Italia Ornitologica - numero 6/7 - 2021

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Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus

ANNO XLVII numero 6/7 2021

Didattica & Cultura

Il Feomelanismo (1ª parte)

Ondulati ed altri Psittaciformi

I diluiti

Estrildidi Fringillidi Ibridi

Canarini da Canto

Sicalis flaveola o canário-da-terra

Voci dalla siringe



ANNO XLVII NUMERO 6 7 2021

sommario 3 5 13

L’allevamento come arte Giovanni Canali

Il Feomelanismo (1ª parte) Francesco Faggiano

I diluiti Giovanni Fogliati

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OrniFlash News al volo dal web e non solo

Il collezionismo ornitologico (7ª parte) Francesco Badalamenti

Il finocchio selvatico Pierluigi Mengacci

Recensioni - novità editoriali Ivano Mortaruolo

Antonio Duse Roberto Basso e Martina Lando

Il contagio della passione Federico Vinattieri

30° Anniversario A.O.M.

Didattica & Cultura

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Ondulati ed altri Psittaciformi

Sicalis flaveola o canário-da-terra Piercarlo Rossi

Spazio Club Club del Canarino Selvatico

Photo Show Le foto scattate dagli allevatori

Voci dalla siringe Francesco Di Giorgio

Il Passero in una pittura del Secolo XVII Ivano Mortaruolo AMMINISTRAZIONE E PUBBLICITÀ: Segreteria F.O.I.-Onlus Via Caorsana, 94 - Località Le Mose 29122 Piacenza Tel. 0523.593403 - Fax 0523.571613 Web: www.foi.it - E-mail: redazione@foi.it

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Pietro Biandrate

Estrildidi Fringillidi Ibridi

Photo Show

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Lettere in Redazione Attività F.O.I. - Verbale Consiglio Direttivo del 28 marzo 2021

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Italia Ornitologica è la rivista ufficiale della F.O.I. - Federazione Ornicoltori Italiani, pubblicata in 10 (dieci) numeri annuali a cadenza mensile, 2 (due) dei quali in versione bimestrale nel periodo estivo (Giugno/Luglio e Agosto/Settembre). Il numero 6/7 - 2021 è stato licenziato per la stampa il 28/6/2021



Editoriale

L’allevamento come arte di G IOVANNI CANALI

L’

allevamento degli animali ha molti aspetti. Il primo aspetto è quello legato ad esigenze materiali, per ottenere: carne, latte, uova, lana, cuoio; inoltre il lavoro, principalmente il traino o la soma, molto usati una volta ed ancora oggi, specialmente se pensiamo alle slitte trainate dai cani o dromedari e cammelli in località desertiche ecc. Un secondo aspetto è quello della compagnia, che può essere anche terapeutica: si parla molto dei pet. Poi, un terzo è quello militare: un tempo era ben nota l’importanza della cavalleria, mentre oggi si usano altri animali, come ad esempio cani, piccioni e delfini. Pure la polizia usa i cani e dunque potremmo vedervi un quarto scopo. Un quinto è quello sportivo, come l’utilizzo del cavallo in diversi sport: trotto, galoppo, salto ad ostacoli ed altro. Inoltre, ci sono sport ove l’animale è protagonista e l’uomo solo allenatore, come le gare di agilità e lavoro dei cani. Un sesto aspetto attiene ad utilizzi in campo medico e di assistenza, come i cani di accompagnamento ai non vedenti, o l’utilizzo di cavie, da molti osteggiato. Un settimo può attenere alla caccia, ove si usano cani, falchi ed altri animali, ed anche per la pesca con i cormorani. La caccia è da molti osteggiata, tuttavia ha avuto ed ha rilievo. Un ottavo aspetto potrebbe essere l’impiego degli animali in giochi circensi, anche questo da taluno criticato. È evidente che non si possa certo dire che l’allevamento degli animali possa essere stato di scarso rilievo nella civiltà umana! Anzi, senza animali allevati avremmo avuto ed avremmo limiti enormi. Non ho dimenticato due aspetti a noi vicinissimi, ho solo inteso lasciarli per ultimi. Gli aspetti che ci riguardano da vicino sono: l’allevamento destinato a tutelare una specie dall’estinzione e quello amatoriale sportivo, il nostro allevamento. L’allevamento per salvare specie a rischio è un’esigenza recente, purtroppo resa necessaria da ben note situazioni legate alla caccia eccessiva ed alla distruzione dell’habitat. Il nostro allevamento di uccelli domestici ha aspetti diversi che in parte si intersecano con quelli precedentemente indicati; specialmente, come dicevo, la protezione delle specie dall’estinzione. Non a caso diciamo che “allevare è proteggere”. Allevare è anche una compagnia ed una soddisfazione che può ricondursi all’uso

dei pet. Inoltre, l’allevamento consente osservazioni di carattere scientifico non possibili in natura. C’è anche il lato competitivo e quindi, almeno in parte, sportivo nelle gare di bellezza e di canto. Quest’ultimo aspetto comporta la selezione con finalità estetiche, che ritengo abbiano qualcosa a che fare con l’arte. Si può quindi, secondo me, parlare di allevamento con finalità estetiche e quindi artistiche. Già nell’introduzione del mio testo “I colori nel Canarino” segnalo questa possibile visione. In quella sede considero che l’allevatore che persegue finalità estetiche deve però attenersi alle regole dell’allevamento, regole che comportano conoscenze di carattere almeno tecnico, ma talora anche scientifico. L’esempio che faccio è che, se il pittore può dare libero sfogo alla sua fantasia dipingendo anche cose astratte non realizzabili, l’architetto, anche quando progetta con finalità artistiche, non può prescindere dalle regole della scienza delle costruzioni. Potrei aggiungere che gli zootecnici delle razze da reddito sono un po’ come gli “ingegneri dell’allevamento” e gli allevatori che perseguono finalità estetiche come degli “architetti-artisti dell’allevamento”. Nel nostro campo non esiste solo la canaricoltura di colore ma anche quella di forma e posizione, sia con piumaggi lisci che arricciati, nonché il canto. Senza dimenticare l’allevamento di altre specie, ove si seguono linee selettive analoghe. Ora, è mio parere che un allevatore di canarini da canto sia in qualche modo assimilabile ad un musicista, poiché il canto comporta suoni elaborati e gradevolissimi. La canaricoltura da canto comporta accuratissime selezioni ed anche istruzioni con maestri cantori. Prevale la selezione: non a caso il compianto prof. Zingoni sosteneva che il canto fosse la quinta essenza della selezione. Poi abbiamo le specializzazioni sulla forma e posizione lisci ed arricciati, che secondo me hanno somiglianze con la scultura. Mentre la linea selettiva del colore ha attinenza con la pittura, come ho in parte anticipato. Ricordo una frase di una guida esperta di opere d’arte che, di fronte ad un affresco che rappresentava anche uccelli, disse che essi erano le creature più adatte a lodare Dio, poiché sono le sole ad essere belle, che sanno volare

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Editoriale e sanno cantare. Non so se fosse frase sua, originale, ma certo l’ho recepita e penso che sia bello conoscerla per noi allevatori amatoriali. Bisogna distinguere fra bellezza naturale e bellezza conseguita dall’uomo, ancorché utilizzando materiali forniti dalla natura. Un blocco di marmo può essere bello di per sé ma una scultura è cosa ben diversa. Ora, non starò ad approfondire certe disquisizioni filosofiche, se la statua sia stata plasmata oppure se sia stato tolto il superfluo che la nascondeva. Certo, la statua è opera dell’uomo, quindi opera d’arte; il marmo, di per sé, è naturale e, quindi, una bellezza della natura. Pure bellezze naturali sono i paesaggi, a meno che non sia intervenuta la mano dell’uomo a modificarli; bellezze naturali sono le farfalle, come pure i fiori; però, se i fiori sono coltivati e si sono differenziati dalla forma selvatica, grazie alla perizia del floricoltore, allora sono anche e prevalentemente bellezze opera dell’uomo, quindi secondo me con valenza artistica. La stessa cosa per gli animali selezionati: sono sì materiale vivente fornito dalla natura, ma anche dovuti all’abilità dell’uomo che li ha selezionati. Possiamo pensare ai pesci rossi e naturalmente agli uccelli. Ora ci possiamo chiedere se piante ed animali selezionati possono essere considerati opere d’arte viventi. Io direi di sì o, quantomeno, potremmo dire che hanno anche una valenza artistica. Per precisare meglio il concetto, riporto una frase che ho sentito per radio mentre stavo dal barbiere e che mi ha colpito, tanto che ricordo l’episodio. Un personaggio, in effetti veramente brillantissimo, disse in tono scherzoso che si considerava un’opera d’arte, poiché ingenerava emozioni. È indubbiamente vero che l’opera d’arte debba ingenerare emozioni, ma anche una bellezza naturale può farlo. L’opera d’arte deve avere una caratteristica che non ha la bellezza naturale: deve essere opera dell’uomo. Ebbene, un uomo non può essere considerato opera d’arte, poiché i matrimoni dei suoi genitori, dei suoi nonni, dei suoi bisnonni… non sono stati organizzati da un selezionatore con delle finalità, ma sono dipesi in parte dal caso e dalle attrazioni degli antenati. Un animale o una pianta

invece possono, secondo la mia ottica, essere considerati opera d’arte vivente, quando hanno alle spalle una selezione gestita. Ora, mi si potrebbe chiedere una definizione di opera d’arte e di bellezza; ebbene, mi astengo. Occorrerebbero diversi volumi e poi sarebbero opinioni discutibili. Di definizioni ne sono state date tante e diverse nei secoli, per l’arte: dall’imitazione della natura alla spiritualità. Anche la bellezza è difficilissima da definire ed opinabile come concetto. Mi limito a dire che, in ottica personale, nell’arte do importanza all’emozione ingenerata, non all’imitazione pura e semplice della natura. Inoltre, attribuisco decisamente maggior valore alla forma piuttosto che al contenuto. I contenuti sono ampiamente prevalenti in tutti i campi, ma non credo in quello artistico. Un concetto saggio espresso in modo pedante non ha nulla a che fare con l’arte, mentre un discorso assurdo e surreale potrebbe avere rilevanza artistica se espresso in modo piacevole e fantasioso. Questo però non mi impedisce di apprezzare moltissimo i contenuti che possono essere di notevolissimo supporto. Il suddetto pensiero sulla forma, tuttavia, non è trasferibile agli animali selezionati con finalità artistiche. In un mio articolo di taglio filosofico (Sulla filosofia dell’allevamento, I. O. n°4 - aprile 2008) attinente all’allevamento ed alle forme allevate, ho espresso il concetto di “critica della ragione funzionale”. Vale a dire che non ritengo valide le selezioni che vanno contro la funzionalità dell’animale allevato. Cito, ad esempio, razze di cani e gatti con canne nasali così corte da rendere difficile la respirazione, ma di esempi ce ne sarebbero molti altri. Ciò che non è funzionale cade inevitabilmente nel bislacco, quindi non mi pare che lo si possa considerare bello e neppure artistico, se l’arte è anche la ricerca del bello, almeno secondo alcuni. Inoltre, è soprattutto il rispetto per gli animali esseri senzienti, ed anche per le piante, che non deve essere dimenticato. Un animale che soffrisse per deformità selezionate potrebbe ingenerare pena, non tanto emozione positiva. Ora si potrebbe aprire un discorso sui limiti della selezione, ma direi che sarebbe troppo vasto in questa sede, e parzialmente fuori tema.

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DIDATTICA & CULTURA

Il Feomelanismo

La genetica delle mutazioni

Genetica, classificazione e prospettive ornicolturali

(1ª parte) testo di FRANCESCO FAGGIANO, foto M. PICCININI, B. ZAMAGNI, S. LUCARINI G. D’ELIA e M. CENZON

Introduzione Siamo soliti definire come feomelanico il fenotipo di uccelli che palesano “apparentemente” nel piumaggio solo melanina color ruggine, comunemente indicata come feomelanina e tecnicamente riferibile ad un pigmento di natura peptidica nella cui molecola è inglobata cisteina (che è un amminoacido contenente zolfo), elemento che determina la colorazione dal castano al rosso ramato fino al giallo zolfo. Ma quanto la dicitura “feomelanismo” è corretta? Quale mutazione produce un fenotipo così caratteristico? E soprattutto: tale fenotipo è veramente dato solo dalDM topazio, all. Piccinini

l’incapacità sopraggiunta di produrre eumelanina? A tal proposito, le livree feomelaniche sono tutte uguali o esistono differenze che dobbiamo considerare nelle nostre scelte selettive, prescindendo dalle caratteristiche della specie? Spinto da queste incertezze e dalle tante curiosità che il ventaglio di specie interessate da feomelanismo presentano, ho cercato, anche grazie all’interazione e il confronto con diversi colleghi, di approfondire e capire attraverso il mondo scientifico i meccanismi genetici e funzionali del feomelanismo e farne un quadro organico da poter applicare al variegato panorama ornitologico. Vi anticipo che

da quanto emerso in questa mia ricerca, riferita ai fenotipi feo, che più specie presentano, possiamo ipotizzare che probabilmente abbiamo troppo sommariamente compresso col solo termine “feo” (phaeo per la specializzazione del canarino di colore) queste varietà. Per questo, l’approfondimento riportato potrebbe servire a confermare o meno ciò che è veramente un feomelanismo rispetto a ciò che può essere considerato un feomelanismo e suggerirci come dovremmo realmente orientarci nella selezione di questi tipi, che non sono e non possono essere tutti uguali.

Carpodaco feo a disegno orlato, all. Zamagni

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Famiglia ibrida di DM x D. Codalunga topazio, all. Lucarini

Determinazione genetica del feomelanismo In passato si era soliti affermare che un gene è “l’istruzione per produrre una proteina”. Questo è ancora vero, ma oggi si sa che esistono anche pezzi di DNA (geni) che giocano importanti compiti anche se non si occupano di produrre direttamente le proteine, ma ne regolano la produzione o la funzione. Conoscere i meccanismi di produzione e regolazione di processi come la pigmentazione melanica nel piumaggio è importante in ornicoltura, per comprendere ed orientarsi al meglio in un settore sempre più complesso quale è la selezione degli uccelli domestici; ecco perché sono andato a ricercare il fenomeno genetico che ci può spiegare il feomelanismo. Nel mondo della genetica accademica, uno dei loci più studiati relativi alla melanogenesi e, guarda caso, legato all’insorgenza di fenotipi feomelanici, è quello del gene MC1R (primo recettore della melanocortina), che codifica per il recettore di un ormone detto melanocortina (il gene produce una proteina che ha funzione di recettore per l’ormone ipofisario indicato con sigla MHS). La melanocortina è una molecola secreta dall’ipofisi che stimola i melanociti a produrre eumelanina attraverso l’enzima/recettore

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MC1R, che è quello che va incontro a mutazioni. Questo gene (MC1R che produce la proteina omonima) è oggetto di numerose mutazioni di diversa tipologia, alcune delle quali comportano una ridotta funzione del recettore, ovvero il recettore trasmette male (poco o niente) il messaggio dell’ormone melanocortina al melanocita. Come conseguenza, il melanocita non produce eumelanina e si ha un fenotipo caratterizzato da pelle chiara e annessi cutanei rossastri, perché la cellula non riceve il messaggio ormonale “produci eumelanina”. Quindi il melanocita rimane potenzialmente capace di produrre eumelanina, ma non la produce perchè non riceve il messaggio dal recettore che è guasto. Dobbiamo ricordare però che la pigmentazione melanica è un processo che interessa più geni, alcuni dei quali non sono significativamente influenzati dal gene MC1R. Questo permette anche di superare, almeno in parte, il default eumelanico determinato da questo tipo di mutazione, permettendo una seppur artefatta sintesi di melanina scura. Rimane comunque il fatto che l’MC1R è una delle proteine chiave (diremmo la più importante), tra quelle coinvolte nella regolazione del colore della pelle e degli annessi cutanei di mammiferi e volatili

(peli e piume). Si trova sulla membrana plasmatica di cellule specializzate note come melanociti, che producono il pigmento melanico attraverso il processo di melanogenesi. Funziona controllando il tipo di melanina prodotta e la sua azione nel melanocita è quella di “interruttore” per la produzione dell’eumelanina. Quando attivata dall’ormone ipofisario, l’MC1R blocca la produzione di feomelanina e avvia una complessa cascata di segnali all’interno del melanocita che porta alla produzione dell’eumelanina. Questo ci fa dedurre che il melanocita produce “fisiologicamente” solo feomelanina se non interviene la stimolazione ipofisaria su MC1R. Dobbiamo ricordare che è certo che nei mammiferi il recettore possa anche essere “antagonizzato” dal peptide di segnalazione Agouti (leggi livrea selvatica), tecnicamente responsabile della dislocazione delle melanine, che riporta la cellula a produrre la sola feomelanina anche in presenza di melanocortina. In alcuni mammiferi la natura della segnalazione Agouti attraverso MC1R è pulsante e produce il caratteristico pattern di bande alterne giallo e nero (Feo ed Eu) osservabile sulla maggior parte dei peli nei mammiferi selvatici, che ha funzioni protettive per gli UV e mimetiche. In alcune specie, (e probabilmente an-


che in molti uccelli), di contro, la segnalazione Agouti non è di natura pulsante, ma la sua azione di riattivazione della feomelanogenesi a scapito della produzione eumelanica è limitata a determinate regioni, cioè ha un’azione “a zone”. Con molta probabilità è questo il meccanismo che ci dà aree di pigmento feomelanico negli uccelli, come ad esempio la mantellina nel gallo domestico, la guancia nel diamante mandarino e il petto del diamante di Gould, tutte aree in cui, anche se apparentemente abbiamo una pigmentazione feomelanica, in realtà esiste una seppur accennata stratificazione delle due tipologie melaniche, che vede l’eumelanina nella parte bassa, terzo inferiore della piuma o pars plumacea, e la feo nei due terzi superiori. Nei mammiferi, ad esempio, l’azione a zone del gene Agouti è particolarmente evidente nei cavalli, dove il mantello baio ha zampe, criniera e coda nere, ma un corpo rossastro. Per conoscenza va riportato che una notevole eccezione a quanto descritto sono i capelli umani, che non sono né fasciati né striati, quindi si pensa che siano regolati esclusivamente dalla segnalazione MC1R e non vi sia il gene Agouti a dare regolazione ritmica o a zone della colorazione melanica. Ricapitolando, la proteina MC1R è un regolatore o fattore determinante per la quantità e il tipo di pigmenti melanici sintetizzati dai melanociti; peraltro, regola sia la pigmentazione basale che la risposta abbronzante indotta dai raggi UV. La segnalazione MC1R avvia e aumenta la sintesi di eumelanina, stabilendo il rapporto tra eumelanina e feomelanina. Inoltre, migliora il trasferimento dei melanosomi per aumentare la deposizione di melanina nei cheratinociti. Ricordando che sia l’eumelanina che la feomelanina derivano dalla ciclizzazione sequenziale e dall’ossidazione dell’amminoacido tirosina, dobbiamo evidenziare che i primi due passaggi della biosintesi melanica sono condivisi tra i due percorsi, con la conversione della tirosina in DOPA e quindi in DOPAchinone da parte dell’enzima tirosinasi. L’eumelanogenesi e la feomelanogenesi divergono solo dopo la formazione del DOPAchinone. Si deduce che, quando il recettore MC1R non funziona nel me-

lanocita, la molecola precursore delle eumelanina può diventare, o meglio, diventa feomelanina. Altri enzimi oltre alla tirosinasi sono necessari per la sintesi della eumelanina; come sappiamo, dipendono da altri geni e possono essere soggetti anch’essi a mutazioni. Generalizzando, però, possiamo affermare che difetti in altri enzimi implicati nella pigmentazione producano fenotipi ipomelanotici, come le varie forme di albinismo. Sebbene il controllo del passaggio del pigmento tra eumelanina e feomelanina sia regolato da molteplici fattori tra cui il pH dell’ambiente cellulare e i livelli di tirosinasi e l’assetto ormonale, la presenza della proteina MC1R funzionale è necessaria per una sintesi efficace e ordinaria di eumelanina. Il recettore della melanocortina, MC1R, è una proteina altamente polimorfica (può presentare molti alleli) e nell’uomo molte delle varianti con perdita di funzione di questo recettore sono associate al “colore dei capelli rossi”; per similitudine e verifica succede la stessa cosa nei volatili. Il grado di funzione dell’MC1R è correlato all’entità del fenotipo feomelanico, caratterizzando gli individui con varianti del rutilismo. Gli effetti di MC1R e della sua funzionalità sulla pigmentazione basale sono uguali sia nei modelli umani che in quelli animali. Ad esempio, il colore del mantello murino (dei topi) è fortemente influenzato dalla segnalazione MC1R, come chiaramente si evidenzia dalle variazioni nel colore del mantello associate alle mutazioni MC1R. I topi con la mutazione gialla recessiva (mutazione del locus di estensione, o “estensore delle feo”) producono un MC1R non funzionale e come risultato mostrano un colore del mantello feomelanotico, perché la proteina MC1R non attiva la produzione delle eumelanine. Al contrario, un aumento dell’attività MC1R (leggi aumento di sensibilità del recettore o sua iperattività) è stato riscontrato nei cosiddetti fenotipi scuri (recettore iperattivo) ed è associato ad un aumento della sintesi di eumelanina e ad un colore del mantello più scuro. Da quanto asserito, cade con certezza l’idea che sotto l’eumelanina dei mantelli più scuri ci sia feo che non si vede.

