenta la pienezza della grazia e della verità (cfr. Gv 1, 14-16), è rivelazione di un mistero, manifestazione della gloria, passaggio dall’immanenza alla trascendenza: vedere, sentire, conoscere, venire alla luce, tutto ciò è partecipazione alla vita eterna. Ma il motivo prioritario della fede è la testimonianza: «Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi 25 M. SECKLER, voce Fede, in H. FRIES (ed.), Dizionario Teologico, ed. italiana a cura di G. Riva, vol. I, Queriniana, Brescia 1966, p. 642. 26 In Gv l’espressione di Gesù: «chi crede in me… ha la vita eterna» diventa quasi un ritornello salvifico; cfr.: Gv 3, 15.16; 3, 18; 3, 36; 5, 24; 6, 40; 6, 47; 7, 38; 11, 25-26; 14, 12.

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crediate» (Gv 19, 35). c. Un altro testo cui vogliamo accennare è la Lettera agli Ebrei, che presenta Cristo come Sommo Sacerdote degno di fede e mediatore della nuova alleanza: egli ci ha redenti con il suo sangue (cfr. Eb 9, 11-28). Gesù è il nuovo Tempio, mentre la tenda del Convegno e il suo servizio sacrificale ne erano solo una debole raffigurazione (cfr. Eb 10, 1). Aderire con l’obbedienza della fede a Gesù – Sommo Sacerdote della nuova Alleanza – significa accettare che il suo sangue per la remissione dei peccati ci libera dal male, dal peccato e dalla morte. Nel testo in questione, le affermazioni più forti sulla fede sono riportate nel capitolo 11, che richiama gli esempi di alcuni uomini di fede, cominciando da Abele, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e fino alla prostituta Raab. In tale capitolo troviamo una definizione stringente della fede: «La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11, 1). Tutti i personaggi citati nel capitolo suddetto hanno osato entrare con la loro vita in un futuro ancora incerto, invisibile agli occhi umani, ma per la loro fede speranzosa nelle promesse del Signore era già realizzato, sicuro e vero. Avere fede significa essere certi di quanto si spera ed essere convinti di cose non ancora viste.

3. La fede nei Padri della Chiesa e nella storia della Teologia a. Nei testi dei Padri apostolici e degli autori cristiani antichi si continua a sottolineare la fede come condizione necessaria per la salvezza. Tertulliano di fronte agli eretici del suo tempo scrive il De paescriptione haereticorum, nel qual si batte per affermare una regula fidei del cristiano, che non può essere elusa senza cadere nell’errore e nell’eresia e rischiare di perdere, così, la salvezza: «In che cosa consiste la fede? Nella regola della fede stessa. Essa ha la sua legge, e la salvezza ti viene appunto dall’osservanza scrupolosa di questa»27. Per l’apologeta latino è proprio questa regola di fede che va professata, difesa contro le false dottrine. 27

TERTULLIANO, De praescriptione Haereticorum, 14, in PL 2, 27.

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Fra i padri apostolici, nel II sec. Policarpo, nella Lettera ai Filippesi esorta i cristiani a fare memoria del «beato Paolo che quando era presente tra voi di fronte agli uomini di allora insegnò con esattezza e sicurezza la parola di verità. Egli lontano da voi scrisse una lettera che se meditate potete rafforzarvi nella fede che vi fu data. Questa fede è la madre di tutti noi, seguita dalla speranza e preceduta dalla carità verso Dio, Cristo e il prossimo»28. Da questo breve testo si evince come la fede annunciata, il Kerigma, è trasmessa oralmente e de visu dall’Apostolo, testimone della risurrezione di Cristo. Tuttavia il testo ‘scritto’ insegnato e meditato serve come catechesi per ‘rafforzare’, sostenere, orientare la vita di fede dei credenti. Per cui non mancano padri dell’antichità che ritengono necessaria la traditio fidei con una appropriata spiegazione dei primi simboli29. La finalità di quella che viene chiamata regula fidei è la trasmissione del Kerigma di generazione in generazione: «Si Christianus es, crede quod traditum est – Se sei Cristiano, credi ciò che ti è stato trasmesso»30. Ma sia la redditio symboli (la recezione del Simbolo della fede) sia la Traditio Symboli (la trasmissione della fede) non possono che avvenire in comunione con la Chiesa. Spiegando il Simbolo, Ambrogio osserverà: «Questo è il simbolo accolto dalla Chiesa romana, dove Pietro, il primo degli apostoli, ebbe la sua sede, e dove portò l’espressione della fede comune»31. Particolarmente illuminante è quanto il vescovo di Milano narra in relazione al suo sbarco in Sardegna dopo il naufragio, quando egli rifiutò di ricevere il battesimo dal vescovo Lucifero di Cagliari, dal momento che non era in comunione «con i vescovi cattolici, cioè con la Chiesa romana», e, pur conservando la fede in Dio, non conservava «la fede nella Chiesa di Dio»32. Agostino comincia a distinguere tra fides quae e fides qua creditur, ovvero tra l’assenso alla Verità che mi viene oggettivamente trasmessa nel contenuto di fede (fides quae) e l’intero processo di con28 POLICARPO, Seconda lettera ai Filippesi, 3, 1-3, in A. QUACQUARELLI (ed.), I Padri apostolici, Città Nuova, Roma 1978, p. 155. 29 Cfr.: AMBROGIO, De Fide; GREGORIO DI NISSA, De Fide ad Simpl.; CIRILLO DI ALESSANDRIA, De Recta Fide. 30 TERTULLIANO, De carne Christi, 2, in PL 2, 755. 31 AMBROGIO, Explanatio Symboli, 7, in PL 17, 1196. 32 ID., De excessu fratris, I, 47, in PL 16, 1304.

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versione personale (fides qua) frutto dell’illuminazione della grazia33. In altri termini, la fede non è soltanto un processo intellettivo e recettivo di alcuni contenuti di verità, ma è dono di grazia che coinvolge la volontà e l’apertura del cuore all’amore di Dio: «Credi. L’intelligenza è premio della fede. Ma che significa credere in Cristo? Significa credere e amare sinceramente, credere e penetrare in lui, incorporandoci alle sue membra. Questa è la fede che Dio vuole da noi, e non può trovarla se non è lui stesso a donarcela»34. Agostino, in diverse opere, mette a fuoco il rapporto tra fede e ragione. A cosa dare priorità nell’accoglienza delle verità rivelate? Come cristiano devo prima capire e poi aderire, o, invece, è necessario accogliere con fiducia il messaggio di fede per poi comprenderlo? Ispirandosi alla traduzione dei LXX di Is 7, 9, il vescovo d’Ippona trova la sua soluzione: «“Se non crederete, non comprenderete”35». Da ciò deriva il rapporto dialettico tra fede e conoscenza (pistis – gnosis): «ergo, crede ut intelligas et intellige ut credas»36. E’ significativa la spiegazione che Agostino dà di questo rapporto dialettico tra fede e comprensione dei suoi contenuti: «Se dunque esigi ragionevolmente da me o da qualsiasi altro maestro tale spiegazione razionale per comprendere le verità della fede che tu credi, correggi la tua convinzione; non si tratta di rigettare la fede, ma di percepire con la luce della ragione le verità che già credi con la ferma fede»37. Così, per Agostino, è necessario accogliere la fede a motivo dell’autorevolezza e credibilità della Chiesa – madre della fede, per i segni importanti (miracula) e il compimento delle profezie in Cristo. b. Dall’alto medioevo in poi, con il sorgere della Scolastica, si compie una svolta decisiva verso una fede fondata sul dogma. Il modo 33 AGOSTINO, De Trinitate, 13, 2.5, in PL 42, 1017: «Ex una sane doctrina impressam fidem credentium cordibus singulorum qui hoc idem credunt verissime dicimus: sed aliud sunt ea quae creduntur, aliud fides qua creduntur». 34 ID., Tractatus in Iohannem 29, in PL 35, 1631. 35 «“Nisi credideridis non intellegetis”»: tante volte Agostino riprende queste parole (cfr. ad es. in: De libero arbitrio II, 2, 5; De utilitate credendi 14, 31 e 16, 34; De doctrina christiana II, 12, 17; De Trinitate XV, 2, 2; Sermones 118, 1; 139, 1; 140, 6; ecc.). 36 ID., Ep. 120 ad Consent., 2, in PL 33, 453. La celebre espressione può utilmente essere considerata riassuntiva del complesso rapporto tra fede e ragione nel pensiero agostiniano; altresì, cfr.: Tractatus in Iohannem 29, 6; Sermones 43, 9; 214, 10. 37 ID., Ep. 120 ad Consent., 2, in PL 33, 453.

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di porre le quaestiones (domande) sulla fede diventa, dopo la riscoperta delle opere di Aristotele, un argomentare di tipo intellettuale e scolastico nella scholae, nelle universitas, in riferimento a un magister. Sant’Anselmo d’Aosta chiamato anche Anselmo di Bec o Anselmo di Canterbury (Aosta, 1033/1034 – Canterbury, 21 aprile 1109) è stato un teologo italiano che ha continuato la riflessione sulla fede sul programma di Agostino. Considerato un dottore della Chiesa, è stato arcivescovo di Canterbury dal 1093 alla morte. È soprannominato Doctor magnificus e padre della Scolastica. Nel Proslogion Anselmo, allo scopo di chiarire il contenuto della fede, formula il suo programma: «neque enim quaero intelligere, ut credam, sed credo, ut intelligam – non cerco di capire per credere, ma credo per comprendere»38. Questo rapporto dialettico fra fede e intelligenza della fede, che diventa sempre più ‘intellettuale’ viene bilanciato dalla teologia francescana di San Bonaventura che, aderendo ugualmente ad Agostino, reagisce fortemente alle forme di ‘razionalizzazione’ e guarda alla fede in maniera più storico-concreta (scientia affectiva), cioè che tocca la volontà, l’agire affettivo. La fede diventa innanzitutto un processo concreto di esperienza di Dio, incontrato e gustato in una realtà vissuta in adesione a Lui. D’altra parte, il culmine della teologia scolastica viene raggiunto da San Tommaso D’Aquino che, attraverso le sue Summae, sintetizzò ciò che era stato elaborato dai suoi predecessori e a cui faranno riferimento quanti verranno dopo di lui, ed anche le dichiarazioni ufficiali del Magistero della Chiesa. Per il Doctor Angelicus nell’assenso di fede alla nascosta realtà della salvezza trova inizio la vita eterna: «Fides est habitus mentis quo inchoatur vita aeterna in nobis, facies intellectum assentire non apparentibus – la fede è una disposizione della mente che fa assentire l’intelletto in maniera non apparente, e con la quale trova inizio in noi la vita eterna»39. Per Tommaso la fede annunciata a voce è necessaria (fides ex auditu), ma predicazione, segni e miracoli, argomentazioni e dissertazioni teologiche, ecc., sono solo aiuti e supporti per la possibilità della fede, e come tali non sono motivo, né necessario né sufficiente. Ciò che per l’Aquinate 38

ANSELMO D’AOSTA, Proslogion I, ed. F.S. Schmitt, Seckau-Edimburgo 1938, I, p. 100. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, IIª-IIae, q. 4, a. 1 co; cfr.: In III Sent., d. 23, q. 2, a 1, ad 4; De Veritate 14, 2, ad 9. 39

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è invece condizione necessaria e decisiva è l’interiore a-priori della grazia: «Gratia facit fidem – la grazia dona la fede»40. Nella societas christiana del medioevo la struttura della fede è ugualmente sociale: il singolo faceva suo, nella fede e nel battesimo, ciò che la comunità ecclesiale credente esponeva e trasmetteva in modo sicuro. In questo organismo sociale anche la razionalità e la credibilità della fede hanno una loro intrinseca ragionevolezza: il singolo credente può anche non essere in grado di vedere personalmente questa razionalità, ma la sua appartenenza alla Chiesa – corpo mistico di Cristo – garantisce le qualità oggettive della propria fede. c. Con il finire del medioevo giunge il tempo della Riforma. Con Lutero la fede si presenta come fiducia nella promessa e nella misericordia divina e convinzione di essere personalmente salvati: verità, conoscenza, assenso, problema della struttura e della razionalità della fede, tutto passa in secondo ordine. Prendono il loro posto la collera ed il giudizio della croce, la remissione e la grazia. La fede è dedizione incondizionata e fiduciosa al Dio incomprensibile nella sua collera e nella sua grazia, al quale non può condurre nessun procedimento razionale umano. I capisaldi della dottrina luterana circa la fede possono essere così sintetizzati: • Salvezza per sola fede (sola fides): la salvezza non si ottiene a causa delle buone azioni; si ottiene solamente avendo fede in Dio, che può salvare chiunque Egli voglia. • Sufficienza delle Sacre Scritture per la fede (Sola Scriptura): per comprendere le Sacre Scritture non occorre la mediazione della Tradizione o del Magistero ecclesiale; ciò che è necessario e sufficiente è la grazia divina che illumina il singolo credente. In modo simile Calvino mette in rapporto l’assenso di fede alla Parola rivelata.

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ID.: Summa Theologiae, IIª-IIae, q. 4, a. 4, ad 3; In Ioannem 6, lect. 6.

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CAPITOLO TERZO LA FEDE NEI PRONUNCIAMENTI MAGISTERIALI UNIVERSALI ED ECCLESIALI ITALIANI

1. Concili e Magistero a) La fede tra il Concilio di Orange e il Concilio Vaticano I Nella storia della Chiesa tre concili hanno preso posizione a riguardo della fede: il Concilio di Orange (529), il Concilio di Trento (1545-1563) ed il Concilio Vaticano I (1869-1870)41. Il Concilio Arausicanum II (Orange) ricusa la visione semipelagiana della fede, secondo la quale la forma iniziale della fede (initium fidei) è opera dell’uomo e non della grazia42. Il Concilio – II Sinodo di Orange è un’antica dimostrazione di come la Tradizione abbia sempre sottolineato il primato della grazia rispetto alla volontà dell’uomo di credere o meno: la fede è prioritariamente un dono. Nel can. 6 di Orange c’è la correzione della visione semipelagiana che ritiene che l’uomo anche senza la grazia di Dio può credere, volere, desiderare, pregare, ecc.43: quasi come una visione autosalvifica. I canoni del Concilio di Trento descrivono la fede come parte integrante della giustificazione e le attribuiscono, in linea con la Tradizione dei padri della Chiesa, un’importanza fondamentale per la salvezza. Nel cap. 8 del Decreto sulla giustificazione i padri conciliari 41

M. SECKLER, voce Fede, op. cit., p. 660. Cfr. H. DENZINGER, Enchiridion symbolorum definitionum e declarationum de rebus fidei et morum (= DH), edizione bilingue a cura di P. HÜNERMANN, versione italiana a cura di A. Lanzoni - G. Zaccherini, EDB, Bologna 1995, qui DH 375, p. 217: «Se qualcuno dice che come la crescita, così anche l’inizio della fede (initium fidei) e della stessa inclinazione a credere (affectum credulitatis), con la quale noi crediamo in colui che giustifica l’empio e perveniamo alla [ri]generazione del sacro battesimo, è in noi non per il dono di grazia (non per gratiae donum), cioè per ispirazione dello Spirito Santo che corregge la nostra volontà dall’incredulità della fede, dall’empietà alla pietà, ma per natura (sed naturaliter nobis insesse), si dimostra avversario degli insegnamenti apostolici, giacché il beato Paolo dice: “Confidiamo che colui che ha iniziato in voi l’opera buona, la porti a compimento fino al giorno di Gesù Cristo” [cf. Fil 1,6]». 43 Cfr. DH 376, p. 217. 42

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sintetizzano il primato della grazia nella giustificazione per mezzo della fede44. La fede, in contrapposizione alla fede fiduciale di Lutero, appare come un atto dell’intelletto, che acconsente alla Rivelazione e come primo orientamento dell’uomo verso il Dio delle promesse. Non è possibile la certezza personale della salvezza; anche la fede del peccatore (fides informis) è soprannaturale. Così Trento dedica un intero capitolo contro il tema della vana fiducia (inanem fiduciam) proposta dai riformatori45 che fa consistere il perdono dei propri peccati e quindi la propria salvezza in un semplice, e talvolta superficiale, atto fiduciale in Dio46. La presa di posizione ufficiale più dettagliata sulla questione della fede si ha con il Concilio Vaticano I, con definizioni circa la natura della fede, la sua soprannaturalità e libertà, fede e Magistero, la necessità della vera fede. Nella Costituzione dogmatica Dei Filius, i padri conciliari definiscono il concetto di fede, il suo essere dono di Dio e dunque frutto della grazia, l’oggetto e la necessità della fede, l’aiuto esterno e interno di Dio per la fede47. A Dio che si rivela, con la fede l’uomo risponde con l’obbedienza e l’adesione dell’intelligenza e della volontà (intellectus et voluntatis obsequium)48. Segue la definizione di fede che il Concilio Vaticano I elabora: «questa fede… è una virtù soprannaturale (virtutem esse supernaturalem), per la quale sotto l’ispirazione divina e con l’aiuto della grazia, noi crediamo vere le cose da lui rivelate, non a causa dell’intrinseca verità delle cose percepite dalla luce naturale della ragione, ma a causa dell’autorità di Dio stesso, che le rivela, il quale non può ingannarsi né ingannare»49. A 44

Cfr. DH 1532, pp. 653-654: «Quando l’apostolo dice che l’uomo viene giustificato “per la fede” [can. 9] e “gratuitamente” [Rm 3,22.24], queste parole si devono intendere secondo il significato accettato e manifesto dal concorde e permanente giudizio della chiesa cattolica, e cioè che siamo giustificati mediante la fede, perché la “fede è principio dell’umana salvezza”, il fondamento e la radice di ogni giustificazione, “senza la quale è impossibile essere graditi a Dio” [Eb 11,6] e giungere alla comunione che con lui hanno i suoi figli; si dice poi che noi siamo giustificati gratuitamente, perché nulla di ciò che precede la giustificazione, sia la fede che le opere, merita la grazia della giustificazione: “infatti se lo è per grazia, non lo è per le opere; altrimenti (come dice lo stesso apostolo) la grazia non sarebbe più grazia” [Rm 11,6]». 45 Cfr. DH 1533, p. 655: «si deve dire che a nessuno, che ostenti fiducia e certezza della remissione dei propri peccati e in essa sola si acquieti, sono o sono stati rimessi i peccati». 46 Cfr.: DH 1535-1539, pp. 655-659; 1551-1583, pp. 665-671. 47 Cfr. DH 3008-3014, pp. 1049-1053. 48 Cfr. DH 3008, p. 1049. 49 DH 3008, pp. 1049-1051.

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questo punto il motivo esteriore della credibilità della Rivelazione consisterebbe anche nei segni concreti dei miracoli e profezie (miracula et prophetias)50 che in tale prospettiva sono segni certissimi della Rivelazione. In altri termini, il Concilio Vaticano I esorta tutti affinché «si deve credere tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata (scripto vel tradito), e che la chiesa propone di credere come divinamente rivelato»51. Un’ultima considerazione sul Vaticano I è necessario farla sul rapporto fede e ragione espresse nel cap. 4 della Dei Filius. I padri conciliari parlano di due ordini di conoscenza, distinti non solo per il loro principio, ma anche per il loro oggetto: «per il loro principio, perché nell’uno conosciamo con la ragione naturale, nell’altro con la fede divina; per l’oggetto, perché oltre la verità che la ragione naturale può capire, ci è proposto di vedere i misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono rivelati dall’alto»52. b. Il Concilio Vaticano II Dopo aver presentato in maniera essenziale la posizione di alcuni concili significativi in relazione alla quaestio fidei, possiamo affermare che il Concilio Vaticano II, pur seguendo le orme del Tridentino e del Vaticano I, ha assunto una prospettiva decisamente pastorale e, tuttavia, senza rinunciare a «proporre la genuina dottrina sulla divina Rivelazione e la sua trasmissione, affinché per l’annunzio della salvezza il mondo intero, ascoltando creda, credendo speri, sperando ami»53. Nel n. 5 della Costituzione dogmatica Dei Verbum si presenta l’obbedienza della fede a Dio che si rivela, con la quale «l’uomo gli si abbandona tutt’intero e liberamente… e assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli fa»54. Nello stesso tempo si afferma la necessità della grazia di Dio che previene e soccorre l’adesione di fede55. Nello stesso documento al n. 21 i padri conciliari si soffermano 50

Cfr. DH 3009, p. 1051. DH 3011, p. 1051. 52 DH 3015, p. 1053. 53 CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Dei Verbum, 18 novembre 1965, n. 1. All’interno della citazione si riprende un celebre passo agostiniano, su cui, cfr. AGOSTINO, De catechizandis rudibus, 4, 8, in PL 40, 316. 54 CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 5. 55 Cfr. Ibid. 51

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sull’importanza della Sacra Scrittura nella vita della Chiesa che le ha sempre venerate come ha fatto con il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo56. Il testo sottolinea altresì la regula fidei, così intesa dal Concilio: «Insieme con la sacra Tradizione, (la Chiesa) ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della propria fede»57. La fede in Cristo – unico mediatore – che ha costituito sulla terra la sua Chiesa santa, comunità di fede, si esprime nella professione del Simbolo che la professa una, santa, cattolica, apostolica58. Per questo, prima di partecipare alla liturgia, gli uomini devono essere chiamati alla fede59. La stessa fede permea ogni ambito di vita del credente60. In questa prospettiva il Concilio Vaticano II con le sue quattro Costituzioni ci aiuta a focalizzare il nostro percorso pastorale che in quest’anno desideriamo compiere sui passi della fede: • la lex credendi, che possiamo approfondire con lo studio della Costituzione dogmatica sulla Rivelazione Dei Verbum; • la lex orandi, che ci spinge a guardare la Chiesa - sacramento di salvezza nelle Costituzioni dogmatiche Lumen Gentium e Sacrosanctum Concilium sulla divina liturgia; • la lex vivendi, che richiama la testimonianza di fede dei credenti nel mondo contemporaneo, espressa nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes.

2. I piani pastorali della CEI Il dettame conciliare, maturato attraverso il serrato confronto per rispondere alle urgenze della mutata realtà dell’uomo, si concretizza nel vario e articolato cammino della nostra realtà ecclesiale italiana. Il cammino pastorale – via attuativa del Concilio Vaticano II – accoglie 56

Cfr. Ibid., n. 21. Ibid. 58 Cfr. ID., Cost. dogm. Lumen Gentium, 21 novembre 1964, n. 8. 59 Cfr. ID., Cost. Sacrosanctum Concilium, 4 dicembre 1963, n. 9. 60 Cfr. ID., Cost. past. Gaudium et Spes, 7 dicembre 1965, n. 21. 57

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ed esplicita nel vissuto della chiesa locale quanto il millenario cammino di comprensione della fede ha man mano offerto. In tal senso, per finalizzare il senso di questo sviluppo tracciamo di seguito i vari passaggi. a. Evangelizzazione e Sacramenti (1973-1980). Il 1973 è l’anno in cui la Chiesa italiana pubblica i suoi primi Orientamenti pastorali, che intendono interpretare al tempo stesso il Concilio Vaticano II e lo spirito del tempo nuovo che avanza con profondi cambiamenti che influiscono sulla società, ma soprattutto sulle coscienze delle persone. Evangelizzazione e sacramenti è il titolo del documento che sottolinea come la fede non possa più essere data per scontata e che l’evangelizzazione debba precedere i sacramenti61. Occorre tornare ad evangelizzare e a farlo in un contesto in cui la proposta cristiana è ritenuta nota. Dieci anni dopo il Concilio Vaticano II, Paolo VI l’8 dicembre 1975 consegna l’Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi sull’impegno dell’evangelizzazione. In tale prospettiva evidenziava la complessità dell’azione evangelizzatrice e la necessità di un «annuncio esplicito» della fede62. Nel testo si suggerivano i ‘mezzi adatti’ ai tempi per compiere un’efficace opera evangelizzatrice: una coerente testimonianza di vita dei credenti, seguita dall’annuncio della parola di Dio, dalla catechesi, dall’uso dei nuovi mezzi di comunicazione, dal contatto personale, da una vita sacramentale e dalla evangelizzazione della pietà popolare63. Tutta la Chiesa è chiamata ad annunciare la fede ma con modalità proprie dei diversi gradi di ministerialità. Nel 1976, a metà percorso del primo piano pastorale CEI, si colloca il primo Convegno Ecclesiale su Evangelizzazione e promozione umana. Esso avvia la consuetudine di un appuntamento di verifica a metà percorso pastorale, una convocazione in cui è coinvolto tutto il popolo di Dio, e in particolare i laici. Ha inizio la redazione dei catechismi per le varie fasce d’età. Nel 1979 il nuovo pontefice Giovanni Paolo II pubblica l’Esortazione apostolica Catechesi Tradendae in cui 61

Cfr. EPISCOPATO ITALIANO, Documento past. Evangelizzazione e sacramenti, 12 luglio

1973. 62 63

PAOLO VI, Esort. ap. Evangelii Nuntiandi, 8 dicembre 1975, n. 22 Cfr. Ibid., n. 48.