Il nido di canarini phaeo, all. D’elia

Carpodaco feo a melanina centrale, all. Cenzon

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Il gene Agouti nella determinazione di aree feomelaniche e non solo Nei mammiferi la proteina di segnalazione per il mantello Agouti, ovvero selvatico, funziona come un inibitore MC1R competitivo, prevenendo efficacemente il legame della melanocortina con MC1R e inibendo l’attivazione del messaggio di sintesi dell’eumelanina e promuovendo così la sintesi della feomelanina. Inoltre, Agouti funziona come un agonista inverso per diminuire la segnalazione basale di MC1R e inibire l’eumelanogenesi. La proteina di segnalazione Agouti era nota per promuovere un fenotipo di rivestimento feomelanotico prima che fosse determinata essere un trasmettitore diretto di MC1R. È espresso nella papilla dermica del follicolo pilifero, dove funge da segnale paracrino (diffusore del messaggio di modifica della fisiologia solo della cellula dov’è presente) per regolare il colore dei peli. Nella pelliccia di alcuni animali, il locus Agouti viene espresso transito-

Carpodaco feo a saturazione completa, all. Cenzon

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riamente per creare bande alternate di feomelanina ed eumelanina sul fusto del pelo, il che si traduce in un mantello mimetico. Ci sono comunque più fenotipi del mantello dipendenti dall’espressione alterata dell’ Agouti. La capacità del gene Agouti di promuovere un fenotipo feomelanotico dipende comunque da un MC1R funzionale che deve andare a occupare per inibire il messaggio della melanocortina. L’effetto inibitorio di Agouti sulla produzione di pigmento eumelanico, tuttavia, è visto con o senza stimolazione concomitante della melanocortina; questo suggerisce che gli effetti di Agouti su MC1R non siano completamente spiegati attraverso la prevenzione del legame con la melanocortina. Ciò significa che il gene Agouti induce feomelanismo anche a prescindere dal’inibizione che determina sul recettore nei confronti della melanocortina. Il legame della proteina Agouti a MC1R porta a una diminuita attività della tirosinasi basale e diminu-

zione dei livelli di tirosinasi e altre proteine correlata alla tirosinasi, prevenendo l’eumelanogenesi ed influenzando anche ulteriori percorsi di segnalazione di MC1R tra cui i processi di proliferazione e migrazione melanosomica. Nel topo e altri mammiferi, mutazioni del gene Agouti (mutazioni mogano e moganoide, due mutazioni che scuriscono) sono associate a fenotipi melanotici, simili a quelli osservati in una mutazione che causa la perdita di funzione dell’Agouti e un guadagno di funzione per mutazione di MC1R (mutazione che fa funzionare di più e meglio il recettore). Le mutazioni ipermelaniche non hanno effetto sui livelli plasmatici di melanocortina e tirosina, ma, impedendo al gene Agouti di interferire con il messaggio di produzione eumelanico, realizzano mantelli più scuri anche in virtù del fatto che tutto il DOPAchinone è trasformato in eumelanina. Deduciamo che la perdita di funzione dell’Agouti determini un’aumentata funzione della melanocortina sul recettore MC1R semplicemente perché manca il suo antagonista; questo determina un aumento della produzione delle eumelanine e del tempo durante il quale viene prodotta. Quindi il gene Agouti, attraverso un fenomeno di antagonismo localizzato del recettore MC1R, produce la pigmentazione feomelanica perché blocca il messaggio eumelanico; attualmente non si riportano mutazioni la cui modifica funzionale induca miglioramenti della sintesi feomelanica, riportabili nuovamente solo a disfunzione del recettore MC1R, unico vero responsabile del feomelanismo. È però interessante osservare come probabilmente livree melanotiche negli uccelli, in virtù di come funziona il recettore MC1R, confermino nei volatili la presenza del gene Agouti, perchè quando funzionante produce mantelli composti da feo e da eu proprio grazie alla particolare interferenza dell’Agouti con MC1R, mentre quando Agouti non funziona produce un “aumento di attività eumelanica” dando mantelli ascrivibili ad esempio all’onice/grigio/guancianera, che oggi sappiamo essere presente, oltre che nel canarino, rispettivamente nel Diamante mandarino, nel Diamante codalunga e nel passero del Giappone, specie che,


ibridate tra loro in presenza della mutazione considerata, hanno prodotto figliolanza mutata. In particolare, è di recentissima scoperta l’allelicità tra il DM guancianera e il codalunga Grigio, grazie all’ibrido del signor Matteo Ciuffreda, di cui parleremo nel prossimo articolo. Altra mutazione che potrebbe essere considerata come indizio della presenza del gene Agouti quale responsabile della localizzatore dei pigmenti melanici, è la mutazione pettoarancio del Diamante mandarino, che teoricamente, lasciando invariato il colore di fondo, sostituirebbe nei disegni (lacrima, zebratura, banda pettorale e scacchi della coda) l’eumelanina con la feomelanina, cosa che in realtà avviene completamente solo su base bruna, mentre nei grigi tale sostituzione sembrerebbe intermittente. Ovviamente, quanto sopra riportato va considerato nell’insieme e semplicemente come mie deduzioni o meglio ipotesi, fatte sì su indizi e confronti, ma basate sulla sola consapevolezza che generalmente, ma non sempre, i fenomeni genetici e le mutazioni ad essi correlabili sono gli stessi tra mammiferi ed uccelli e l’osservazione trasversale può spiegarci il perché delle cose.

or sono nel mio libro “Mutatis mutandi”, edizione FOI, pare che nessuno di questi determini realmente un’incapacità totale dello stesso di indurre la produzione di eumelanina. Per questo, dobbiamo accettare che in tutti i “feomelanici” sia presente comunque una variabile percentuale residua di eumelanina e di questo abbiamo riscontro anche dall’osservazione microscopica, ad esempio di piume dei Passeri del Giappone rossobruni, dove si evidenzia chiaramente ancora abbondante presenza di granuli ovoidali di eumelanina, che si differenziano dalla feo perché questa si presenta come piccoli granuli (un terzo circa di quelli eumelanici bruni) di forma sferica e di colore giallo/arancio. A dire il vero, quando una quindicina di anni fa ho avuto modo di osservare al microscopio le piume di più specie, solo nella guancia del Diamante mandarino (nella varietà grigio/classico) ho riscontrato esclusivamente feomelanina. Consapevolezza che andrebbe forse considerata più attentamente nella stesura degli standard di molte specie. Altra importante informazione da considerare attentamente è il fatto che la quantità di feomelanina prodotta

Il feomelanismo in ornicoltura Abbiamo visto come nei mammiferi e negli uccelli esista una proteina (recettore MC1R) situata nella membrana dei melanociti (le cellule che producono le melanine) che capta il segnale dell’ormone ipofisario (MHS) e induce la cellula a produrre l’eumelanina. Da quanto sopra riportato, dovremmo definire feomelanismo ogni mutazione a carico di questo recettore, che determina una disfunzione responsabile di non trasmettere al melanocita l’informazione che lo induce a produrre eumelanina. Ogniqualvolta il recettore non riesce a trasmettere il messaggio ipofisario “produci eumelanina” al melanocita, il fenotipo derivante va considerato e classificato come una “forma di feomelanismo”, anche in casi dove tale difetto di trasmissione è parziale come nel topazio. Nella realtà dei fatti, pur essendo oggi classificati a livello scientifico, diversi alleli ipofunzionanti del recettore, come ebbi modo di scrivere già 20 anni

DM topazio e D. Codalunga feo, all. Piccinini

nella pigmentazione di un mutante feomelanico è variabile a seconda della forma allelica considerata, sapendo oggi che il gene responsabile del feomelanismo può mutare in diverse forme. Ripetendomi, ricordo che per metà del processo produttivo la melanogenesi è unica per le due tipologie di pigmento e che solo la comunicazione dell’ormone MHS trasmessa dal recettore al melanocita orienta questa cellula a produrre velocemente eumelanina. Quando questa informazione è mancante o artefatta (perché il recettore funziona male a causa di una mutazione), la sintesi feomelanica non rimane invariata e a volte (generalmente) subisce addirittura un aumento, perché il processo di melanizzazione è regolato da un complesso meccanismo multifattoriale di tipo reostatico e assoggettato (con certezza nei mammiferi e per deduzione anche nei volatili) all’azione del gene Agouti. Ovvero, non esiste realmente un interruttore on-off, che stabilisce quale dei due pigmenti vada prodotto in un dato momento, ma solo un orientamento di intensità delle due sintesi (meccanismo probabilmente sfruttato nella selezione del DM ino per ricolorare

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la guancia), perché le molecole di DOPAchinone presenti nel melanocita devono essere trasformate in uno dei due pigmenti. Peraltro, essendo la sintesi delle eumelanine funzione anche di altri fattori come ad esempio la condizione sessuale, l’esposizione ambientale nonché l’azione di altri geni che condizionano il messaggio del recettore per la sintesi eumelanica, è automatico pensare che comunque parte del DOPAchinone sia trasformata in eumelanina anche nei feomelanici. La conferma di quanto asserito la ritroviamo ad esempio nei Passeri del Giappone “rossogrigio” alias feomelanico-onice, argomento che tratterò nel prossimo articolo dedicato ai “melanotici”. È oggettivo, ad esempio, che nel Diamante codalunga e nel Padda, dove sappiamo non esserci dimorfismo sessuale, nei feomelanici i maschi raggiun- Canarini phaeo mosaico rosso, all. D'elia gono intensità e saturazione dei pigmenti melanici più spinti (e più scuri) delle femmine, che appamelanismo, ovvero mutazioni del recetiono così più vicine all’idea estremizzata tore MC1R che, non più in grado di coe forse artefatta di feomelanismo, semunicare esattamente l’informazione condo cui in questi soggetti dovrebbe ipofisaria al melanocita, determina esserci solo feomelanina, ma così non è un’inibizione variabile della sintesi eue probabilmente non può essere. A tal melanica e modifiche quantitative della proposito, ricordo che i migliori canarini produzione della feo. Ad esempio, nel phaeo sono per l’appunto femmine, in canarino di colore abbiamo fissato sia virtù della maggiore carica di feo già nel la forma che consideriamo essere il vero tipo base. Gli approfondimenti tecnici e feomelanismo sia l’allele indicato, sel’evidenza dei fatti ci spingono però a condo il nostro modo di denominare le superare questi esercizi teorici e a convarianti geniche, come topazio, dove il siderare i dati di fatto che sono in primo residuo eumelanico è notevole. Stessa luogo la riscontrata allelicità multipla situazione la ritroviamo nei lucherini eudel recettore MC1R, che produce diropei e per traslazione un po’ in tutti gli verse forme di feomelanismo che posSpinus americani, dove però la situasono spaziare da un blocco quasi totale zione è complicata dalla tipologia andella sintesi delle eumelanine, associato cestrale delle melanine, che vede al mantenimento dell’ordinaria quantità pressoché assente la feo nei classici, di feo prodotta e la sua normale districondizione che determina fenotipi arbuzione periferica sulla piuma, a forme tefatti rispetto all’attesa e di difficile molto conservative della funzione, interpretazione condivisa. Mentre income il topazio, in cui è preservata teressante è il caso del Carpodaco un’alta produzione di eumelanina. In ormessicano, dove sono presenti due alnicoltura abbiamo fringillidi, estrildidi, leli del feomelanismo propriamente ploceidi e probabilmente anche psittadetto, per cui nel primo tipo, considecidi interessati da forme diverse di feorabile come classico feo, il deposito feo-

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melanico non è né amplificato (non vi è aumento quantitativo) né esteso (ovvero dislocato in aree della piuma non di naturale pertinenza). Nel secondo tipo, definibile “feo amplificato”, di contro, purtroppo misconosciuto e quasi estinto perché “rigettato”, la feomelanina risulta appunto sia amplificata, cosa che apprezziamo per la maggiore saturazione del pigmento, che estesa, perché presente anche nella porzione centrale della piuma, dove normalmente non c’è. È ovvio considerare che in questa seconda forma, anche se non in modo chiaramente distinguibile, sia presente molta eumelanina bruna, paragonabile alla condizione del Passero del Giappone rossobruno, laddove mai denominazione fu più adeguata. Un’attenta riflessione ci porta anche a considerare che probabilmente sia nel canarino che nell’organetto è oggi realmente fissata questa seconda tipologia di feomelanismo, che ci viene svelata dal fatto che in entrambe le specie solo i soggetti feomelanici a base bruna presentano il caratteristico vuoto centrale, ovvero il disegno a perle bianche che, per la verità, nell’organetto si ha anche in combinazione col il “perlato” che determina la perdita di eumelanina centrale su testa e dorso. Negli estrildidi abbiamo attualmente sia la mutazione topazio, caratterizzata dal colore marrone molto scuro dei disegni che nel tipo classico sono neri (vedi calotta del padda e bavetta del diamante codalunga), sia una forma di feomelanismo più tipico dove, come detto, si evidenziano sia l’amplificazione che l’estensione della feomelanina, ma anche in questo caso i disegni neri appaiono marroni e non ruggine, cosa ottenibile solo in ceppi selezionati appositamente, che però palesano una perdita generale di saturazione. Tornando al feomelanismo che va a sostituire le eumelanine, chi conosce ad esempio il Padda sa bene che il dorso del tipo classico non potrebbe mai pre-


sentare l’abbondante presenza di feomelanina apprezzabile nei topazio e nei feo, perché apparirebbe un dorso brunastro e non grigio bluastro. Stessa cosa la deduciamo osservando un codalunga classico, dove sulla testa apprezziamo un deciso colore grigio, che non potrebbe esprimersi in presenza della feomelanina che osserviamo nei mutati topazio e ancor più nei feo. Nel Diamante mandarino oggi, grazie alle prove di ibridazione conseguite dal giudice ed esperto di genetica Sergio Lucarini, sappiamo che la varietà topazio è realmente un feomelanismo in quanto ha dato ibridi mutati in accoppiamento con un codalunga feo, mentre sappiamo che quelli chiamati storicamente “feo” non appartengono a detta tipologia di mutazioni. Attualmente, unico caso probabile di allele dominante del recettore che determina il feomelanismo (MC1R) è quello presente nel Passero domestico, dove si sviluppa un fenotipo ca-

ratterizzato da pigmentazione rossobrunastra della porzione esterna delle piume. Ricordo che anche nel pollo domestico esiste la stessa mutazione, detta pyle o meglio “collo oro bianco dominante”, dove su un fondo quasi candido si poggiano aree feomelaniche. Conclusioni Vent’anni fa pubblicai con la FOI, grazie all’intuizione del grande Presidente Cirmi, il mio libro che cercava di trattare in modo trasversale la genetica delle mutazioni del colore degli uccelli che alleviamo, proponendo in modo un po’ pionieristico quello che forse oggi è la base di una conoscenza sicuramente più ampia che, però, come nel caso del feomelanismo, ci pone davanti a riflessioni importanti su come orientare e cosa chiedere dalla selezione che nella quotidianità operiamo nei nostri aviari e che poi i giudici, in sede espositiva, sanciscono con i loro giudizi. Proprio in una

delle tante chiacchierate fatte con gli amici della specializzazione EFI, cercando conferme e conoscenze utili a scrivere questa prima monografia per I.O., il maestro Ficeti, la cui memoria è patrimonio fondamentale per noi tutti, riportava come già trent’anni fa si discutesse di ciò che oggi affermiamo sul rutilismo e il fatto che in fondo, a volte, la conoscenza genetica fa solo da supporto alla selezione fenotipica, ma non ne sancisce i presupposti, che rimangono doverosamente ancorati all’aspetto più appariscente del soggetto, allorquando questo è stabile, ripetibile e coerente con la denominazione, che per questo deve essere più attinente possibile alla varietà che appella. Approfitto per ringraziare della collaborazione Gianni Ficeti, Giovanni Canali, Sergio Lucarini e, per le importanti immagini, Bruno Zamagni, Massimo Cenzon, Manuele Piccinini e l’amico di sempre Giuseppe D’elia.

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ONDULATI ED ALTRI PSITTACIFORMI

FORMA & POSIZIONE PARTIAMO DALLE BASI

I diluiti

Joseph Abrahams riuscì ad ottenere alcuni di questi nuovi uccelli gialli da allevamenti in Belgio e, nel 1884, allevò il primo “Yellow”

di GIOVANNI FOGLIATI, foto di CARLO MANZONI

I

pappagallini Ondulati furono introdotti in Europa dall’ornitologo John Gould nel 1840, quando importò in Inghilterra una coppia che era stata allevata da suo cognato Charles Coxon. Per i primi trent’anni della loro domesticazione, solo la varietà verde chiaro di tipo selvatico era nota ai cultori, ma nel 1872 uccelli con una colorazione del corpo di un Giallo-verdastro pallido furono segnalati in Belgio e in Germania. Questa mutazione venne chiamata “diluita” e fu la prima mutazione osservata nel pappagallino Ondulato domestico. Joseph Abrahams riuscì ad ottenere alcuni di questi nuovi uccelli gialli da allevamenti in Belgio e, nel 1884, allevò il primo “Yellow”, denominazione con cui vennero indicati i Diluiti a fondo giallo in Gran Bretagna. La popolarità della mutazione diminuì dopo che il Lutino divenne disponibile alla fine degli anni ‘30 del secolo scorso. Nel 1896, George Keartland, durante la Spedizione Calvert nel Grande Deserto Sabbioso dell’Australia Occidentale, osservò un pappagallino Ondulato giallo che volava in uno stormo; ciò suggerì che la mutazione diluito fosse saltuariamente presente anche tra le popolazioni selvatiche. Nonostante la mutazione Blu fu descritta per la prima volta subito dopo la comparsa dei Diluiti, nel 1878, e fu stabilizzata nel 1890, per poter osservare la prima combinazione delle mutazioni Blu e Diluito in doppia forma omozigote (entrambe le mutazioni sono autosomiche recessive)

Ondulato di Colore DILUITO fondo giallo (YELLOW), all. Maurizio Manzoni

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solitamente sono neri nel tipo selvaggio, in questa mutazione appaiono di colore Grigio chiarissimo. I marchi guanciali sono color grigio chiaro, nei soggetti migliori bianco grigiastro, le Timoniere principali sono di un grigio-blu pallidissimo. Gli occhi rimangono normalmente scuri, con iridi bianche negli adulti. Attualmente vi è una considerevole variazione nell’intensità della diffusione del verde, ma i migliori esemplari degli anni ‘30 mostravano pochissime soffusioni e le marcature molto deboli. La soffusione Verde diventa progressivamente più scura, ma sempre limitatissima, quando sono presenti singoli o doppi fattori scurenti; in questo caso avremo il Diluito Verde scuro e il Diluito Verde oliva, oltre naturalmente al Diluito Grigioverde. Nella serie Blu l’assenza del pigmento giallo trasforma il colore del corpo in bianco, sebbene questo presenti solitamente una soffusione bluastra, spesso abbastanza marcata. Come nella serie Verde, anche nei Blu avremo: Diluito Azzurro, Diluito Cobalto, Diluito Cobalto viola e Diluito Malva, senza dimenticare il Diluito Grigio. Vi è da precisare che non sempre la presenza dei fattori scurenti è facilmente distinguibile, soprattutto nei migliori soggetti, con la diluizione che può arrivare all’85÷95 %. Sarebbe opportuno quindi denominarli semplicemente a fondo giallo o a fondo bianco, come fanno del resto nei paesi anglosassoni. Anche lo stesso standard del W.B.O. (World Budgerigar Organisation) si limita a denominarli “Yellow” (foto 1) e “White” (foto 2).

Ondulato di Colore DILUITO fondo bianco (WHITE), all. Maurizio Manzoni

si sarebbe dovuto attendere il 1920. Questa nuova combinazione con il Diluito, denominata “White” in quanto a fondo bianco e in analogia con la “Yellow” a fondo giallo, fu allevata per la prima volta in Inghilterra da H. D. Astley nel settembre 1920. Descrizione La mutazione Diluito cambia il colore del corpo del verde chiaro di tipo selvaggio in giallo, con una soffusione variabile di Verde. La soffusione ri-

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sulterà essere più accentuata sul codrione e attorno al becco. Le Ondulazioni e barrature sull’ala, sulla testa, sulle guance, sul dorso e sul collo, che

La mutazione Diluito cambia il colore del corpo del verde chiaro di tipo selvaggio in giallo

L’ereditarietà La mutazione diluito è autosomica recessiva al suo allele di tipo selvatico, quindi un uccello che possiede un singolo allele diluito (eterozigote) è identico visivamente al selvaggio verde. La presenza di un singolo allele “wild-type” è sufficiente per consentire la produzione della normale quantità di granuli di melanina. Un soggetto eterozigote è denominato con il termine di “portatore”.


In un soggetto con due alleli mutati diluito (omozigote), pienamente espressi quindi nel fenotipo, la quantità di granuli di melanina si riduce notevolmente, fino a un massimo del 95% circa della quantità normale. Ciò si traduce in un’intensità molto ridotta dei segni neri e in un minore assorbimento della luce che passa attraverso lo strato spugnoso del midollo delle barbe. Poiché questo assorbimento della luce è una parte necessaria del processo che genera la colorazione blu, anche l’intensità del blu viene notevolmente ridotta. La mutazione Diluito fa parte di una serie di alleli multipli nello stesso locus (la cosiddetta poli-allelia del “DIL locus”), gli altri alleli alternativi della serie sono l’Ala chiara e l’Ala grigia. L’allele Diluito è recessivo a tutti gli altri, quindi, per esprimersi visivamente nel fenotipo, genotipicamente

La mutazione “diluito” fa parte di una serie di alleli multipli nello stesso locus

deve essere omozigote (presente in doppio fattore). Di seguito una tabella riassuntiva dei possibili accoppiamenti, i risultati sono indipendenti dal sesso dei riproduttori, trattandosi di mutazioni autosomiche recessive e non sesso-legate:

Normale X Diluito

100% Normale / Diluito

Normale / Diluito X Diluito

50% Normale / Diluito – 50% Diluito

Ala grigia X Diluito

100% Ala grigia / Diluito

Ala grigia / Diluito X Diluito

50% Ala grigia / Diluito – 50% Diluito

Ala chiara X Diluito

100% Ala chiara / Diluito

Ala chiara / Diluito X Diluito

50% Ala chiara / Diluito – 50% Diluito

Diluito X Diluito

100% Diluito

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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Sicalis flaveola o canário-da-terra testo di PIERCARLO ROSSI, foto AUTORI VARI

I

l Botton d’oro (Sicalis flaveola), è un uccello canoro neotropicale, molto comune nelle aree aperte e nelle grandi pianure del Sud America. Ha una distribuzione molto ampia che comprende la Colombia, il Venezuela settentrionale (dove è chiamato “canario de tejado” ossia “canarino dei tetti”), l’Ecuador occidentale, il Perù occidentale, il Brasile orientale e meridionale (dove è chiamato “canárioda-terra” o “canarino nativo”), Bolivia, Paraguay, Uruguay, Argentina settentrionale e Trinidad e Tobago.

A causa del suo particolare canto, sono spesso tenuti in cattività come uccelli canori in molte zone del suo areale Grazie alla sua rusticità e grande adattabilità, è stato introdotto nel 1960 con successo nelle isole Hawaii, Giamaica e Porto Rico e si è diffuso rapidamente lungo le pianure costiere. A causa del suo particolare canto, sono spesso tenuti in cattività come uccelli canori in molte zone del suo areale, anche se questo è considerato un reato in molte nazioni del continente sudamericano. Grazie all’azione delle autorità e alla sensibilizzazione della popolazione, negli ultimi anni le catture sono sensibilmente diminuite.

Ottimo primo piano di Botton d'oro, all. Domenico Cautillo

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Nido a cassetta con prezioso contenuto, foto e all. Gianni Sassi

La Nidiata appena schiusa, foto e all. Gianni Sassi

Descrizione In passato il Botton d’oro, conosciuto anche con il nome di fringuello zafferano, era stato ascritto alla famiglia degli Emberizidi, ma spostato negli ultimi anni nella famiglia dei Thraupidae. Misura circa 13,5 centimetri (la stessa varia in base alle diverse sottospecie), con un peso di circa 20 grammi. Il maschio ha fronte e vertice di colore arancio dorato molto brillante che si riduce di intensità ai lati del collo. Petto e ventre hanno colore giallo zafferano, mentre il dorso è giallo oliva con strie brunastre longitudinali. Remiganti e timoniere brune con bordature giallastre; zampe corte, solide, di colore bruno carnicino; occhio grande e scuro. II dimorfismo sessuale è abbastanza accentuato. La femmina, infatti, manca della colorazione arancio dorato sulla fronte e vertice, ma conserva toni di colore verde oliva sul dorso e giallo zafferano scuro molto intenso nelle parti inferiori. A 4-6 mesi di età, i giovani maschi risultano essere già degli ottimi cantori, ma ci vogliono circa 18 mesi per acquisire il piumaggio adulto. Sottospecie Esistono cinque sottospecie riconosciute, due delle quali presenti in Brasile. Sicalis flaveola brasiliensis (Gmelin,

Pulli di alcuni giorni, foto e all. Domenico Cautillo

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Un arcobaleno di colori: pulli mutati ed ancestrali, foto e all. Gianni Sassi

1789) - si trova a Maranhão, Piauí, Ceará, Pernambuco, Bahia, Espírito Santo, Rio de Janeiro, Minas Gerais e San Paolo. I maschi presentano la parte superiore della testa arancione brillante, che supera la regione orbitale, dorso olivastro, con poche striature; il giallo sul ventre è molto acceso. Remiganti e timoniere marrone scuro, con il bordo esterno giallo. Femmine e giovani con striature sottili sulla testa e sulla schiena ed una collana gialla striata sul petto, che divide la gola e il ventre, che sono biancastri. Le femmine più anziane tendono ad avere un petto ed una pancia più giallastre e possono assomigliare a giovani maschi. Si trova in quasi tutto il Brasile, anche se risulta essere poco presente nella regione amazzonica; questa specie ha dato alla nazionale di calcio brasiliana

Il Botton d’oro, conosciuto anche con il nome di fringuello zafferano, era stato ascritto alla famiglia degli Emberizidi, ma spostato negli ultimi anni nella famiglia dei Thraupidae

Due piccoli Sicalis appena usciti dal nido, foto e all. Gianni Sassi


il soprannome di ‘Seleção Canarinho’. Gli esemplari maschili del Nordest sono di un giallo più brillante e luminoso, con una corona rosso-arancio e più grande, dorso con poche striature sottili e leggermente verdastro (invece che olivastro). Le femmine, oltre ad essere più gialle, hanno anche una macchia rosso-arancio sulla sommità della testa, anche se più piccola che nei maschi. Alcuni studiosi preferiscono trattare questa forma come una sottospecie distinta. Sicalis flaveola pelzelni - Questa sottospecie è presente in Bolivia, a est delle Ande, Mato Grosso, Mato Grosso do Sul, Paraná, Santa Catarina e Rio Grande do Sul. I maschi hanno la testa striata di scuro e il colore arancione non si estende oltre la regione orbitale. Il dorso è maggiormente striato del S. f. brasiliensis. Ventre di colore giallo in generale più tenue, principalmente sul collo. Ali e coda simili alla forma precedente, ma con molto meno giallo sulle coperture delle ali. Femmine con striature della testa e del dorso più larghe rispetto alla sottospecie brasiliensis. Regione pettorale densamente striata in cui si intravede appena il collarino. Poche striature nella regione ventrale e pancia biancastra. Sicalis flaveola flaveola - Lo si trova in Colombia, Venezuela, Guyana e Trinidad. Introdotto a Panama, Porto Rico e Giamaica. Corona arancione.

Dorso leggermente verdastro e con poche striature sottili, quasi impercettibili. Parti inferiori giallo limone, di taglia maggiore di S. f. brasiliensis. Sicalis flaveola valida - È presente in Perù ed Ecuador, è la sottospecie più grande. Il giallo è leggermente più scuro della sottospecie nominale. Corona rossastra. Più verde sul dorso rispetto alla forma nominale, che si estende fino alla nuca. Becco più grande e più forte. Zampe rosa. Maschi e femmine molto simili. Sicalis flaveola koenigi - Questa sottospecie si può osservare nell’Argentina nord-occidentale, nella regione di Salta e Jujuy. Simile a S. f. brasiliensis, ma il becco è più corto e largo.

Botton d’oro mutato (diluito), foto Domenico Cautillo all. Gianni Sassi

La madre e 4 piccoli, i due centrali sono mutati, foto e all. Gianni Sassi

Una Coppia molto affiatata all ingresso del nido, foto e all. Domenico Cautillo

I soggetti divisi in gabbie singole, foto e all. Gianni Sassi

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Botton d’oro ad occhio rosso, foto del gruppo Criador Amador de canario da terra

Habitat Abitualmente vive nelle pianure aperte ricche di erbe prative di cui ricerca i semi immaturi; lo si può osservare ai margini di foreste nei pascoli abbandonati, del semi-arido Sud America e nelle zone cespugliose di media altitudine. Non disdegna di frequentare frutteti e giardini nelle vicinanze di centri urbani. Al di fuori della stagione riproduttiva, forma piccoli gruppi di non meno di una decina di individui. Il maschio ha un canto mattutino molto ampio e ruvido, diverso dalla canzone diurna. Nel canto, il Botton d’oro emette una serie di note singole e doppie con un breve trillo occasionale, effettuato anche durante il volo; questi finiscono solo quando atterra sui pali posti per delimitare i confini o su di un ramo. Alimentazione Si nutre prevalentemente sul terreno ed è specie prettamente granivora. La conformazione del becco non è molto “specializzata”; questo gli permette di appetire semi di diverso calibro. Occasionalmente si nutre di insetti, soprattutto nel periodo riproduttivo, per avere un maggior apporto proteico nell’allevamento della prole. Lo si può osservare anche su mangiatoie pubbliche poste nei giardini o nei parchi dei centri abitati.

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Soggetto ad occhio rosso, molto docile, foto ed all.Fabiano Souza

Riproduzione Durante l’inverno forma stormi che, con l’arrivo del caldo in tarda primavera, si disperdono alla ricerca di una compagna per poter procreare. Il fringuello zafferano è capace di affrontare tenacemente uccelli di altre specie, anche più grossi di lui, per difendere il suo territorio, che “segna” con il suo potente canto. Solitamente non costruisce nidi, ma si avvale di quelli abbandonati da altri uccelli, specialmente i costruttori di argilla come l’ittero capocastano. A volte nidifica in buche di alberi o piante, nidi in legno e persino nidi di pappagalli; non risulta essere molto selettivo nell’ubicazione del nido e infatti ne sono stati trovati anche all’interno di un teschio di bue o nel bambù forato. Nel caso non riuscisse a trovare nessuna ubicazione idonea è in grado di costruire un nido a forma di coppa in piante epifite (orchidee e bromelie), negli incavi dei muretti a secco e in altri luoghi che offrono protezione. La femmina depone in media 4 uova, di colore verde chiaro o crema con macchie marroni e grigie distribuite su tutta la superficie. Li incuba lei stessa per circa 14 giorni e poi si avvale dell’aiuto del maschio per l’allevamento dei pulcini; in quest’ultimo periodo accentua la propria territorialità.

Essendo un uccello comunemente allevato in Sudamerica, gli amici d’oltreoceano affermano di aver ottenuto ibridi con il canarino ventre giallo (Serinus flaviventris), il canarino domestico (S. canaria), a mio modesto parere cosa molto improbabile, con l’ittero capocastano (Chrysomus ruficapillus) e il fringuello dorato della prateria (Sicalis luteola). Come in diverse altre specie allevate in ambiente controllato, anche nel S. flaveola sono apparse alcune mutazioni che hanno coinvolto un numero sempre maggiore di appassionati sudamericani, come la “diluito”, a trasmissione libera dominante, che ci ha permesso di poter osservare il singolo ed il doppio fattore (come accade anche nel lucherino europeo, nel cardinalino e nel verdone); la “bruno”, mutazione recessiva legata al sesso, nella quale l’eumelanina viene bloccata nella catena di sintesi e la polimerizzazione si ferma ad uno stadio precoce, trasformando il colore nero in bruno, ben visibile su remiganti e timoniere; una forma ad occhio rosso denominata “feo”, mutazione recessiva che elimina completamente l’eumelanina nera, mantenendo intatta la feomelanina. Inoltre, viene selezionata una forma pezzata, denominata “arlecchino”. Vorrei ringraziare Fabiano Suoza, Criadouro Pardal Souza, gli amici di Criatório Pena Dourada per avermi


donato le foto di soggetti mutati allegate all’articolo ed aiutato a capire meglio le nuove mutazioni. Dopo questa breve descrizione della “vita in natura”, vorrei divulgare qualcosa in più dell’allevamento in ambiente controllato, svolto sul nostro territorio. Le importazioni copiose di un tempo sono un lontano ricordo, ma alcuni bravi allevatori del nord Europa sono riusciti a fissare ceppi, ormai consolidati, di questo affascinante Sicalis; inoltre, le mutazioni apparse negli ultimi tempi daranno sicuramente un ulteriore input in questo ambizioso progetto. Questa specie fiera e combattiva ha ammaliato diversi allevatori: tra questi, vorrei citare Carlos Bento, tra i primi a cimentarsi in questa impresa, e poi l’amico e collega giudice Domenico Cautillo e Gianni Sassi, grande appassionato di uccelli del Sudamerica, oltre che di Botton d’oro. Proprio a quest’ultimo allevatore ho rivolto alcune domande per sapere qualcosa in più sull’allevamento del Sicalis flaveola; - Come ti sei avvicinato al mondo dell’ornitologia? La passione dell’ornitologia ce l’ho da sempre; infatti, mia nonna mi raccontava che da piccolo allevavo cocorite e qualche canarino. Con il passare degli anni questa passione è aumentata sempre più e ho conosciuto la F.O.I e tanti appassionati che mi hanno introdotto in questo splendido mondo. - Quali Specie ha allevato negli anni? Una delle mie prime passioni furono gli Agapornis, soprattutto roseicollis e personata, che ho allevato in tutte le loro mutazioni con ottimi risultati espositivi; dopo tanti anni di allevamento di questa specie, mi sono avvicinato al mondo dei fringillidi ed ho incominciato ad allevare i Carpodachi Messicani. - Ti ricordi ancora la prima mostra a cui hai partecipato? E con quali soggetti? Per ragioni lavorative, non sempre ho potuto partecipare alle mostre ornitologiche, ma ricordo che la prima mostra che ho fatto è stata a Cesena con gli Agapornis ed a Faenza con i

Carpodachi Messicani, sempre con ottimi risultati. Inoltre, ho partecipato ai mondiali a Cesena nel 2018 conquistando il terzo posto con i Botton d’oro, risultato di cui vado molto fiero. - Come ti sei avvicinato ai Sicalis e quanti anni sono che li allevi? La prima volta li ho visti su internet e mi hanno subito colpito. Mi sono quindi attivato nella loro ricerca, ma era una specie poco allevata e difficile da reperire. Un giorno, visitando un mercato in Germania con l’amico Domenico Cautillo, mi sono trovato davanti una coppia di Botton D’oro e li ho comprati immediatamente. Tutti i miei compagni di viaggio mi dissero che erano bellissimi, ma difficili da riprodurre. Arrivato a casa molto soddisfatto dell’acquisto, misi i due soggetti in una gabbia da 120 cm ma, notando che litigavano, decisi di separarli.