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esprime il senso proprio della catechesi nella Chiesa: «Ben presto fu chiamato catechesi l’insieme degli sforzi intrapresi nella chiesa per fare discepoli, per aiutare gli uomini a credere che Gesù è il Figlio di Dio, affinché, mediante la fede, essi abbiano la vita nel suo nome, per educarli ed istruirli in questa vita e costruire il corpo di Cristo»64. Nel testo pontificio vengono rintracciate anche le linee portanti affinché la catechesi aiuti realmente gli uomini a maturare nella fede: 1. «esso deve essere un insegnamento sistematico, non improvvisato, secondo un programma che gli consenta di giungere ad uno scopo preciso; 2. un insegnamento che insista sull’essenziale, senza pretendere di affrontare tutte le questioni disputate, né di trasformarsi in ricerca teologica o in esegesi scientifica; un insegnamento, tuttavia, sufficientemente completo, che non si fermi al primo annuncio del mistero cristiano, quale noi abbiamo nel kèrigma; 4. un’iniziazione cristiana integrale, aperta a tutte le componenti della vita cristiana»65. Nel testo in questione si argomenta che «grazie alla catechesi, il kèrygma evangelico – primo annuncio pieno di calore, che un giorno ha sconvolto l’uomo portandolo alla decisione di donarsi a Gesù Cristo per mezzo della fede – viene a poco a poco approfondito, sviluppato nei suoi corollari impliciti, spiegato da un discorso che fa appello anche alla ragione, orientato verso la pratica cristiana nella chiesa e nel mondo»66. Non mancano neppure le linee metodologiche per elaborare i nuovi catechismi67. 64

GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Catechesi Tradendae, 16 ottobre 1979, n. 1. Ibid. n. 21. 66 Ibid., n. 25. 67 Ibid., n. 50. Di rilievo anche il brano seguente: «Non basta, dunque, che si moltiplichino le opere catechetiche. Perché esse rispondano alla loro finalità, sono indispensabili diverse condizioni: • che siano realmente collegate alla vita concreta della generazione alla quale si rivolgono, tenendo ben presenti le sue inquietudini ed i suoi interrogativi, le sue lotte e le sue speranze; • che si sforzino di trovare il linguaggio comprensibile a questa generazione; • che s’impegnino ad esporre tutto il messaggio del Cristo e della sua chiesa, senza nulla trascurare né deformare, pur presentandolo secondo un asse e una struttura che mettono in rilievo l'essenziale; 65

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b. Comunione e comunità (1981-1990). Per l’animazione degli anni ’80 la Chiesa italiana si è data degli Orientamenti pastorali il cui obiettivo era quello di aiutare le comunità a crescere nella vita di comunione, per essere soggetto credibile di evangelizzazione68. Essi hanno assunto le linee-guida del Documento di base per il rinnovamento della catechesi (Db), secondo le quali tutta la Chiesa è protagonista dell’evangelizzazione; tutta è responsabile dell’annuncio della parola di Dio e dell’educazione della vita di fede69. Questi orientamenti hanno messo a fuoco la domanda: “Chi annuncia Gesù Cristo?”; hanno ribadito con forza che «su tutto il popolo di Dio incombe il dovere dell’evangelizzazione. Ma solo una Chiesa che vive e celebra in se stessa il mistero della comunione, traducendolo in una realtà vitale sempre più organica e articolata, può essere soggetto di un’efficace evangelizzazione»70. Comunione e comunità ha proposto un modello di Chiesa missionaria, formata da persone adulte nella fede, che sanno assumere in pieno le responsabilità pastorali derivante dal proprio status. In altre parole, il documento ha sancito la necessità di una catechesi permanente, che coinvolge soprattutto gli adulti, con orientamento missionario. Nel decennio pastorale incentrato su Comunione e comunità, la Chiesa italiana ha vissuto il suo momento culminante nel 2° Convegno Ecclesiale, tenuto a Loreto nel 1985 e intitolato: Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini, incentrato sui modi di concepire l’identità cristiana e il dialogo con il mondo71. Nel corso di quel Convegno il papa Giovanni Paolo II ha sottolineato da una parte l’importanza del servizio alla verità («coscienza di verità») e dall’altra la necessità di un più deciso «dinamismo missionario», nonché la priorità di «una sistematica, approfondita e capillare catechesi degli

• che mirino veramente a provocare in coloro che devono servirsene una maggiore conoscenza dei misteri di Cristo, in vista di una vera conversione e di una vita sempre più conforme al volere di Dio» (n. 49). 68 Cfr. EPISCOPATO ITALIANO, Documento past. Comunione e comunità, 1 ottobre 1981. 69 Cfr. ID., Documento past. Il rinnovamento della catechesi. Documento base per la redazione dei catechismi, Roma, 2 febbraio 1970. 70 ID., Documento past. Comunione e comunità, n. 3. 71 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini, AVE, Roma 1985.

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adulti», in continuità con uno dei punti qualificanti del Db72. c. Evangelizzazione e testimonianza della carità (1991-2000). Una fede matura e una comunità evangelizzata si esprime attraverso la carità vissuta: è questo l’obiettivo degli Orientamenti pastorali degli anni Novanta73. Nel 1992 viene pubblicato il Catechismo della Chiesa Cattolica con lo scopo di: «presentare una esposizione organica e sintetica dei contenuti essenziali e fondamentali della dottrina cattolica sia sulla fede che sulla morale, alla luce del Concilio Vaticano II e dell’insieme della Tradizione della Chiesa. Le sue fonti principali sono la Sacra Scrittura, i santi Padri, la liturgia e il Magistero della Chiesa. Esso è destinato a servire come “un punto di riferimento per i catechismi o compendi che vengono preparati nei diversi paesi”»74. Fin dall’inizio si ribadisce che la catechesi è «“un’educazione della fede dei fanciulli, dei giovani e degli adulti, la quale comprende in special modo un insegnamento della dottrina cristiana, generalmente dato in modo organico e sistematico, al fine di iniziarli alla pienezza di vita cristiana”»75. A metà percorso, il Convegno Ecclesiale di Palermo (1995) su Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia pone con nuova forza l’istanza dell’evangelizzazione, insieme al rapporto tra fede e cultura: nasce così la questione del Progetto culturale della Chiesa in Italia per la presenza dei cattolici nella società76. Da un punto di vista catechetico, il decennio si apre con la pubblicazione degli Orientamenti e itinerari di formazione dei catechisti77. L’impianto dei catechismi, viene pubblicato nella sua stesura definitiva. Nel frattempo, ha subìto un’accelerazione la crisi della sensibilità religiosa diffusa ed è cresciuta l’estraneità della mentalità comune ad una visione cristiana della vi72

GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Convegno della Chiesa Italiana, Loreto, 11 aprile 1985, n. 4. 73 Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti past. Evangelizzazione e testimonianza della carità, 8 dicembre 1990. 74 Catechismo della Chiesa cattolica, n. 11. 75 Ibid., n. 5. 76 Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Nota past. Con il dono della carità dentro la storia, 26 maggio 1996, qui n. 25. 77 Cfr. UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE, Sussidio past. Orientamenti e itinerari di formazione dei catechisti, EDB, Bologna 1991.

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ta. Non vi è sostrato culturale su cui la catechesi non trovi difficoltà a mettere radici. Occorre rinnovare i percorsi dell’iniziazione cristiana, perché divenga consapevole inserimento in un percorso di vita che non ha più nulla di ovvio e che richiede scelte cristiane mature. d. Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (2000-2010). Comunicare il Vangelo è il compito fondamentale della Chiesa78. La Chiesa prende atto che «le persone che si dicono «senza religione» sono in aumento; vi sono poi persone disposte a riconoscere un certo riferimento a Cristo, ma non alla Chiesa; non mancano neppure le conversioni dal cristianesimo ad altre religioni. Ciò che tuttavia è più preoccupante è il crescente analfabetismo religioso delle giovani generazioni, per tanti versi ben disposte e generose, ma spesso non adeguatamente formate all’essenziale dell’esperienza cristiana e ancor meno a una fede capace di farsi cultura e di avere un impatto sulla storia»79. Così il Convegno vuole dare a tutta la vita quotidiana della Chiesa, anche attraverso mutamenti nella pastorale, una chiara connotazione missionaria; fondare tale scelta su un forte impegno in ordine alla qualità formativa, in senso spirituale, teologico, culturale, umano e favorire una più adeguata ed efficace comunicazione agli uomini, in mezzo ai quali viviamo, del mistero del Dio vivente e vero, fonte di gioia e di speranza per l’umanità intera80. Per dare concretezza alle decisioni che gli Orientamenti esprimono, si auspica «una conversione pastorale»81, per imprimere un dinamismo missionario: Si delineano, pertanto, i due livelli specifici, ai quali ci pare si debba rivolgere l’attenzione nelle nostre comunità locali: quella che viene chiamata «comunità eucaristica», cioè coloro che si riuniscono con assiduità nella eucaristia domenicale, e in particolare battesimale», coloro che, pur essendo battezzati, hanno un rapporto con la comunità ecclesiale che si limita a qualche incontro più o meno sporadico, in occasioni particolari della vita, o rischiano di dimenticare il loro battesimo e vi78

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia,

n. 32 79

Idem. n. 40 Idem. n.44 81 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Con il dono della carità dentro la storia. La Chiesa in Italia dopo il Convegno di Palermo. Nota pastorale, 23: Notiziario CEI 1996, 173. 80

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vono nell’indifferenza religiosa. In tale prospettiva sembra importante che la comunità sia coraggiosamente aiutata a maturare una fede adulta, «pensata», capace di tenere insieme i vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo82. Come verifica a metà percorso il Convegno Ecclesiale di Verona elabora la nota pastorale a conclusione che ha per titolo “Rigenerati per una Speranza Viva“ (1 Pt 1,3): Testimoni del Grande “Si” di Dio all’uomo. Una uova prospettiva metodologica che il Convegno inaugura, per la comunicazione della fede, ovvero dell’evangelizzazione, è l’individuazione di cinque ambiti sociali in cui incarnare il messaggio cristiano: vita affettiva, lavoro e festa, fragilità umane, Tradizione e cittadinanza83 che riprenderemo nel capitolo conclusivo per contestualizzare la proposta dei nostri orientamenti pastorali.

82

CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 50 CEI, “Rigenerati per una Speranza Viva“ (1 Pt 1,3): Testimoni del Grande “Si” di Dio all’uomo, III, 12. 83

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CAPITOLO QUARTO LA CHIESA, COMUNITÀ EDUCANTE: INDICAZIONI PER UN ORIENTAMENTO PASTORALE

1. Fede e impegno educativo per affrontare la ‘crisi’ Il Card. A. Bagnasco, Presidente della CEI, nella 64a Assemblea Generale, lo scorso 21 maggio 2012 ci ricordava che «la condizione complessiva del nostro popolo ci angustia… per questo vorremmo essere in grado di intravvedere i primi bagliori di qualcosa di nuovo e che dovrà poi maturare attraverso un paziente, lungimirante servizio… Ad una crisi epocale si deve rispondere con un cambiamento altrettanto epocale, di mente innanzitutto, che invece è la più lenta a lasciarsi modificare»84. Le parole d’ordine della seconda metà del secolo scorso – lavoro, sacrificio, crescita progressiva e inarrestabile – hanno generato il mito del consumo il cui debito accumulato da tanti paesi ha divorato «le risorse destinate ai figli e troppe popolazioni del mondo» sono rimaste ai margini dei «processi di sviluppo»85. Anche nel nostro territorio diocesano è necessario proporre strade concrete, efficaci e percorribili, per andare oltre le crisi e tornare a parlare di una «speranza “affidabile”… perché poggia sulla fede intesa come fiducia nella fedeltà di Dio che, in Gesù, si è legato al destino dell’uomo»86. In concreto, quest’anno la nostra Diocesi di Teggiano-Policastro con la celebrazione di apertura dell’Anno della fede varca la porta della Cattedrale e delle chiese parrocchiali volendo confessare la fede in Cristo e fare anche della nostra Chiesa particolare una casa e scuola di comunione87. Spalancare le porte a Cristo, in concreto, significherà per noi vivere il prossimo triennio pastorale 2012-2015 come opportunità per rilanciare una nuova evangelizzazione del territorio diocesano nel84

A. BAGNASCO, Prolusione alla 64a Assemblea Generale CEI, Roma, 21 maggio 2012,

n. 1. 85

Ibid. Ibid., n. 2. 87 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, n. 43 86

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la prospettiva della fede annunciata, celebrata, vissuta. Pertanto, in preparazione all’Anno della fede tutti i fedeli sono invitati a leggere e meditare attentamente la Lettera apostolica Porta fidei del Santo Padre Benedetto XVI88. Egli ha ricordato la responsabilità di noi Vescovi: «Vegliate e operate perché la comunità cristiana sappia formare persone adulte nella fede perché hanno incontrato Gesù Cristo, che è diventato il riferimento fondamentale della loro vita; persone che lo conoscono perché lo amano e lo amano perché l’hanno conosciuto; persone capaci di offrire ragioni solide e credibili di vita»89. Siamo consapevoli che nella Chiesa «ogni battezzato ha ricevuto da Dio una personale chiamata per l’edificazione e la crescita della comunità»90. L’unità della Chiesa lungi dall’essere «uniformità, ma comunione di ricchezze personali», che mediante la diversità dei carismi mira alla crescita di tutto il corpo ecclesiale. La complessità dell’azione educativa ci sollecita ad adoperarci in ogni modo per l’annuncio della fede, dum omni modo Christus adnuntietur (Fil 1, 18) e ci spinge ad adoperarci «affinché si realizzi “un’alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale”. Fede, cultura ed educazione interagiscono, ponendo in rapporto dinamico e costruttivo le varie dimensioni della vita. La separazione e la reciproca estraneità dei cammini formativi, sia all’interno della comunità cristiana sia in rapporto alle istituzioni civili, indebolisce l’efficacia dell’azione educativa fino a renderla sterile. Se si vuole che essa ottenga il suo scopo, è necessario che tutti i soggetti coinvolti operino armonicamente verso lo stesso fine»91. Mi piacerebbe ora poter rileggere il percorso compiuto in questi Orientamenti Pastorali alla luce degli ambiti proposti dal Convegno Ecclesiale di Verona: vita affettiva, lavoro e festa, fragilità umana, tradizione e cittadinanza92. 88

Cfr. l’Introduzione di questo lavoro. BENEDETTO XVI, Discorso all’Assemblea della Conferenza Episcopale Italiana, 24 maggio 2012. 90 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti past. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 35. 91 Ibid. 92 Cfr. l’Introduzione di questo lavoro. 89

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2. Annunciare la fede in ogni ambito della vita a. Siamo chiamati ad annunciare la fede nella vita affettiva – «Comunicare il Vangelo dell’amore nella e attraverso l’esperienza umana degli affetti chiede di mostrare il volto materno della Chiesa, accompagnando la vita delle persone con una proposta che sappia presentare e motivare la bellezza dell’insegnamento evangelico sull’amore, reagendo al diffuso “analfabetismo affettivo” con percorsi formativi adeguati e una vita familiare ed ecclesiale fondata su relazioni profonde e curate. La famiglia rappresenta il luogo fondamentale e privilegiato dell’esperienza affettiva»93. A voi dilette famiglie, grazie per essere «“santuario della vita”, luogo di accoglienza… “prima e indispensabile comunità educante”…, “scuola di socialità… all’insegna del rispetto, della giustizia, del dialogo e dell’amore” in ogni ambito del vissuto»94. Come ho avuto modo di scrivervi nella Lettera alle famiglie di cui sopra, siamo convinti che voi siete per i vostri figli i primi pedagoghi nella fede: da voi i vostri ragazzi imparano «il segno della croce, le preghiere del mattino, della sera e dei pasti, il modo di vivere la domenica e il tempo della festa, il riconoscimento e la pratica convinta dei simboli della fede»95. Conosco quanto sia difficile e talvolta faticoso portare a crescita e maturazione una famiglia e le sue componenti in questo nostro tempo. Vorrei dirvi: coraggio, non siete soli! Il Signore e la nostra azione pastorale affiancano i vostri sforzi. Talvolta per tanti genitori l’educare diventa «un’arte davvero difficile»: essi «soffrono, infatti, un senso di solitudine, di inadeguatezza e, addirittura, d’impotenza. Si tratta di un isolamento anzitutto sociale, perché la società privilegia gli individui e non considera la famiglia come sua cellula fondamentale»96. Non dimenticate ciò che, alla luce del Concilio Vaticano II, vi ho richiamato nella Lettera sopra citata: siate piccola «“Chiesa domestica” che cre93 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Nota past. “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande 'Si' di Dio all'uomo, n. 12. 94 A. DE LUCA – DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO, Lettera alle famiglie della nostra Diocesi, 8 aprile 2012, p. 2. 95 Ibid., p. 5. 96 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti past. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 36.

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de, professa, educa, annuncia e vive, prega in comunione di amore e di vita al suo interno e con tutte le altre famiglie e componenti del vissuto cristiano»97. Auspico, in quest’Anno della fede, che le parrocchie possano ‘entrare’ di più con l’annuncio della vita buona del Vangelo nel vissuto della famiglia, ad es., nel contesto delle benedizioni delle case, dei battesimi, delle confermazioni, dei matrimoni, nei momenti di sofferenza o di lutto. Sarà opportuno verificare la recezione del Concilio Vaticano II specialmente in ambito catechistico. In tal senso, auspichiamo un rinnovato impegno da parte dell’Ufficio catechistico a curare la formazione dei catechisti sul piano dei contenuti della fede e di quanti sono chiamati a trasmetterla nei luoghi di formazione, specialmente nelle famiglie. L’Anno della fede, inoltre, sarà un’occasione importante per far lievitare, in particolare, la fede nell’Eucarestia – mistero della fede e sorgente della nuova evangelizzazione – in cui la fede della Chiesa viene proclamata, celebrata e fortificata. Sappiamo altresì che «la fede senza le opere non ha valore» (Gc 2, 20): solo una fede che opera mediante l’amore è autentica (cfr. Gal 5, 6). Tutti i fedeli sono invitati perciò a testimoniare la fede nella concretezza della carità vissuta. A voi carissimi giovani, grazie per la gioia della vita e l’entusiasmo con il quale avete accolto il mio ministero fin dal primo momento del mio arrivo in mezzo a voi. La prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro nel luglio 2013 ci offrirà «un’occasione privilegiata… per sperimentare la gioia che proviene dalla fede nel Signore Gesù e dalla comunione con il Santo Padre, nella grande famiglia della Chiesa»98. Non lasciatevi schiacciare da quella chiusura narcisistica oppure dall’omologazione di gruppo che potrebbe frenare la vostra originalità e creatività come persone volute e amate da Dio in maniere unica e irripetibile: la novità del Vangelo è apertura di mente e di cuore a tutti. La vostra sete di senso della vita, di libertà, di verità e di amore potrete colmarla nell’incontro con Gesù Cristo, esperto di umanità, vero uomo e vero Dio. Abbiate la consapevolezza che la 97 A. DE LUCA – DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO, Lettera alle famiglie della nostra Diocesi, pp. 9-10. 98 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota con indicazioni pastorali per l’Anno della fede, I, n. 4.

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Chiesa è la vostra famiglia di fede, essa accompagna e sostiene la vostra crescita con affetto e con sollecitudine: la vostra «appartenenza consapevole alla Chiesa; la conoscenza amorevole e orante della Sacra Scrittura; la partecipazione attiva all’Eucarestia; l’accoglienza delle esigenze morali della sequela; l’impegno di fraternità verso tutti gli uomini; la testimonianza della fede sino al dono sincero di sé»99, sono condizioni di maturità cristiana perché possiate diventare uomini e donne maturi inseriti responsabilmente nella società e nel mondo del lavoro con una mentalità nuova e aperta al bene comune. Tra i giovani mi piace ricordare e ringraziare anche coloro che hanno risposto alla chiamata del Signore: i seminaristi della nostra Diocesi di TeggianoPolicastro. A voi dico: duc in altum! (cfr. Lc 5, 4) Puntate alla misura alta della santità: negli ambiti della vostra formazione umana, spirituale, intellettuale-teologica e pastorale100. b. Siamo chiamati ad annunciare la fede nel mondo del lavoro e ad evangelizzare la festa – «Il rapporto con il tempo, in cui si esplica l’attività del lavoro dell’uomo e il suo riposo, pone forti provocazioni al credente, condizionato dai vorticosi cambiamenti sociali e tentato da nuove forme di idolatria». Anche nel nostro territorio occorre «chiedere che l’organizzazione del lavoro sia attenta ai tempi della famiglia e accompagnare le persone nelle fatiche quotidiane, consapevoli delle sfide che derivano dalla precarietà del lavoro, soprattutto giovanile, dalla disoccupazione, dalla difficoltà del reinserimento lavorativo in età adulta, dallo sfruttamento della manodopera dei minori, delle donne, degli immigrati. Anche se cambiano le modalità in cui si esprime il lavoro, non deve venir meno il rispetto dei diritti inalienabili del lavoratore: “Quanto più profondi sono i cambiamenti, tanto più deciso deve essere l’impegno dell’intelligenza e della volontà per tutelare la dignità del lavoro”. Altrettanto urgente è il rinnovamento, secondo la prospettiva cristiana, del rapporto tra lavoro e festa: non è soltanto il lavoro a trovare compimento nella festa come occasione di riposo, ma è soprattutto la festa, evento della gratuità e del dono, a “ri99 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti past. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 32. 100 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Pastores Dabo Vobis, 25 marzo 1992, in part. nn. 42-59.

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suscitare” il lavoro a servizio dell’edificazione della comunità, aiutando a sviluppare una giusta visione creaturale ed escatologica. La qualità delle nostre celebrazioni è fattore decisivo per acquisire tale coscienza. Occorre poi fare attenzione alla crescita indiscriminata del lavoro festivo e favorire una maggiore conciliazione tra i tempi del lavoro e quelli dedicati alle relazioni umane e familiari, perché l’autentico benessere non è assicurato solo da un tenore di vita dignitoso, ma anche da una buona qualità dei rapporti interpersonali. In questo quadro, grande giovamento potrà venire da un adeguato approfondimento della dottrina sociale della Chiesa, sia potenziando la formazione capillare sia proponendo stili di vita, personali e sociali, coerenti con essa. Assai significative sono in proposito le risorse offerte dallo sport e dal turismo»101. c. Siamo chiamati ad annunciare la fede nell’ambito della fragilità umana – «In un’epoca che coltiva il mito dell’efficienza fisica e di una libertà svincolata da ogni limite, le molteplici espressioni della fragilità umana sono spesso nascoste ma nient’affatto superate. Il loro riconoscimento, scevro da ostentazioni ipocrite, è il punto di partenza per una Chiesa consapevole di avere una parola di senso e di speranza per ogni persona che vive la debolezza delle diverse forme di sofferenza, della precarietà, del limite, della povertà relazionale. Se l’esperienza della fragilità mette in luce la precarietà della condizione umana, la stessa fragilità è anche occasione per prendere coscienza del fatto che l’uomo è una creatura e del valore che egli riveste davanti a Dio. Gesù Cristo, infatti, ci mostra come la verità dell’amore sa trasfigurare anche l’oscuro mistero della sofferenza e della morte nella luce della risurrezione. La vera forza è l’amore di Dio che si è definitivamente rivelato e donato a noi nel Mistero pasquale. All’annuncio evangelico si accompagna l’opera dei credenti, impegnati ad adattare i percorsi educativi, a potenziare la cooperazione e la solidarietà, a diffondere una cultura e una prassi di accoglienza della vita, a denunciare le ingiustizie sociali, a curare la formazione del volontariato. Le diverse esperienze di evangelizzazione della fragilità umana, anche grazie 101 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Nota past. “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande 'Si' di Dio all'uomo, n. 12.

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all’apporto dei consacrati e dei diaconi permanenti, danno forma a un ricco patrimonio di umanità e di condivisione, che esprime la fantasia della carità e la sollecitudine della Chiesa verso ogni uomo»102. A voi fratelli e sorelle della vita consacrata, grazie per essere segno – con la vostra vita e la vostra testimonianza – del Regno futuro e dei cieli nuovi e della terra nuova (cfr. Ap 21, 1). In questo tempo tutti i membri degli Istituti di vita consacrata sono sollecitati ad impegnarsi nella nuova evangelizzazione, con una rinnovata adesione al Signore Gesù, mediante l’apporto dei propri carismi e nella fedeltà al Santo Padre e alla sana dottrina. Sappiamo come «l’educazione cristiana orienta la persona verso la pienezza della vita eterna», oltre i limiti, le contingenze e le fragilità della storia umana. Con la vostra vita e il vostro ministero voi aiutate a comprendere come la consacrazione al Signore mediante i voti di povertà, castità, obbedienza, «non allontana dall’impegno nelle realtà terrene, ma preserva dal cadere nell’idolatria di se stessi, delle cose e del mondo»103. d. Siamo chiamati ad annunciare la fede nell’ambito della tradizione – «Nella trasmissione del proprio patrimonio spirituale e culturale ogni generazione si misura con un compito di straordinaria importanza e delicatezza, che costituisce un vero e proprio esercizio di speranza». Come abbiamo già detto, alla «famiglia deve essere riconosciuto il ruolo primario nella trasmissione dei valori fondamentali della vita e nell’educazione alla fede e all’amore, sollecitandola a svolgere il proprio compito e integrandolo nella comunità cristiana... In modo del tutto peculiare, poi, la parrocchia costituisce una palestra di educazione permanente alla fede e alla comunione, e perciò anche un ambito di confronto, assimilazione e trasformazione di linguaggi e comportamenti, in cui un ruolo decisivo va riconosciuto agli itinerari catechistici. In tale prospettiva, essa è chiamata a interagire con la ricca e variegata esperienza formativa delle associazioni, dei movimenti e delle nuove realtà ecclesiali»104. La parrocchia dovrà porsi come «comunità accogliente e dialogante» 102

Ibid. ID., Orientamenti past. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 24. 104 ID., Nota past. “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande 'Si' di Dio all'uomo, n. 12. 103

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non perdendo mai di vista il suo essere «crocevia delle istanze educative»105 e del suo essere «‘grembo’… e via alla Chiesa»106: le nostre parrocchie diventino cellule di evangelizzazione. In quest’anno si auspica che le parrocchie esprimano un rinnovato impegno nella «“pastorale biblica”»107 del primo annuncio. Anche per questo abbiamo programmato nell’Agenda Pastorale del 2012-2013 alcune Lectio divinae per forania, che saranno tenute nei tempi forti dell’anno liturgico. Un’attenzione particolare meriterà di essere dedicata al Catechismo della Chiesa Cattolica nel suo ventesimo anniversario di pubblicazione. Invito in modo particolare i sacerdoti, le persone consacrate e i catechisti, come esorta il Santo Padre, a far sì che «l’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica»108. A voi amati sacerdoti, dico grazie per il vostro instancabile impegno! «Coraggio, rinnoviamoci, non diamo nulla per scontato, lasciamoci provocare dalla vita, facciamo conto di essere al nostro primo anno di Messa, dispieghiamo tutto l’entusiasmo di cui siamo capaci, coinvolgiamo le religiose, i laici, i genitori»109. In tutte le dimensioni della vita pastorale teniamo presente la regola d’oro indicata dal Santo Padre Benedetto XVI: «La fede non deve essere presupposta […] ma deve essere sempre annunciata»110. «In tale prospettiva, il progetto culturale orientato in senso cristiano stimola in ciascun battezzato e in ogni comunità l’approfondimento di una fede consapevole, che abbia piena cittadinanza nel nostro tempo, così da contribuire anche alla crescita della società»111. La formazione permanente del clero farà riferimento, particolarmente in quest’Anno della fede, ai Documenti del 105

ID., Orientamenti past. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 41. A. BAGNASCO, Prolusione alla 64a Assemblea Generale CEI, n. 3. 107 BENEDETTO XVI, Esort. ap. Verbum Domini, 30 settembre 2010, n. 73. Si parla altresì di: «“animazione biblica dell’intera pastorale”» (n. 73); animazione biblica della catechesi (cfr. n. 74); pratica della lectio divina nelle varie comunità educanti (cfr. nn. 82-83; 86-87). 108 ID., Lett. ap. Porta fidei, n. 11. 109 A. BAGNASCO, Prolusione alla 64a Assemblea Generale CEI, n. 3. 110 BENEDETTO XVI, Discorso in apertura del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma, 13 giugno 2011. 111 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Orientamenti past. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 41, su cui altresì, cfr. ID., Nota past. “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande 'Si' di Dio all'uomo, n. 13. 106

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Concilio Vaticano II e al Catechismo della Chiesa Cattolica, trattando tematiche di interesse diffuso. Inoltre non mancheranno appuntamenti formativi che coinvolgeranno i presbiteri delle diocesi della nostra metropolìa. Ai sacerdoti vorrei ricordare in particolare che il ministero è la fonte della nostra santificazione, noi non siamo ‘impiegati del sacro’, dobbiamo essere fortemente convinti di quanto ha detto il Santo Padre nel Discorso alla 64a Assemblea Generale della CEI: «…non ci sarà rilancio dell’azione missionaria senza il rinnovamento della qualità della nostra fede e della nostra preghiera; non saremo in grado di offrire risposte adeguate senza una nuova accoglienza del dono della Grazia; non sapremo conquistare gli uomini al Vangelo se non tornando noi stessi per primi a una profonda esperienza di Dio. Cari Fratelli, il nostro primo, vero e unico compito rimane quello di impegnare la vita per ciò che vale e permane, per ciò che è realmente affidabile, necessario e ultimo. Gli uomini vivono di Dio, di Colui che spesso inconsapevolmente o solo a tentoni ricercano per dare pieno significato all’esistenza: noi abbiamo il compito di annunciarlo, di mostrarlo, di guidare all’incontro con Lui. Ma è sempre importante ricordarci che la prima condizione per parlare di Dio è parlare con Dio, diventare sempre più uomini di Dio, nutriti da un’intensa vita di preghiera e plasmati dalla sua Grazia»112. Ai sacerdoti del primo decennale sarà riservata una particolare attenzione e momenti di formazione permanente, come abbiamo indicato nell’Agenda Pastorale 2012-2013, per l’accompagnamento e il sostegno della loro azione pastorale. Quest’anno sarà altresì un tempo favorevole per accostarsi con maggior fede e più intensa frequenza al sacramento della penitenza. Sarà opportuno promuovere missioni popolari e altre iniziative nelle parrocchie e nei luoghi di lavoro, per aiutare i fedeli a riscoprire il dono della fede battesimale e la responsabilità della sua testimonianza, nella consapevolezza che la vocazione cristiana «è per sua natura anche vocazione all’apostolato»113. A voi carissimi educatori, catechisti, formatori e animatori in 112

BENEDETTO XVI, Discorso all’Assemblea della Conferenza Episcopale Italiana, 24 maggio 2012. 113 CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam Actuositatem, 18 novembre 1965, n. 2.

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parrocchia, grazie per la vostra autentica testimonianza di gratuità, accoglienza e servizio della Chiesa nella proposta di percorsi di ‘vita buona del Vangelo’. Anche da voi, dalla vostra passione per la missione evangelizzatrice, dal vostro lasciarvi formare nelle competenze catechetico-teologiche, culturali e pedagogiche, dipende la crescita umana e spirituale di tutta la comunità. Tuttavia, quest’obiettivo resterà disatteso se non si riuscirà a dar vita a una «“pastorale integrata”», che mette «“in rete» le varie energie parrocchiali realizzando così una «vera e propria “conversione”, che riguarda l’insieme della pastorale» nella corresponsabilità, superando gli stretti confini parrocchiali e allacciando alleanze con altre agenzie educative114: oratori, aggregazioni socio-culturali, sportive, musicali, teatrali, ludiche, caritative, ecc. A voi membri di Associazioni, Gruppi e Movimenti ecclesiali, grazie per il vostro specifico impegno laicale di responsabilità comune nel vivere e comunicare la fede. Con le parole del Card. Angelo Bagnasco vorrei invitarvi a scoprire «ciascuno la propria valenza iniziatica» e del particolare carisma che vi contraddistingue, innestandovi «in una pastorale integrata, che sia di compagnia alle solitudini di oggi e rilanci in concreto la missione sul territorio»115. Fatevi promotori di specifiche iniziative affinché, mediante il contributo del vostro dono di grazia e in collaborazione con i presbiteri e le parrocchie, possiate sempre più radicarvi nel territorio per rinnovarlo con un impegno di nuovo annuncio ed evangelizzazione. e. Siamo chiamati ad annunciare la fede nell’ambito della cittadinanza – A voi uomini e donne impegnate sul fronte delle istituzioni sociali, civili e politiche, dico grazie per il vostro impegno civico aperto agli orizzonti e alle frontiere del bene comune. «Il bisogno di una formazione integrale e permanente appare urgente anche per dare contenuto e qualità al complesso esercizio della testimonianza nella sfera sociale e politica». Come non menzionare e «far tesoro della riflessione e delle opere maturate in cento anni dalle Settimane sociali 114

Cfr. EPISCOPATO ITALIANO, Nota past. Il volto missionario della parrocchie in un mondo che cambia, 30 maggio 2004, qui nn. 1, 9, 11-12. 115 A. BAGNASCO, Prolusione alla 64a Assemblea Generale CEI, n. 3.

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dei cattolici italiani». A tal proposito, riprendendo il Documento preparatorio della 45ª Settimana sociale, teniamo presente che: «“Agli occhi della storia non si può non riconoscere che i cattolici hanno dato un apporto fondamentale alla società italiana e alla sua crescita, nella prospettiva del bene comune. È necessario alimentare la consapevolezza, non solo fra i cattolici ma in tutti gli italiani, del fatto che la presenza cattolica – come pensiero, come cultura, come esperienza politica e sociale – è stata fattore fondamentale e imprescindibile nella storia del Paese”. Se oggi il tessuto della convivenza civile mostra segni di lacerazione, ai credenti – e ai fedeli laici in modo particolare – si chiede di contribuire allo sviluppo di un ethos condiviso, sia con la doverosa enunciazione dei principi, sia esprimendo nei fatti un approccio alla realtà sociale ispirato alla speranza cristiana»116.

116

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Nota past. “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande 'Si' di Dio all'uomo, n. 12, dove è menzionato il brano del Documento preparatorio della 45ª Settimana sociale dei cattolici italiani citato nel testo.

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ALCUNE INDICAZIONI OPERATIVE

 Una rinnovata attenzione all’iniziazione cristiana Educare alla fede significa dare priorità all’iniziazione cristiana di bambini e adulti. La particolare configurazione del nostro territorio se ci impedisce di sognare pianificazioni destinate ai grandi numeri, ci permette altresì di valutare la possibilità di accompagnamenti personalizzati nel percorso dell’iniziazione cristiana. In tale cammino devono essere coinvolti i genitori, i padrini e soprattutto coloro che chiedono di ricevere i sacramenti. E’ vero che possiamo avere la richiesta dell’iniziazione cristiana anche da parte di persone adulte, tuttavia è ordinaria la richiesta da parte di genitori per i loro bambini, i fanciulli e gli adolescenti. Ed è questa la primaria possibilità che abbiamo per ricalibrare i nostri interventi educativi: devono essere solidi, motivati, ‘seducenti’, capaci di trascinare e di offrire esperienze concrete di fede. Non ci sfugga che molti dei nostri ragazzi andranno a completare la loro formazione culturale e professionale in contesti accademici e sociali dove il secolarismo e il laicismo condizionano molto. Solo una formazione cristiana solida può resistere a questo impatti. Pertanto, i percorsi siano maggiormente fondati sulla Parola di Dio, sul senso della Domenica, e la solidarietà autentica. Nell'anno della fede siamo invitati a riprendere tra le mani il Catechismo della Chiesa Cattolica, a partire da questo prezioso strumento siamo anche certi di offrire un percorso affidabile e sicuro di crescita cristiana.  Luoghi ed eventi per l’Anno della fede Dopo l’apertura dell’Anno della fede a livello diocesano, si organizzi un evento in ogni forania che faccia riflettere sul medesimo: una celebrazione, un pellegrinaggio in un luogo particolarmente significativo (perché non rivalutare come luogo-simbolo diocesano il Battistero di San Giovanni in Fonte?). Si può pensare altresì: ad una celebrazione comunitaria del sacramento della riconciliazione; a una diffusione capillare di uno dei quattro Vange-

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li; alla configurazione di nuovi ministeri nella forania (l’accoglienza, la visita alle persone sole, il dialogo nei luoghi di incontro con persone che vivono lontano dalla proposta di fede, l’accoglienza e la catechesi alle coppie di sposi che vivono situazioni difficili e irregolari, il dialogo con i fratelli che provengono da altre nazioni del mondo, ecc.).  Annuncio della Parola e lectio divina E’ necessario organizzare in ogni forania un appuntamento di lectio divina nelle settimane di Avvento e in quelle di Quaresima. Ciascuna di esse designi il presbitero che guiderà questi momenti; dall’Agenda pastorale vi viene indicata la data e la forania rispettiva.  Dignità nella celebrazione del “Misterium Fidei” Come comunità parrocchiali è necessario porre gesti concreti di fede che recuperino la dignità delle nostre celebrazioni liturgiche. Pertanto, è necessario che ogni parrocchia sia corredata di una dignitosa suppellettile e di quanto occorre per la celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali, i libri liturgici (ad es., i rituali, il benedizionale), ecc. Nella celebrazione del sacramento della Confermazione si segua il Rito e il parroco deve presentare i cresimandi subito dopo la proclamazione del Vangelo: vi verrà offerto un formulario ‘tipo’ che può servire a questo scopo. Nelle nostre chiese sia riservato un posto dignitoso alla custodia degli Olii Sacri.  La Pastorale giovanile e vocazionale Essa deve acquisire una configurazione foraniale: in ogni forania vi sia un referente per la pastorale giovanile e vocazionale. Bisogna costituire una Consulta diocesana di giovani, con il compito di: creare un collegamento tra le foranie, ma anche tra le varie espressioni associative; offrire suggerimenti e indicazioni per una vicinanza sentita e convinta al mondo dei giovani ed il loro responsabile protagonismo nel progetto pastorale diocesano. Nell’Anno della fede la giornata diocesana dei giovani dovrà ave-

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re la rilevanza straordinaria che l’evento richiede. Non si trascuri la formazione, in ogni parrocchia la costituzione del gruppo liturgico e dei ministranti.  Pastorale scolastica In contatto con l’Ufficio scuola diocesano e in dialogo con i dirigenti scolastici è ipotizzabile un pellegrinaggio dei giovani in una data feriale da concordare in un luogo simbolo della fede cristiana.  Percorso dei fidanzati al sacramento del matrimonio Il collaudato percorso di preparazione dei fidanzati al sacramento del matrimonio continui a offrire non solo la comunicazione del dato dottrinale, ma diventi anche un tempo per forti esperienze di fede e di crescita morale e spirituale attraverso la partecipazione alla carità e alla celebrazione dell’Eucaristia domenicale, così da favorire l’apprendistato alla vita di preghiera della coppia.  La famiglia La famiglia resta una delle priorità nella nostra azione ecclesiale. Se la pastorale ordinaria ci consente di mantenere vivo il contatto con tante famiglie, è altresì urgente creare percorsi stabili di accompagnamento e di catechesi per le medesime, in specie laddove si vivono situazioni di povertà di vario genere, con un’attenzione alle forme ‘irregolari’ di unione, anche con l’aiuto di coniugi preparati, dei diaconi permanenti, degli insegnati della religione cattolica, ecc.  Scuola del Vangelo Con l’aiuto degli organismi interessati, deve riprendere in ogni forania la scuola del Vangelo; non mancheranno gli aiuti e il sostegno necessario. Nel contesto di questa formazione si ponga spacciate cura per formare coloro che nelle nostre Assemblee si rendono disponibili a proclamare la Parola di Dio. Si evitino le improvvisazioni e l'occasionale reperimento di lettori.

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 Associazionismo cattolico E’ particolarmente urgente ridare vita alle forme di associazionismo cattolico (ad es., i giuristi, medici, politici, dirigenti e lavoratori, docenti e ricercatori cattolici, ecc.), non per innalzare steccati o sottolineare distinzioni, ma per irrobustire l’identità cristiana di quanti – ispirandosi ai principi evangelici e alla dottrina sociale della Chiesa – vogliono impegnarsi per offrire una testimonianza coerente con la fede professata e celebrata. E’ necessario inoltre che le stesse realtà delle congreghe e confraternite non corrano il rischio di essere solo un’appendice coreografica o, peggio, luoghi e spazi di esercizio di potere. «Di ben poca utilità saranno le cerimonie più belle o le associazioni più fiorenti, se non sono volte ad educare gli uomini alla maturità cristiana»117.  Gli organismi di partecipazione e di comunione Nelle realtà parrocchiali e foraniali, gli organismi di partecipazione e di comunione possono essere uno dei propositi da realizzare nell’Anno della fede. Con l’inizio del nuovo anno pastorale ad ogni forania sarà richiesto di preparare un piccolo progetto pastorale che prevede, tra l’altro, l’opportuna valorizzazione dei laici nella gestione della vita parrocchiale, la formazione del consiglio pastorale foraniale che tenga conto degli ambiti pastorali suggeriti dal Convegno ecclesiale di Verona ed esaminati in questo Documento. In concreto, ogni parrocchia potrebbe esprimere per il lavoro in forania una o più persone che esprimano il legame con ogni ambito proposto da Verona: a) per l’ambito affettività (ad es., una famiglia che possa collaborare con la parrocchia e la forania); b) per l’ambito del lavoro e festa (ad es., un imprenditore cristiano, un responsabile del mondo del lavoro, un operaio cattolico, alcuni membri del comitato festa che siano motivati in senso cristiano, ecc.); c) per la fragilità umana (un operatore cristiano che viva in qualche modo professionalmente nell’ambito: ad es., un medico, un infermiere, un assistente sociale, un operatore 117

CONCILIO VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 7 dicembre 1965, n. 6.

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sanitario e sociale, ecc.); d) per la tradizione (ad es., un docente chiamato a trasmettere la cultura e la fede in ogni ambito socio-ecclesiale); e) per l’ambito della cittadinanza (ad es., un cristiano impegnato nel mondo della politica e delle istituzioni civili preposte all’ambito, ecc.). Si segnala pure la necessaria valorizzazione della scuola foraniale del Vangelo alla quale dovranno aderire tutti coloro che da anni svolgono qualche ministero nella comunità. E’ bene inoltre accogliere il percorso triennale individuato nella Presentazione di questo Documento che sarà predisposto dalla Diocesi. Saranno offerti particolari aiuti a quelle parrocchie che non riescono ancora a costituire il consiglio pastorale parrocchiale ed il consiglio parrocchiale per gli affari economici.  E’ necessario offrire e richiedere agli insegnanti della religione cattolica un ruolo ed una presenza credibile e convincente all’interno delle nostre comunità per dare una concreta testimonianza di unità di vita tra quanto si insegna e ciò che si pratica.  La grande risorsa della pietà popolare e delle feste di paese e cittadine ci impone un senso di corresponsabilità pastorale che accompagni tutti coloro che ne sono coinvolti, in modo da favorire idoneamente questo grande patrimonio di fede delle nostre popolazioni. A ciò si unisca una ricerca seria di quelle modalità che contraddistinguono un vissuto cristiano nei percorsi di programmazione e gestione degli eventi cittadini. Non possiamo spingere tali celebrazioni verso derive esibizionistiche e dispendiose. Resta pertanto di particolare efficacia il testo del documento preparato da Mons. Angelo Spinillo per la Celebrazione delle feste religiose dell’11 aprile 2010118.  A partire da settembre, io o un mio delegato saremo presenti alle riunioni delle rispettive foranie per offrire il necessario soste118 A. SPINILLO, Norme per la Celebrazione delle feste religiose proprie delle Parrocchie, 11 aprile 2010, prot. 9/2010 – in Bollettino Diocesano n. 1/2010.

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gno e le indicazioni concrete adatte alla configurazione pastorale di ognuna di esse. Si tenga presente che le foranie devono ritrovarsi almeno una volta al mese il primo martedì. Anche a livello di presbiterio diocesano vorremmo cominciare a dare segni concreti di fede con la costituzione di qualche fraternità sacerdotale che, a partire da convinzioni mature ed un chiaro progetto pastorale locale, esprima tutta la comunione e la passione ecclesiale per l’annuncio del Regno di Dio. Attendo suggerimenti e proposte da coloro che hanno doni, carismi e attitudine verso questa rinnovata forma di presenza pastorale nella società e nella chiesa. Prego vivamente le comunità parrocchiali e i presbiteri ad accogliere i possibili cambiamenti ed avvicendamenti con animo docile e con la prospettiva di una rinnovata opportunità pastorale per le nostre parrocchie ma anche una risorsa per i singoli presbiteri.  La pubblicazione dell’Agenda diocesana è una modalità per mantenere informate le nostre comunità e il presbiterio diocesano, e' necessario assicurarne la presenza ai momenti indicati e prevedere così quegli impegni e scadenze comunitarie che rafforzano la crescita nella fede comune. Vi prego di porre particolare attenzione a quanto mensilmente è stato programmato.  Le mutate condizioni di vita e la tempestività crescente delle comunicazioni ci spingono a creare una rete di contatti e di comunicazioni tra parrocchie, presbiteri e operatori pastorali, così da generare un coordinamento di iniziative e servizi per evitare sovrapposizioni e dispersive ripetizioni.

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CONCLUSIONE

«La fede “è compagna di vita che permette di percepire con sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio compie per noi. Intenta a cogliere i segni dei tempi nell’oggi della storia, la fede impegna ognuno di noi a diventare segno vivo della presenza del Risorto nel mondo. La fede è un atto personale ed insieme comunitario: è un dono di Dio, che viene vissuto nella grande comunione della Chiesa e deve essere comunicato al mondo. Ogni iniziativa per l’Anno della fede vuole favorire la gioiosa riscoperta e la rinnovata testimonianza della fede. Le indicazioni qui offerte hanno lo scopo di invitare tutti i membri della Chiesa ad impegnarsi perché quest’Anno sia occasione privilegiata per condividere quello che il cristiano ha di più caro: Cristo Gesù, Redentore dell’uomo, Re dell’Universo, “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12, 2)»119. Maria, la Vergine fedele, e i santi patroni Cono e Pietro vescovo, ci sostengano nel cammino della vita e intercedano per la nostra amata Chiesa di Teggiano-Policastro perché confessi in pienezza la fede nel suo Signore e la trasmetta con rinnovata passione. Di cuore vi benedico.  Antonio De Luca Vescovo di Teggiano-Policastro

Teggiano, 2 settembre 2012 XXII Domenica del Tempo ordinario

119 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA l’Anno della fede, Conclusione.

DELLA

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FEDE, Nota con indicazioni pastorali per


APERTURA DELL’ANNO DELLA FEDE Omelia di S.E. Mons. Antonio De Luca Cattedrale di Teggiano, 13 ottobre 2012

«La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma.Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo (cfr Rm 6, 4), mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre, e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del Signore Gesù che, con il dono dello Spirito Santo, ha voluto coinvolgere nella sua stessa gloria quanti credono in Lui (cfr Gv 17,22). Professare la fede nella Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – equivale a credere in un solo Dio che è Amore (cfr 1Gv 4,8): il Padre, che nella pienezza del tempo ha inviato suo Figlio per la nostra salvezza; Gesù Cristo, che nel mistero della sua morte e risurrezione ha redento il mondo; lo Spirito Santo, che conduce la Chiesa attraverso i secoli nell’attesa del ritorno glorioso del Signore» (Porta Fidei, 1). Carissimi fratelli e sorelle, con la solenne celebrazione di questa sera diamo inizio allo straordinario tempo di grazia dell’Anno della Fede, voluto dal S. Padre Benedetto XVI e da lui stesso inaugurato lo scorso 11 ottobre a cinquant’anni dall’inaugurazione dell’assise Conciliare e a vent’anni dalla promulgazione del catechismo della Chiesa Cattolica. La nostra amata Diocesi di Teggiano-Policastro intende collocarsi nel solco tracciato da questi due eventi fondamentali per riscoprire e annunciare la sua fede nel Signore Gesù Cristo, Salvatore e Redentore dell’umanità. Iniziamo a muovere i primi passi di questo anno speciale volendo riscoprire il dono immenso della fede che, in quanto cristiani e discepoli del Signore, dobbiamo impe-

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gnarci ad annunciare, celebrare e testimoniare. A partire dai nostri Orientamenti Pastorali mi piace sottolineare: la definizione più pertinente della fede la possiamo attingere dalla Scrittura: «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Eb. 11,1). Il capitolo 11 della Lettera agli Ebrei contiene alcune affermazioni che riguardano la fede, richiamando l’esperienza di alcuni uomini di fede:Abele, Noè,Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e fino alla prostituta Raab. La fede coincide con la certezza di rivolgere il nostro sguardo al Signore e di essere da lui guardati, gridare a lui ed essere ascoltati, bussare al suo cuore e ricevere risposta; fede nelle promesse del Signore, non certo in un futuro nebuloso ed indeterminato, promesse che schiudono davanti a noi orizzonti nuovi, forse imprevisti, ma sempre coinvolgenti. Essere uomini e donne di fede significa nutrire la certezza di possedere ciò che si chiede, entrare con la vita in un futuro incerto, invisibile agli occhi umani, ma già realizzato, sicuro e vero. (Cf O.P. 2 c). La fede è la coscienza che l’uomo ha di essere guardato a amato dal Padre: «La ragione più alta della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e non si affida al suo Creatore» (GS, 19). La fede è la risposta ad un appello, è sottomettersi liberamente e totalmente a Dio che si rivela (La fede è un atto personale: è la libera risposta dell'uomo all'iniziativa di Dio che si rivela CCC, 166), che apre e dischiude il suo mistero nella divina Rivelazione. La risposta di fede dell’uomo è un atto personale e singolo, che non può essere imposto né può essere trasmesso: la fede di Abramo, ad esempio, è una risposta personale e singolare che egli ha compiuto e che non può essere trasmessa, è atto di obbedienza a Dio che aveva parlato a lui e al quale lui aveva risposto. La fede è dunque risposta personale, ma non vi è solo questo aspetto soggettivo e personale, non un “autoconvincimento”, ma anche adesione ad una verità oggettiva trasmessa dalla S. Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero. Sono due aspetti da tenere sempre presenti e mai disgiunti, non può esserci uno senza l’altro. Ai contenuti della fede e a quel Dio che si rivela si risponde in modo personale, all’interno della comunità che è garante di autenticità, tenendo presente che Non si nasce cristiani, ma lo si diventa (Tertulliano).

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L’esperienza di fede ci fa guardare avanti con serenità, anche se l’esistenza dell’uomo è molto spesso travagliata da antiche e nuove paure, da domande inquietanti, personali e collettive, da momenti storici allarmanti che sembrano travolgere i nostri percorsi senza pietà. Il contesto attuale, anche velato di più sviluppo e all’avanguardia su molti fronti, non cessa di procurare preoccupazioni e tensioni, in modo particolare nelle giovani generazioni, alle famiglie, alla Chiesa; l’uomo avverte il bisogno di dare senso alla propria esistenza, ma allo stesso tempo non sempre egli è al centro di un vero progresso e sviluppo. Spesso notiamo che è più difficile orientare la vita su ciò che veramente conta, la domanda di senso è avvertita come irrilevante, la “questione Dio” rischia di essere confinata in espressioni di tradizionalismo religioso, senza lacuna ricaduta sulla vita quotidiana. La fede in tutto ciò diventa possibilità da non perdere, sogno di Dio sull’esistenza dell’uomo, risposta di senso alle sue provocazioni. Aumenta la nostra fede (Lc. 17,5) è la richiesta degli Apostoli, desiderosi di apparire perfetti agli occhi del Signore: la fede però ha altri obiettivi, non è questione di quantità, ma soprattutto di qualità, fede che scuota la nostra e altrui coscienza, capace di smuovere le montagne, in grado di far fiorire speranza e carità nel cuore di ogni essere umano; fede grande quanto un granello di senapa… La fede spesso diventa lotta: « Fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti; a te alzerò il grido: violenza! e non soccorri?» (Abacuc, 1,2). Ci si interroga sul male e la sofferenza che avvolge il nostro mondo, violazione dei fondamentali diritti umani, ma ciò che rende inquieto il cuore dell’uomo è sapere se Dio può ristabilire la giustizia, inaugurando un nuovo ordine Di fronte a tanto male dove la risposta di Dio? Il cuore dell’uomo è troppe volte attraversato da interrogativi che in apparenza sembra non abbiano risposta. La risposta di Dio però non tarda: «Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette, perché la si legga speditamente. È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà. Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede» (Abacuc, 2,2-4). Il giusto è saldo, non vacilla, non indietreggia, è padrone di sé e delle sue azioni, il suo cuore confida solo in Dio: «Il giusto gioirà nel Signore e riporrà in lui la sua speranza, i retti di cuore ne trarranno gloria » (Sal

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63,11). Il giusto è colui che crede in Dio e non nella propria abilità, si caratterizza per la fedeltà e la costanza e certamente vivrà per la sua fede, mentre l’empio è in grado solo di scavare una fossa e di cadervi a precipizio, il suo cuore lontano da Dio lo conduce alla perdizione: Come pecore sono destinati agli inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà di loro ogni traccia, gli inferi saranno la loro dimora (Sal 48). La fede nel Signore dobbiamo irrobustirla, rifiutando ogni compromesso, ogni abitudinarietà, consapevoli che solo una fede testimoniata e donata è in grado di rigenerarsi. Nel contesto della nuova Evangelizzazione la nostra fede è interpellata a dare ragione della speranza che è in noi, il S. Padre Benedetto XVI afferma che la nuova evangelizzazione è orientata principalmente alle persone che, pur essendo battezzate, si sono allontanate dalla Chiesa, e vivono senza fare riferimento alla prassi cristiana. La nuova evangelizzazione è orientata a favorire in queste persone un nuovo incontro con il Signore, che solo riempie di significato profondo e di pace la nostra esistenza; per favorire la riscoperta della fede, sorgente di Grazia che porta gioia e speranza nella vita personale, familiare e sociale (Cf. Omelia apertura Sinodo dei Vescovi). Accettando Cristo come dono del Padre, immerso nella vita Trinitaria, aderendo alla Chiesa Corpo mistico del Cristo, il cristiano non solo cresce nella fede, ma accresce anche la sua dignità di uomo: Credo che Cristo è l’uomo nuovo e che io diventerò tanto più uomo quanto più mi sforzerò di diventare simile a Lui. La fede non soffoca, ma apre orizzonti nuovi, fa sperimentare all’uomo saggio la bellezza di appartenere al Signore, Cristo non toglie nulla e dona tutto e chi si dona a lui, riceve il centuplo. La fede non impedisce lo sviluppo di tutto ciò che è autenticamente umano, le parole del Concilio sono quanto mai attuali: Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo… Nessuna legge umana è in grado di assicurare la dignità personale e la libertà dell'uomo, quanto il Vangelo di Cristo, affidato alla Chiesa. Questo Vangelo, infatti, annunzia e proclama la libertà dei figli di Dio, respinge ogni schiavitù che deriva in ultima analisi dal peccato onora come sacra la dignità della coscienza e la sua libera decisione, ammonisce senza posa a raddoppiare tutti i talenti umani a servizio di Dio e per il bene degli uomini, infine raccomanda tutti alla carità di tutti (GS, 41). Solo in Cristo l’uomo scopre il senso del suo vivere e del suo morire: Il

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Signore è il fine della storia umana, « il punto focale dei desideri della storia e della civiltà », il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni…Vivificati e radunati nel suo Spirito, come pellegrini andiamo incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno al disegno del suo amore: Ricapitolare tutte le cose in Cristo (GS, 45). Incamminiamoci con il cuore colmo di gioia, l’Anno della Fede sarà per noi un motivo per rivalutare la nostra esistenza cristiana. Affidiamo alla Beata Vergine Maria, donna di fede, il cammino di questo anno perché ci insegni a credere sempre all’amore di Dio per noi.