Quelli furono i miei capostipiti e da allora non ho mai smesso di allevarli, sono passati ormai 10 anni. - Raccontaci qualche tuo piccolo segreto nella metodologia di allevamento. Negli anni ho notato che al di fuori del periodo riproduttivo tutti gli esemplari è meglio che siano posti in gabbie singole, senza la possibilità di vedersi tra di loro. Ho provato, inoltre, a mettere le uova a balia utilizzando coppie di Carpodaco Messicano, sempre con ottimi risultati; infatti, quest’ultimi hanno svezzato i pulli in maniera egregia. - Che dimensioni hanno le tue voliere? Ho alcune voliere all’esterno dove ho inserito qualche coppia nel periodo primaverile, ma allevo normalmente in un locale interno, ponendo le coppie in gabbie da 90 o 120 cm.

Un bel mix di mutazioni, foto e all. Thiago Lazaro

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- Quale materiale poni sul fondo? Io uso in tutte le mie gabbie un fondo anticoccidico naturale che trovo fantastico. - Similitudini con specie allevate in precedenza? Non ho rilevato nessuna similitudine con le specie da me allevate in precedenza. - Passiamo all’alimentazione: riposo, precova, allevamento… Nel periodo di riposo li alimento con una miscela da me creata, composta da 60% scagliola, 40% miglio, panico e grano decorticato. Una o due volte alla settimana fornisco il cetriolo e verdura a foglia verde scura (cicoria, spinaci ecc..). Nel periodo precova, una miscela composta da scagliola, miglio giallo, bianco, rosso con l’aggiunta di erbe prative come panico selvatico, sorgo fresco, foglie e capolini del dente di leone ed altre, senza mai far mancare osso di seppia e grit. Due-tre volte alla settimana, in una linguetta metto un pastoncino con perle ammollate in acqua, a cui aggiungo un buon multivitaminico; in questo periodo fornisco, inoltre, piselli, mais immaturo, qualche bigattino, camole della farina e qualche camola del miele. Alla nascita dei pulli, per i primi 5/6 giorni sono quasi esclusivamente insettivori e hanno bisogno di tantissima proteina. In questo periodo utilizzo le perle al 30% di proteine, piselli e mais immaturo aumentando il quantitativo di bigattini, camole ecc… - Hai notato che prediligono un alimento rispetto a un altro… alimenti che li mandano in estro? Ho notato che sono molto golosi di tutte le semenze immature e con l’aggiunta di insetti vanno in estro velocemente. - Che tipo di nido adoperi e quale materiale per la costruzione? Io utilizzo un nido a cassetta di legno simile a quello degli inseparabili a foro tondo, mentre come materiali per l’imbottitura utilizzo fibra di cocco e juta. - Quante ore di luce hanno nei vari periodi? Nel periodo di riposo le ore di luce

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Il maschio collabora alla costruzione del nido e allo svezzamento dei piccoli

variano dalle 7 alle 8, mentre verso la fine di febbraio comincio ad aumentarle fino ad arrivare ad Aprile ad avere 13/14 ore di luce. - Com’è generalmente la crescita dei novelli? La crescita dei novelli risulta essere abbastanza veloce, anche se questa specie raggiunge la propria livrea definitiva al compimento del secondo anno di vita. - In che modo il maschio collabora nel periodo riproduttivo? Il maschio collabora alla costruzione del nido e allo svezzamento dei piccoli. - Dopo quanti giorni escono dal nido e dopo quanti giorni sono indipendenti? Escono dal nido dopo 12 giorni e diventano indipendenti dopo 30-35 giorni. I fratelli, se crescono assieme non sono aggressivi; invece, se nel gruppo viene aggiunto un soggetto estraneo, viene subito aggredito. - Che tipo di anello occorre? Il diametro ti sembra appropriato? Il tipo di anello è il B ed è appropriato.

Il compianto Gianni Sassi

- Parlaci delle nuove mutazioni: come ne sei entrato in possesso, il comportamento ereditario, gli accoppiamenti consigliati. Essendomi molto appassionato a questa specie, ho incominciato a visitare siti internet sui Sicalis ed ho notato che in Brasile sono state fissate molte mutazioni, così me ne sono subito innamorato; ho scoperto inoltre che un allevatore tedesco possedeva Sicalis mutati e ne aveva da cedere. Mi misi in contatto con lui e scoprii che sarebbe sceso alla mostra mercato di Reggio Emilia, così ritirai due coppie che gli avevo prenotato; lui definiva “diluito” quella mutazione (in Brasile vengono chiamati “opalino”) e sono geneticamente liberi dominanti (come la mutazione presente nel lucherino e nel verdone). I soggetti da me acquistati erano di struttura minuta e decisi di accoppiarli con degli ancestrali del mio ceppo più strutturati, da cui sono riuscito ad ottenere, quest’anno, dei Sicalis mutati di ottima struttura. Quest’anno proverò ad accoppiare diluito x diluito, il che mi dovrebbe permettere di ottenere il 25% di soggetti a doppia diluizione. - Quali progetti hai per il futuro? In futuro continuerò a cercare altre mutazioni di Sicalis; nel frattempo (innamorato delle specie allevate in Brasile) ho già acquistato due coppie di Azulao (Cyanoloxia brissonii) che quest’anno ho riprodotto con successo. Un altro sogno nel cassetto è una coppia di Sporophila angolensis, anche questa specie molto rara in allevamento, almeno in Italia. Ringrazio Gianni per averci permesso di conoscere meglio questa splendida specie. Commiato Nei giorni scorsi, purtroppo, ho appreso dall’amico Cautillo della prematura scomparsa dell’amico Gianni; la cosa mi ha segnato molto, lascia un vuoto immenso nei suoi familiari e nelle persone che lo conoscevano e con lui condividevano questa nostra grande passione. La tua gioia e il tuo entusiasmo continueranno ad alimentare il tuo ricordo nella nostra quotidianità.


S pazio Club N

on solo allevamento e selezione ma anche attenzione al sociale Questo uno degli obbiettivi del Club del Canarino Selvatico. Il Club nato nel 2018 per volontà del Presidente Pasquale De Maio e di un piccolo gruppo di allevatori di questo magnifico esemplare ha in poco tempo raccolto parecchi estimatori in tutta la penisola. In un anno di speranzosa ripresa dopo la pandemia, il Club punta alla definizione degli standard e alla realizzazione della prima mostra specialistica di Club. Nel frattempo, dopo i due convegni svolti a Cassino e ad Arpino nel mese di Maggio, il Presidente Pasquale De Maio ha partecipato e contribuito ad un progetto per le persone diversamente abili presso la struttura “IL GIARDINO DEI SORRISI” nella Città di Aprilia (LT), dove Pasquale ricopre anche la carica di Presidente del Consiglio Comunale. Le persone ospitate nella struttura hanno studiato – nell’ambito del progetto - gli animali di affezione quale i gatti, i canarini e i pappagalli e, oltre a curare una colonia felina di gatti nelle vicinanze della struttura, hanno realizzato dei nidi in legno da sistemare nel parco adiacente. In occasione della presentazione di tale progetto, il Presidente del Canarino Selvatico ha portato con sé un bellissimo soggetto maschio e ha relazionato gli ospiti presenti e i responsabili narrando la storia e l’allevamento di questo uccello, esordendo così: “quando entrate in un negozio di animali o ad una mostra ornitologica a cui partecipate da spettatori, nel vedere

i canarini rossi, gialli, bianchi, verdi, grossi di stazza, slanciati, arricciati, con il ciuffo in testa ecc. ebbene, sappiate che tutti loro provengono da lui, il vero antenato dei canarini, un “dinosauro” non scomparso della loro specie che vive in libertà alle Isole Canarie, nell’Isola di Madeira e nelle Isole Azzorre”. Successivamente si è parlato di allevamento e selezione, nel grande rispetto delle regole di detenzione e sanitarie. L’interesse al tema ha suscitato grande attenzione dei presenti con domande particolari: quanto vive un canarino, la riproduzione, i colori, gli anelli di riconoscimento e, soprattutto, il benessere che donano gli animali di affezione ai loro proprietari. Il tutto terminato con i saluti, gli “arrivederci” e le foto di rito.

Club di specializzazione

Club del Canarino Selvatico

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Questo mese, il protagonista di Photo Show è: PATRIZIO ARCIPRETE RNA 71ZP con la fotografia che ritrae il soggetto “Japan Hoso femmina giallo avorio brinato” Complimenti dalla Redazione!

• Invitiamo tutti gli allevatori a inviare foto di soggetti provenienti dai propri allevamenti, con descrizione della specie, razza e mutazione, all’indirizzo: redazione@foi.it

• All’autore della foto mensilmente prescelta da un comitato interno, verrà offerto in omaggio un libro edito dalla FOI in base alla preferenza e alla disponibilità.

(*) Tutte le foto inviate, anche quelle non pubblicate, rimarranno a disposizione della FOI a titolo gratuito e potranno essere utilizzate, senza alcun limite o vincolo temporale, per pubblicazioni, iniziative e scopi promozionali della Federazione


CANARINI DA CANTO

Voci dalla siringe testo di FRANCESCO DI GIORGIO, foto G. MARSON

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l mondo degli uccelli ha sempre affascinato l’uomo, sin dalle origini. Anche il bambino, nel ritrarre il mondo circostante, sovente e con grande intensità raffigura uccelli. Gli Oscini o uccelli canori (che rappresentano circa l’80% dell’ordine dei Passeriformi) sono musicisti abili e pieni di talento. Comunque, ogni specie di uccelli ha il proprio canto: questo è dovuto a capacità innate, mentre la parte appresa si forma per fasi successive, con l’ascolto del canto di congeneri adulti più esperti, con una graduale acquisizione della necessaria “rifinitura”. Lo stato di competizione indotta, se non è esasperato, costituisce una sti-

Ogni cantore novizio è sempre un individuo distinto e non un clone

molante consapevolezza delle proprie capacità. I canti sono emessi con la siringe, che è un allargamento della trachea ed è provvista di membrane che vengono azionate da piccoli muscoli. Tale parte elastica, rilassata, lascia passare l’aria verso i polmoni senza produrre suoni. In seguito, distesa e per azione delle corde vocali, l’aria viene emessa procurando suoni che sono tanto più belli, forti e potenti quanto più è accentuata la capienza dei sacchi aerei, coadiuvati dall’esofago che fa da cassa di risonanza.

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Le note del tessuto canoro sono di notevole complessità e durata – abbiamo detto – nell’ambito dei Passeriformi. Una complessità che è spesso difficile da tradurre in parole. Si può ricorrere a sostantivi come “trillo”, “gorgheggio” ed aggettivi come “flautato”, “trillante”, “liquido”, ma nessuna combinazione di parole riuscirà ad evocare pienamente un canto. La capacità di abbellire i gorgheggi tipici – pure questo è già stato detto – è acquisita! Esperimenti effettuati in ambienti insonorizzati, dove agli uccelli non giungeva alcun suono emesso dai loro simili, hanno dimostrato che essi non erano in grado di articolare che in modo molto rudimentale alcune note. In considerazione di ciò, i cantori allevati per competere nelle gare canore vengono letteralmente mandati a scuola dai più anziani ed esperti membri della specie.

Tra i canarini, selezionati per decenni, ci sono virtuosi del calibro del Malinois belga, dell’Harzer di Germania o del Timbrado spagnolo. Ogni cantore novizio è sempre un individuo distinto e non un clone; è “altro” da qualsiasi suo compagno. Non dobbiamo lasciare soli i soggetti educativi a districarsi in un mare di messaggi superficiali e contraddittori. Unificare ciò che è frammentario è un problema educativo e pedagogico di importanza decisiva. Una comunità di apprendimento non nasce di colpo: gli elementi che la compongono si specificano e maturano lentamente. All’inizio il cantore novizio costruisce spezzoni melodici molto scarni e poi, attraverso la ripetizione di suoni e ritmi sentiti dall’oralità adulta, si indirizza alla formulazione del proprio mondo interiore. Gli aspetti emotivo – vocazionali e temperamentali gio-


cano un ruolo cruciale nei percorsi di apprendimento. Il maestro cantore resta il garante degli allievi, affiancato dalla sagacia, dalla duttilità, dall’attenzione vigile dell’allevatore/preparatore. Sono formativi solo gli ascolti di canti acronici, cioè in sintonia con le potenzialità del canarino che deve imparare. Riescono bene solo i canti in assoluta concentrazione sistematicamente ripetuti. La fase guidata non va resa rigidamente sistematica, non va mai forzata. I fraseggi espressi dai modelli adulti, se non saranno recepiti subito, lo saranno in seguito, quando il piccolo amato pennuto sarà da solo e potrà metabolizzare quello che gli è stato comunicato. La misura in cui l’apprendimento recettivo è veramente attivo dipende in gran parte dal bisogno dell’allievo di integrare i contenuti e dalla forza della

sua capacità autocritica. In generale, l’intelligenza diventa via via meno malleabile con l’aumentare dell’età. Il canarino diventa adulto col conseguimento dell’unicità canora. La reale esistenza di differenze tra soggetto e soggetto è certo un bene. Gli apprendimenti ben acquisiti sono quelli che durano nel tempo, cosa difficile da conseguire quando ci poniamo troppi obiettivi o quando questi devono essere raggiunti in modo affrettato. Il convogliatore di Malinois W. Belgi, all’indomani dell’ingabbio ad un certo Campionato Mondiale, dichiarò: “I tours di canto primari (le note d’acqua) aborrono il pastoncino all’uovo, il quale poi non sarebbe altro che un doping, o perlomeno ne provocherebbe tutti gli effetti” (e parimenti, aggiungiamo noi, aborrono niger e canapa, oltre che un’illuminazione eccessiva). I suoni emessi con più facilità sono

quelli insorgenti dalla parte alta della siringe (e da cui, di norma, arrivano note troppo alte o difettose). Dalla parte centrale arrivano i suoni di frequenza media, con vocali A e O, mentre (delizia per il cultore) i suoni magnifici a tono basso arrivano dal più profondo della siringe. Sono basilari le scintille paterne e materne che sono entrate nel corpo del discente e che agiscono entro la coscienza dell’ascoltatore. Così il canto “malinoista” può evolvere a stupenda orchestrazione. Eccolo poeticamente rappresentato: “Vi sente d’un ruscello il roco pianto, e il sospirar dell’aura infra le fronde, e di musico cigno il flebil canto, e l’usignol che plora e gli risponde, organi e cetre e voci umane in rime: tanti e siffatti suoni un suono esprime” (T. Tasso, “Gerusalemme liberata”, canto XVIII)

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DIDATTICA & CULTURA

Il Passero in una pittura del Secolo XVII Considerazioni introduttive e presentazione di un’opera di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (1591-1666) di IVANO MORTARUOLO, foto AUTORI VARI

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l rapporto che lega l’uomo ai passeri non sempre è stato sereno: sia perché questi volatili erano considerati razziatori di sementi e raccolti sia perché, nell’immaginario collettivo, erano anche depositari di altre caratteristiche negative. Per averne un’idea propongo le aspre parole di Alberto Bacchi della Lega che, nell’opera Caccie e costumi degli uccelli silvani (1902), così scriveva: “… La passera reale sarà sempre uno dei parassiti più formidabili che la Natura ci abbia posto intorno… Del resto ghiotta, pettegola, rissosa, lasciva, feroce, dall’alba alla sera non vive e non lascia vivere...” Peculiare appare, altresì, l’affermazione del dottor Luigi Bossi nel suo Trattato delle malattie degli uccelli e dei diversi modi di curarle (1822): “I passeri hanno una vita assai breve, il che si attribuisce, non meno che nei piccioni, alla loro lascivia” (1). È ovvio che tale affermazione costituisce la mera espressione di un pregiudizio diffuso che, alla luce delle attuali conoscenze, risulta privo di qualsiasi fondamento scientifico. Sta di fatto che, in tempi ancor più remoti, questi uccelli simboleggiavano il libertinaggio, l’intemperanza, l’incostanza e, per la loro capacita di distruggere i raccolti, anche il Maligno. Va però evidenziato che, a tale vasto repertorio di deciso segno negativo, si contrapponevano alcuni aspetti meno severi della

G. F. Barbieri detto il Guercino (1591 -1666): “La Madonna del passero”. Olio su tela (cm 78,5 x 58) realizzato nel 1615-1616. Pinacoteca Nazionale di Bologna. Fonte iconografica: Mahon, 1991

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Gesù Bambino, particolare della “Madonna del passero”.Il Guercino evidenzia magistralmente le rotondità corporee tipiche dei bambini

tradizione esegetica cristiana che, naturalmente, offrivano spunti di riflessione di ordine morale e religioso. Per un agevole e immediato orienta-

Passero, particolare della “Madonna del passero”