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CURIA


ATTI E NOMINE

S.E. Mons.Antonio De Luca: s con Decreto del 30/04/2012, ha incardinato per un triennio P. Enzo Rispi, C.Ss.R. s con Decreto del 05/05/2012, ha proceduto alla Dedicazione della Chiesa e dell'Altare della Chiesa di S. Maria “detta del Serrone� in Sicignano degliAlburni. s con Decreto del 10/05/2012, ha nominato DonAntonio Marotta,Amministratore Parrocchiale della Parrocchia Santa Maria Assunta in Tortorella e della Parrocchia San PietroApostolo in Torraca. s con Decreto del 17/05/2012, ha nominato P. Enzo Rispi, addetto di Curia. s con Decreto del 28/06/2012, ha nominato DonAntonio Toriello,Amministratore Parrocchiale della Parrocchia San Marco Evangelista in Licusati, dal 01/07/2012. s con Decreto del 01/09/2012, ha nominato Don Carmine Tropiano, Amministratore Parrocchiale della Parrocchia Santuario Cuore Immacolato di Maria in Varco Notar Ercole di Sassano. s con Decreto del 21/09/2012, ha provveduto alla Dedicazione della Chiesa e dell'Altare della Parrocchia S. Giovanni Battista in Sapri. s con Decreto del 06/10/2012, ha nominato Don Giuseppe Radesca, Amministratore Parrocchiale della Parrocchia S. Michele Arcangelo in Padula, dal 08/10/2012. s con Decreto del 20/10/2012, ha Eretto a Santuario Diocesano la Chiesa di Maria SS. del Rosario della Tempa in S. Rufo. s con Decreto del 25/10/2012, ha nominato Don Antonino Savino, Parroco della Parrocchia Santa Maria Assunta, Concattedrale, in Policastro Bussentino e della Parrocchia S. Marina vergine in Santa Marina, dal 15/11/2012. s con Decreto del 25/10/2012, ha nominato Don Elia Guercio, Amministratore Parrocchiale della Parrocchia Maria SS. di Porto Salvo in Villammare, dal 15/11/2012. s con Decreto del 01/11/2012, ha nominato Don Vincenzo Ionnito, Parroco della Parrocchia San PietroApostolo in Torraca, dal 15/11/2012.

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s con Decreto del 01/11/2012, ha nominato Don Luciano La Peruta, Amministratore Parrocchiale della Parrocchia S. Anna e della Parrocchia S.Antonio in Sala Consilina, dal 15/11/2012. s con Decreto del 01/11/2012, ha nominato Don Michele Totaro, Parroco della Parrocchia SS.Annunziata in Sala Consilina, dal 15/11/2012. s con Decreto del 01/11/2012, ha nominato Don Antonio Cetrangolo, Vicario Episcopale per l'Annuncio e la Catechesi, dal 03/11/2012. s con Decreto del 01/11/2012, ha nominato Don Salvatore Sanseverino, Vicario Generale, dal 03/11/2012. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Marco Colace, Consulente Ufficio diocesano economato. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Vincenzo Gallo, Viceeconomo diocesano. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Giovanfrancesco Esposito, Direttore Ufficio Diocesano Migrazioni. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Massimo La Corte, Incaricato Servizio Informatico Diocesano. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Pietro Scapolatempo, Direttore Biblioteca "G. Cataldo" di Policastro Bussentino e dell'archivio diocesano sezione di Policastro Bussentino. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Nicola Russo, Direttore della Biblioteca Pio X di Teggiano e dell'archivio diocesano sezione di Teggiano. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Martino De Pasquale, Incaricato servizio promozione sostentamento clero. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Fernando Barra, Direttore Ufficio beni culturali. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Elia Guercio, Direttore Ufficio tecnico. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Elia Guercio, Direttore Ufficio nuova edilizia di culto. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Romolo Barbarulo, Direttore Ufficio liturgico diocesano. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Martino De Pasquale, Direttore Ufficio per gli oratori. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Michele Totaro, Direttore Ufficio Diocesano Comunicazioni Sociali.

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s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Antonino Savino, Direttore Ufficio Diocesano per la pastorale del tempo libero, turismo e sport. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Giuseppe Radesca, Direttore Ufficio per la pastorale scolastica e universitaria, e progetto culturale. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Antonio Palma, Vicedirettore Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro - giustizia e pace - salvaguardia del creato. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Domenico Santangelo, Direttore Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro - giustizia e pace - salvaguardia del creato. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Pasquale Pellegrino, Direttore Ufficio Diocesano per la pastorale della Salute. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Vincenzo Federico, Direttore Caritas Diocesana. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Mons. Felice Lammmardo, Direttore Ufficio Diocesano per la vita consacrata. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Antonio Marotta, Direttore dell'Ufficio diocesano per il clero. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Vincenzo Morabito, Direttore Ufficio Missionario Diocesano. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Luciano La Peruta, Direttore Ufficio Pastorale giovanile, vocazionale e formazione ministranti. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Antonio Toriello, Direttore Ufficio Diocesano per la pastorale della Famiglia e della Vita. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Gabriele Petroccelli, Direttore Uffici Confraternite e coordinamento dei comitati festa. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Antonio Cetrangolo, Direttore della Consulta per l'Apostolato dei laici. s con Decreto del 03/11/2012, ha nominato Don Pietro Scapolatempo, Direttore Ufficio Catechistico Diocesano. s con Decreto del 07/11/2012, ha nominato Don Antonio Cetrangolo, Consulente ecclesiastico giuristi cattolici. s con Decreto del 08/11/2012, ha nominato Don Giuseppe Puppo, Vicario giudiziale.

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s con Decreto del 09/11/2012, ha approvato lo Statuto e il Regolamento del Consiglio presbiterale. s con Decreto del 09/11/2012, ha promulgato lo Statuto della Curia. s con Decreto del 15/11/2012, ha designazione il Santuario Maria SS. di Pietrasanta in S. Giovanni a Piro, come “luogo sacro per lucrare le indulgenze nell'anno della fede”. s con Decreto del 15/11/2012, ha indetto le elezioni per il rinnovo del Consiglio presbiterale. s con Decreto del 29/11/2012, ha nominato Don Martino Romano, Parroco della Parrocchia San Nicola di Bari in Controne dal 08/12/2012. s con Decreto del 29/11/2012, ha disposto il passaggio della Parrocchia di Controne dalla Forania degliAlburni alla Forania del Fasanella. s con Decreto del 29/11/2012, ha nominato Don Marco Nardozza, Parroco della Parrocchia Maria SS.Assunta in Cielo in Caselle in Pittari. s con Decreto del 29/11/2012, ha nominato Don Ivan Sarto, Parroco della Parrocchia S. Biagio V. e M. in Ottati e della Parrocchia S. Maria Maggiore in S.Angelo a Fasanella dal 15/12/2012. s con Decreto del 13/12/2012, ha costituito il nuovo Consiglio Presbiterale: Membri di diritto in ragione dell'Ufficio: Don Salvatore SANSEVERINO, Vicario Generale Don Pietro GRECO, Economo Diocesano Don Antonio CANTELMI, Vicario Foraneo Don Antonio BREGLIA, Vicario Foraneo Don Donato ROMANO, Vicario Foraneo Don Elvio FORES, Vicario Foraneo Don Antonio GARONE, Vicario Foraneo Don Pietro TRIPODI, Vicario Foraneo Mons. Nicola ROMANO, Vicario Foraneo Don Luciano LA PERUTA, Responsabile CDV Don Antonio CETRANGOLO, Delegato per i laici Don Bernardino ABBADESSA, Cancelliere Vescovile Membri eletti nelle Foranie e nel Capitolo: Don Otello RUSSO Don Michele CASALE Don Nicola COIRO

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Don Romolo BARBARULO Don Vincenzo FEDERICO Don Giuseppe MAROTTA Don Marco NARDOZZA Don Giuseppe PUPPO Membri eletti dal Clero, e Rappresentante CISM: Don Antonio MAROTTA, Don Antonino SAVINO Don Fernando BARRA Fra Luigi D'AURIA Membri di nomina vescovile: Don Andrea LA REGINA Don Giovanni CITRO Don Paolo LONGO s con Decreto del 20/12/2012, ha nominato Don Antonio Garone, Moderatore di Curia.

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ORDINAZIONI E MINISTERI s Il giorno 9 giugno 2012, nella Cattedrale di Teggiano, alle ore 18:00, il Vescovo Diocesano S.E. Mons. Antonio De Luca, ha ordinato presbiteri: don Antonio Palma, della Parrocchia Santi Pietro apostolo e Benedetto in Polla, e donAntonioAlaaAltarcha, della Parrocchia Sacro Cuore di Gesù in Prato Perillo. s Il giorno 17 giugno 2012, nella Concattedrale di Policastro Bussentino, alle ore 18:00, il Vescovo Diocesano S.E. Mons. Antonio De Luca, ha ordinato presbiteri: don Francesco Alpino, della Parrocchia San Giovanni Battista e San Nicola di Bari in Roccagloriosa, don Agnello Forte e donAntonio Toriello, della Parrocchia San Daniele e San Nicola in Camerota. s Il giorno 1 settembre 2012, nella Cattedrale di Teggiano, alle ore 18:00, il Vescovo Diocesano S.E. Mons. Antonio De Luca, ha ordinato diaconi: don Raffaele Brusco, della Parrocchia S. Antonio Abate in Vibonati, e don Pasquale Gaito, della Parrocchia Santuario Cuore Immacolato di Maria in Varco Notar Ercole. s Il giorno 30 settembre 2012, nella Cattedrale di Teggiano, alle ore 18:00, il Vescovo Diocesano S.E. Mons. Antonio De Luca, ha ammesso agli ordini sacri i seminaristi: Simone Lacorte, della Parrocchia San Nicola di Bari in Bosco, e Donato Ciro Varuzza, della Parrocchia Sacro Cuore di Gesù di Prato Perillo. s Il giorno 17 dicembre 2012, nella Cappella del Seminario Metropolitano «Giovanni Paolo II» in Salerno, il Vescovo Diocesano S.E. Mons. Antonio De Luca, ha istituito lettori i seminaristi Simone Lacorte, della Parrocchia San Nicola di Bari in Bosco, e Donato Ciro Varuzza, della Parrocchia Sacro Cuore di Gesù in Prato Perillo.

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ANTONIO DE LUCA PER GRAZIA DI DIO E DELLA SEDE APOSTOLICA VESCOVO DI TEGGIANO-POLICASTRO Prot. 21/2012

Decreto Considerata la necessità di redigere lo Statuto della curia diocesana conforme alle più recenti indicazioni offerte a livello universale e particolare ; In forza della nostra potestà ordinaria, sentito il parere del Consiglio Presbiterale e del collegio dei Consultori, promulghiamo lo Statuto della Curia Vescovile di Teggiano-Policastro nel testo allegato al presente decreto. Il presente decreto ha efficacia dalla data odierna e si raccomanda a chi ne ha facoltà di dare sollecita attuazione a quanto stabilito nello Statuto. Dato a Teggiano, dalla Sede Vescovile, il giorno 9 novembre 2012, Dedicazione della Basilica Lateranense. X Antonio De Luca Vescovo Sac. Bernardino Abbadessa Cancelliere Vescovile

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STATUTO DELLA CURIA Parte I

Norme generali Art. 1 Il Vescovo di Teggiano-Policastro, per l'elaborazione e la verifica del programma pastorale diocesano e l'esercizio dei tria munera episcopali (insegnare, santificare, governare), si avvale degli organismi diocesani: Curia Diocesana, Collegio dei Consultori, Consiglio Presbiterale (in detto Consiglio, a norma del can. 1742 CIC, saranno designati due Consultori per la rimozione dei parroci), Collegio dei Vicari Foranei, Capitolo Cattedrale, Consiglio Pastorale Diocesano, Consiglio Diocesano per gli Affari economici e Collegio Diocesano dei Revisori dei conti. Questi organismi hanno strutture e finalità proprie riconosciute e normate dal diritto comune e da questo regolamento. Art. 2 Tutti gli organismi di cui sopra, constano di quelle persone che collaborano col Vescovo e il Suo Ministero. Pertanto il personale di curia: a) Deve manifestare disponibilità e un rapporto di fiducia con coloro che richiedono servizi. b) Deve servire la Diocesi nei principi di moralità e parzialità, secondo le norme del Codice di Diritto Canonico. c) Deve prescindere totalmente da interessi privati e non utilizzare mai a fini privati le informazioni di cui è in possesso per ragioni di uffici.

Curia Diocesana Art. 3 - Vicario Generale Questa figura e il suo ruolo, previsti dal C.I.C. a norma dei cann. 475481, ha potestà esecutiva riguardo a tutti gli atti amministrativi e spirituali che non esigano un mandato speciale. Il Vicario Generale, agirà d'intesa con il Vescovo in ogni atto essendo la sua potestà ordinariavicaria.

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Art. 4 - Moderatore di Curia La responsabilità del Moderatore di Curia riguarda innanzitutto l'organizzazione, il funzionamento e il coordinamento dell'intera struttura della Curia, degli uffici, animandone le attività. Il moderatore, pertanto, dovrà vigilare sulle singole attività curiali chiedendo ai singoli uffici una relazione annuale sull'andamento e delle attività svolte nell'anno e predisporre il programma del nuovo anno. L'ufficio di Vicario e di Moderatore di Curia, su decisione del Vescovo, possono essere svolte dalla medesima persona. Art. 5 - Vicario Giudiziale Il Vicario Giudiziale forma con il Vescovo un unico tribunale, gode di podestà ordinaria e presiede il tribunale Diocesano. Sono di competenza del tribunale Diocesano: a) I processi dei Santi per la fase diocesana. b) I processi speciali matrimoniali (dispensa per i matrimoni rato e non consumato e in favore della fede). c) Le rogatorie nei processi di nullità matrimoniale. d) Procedimenti per la domanda di dimissione dallo stato clericale e le dichiarazioni di nullità della sacra ordinazione. e) Procedimenti per la dichiarazione di pene canoniche. Art. 6 - Cancelliere È direttore unico dell'ufficio di cancelleria regolato dai cann. 482- 491 del C.I.C. a) Controfirma i decreti dell'Ordinario e ogni atto di Curia. b) Ha cura dell'archivio segreto. c) Si fa carico dello scadenziario relativo a tutti gli appuntamenti di rilievo giuridico della Diocesi (ricorsi scadenze, nomine , rinnovo degli organismi ecc.). d) Vigila che sia curata la documentazione riguardante la posizione dei sacerdoti nel sistema Sostentamento Clero e del fondo INPS e vidima le certificazioni dei sacerdoti e dei religiosi. Art. 7 - Economo Diocesano L'Economo Diocesano opera nel contesto degli orientamenti canonici. Collabora con il Consiglio degli affari economici e con il Collegio dei

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Consultori. La figura dell'Economo Diocesano, così come dispone il codice, deve seguire l'esempio del buon padre famiglia, deve entrare nel merito delle decisioni circa gli affari economici affinché le spese siano eque, vantaggiose, trasparenti e documentate. Si avvale di collaboratori stabili designati dal Vescovo. Spetta all'Economo Diocesano: a) Amministrare e vigilare sulla gestione dei beni immobili e mobili della Diocesi secondo le direttive del Vescovo e del Consiglio Affari Economici, provvedendo alla Manutenzione ordinaria (contratti di appalto, chiamate delle ditte, vigilanza dei lavori, collaudo e funzionamento degli impianti). b) Redigere il Bilancio Preventivo e Consuntivo della Diocesi, seguendo le indicazioni della CEI. c) Eseguire tutte le spese necessarie all'amministrazione della Diocesi, previa presentazione di almeno due preventivi di spesa e successiva autorizzazione del Vescovo. d) Gestire la Cassa unica diocesana, secondo le necessità specificate dagli Uffici Diocesani, in base alla programmazione annuale ordinaria e straordinaria degli stessi. e) Gestire le offerte dei fedeli alla Diocesi, i diritti di Curia, le Collette Imperate e i Legati Pii. f) Redigere ed aggiornare l'inventario delle attrezzature e del materiale della Diocesi. g) Supportare le Parrocchie, fornendo consulenza amministrativa e giuridica, nella redazione dei Bilanci Annuali e nella gestione di atti di straordinaria amministrazione dei Beni Parrocchiali. h) Verifica le inadempienze delle Parrocchie, degli Istituti Religiosi e degli altri Enti giuridici soggetti all'Autorità del Vescovo nella redazione dei Bilanci Annuali e nel pagamento dei Diritti e delle Collette obbligatorie. Art. 8 - Ufficio Tecnico Diocesano Sovrintende ai progetti presentati per i lavori inerenti alla costruzione di nuove chiese, locali di ministero e ai lavori di ristrutturazione degli immobili di proprietà della Diocesi e delle Parrocchie. a) È guidato dal responsabile dell'ufficio tecnico con nomina Vescovile.

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b) I collaboratori dell'ufficio possono esprimere pareri in merito alla conformità dei progetti, ma non possono entrare nel merito dell'assegnazione dei lavori a ditte e tecnici che saranno scelti dal parroco in cui ricade la competenza territoriale. I lavori e le assegnazioni ai tecnici e ditte, dovranno avvenire nella massima trasparenza. I lavori saranno affidati a coloro che offriranno condizioni economiche più vantaggiose e sono in possesso dei requisiti richiesti dalla CEI e della Soprintendenza. c) I tecnici della Diocesi devono soltanto sorvegliare il regolare svolgimento i lavori. Art. 9 - Ufficio legale Diocesano Sovrintende ai contenziosi legali della Diocesi e si avvale di legali esperti in diritto civile, amministrativo e penale. È guidato dal responsabile dell'ufficio che si avvale di consulenti che abbiano probità di vita e di costumi e siano in comunione con i dettami della Chiesa universale e del Vescovo Diocesano. Art. 10 - Delegato Episcopale per il clero La competenza del suo ufficio riguarda la vita e la formazione permanente dei Presbiteri. Assisterà con premura specialmente i giovani, in modo particolare nei primi anni di sacerdozio, gli anziani e gli ammalati, aiutando quest'ultimi a risolvere i loro problemi assistenziali ed economici. a) Coordinerà i tempi di lavoro-formazione, riposo dei sacerdoti. b) Li aiuterà nel primo inserimento pastorale e nei successivi trasferimenti. c) Promuoverà la comunione tra i presbiteri. d) Visiterà le canoniche. Art. 11 - Delegato Episcopale per la vita consacrata Cura i consacrati della Diocesi sotto il profilo spirituale e formativo. L'incarico è dato ad un presbitero diocesano o religioso che abbia un'adeguata conoscenza della vita consacrata. a) Visiterà periodicamente le case religiose e i monasteri di clausura. b) Sarà sempre in contatto con le segreterie diocesane del CISM e USMI, proponendo ritiri, giornate di studi e corsi di aggiornamento.

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c) Favorirà l'inserimento dei consacrati nelle attività pastorali e di evangelizzazione della Diocesi. Art. 12 - Delegato Episcopale per i laici Cura il laicato nella Diocesi. a) Visiterà periodicamente le parrocchie dove sono presenti movimenti laicali. b) Coinvolgerà i laici nella pastorale diocesana tenendo conto dei carismi particolari. c) Promuoverà la presenza dei laici al convegno ecclesiale. d) Alimenterà la crescita e la formazione dell'associazionismo cattolico.

Parte II Art. 13 - Centri Pastorali di Curia Il Vescovo si riserva di istituire, sopprimere, scindere o modificare ogni ufficio secondo le opportunità pastorali ad eccezione delle figure obbligatorie normate dal Codice. La nomina dei direttori degli uffici è riservata al Vescovo che può avvalersi della collaborazione e dei suggerimenti degli organismi di partecipazione. Tutti i direttori hanno pari dignità e sono chiamati al servizio del Vescovo e delle Chiesa diocesana. A tal fine è necessario garantire uno spirito di effettiva collaborazione, un corretto e costante flusso di informazioni a tutti i livelli, un'attenzione continua all'inserimento delle singole iniziative nel piano pastorale diocesano. I responsabili degli uffici sono tenuti alla partecipazione degli eventi nazionali e regionali della CEI e CEC. La nomina dei direttori e degli altri officiali di Curia è a discrezione del Vescovo. Gli uffici, le commissioni, i servizi sono riportati e distribuiti come sotto. - Un Popolo Profetico: ambito Parola, annuncio ed evangelizzazione È il centro di Curia per l'annunzio della Fede e per la Catechesi. Si occupa: a) Studio delle condizioni culturali e religiosi della Diocesi;

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b) Evangelizzazione nella forma del Popolo in missione; c) Catechesi ordinaria nei Sacramenti dell'Iniziazione Cristiana; d) Catechesi ordinaria nei Sacramenti dell'Iniziazione Cristiana per adulti; e) Formazione dei catechisti e del Popolo Santo di Dio; f) Scuola del Vangelo e divulgazione degli strumenti Catechetici; g) Diffusione della funzione di insegnare la Parola di Dio tramite i mezzi moderni di comunicazione sociale. Fanno parte di questo centro i seguenti uffici: Ufficio Catechistico. Ufficio per l'insegnamento della religione cattolica. Ufficio per la Pastorale Giovanile, Vocazionale eAnimazione Ministranti. Ufficio per Pastorale scolastica e universitaria e del progetto culturale. Ufficio per la pastorale familiare. Ufficio per la pastorale del turismo. Ufficio per le confraternite e comitati feste. Ufficio per l'ecumenismo e per il dialogo interreligioso. Ufficio per le comunicazioni sociali. - Un Popolo Sacerdotale: ambito Liturgia È il centro di Curia per la Liturgia e il Sacerdozio: a) Educa al senso liturgico di tutto il popolo di Dio. b) Provvede all'animazione vocazionale del Popolo di Dio I principali ambiti di lavoro sono: s Formazione in ogni parrocchia di gruppi liturgici. s Scuole di preghiere cristiane. s Elaborazione di sussidi liturgici ad uso della Diocesi. s Cura della musica e canto liturgico. s Adeguamento degli spazi sacri alle esigenze della liturgia. Fanno parte di questo centro i seguenti uffici: Ufficio liturgico. Commissione per la Liturgia. Commissione per la musica Sacra.

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Commissione per il diaconato permanente. Ufficio per la nuova edilizia di culto. Ufficio beni culturali. Commissione arte Sacra.

- Un Popolo regale: ambito carità, servizio e testimonianza È il centro di Curia per la Carità. Si occupa: a) Di elaborare progetti e programma e porli in essere. b) Organizzare convegni. c) Favorire collette per la raccolta di fondi necessarie per le diverse attività. d) Educare le comunità parrocchiali a farsi carico dei bisogni delle persone del territorio. e) Formare operatori ad un autentico spirito di servizio e promuovere il volontariato sanitario, assistenziale e missionario. f) Promuovere la conoscenza della dottrina sociale della Chiesa. g) Prestare attenzione alle problematiche dell'emigrazione. h) Farsi carico dei problemi della pace, della giustizia e della salvaguardia del creato. Fanno parte di questo centro i seguenti uffici: Caritas Diocesana. Ufficio per la Pastorale Sanitaria. Ufficio per le migrazioni. Ufficio per la Pastorale Sociale. Centro missionario diocesano.

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ANTONIO DE LUCA PER GRAZIA DI DIO E DELLA SEDE APOSTOLICA VESCOVO DI TEGGIANO-POLICASTRO Prot. 22/2012

Decreto Il Consiglio Presbiterale è l'organismo collegiale rappresentativo del Presbiterio Diocesano, e di Sacerdoti appartenenti a Istituti Religiosi che esercitano un ufficio nella Diocesi a norma del can. 498. Il Consiglio Presbiterale ha voto consultivo e deve essere ascoltato dal Vescovo nei casi previsti dal Diritto Universale (cann. 461 § 1; 515 § 2; 536 § 1; 1215 § 2; 1222 § 2; 1263), e ogni volta che, a suo giudizio, lo ritiene opportuno. Con il presente atto, a norma del Codice di Diritto Canonico, approviamo lo Statuto del Consiglio Presbiterale della Diocesi di TeggianoPolicastro nel testo allegato al presente decreto. Il presente decreto ha efficacia dalla data odierna e si raccomanda a chi ne ha facoltà di dare sollecita attuazione a quanto stabilito nello Statuto. Sui membri del Consiglio Presbiterale diocesano e su tutti i sacerdoti e fedeli della Diocesi di Teggiano-Policastro invochiamo dal Signore Gesù ogni benedizione. Dato a Teggiano, dalla Sede Vescovile, il giorno 9 novembre 2012, Dedicazione della Basilica Lateranense. X Antonio De Luca Vescovo Sac. Bernardino Abbadessa Cancelliere Vescovile

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STATUTO DEL CONSIGLIO PRESBITERALE

Art. 1 Il Consiglio Presbiterale opera a norma del Codice di Diritto Canonico, secondo i canoni 495-501, allo scopo di aiutare il Vescovo nel governo della Diocesi e di rappresentare presso di lui tutto il presbiterio. Art. 2 Il Consiglio Presbiterale, è presieduto dal Vescovo, che può farsi sostituire, quando lo ritiene opportuno, dal Vicario Generale. Art. 3 Il Consiglio Presbiterale dura in carica un quinquennio. Art. 4 Il Consiglio Presbiterale si compone dei presbiteri della Diocesi: dodici eletti, dodici di diritto in ragione dell'ufficio, tre designati dal Vescovo. I membri di diritto sono: il Vicario Generale, l'Economo diocesano, i sette Vicari foranei, il Responsabile del CDV, il Delegato dei laici, il Cancelliere della Curia. I membri eletti: - un sacerdote per ogni vicariato foraneo; - un rappresentante del Capitolo Cattedrale; - un rappresentante della CISM diocesana; - tre eletti dal clero. Per i tempi e i luoghi di svolgimento delle elezioni, saranno responsabili rispettivamente: i Vicari foranei, il Presidente del Capitolo Cattedrale, il Cancelliere Vescovile. Le elezioni, comunque, devono essere espletate entro trenta giorni dalla data del decreto di indizione. Art. 5 Per la designazione dei membri eletti, hanno voce attiva e passiva solo i presbiteri di cui al can. 498 § 1. Art. 6 Le votazioni avvengono a scrutinio segreto a norma del diritto comune. Risultano eletti i presbiteri che al primo o secondo scrutinio, raggiungo-

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no la maggioranza assoluta dei suffragi; oppure, nel terzo scrutinio, la maggioranza relativa. In caso di parità di voti, vale la precedenza di ordinazione o, a pari anzianità sacerdotale, l'età. Art. 7 Perché l'elezione sia valida si richiede che intervenga, in prima convocazione, la maggioranza assoluta degli aventi diritto; in seconda convocazione l'elezione sarà valida qualunque sia il numero dei partecipanti. Art. 8 In caso di rinunzia o cessazione del mandato di qualcuno, subentra al suo posto il primo dei non eletti nella medesima categoria o il successore nell'ufficio. Art. 9 Il Vescovo, dopo aver avuto l'elenco dei presbiteri eletti, proclamerà i nomi di tutti i membri del Consiglio Presbiterale. Art. 10 Il Consiglio Presbiterale si riunisce in sessione ordinaria due volte all'anno. In sessione straordinaria, quando il Vescovo lo ritenga necessario. Art. 11 L'ordine del giorno sarà spedito ai consiglieri con congruo anticipo prima di ciascuna riunione, insieme con la convocazione. I consiglieri hanno il dovere morale di studiare gli argomenti che saranno trattati, cercando anche, se la prudenza lo consiglia, di raccogliere pareri ed opinioni dagli altri presbiteri. Ciascun presbitero potrà proporre al Vescovo, direttamente o tramite consiglieri, che venga discusso un argomento. Ciò naturalmente non nella stessa seduta in corso. Art. 12 Tutti i membri del Consiglio Presbiterale sono tenuti al segreto circa le questioni trattate e le proposte discusse quando sia esplicitamente richiesto dal Vescovo o la natura stessa della cosa lo richieda. Il presbiterio sarà informato sugli argomenti dell'ordine del giorno discussi nella maniera

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più appropriata, per mezzo del Bollettino diocesano o di appositi fogli. Art. 13 Il Consiglio Presbiterale nella prima riunione elegge il segretario, a maggioranza semplice che rimane in carica ordinariamente per tutta la durata di vita del consiglio. Egli ha i compiti propri di tale ufficio e deve, in specie: - inviare le lettere di convocazione; - redigere, su indicazione del Vescovo, l'ordine del giorno; - stilare il verbale delle varie adunanze; - registrare le presenze e le assenze; - raccogliere e custodire atti e documenti; - curare la corrispondenza. Art. 14 Modifiche al presente statuto potranno essere apportate dal Vescovo o su proposta del Consiglio Presbiterale o di propria iniziativa, avendo consultato, se lo ritiene opportuno, lo stesso Consiglio Presbiterale.

Regolamento Art. 1 Le riunioni del Consiglio Presbiterale si aprono con la preghiera. Seguono: la lettura del precedente verbale, eventuali comunicazioni del presidente o del segretario, discussione dei punti all'ordine del giorno. Art. 2 La discussione del Consiglio sui singoli argomenti all'ordine del giorno avverrà su una relazione tenuta da un consigliere o da un esperto anche esterno del Consiglio o dallo stesso Vescovo. Art. 3 Il Consiglio Presbiterale non procede, ordinariamente, a votazioni sugli argomenti trattati o sulle indicazioni operative. Il Vescovo può richiedere, tuttavia, che i pareri siano valutati anche quantitativamente. Egli, in tal caso, potrà stabilire se si debba procedere per alzata di mano o con vo-

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to segreto. Art. 4 Per le possibili modiďŹ che al presente regolamento valgono le disposizioni di cui all' art. 14 dello statuto.

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COLLETTE ANNO 2012

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STUDI E INTERVENTI



XXIII CONVEGNO PASTORALE DIOCESANO Lectio divina I primi discepoli nel testo di Giovanni 1,35-51 a cura di don Cesare Mariano Teggiano, 26 giugno 2012 Introduzione Si narra che il santo vescovo Cesario d'Arles esortasse spesso i suoi fedeli a non trascurare mai la lettura orante della Parola di Dio, che egli definiva «nutrimento dell'anima per l'eternità». Diceva: «Vi prego, diletti fratelli, di applicarvi a consacrare alla lettura dei testi sacri tante ore quante potete». Spesso, alla fine della giornata, amava domandare ai suoi sacerdoti, a proposito della meditazione della Parola di Dio: «Che cosa avete mangiato oggi?». Penso sia una buona domanda anche per tutti noi. Diciamo subito che solo mettendoci ogni giorno in ascolto della Parola del Signore, solo lasciando che ogni mattina – come dice il Profeta – egli renda attento il nostro orecchio alla sua Parola, potremo essere capaci di essere annunziatori della Parola di Dio. In questi due giorni di Convegno ecclesiale noi vogliamo metterci in ascolto della Parola di Dio mediante lo strumento della lectio divina. Cos'è la lectio divina? Per riprendere la definizione che ne dà un importante documento della PCB del 1993, la lectio divina è «una lettura individuale e comunitaria di un passo più o meno lungo della Scrittura ascoltata come parola di Dio e che si prolunga sotto l'azione dello Spirito nella meditazione, nella preghiera e nella contemplazione». La pratica della lectio divina, vivamente raccomandata dal Concilio nella Dei Verbum e dallo stesso Successore di Pietro è di grandissima importanza per la vita della Chiesa. Infatti, la Chiesa è generata dalla Parola di Dio (da Dio che parla) e la lectio è uno strumento particolarmente efficace, affinato in secoli di tradizione, per mettersi in ascolto della Parola di Dio.

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Nel contesto attuale della storia della Chiesa, la pratica della lectio divina (o, comunque, di una lettura attualizzante della Bibbia) si è resa ancora più urgente. Infatti, dall'Ottocento in poi, con il diffondersi del metodo storico – critico applicato alle Sacre Scritture, si è determinato uno iato, una separazione tra studio e preghiera, tra ricerca e pastorale, se volete tra Università e Parrocchia. Questo è un problema serissimo, perché rischia di condannare da una parte gli studiosi della Scrittura a freddi interpreti di testi antichi, dall'altra il popolo di Dio o a una lettura irrazionalista, emotiva delle Scritture. A questo proposito, all'inizio della quarta ed ultima parte, il documento della Pontificia Commissione Biblica del 1993, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, scrive: «L'interpretazione della Bibbia, anche se compito particolare degli esegeti, non è tuttavia loro monopolio (…). La Chiesa, infatti, non considera la Bibbia semplicemente un insieme di documenti storici concernenti le sue origini; l'accoglie come Parola di Dio che si rivolge ad essa, e al mondo intero nel tempo presente. Questa convinzione di fede ha come conseguenza uno sforzo di attualizzazione e di inculturazione del messaggio biblico, come pure l'elaborazione di diversi modi di uso di testi ispirati, nella liturgia, nella lectio divina, nel ministero pastorale e nel movimento ecumenico». La lectio divina viene dunque riconosciuta non semplicemente come una pia pratica di venerabile antichità ma come uno strumento concreto per realizzare l'attualizzazione e l'inculturazione del messaggio biblico, perché la Bibbia sia letta ed ascoltata per quello che è: Parola di Dio attestata. L'attualizzazione costituisce un atto ermeneutico caratterizzato da una duplice fedeltà: a) a Dio, alla sua Parola, alla sua viva voce che risuona nella Bibbia; b) all'uomo, a beneficio del quale si attualizza la Parola di Dio. A motivo della dialettica positiva determinata da questa duplice fedeltà, nella sua forma classica (vi sono molte varianti), la lectio divina prevede due premesse e quattro gradini. La prima premessa consiste nel fatto di porsi davanti alla Scrittura con fede, riconoscendo cioè che attraverso queste parole umane è Dio stesso che ci rivolge la sua Parola eterna e lo fa qui ed ora. La seconda premessa consiste nell'invocazione dello Spirito Santo. La Scrittura non può essere letta e, per quanto possibile, compresa come

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Parola di Dio se non eodem Spiritu (l'espressione è di Dei Verbum 12), nello stesso Spirito con cui è stata scritta e cioè lo Spirito Santo.Al di fuori dello Spirito non vi è che una lettura carnale, cioè imbrigliata nella lettera. Dopo queste due premesse ci sono i quattro gradini: lectio, meditatio, oratio, contemplatio. Nel primo, quello della lectio, siamo chiamati a situarci davanti al testo nella sua oggettività, chiedendoci: che cosa dice il testo biblico? Questo primo passo intercetta la ricerca del senso letterale, cioè il senso inteso dagli autori umani dei libri della Bibbia ispirati dallo Spirito Santo ma non per questo meno autenticamente autori umani. A livello della lectio è necessario un certo studio esegetico (cioè scientifico) del testo. Il passaggio della lectio è il primo ed è fondamentale al fine di evitare letture fondamentaliste e riduzioniste del testo (sociologismo, psicologismo, spontaneismo, etc.). Nella meditatio, siamo chiamati a lasciarci interpellare personalmente dalla Parola di Dio, applicandola alla nostra vita ed alle circostanze concrete in cui viviamo (facendo opera di attualizzazione e di inculturazione). L'oratio sgorga dalla meditatio come dalla sua propria sorgente, secondo tutti gli accenti e le modulazioni che la preghiera può assumere: lode, ringraziamento, supplica, intercessione, richiesta di perdono. Infine vi è la contemplatio in cui riceviamo da Dio la grazia di assumere in noi il suo sguardo, i suoi occhi nel vedere, giudicare e amare la realtà. Contemplare non significa solo riconoscere ed adorare la Presenza di Dio in tutto ma guardare a tutto con gli occhi stessi di Dio. Ed in questa grazia che ci è dato di rimanere anche dopo essere “usciti” dalla lectio per continuare a contemplare la realtà con gli occhi di Dio. Lectio di Gv 1,35-51 Il testo presenta una struttura molto lineare. Ritroviamo due sezioni, introdotte dalla stessa indicazione temporale: il giorno dopo. Siamo nella settimana inaugurale che apre vangelo di Giovanni e che culminerà nel settimo giorno, che è quello del segno di Cana, in cui Gesù rivela la sua gloria alle feste di nozze. Alla settimana inaugurale corrisponde la settimana conclusiva, in cui si

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ha il compimento del Passaggio pasquale del Verbo - Agnello e l'introduzione dell'umanitĂ in una nuova era, quella del primo giorno dopo il sabato (20,1). In 1,19-34, nel cosiddetto Prologo storico (dopo il Prologo generale costituito da 1,1-18) Giovanni Battista ha reso testimonianza a GesĂš davanti alla delegazione inviata a Betania al di lĂ del Giordano da parte delle autoritĂ giudaiche. Ora siamo al momento della manifestazione di GesĂš e quindi del compimento della missione di Giovanni (1,31: ÂŤsono venuto a battezzare nell'acqua perchĂŠ egli fosse manifestato a IsraeleÂť). Dunque le due parti di 1,35-51 sono contrassegnate dall'indicazione cronologica: Τ Ď€Îą Ď ÎšÎżÎ˝, il giorno dopo.Abbiamo cosĂŹ due sezioni: 1,35-42: il terzo giorno 1,43-51: il quarto giorno Questa è la macro-struttura. Alivello di micro-struttura, emergono le seguenti scansioni: 1,35-36: l'annuncio – rivelazione di Giovanni Battista ai due discepoli 1,37-39: l'incontro di GesĂš e dei primi due discepoli 1,40-42a: l'annuncio di Andrea a Simone 1,42b: l'incontro di GesĂš e Simone (che diventa Pietro) 1,43: l'incontro di GesĂš e Filippo 1,44-46: l'annuncio di Filippo a Natanaele 1,47-51: l'incontro di GesĂš e Natanaele (con la promessa ďŹ nale). GiĂ la struttura grezza del brano (potremmo dire lo “spettro radiograďŹ coâ€?) ci permette di vedere la concatenazione tra le varie parti: c'è un intreccio tra brani di annuncio e brani di incontro. L'incontro con Cristo avviene attraverso una catena di testimoni. Ora riprenderemo una alla volta le scansioni del testo, soffermandoci su alcuni punti che possano alimentare la nostra meditazione (meditatio) e la nostra preghiera e contemplazione (oratio e contemplatio). 1,35-36: l'annuncio – rivelazione di Giovanni Battista ai due discepoli 35 36 Il giorno dopo Giovanni stava ancora lĂ con due dei suoi discepoli e, ďŹ ssando lo sguardo su GesĂš che passava, disse: ÂŤEcco l'agnello di Dio!Âť. La parola da cui partire è Ď€ÎľĎ ÎšĎ€ÎąĎ„Îż νĎ„Κ, il participio riferito a GesĂš. Giovanni ďŹ ssa lo sguardo ( ΟβΝ ĎˆÎąĎ‚ indica un vedere carico di

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attenzione e di intelligenza, un vedere reso tale da un'attesa intensa) su Gesù che passa, su Gesù che si fa avvenimento, nel senso letterale del termine, cioè che ad-viene nella storia umana. Giovani lo riconosce (grazie a quel vedere carico d'attenzione, d'intelligenza e d'affezione) e fa un annuncio che è anche una rivelazione (di qui l'avverbio δε, ecco): Gesù è l'Agnello di Dio, cioè il Messia annunciato dai profeti (Is 53,7 [quarto carme del servo di YHWH]: era come agnello condotto al macello; Ger 11,19: e io, come agnello mansueto che viene portato al macello), il compimento dell'Agnello pasquale il cui sangue aveva liberato Israele nell'Esodo, nella liberazione dall'Egitto (cf. Es 12). Gesù è il Messia che libera non solo Israele ma tutto il mondo (in 1,29 Giovanni ha detto: ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo) dal potere del peccato, cioè di quell'ordinamento di male e di morte che separa l'uomo da Dio. Come il verbo di 1,29 suggerisce ( α ρων), in Gesù, Dio non realizza questa liberazione attraverso una sorta di colpo di spugna ma attraverso un Mistero di profonda immedesimazione con la tragedia dell'uomo peccatore. È attraverso questa comunione, questa immedesimazione che l'umanità è liberata dall'interno dal potere del peccato. Il fatto che Gesù passi, che Gesù si faccia avvenimento, trasforma il chronos, lo scorrere del tempo (apparentemente senza qualità, senza nulla di nuovo) in kairòs, cioè in avvenimento di grazia, che interpella la nostra libertà, come quel giorno interpellò la libertà di quei due giovanotti, discepoli del Battista. 1,37-39: l'incontro di Gesù e dei primi due discepoli 38 E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. La seconda unità ci presenta l'incontro tra Gesù e i due discepoli. I due cominciano a seguirlo, Gesù pone loro una domanda a bruciapelo, la grande domanda (che cosa cercate?) e i discepoli gli rispondono con un'altra domanda (dove dimori?), a cui Gesù risponde con il secco invito venite e vedrete. L'incontro avviene all'ora decima, cioè alle quattro del pomeriggio. 37

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L'annotazione presenta certamente un carattere autobiograďŹ co: non si dimentica nulla dell'incontro che ha segnato la propria vita. Vi è, però, probabilmente anche un senso simbolico: per gli Ebrei il nuovo giorno comincia al tramonto del sole (e fu sera e fu mattino ‌ ) e dunque, l'ora decima, le quattro del pomeriggio è un'ora che annuncia l'arrivo del nuovo giorno. Giovanni fa cosĂŹ riferimento al nuovo giorno, al primo giorno dopo il sabato, il giorno della Risurrezione del Verbo – Agnello, al giorno, all'era della piena comunione tra il Padre e gli uomini in Cristo. L'incontro presenta una dinamica in cinque tempi; il quinto è espresso in seguito, i primi quattro sono presenti in quest'unitĂ : 1. ascolto (sentendolo parlare cosĂŹ) 2. sequela (seguirono GesĂš) 3. colloquio 4. permanenza (quel giorno rimasero con lui) 5. richiamo / annuncio In questo schema vorrei sottolineare soprattutto tre elementi, che sono cruciali per mettere a fuoco il metodo con cui Cristo ha chiamato e chiama, ha salvato e salva. a) La sequela precede, si trova all'inizio. La troviamo poi anche alla ďŹ ne, ma si trova giĂ all'inizio. Ăˆ ragionevole cominciare a seguire GesĂš anche senza averlo ancora sentito parlare? SĂŹ, è ragionevole, cioè corrisponde all'intelligenza, all'affezione umane. b) Il metodo attraverso cui avviene il primo contatto e poi tutto il resto è quello dell'esperienza. NĂŠ il ďŹ deismo, nĂŠ il razionalismo: ma la fede che germoglia dall'esperienza. Ecco l'espressione cruciale Ď Ď‡ÎľĎƒθξ κι ĎˆÎľĎƒθξ, in cui il kaĂŹ presenta un sfumatura di senso consecutivo o forse ďŹ nale: venite, cosĂŹ da vedere; venite per vedere. Il verbo orĂ o fa riferimento a un vedere che non riguarda solo gli occhi della carne: parte da lĂŹ, dal vedere concreto, reale ma arriva al vedere del cuore. Ăˆ un vedere capace di arrivare sino al fondo del reale, cioè sino alla gloria del Verbo Incarnato. Ricordiamo due passaggi cruciali del Prologo: 14E il Verbo si fece carne_e venne ad abitare in mezzo a noi;_e noi abbiamo contemplato la sua gloria ‌ 18Dio, nessuno lo ha mai visto:_il Figlio unigenito, che è Dio_ed è nel seno del Padre,_è lui che lo ha rivelato. (Gv 1,14.18). c) L'incontro è personale ma non individuale: è un incontro comunitario. Il metodo attraverso cui Cristo incontra gli uomini è nel contesto di una

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comunità. Gesù non si presenta come un guru, come un personal trainer dello spirito ma come il Capo di una nuova comunità umana, in cui è data agli uomini la possibilità di rimanere con lui, cioè di vivere in amicizia con lui, in comunione con lui. In questa piccola comunità di tre persone è già rappresentato il Mistero della Chiesa: la comunità umano - divina (sono tre uomini, di cui uno dei tre è il Verbo fatto carne) in cui Cristo è presente e si comunica umanamente, direbbe Ungaretti per riedificare umanamente l'uomo. 1,40-42a: l'annuncio di Andrea a Simone 40 Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù. In quest'unità troviamo il quinto momento dello schema sopra indicato: l'annuncio, il richiamo. Preferirei questo secondo termine perché presenta maggiore freschezza, maggiore spontaneità. L'annuncio è qualcosa che dobbiamo fare, il richiamo, il fatto di comunicare alle persone a cui vogliamo bene un'esperienza di bene è qualcosa che non solo dobbiamo ma vogliamo e non vediamo l'ora di fare. Difatti, il verbo ε$ρ%σκει (trovò) indica non il fatto di imbattersi casualmente ma il fatto di andare a cercare per comunicare la grande scoperta: ε$ρ&καμεν τ*ν Μεσσ%αν, abbiamo trovato colui che è il compimento delle promesse a Israele e il compimento del cammino d'ogni uomo. Proprio per la sua naturalezza irruente, per la sua dirompente spontaneità, il richiamo cristiano non è astratto, libresco, ideologico. Andrea lo dimostra: <γαγεν, cioè lo condusse da Gesù. 1,42b: l'incontro di Gesù e Simone (che diventa Pietro) Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro. Nella breve unità costituita da 1,42b vi è il racconto dell'incontro tra Gesù e Simone di Giovanni. È l'unico discepolo a cui, nel Vangelo di Giovanni, Gesù cambia nome: σ> κληθ&σ@ ΚηφJς, che significa Pietro. Il cambiamento di nome indica la missione che Gesù affiderà a Pietro al c. 21 sulle sponde del mare di Tiberiade (pasci i miei agnelli, pascola le mie pecore), interpellandolo ancora una volta come Simone di Giovanni.

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La missione di Pietro è quella di essere la roccia su cui si fonda la fede di tutti; la sua esperienza di Cristo (mi vuoi bene?) ha la caratteristica di essere garanzia di autenticità e di unità per tutti. Pietro e tutti coloro che nella Chiesa sono costituiti in autorità non hanno il compito di sostituirsi agli altri nel rapporto con Cristo, ma al contrario di consentirlo, di promuoverlo, di preservarlo nella sua autenticità. L'autorità nella Chiesa esiste non per livellare persone, talenti e carismi in una sorta di "qualunquismo" ecclesiastico, ma per difendere, promuovere e valorizzare la ricchezza sovrabbondante e sempre stupefacente che viene dallo Spirito. Nell'Apologia pro vita sua, il beato John Henry Newman scrive in modo stupendo: «la cristianità cattolica non è un semplice esempio di assolutismo religioso (…) è una vasta assemblea di esseri umani con intelligenze caparbie ed intense passioni, riuniti dalla bellezza e dalla maestà di una potenza sovraumana, in quella che potremmo chiamare una grande scuola di correzione o di ammaestramento, non come in un ospedale o in una prigione; e non devono essere messi a letto o sepolti vivi, ma (se mi è permesso cambiare metafora) sono riuniti in una specie di officina morale per fondere, raffinare e plasmare, con un procedimento rumoroso e incessante, la materia grezza della natura umana, quella materia così eccellente, così pericolosa, così capace di corrispondere alle intenzioni divine. (…) Lo scopo del potere apostolico, e anche il suo effetto, non è d'indebolire la libertà o il vigore del pensiero umano nella ricerca religiosa, ma di frenare e controllare i suoi eccessi» (Apologia, 268s).

1,43: l'incontro di Gesù e Filippo 43 Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: «Seguimi!». In quest'unità troviamo la chiamata di Filippo. Essa presenta una tipologia diversa rispetto alle altre: è Gesù stesso che punta verso la Galilea, va a trovare (ε$ρ%σκει) Filippo e gli dice: `κολο θει μοι, seguimi. La diversità delle modalità con cui si articola l'esperienza di Cristo è una ricchezza e una risorsa. C'è un nucleo comune: l'esperienza di Cristo, la comunione con lui. Ci sono varie modalità, varie forme con cui, secondo da una parte il mistero dell'elezione di Dio, dall'altra del temperamento proprio di ciascuno, la chiamata avviene.