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mento su quest’ultima realtà, la mia scelta è caduta sul bestiario medioevale intitolato Aviarium, scritto da Ugo di Fouilloy, il quale con molta probabilità visse a cavallo fra il XI e il XII secolo e fu, in tempi diversi, priore di due monasteri. Contrariamente agli altri bestiari, quest’opera prende in esame solo le specie ornitiche. Ampio spazio viene dedicato alle simbologie attribuite agli animali stessi, dalle quali si traggono gli insegnamenti cui debbono attenersi i bravi Cristiani e, segnatamente, tutti gli esponenti del mondo ecclesiastico. Per la realizzazione dell’Aviarium, l’autore ha attinto a eterogenee fonti quali la Bibbia, opere della tradizione esegetica, precedenti bestiari (Fisiologo latino, Etimologie di Isidoro), trattati naturalistici (Plinio e Eliano), ecc. Ma un ulteriore elemento di originalità è costituito dal fatto che, degli oltre trenta bestiari medioevali consultati, solo questo tratta del passero. I vari capitoli dedicati al pennuto costituiscono l’esegesi di alcuni Salmi, dei quali in breve sintesi propongo solo il cap. XXXV, intitolato “Il laccio del Passero”. Il Salmo preso in esame è il 123,7: “La nostra anima è stata liberata come un passero (2) dal laccio dei cacciatori. Il laccio si è spezzato e noi siamo scampati”. Ugo di Fouilloy spiega che “l’anima presenta una somiglianza con il passero... il laccio dei cacciatori sono le ingannevoli parole dei demoni... Il laccio trattiene il passero che è stato catturato quando il diavolo è in possesso della mente... Ma il laccio viene infranto e il passero liberato se, allontanati i desideri carnali, l’anima si converte a Dio”. Detto altrimenti, questa analisi mistico-teologica tende a evidenziare che il laccio del peccato si può tagliare solo grazie al rispetto degli insegnamenti e dei precetti cristiani. Questa breve rappresentazione tornerà utile per cercare di comprendere alcuni aspetti dell’opera che sto per presentare: vale a dire “La Madonna del passero”, un olio su tela (cm 78,5 x 58) realizzato tra gli anni 1615-1616 e attualmente acquisito dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna per disposizione testamentaria di sir Denis Mahon (è lo scopritore e, dal 1946, il proprietario

del dipinto). L’autore è Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino (a causa di un accentuato strabismo), nato a Cento (FE) nel 1591 e morto a Bologna nel 1666. Dimostrò precocemente le proprie attitudini artistiche: a otto anni dipinse su una parete esterna della sua casa la Madonna della Ghiara (patrona di Reggio Emilia) e, alla morte di Benedetto Gennari seniore (1563-1610), a soli diciannove anni divenne il leader indiscusso della bottega nella quale era un collaboratore e socio. A buon diritto è considerato uno dei maggiori esponenti del Barocco italiano e fra i più significativi pittori del Seicento. Non a caso, il Barbieri ricevette l’invito a trasferirsi presso le corti sia di Carlo I (Inghilterra) sia di Luigi XIII (Francia), ma declinò tali allettanti offerte. Mentre fu ben lieto di recarsi a Roma nel 1621 al servizio di Papa Gregorio XV (Alessandro Ludovisi), suo protettore già dai tempi in cui era stato cardinale arcivescovo a Bologna. La storiografia è incline ad assecondare, seppur parzialmente, le affermazioni secondo le quali il pittore centese riteneva di essere un autodidatta, verosimilmente perché, durante i suoi esordi artistici, frequentò botteghe ge-

Rappresentazione grafica proposta da K. Lorenz nel 1943. Vengono evidenziati i caratteri morfologici dei piccoli di mammiferi e uccelli, i quali differiscono sostanzialmente da quelli degli adulti per la loro rotondità. Fonte iconografica: Mainardi,1980


stite da pittori non sempre di grande rilievo. Tuttavia, il Guercino non ebbe difficoltà ad ammettere che, nella fase iniziale della propria attività, venne influenzato dall’arte di Ludovigo Carracci (1555-1619). Parallelamente, quest’ultimo espresse giudizi entusiastici sul Barbieri; una prova è la lettera, datata 25/10/1617, scritta al poeta e collezionista Fernando Carli: “Quivi è uno giovane di patria di Cento che dipinge con tanta facilità de invenzione e gran disegnatore e felicissimo coloritore, e mostro di natura e miracolo da fare stupire a chi vede le sue opere...”. Durante la sua lunghissima carriera (morì a settantacinque anni e fu attivo fino all’ultimo anno di vita), il Guercino seppe imprimere alla propria arte un dinamismo e un processo di trasformazione e maturazione che i critici moderni compendiano in tre periodi o fasi, che però sir Denis Mahon, grande collezionista e insigne studioso di storia dell’arte deceduto nel 2011, estende fino a cinque. Tuttavia, gli esperti sono concordi nel ritenere che le opere del periodo giovanile (orientativamente quelle realizzate fino al 1620) siano particolarmente interessanti, vivide e coinvolgenti. Ed è in tale lasso di tempo che viene realizzata la “Madonna del passero”, un dipinto considerato fra i migliori capolavori del Centese “prima maniera”. Quest’opera, infatti, oltre a presentare alcuni elementi di viva originalità, sa commuovere ed esprimere, in modo potente e nel contempo dolce e poetico, affetti domestici e atmosfere di condivisione e complicità. I protagonisti sono tre: la Madonna, Gesù bambino e il passero, tutti ritratti pressoché di profilo (scelta da ritenere inusuale). Lo scenario è indeterminato ma si può intuire che si tratti di un ambiente famigliare. Mancano, infatti, la solennità formale (si pensi alle Madonne con Bambino raffigurate su dei troni o in ambienti simili) e gli altri dettagli che rimandano alla sacralità (per esempio, gli angeli, i santi, le aureole dorate, i fasci di luce divina). I personaggi sono apparentemente silenziosi, ma il loro dialogo è intenso, intimo e continuo. La comunicazione è resa ancor più evidente dalla natura-

Carlo Crivelli (1430?-1495): “Annunciazione” (più nota come “A. di Ascoli” o “A. con Sant’Emidio”). Tempera e oro su tavola trasportata su tela (cm 207x 146) realizzata nel 1486. National Gallery, Londra. L’uccello indicato con la freccia non è un passero, come riferito nel libro “Lo zoo del Rinascimento” (2001), bensì un vago columbide, forse un piccione o una tortora. Fonte iconografica: www.artesvelata.it

lezza dei gesti e delle espressioni e dal sapiente alternarsi di ombre e luci soffuse. Ne scaturisce una scena pregna di un pathos morbido e penetrante, che sa esercitare sullo spettatore un peculiare fascino ipnotico. La Madonna, la cui bellezza è sobria, soave e rassicurante, nel contesto del quadro solo apparentemente cede il

primo piano agli altri due personaggi. In realtà non ha un ruolo secondario, anzi è Lei che sostiene sia il Bambino sia il pennuto (i quali sono uniti da un filo) e, nel contempo, costituisce un peculiare trait d’union. Fra i tre si viene così a creare un collegamento che funge da circuito dove scorrono intensi rimandi simbolici.

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P. P. Rubens (1577-1640): “Bambino che gioca con un uccello”. Olio su tela (cm 49x40) realizzato ca. nel 1630. Il bimbo raffigurato è Nicola, il figlio dell’autore. Fonte iconografica: www.settemuse.it

Il Bambino è nudo e viene ritratto mentre rivolge la propria attenzione al passero e, per osservarlo meglio, è proteso in avanti. Per riuscire nel proprio intento, si sostiene con la manina destra aggrappandosi al vestito della Madre. La sua immagine è resa ancor più accattivante dalle rotondità corporee: testa grande e arrotondata, fronte alta e arcuata, occhi al di sotto della linea mediana del capo, guance paffute, naso appena pronunciato, arti corti e tozzi e, a completare, una pancetta prominente. Il Guercino, dunque, oltre a proporci una raffigurazione di grande valenza artistica, ha saputo curare ed esaltare tutti i tratti fisionomici che caratterizzano gli infanti e che

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sono in grado di sollecitare negli adulti impulsi attrattivi e protettivi. Si potrebbe così affermare che il Centese abbia avuto il merito di rappresentare dettagliatamente i cosiddetti “segnali infantili”, i quali, di converso, vennero descritti per la prima volta nel 1943 dall’etologo Konrad Lorenz (3). In conclusione, l’arte ha anticipato di gran lunga la scienza! Il passero (Passer italiae), immobile e forse colto in una postura di riposo, si trova davanti al Bambino. Può sembrare che i due si guardino, ma in realtà è alla Madonna che il volatile rivolge lo sguardo (4), perché la posizione laterale degli occhi non gli consente di vedere in modo adeguato davanti a sé:

conseguentemente, con l’occhio sinistro può vedere bene l’immagine femminile e con quello destro un ipotetico spettatore. Forse nelle intenzioni dell’artista il Bambino e il volatile dovevano dialogare anche visivamente, ma la scelta di proporre i tre personaggi non frontalmente ha scaturito il suddetto risultato. Un’altra peculiarità è costituita dal fatto che, per la prima volta, il passero viene raffigurato in una pittura devozionale. Questa osservazione è stata proposta da Francesco Sorce in una sua dotta e ben sviluppata disamina sul quadro in questione. Naturalmente condivido l’attribuzione di tale primato, poiché dissento con quanto sostenuto dalla reputata studiosa Mirella Levi D’Ancona che, nel suo libro “Lo zoo del Rinascimento” (2001), riferendosi al dipinto “Annunciazione” di Carlo Crivelli (1430?1495), così scrive: “Un passero è dipinto su di un’asta sotto il tetto al di sopra della Vergine Annunciata”. In realtà, se si ingrandisce l’immagine, l’uccello apparirà un vago columbide, forse un piccione o una tortora. Il passerotto guercinese è legato con una cordicella la cui estremità è tenuta da Gesù. Sul valore semantico di questo particolare aspetto sono stati espressi, nel corso degli anni, pareri non sempre concordi. C’è chi afferma che si tratti di elementi di mera rilevanza esornativa. Altri sono invece inclini a interpretare la scena come la rappresentazione di consuetudini, spesso ricorrenti nei giovani di campagna, che consistono nel “giocare” con gli uccelli, trattenendoli con del filo fissato a una zampa. A ben vedere, nel periodo preso in esame (ma anche in quelli precedenti e successivi) non sono rare le opere, anche di carattere non devozionale, nelle quali i bambini sono raffigurati con volatili “legati”. Propongo, a titolo di esempio, uno dei numerosi ritratti che il grande Peter Paul Rubens (1577-1640) fece a suo figlio Nicola. In questa immagine, l’autore ben evidenzia il disagio (se non il terrore) del pennuto che, ad ali spiegate, tenta invano la fuga, mentre il bambino sembra assorto nella sua inconsapevole e crudele attività ludica. Tuttavia, le raffigurazioni di vari ram-


polli della nobiltà europea ci documentano che tale consuetudine non era circoscritta ai figli della classe contadina e borghese. Va però evidenziato che nei quadri dei piccoli principi le cordicelle sono, ovviamente, più preziose (dorate, di tessuto colorato, ecc.) e gli uccelli appaiono tranquilli, forse perché ben addestrati o semplicemente assuefatti alla loro condizione (però non si può escludere che tali animali, attraverso il fenomeno dell’imprinting, si siano identificati con i loro possessori e, quindi, erano estremamente mansueti). È interessante notare che questi volatili, al pari di pappagalli parlanti, cani ubbidienti, scimmie ammaestrate e così via, nel Seicento costituivano, soprattutto nell’area fiammingo-olandese, i simboli di un adeguato processo di acquisizione di regole e comandi. Detto in altre parole, quando i pittori volevano sottolineare che ai giovani era stata impartita una buona educazione, arricchivano i dipinti anche con animali di siffatte caratteristiche. Naturalmente i suddetti due orientamenti interpretativi (vale a dire il passero considerato un elemento esornativo o come un oggetto ludico) non si possono accogliere, data la natura devozionale dell’opera in esame e l’evidente rimando allegorico. Mentre, come accennato nella parte introduttiva di questa nota, più convincente appare l’ipotesi che il Guercino, peraltro animato da una consistente fede religiosa (5), si sia sostanzialmente ispirato al Salmo 123,7. Cosicché il passero simboleggia l’anima che, sottoposta alle insidie del peccato (il laccio), può smarrirsi. Però nel dipinto, diversamente da quanto scritto nel Salmo, l’intervento salvifico non viene effettuato con il taglio della cordicella, poiché quest’ultima viene tenuta dal Bambino. Quindi la raffigurazione vuole evidenziare, come sostiene Francesco Sorce, che è Gesù “ad avere nelle mani, letteralmente, il destino dell’uomo”. Così il passero diviene, a mio giudizio, la rappresentazione di una mesta umanità intesa non nella sua accezione di debole natura, facile nel cedere alle lusinghe del peccato e degli istinti, ma nella sua composta ubbidienza nel rivolgersi e affidarsi a Dio.

Note (1) La ridotta longevità dei passeri, naturalmente, non è da imputare alla loro “iperattività sessuale”, bensì a vari fattori come, per esempio, malattie, cibo carente e/o inquinato, predazioni, ecc. (2) Questa è la traduzione del nome del volatile proposta nel testo Aviarium, che differisce lievemente dall’edizione ufficiale C.E.I. della Sacra Bibbia, nella quale è così scritto: “Noi siamo stati liberati come un uccello dal laccio dei cacciatori...”. Si noti che viene indicato il nome di “uccello” e non di “passero”. La spiegazione sta nel fatto che con la parola passer si indicava il passero propriamente detto, ma si designavano anche i piccoli uccelli di non facile determinazione specifica. (3) K. Lorenz (1943), nel suo lavoro Die angeborenen Formen möglicher Erfahrung, segnalò che i piccoli dei mammiferi e degli uccelli hanno in comune delle caratteristiche morfologiche e comportamentali che sono in grado di inibire atti aggressivi e di sollecitare anche impulsi adottivi. (4) Francesco Sorce, anche su questo aspetto, ha un’interessante intuizione interpretativa: infatti, non è l’uccellino che può guardare autonomamente la Vergine, bensì è un privilegio che quest’ultima gli concede.

(5) È noto che il Guercino andava a messa tutti i giorni e che la sera recitava una preghiera prima di coricarsi. Durante la sua vita ha sempre mantenuto buoni rapporti con vari organismi ecclesiastici e, alla sua morte, venne vestito con il tipico abito dei frati Cappuccini.

Bibliografia 1. Bedaux J.B. (2002): Ritratti infantili olandesi. FMR, 150: 75-94. 2. Bicci A. (2004): Guercino, La Madonna del passero. https://www.exibart.com/altrecitta/guercino-la-madonna-del-passero/ 3. Mahon D. (1991): Il Guercino. Nuova Alpha editoriale, Bologna. 4. Mahon D., Pulini M. e Sgarbi V. (2003): Guercino- poesia e sentimento nella pittura del ‘600. DeAgostini, Novara 5. Mainardi D. (1980): I segnali infantili. Psicologia contemporanea 37: 15-21. 6. Mortaruolo I. (1989): I Passeri, questi simpatici pennuti. Italia Ornitologica, 6/7: 15. 7. Sorce F. (1986): La Madonna del passero di Guercino. Problemi di esegesi visiva e simbolismo degli uccelli. Il Capitale Culturale, 18: 85-117. 8. Zambon F. (2018): Bestiari tardoantichi e medioevali. Giunti Editore/Bompiani, Firenze e Milano.

Alonso Sánchez Coello (1531/32-1588): “Le infante Isabella Clara Eugenia e Caterina Michela”. Olio su tela (cm 99x113) realizzato nel 1568 ca. Monasterio de las Descalzas Reales, Madrid. Sono le figlie di Filippo II di Spagna e Elisabetta di Valois. Il cardellino appare calmo e fa bella mostra di sé, ma è fissato a una catenella verosimilmente d’oro. Fonte iconografica: Yannick Vu (“Piccoli principi nella grande pittura europea”),1995.

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O rniFlash Creata un’interfaccia cerebrale che prevede e anticipa il canto degli uccelli

News al volo dal web e non solo

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ricercatori dell’Università della California di San Diego hanno recentemente costruito un sistema di machine learning che prevede ciò che gli uccelli stanno per cantare. Il canto degli uccelli è una forma complessa di comunicazione che coinvolge ritmo, tono e, soprattutto, comportamenti appresi. Secondo i ricercatori, insegnare a un’intelligenza artificiale a comprendere (e a saper costruire tanto da anticipare) il canto degli uccelli è un passo prezioso nella strada per sostituire le vocalizzazioni umane biologiche. Gli uccelli canterini sono un modello interessante di comportamento vocale complesso appreso. Il canto degli uccelli condivide una serie di somiglianze uniche con il linguaggio umano. Studiarlo ha già fornito ottime informazioni generali su meccanismi e circuiti alla base dell’apprendimento, dell’esecuzione e del mantenimento dell’abilità motoria vocale. Anzitutto, il team ha impiantato elettrodi in una dozzina di cervelli di uccelli (fringuelli zebra) e poi ha iniziato a registrare l’attività cerebrale durante il canto degli uccelli. Ma non è sufficiente addestrare un’intelligenza artificiale a riconoscere l’attività neurale degli uccelli durante il loro canto: anche il cervello di un uccello è troppo complesso per mappare interamente il funzionamento delle comunicazioni tra i suoi neuroni. Per questo i ricercatori hanno addestrato un altro sistema per ridurre le canzoni in tempo reale a modelli riconoscibili con cui l’intelligenza artificiale può lavorare. L’elaborazione del canto degli uccelli in tempo reale è impressionante e replicare questi risultati con il linguaggio umano sarebbe una cosa storica. Ma questo primo lavoro non è ancora pronto. E non è ancora adattabile ad altri sistemi vocali. Potrebbe non funzionare oltre il canto degli uccelli. Ma se lo facesse, sarebbe tra i primi, giganteschi balzi tecnologici per le interfacce computer cerebrali dalla rinascita del deep learning del 2014. Fonte: https://www.futuroprossimo.it/2021/06/creata-uninterfaccia-cerebrale-che-prevede-e-anticipa-ilcanto-degli-uccelli/

In due foreste inglesi la metà degli alberi sono stati piantati dalle ghiandaie

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n Inghilterra, due vaste aree agricole abbandonate sono state ora riforestate senza particolari equipaggiamenti né tecnologie, ma grazie all’aiuto prezioso di piccoli uccelli dal piumaggio punteggiato di azzurro: le ghiandaie (nome scientifico Garrulus glandarius). Le due aree, rinominate New Wilderness e Old Wilderness, erano state abbandonate rispettivamente nel 1996 e nel 1961: la prima era un terreno coltivato a orzo, la seconda un pascolo per gli animali. I ricercatori sono rimasti impressionati dalla velocità con cui sono tornate a uno stato selvatico, e quanto questo sia accaduto per merito degli uccelli. Se da un lato, infatti, parte della riforestazione è da attribuirsi all’effetto del vento (già di per sé un’ottima notizia, che dimostra che le aree agricole possono riforestarsi prima del previsto), anche animali come ghiandaie, scoiattoli e topi hanno svolto un ruolo essenziale nel dare forma alla nuova foresta. Dopo solo 24 anni, infatti, la New Wilderness si è trasformata in una foresta giovane e in salute, con una media di 132 alberi per ettaro – metà dei quali (57%) sono querce. Invece, la Old Wilderness ha impiegato 39 anni per raggiungere lo status di foresta matura, con circa 390 alberi per ettaro. La foresta ‘rigenerata’ dovrebbe raggiungere lo status di foresta a tutti gli effetti nel giro di qualche decade, secondo i ricercatori. Molte persone non amano le ghiandaie e per molto tempo sono state considerate come un vero e proprio flagello – afferma Richard Broughton, autore dello studio. – Ma sono state proprio loro, insieme agli scoiattoli grigi, a piantare più della metà degli alberi di queste aree in modo completamente naturale. Fonte: https://www.greenme.it/informarsi/ambiente/cosi-questo-piccolo-uccello-da-sempre-considerato-unflagello-ha-creato-due-foreste-in-aree-abbandonate-da-anni/


O rniFlash Nascono sei pavoni nel carcere di Nisida, pet therapy con i minori ono nati sei piccoli di pavone tra le mura del carcere di Nisida. Sembra una favola a lieto fine ma è accaduto per davvero. Tutto è cominciato da un desiderio che i ragazzi del carcere minorile di Nisida hanno espresso quasi un anno fa. Il pavone, accudito nella riserva verde del penitenziario, si era ritrovato solo per la morte della compagna, colpita da una malattia incurabile. La solitudine dell’uccello che quasi si era lasciato andare, trascurando persino il cibo, non era passata inosservata agli occhi dei minori che, con un pizzico di coraggio, invocarono l’arrivo di una pavonessa. A queste parole, pronunciate da uno dei giovani detenuti, il direttore generale dell’Asl Napoli 1, Ciro Verdoliva rispose con l’arrivo, nel parco verde dell’istituto, di due pavonesse, come concertato con l’equipe veterinaria dell’azienda sanitaria per la poligamia dell’uccello. A distanza di poco più di nove mesi, il pavone non solo è tornato ad esibire la sua ruota variopinta ma è diventato padre di sei piccoli cuccioli, nati pochi giorni fa e accuditi anche dai minori di Nisida. La mossa “fuori programma” del direttore dell’Asl napoletana, in sinergia con la direzione del Istituto Penale Minorile, ha dato vita a un progetto di pet therapy che, già in questa prima fase di accudimento, sta coinvolgendo emotivamente e praticamente i detenuti. I ragazzi di Nisida non hanno esitato a mostrarsi entusiasti e pronti a collaborare per far crescere la nuova famiglia dei volatili. Ai cuccioli non è ancora stato dato un nome ufficiale ma, tra i ragazzi, c’è già chi ha lanciato qualche proposta per rendere più familiari i nuovi ospiti di Nisida. Fonte: https://www.ilmattino.it/napoli/citta/nascono_napoli_pavoni_carcere_ nisida_pet_therapy_minori-6037727.html Foto: https://wwwvitaincampagna.it

Avvistato il primo Albatro Beccogiallo dell’Atlantico in Italia

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maggio primo avvistamento italiano di Albatro Beccogiallo dell’Atlantico. L’incredibile incontro è avvenuto nel Mare di Roma, presso l’AMP Secche di Tor Paterno. Il Mare di Roma continua a regalare splendide sorprese. Non solo delfini, squali o balenotteri, ma anche straordinari uccelli dell’Atlantico che per raggiungere il mare di Roma hanno percorso migliaia di chiloemtri in volo. Il CHM Lipu Ostia e l’APS Sotto al Mare, infatti, hanno comunicato che l’11 maggio, di fronte alla costa compresa tra Ostia e Torvaianica ed in particolare presso l’Area Marina Protetta Secche di Tor Paterno (gestita da RomaNatura), è stato osservato, fotografato e ripreso con il cellulare, uno splendido esemplare di Albatro, identificato come Albatro Beccogiallo dell’Atlantico (Thalassarche chlororhynchos) che, se omologato dalla Commissione Ornitologica Italiana, rappresenta il primo avvistamento per l’Italia. L’albatro è uno dei più grandi uccelli marini al mondo e fa parte della famiglia dei Diomedeidi, reso famoso da una splendida poesia di Baudelaire. L’Albatro Beccogiallo dell’Atlantico presenta la classica colorazione bianca e nera degli albatros, con la testa grigia e grandi macchie intorno agli occhi. In mare, solitamente, questa specie frequenta l’Atlantico meridionale, dal Sudamerica all’Africa, mentre nidifica su isole sparse in mezzo all’Atlantico. L’avvistamento del primo esemplare in Italia di Albatro Beccogiallo dell’Atlantico, compiuto e documentato nei dettagli dal Sig. Corrado De Angelis, rappresenta un evento davvero incredibile. Questi meravigliosi uccelli, dall’apertura alare che supera i 3 metri ed in grado di spostarsi per distanze lunghissime, sono purtroppo minacciati in tutto il mondo da diversi elementi legati all’attività umana, su tutti l’inquinamento (in particolare da plastica) e la pesca accidentale. Per il momento è difficile ipotizzare le ragioni che hanno spinto questo meraviglioso esemplare fin sulla nostra costa. Fonte: https://www.agronline.it/ambiente-territorio/tor-paterno-continua-a-regalare-sorprese-avvistato-ilprimo-albatro-beccogiallo-dell-atlantico-in-italia_25523

News al volo dal web e non solo

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DIDATTICA & CULTURA

Il collezionismo ornitologico I libri di ornitologia testo e foto di FRANCESCO BADALAMENTI

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ccumulare libri (ovviamente solo cartacei) è uno dei punti fermi di chi nutre la passione del biblio-

Settima parte

Pubblicazioni F.O.I. Edizioni; libri in gran parte ancora disponibili presso la Segreteria F.O.I. Via Caorsana, 94 - Loc. Le Mose - 29122 Piacenza. Per ordini, indirizzare la richiesta alla email: ordini@foi.it

1959 “Gli Uccelli esotici” di Vittorio Orlando (Palermo)

filo, così viene comunemente chiamato il collezionista di libri. Normalmente i collezionisti trovano una gratificazione, oltre che nell’assecondare i propri interessi, nell’attenzione di chi ammira gli oggetti della propria collezione sapientemente esposti. Ciò però non accade per i libri che invece attendono, chiusi e custoditi nelle librerie, di essere letti da qualcuno. Ancorché antichi, rari o preziosi, i libri hanno un aspetto esteriore spesso poco allettante, che non incuriosisce; di fatto, chi li colleziona coltiva un gusto solitario. Raccogliere e collezionare libri comporta ovviamente problemi di spazio; bisogna quindi saper scegliere cosa comprare, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo, ma soprattutto saper cosa leggere. Parecchie persone acquistano i libri solo per il piacere di possederli o solo perché interessati all’aspetto della copertina, salvo poi sfogliarli soltanto per guardarne qualche immagine o poco altro. Gli italiani hanno sempre letto poco, ma oggi ancor meno. Nuovi svaghi un tempo inesistenti hanno portato a diminuire sensibilmente l’interesse per la lettura. Tra le cause, internet in primo

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Libricini monografici anni ‘60 della “Piccola collana dell’allevatore” Edizioni Encia - UDINE

luogo, l’abuso dei social media, una televisione che un tempo offriva un numero limitato di canali, oggi presente a tutte le ore e con canali on demand, la disabitudine a leggere testi lunghi e molte altre ragioni sociali, ma soprattutto culturali. Io continuo a leggere e raccogliere libri di ornitofilia (attenzione non di ornitologia, che è ben altra e più complessa branca della zoologia); in genere preferisco sfogliarli, cercarli nelle bancarelle e nei mercatini dell’usato, dove ho scoperto e trovato praticamente libri inte-

ressanti con cui arricchire la mia libreria. Prima dell’avvento pressoché monopolistico delle vendite online, ricevevo per posta alcuni interessanti cataloghi monografici di ornitofilia da parte dalla “Libreria Naturalistica Bolognese” e da “Bergoglio Libri d’epoca”. Entrambe le aziende sono ancora attive e operanti, qui ho acquistato a buon prezzo numerosi volumetti della Piccola Collana dell’allevatore - Edizioni Encia – Udine. Facilmente ancora reperibili sono i numerosi libri degli anni ‘60 e’70, scritti dagli autori più attivi in quel periodo, come

Alcuni tra i libri del prof. Giorgio de Baseggio. Richiedibili a “Il Mondo degli Uccelli”- Via Cerbai n.11 - 40032 Camugnano (BO) email: mondouccelli@gmail.com

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Vaccari, Menasse, Zamparo, Mignone e molti altri. Negli anni ‘80 e ’90 il Prof. Giorgio de Baseggio, assiduo collaboratore di Italia Ornitologica, ha pubblicato numerosi testi di ornitofilia, tra i quali “Campioni e razzatori” è certamente quello che ha riscontrato maggior successo. Più di recente, siamo negli anni 2000, la “Alcedo” edizioni ha pubblicato diversi bei volumi, corredati da un importante supporto fotografico; particolarmente apprezzati, anche all’estero, i libri di Massimo Natale sul Cardellino. Ricca e assortita l’offerta dei volumi pubblicati a cura della Federazione Ornicoltori Italiani, che propone dal manualetto per il neofita, ai testi scientifici, con prestigiosi autori, Zingoni, Massa, Canali, Esuperanzi, e molti altri, che hanno messo a disposizione di tutti gli allevatori le rispettive competenze. Nel 2021 il progetto editoriale della Federazione si è ulteriormente arricchito con una nuova pubblicazione: “Il pianeta dei pappagalli. Origine, evoluzione, di-


Pubblicazioni ornitologiche assortite

stribuzione, caratteristiche e classificazione”, di Gianni Matranga. Voglio concludere questa breve nota con un invito alla lettura, non solo come momento di distensione, ma come occasione di crescita; quindi, per chi volesse cimentarsi nelle ricerche di libri di ornitofilia in rete, suggerisco alcuni tra i numerosi siti specializzati con tantissimi testi in catalogo o disponibili in pochi giorni: oltre all’onnipresente amazon, vi consiglio maremagnum.com, ibis.it, hoepli.it, unilibro.it

The Border Canary - Joe Bracegirdle Saiga Publishing Company, Limited (15 giugno 1981)

Il libro di Ornitologia da record

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el 2015 su AbeBooks si è conclusa la vendita di un raro trattato di ornitologia del ‘700 per la stratosferica cifra di €175.600, battendo ogni precedente record di vendita online; il libro è diventato il più caro di sempre. Si tratta di una rara opera italiana di ornitologia, pubblicata in cinque volumi a Firenze tra il 1767 e il 1776, intitolata “Storia naturale degli uccelli”. Contiene tavole di notevole importanza artistica, colorate e incise a mano con uccelli di tutto il mondo, che ne fanno il libro più importante dell’epoca. L’opera, il più bel trattato di ornitologia edito in Italia, fu commissionata dalla Granduchessa di Toscana, Maria Luisa di Borbone. Il libro deve la sua bellezza al contenuto che lo rende unico, ovvero 600 tavole incise a mano e acquerellate dall’intagliatrice Violante Vanni e dall’Abate Lorenzo Lorenzi, che utilizzarono come modello la collezione ornitologica del Marchese Sen. Giovanni Gerini. L’opera nel suo complesso fu curata dal Prof. Saverio Manetti, medico, fisico, e direttore dell’orto botanico di Firenze dal 1749 al 1782. Gli autori impiegarono ben 10 anni per completare tutti i cinque volumi. Libri anni ‘60 e ‘70

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Canaricoltura - Biologia e allevamento del Canarino domestico

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na nota a parte merita Canaricoltura, un libro F.O.I. di gran pregio che rappresenta una vera e propria piccola enciclopedia dell’allevatore, un testo che non deve mancare nella biblioteca di ogni canaricoltore impegnato. Si tratta di un volume impegnativo, un trattato di circa 700 pagine, considerato a ragione come importante testo di riferimento per l’intero settore. Cosi Pietro Droghetti (in quegli anni Presidente della F.O.I.) presentava il libro: “Noi crediamo che dopo la rinnovata veste di Italia Ornitologica, questa pubblicazione aggiunga altro lustro alla nostra Federazione, meritevole anche di un po’ di riconoscenza e di riaffermata fiducia da parte di tutti gli allevatori, per i quali questo libro è stato scritto dall’autore e da noi pubblicato”. L’Autore, il prof. Zingoni, ha fatto uno sforzo per essere semplice e comprensibile ai più, pur mantenendo un approccio rigorosamente scientifico. Il testo tratta quasi tutto lo scibile sui canarini, in modo profondo. Nel libro non si parla solo di canarini e del loro allevamento, ma vengono trattati vari argomenti connessi, di biologia, di anatomia, di fisiologia, di genetica.

Dopo il successo sia in Italia che all’estero della prima edizione del marzo 1990 (rapidamente andata esaurita, evento raro tra i libri di ornitofilia), nel 1997 è stata stampata la seconda edizione, ulteriormente arricchita ed integrata, ancora oggi molto apprezzata. Sul numero 6/7 di Italia Ornitologica vi è una esauriente recensione di Ivano Mortuaruolo, nella rubrica “scaffale”, dedicata alla illustrazione e presentazione di nuovi testi del settore. Il prof. Umberto Zingoni nato a Firenze nel 1920, laureato in Scienze Naturali, è stato docente universitario di Fisiologia umana. Tra le sue numerose pubblicazioni scientifiche, molte riguardano gli uccelli; è stato autore di oltre 100 articoli per Italia Ornitologica, di valore altamente tecnico, non soltanto sugli Arricciati ma anche su vari argomenti ornitologici. Allevatore e giudice FOI, è stato Presidente della C.T.N. canarini Arricciati. Ha creato insieme a Michele Del Prete una nuova razza italiana di Canarini Forma e Posizione Arricciati: il Fiorino, razza selezionata con un gruppo di amici toscani, riconosciuta a livello internazionale dal 1989, oggi diffusa e apprezzata in tutto il mondo.

I NOSTRI LUTTI

Ciao Giuseppe

In ricordo di Evasio Rampini

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È

omenica 30 Maggio il nostro amico, socio e segretario Faccioni Giuseppe all’età di 70 anni ci ha lasciato. Da qualche tempo non stava molto bene, ma tutti speravamo che superasse questo momento difficile. Amico di tutti, sempre sorridente era molto raro vederlo arrabbiato, Giuseppe è sempre stato una persona affabile e sincera; grazie alla sua bontà d’animo e disponibilità non diceva mai no a nessuno. Giuseppe era punto di riferimento per la nostra associazione: qualsiasi domanda, dubbio o problema veniva prontamente risolta grazie alla sua competenza e grande esperienza. Era un socio attivo del gruppo, sempre presente nelle sere di apertura della sede, sempre il primo ad arrivare e ultimo a lasciare soprattutto in fase di preparazione di mostre, o altri eventi associativi. Per noi soci non sarà facile trovarsi in sede e vedere la sua sedia sempre allo stesso posto vuota, continueremo il tuo lavoro e non dimenticheremo il tuo esempio. Ciao Giuseppe buon viaggio e riposa in pace. I tuoi amici e soci dell’Associazione Ornitologica Legnaghese

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recentemente scomparso Evasio Rampini, veterano dell’Associazione Dilettantistica Ornitofila Parmense. Allevatore di lungo corso, la sua presenza rappresentava un punto fermo di riferimento per la nostra associazione. Umile ed estremamente disponibile, la sua passione per l’ornitologia ha lasciato un segno indelebile in più di un circolo. Quando si pensava all’organizzazione delle mostre e si rievocavano i nomi dei soci più partecipativi, il suo era sempre in cima alla lista. La sua esperienza e la sua versatilità si sono rivelate, negli anni, risorse fondamentali nella gestione delle mostre e di altri eventi dell’Associazione. Appassionato allevatore, ha partecipato attivamente - sempre con buoni risultati - alle manifestazioni ornitologiche nella regione. Persona di meritata stima e sincera simpatia, la sua presenza non sarà dimenticata. Sentiremo la sua mancanza sia sul piano personale che su quello professionale. Un caro ricordo. Ciao Evasio, i soci tutti ti salutano! Consiglio e Soci A.D.O.P.


ALIMENTAZIONE

Il finocchio selvatico Prezioso in cucina, fitoterapia e ornitologia di PIERLUIGI MENGACCI, foto di P. Mengacci, WWW.MELAROSSA.IT e WWW.ITALIASPEZIE.COM

Premessa I giorni scorsi, mentre discutevo con mia figlia Micaela sulla possibilità di utilizzare l’“Eco-Sismabonus 110%” per la ristrutturazione di una vecchia casa colonica a cui andava rifatto anche l’intero sottotetto, mi è tornato in mente un articolo sul recupero di un vecchio sottotetto di una casa di campagna apparso anni addietro sulla rivista “Vita in Campagna”. Per quel che ricordavo, la soluzione strutturale adottata per quella copertura (sottotetto) poteva essere prevista anche nel fabbricato in questione. Rintraccio la rivista e, seduto sul divano dello studio, mi metto a sfogliarla. Ad un certo punto mi colpisce una fotografia che occupa mezza pagina e che riproduce un insieme di fiorellini gialli, come fossero stelline, poste a raggiera a formare tante ombrelline; soprattutto desta la mia attenzione il titolo: “Finocchio selvatico”. Non mi ricordavo di aver letto l’articolo e la mia innata curiosità per tutto ciò che riguarda le piante selvatiche mi spinge a leggerlo, sperando di trovare nozioni interessanti su questa pianta aromatica. L’articolo descrive in modo sommario il riconoscimento della pianta, la sua coltivazione, la raccolta, la conservazione, le caratteristiche botaniche, l’impiego in cucina per insaporire vari piatti e quello in erboristeria, dove vengono consigliati i semi per tisane digestive, diuretiche e carminative. Tutto qui, ed in parte scontato! Sinceramente mi aspettavo di leggere qualcosa di più tecnico e specifico su proprietà, composizione e valori nutrizionali della pianta e dei suoi semi (semi che troviamo nelle varie miscele

per l’alimentazione dei nostri volatili). Un po’ deluso, seguito a sfogliare la rivista… ed ecco l’articolo che cercavo: “Il recupero di un vecchio sottotetto nella casa di campagna”. Inizio la lettura, ma il finocchio selvatico mi rimu-

Dai miei appunti orto-ornitofili e non solo

Finocchio servatico in fiore, foto: P. Mengacci

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gina internamente come un “tarlo” e nel mio subconscio mette a nudo le poche nozioni che ho sui componenti nutrizionali di questa pianta aromatica. Continuo a leggere, il “tarlo” non mi abbandona e alimenta sempre più il desiderio di conoscere meglio queste proprietà. Ad un certo punto: - Mi devo togliere questo tarlo- mi dico - Alla Michi e al suo sottotetto penserò domani - Lascio la rivista sul divano e dall’armadio prendo i miei appunti ed i libri sulle erbe selvatiche ed aromatiche e mi siedo alla scrivania. Non faccio in tempo ad aprire il volume “Segreti e virtù delle piante medicinali” che mia

coniglio in porchetta ed io, fra tutti questi profumi, libri, libretti e computer, cerco di togliermi questo “tarlo persistente”. Caratteristiche botaniche Il finocchio selvatico (Foeniculum vulgare) è una pianta aromatica spontanea, perenne, appartenente alla famiglia delle Apiaceae (Ombrellifere). - Etimologia: Dal latino foenum, fieno, con vago riferimento all’odore del fieno, mentre l’aggettivo vulgare indica una pianta comune e molto diffusa. - L’apparato radicale è a fittone, vigoroso e con molte radici secondarie.