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1,44-46: l'annuncio di Filippo a Natanaele 44 45 Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». 46 Natanaele gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». Come abbiamo visto in precedenza perAndrea, la conoscenza di Gesù immette nel cuore il desiderio di comunicarla, cioè d'informare e d'introdurre altri in quella medesima esperienza. È quanto fa Filippo, concittadino di Andrea e Pietro con il suo amico Natanaele. A differenza dei primi due discepoli, Filippo e Natanaele non provengono dal gruppo del Battista ma rappresentano un'altra componente della comunità di Gesù, costituita da quegli Israeliti fedeli che scrutavano le Scritture per trarne la luce necessaria a cogliere l'azione di Dio nella storia e riconoscere la venuta del Messia. Difatti, è alle Scritture che fa riferimento Filippo nel suo annuncio a Natanaele («Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret»). In seguito, anche Gesù con il riferimento allo “stare sotto il fico” da parte di Natanaele intende probabilmente riferirsi proprio a questo: all'ascolto fedele e perseverante della Parola di Dio, dolce come il frutto del fico. L'atteggiamento di Natanaele non è di chiusura totale ma di blocco sì («Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?»): un blocco motivato da pregiudizi etnici ma probabilmente anche dal fatto che Nazaret è un villaggio “inedito” nella storia della salvezza, mai nominato nella Bibbia. Come antidoto al pregiudizio, Filippo propone a Natanaele la via dell'esperienza, rilanciando per la seconda volta nel brano l'invito a venire per vedere: ρχου κα δε, vieni e vedi. È evidente che vi è un altro imperativo, sottinteso: krine, cioè vieni, vedi e giudica. Al di fuori di questo (il giudizio dell'io a partire dall'esperienza) vi è inevitabilmente la soggezione a un potere, a un pregiudizio (e quindi alla menzogna). 1,47-51: l'incontro di Gesù e Natanaele (con la promessa finale). Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità». 48Natanaele gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l'albero di fichi». 49Gli replicò 50 Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!». Gli ri47

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spose GesĂš: ÂŤPerchĂŠ ti ho detto che ti avevo visto sotto l'albero di ďŹ chi, tu credi? Vedrai cose piĂš grandi di queste!Âť. 51Poi gli disse: ÂŤIn veritĂ , in veritĂ io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell'uomoÂť. L'incontro tra GesĂš e Natanaele è fulminante: GesĂš rivela a quell'uomo che il fatto di vederlo ora (Îľkδξν xΡĎƒÎż Ď‚ Ď„*ν Î?ιθινι{Îť), l'avvenimento di quell'incontro non è una circostanza casuale ma il punto d'arrivo di un lungo cammino, di un vedere che affonda le sue radici nel passato (Ď€Ď * Ď„Îż ĎƒÎľ ÎŚ%ΝΚππον φων~ĎƒιΚ νĎ„Îą $Ď€* Ď„{ν ĎƒĎ…Îş~ν Îľkδ ν ĎƒÎľ). Certo, Natanaele rappresenta Israele, che da sempre Dio ha conosciuto e amato. Ma quanto GesĂš rivela a quell'uomo vale anche a livello personale. La vita di Natanaele, la vita di ciascuno di noi è una storia sacra, una storia della salvezza, un tempo santo, che ha il suo grande magnete, capace di ricondurre tutto ad unitĂ (passato e futuro) nella conoscenza presente di Dio, nel riconoscere da parte nostra questa conoscenza, nell'oggi di Dio, nel qui ed ora di Dio. Scrive Sant'Agostino nel libro I delle Confessioni: ÂŤTu sei sempre lo stesso e tutte le cose di domani e di dopo, tutte quelle di ieri e di prima di ieri, tu oggi (hodie) le farai, oggi le hai fatteÂť. Ăˆ questo riconoscimento che ci consente di non sentirci persi dinanzi alla complessitĂ del reale e alla complessitĂ della nostra vita. Pur non riuscendo ad afferrare tutto, è con questo riconoscimento che si comincia a capire. Per questo è ragionevole afďŹ darsi come fa Natanaele: ÂŤRabbĂŹ, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!Âť. Con le sue parole Natanaele mostra di avere una concezione imperfetta della messianicitĂ di GesĂš, una concezione nazionalistica (è questo il senso di re d'Israele dopo l'espressione Figlio di Dio) ma che importa? Siamo all'inizio del cammino: quello che è veramente decisivo è il fatto che Natanaele abbia aperto la sua mente e il suo cuore alla luce di Cristo. Rimanendo con lui, rimanendo incollato a lui, con il tempo capirĂ . Nella sua risposta, soprattutto con la parola Οξ%Μω, cose maggiori, GesĂš allude al fatto che la sua regalitĂ sarĂ estesa a tutte le genti. Davanti a Natanaele e alla comunitĂ dei discepoli ( ĎˆÎľĎƒθξ, vedrete) GesĂš spalanca una prospettiva ampia e promettente in cui i discepoli potranno procedere di scoperta in scoperta: ÂŤvedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell'uomoÂť. Gli angeli che salgono e scendono sul Figlio dell'uomo costituiscono un

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diretto riferimento al sogno di Giacobbe di Gn 28,10-19: 10 11 Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran. Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese là una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo. 12Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. 13Ecco, il Signore gli stava davanti e disse: «Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato. 14La tua discendenza sarà innumerevole come la polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra. 15Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto». 16Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». 17Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è 18 proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo». La mattina Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. 19E chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora la città si chiamava Luz. Il messaggio di Giovanni è chiaro: Gesù è il compimento delle Scritture e dell'alleanza, è il contenuto ultimo e definitivo della visione di Giacobbe. Egli è la scala, il ponte che, innalzato sulla croce, mette in comunione il Cielo e la Terra, Dio e gli uomini. Ecco perché in lui il cielo rimane aperto: in greco c'è un participio perfetto, `νε γ τα che, per usare le espressione di Juan Mateos, indica maximalidad e definitividad. A seguito dell'Incarnazione del Verbo, non vi è più nessuna separazione tra il Cielo e la Terra: i cieli rimangono aperti. Per mezzo di quest'Uomo (il Figlio dell'uomo) Dio continua a riversare la sua doxa, la gloria dell'Unigenito del Padre pieno di grazia e di verità. Questo è decisivo per noi. Per essere fedeli a Dio e agli uomini, è necessario percorrere e ripercorrere in senso ascendente e discendente la scala che è Cristo, per portare Dio all'uomo e l'uomo a Dio, tutto attraverso l'umanità del Verbo incarnato. In breve, il Cristianesimo si gioca tutto nel rapporto con Cristo, vero Dio e vero Uomo. «All'inizio dell'essere cristiano – ha scritto il Papa all'inizio della Deus

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Caritas est e del suo ministero petrino – non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un Avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est, 1). È questo l'aspetto più stupefacente del Cristianesimo: la sua radicale semplicità, il fatto che tutto si giochi di inizio in inizio nel rapporto con quest'uomo, Cristo che è il Verbo incarnato e l'Agnello pasquale: il senso e il significato di tutto e il salvatore, colui che libera l'uomo dal potere del peccato e della morte. Poiché in Cristo abita corporalmente la pienezza della divinità (Col 2,9), nel Cristianesimo l'Avvenimento non è relegato nell'ambito dello straordinario, di ciò che è extra, fuori dall'ordinario, ma al contrario si è fatto familiare, abituale. Lo ha espresso meravigliosamente C. Péguy: Egli è qui. È qui come il primo giorno. È la stessa storia, esattamente la stessa, eternamente la stessa, che è accaduta in quel tempo e in quel paese e che accade tutti i giorni. Cristo rimane presente e incontrabile qui ed ora nel Mistero della Chiesa. I cieli rimangono aperti nel Mistero della Chiesa, non una realtà che si pone accanto a Cristo, riferendosi idealmente a lui ma la realtà schiettamente e drammaticamente umana in cui Cristo continua a ricevere la gloria del Padre (= pienezza di grazia e verità) e a irradiarla sul mondo intero. È guardando a Cristo presente in questa realtà umana, è lasciandoci cioè colpire dalla sua Verità, dalla sua Bontà, dalla sua Bellezza, che la nostra umanità fiorisce e diviene strumento vivo attraverso cui altri possano fare esperienza della compagnia di Cristo, della comunione con lui e, in lui, con il Padre e lo Spirito. E questa è la missione. Grazie.

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Punti per la collatio nei gruppi di studio 1. In Gv 1,35-51 è presente il seguente schema: a) ascolto del testimone; b) sequela di Gesù; c) colloquio con lui; d) permanenza con lui; e) annuncio di Gesù. Alla luce di questo percorso, proviamo a verificare la nostra esperienza cristiana sia sul piano personale sia su quello comunitario (gruppi, parrocchie, Diocesi). 2. A partire dal confronto sul punto precedente, cerchiamo di elaborare una definizione possibilmente condivisa di Chiesa e di discepolo di Gesù. - La Chiesa è … - Il discepolo di Gesù è… 3. La coppia di verbi venite e vedrete fa emergere l'esperienza non semplicemente come un metodo ma come il metodo proprio del Cristianesimo. Quali sono le caratteristiche essenziali di questo metodo? Che rapporto vi è in esso tra “divino” e “umano”? Quanto questo metodo è consapevolmente “utilizzato” nella nostra prassi ecclesiale? 4. L'incontro con Cristo avviene (nel senso di ad-venire, di farsi Avvenimento) attraverso modalità differenti. Il contenuto è lo stesso (l'esperienza di Cristo), le forme molteplici. Per custodire e promuovere quest'unità nella diversità, Gesù elegge Simone come “uomo-roccia”: la sua esperienza di Cristo è cioè fondante per tutti. Ecco il valore e la missione dell'autorità nella Chiesa: non una realtà cui “delegare” la nostra personale esperienza di Cristo, ma il fondamento saldo e affidabile su cui poter continuare ad accogliere il farsi avvenimento di Cristo. Qual è la nostra concezione di autorità? Come entriamo in rapporto con le persone costituite in autorità nella Chiesa? Siamo disposti a divenire a nostra volta persone autorevoli, roccia su cui altri possano saldamente poggiarsi per poter incontrare Cristo?

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5. Il testo di Gv 1,35-51 si conclude con un annuncio di Gesù ricco di fascino e suggestione: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell'uomo (1,51). I cieli rimangono aperti nel Mistero della Chiesa, non una realtà che si pone accanto a Cristo, riferendosi idealmente a lui ma la realtà schiettamente e drammaticamente umana in cui Cristo continua a ricevere la gloria del Padre (=pienezza di grazia e verità) e a irradiarla sul mondo intero. A partire anche dal confronto sul punto 3, quanto siamo consapevoli del fatto che, nel Mistero della Chiesa, l'«umano» non è ostacolo (pregiudizio) ma strumento per la rivelazione / comunicazione di Dio nella persona di Cristo? Quanto questa consapevolezza è decisiva per vivere la prassi ecclesiale come lieto annuncio (vangelo) della presenza di Cristo, Via, Verità e Vita (Gv 14,6)?

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Oratio e Contemplatio 1,35-36: l'annuncio – rivelazione di Giovanni Battista ai due discepoli 35 36 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». Alla presenza di Gesù, affidandoci all'intercessione e all'aiuto della Madonna, riconosciamo Gesù presente corporalmente in questo Sacramento, segno limpidissimo del grande amore con cui Dio ci ha amati e ci ama. Dice San Giovanni nella sua prima lettera (4,10-11): 10 In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. E, nel dialogo con Nicodemo, afferma (Gv 3,16-18): 16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. L'amore di Dio interpella, sfida la nostra libertà. In gioco (o, per meglio dire, in giudizio) c'è la nostra salvezza, la nostra felicità ora e per l'eternità. Continua Gesù nel dialogo con Nicodemo (Gv 3,19-21): 19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». Noi siamo preceduti dall'amore di Dio, illuminati dalla sua luce. È su questo fatto, su questo dono che è fondata la nostra vocazione. Difatti, nella sua prima lettera, San Giovanni scrive (4,11-16): 11 Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. 12Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio ri13 mane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. In questo si conosce che noi

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rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. 15Chiunque confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio. 16E noi abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui. 1,37-39: l'incontro di Gesù e dei primi due discepoli 37 38 E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. L'incontro di Gesù con i suoi discepoli presenta una dinamica in cinque tempi, che ha il suo fulcro nel fatto di rimanere con lui e di lasciarsi illuminare da lui. È il metodo dell'esperienza. Come possiamo constatare ora, Gesù continua a usare questo metodo con noi. Lasciamoci raggiungere dal suo sguardo, pieno di verità e d'amore, mettiamoci in ascolto della sua Parola, rimaniamo nella gioia della comunione con lui, comunione in cui sentiamo che la nostra umanità fiorisce e giunge a compimento il disegno del Padre su di noi. Dice la costituzione conciliare Gaudium et spes (n. 22): «Rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, Cristo svela pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione». 1,40-42a: l'annuncio di Andrea a Simone 40 Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù. In quest'unità troviamo il quinto momento dello schema sopra indicato: l'annuncio, il richiamo. Il verbo γαγεν (lo condusse) mette in evidenza il fatto che la missione cristiana non ha nulla a che fare con un indottrinamento freddo e impersonale né, all'estremo opposto, con l'attivismo e con il sociologismo, in cui

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la comunità finisce per fare da schermo al Signore presente nella sua Chiesa. La missione consiste, in un ultima analisi, nel fatto di condurre le persone da Gesù. Ed è Gesù che opera in ogni momento dell'opera missionaria. Questo perché tutti possano avere un'esperienza diretta di Gesù, perché tutti possano far consapevolmente proprie le parole di Giobbe, alla fine del libro che porta il suo nome: «Ascoltami e io parlerò / io t'interrogherò e tu mi istruirai! / Io ti conoscevo solo per sentito dire / ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (Gb 42,4-5) 1,42b: l'incontro di Gesù e Simone (che diventa Pietro) Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro. Come abbiamo visto, il cambiamento di nome a Simone indica la speciale missione conferitagli da Gesù: quella di essere l'uomo-roccia su cui gli altri possano appoggiarsi con fiducia. È questo il valore dell'autorità nella Chiesa: non una realtà cui “delegare” la nostra personale esperienza di Cristo, ma il fondamento saldo e affidabile su cui poter continuare ad accogliere il farsi avvenimento di Cristo. La Chiesa è, infatti, la dilatazione della presenza di Cristo nel tempo e nello spazio. Cristo è presente in mezzo ai suoi, Cristo risorto agisce per mezzo dei suoi con la potenza del suo Spirito. Gv 20,19-23: 19 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò 21 loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito 23 Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». 1,43: l'incontro di Gesù e Filippo 43 Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: «Seguimi!». La chiamata di Filippo è la più semplice e diretta. Ricorda quella di San Matteo nel vangelo di Matteo: 9Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi».

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Ed egli si alzò e lo seguì. Nella celeberrima tela La chiamata di Levi (che si trova nella Cappella di San Matteo della Chiesa di S. Luigi dei Francesi a Roma) il Caravaggio ha rappresentato con stupefacente forza espressiva l'istante in cui gli occhi di Gesù incrociano quelli del pubblicano seduto al banco delle imposte e in cui la mano del maestro si protende verso quell'uomo da lui scelto. Certo, ogni vocazione, ogni storia personale presenta una sua complessità ma tutto si gioca nella suprema semplicità dell'istante in cui siamo stati chiamati da Cristo. Ritornare sempre con la memoria (una memoria grata!) a quell'istante, che si rinnova incessantemente è il mezzo attraverso cui rinnovare la freschezza, la perenne novità del nostro cammino con Cristo. 1,44-46: l'annuncio di Filippo a Natanaele 44 45 Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». 46 Natanaele gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». La conoscenza di Gesù, l'esperienza di lui mette nel cuore il desiderio d'introdurre altri in quella medesima esperienza. È la dinamica dell'amore che, come il bene e il vero, è diffusivum sui, tende per sua stessa natura a diffondersi a comunicarsi. Il punto da cui partire non è la diffusione e la comunicazione ma l'esperienza. Expertus potest credere quid sit Iesum diligere recita un antico inno della Liturgia. La missione nasce dall'esperienza di Cristo ed è nell'esperienza viva di Cristo ed nell'esperienza che sempre nuovamente si rigenera. Ora noi stiamo appunto vivendo l'esperienza di Cristo. 1,47-51: l'incontro di Gesù e Natanaele (con la promessa finale). Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità». 48Natanaele gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l'albero di fichi». 49Gli replicò 50 Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!». Gli ri47

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spose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l'albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». 51Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell'uomo». I cieli aperti e degli angeli che salgono e scendono sul Figlio dell'uomo fanno riferimento alla visione di Giacobbe a Betel, descritta in Gn 28,1019. Gesù è il compimento delle Scritture e dell'alleanza, è il contenuto ultimo e definitivo della visione di Giacobbe. Egli è la scala che mette in comunione il Cielo e la Terra, Dio e gli uomini. Ecco perché in lui il cielo rimane aperto: egli continua a essere presente, come, pieni di stupore, possiamo contemplare in questo Sacramento e in tutta la vita della Chiesa.

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Azione Cattolica Diocesana “Felici e credenti” Riflessione sull’identità associativa alla luce dell’attenzione annuale a cura di Giuseppe Pantuliano Festa dell’identità associativa Teggiano, 2 dicembre 2012 Le tre parole dell’attenzione Il cammino del prossimo anno associativo tiene conto degli Orientamenti pastorali per il decennio in corso e, in particolare, è costruito intorno a tre eventi ecclesiali di importanza strategica: l’indizione dell’Anno della Fede, il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione e il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. «Tutto ciò si inscrive nel solco della tradizione educativa dell’Azione Cattolica, una tradizione feconda da sempre “a disposizione” della nostra Chiesa e del nostro Paese», come ha sottolineato in modo magistrale il Presidente Nazionale nell’ultimo numero di “Segno” (luglio-agosto 2012). «L’impegno educativo dell’AC - continua Franco Miano - rappresenta una forma bellissima ed esaltante di servizio all’uomo, alla pienezza del suo vivere, del suo incontro con il Signore e con i fratelli che l’associazione si impegna a vivere nella ferialità di un’esperienza di gruppo volta ad incontrare la persona nella sua concreta situazione di vita (età, condizione, ambiente, luogo..), un’esperienza di gruppo mai autoreferenziale ma sempre aperta alla vita del’associazione tutta, della parrocchia e della diocesi, del territorio e del mondo intero.” Prima di qualsiasi altra considerazione in merito, vorrei soffermarmi sulle parole dello slogan mutuato dal Vangelo di Luca perché, singolarmente prese, bene sintetizzano le questioni di fondo dell’attenzione annuale dell’AC. 1. Date Il dare esprime fino in fondo la necessità di un gesto proattivo, estroverso, costruttivo. E’ teso a creare un legame, una relazione “faccia a fac-

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cia”, una situazione di empatia. Darsi significa esporsi, consumarsi per l’altro, impegnarsi generosamente per lui, prenderlo in custodia, sentirlo un tutt’uno con me. La forma imperativa del verbo sta a dire che non possiamo tenere per noi quanto ci è stato donato. Abbiamo ricevuto cose che non appartengono a noi o, quantomeno, soltanto a noi. Redistribuire equamente le ricchezze ricevute è un criterio essenziale dell’economia salvifica e dovrebbe esserlo anche dell’economia planetaria. Abbiamo il compito di moltiplicare il molto di pochi per darne un poco per uno ai molti. Ecco il miracolo da compiere. Dare vuol dire anche consegnare qualcosa a qualcun altro, permettendo che ciò che abbiamo ereditato possa raggiungere le future generazioni. Il dare equivale a gettare un ponte nel presente tra passato e futuro. Nell’atto del dare si raccoglie la memoria e la si dona alla profezia. Con altre parole, possiamo dire che ciò significa dare un oltre al “qui ed ora” e un “qui ed ora” all’oltre. Sulla scia di queste considerazioni, occorre allora ripartire dalla centralità della fede nella nostra azione pastorale e dall’ansia di dare forma e volto nuovi all’annuncio evangelico. 2. Voi stessi La traduzione corretta è: “fatelo voi”. Eppure nel Consiglio Nazionale di AC si è molto parlato di una possibile altra interpretazione: “Offrite voi stessi in pasto, date la vostra persona come cibo”. L’espressione suggerisce un protagonismo del credente nell’assumere se stesso come vera offerta all’altro per la costruzione di un noi condiviso. Non c’è fede cristiana, se non c’è comunità in Cristo. Oserei dire che non c’è senso religioso autentico, nella visione e nel sentire cristiani, se non c’è Chiesa. E’ la nostra persona, plasmata dalla Spirito, ad essere una testimonianza vivente del Risorto, a dar gloria al Dio vivente. Da questo ne consegue la grande responsabilità insita in qualsiasi vocazione o scelta, evidentemente anche associativa. Rispondo io di Dio e del suo potersi rendere presente in mezzo agli uomini, del suo riuscire a piantare la sua tenda nelle vicende quotidiane. Questo principio, poi, ha anche un addentellato di carattere pedagogico: aiutare in chiave maieutica ogni persona a farsi carico del proprio destino, a mettersi in gioco nella responsabilità che gli viene affidata. Non ci si può sostituire all’altro, se vogliamo veramente farlo crescere. Occorre tirar fuori da lui stesso le risorse interiori che già possiede e di cui forse non

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è sempre consapevole o che non riesce facilmente a capitalizzare. Si parla tanto di capitale umano o intellettuale, ma poco di capitale educativo o anche spirituale. In tal senso, dobbiamo fare i conti con gli Orientamenti episcopali per il decennio in corso, assumendo la sfida educativa come questione centrale del vivere e del credere e riconoscendo alle comunità educanti, e in particolare alla famiglia, il valore di risorse strategiche per presidiare le nuove frontiere epocali. 3. Da mangiare L’umanità ha fame in senso materiale e spirituale. Il mangiare ha come presupposto un bisogno fisico ma insieme anche un orientamento spirituale dettato da Dio. In un certo modo, mangiando noi assumiamo nella nostra carne la creazione. Il cibo organico è un pezzo di creato che entra a far parte di me stesso, così come il cibo eucaristico è un frammento di redenzione che diventa parte di me stesso. Entrambi sono alimenti rigeneranti della vita umana, necessariamente complementari. In tal senso, sia le deprivazioni del copro che quelle dello spirito sono allo stesso modo un’offesa alla bontà di Dio. Ecco perché “dare da mangiare” significa quindi ricreare un’alleanza con Dio. Essere giusti e costruire la giustizia sono conseguentemente di per sé strumenti di evangelizzazione. Per impregnare dell’amore divino i luoghi abitati dagli uomini occorre disseminarli di attenzione provvidenziale. Il rapporto santificatore con le nostre città non solo è il paradigma di una coscienza laicale matura, ma è la cartina di tornasole per misurare il livello di intimità con il Signore Risorto. Se vogliamo davvero essere profeti, cioè annunciatori del Regno che verrà, non possiamo non costruire bellezza nella storia che ci è dato di vivere. La fede nel Signore Risorto è credibile nella misura in cui siamo capaci di far risorgere le esistenze lacerate, le città dilaniate, le fragilità abbrutenti, le relazioni insignificanti. E’ in questo solco di preoccupazioni e di speranza che si inserisce la lezione conciliare, un’eredità attualissima da raccogliere in tutta la sua pienezza profetica. Il dialogo con il mondo è il presupposto e la via maestra per qualsiasi evangelizzazione.

Cinque slogan per una lettura della realtà Ma quale realtà antropologica abbiamo di fronte, a che tipo di uomo par-

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liamo? Vorrei suggerirvi al riguardo una serie di espressioni di valore simbolico, mutuate da titoli di film o di romanzi, sia per descrivere il contesto socio-culturale nel quale ci troviamo ad operare come credenti e come educatori cristiani, sia per indicare le nuove modalità pastorali richieste ad un apostolato all’altezza dei tempi. 1. Via col vento L’uomo post-moderno è un animale “autostradale” che non sa più incontrare la realtà così come è, ma deve darle un assetto immaginario ed evocativo carico di suggestioni interiori prodotte virtualmente. I molteplici bombardamenti mediatici trasportano in una dimensione del tutto irreale che rende l’inevitabile ritorno alla realtà esperienza difficile da metabolizzare e pertanto nuovamente e doppiamente frustrante. Un modello di società “liquida”, alimentata da una cultura dell’effimero e condannata ad un vuoto agitarsi privo di direzione, non facilita la costruzione di relazioni interpersonali stabili e responsabili. Passiamo la maggior parte delle nostre giornate in un’ossessiva opera di “restyling” del corpo, nell’ingenuo tentativo di costruirci come dèi intramontabili, e non abbiamo più tempo per prenderci cura dell’anima. 2. Sentieri interrotti L’uomo di oggi sembra aver perso l'esperienza della profondità. Intere generazioni di adulti hanno rinunciato a dare valori e vere ragioni per cui vale la pena di vivere, abbandonando specialmente i più giovani ai loro desideri fragilissimi, alla mancanza di toni alti, all’incapacità di alzare lo sguardo oltre i confini angusti del presente. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la vita finisce per snodarsi su sentieri di continuo intrapresi ed incessantemente interrotti, rafforzando una dinamica esistenziale in cui ogni atto rischia di apparire assurdo, ogni progetto inconcludente, ogni amore ridicolo. 3. Uno, nessuno e centomila Siamo sempre più vittime di una comunicazione frettolosa e di un modo di pensare in “pillole” impediscono la costruzione di un’identità personale robusta e rispondono ancor meno all’esigenza fondamentale di correlazione e di trascendenza. L’ossessione di ciò che pensano gli altri e il gusto della sensazione temporanea non solo ci rendono persone evane-

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scenti e generalmente anonime, ma alla lunga producono noia, disgusto, insofferenza, voglia di situazioni estreme, delirio di onnipotenza e conseguenti crisi depressive. 4. La fabbrica di cioccolato La nostra epoca è forse una delle più ingenti fabbriche di produzione di idoli, una sorta di immenso paradiso artificiale che impedisce ai non credenti di cercare e induce spesso i credenti ad adagiarsi pigramente nella banalità dell’abitudine. Il distacco dalle istanze vive della fede è sempre più subdolo e pervasivo, sempre meno connotato da ateismo ideologico e sempre più tinteggiato di “materialismo pratico” e di indifferenza. L’idolatria, ancor più dell’ateismo e dell’indifferenza, produce insaziabilmente infiniti surrogati di Dio tra le pareti domestiche, rendendolo di fatto inoffensivo nell’addomesticamento. Ci accontentiamo di tanti piccoli stimoli passeggeri, di un susseguirsi di banali avventure sentimentali, di frenetici weekend, di famelici shopping, di inebrianti vacanze, di eccitanti comfort.“Tre metri sopra il cielo” è uno slogan che raffigura bene questa operazione deprimente: innalzare l’effimero ad altezza di assoluto e crogiolarsi in una illusione evanescente. Una sorta di istinto predatorio ci fa accumulare cosa su cosa con ossessione maniacale: macchine più del necessario, seconde case, flirt a catena. Rischiamo di essere sommersi dalle cose inutili e dalla bulimia dell’avere. Assuefatti ad un “patologico” normalizzato e defraudati di un orizzonte ultraterreno, il possesso e la strumentalizzazione prendono il posto della gratuità e del rispetto. In una spietata e smisurata logica della mercificazione, tutto deve avere un prezzo ed essere commerciabile, perfino la nostra personalità. Ci hanno insegnato fin da piccoli che l’importante è sapersi vendere, saper vendere le proprie abilità. Il mercato è la falsa cartina di tornasole del successo esistenziale, anche quando rappresenta il risultato dell’inganno, della violenza, del furto, del raggiro, della corruzione. 5. Cielo di plastica Anche la religione è sottoposta al rischio idolatrico, quando smarrisce l’autenticità della fede che la anima. Talvolta, un falso “sacro” si trasforma in idolo, quando compensa con un eccesso di religiosità il deficit di fede. Senza vivere di e in Cristo, il “sacro” si impoverisce, diventa facile preda del magico e del superstizioso. Maghi pseudo-veggenti, supersti-

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zioni, sensazionalità, esoterismo, ritualità accattivanti e quanto altro tocca le emozioni vive, prosperano a dismisura. E così non lascio più parlare Dio alla mia vita, ma parlo troppo di Dio, senza realmente ascoltarlo e adorarlo. Mi ritaglio la mia fetta di cielo, il mio vitello d’oro, e resto lì a contemplarlo estasiato e compiaciuto. Momenti di rifornimento spirituale straordinari, leader carismatici, liturgie strappalacrime: il tutto schizofrenicamente separato dai tempi e dai luoghi della vita ordinaria. E, così, posso dedicare intere giornate a rincorrere miracoli nel mio recinto “sacro” e inviolabile ma vivere l’esistenza di tutti i giorni con spregiudicato pragmatismo. Il Vangelo non parla più all’interezza della mia vita, ad ogni azione compiuta, ad ogni pensiero elaborato, non riecheggia più in ogni mia parola, non mi interpella più di fronte alle mie tante colpevoli omissioni. Conduco un’esistenza apparentemente “retta”, mi sento a posto con la coscienza. Sono immunizzato rispetto al dolore, all’ingiustizia, alla verità, alla carità. Non so più mettermi in discussione e convertirmi nuovamente ad un percorso di vita cristiana. La vita, ricoperta dalla fragile e inconsistente corteccia di una vaga e comoda religiosità, mi mette al riparo da scelte più audaci, più radicali, più generose; mi assolve dalle responsabilità del saper rispondere in pienezza alla chiamata. Vivo la mia professione, i miei affetti, il mio tempo libero, come se non fosse mai avvenuto l’incontro con il Risorto, di per sé trasfigurante. L’appartenenza al mio recinto “sacro” mi dà l’assoluzione per le spicciole mancanze. Anche nelle realtà animate dalle migliori intenzioni, si registra una sorta di distonia dei laici battezzati: l’impegno generoso nelle cose ecclesiastiche non si coniuga sempre con analogo slancio nelle frontiere estreme della vita professionale, del dibattito culturale, della promozione del bene comune e della responsabilità civile.