Finocchietto selvatico, fonte: www.melarossa.it

moglie mi chiama: - Gigi, mi fai un favore? Sto preparando il coniglio in porchetta, mi vai a raccogliere alcuni rametti di erbe aromatiche e anche del finocchio selvatico? - Toh, guarda che coincidenza - dico fra me e me - oggi è proprio la giornata del finocchio selvatico! – Faccio il favore a mia moglie, scatto delle foto con il cellulare ad alcune pianticelle e torno nuovamente nello studio. Con le mani impregnate dagli aromi delle erbe officinali raccolte, riprendo a consultare i miei appunti e a sfogliare libri e libretti. Dalla cucina, nel frattempo, sopraggiunge il profumo di cottura del

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- Il fusto eretto, ramificato, striato e midolloso, può raggiungere un’altezza di circa 2 metri; la parte basale, invece, è carnosa, di colore bianco ed emerge dal terreno, stratificandosi in modo radiale; i germogli più giovani sono nella parte interna, e sono buoni sia in misticanze di insalata che in pinzimonio. - Le Foglie: comunemente dette “barbe”, sono fini filamenti verdi e sono commestibili; i giovani germogli possono cogliersi da aprile fino ad ottobre inoltrato. - I Fiori: piccoli e gialli, sono riuniti in eleganti ombrelle larghe fino a 15

cm e composte da raggi, con altrettante ombrellette; vengono raccolti da metà agosto fino a tutto settembre ed anche ottobre, a seconda della stagione. - I Frutti e/o semi: in senso botanico sono degli acheni (frutti secchi contenenti un solo seme); sono quasi cilindrici, lunghi circa 5 mm, tipicamente scanalati, di colorazione striata grigio-nocciola; la maturazione avviene in autunno. - Parti utilizzate: radici, germogli, foglie e semi; hanno sapore amarognolo ma fortemente aromatico e un profumo gradevole e caratteristico. - Habitat: nasce spontaneo in tutta l’area mediterranea, dal mare fino alla fascia sub-montana; predilige zone soleggiate a clima temperatocaldo; cresce e si sviluppa facilmente su terreni sabbioso-argillosi. Nel mio giardino-frutteto è diventato infestante; da una semplice pianticella messa a dimora anni or sono, in primavera lo vedo spuntare ovunque. Curiosità storiche e non solo Anche il finocchio selvatico ha una storia molto antica e nel corso degli anni sono state tramandate diverse curiosità storico-mitologiche. Riporto alcune delle più comuni, più o meno note, e sempre interessanti. Nella mitologia si narra che, quando Prometeo rubò il fuoco a Zeus, lo nascose in un gambo di finocchio selvatico. Nelle feste licenziose dedicate a Dionisio, i sacerdoti adornavano il capo di corone di finocchio selvatico perché ritenuto di buon auspicio. Alcuni storici fanno risalire la conoscenza del finocchio selvatico agli Assiri e Babilonesi, che impiegavano questa pianta sia come medicinale contro il mal di stomaco sia per alimentare gli atleti con i semi affinché mantenessero il peso e la forma fisica. In seguito, lo stesso uso venne fatto anche dagli atleti e gladiatori Greci e Romani. Un’altra curiosità storica è collegata alla città greca di Maratona, dove nel 490 a.C. si disputò la famosa “battaglia di Maratona” tra la polis di Atene e le truppe persiane, in una pianura ricca di finocchi selvatici. Infatti, Maratona significa letteralmente “luogo pieno di finocchi”. È ri-


saputo che Maratona (distante 42,195 km. da Atene) è diventata il simbolo della prima “maratona” in ricordo della corsa compiuta dal soldato ateniese, Filippide, per annunciare ad Atene la vittoria sui Persiani e ha dato il nome alla odierna gara di podismo che si svolge sul percorso di 42,195 chilometri. Gli Egizi, i Greci ed i Romani, oltre all’uso alimentare, ne scoprirono le proprietà diuretico-calmanti e lo utilizzavano per calmare i dolori vescicali, per aumentare la secrezione urinaria, rinvigorire la vista, come antisettico, digestivo e anche afrodisiaco. Anche negli scritti di Apicio e Plinio troviamo riferimenti all’uso del finocchio selvatico sia alimentare che medicinale. Nel Medioevo, oltre alle proprietà succitate, era considerato anche un’erba magica e nei giorni vicini al solstizio d’estate veniva collocato sulla porta di casa per scacciare gli spiriti maligni. Inoltre, si dice che venisse aggiunto alle fiamme del rogo dei condannati, poiché con il suo aroma aveva il potere di coprire l’odore della carne bruciata e di purificare le loro anime. Anche la Scuola Medica Salernitana insegnava che i semi del finocchio selvatico, bevuti con il vino ridestassero il vigore giovanile nei vecchi, a conferma della proprietà afrodisiaca. Durante il Medioevo ed anche in seguito, era usanza di scaltri osti o ristoratori, prima di servire del vino o alimenti “scadenti”, offrire ai clienti del finocchio selvatico per mascherare i sapori acidi del vino o la scarsa qualità dei cibi. Medesima usanza nelle cantine, con l’introduzione di semi di finocchio selvatico nelle botti per coprire il cattivo odore ed il sapore sgradevole del vino prossimo all’acetificazione. Da tutto ciò è nato il detto “Non farti infinocchiare”, nel senso di non farti imbrogliare o raggirare. Nel corso dei secoli il finocchio selvatico non ha perso la propria fama, anzi, recenti studi ne hanno accertato le molteplici proprietà. Valori nutrizionali La conoscenza dei valori nutrizionali (informazioni sulla composizione di un alimento) ci permette di valutare tutto

Inoltre, contengono numerose molecole dal valore nutraceutico, come composti fenolici e flavonoidi (quercetina, isoquercetina, rutina etc.).

Finocchio selvatico nel giardino dell’autore, foto: P. Mengacci

quello che un alimento contiene in modo tale da gestire al meglio ciò che fa più o meno bene alle esigenze fisiologiche di un organismo. Conoscerli è dunque il primo passo per impostare una dieta bilanciata e ben equilibrata. Le sottostanti tabelle, che riportano i valori sia della pianta intera che dei suoi frutti (acheni), dimostrano quanto anche questa pianta selvatica possa essere utile alla salute di ogni individuo. 100 g di finocchietto selvatico circa 30 calorie Acqua: 93,20 g Carboidrati: 1 g Proteine: 1,2 g Grassi: 0 g Sodio: 4 mg Potassio: 394 mg Ferro: 0,4 mg Calcio: 45 mg Fosforo: 39 mg Magnesio: 16 mg Zinco: 0,87 mg Vitamina B1: 0,02 mg B2: 0,04 mg B3: 0,5 mg Vitamina A: 2 μg Vitamina C: 12 mg

Proprietà, benefici e utilizzi vari Il finocchio selvatico è una di quelle piante aromatiche che abbiamo la possibilità di utilizzare tutto l’anno, sia in cucina che in ambito medicinale. Di fatto, la primavera ci offre i nuovi succulenti fusti e le aromatiche foglie; l’estate ci dà una pianta piena di profumate ombrelline fiorite; l’autunno ci fa raccogliere i dolci semi e infine l’inverno la vigorosa radice. Ottimi benefici si possono ottenere dal finocchio selvatico, sia consumato ai pasti sia come rimedio fitoterapico. Grazie alle sue proprietà antibatteriche, antiossidanti, antinfiammatorie, ecc. è di ottimo supporto per la fisiologica funzionalità di stomaco e intestino ed è inoltre un ottimo rimedio in diverse patologie che di seguito verranno elencate al paragrafo sull’impiego fitoterapico. In cucina questa pianta aromatica è molto versatile: - i giovani germogli e le foglie fresche si possono impiegare in vari piatti di pesce, di carne, con verdure e legumi misti; in misticanze di insalata, per minestre e salse. Sono molto noti piatti come la pasta con le sarde o il coniglio

100 g di semi di finocchio selvatico circa 345 calorie Acqua: 8,81 g Carboidrati: 52,29 g Proteine: 15,80 g Grassi: 14,87 g (0,480 g saturi) Sodio: 88 mg Potassio: 1,694 mg Ferro: 18,54 mg Calcio: 1,196 m Fosforo: 487 mg Magnesio: 385 mg Zinco: 3,70 mg Vitamina B1: 0,408 mg B2: 0,353 mg B3: 6,050 mg Vitamina A: 135 UI Vitamina C: 21 mg

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in porchetta con erbe aromatiche (ricetta del mio paese). Famosa è la “Sagra dei Garagoi” di Marotta (PU) o i “bombetti all’Anconetana” (lumachine di mare) vero “streetfood marchigiano”, dove il finocchio selvatico è l’aroma dominante. - Il giovane fusto viene utilizzato per preparare misticanze da aperitivo, oppure lessato o gratinato, come contorno a qualsiasi secondo piatto. - I fiori o i fusti maturi sono impiegati per aromatizzare le olive in salamoia e come condimento per funghi al forno e carne di maiale (porchetta). - I “semi”, il cui gusto ricorda vagamente il sapore dell’anice, sono utilizzati per arricchire gli impasti di pane, taralli, biscotti, grissini etc.; per aromatizzare insalate, piatti a base di pesce, salumi e carni grasse. Consumare del finocchio selvatico per cena, a conferma delle sue proprietà afrodisiache (sic!), secondo un detto del mio paese, stimola fantasie erotiche. Propongo un ottimo digestivo, da servire a fine pasto, facilmente realizzabile in pochi step: pulire il finocchietto selvatico (30/40g di fusto e foglie per 1/2 litro di alcool puro) e lasciarlo riposare in un barattolo di vetro, completamente immerso nell’alcool e chiuso ermeticamente per circa 20/30 giorni, al fresco e al buio. Successivamente, rimuovere il finocchietto, filtrare e versare l’alcol filtrato in una ciotola. A parte, in un pentolino, far sciogliere 250 grammi di zucchero in 1/2 litro di acqua calda, fino a quando questo non si sarà completamente sciolto. Lasciare raffreddare. Mescolare alcool e sciroppo e versare il tutto in una bottiglia con chiusura, tenuta sempre al fresco e buio e aspettare altri 20/30 giorni prima di servire il liquore così ottenuto. Va conservato in freezer come il limoncino. L’uso fitoterapico prevede l’impiego, in prevalenza, dei semi di fi-

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Semi di finocchietto selvatico, fonte: www.italiaspezie.com

nocchio ricchi di molecole nutraceutiche quali flavonoidi, oli essenziali e acidi vari. Infusi e tisane vengono consigliati per una serie di disturbi e risultano uno dei migliori rimedi contro le problematiche correlate all’attività digerente come gonfiori addominali e difficoltà digestive, apportando di conseguenza alcuni miglioramenti anche in caso di vomito, pesantezza, aerofagia e sonnolenza.

Cespugli di finocchio selvatico in crescita, foto: P. Mengacci

- Tisana: fare un infuso con 1 cucchiaio di frutti secchi in una tazza di acqua bollente. Lasciare in infusione per 10 minuti circa, poi filtrare e bere 2/3 tazze al giorno. Si consiglia di tritare i frutti prima di versare l’acqua bollente per ottenere una maggiore estrazione di principi attivi. - Tintura Madre di Finocchio (Soluzione Idroalcolica): 60 gocce, diluite in mezzo bicchiere d’acqua, per 2 volte al giorno, meglio se dopo i pasti. In erboristeria, oltre ai semi, possiamo trovare l’olio essenziale di finocchio selvatico che viene consigliato per suffumigi, aromaterapia, massaggi ecc. Infine, anche in cosmetica, grazie alle proprietà antiossidanti e antinfiammatorie dell’olio essenziale, sono state realizzate creme e shampoo per la bellezza e cura di pelli delicate, capelli e cuoio capelluto. L’uso ornitologico dei semi di finocchio è sicuramente stato introdotto nell’alimentazione dell’avifauna amatoriale non solo per tutte le sue proprietà nutraceutiche, ma anche perché i semi correggono e migliorano, con il loro aroma, l’appetibilità delle miscele. Anche le osservazioni naturalistiche sul comportamento di uccelli granivori quali cardellini, verdoni, organetti ecc. che si cibano delle infiorescenze di questa pianta, sono state di aiuto a far sì che i semi possano essere somministrati ai nostri volatili, senza controindicazioni, logicamente senza mai esagerare. Inoltre, le proprietà antiinfiammatorie, antispasmodiche, diuretiche, epatoprotettive sono un vero toccasana per lo stomaco e buon rimedio per digestioni difficili; in questi ed in casi simili, i semini di finocchio selvatico possono esserci di aiuto. Secondo l’opinione di alcuni vecchi allevatori della mia zona, in previsione delle cove, i semini di finocchio selvatico sono di aiuto per stimolare la forma amorosa dei riproduttori.


Oltre ai singoli semi, a mio avviso, non andrebbero trascurati gli infusi. Infatti, con l’acqua di infusione, (come quella di cottura delle verdure) trasferiamo nel pastoncino secco tutti i principi attivi estratti dai semi. Usiamo anche gli infusi, in modo particolare nei periodi più critici (allevamento e muta) affinché anche i nostri volatili beneficino di una corretta funzionalità del fegato con eliminazione delle tossine. Un organismo “alleggerito” dalle tossine assimila molto meglio vitamine e sali minerali, essenziali per la crescita, nella muta e per il benessere generale. Conclusione La stesura di questi brevi appunti, oltre a togliermi un “tormentoso tarlo”, mi ha convinto ancor più che la piena conoscenza di un alimento passa dal suo percorso storico, scientifico e botanico, per finire con i suoi valori nutrizionali. L’insieme di queste nozioni ci permette di fare una scelta corretta e ponderata di ciò che è utile o meno all’organismo. Per dirla con Ippocrate: “Fa’ che il cibo sia la tua medicina”. Con questa massima e con un aforisma umoristico-scaramantico (che ci vuole in questo periodo pandemico), ovvero “Occhio e malocchio, prezzemolo e finocchio”, chiudo questo mio scritto. Ad maiora semper! Fonti: - Vita in campagna (L. Cretti) - Le erbe selvatiche (E. Lazzarini) - Tutto Erbe (A. Poletti) - Segreti e virtù delle piante medicinali (Selezione dal Reader’s Digest) - https://sorgentenatura.it/speciali/semidi-finocchio - https://-www.melarossa.it/nutrizione/alimenti/finocchietto-selvatico - https://www.humanitas.it/enciclopedia/alimenti/spezie/finocchio-selvatico. - Department of Agriculture, Agricultural Research Service. 2011. USDA National Nutrient Database for Standard Reference, Release 24 (http://ndb.nal.usda. gov/).

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R ecensioni Il Pianeta dei Pappagalli Autore Gianni Matranga - Ed. F.O.I. Piacenza, 2021 pagine 297, formato cm. 20,7 x 29,5, corredate da numerosissimi disegni e foto a colori di IVANO MORTARUOLO pappagalli sono fra gli uccelli che, dal punto di vista evolutivo, si rivelano i più simili a noi. Hanno, infatti, capacità cognitive paragonabili a quelle dei primati, Homo sapiens (1) compreso. Alcune specie, segnatamente il pappagallo cenerino (Psittacus erithacus), non hanno grosse difficoltà ad apprendere varie parole e a comprenderne il significato. Inoltre, sanno distinguere vari oggetti in base al loro colore, forma, dimensione e anche materiale. Se a queste caratteristiche aggiungiamo che spesso le loro cromie sono affascinanti, risulta agevole credere che questi volatili esercitino una peculiare vis attractiva, sia nei neofiti sia nelle persone che vantano una consolidata esperienza nel campo dell’ornitologia. E Giovanni Matranga ne è un chiaro esempio. Infatti, da molti anni rivolge la sua attenzione di studioso a questi peculiari uccelli, realizzando, in passato, un’interessante monografia sugli esponenti del genere Agapornis (da me recensita sul numero di novembre 2008 di questa Rivista) e proponendoci, ora, un volume dall’ambizioso titolo “Il pianeta dei pappagalli”. Adopero volutamente l’aggettivo “ambizioso” in quanto le specie ascritte all’ordine degli Psittaciformes sono numerose (circa 350). Va da sé che, dato l’elevato numero dei taxa presi in esame, l’Autore ha avuto come obiettivo principale la realizzazione di un’agevole e immediata guida per il loro riconoscimento e la relativa collocazione tassonomica. Naturalmente, una particolare cura viene riservata ai vari aspetti della biologia di questi pennuti. Così, il capitolo primo viene dedicato all’origine ed evoluzione degli uccelli, cui fa seguito un approfondimento sull’origine dei pappagalli e sulla loro evoluzione. Il capitolo secondo attiene alla distribuzione e classificazione, alle caratteristiche morfologiche e comportamentali, alle peculiarità dei pigmenti del piumaggio, all’alimentazione, riproduzione e socializzazione, all’etica da adottare nell’allevamento e riproduzione in ambienti controllati. La rappresentazione di ogni singola specie viene, ovviamente, effettuata in base al genere di appartenenza e in considerazione dell’ambito territoriale di origine.

Novità editoriali

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Novità editoriali

R ecensioni

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Così vi è una suddivisione fra pappagalli del Continente Africano, del Continente Australasiatico e del Continente Americano Centromeridionale. Interessanti si rivelano, inoltre, le parti dedicate alle specie estinte, nelle quali sono raccolte importati notizie di carattere storico, evidenziando, nel contempo, le cause di tali nefasti eventi. Argomenti questi che attengono al passato, ma che sono forieri di tristi presagi per il futuro, perché attualmente circa un quarto delle specie esistenti è in pericolo di estinzione. L’autore ha avuto anche il merito di proporre un’ampia rassegna internazionale di francobolli dedicati a numerose specie. Conclude il volume un glossario dei termini scientifici. Come accennato all’inizio di questa nota, l’apparato iconografico si compone di policromi disegni e foto. Le rappresentazioni grafiche sono ben realizzate e assolvono pienamente al loro scopo di fornire precise e immediate informazioni. Le foto sono numerose e bellissime, alcune a piena pagina. Pertanto, è un libro che si rivela piacevole anche a sfogliarlo semplicemente. A impreziosire tale aspetto contribuisce la veste tipografica, caratterizzata da una solida copertina, buona qualità della carta e della rilegatura, nitidezza e grandezza dei caratteri tipografici (caratteristica che ai lettori non più giovanissimi sarà sicuramente gradita). L’editore del volume è la FOI la quale, con questa iniziativa, si conferma un valido propulsore di cultura ornitologica, che in ambito internazionale non ha pari. Non sorprende quindi se la pubblicazione si apre con due prefazioni a firma di Giovanni Canali e Antonio Sposito, personaggi che non hanno bisogno di presentazioni, essendo evidente il loro costante impegno in seno alla nostra Federazione. Prima di concludere questa breve recensione, desidero evidenziare che il prezzo richiesto per ogni singolo volume è pari a euro 30, una cifra di gran lunga inferiore al valore dell’opera, ciò allo scopo di consentire un’agevole acquisto a tutti coloro che, in vario modo, sono interessati al “Pianeta dei pappagalli”. (1) Cito, in estrema sintesi, un esempio tratto dalla pubblicazione Etude des processus cognitifs chez le parroquet gris Psittacus erithacus: similitudes et diffecences avec l’enfant humain di C. Segurel-Chardad (1985). A ventiquattro bambini di quattro-sei anni e a due cenerini sono stati proposti esercizi di pre-matematica, consistenti nel riconoscere e nel dare un senso logico a oggetti di varia forma e cromia. Ebbene, i pennuti, dal punto di vista quantitativo, si sono rivelati inferiori ai piccoli di quattro anni, ma, per quanto attiene all’identificazione e classificazione degli oggetti, hanno ottenuto gli stessi risultati dei bambini di cinque e sei anni.