Quattro pilastri per un rinnovato apostolato «Chi ha spostato il mio formaggio?» è il titolo di una simpatica storiella che descrive, in un labirinto, quattro personaggi (due topini e due gnomi) alla ricerca di un formaggio perduto: Nasofino, Trottolino, Tentenna e Ridolino. Il formaggio è la metafora di ciò che vorremmo dalla vita: un lavoro, un rapporto d’amore, salute, serenità d’animo e quanto altro. Il labi-

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rinto è il luogo in cui cerchiamo quanto desideriamo: l’ufficio, la famiglia, la comunità, e via discorrendo. Nasofino fiuta per tempo il cambiamento, Trottolino scalpita per entrare in azione, Tentenna nega il cambiamento e vi resiste per timore che peggiori le sue condizioni, Ridolino impara ad adattarsi prontamente quando capisce che cambiando potrà conquistare qualcosa di meglio. Tutti aspiriamo a possedere il formaggio e quando riusciamo ad ottenerlo, spesso ne diventiamo fortemente dipendenti, cosicché quando lo perdiamo o ci viene sottratto ne rimaniamo sconvolti. Non è facile accogliere la novità: cambiare è una sfida che fa paura e allora si preferisce restare fermi ad attendere quell’evento che modifica miracolosamente la nostra vita o il destino della nostra comunità. Non sappiamo anticipare gli eventi né costruire il futuro, perché spesso ci siamo accomodati nella meta che abbiamo raggiunto. Sentite cosa scrive sul muro uno dei personaggi della storiella, dopo aver imparato dall’esperienza a fronteggiare il cambiamento inatteso. s Il cambiamento è inevitabile: ci sarà sempre qualcuno che sposterà il Formaggio. s Prevedi il cambiamento: preparati al momento in cui il Formaggio viene spostato. s Verifica l’opportunità del cambiamento: annusa spesso il Formaggio, così ti accorgi se diventa vecchio. s Accogli il cambiamento: quanto più rapidamente abbandonerai il Vecchio Formaggio, tanto prima gusterai quello Nuovo. s Vivi il cambiamento: impara a spostarti con il Formaggio. s Apprezza il cambiamento: assapora il gusto dell’avventura e goditi le delizie del Nuovo Formaggio. s Coinvolgiti con gioia sempre maggiore nel cambiamento: il nuovo Formaggio ti schiude nuovi sapori. Anche come comunità dei credenti, oggi più che mai, occorre rinnovarsi sul piano pastorale, credo in due modi: essere attori di trasfigurazione sociale nella radicalità evangelica e riconquistare una prospettiva sapienziale che sappia restituire dignità ad ogni frammento della vita umana. Le piccole azioni, anche quelle apparentemente insignificanti, giorno dopo giorno, ora dopo ora, passo dopo passo, cambiano l’orizzonte umano affrancandolo dalla rassegnazione e dalla fatalità. Amare la vita significa farsi un “grazie” dentro una realtà spesso mercifi-

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cata, dare voce a chi non ha voce e forza a chi si sente sconfitto, riabilitare ciò che viene considerato perduto. Conformarsi al volto trasfigurato di Cristo significa costruire una trama di piccoli gesti che consacrano la ferialità a Dio. rifondando il senso del vivere attraverso le ragioni del credere. Bisogna ridare un senso pieno alla vita, sperimentarla come una speranza possibile, riconsegnarle realismo affinché i sacrifici siano considerati ragionevoli e le attese intelligenti, costruire legami affettivi a lungo termine che diano respiro, ricchezza emotiva e senso unitario al susseguirsi dei giorni. Da cristiani occorre garantire un rinnovato impegno formativo che alleni nel quotidiano alla responsabilità personale e sociale. Il ministero della laicità non può che esercitarsi nella santità del quotidiano. L’esercizio della testimonianza deve farsi sempre più itinerario condiviso, cammino in compagnia degli altri, in cui incessantemente la vita interroga il cielo e il cielo interroga la vita, in una dinamica che dal Vangelo ci porta sempre alla vita e dalla vita sempre al Vangelo. Noi credenti dobbiamo accompagnare gli uomini in un percorso che li aiuti a porsi domande sul senso e sul valore dell’esistenza per «vivere il presente non solo come tempo del soddisfacimento dei bisogni, ma anche come luogo dell’attesa, del manifestarsi di desideri che ci precedono e ci conducono oltre» (cfr. Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia). Per comunicare la fede in un mondo sempre più anonimo e disincantato, occorre nuovamente aprire i cuori e le menti ad una conoscenza viva e amorosa di Dio, ad un’esperienza capace di segnare in modo significativo le vite e i luoghi che abitiamo recuperandoli ad una bellezza originaria che contrasti le seduzioni idolatriche. Bisogna imparare a liberarci del surplus, privilegiare l’essere e l’etica dei bisogni rispetto all’avere e all’economia dei consumi, facendo intravedere nella logica della gratuità, di cui il Vangelo è cifra, una possibilità alternativa e un “andare oltre” che restituisce dignità alle relazioni con le cose e con gli altri. Alla luce di quanto detto, i quattro pilastri per una testimonianza di eccellenza sono la generosità dell’impegno, la qualificazione della responsabilità, l’orientamento al bene comune, la costruzione di percorsi di speranza. Provo pertanto a declinare la dinamica testimoniale con quattro verbi: spendersi, tradursi, abitare e trasfigurare.

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1. Come credenti siamo fortemente chiamati al dono dello spendersi, ad aprire una nuova stagione della presenza appassionata dei cristiani nella storia. Una fede adulta si dona senza misura perché ama ciò in cui crede e risiede fino a macerarsi. Bisogna collocare la nostra azione tra le pieghe del mondo ma anche tra le piaghe delle nostre città, per essere presenza profetica, capace di mediare tra attese dell’uomo ed istanza del Vangelo, specialmente dove si rileva un deficit di senso. Bisogna saper accogliere, assumere, ascoltare, prima di tutto, le domande che interpellano le nostre coscienze cristiane. 2. Una fede adulta è una fede capace di tradursi nel quotidiano degli ambiti della vita: nelle famiglie, nel lavoro, nello studio, nel tempo libero, nella chiesa e nel mondo. Ci è chiesto sempre più di diventare, come comunità cristiana, ambiente educativo, fucina di discernimento comunitario, laboratorio di fede per una presenza viva e vivificante nelle nostre città. In particolare, i laici non possono più limitarsi ad offrire il proprio contributo nei ministeri tradizionali, ma devono sprigionare una creatività capace di dare luogo, con la necessaria sinergia, a nuove modalità di annuncio e di educazione alla fede, a nuove e più incisive forme di intervento pastorale. Il servizio laicale costituisce la vera sfida di nuova stagione ecclesiale, in cui è sempre più necessario passare dalla “collaborazione” alla “corresponsabilità”, e deve vederci impegnati a ricercare un nuovo rapporto tra parrocchia e territorio per essere strumento di un cristianesimo diffuso e palpabile. Dobbiamo evitare il rischio di blindarci in una sorta di fortino identitario e riconsegnarci ad un ruolo di Chiesa “in situazione” dotata di forza profetica dentro gli anfratti spesso deprimenti del presente. 3. Riaffermare il valore dell’impegno dei laici nelle città significa innanzitutto capacità di abitare il territorio, conoscendolo, amandolo nelle sue fragilità e sapendone intuire le potenzialità. L’attenzione alla città è uno stile che educa all’ascolto, a quelle prassi partecipative che rendono viva la democrazia nella quotidianità, ad una politica che sa render conto e confrontarsi con le persone concrete. Anche come Associazione bisogna essere spazio entro cui si coltiva l’interesse per il bene comune e si raccolgono le sfide dell’attualità. I nostri gruppi si trovano ad operare sempre più spesso in territori toccati fortemente dal pro-

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blema del disagio sociale, dell’ingiustizia, della diffusa illegalità, dei nuovi impietosi mercati della schiavitù. Davanti ai nostri occhi si spalanca un orizzonte insieme denso di criticità eppure fecondo di opportunità per mostrare la forza dirompente della testimonianza evangelica. Non possiamo non riconoscere il volto del Cristo sofferente incarnarsi nelle desolazioni esistenziali di tanti uomini e donne, nella profanazione della dignità umana, nei corpi selvaggiamente mercificati e nei cuori impietosamente dilaniati. Dobbiamo farci carico di trasformare per questi uomini le parentesi dell’immigrazione, dell’emarginazione e della mortificazione in un tempo dell’integrazione e della valorizzazione. 4. La Chiesa è edificata dalla testimonianza di chi sa trasfigurare nella concretezza la propria vita alla luce del Vangelo. Non esiste una santità che aggiri il vicolo stretto che ci restituisce il vissuto problematico ma entusiasmate della storia degli uomini, il pathos dell’umanità. Santità significa aver fiducia nel fatto che il legame con il Signore genera immancabilmente una soluzione ai problemi del vivere quotidiano in modo ogni volta esclusivo e contingente, non per incantesimo ma per quella spinta motivazionale ad operare prodotta in noi dall’azione dello Spirito Santo. Bisogna ritornare a sentirci responsabili del futuro in chiave profetica. Prendere a cuore concretamente la speranza significa coltivarla per chi verrà dopo di noi, spendersi per renderla possibile e piena, impegnarsi a tesaurizzare il “capitale” escatologico che ci è stato consegnato in eredità, a ricomporre i molteplici frammenti delle tante piccole speranze che costituiscono quella riserva escatologica patrimonio di tutti quelli che ci sono e ci saranno. Su tale argomento, vorrei citarvi un aneddoto che mi ha particolarmente segnato. Mia figlia Maria Chiara, all’età di quattro anni, un giorno, mentre armeggiavo con i vari telecomandi di televisore, videoregistratore, Sky TV e quanto altro, senza riuscire nell’intento, mi diede un grande insegnamento. Dopo avermi sottratto gli arnesi infernali ed essere riuscita ad attivare ciò che volevo, pronunciò queste solenni parole: “Papà, se tu pensi che non si accende, non si accenderà; ma se pensi che si accende, troverai il modo di accenderla”.

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Tre flash per presidiare l’emergenza educativa Vorrei, ora, suggerire tre flash per sensibilizzarci su quelle emergenze educative che non possiamo ignorare e su quelle istanze pastorali atte a presidiarle in modo adeguato. 1. Il primo flash ha a che vedere con il potenziale educativo di cui dispone il laicato, che tuttavia rimane il più delle volte inespresso. Spesso manchiamo di pensiero positivo, di creatività testimoniale e di fantasia profetica. La santificazione degli ambiti della vita richiede innanzitutto un’azione in chiave educativa che trasformi lo ”straordinario” in realtà ordinaria (pensate al rubinetto lasciato gocciolare o alla carta gettata a terra). L’educare è vocazione, competenza, strategia, ma soprattutto accompagnamento. Educare significa tirar fuori il meglio di sé dalle persone, accompagnandole verso gli orizzonti della solidarietà e aiutandole a ricostruire il senso della responsabilità ridotto in briciole. Abbiamo competenze educative incredibili, ma forse dobbiamo trovare più slancio per spenderle in chiave missionaria. L’incontro con Gesù deve aiutarci ad assumere un maggiore rischio profetico per cambiare in meglio il mondo. Quando parliamo di fede incarnata, perché non pronunciamo un’affermazione retorica, dobbiamo spenderci veramente per la giustizia, la pace, la solidarietà, la tutela del creato, il diritto al lavoro e la promozione della dignità umana a qualsiasi livello. 2. Il secondo flash riguarda il rapporto con le nostre città. Come lo è stato per tante figure esemplari di credente, oggi ci è chiesto di contribuire attivamente all’edificazione di una società più a misura d’uomo e quindi più orientata ad accogliere il messaggio evangelico. La dottrina sociale della Chiesa resta parola morta se non si traduce in prassi pastorale tangibile e in esperienza culturale sperimentabile. Non ci sono scorciatoie. Occorre dimostrare pubblicamente, da laici cristiani, uno stile di vita personale coerente con il Vangelo, non a parole ma nei fatti, non di domenica ma ogni giorno, non negli edifici di culto ma nelle strade delle nostre città, non nell’autoreferenzialità gratificante del nostro “bel” gruppetto ma nell’ansia faticosa e indomabile di animare cristianamente ogni realtà. Il nostro impegno religioso va inteso come scelta di frontiera di un laicato conciliare orientato ad una cittadinanza cristianamente ispirata e laica-

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mente declinata. Quante volte siamo immunizzati rispetto al dolore, all’ingiustizia, alla verità, alla carità? Quante volte preferiamo la rassegnazione per la pigrizia di trovare la soluzione “santa” ai problemi della vita che interpellano la fede? 3. Il terzo flash riguarda l’impegno socio-politico. Bisogna chiedersi quali passi in avanti fare per essere nuovo progetto per la società civile e non semplice sindacato ecclesiastico. Non bisogna temere di sbilanciarsi verso l’esterno per essere voce delle situazioni di disagio sociale e delle nuove povertà. La cristianità è luogo profetico che interroga le istituzioni, perché si lascia interrogare a sua volta dalla storia e dal vissuto delle persone. Non possiamo tollerare bonariamente una geometria politica piatta che soffoca valori e virtù con banalità, mediocrità, corruzione, ingiustizia, omertà e indifferenza. I toni bassi col tempo corrompono l’anima e abbrutiscono la vita. Il nostro grido profetico non può essere un semplice grugnito consumato nella sola coscienza personale o proclamato nel chiuso di piccoli ambiti protetti, senza risuonare oltre gli angusti spazi delle sacrestie. I nostri gruppi dovrebbero presidiare l’impegno civile come cifra di una fede appassionatamente incarnata, capace di essere riserva ad alto potenziale “comunionale” e frontiera di senso sulla quale costruire quella “convivialità delle differenze” di cui parlava don Tonino Bello. In tal senso, occorre compiere maggiori sforzi per fare rete con gli altri (enti pubblici, scuole, etc.) per ridimensionare le logiche di contrapposizione ed accorciare le distanze tra nord e sud del mondo, tra centro e periferie anonime delle nostre città, tra oasi di ricchezza e sacche di miseria, tra territori a forte sviluppo economico e zone di incredibile arretratezza. Senza esitazioni o timori di sporcarsi le mani, dobbiamo saperci confrontare in modo trasparente e propositivo, fedeli agli insegnamenti cristiani, con i diversi interlocutori istituzionali, affinché si prenda a cuore sempre e dovunque la promozione dell’uomo in tutte le sue dimensioni, sia spirituali che materiali.

CONCLUSIONI 1. Essere comunità cristiana concepita come una tenda Mons. Superbo, qualche anno fa, sottolineò l’importanza di concepire le

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nostre comunità non tanto come una torre quanto come una tenda facile da montare, smontare e rimontare lì dove serve. Bene, bisogna aiutare le singole parrocchie a non ripiegarsi nella mera gestione dell’esistente, ma a trovare quelle modalità sempre nuove per attuare la sequela di Cristo Signore nel farsi concretamente prossimi delle persone con tutti il loro carico di problemi. Credo sia fondamentale orientare i diversi carismi a muoversi in una prospettiva di servizio autentico che, fortemente ancorato alla dimensione ecclesiale, sia mosso dall’ansia di raggiungere tutti: i lontani, gli indifferenti, quelli fuori dal “giro” o ai margini della società, coloro che vivono in situazioni di degrado sociale e ambientale senza vedere via di uscita, quanti hanno abbandonato la fede per le più disparate motivazioni o non hanno più ragioni per continuare a vivere e sperare. 2. Essere comunità attenta alle Frontiere Si tratta di presidiare (in chiave sociologica) il rapporto tra persona e territorio, sviluppando la capacità di favorire l’integrazione. Innanzitutto, occorre prestare attenzione alle fragilità: separati, divorziati, nuovi poveri, famiglie disagiate. Sovente si tratta di persone di grande dignità, che portano in sé ferite inferte dalle circostanze della vita familiare, sociale e, in qualche caso, dalle nostre stesse comunità.Altre volte, si tratta più semplicemente di cristiani abbandonati, verso i quali non si è stati capaci di mostrare ascolto, interesse, simpatia, condivisione. Questa area umana, cresciuta in modo rilevante negli ultimi decenni, chiede una ripensata attenzione pastorale e la creazione di occasioni di incontro. In secondo luogo, bisogna essere attenti alle differenze: disabili, donne svantaggiate, migranti. Ad esempio, per quanto questi ultimi siano una minoranza nelle nostre città, una pastorale del presente non può non fare i conti con l’emergenza di etnie, fedi, culture diverse. Una volta si andava in missione per annunciare Gesù ai lontani. Oggi i lontani sono a casa nostra, ma non ci poniamo nei loro confronti né con atteggiamento missionario, né con atteggiamento accogliente e solidale. Nel migliore dei casi ci limitiamo ad essere indifferenti. In ultimo, occorre presidiare il deficit di senso tipico dei cosiddetti “campi scoperti”: carcere, quartieri deprivati culturalmente, periferie metropolitane, povertà intra-ecclesiali (anziani soli o ammalati, coppie giovani, persone con difficoltà occupazionali). Qui occorre ristabilire il principio di una partecipazione di tutti alla costruzione di una città aperta, dialogante ed educante, anche sollecitando e fertiliz-

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zando la comunicazione sociale e il dibattito culturale con una presenza significativa nei media. 3. Essere comunità attenta ai Passaggi Si tratta di presidiare (in chiave psicologica) i passaggi dell’esistenza. Occorre collocare l’azione pastorale dentro lo spazio globale dove si consolidano sempre più fenomeni come il pendolarismo da una città all’altra, la mobilità, la condizione di studente fuori-sede e via discorrendo. Bisogna poi aiutare le persone ad attraversare sapientemente le tappe della vita con tutto quello che oggi significa, educando alla responsabilità, all’autoformazione, all’ascolto, al silenzio, alla parola, al dialogo tra le generazioni. Anche nelle dinamiche ecclesiali, bisogna “governare” il passaggio da una logica settorialista alla dimensione dell’unitarietà, dall’autoreferenzialità alla estroversione, come pure sollecitare la conversione pastorale dei nostri gruppi da club esclusivi a comunità inclusivi. E’ altresì importante, in chiave sacramentale, facilitare il raccordo tra memoria e profezia, tradizione e innovazione, verificando la reale incidenza dei sacramenti nella vita delle persone e rinnovando la ricchezza della proposta formativa. 4. Essere comunità attenta allo Stile Si tratta di acquisire (in chiave pastorale) quello stile che ci fa essere differenza e presenza costruttiva, nella consapevolezza del valore della fede e in una sorta di creativa fedeltà all’opzione religiosa. Qui si tratta di tenere in debita considerazione l’esigenza di rendere essenziale e “potabile” il linguaggio, verificando l’efficacia di testi, sussidi e strumenti formativi in termini di adeguatezza ai vissuti dei destinatari e restituendo loro spessore anche emozionale. L’annuncio va ripensato in termini di narrazione affinché siano potenziati segni, simboli e riti attraverso parole, immagini, suoni e metafore. Infine, non si devono abbandonare a loro stesse le nuove agorà della comunicazione web (internet, facebook, twitter). E’ altrettanto urgente sviluppare la capacità di pro-gettare in un’accezione ampia del termine: trasformare le criticità in opportunità; avere uno sguardo lungo capace di mettere in cantiere cose attualmente impensabili; fare una lettura sapienziale di bisogni e sfide; imparare il discernimento comunitario e personale; fare verifica; non farsi travolgere dalle cose ma creare spazi di crescita spirituale. Si tratta di essere meno incubatori di inizia-

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tive e più di umanità, meno fabbrica e più vivaio, partendo non dalle iniziative ma dalle esigenze delle persone. Gli organismi di partecipazione, in tal senso, possono essere il vero luogo della progettualità, dove pensare e non soltanto organizzare. 5. Essere comunità che sa affidarsi alla forza dello Spirito Certo, lo scarto tra quello che riusciamo a fare e quanto si dovrebbe fare è come un muro impenetrabile di fronte a noi. Tuttavia, sono convinto che le nostre tante fragilità sono in fondo una risorsa. Chi sa affidarsi alla forza dello Spirito, pur facendo i conti con la propria debolezza, sa immaginare umilmente quelle modalità per trasfigurare in profondità l’esistenza quotidiana alla luce del Vangelo, contando su quella che ritengo sia la nostra risorsa per eccellenza, Cristo Gesù morto e risorto per salvezza di ogni singolo uomo e donna. 6. Essere comunità felicemente credente Dunque, possiamo dire che siamo felici in quanto credenti, ma anche che siamo più credenti nella misura in cui siamo più felici, più consapevoli della gioia cristiana. Felici perché abbiamo incontrato quella fede che ci fa essere pienamente consapevoli di essere creature amate da Dio creatore. Felici perché il nostro cammino di uomini e donne si è incrociato con il volto del Figlio Redentore, dell’Emmanuel, del Dio che viene presso di noi. Felici perché sostenuti dalla forza dello Spirito Santo che ci fa essere differenza evangelizzante e trasfigurante nella vita di tutti i giorni. Felici perché nella Chiesa sperimentiamo l’orizzonte della vita eterna, la bellezza del centuplo quaggiù. Felici perché conosciamo il vocabolario della speranza che non conosce parole come rassegnazione, sfiducia, indifferenza, solitudine, divisione, odio. Felici perché viviamo nell’unità il comandamento dell’amore, il programma di vita del Vangelo che vede nelle beatitudini un modo diverso di relazionarsi con gli altri, un modo nuovo per vivere in profondità dell’esistenza umana, un modo concreto per gustare in pienezza l’intimità con il Dio di Cristo Gesù.

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AGENDA



Febbraio 2012 4 febbraio 5 febbraio 6 febbraio 9 febbraio 11 febbraio

12 febbraio 16 febbraio

17 febbraio 18 febbraio 19 febbraio 20 febbraio 22 febbraio 25 febbraio 26 febbraio 27 febbraio

Ingresso in Diocesi. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Chiesa Cattedrale di Teggiano. Il Vescovo visita i sacerdoti infermi. Il Vescovo presiede le esequie di una Suora Carmelitana a Roccagloriosa. 16,00: il Vescovo visita gli ammalati presso l'Ospedale di Sapri. 18,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Cattedrale di Policastro. Il Vescovo interviene al Convegno diAC a Serre. Il Vescovo presiede le esequie del Padre di Don Domenico Santangelo adAtena Lucana. 17,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nel Santuario di M. SS. di Pietrasanta in San Giovanni a Piro. Il Vescovo presiede i Vespri nella Chiesa Cattedrale di Teggiano. Il Vescovo interviene al Capitolo Provinciale dei Carmelitani di Napoli. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucarestica a Torre Orsaia per l'UNITALSI. Il Vescovo visita l'Hospice di S.Arsenio. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica con l’imposizione delle Ceneri nella Cattedrale di Teggiano. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucarestia a Lauria nella festa del Beato Domenico Lentini. Il Vescovo partecipa ad un concerto a Tardiano. Il Vescovo partecipa agli esercizi spirituale della CEC.

Marzo 2012 2 marzo 3 marzo

Il Vescovo tiene una meditazione e celebra l’Eucarestia nel Seminario di Salerno. Il Vescovo incontra la GIFRA nella parrocchia Cristo Re

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4 marzo

5 marzo 6-7 Marzo 8 marzo 10 marzo

11 marzo 12 marzo 13 marzo 15 marzo

16 marzo 17 marzo 18 marzo 19 marzo 21 marzo 22 marzo 23 marzo

di Polla. 11,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Parrocchia di Prato Perillo. 18,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Cattedrale di Policastro per la Solennità di S. Pietro Vescovo, Patrono della Diocesi. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucarestica nel Santuario della Madonna dell’Arco. Il Vescovo partecipa al Convegno sulla vita religiosa della Diocesi di Napoli. Il Vescovo partecipa alla riunione dei Vescovi della Metropolia a Vallo della Lucania. 16,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Parrocchia S. Marco di Teggiano. 19,00: il Vescovo interviene al corso in preparazione al matrimonio a Scario. Il Vescovo incontra la Comunità di Buonabitacolo. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica a S. Rufo. Ritiro del clero; Inaugurazione della mostra Seicento Sacro a Policastro. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella parrocchia SS. Trinità di Sala Consilina, durante la Settimana Gerardina. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica a Celle di Bulgheria con i bambini e i ragazzi delle scuole. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica presso l’Ospedale di Sapri. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nel Duomo di S.Agata dei Goti. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Chiesa Cattedrale di Teggiano. Il Vescovo incontra i ragazzi della cresima con i genitori e i catechisti della Parrocchia S. Giovanni Battista di Sapri. Il Vescovo partecipa alla presentazione del dossier regionale sulla povertà a Salerno. Il Vescovo presiede la Via Crucis a Roscigno, durante la Settimana Gerardina.

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25 marzo

26 marzo 27 marzo 28 marzo 29 marzo 30 marzo

31 marzo

12,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica e amministra la Cresima nella Parrocchia SS. Annunziata di Sala Consilina. Ore 19,00: il Vescovo presiede i Vespri solenni a conclusione delle Quarantore a Sicignano degliAlburni. Udienze. Incontro clero del decennio. Udienze a Policastro. Il Vescovo partecipa alla consegna attestati per il Corso assistenza anziani. 9,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Parrocchia S. MicheleArcangelo in Padula 11,00: il Vescovo visita il Comune di Teggiano. 15,30: il Vescovo visita Don Giuseppe D'Andrea a Filetta. 18,00: il Vescovo presiede la Via Crucis cittadina a Sala Consilina. Il Vescovo partecipa al Consiglio dell’IDSC. 11,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica e amministra la Cresima a S.Agostino a Teggiano. 20,00: il Vescovo conclude il corso di preprazione al Matrimonio della Forania degliAlburni a Zuppino.

Aprile 2012 1 aprile

2 aprile 3 aprile 5 aprile

11,00: il Vescovo presiede la Benedizione delle Palme e la Celebrazione Eucaristica nella Chiesa Cattedrale. 19,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica, a conclusione del corso di preparazione al Matrimonio della Forania di Padula. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Casa Circondariale di Sala Consilina. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica presso l’ITIS di Sala Consilina. 9,30: il Vescovo presiede la Messa Crismale in Cattedrale. 19,00: il Vescovo presiede la Santa Messa in «Coena Domini» in Cattedrale a Teggiano.

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6 aprile

15,30: il Vescovo presiede la Celebrazione della Passione del Signore nella Chiesa Cattedrale di Teggiano. 21,00: il Vescovo presiede la Via Crucis a Polla. 7 aprile Il Vescovo presiede la Veglia Pasquale nella Chiesa Cattedrale di Teggiano. 8 aprile Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucarestica nel giorno di Pasqua nella Cattedrale di Policastro. 10 aprile Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica e amministra la Cresima nella Parrocchia di S. Giovanni a Piro. 11 aprile Il Vescovo visita i Diaconi in ritiro a Casa Emmaus a Policastro. 18,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica e amministra la Cresima nella Parrocchia S.Alfonso a Marina di Camerota. 13 aprile Il Vescovo visita l’Istituto Superiore di S.Arsenio. 14 aprile Il Vescovo partecipa al XXV di episcopato di Mons. Bruno Schettino. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica a Corleto Monforte. 15 aprile Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica e incontra la Comunità di Vibonati. 16 aprile Il Vescovo incontra le Scuole di Montesano Scalo. 17 aprile udienze. 18 aprile 16,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica a Postiglione per l’arrivo dell'immagine della Madonna di Pompei. 20 aprile Il Vescovo partecipa alla presentazione del catalogo del Museo Diocesano a Teggiano. 21 aprile 18,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica in Cattedrale con un gruppo di pellegrini accompagnati da P. Gerardo Pepe, redentorista. 22 aprile 11,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica e amministra la Cresima a Montesano Scalo. 22 aprile-26 aprile Esercizi del Clero Diocesano 28 aprile Il Vescovo presiede l'Ordinazione Presbiterale di Vincenzo Loiodice nella Parrocchia S. Gerardo Maiella in Corato (BA).

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29 aprile

30 aprile

11,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima a Casalbuono. 20,00: il Vescovo partecipa alla visione del Musical nella Parrocchia di Varco Notar Ercole. Il Vescovo partecipa ai lavori della CEC a Pompei. 17,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica e incontra la Comunità di S.Angelo a Fasanella.

Maggio 2013 1 maggio

2 maggio 4 maggio

5 maggio

6 maggio

7 maggio 8 maggio 9 maggio 10 maggio

8,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Parrocchia S. Michele Arcangelo in Padula per l’apertura del Congresso Eucaristico. Nel pomeriggio il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Chiesa dell’Arciconfraternita dei Pellegrini di Napoli nel 60° anniversario di Professione Religiosa di Sr. Margherita delle Figlie della Carità. 18,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Parrocchia S. Giuseppe in Pantano Teggiano. Il Vescovo visita le Scuole di S. Rufo. 20,00: il Vescovo partecipa alla Sagra del carciofo bianco a Pertosa. 10,00: il Vescovo visita l’Istituto Tecnico di Sapri. 18,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima a Camerota. 18,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia S. Giovanni Battista in Sapri. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella novena della Madonna dei Martiri in Casaletto Spartano. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. MicheleArcangelo in Caselle in Pittari. Udienze a Policastro. Il Vescovo presiede il rito di Dedicazione della Chiesa e dell’Altare della chiesa di S. Maria del Serrone in Sicignano degliAlburni.

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11 maggio

Consiglio Presbiterale. 17,00: il Vescovo partecipa al Convegno su Fede-Ragione a Padula scalo. 12 maggio In mattinata il Vescovo incontra i bambini di I comunione a Buonabitacolo. 19,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima a Torre Orsaia. 13 maggio Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica e amministra la Cresima a Villammare. Il Vescovo incontra il Circolo Culturale Carlo Alberto di Padula. 14 maggio Il Vescovo preside la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Biagio a Sicilì. 15 maggio Il Vescovo preside la Celebrazione Eucaristica nella di S. Sofia a Poderia. Il Vescovo incontra l’Unione Giuristi Cattolici. In serata il Vescovo presiede la Via Lucis a Monte S. Giacomo. 16 maggio Udienze a Policastro. Nel pomeriggio il Vescovo incontra l’Associazione ATES di Sapri. 17 maggio 12,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Pasquale a Galdo degliAlburni. 18,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Parrocchia S. MicheleArcangelo in Padula. 18 maggio Il Vescovo incontra gli studenti dell’Istituto Pomponio Leto di Teggiano. 19 maggio 20,00: il Vescovo incontra i giovani della Diocesi a Sapri. 20 maggio 11,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Ciro adAtena Lucana. 17,00: il Vescovo partecipa al Convegno “La responsabilità dell’accoglienza, riflessioni antropologiche ed etiche” a Padula Scalo. 21-25 maggio Il Vescovo è a Roma per l’Assemblea Generale della CEI. 26 maggio Il Vescovo partecipa all’inaugurazione di un nuovo reparto dell’Istituto Juventus a Sala Consilina. 17,30: il Vescovo visita la Parrocchia di Buonabitacolo.

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27 maggio

28 maggio

29 maggio

30 maggio

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10,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia S. MicheleArcangelo in Padula. 18,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nel Santuario Maria SS. di Pietrasanta in S. Giovanni a Piro. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica e la processione della Madonna di Pietrasanta a S. Giovanni a Piro. 10,00: collegio dei consultori. 18,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica e partecipa alla processione della Madonna della Selice a Corleto Monforte. Il Vescovo partecipa alla riunione dei Vescovi della Metropolia al Seminario di Salerno. 18,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia di Caselle in Pittari. 12,00: consiglio affari economici. 17,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima Parrocchia di Bosco.

Giugno 2012 1 giugno

2 giugno

3 giugno

4-5 giugno

Teggiano in mattinata udienze. 17,30: il Vescovo benedice l'inizio dei lavori per la costruzione di un centro accoglienza Caritas a Sala Consilina. 22,00: il Vescovo porge il saluto ai giovani e ragazzi che partecipano al Meeting del Mare a Marina di Camerota. Il Vescovo porge il saluto ai ministranti durante il loro incontro-festa. 19,00: il Vescovo presiede i Primi Vespri della Solennità di S. Cono nella Cattedrale di Teggiano. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica e la processione a Teggiano nella Solennità di S. Cono, Patrono della Diocesi. Il Vescovo partecipa ai lavori della CEC nell’Abbazia di

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6 giugno 7 giugno 8 giugno

9 giugno 10 giugno

11 giugno

12 giugno

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15 giugno 16 giugno 17 giugno

Cava de Tirreni. Il Vescovo conclude le solenni Quarantore nella Chiesa di S.Alfonso De Liguori in Francavilla Fontana (BR). Nel pomeriggio il Vescovo incontra i cresimandi della Parrocchia Immacolata di Sapri. 19,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia S. Antonio di Padova in Sala Consilina. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia Immacolata di Sapri. In mattinata il Vescovo amministra il Sacramento del Battesimo ad alcuni bambini immigrati nella Parrocchia di Sanza. 18,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica e la processione nella Solennità del Corpus Domini a Teggiano. Il Vescovo con il Presbiterio partecipano alla giornata sacerdotale presso l'Abbazia di Cava dei Tirreni. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica in località Lupinata di S. Marina Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucarestica per i 100 anni della presenza delle Suore Francescane di S. Antonio a Sapri. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S.Antonio nella Parrocchia di Castel Ruggiero Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa della Madonna della Tempa a S. Rufo. 20,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica per il XXV anniversario della cappella di S. Gaetano in Caiazzano. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Vito nella Parrocchia Immacolata in Sapri. Il Vescovo interviene al Capitolo delle Suore Benedettine di S. Gertrude in Napoli. 11,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia Sacro Cuore di Gesù in Prato Perillo

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18 giugno 20 giugno 22 giugno 23 giugno 24 giugno

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27 giugno 28 giugno 29 giugno

30 giugno

18,30: il Vescovo presiede i Vespri nella Parrocchia S. Stefano in Sala Consilina. 11,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Marina Vergine in S. Marina. Il Vescovo partecipa al Convegno su S. Alfonso presso la Basilica di Pagani. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Cattedrale di S.Agata dei Goti. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia S. Martino in Serre. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Parrocchia S. Demetrio in Morigerati. 18,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Basilica di S.Alfonso in Pagani. 12,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Vincenzo Ferreri nella Parrocchia S. Daniele e S. Nicola in Camerota. 18,00: il Vescovo preside la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella parrocchia S. Giovanni Evangelista in Sassano. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la cresime nella parrocchia Ss.ma Annunziata in Sala Consilina. Convegno Diocesano. Convegno Diocesano. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Parrocchia S. PietroApostolo in S. Pietro al Tanagro. 11,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Pietro a Montesano Scalo. 18,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia SS. Pietro Apostolo e Benedetto in Polla. Il Vescovo partecipa al Convegno: La Famiglia e le imprese: crisi e nuove povertà. Nel pomeriggio il Vescovo partecipa al Recital dei bambini del centro tenuto dall’Arciconfraternita della SS.ma Trinità in Napoli.

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Luglio 2012 1 luglio 7 luglio

8 luglio

15 luglio

16 luglio

17 luglio

18 luglio 19 luglio

20 luglio 21 luglio 22 luglio 25 luglio

Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia Immacolata in Scario. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la cresima nella Parrocchia S. Cristoforo in S. Cristoforo. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica presso la località Campolongo. 17,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia S. Maria delle Grazie in Pertosa. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia S.Anna in Montesano. Il Vescovo presiede i Vespri nella Parrocchia S. Stefano in Sala Consilina. 6,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica presso il Santuario Madonna del Carmine in Buobabitacolo. 12,00: il Vescovo presiede la supplica presso il Santuario Madonna del Carmine in S.Arsenio. 17,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica e benedice la nuova Cappella della Suore Vocazioniste in Marina di Camerota. 11,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica presso il Santuario Madonna del Carmine in S.Arsenio. il Vescovo visita l’Oratorio della Parrocchia S. Marco Evangelista in Teggiano. 19,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia S. Matteo e S. Margherita in Sicignano degliAlburni. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Elia profeta in Buonabitacolo. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa della Madonna del Carmine inAcquavena. Il Vescovo visita l’Oratorio della Parrocchia di Bellosguardo. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed ammi-

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26 luglio 28 luglio

29 luglio

nistra la Cresima nella Parrocchia S. Giacomo Apostolo in Monte S. Giacomo. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia di Galdo degliAlburni. 11,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Lucido inAquara. 20,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresime nella Parrocchia S. Alfonso in Padula Scalo. 10,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia di Poderia. 18,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia di Celle di Bulgheria.

Agosto 2012 1 agosto 2 agosto 3 agosto 4 agosto 5 agosto

6 agosto 7 agosto 8 agosto

Il Vescovo partecipa alla festa di S. Alfonso in S. Agata dei Goti. Presiede il Card.AngeloAmato. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Onofrio nella Parrocchia S. Nicola di Bari in Petina. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia di Sanza. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia di Castelcivita. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa patronale della Madonna della Neve nella Parrocchia di Celle di Bulgheria. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella memoria di S. Cono in Cadossa. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Parrocchia S. Giovanni Battista in Padula. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Donato in Controne. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Vincenzo Ferreri in Castelluccio Cosentino.

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9 agosto 10 agosto

11 agosto 12 agosto

13 agosto 14 agosto

15 agosto 16 agosto

17 agosto

18 agosto 27 agosto

28 agosto 30 agosto 31 agosto

Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Lorenzo in Torre Orsaia. 12,00: il Vescovo presiede l'Ora media nella Certosa di Padula. 18,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Lorenzo in Torre Orsaia. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa patronale della Madonna di Portosalvo in Villammare Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nell’anniversario della dedicazione della Chiesa Cattedrale. 19,30: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Parrocchia S. Giovanni Battista in Sapri. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia di Roscigno. 11,00: il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Cattedrale di Policastro. 20,30: il Vescovo partecipa al pellegrinaggio a piedi dalla Cattedrale di Policastro al Santuario di Pietrasanta. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Solennità dell'Assunta nella Cattedrale di Policastro. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa patronale nella Parrocchia di S. Matteo e S. Margherita in Sicignano degliAlburni. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia Maria Ss.ma Assunta in Caselle in Pittari Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Rocco nella Parrocchia di Bosco. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia S. Maria Maggiore in S. Rufo. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia di Bellosguardo. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica al porto di Sapri per le vittime della strada. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica la festa di S. Egidio in Latronico.

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Settembre 2012 5 settembre 6 settembre 7 settembre

8 settembre 8 settembre

9 settembre 10 settembre 10 settembre

11 settembre 11 settembre 16 settembre 21 settembre 22 settembre 24 settembre

24 settembre 25 settembre 26 settembre

Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nel Santuario Gesù Bambino di Praga in Pagani Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia di Licusati Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica per la commemorazione del Servo di Dio Federico Pezzullo nella Concattedrale di Policastro Bussentino Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Parrocchia diArenabianca Il Vescovo partecipa alla conferenza stampa per la I Giornata Diocesana per la salvaguardia del creato presso il Seminario di Teggiano Il Vescovo partecipa alla "Escursione costa napoletana» Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Festa di S. Gerardo presso la Parrocchia di Roscigno Il Vescovo partecipa al "Convegno degli storici del Cristianesimo dell'Italia Meridionale: "A 50 anni dal Vaticano II", Velia diAscea Marina, Villa Sacro Cuore Incontro Mensile del Clero giovane, Teggiano Il Vescovo partecipa al Convegno per i nuovi vescovi, Roma Il Vescovo interviene al Convegno Presidenti Parrocchiali A.C., Teggiano Il Vescovo presiede la Dedicazione della nuova Chiesa e dell'Altare della Parrocchia S. Giovanni Battista in Sapri Il Vescovo partecipa al Convegno I giornata diocesana Salvaguardia del creato, Teggiano Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica per il X Anniversario dell'Ordinazione presibiterale di don Pasquale Pellegrino, Santa Marina Incontro Presbiteri della Diocesi - Responsabile Diocesano Oratori, Teggiano Incontro responsabili degli uffici pastorali diocesani, Teggiano Incontro CommissioneArta Sacra, Teggiano

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27 settembre Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Festa della traslazione delle reliquie S. Cono, Teggiano, Cattedrale 29 settembre Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Festa di S. Michele, Patrono di Caselle in Pittari 29 settembre Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Festa S. Michele, Patrono della di Sala Consilina, Parrocchia Ss.Annunziata 30 settembre Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed il rito di Ammissione tra i candidati all'Ordine Sacro, Teggiano Cattedrale. 30 settembre Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia di Prato Perillo

Ottobre 2012 1 ottobre 2 ottobre 2 ottobre

3 ottobre

4 ottobre 4 ottobre

5 ottobre 6 ottobre 7 ottobre 7 ottobre

Assemblea CEC, Montevergine Incontro Foraniale dei Sacerdoti Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella novena do S. Francesco, Parrocchia S. Stefano, Sala Consilina. Il Vescovo partecipa alla celebrazione per il XXV di Episcopato di S.E. Mons. Gioacchino Illiano, Vescovo emerito di Nocera-Sarno Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica presso Istituto Religiose Sacri Cuori di Ges첫 e Maria in Polla Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Festa di S. Francesco, Patrono di Policastro Bussentino, Concattedrale Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella novena della Madonna del Rosario in Celle di Bulgheria Il Vescovo partecipa al Convegno "Beato Tommaso Maria Fusco" a Pagani. Incontro Sacerdoti ordinati ultimo triennio Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia di Terranova

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9 ottobre 13ottobre 13 ottobre 14 ottobre 14 ottobre 16 ottobre 20 ottobre 21 ottobre 23 ottobre 26 ottobre 27 ottobre 27 ottobre 27ottobre 27ottobre 28 ottobre 28 ottobre 28 ottobre

30 ottobre 30ottobre

31 ottobre

Incontro Mensile Clero giovane Assemblea Regionale CISM-USMI Pompei, Centro Educativo Il Vescovo presiede la Celebrazione di apertura dell’Anno della Fede, Teggiano Cattedrale Incontro Mensile delle Religiose, Teggiano Festa UnitariaA.C. Diocesana, Policastro Bussentino Incontro con i Vicari foranei, Teggiano Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia di S.Arsenio. Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima nella Parrocchia di Controne Consiglio Presbiterale, Teggiano Corso di Formazione animatori Caritas parrocchiali, Padula, Parrocchia S.Alfonso Veglia Missionaria, Sapri - Parrocchia San Giovanni Battista Week-end Vocazionale, Padula Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima, Teggiano, Cattedrale Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica presso l'Istituto Suore Elisabettine Bigie di Capitello Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Parrocchia di Tardiano Incontro VocazionaleAdolescenti (15-19 anni), Padula Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica per la chiusura del Santuario nel periodo invernale, San Giovanni a Piro, Santuario Maria SS. di Pietrasanta Incontro Mensile del Clero Teggiano Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica per la Peregrinatio Madonna di Viggiano, Sala Consilina, Parrocchia SS. Trinità Il Vescovo partecipa al concerto presso la Parrocchia di Bellosguardo

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Novembre 2012 1 novembre 1 novembre 2 novembre 3 novembre 4 novembre 4 novembre 6 novembre 6 novembre 10 novembre 11 novembre 11 novembre 11 novembre 13 novembre 16 novembre 16 novembre 18 novembre 18 novembre 20 novembre 21 novembre

22 novembre

Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica, Teggiano, Cimitero Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica, Teggiano, Cattedrale Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica, Policastro Bussentino, Cimitero PensarePlurale - Incontro Pastorale Giovanile, Sala Consilina Veglia Vocazionale Forania Padula-Montesano, Buonabitacolo Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Parrocchia di Ottati Il Vescovo partecipa alla Celebrazione per il 50째 di Sacerdozio Mons. Liberati, Pompei, santuario Incontro Foraniale dei sacerdoti Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima - Foggia, Parrocchia S.Alfonso Incontro Mensile delle Religiose, Capitello Incontro con i membri dei comitati festa parrocchiali, Teggiano Incontro Sacerdoti ordinati nell'ultimo triennio Incontro Mensile del Clero Giovane Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Giuseppe Moscati presso Boscotrecase. Consiglio DiocesanoAffari Economici, Teggiano Il Vescovo partecipa alla Giornata del ringraziamento per i doni della terra, Parrocchia di Tardiano Veglia Vocazionale della Forania di Camerota, Torre Orsaia Incontro con i Vicari Foranei, Teggiano Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Giornata delle Claustrali, Roccagloriosa, Chiesa Monache Carmelitane di clausura dell'antica osservanza della Croce di Lucca. Il Vescovo presiede la Celebrazione dei Vespri nelle Qua-

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24 novembre 25 novembre 25 novembre 25 novembre 27 novembre 28 novembre

29 novembre 30 novembre

rantore, Sala Consilina, Parrocchia San Pietro Incontro Diocesano animatori liturgici, cantori e musicisti per la festa di S. Cecilia Padula, Convento S. Francesco Giornata di spiritualità per le religiose della regione, Pompei, Centro Educativo Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima, Sala Consilina, Parrocchia SS. Trinità Il Vescovo presiede la Celebrazione a conclusione delle Quarantore, Teggiano, chiesa S. Francesco Ritiro Mensile del Clero - presentazione nuovo rito delle esequie, Teggiano Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica con i Ragazzi dell'Oratorio "Amico Gesù" nella Parrocchia San Cristoforo Consiglio Pastorale Dioceasano, Teggiano Corso di Formazione animatori Caritas parrocchiali Padula, Parrocchia S.Alfonso

Dicembre 2012 1 dicembre 2 dicembre 2 dicembre 2 dicembre 3 dicembre 3 dicembre 4 dicembre 5 dicembre 5 dicembre

5 dicembre 6 dicembre

Week-end Vocazionale, Padula Ritiro Confraternite, Policastro Bussentino Incontro Vocazionale Ragazzi (6-11 anni), Padula Giornata dell'IdentitàA.C., Teggiano Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica, Polla Parrocchia S. Nicola dei Latini Assemblea CEC, Pompei Incontro Foraniale dei Sacerdoti Visita del Vescovo ai seminaristi, Pontecagnano-Faiano, Seminario Il Vescovo partecipa al Convegno per la Giornata Nazionale della Saluta Mentale, Sala Consilina, Bottega dell'orefice Lectio Divina nelle Foranie Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Nicola, titolare della Parrocchia, Castelcivita.

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6 dicembre 7 dicembre 8 dicembre

9 dicembre 9 dicembre 9 dicembre 10 dicembre 11 dicembre 12 dicembre 13 dicembre 15 dicembre 16 dicembre 16 dicembre 17 dicembre 18 dicembre 19 dicembre 22 dicembre 23 dicembre 23 dicembre 24 dicembre 24 dicembre

25 dicembre

Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Festa di S. Nicola, titolare della parrocchia, Roscigno Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima, Sala Consilina, Parrocchia S. Stefano Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella Solennità dell'Immacolata Concezione della B.V. Maria, Teggiano, Cattedrale Incontro Sacerdoti ordinati nell'ultimo triennio Incontro Mensile delle Religiose, Teggiano Ritiro Insegnanti Religione Cattolica, Teggiano Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica - Aeronautica Militare S.Arsenio Incontro Mensile del Clero giovane Lectio Divina e Liturgia Penitenz nella Forania di PadulaBuonabitacolo, Padula Parrocchia S.Alfonso Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa di S. Lucia, Vibonati Incontro membri Consigli Pastorali e Consigli Affari Economici Parrocchiali, Teggiano Veglia Vocazionale Forania di Polla, San Rufo Il Vescovo partecipa alla 7° edizione Premio Giornalismo e multimedialità Centro Studi Tegea - S.Arsenio Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa del Patrocinio di S. Cono, Teggiano, Cattedrale Ritiro di Avvento con i sacerdoti della Metropolia, Pontecagnano, Seminario Lectio Divina nelle Foranie Il Vescovo incontra i Catechisti della Diocesi, Teggiano Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella novena di Natale, Bellosguardo Il Vescovo visita agli ammalati, Polla, Ospedale Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica di Natale, Roccagloriosa, Chiesa Monache Carmelitane di clausura Il Vescovo presiede l'Ufficio delle Letture e la Celebrazione Eucaristica nella notte di Natale, Policastro Bussentino, Concattedrale Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nel giorno

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29 dicembre

30 dicembre 30 dicembre 31dicembre

di Natale, Teggiano Cattedrale Giornata Diocesana della Famiglia con la celebrazione degli anniversari di matrimonio, Padula, Convento S. Francesco Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica nella festa parrocchiale della famiglia, Celle di Bulgheria Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed amministra la Cresima, Tardiano Il Vescovo presiede la Celebrazione Eucaristica ed il Te Deum di ringraziamento, Teggiano, Cattedrale

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APPENDICE



Ordinazione Episcopale di S.E. Mons. Antonio De Luca Duomo di Napoli - 7 gennaio 2012

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Inizio del Ministero Pastorale di S.E. Mons. Antonio De Luca Teggiano - 4 febbraio 2012

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Sommario Papa Lettera Apostolica «Porta Fidei» Messaggio per la Quaresima 2012 Messaggio per la XLV Giornata Mondiale della Pace 2012 Omelia per la XVI Giornata della Vita Consacrata Messaggio per XXVII Giornata Mondiale della Gioventù Omelia per la Messa Crisimale Omelia per la Veglia Pasquale Omelia per l’Apertura dell’Anno della Fede Lettera Apostolica sul Servizio della Carità Omelia per la Messa di Natale

5 19 25 34 37 47 52 56 61 70

Conferenza Episcopale Italiana Messaggio per la XXXIV Giornata Nazionale per la Vita Nota per l’accesso nelle Chiese Messaggio per la XVI Giornata Mondiale della Vita Consacrata 64a Assemblea Generale CEI - Comunicato finale

77 79 81 85

Vescovo Biografia Bolla Pontificia di nomina Stemma Episcopale Primo messaggio alla Chiesa di Teggiano-Policastro Ringraziamento al termine dell’Ordinazione Episcopale Inizio del Ministero Pastorale - Saluto alla Città - Omelia Omelia, visita Concattedrale di Policastro Omelia per il Mercoledì delle Ceneri Messaggio ai Presbiteri Omelia per la Messa Crismale Omelia per la Veglia Pasquale Lettera alle Famiglie della nostra Diocesi Messaggio ai giovani Omelia per i Primi Vespri della Solennità di S. Cono Omelia per la Solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo Omelia per le Ordinazioni Presbiterali Omelia per le Ordinazioni Diaconali Orientamenti Pastorali anno 2012-2013 Omelia per l’Apertura dell’Anno della Fede

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95 96 97 100 103 108 111 118 121 125 133 140 144 154 156 159 163 167 171 217


Curia Atti e nomine Ordinazioni e ministeri Statuto della Curia Statuto del Consiglio Presbiterale Collette anno 2012 Rendiconto relativo alla erogazione delle somme attribuite alla Diocesi dalla Conferenza Episcopale Italiana per l’anno 2011

224 229 230 238 243 245

Uffici Pastorali

252

Avvenimenti

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Studi e interventi XXIII Convegno Pastorale Diocesano Lectio Divina Gv 1,35-51 di don Cesare Mariano "Felici e credenti" di Giuseppe Pantuliano

271 290

Agenda

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Appendice

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DIOCESI DI TEGGIANO-POLICASTRO www.diocesiteggiano.it e-mail comunicazioni@diocesiteggiano.it

Editing, impaginazione e grafica Massimo La Corte

STAMPA Via Degli Edili, 101 - SAPRI (SA) Tel. 0973 603365 - E-mail: legatoria.cesare@alice.it


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