DIDATTICA & CULTURA

I Padri dell’Ornitologia italiana

Antonio Duse (Salò 1880-1955) di ROBERTO BASSO E MARTINA LANDO, foto ARCHIVIO CIVICO MUSEO DI STORIA NATURALE DI JESOLO

A

ntonio Duse nacque il 29 agosto 1880 a Salò (Brescia), dal matrimonio di Sante Duse e Giuseppina Leonesio. Il padre, di origini venete (Chioggia, Venezia), si trasferì già giovanissimo a Salò per motivi lavorativi; era infatti un medico professionista e fu direttore dell’ospedale di Salò per 45 anni sino al 1921. Antonio Duse seguì le orme del padre: studiò medicina presso l’Università di Torino, laureandosi con il massimo dei voti nel 1905.

Foto ritratto di Antonio Duse negli anni Quaranta

Guadagnò la fiducia e la stima di tutta la cittadinanza ed è proprio grazie alla sua fama di valente medico che Gabriele D’Annunzio lo volle come suo medico curante durante tutto il periodo di residenza a Gardone Riviera

Egli maturò una forte passione per la chirurgia e ottenne numerosi riconoscimenti per la sua professionalità, tanto che subentrò al padre nel ruolo di Direttore dell’ospedale di Salò. Guadagnò la fiducia e la stima di tutta la cittadinanza ed è proprio grazie alla sua fama di valente medico che Gabriele D’Annunzio lo volle come suo medico curante durante tutto il periodo di residenza a Gardone Riviera. E fu così che Antonio Duse divenne un carissimo amico di D’Annunzio, tanto che negli anni mantennero

Parte della collezione tassidermica-ornitologica di Antonio Duse conservata presso l’Istituto Tecnico “Cesare Battisti” di Salò

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Targa presente presso l’Osservatorio Ornitologico di Monte Spino dedicato ad Antonio Duse

un rapporto epistolare. Lo stesso Duse gli fu accanto nel giorno della sua morte, nel marzo del 1938, presso la villa Mirabella del Vittoriale. Antonio Duse nutrì una forte passione verso le scienze naturali, passione che nacque già in giovane età: fu grazie agli insegnamenti del geologo Arturo Cozzaglio che da ragazzo iniziò a raccogliere e catalogare minerali, piante e insetti. Negli anni si dedicò in particolare allo studio all’ornitologia e fu anche un grande appassionato di caccia. È risaputo, infatti, che quando era libero dagli impegni professionali si dedicasse alla pratica venatoria sia in

capanno che in quagliara; inoltre, era un bravissimo imitatore del canto di varie specie migratorie d’uccelli. È grazie all’ornitologo Augusto Toschi, già Direttore dell’I.N.F.S., che il Duse conobbe l’illustre zoologo e Rettore dell’Università di Bologna Alessandro Ghigi (1875-1970), con il quale sviluppò in seguito un forte legame d’amicizia, oltre che professionale. Il Duse ebbe la possibilità, grazie a Ghigi, di collaborare attivamente anche con il prestigioso laboratorio di zoologia applicata alla caccia dell’Istituto di zoologia dell’Università di Bologna.

Copertina della biografia “Antonio Duse. Medico di piaghe e dottore di stelle” scritto dal nipote Vittorio Pirlo ed Elena Ledda, pubblicato nel 2007 dall’Ateneo di Salò

Esemplare di Martin pescatore della collezione Antonio Duse

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Tramite le sue numerose ricerche e dirette osservazioni in natura, il Duse riuscì negli anni a produrre più di trenta pubblicazioni monografiche in ambito ornitologico, le quali, ancora oggi, costituiscono un fondamentale contributo allo studio della migrazione degli uccelli. Tra i più importanti saggi pubblicati vi sono “Contributo allo studio delle migrazioni dell’allodola, del tordo e del fringuello” (1930) scritto con Augusto Toschi e “Osservatorio ornitologico del Garda” (1930). È in quest’ultimo lavoro che il Duse descrisse dettagliatamente l’istituzione di un osservatorio ornitologico nell’agosto 1929, il quale era situato nell’area prealpina della riviera bresciana del Garda presso il Passo del Monte Spino, costituito da tre siti di uccellande per la cattura, l’inanellamento e lo studio delle specie migratorie. Questo osservatorio fu uno dei primi siti

Antonio Duse nutrì una forte passione verso le scienze naturali, passione che nacque già in giovane età


d’inanellamento d’Italia; il Duse, perciò, ebbe un ruolo fondamentale e rivoluzionario nell’ornitologia italiana, in particolare nell’ambito della migrazione. Lo stesso Prof. Ghigi, in un articolo del 1955 per la “Rivista Italiana di Ornitologia”, cita il nome di Antonio Duse in riferimento alla rinascita dell’ornitologia italiana. Il suo approfondito studio delle specie migratorie, grazie all’attività dell’osservatorio, gli permise in seguito di pubblicare nel 1936 l’opera “Avifauna benacense. Gli uccelli del Garda e territori limitrofi”, che risultò unica nel suo genere in quanto l’elenco sistematico degli uccelli dell’area benacense, sino a quel momento, non era ancora stato stilato. Nel 1980 ne fu curata una ristampa di pag. 166 edita dall’Ateneo di Salò, che vide la presentazione e prefazione del nipote Vittorio Pirlo e l’ornitologo Davide Cambi, il quale provvide ad aggiornarne i dati. Il Duse era, inoltre, un grande appassionato di colombi viaggiatori, passione che condivideva con lo stesso Gabriele D’Annunzio. Entrambi contribuirono all’attività della Federazione Colombofila Italiana, tanto che nel 1936 organizzarono al Vittoriale l’adunata nazionale dei colombofili, che

Antonio Duse con alcuni colleghi colombofili nell’agosto 1936

Il Duse era, inoltre, un grande appassionato di colombi viaggiatori, passione che condivideva con lo stesso Gabriele D’Annunzio

vide la partecipazione di moltissimi appassionati da tutta Italia. Egli inoltre riuscì a costituire un’importante collezione naturalistico-tassidermico sull’avifauna bresciana (costituita da circa 500 esemplari da lui stesso preparati) di cui 365 furono donati nel 1940 al Museo di Storia Naturale di Milano, al fine di contribuire alla ricostituzione delle collezioni zoologiche che erano state gravemente distrutte o danneggiate dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Seppe così intrattenere ottimi rapporti anche con l’esimio ornitologo Edgardo Moltoni, Direttore della struttura. La parte restante della collezione è stata invece donata all’Istituto Tecnico “Cesare Battisti” di Salò. È in quegli anni che il Duse inizia ad

avere problemi di salute e per questo motivo, ma anche per la guerra in atto, l’osservatorio ornitologico interrompe la propria attività. Il 20 marzo del 1955 Antonio Duse morì nella sua casa a Salò; i suoi funerali videro la partecipazione di numerosi colleghi, sia medici che naturalisti, ma anche di tutta la cittadinanza a lui affezionata. L’Osservatorio Ornitologico di Monte Spino rimase inattivo per molti decenni ed è solo nel 1999 che, grazie all’interessamento dell’Assessorato dell’Agricoltura della Regione Lombardia, il centro viene ristrutturato e riaperto. La struttura viene dedicata allo stesso Duse e dalla sua rifondazione è gestita dall’Istituto Nazionale Fauna Selvatica di Bologna. Negli anni, anche per la sua strategica ubicazione sull’affilo delle rotte migratorie, è stato uno degli osservatori più attivi e fecondi sulla raccolta dati, vantando la cattura e ricattura centinaia di soggetti rari e accidentali in Italia. Ad esempio, nei primi sei anni di attività l’osservatorio, esaminando i suoi registri, ha potuto inanellare 24.791 uccelli appartenenti a 99 specie diverse. La sua attività di studio vedrà la partecipazione di molti inanellatori e ornitologi sia italiani che stranieri.

Prima e unica ristampa del 1980 dell’opera “Avifauna benacense. Gli uccelli del Garda e territori limitrofi” di Antonio Duse, edita dall’Ateneo di Salò

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CRONACA

Il contagio della passione testo e foto di FEDERICO VINATTIERI

O

gnuno di noi ha dei talenti. C’è chi ha l’innata predisposizione per la musica, c’è chi possiede un’istintiva attrazione per i numeri, chi invece mostra una meticolosa volontà di conservare o di collezionare. C’è anche chi, come il sottoscritto, sente da sempre il desiderio del costante contatto con gli animali ed una viva inclinazione ad allevarli. Questa motivazione, se presente, può essere determinante per tante scelte di vita e può senza dubbio cambiare la mentalità di una persona in modo prorompente. L’estro dell’allevatore è innato, ci si nasce... è un po’ come essere portati per suonare il violino: c’è chi studia una vita e non ci riesce e c’è chi, invece, apprende subito. Essere portati per la musica o per allevare è un parallelismo perfetto e rende bene l’idea di quella spiccata tendenza che talvolta è presente in una persona, anche senza mai aver avuto allevatori in famiglia. C’è poco da fare, la nostra passione per l’ornitologia è altamente contagiosa. Parlare proprio di “contagio” in questo particolare periodo storico, forse, può risultare fuori luogo, ma vi prego di passarmi il termine, perché a mio avviso non esiste espressione più indicata per spiegare come questo interesse nei confronti dei nostri uccellini possa essere trasmesso, anche in modo repentino, a chi possiede quella connaturata capacità di apprendimento e soprattutto a chi ha la volontà di carpire qualcosa dall’esperienza.

Lezioni di ornitologia, Federico Vinattieri e la piccola Aurora

C’è poco da fare, la nostra passione per l’ornitologia è altamente contagiosa

Noi allevatori lo sappiamo, questa passione ti cambia la vita, o quantomeno te la modifica drasticamente, poiché l’allevatore è pienamente consapevole che questi nostri animali dipendono in tutto e per tutto da noi e dal nostro operato. È forse questo che manca ai giovani

di oggi: un vero interesse, delle reali responsabilità. Troppe volte ho visto ragazzi perdersi in richiami passivi, in interessi frivoli, vagando da un gioco all’altro, senza provare nessun appagamento nel lungo termine, senza concentrare le proprie attenzioni su un qualcosa di specifico, senza agire nell’interesse di un qualsivoglia impegno assunto. Allevare può veramente essere la soluzione a tutto questo. L’ornitologia non solo può rappresentare una infinita fonte di interesse, ma ha il potere di insegnare le mille sfaccettature della vita. La passione per allevare può fungere da salvagente per tantissimi giovani di oggi; prendersi cura di qualche coppia di

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Aurora Travaglini al Concorso Ornitologico "Volando"

canarini o altre specie di uccelli può essere la cura per l’apatia, ahimè, sempre più dilagante nelle nuove generazioni. Fin troppo sottovalutata dai genitori, la responsabilità di possedere un animale è di fondamentale importanza per un ragazzino. Oserei dire un “tirocinio” di vita necessario. Ti forma, ti mette dinanzi a dei valori, fornisce quell’input per alzarti presto al mattino, agisce di prepotenza contro la sedentarietà, per non “sedersi”, per evitare di adagiarsi e nascondersi dietro al rovinoso “mi sto annoiando” o all’odioso “non so che fare”. La noia non esiste per chi alleva! Se si alleva, il tempo di colpo diventa un fattore importante, lo scandire delle ore e dei giorni ha un’altra valenza e vi è la congruenza con un impegno, in quanto esso comporta e sottintende l’accettazione di ogni conseguenza di quel che si decide di fare o non fare. In molti miei scritti in passato ho esposto questo concetto. Come per tutti i settori della zootecnica, c’è un inevitabile percorso di formazione che va affrontato e che determina l’esperienza di colui che vorrà essere denominato “allevatore”. Perfino chi alleva solo per attività lucrativa deve inevitabilmente attendere di capire perfettamente il “meccani-

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Troppo sottovalutata dai genitori, la responsabilità di possedere un animale è di fondamentale importanza per un ragazzino

smo” del settore stesso, prima che l’attività sia ben avviata. Personalmente non ho alcuna esperienza nella gestione di attività prettamente commerciali legate all’ornitologia, pertanto quel che vado a scrivere riguarda sempre il settore del “tempo libero”, ossia quella importante fetta di vita che le persone dedicano alla propria passione. Perché l’ornitologia non è un hobby! Attenzione… ci si confonde spesso. L’ornitologia è una passione! La differenza tra questi due concetti è minima ma sostanziale, anche se a volte l’uno può sfociare nell’altro. Qual è la differenza? Semplice: l’hobby è quell’attività di puro relax e divertimento che un individuo svolge la domenica mattina, o quando a lui è più gradito. La passione è un’attività a cui si dedica tantissimo tempo e che, una

volta avviata, non puoi esimerti dal gestire e portare avanti al meglio. Se per un giorno non si vuole andare a giocare a golf o non si vuole finire di costruire un modellino di nave di legno, possiamo tranquillamente evitare di farlo... al contrario, quando si gestisce un allevamento, se anche non a scopo di lucro, non ci si può permettere di dire: “Oggi non ci vado”, oppure “Oggi non mi va di alzarmi, perciò resto a letto”. Questa è la differenza tra hobby e passione. L’ornitologia, quindi, è una passione, come l’avicoltura, la cinofilia e tutti gli altri settori che riguardano la gestione, la tutela e la cura di esseri viventi. Nostro dovere è indirizzare i più giovani verso queste sane attività, senza nessuna caparbia insistenza, che può essere solo controindicata in alcuni casi. Chi vorrà perseguire la strada dell’allevamento si saprà mostrare attento, coinvolto e non si farà certo pregare per seguire le orme di chi può insegnare. Potrei citare tanti casi vissuti direttamente, ma ne voglio raccontarne uno su tutti. Aurora Travaglini è il nome di questa bambina, la mia nipotina. Una bimba intraprendente, di grande intelligenza, con una grande sensibilità ed un amore sfrenato nei confronti degli animali. Lei ha quella naturale attitudine ad allevare, quell’amore per gli animali che le nasce spontaneo e verso il quale nessuno l’ha mai indirizzata. Da dove arrivino questi talenti è un mistero, ma, come abbiamo detto, lo stesso vale per chi trova ispirazione negli 88 tasti di un pianoforte. Aurora mi ha sempre dimostrato il suo interesse per i canarini. Fin da piccolissima mi ha sempre bombardato di domande, cercando di capire il più possibile come si allevano questi volatili. Anni fa partecipò, su mio consiglio, alla competizione per bambini organizzata dall’Associazione Pratese Ornitologica, nell’ambito della Mostra Ornitologica “Volando”, tenutasi a Quarrata (Pistoia), ottenendo il suo tanto ambito premio.


Da quell’evento il suo interesse è sempre aumentato, gli animali sono sempre stati la sua “ossessione”. Da allora ogni tanto la porto a farmi visita in allevamento, soprattutto durante la stagione riproduttiva, così da palesare i canarini in tutta la loro bellezza, con i piccoli nel nido da poterle mostrare, esperienze che esaltano lo splendore della natura ai massimi livelli. Il suo stupore nel vedere i nidiacei muoversi nei nidi è indescrivibile. Il giorno 28 aprile, al compimento dei suoi 10 anni, le ho regalato i suoi primi canarini. Ricordo che mio padre mi fece lo stesso regalo quando io compii la stessa età e quel dono ha letteralmente condizionato tutta la mia vita. Il “contagio”, dunque, ha avuto inizio. L’effetto catalizzatore è stato innescato con quella gabbietta passata dalle mie mani alle sue. Penso e spero che questa passione

La piccola Aurora Travaglini

possa perdurare in lei, esattamente come è successo per me. Il sunto di questa mia condivisione è quello di incitare tutti voi, amici e colleghi allevatori, a diffondere il più possibile questa nostra passione per l’ornitologia, per permettere a nuovi aspiranti allevatori, come la piccola Aurora, di trovare la propria strada... e chissà, un giorno, di insegnare a loro volta a chi verrà poi. D’altronde, si sa, in molti casi l’allievo supera il maestro. L’entusiasmo per l’ornitologia continuerà a perdurare e questa nostra meravigliosa passione non potrà temere l’inarrestabile trascorrere degli anni. Come asserì lo scrittore americano Christian Nestell Bovee: “Una passione genuina è come un torrente di montagna: non ammette ostacoli, non può scorrere all’indietro, deve andare avanti”.

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CANARINI DA CANTO

30° Anniversario A.O.M. testo e foto di PIETRO BIANDRATE

I

l 2021 è un anno molto speciale per la nostra Associazione. Infatti, quest’anno ricorre il 30° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA dell’AOM ed inoltre il nostro notiziario, con questo numero, raggiunge il N. 121 della nuova serie, quindi vorrei ripercorrere brevemente la storia della costituzione dell’A.O.M. e dell’evoluzione de “L’Informatore Alato”. La storia di un’associazione è scritta nel cuore di coloro che hanno vissuto, dall’inizio della sua costituzione, le gioie, le pene, le soddisfazioni e le delusioni che ogni individuo vive anche nella propria vita. A Monza nell’anno 1991 esistevano due Associazioni affiliate alla F.O.I., ciascuna con il proprio patrimonio di gabbie e attrezzature e la propria vita associativa e autonoma organizzazione di Mostre ornitologiche, senza peraltro creare concorrenza, ma anzi cercando sempre una fattiva collaborazione. Seguendo il detto “L’unione fa la forza”, già da alcuni anni i rispettivi Consigli Direttivi stavano valutando, in accordo Loghi S.A.C.O.M. e Corona Ferrea

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A Monza nell’anno 1991 esistevano due Associazioni affiliate alla F.O.I.

con i Soci, la possibile fusione delle due Associazioni per raggiungere obbiettivi sempre più prestigiosi. Grazie all’impegno dei due Presidenti (Andrea Galbiati e Marco Beretta) in carica allora ed alla collaborazione dell’allora Consigliere Federale Giuliano Motta, il 18 luglio 1991, presso il notaio, Dottor Galbiati in Seregno, si riunivano i signori: Accaputo Giuseppe, Barbanti Luigi, Beretta Marco. Casiraghi Edoardo, Cesana Raffaele, Colnaghi Giovanni, Farina Lodovico, Galbiati Andrea, Galimberti Dante, Galimberti Enrico, Giannubilo Fernando, Grazioli Riccardo, Motta Giuliano, Oluzzi Giordano, Pennati Giancarlo, Rao Daniele,

Russo Mauro, Villa Luigi, per costituire la nuova A.O.M. - ASSOCIAZIONE ORNICOLTORI MONZESI. Pertanto, con atto del Notaio Dott. MARIO GALBIATI N° 64582 di Rep. - n. 15433 di racc. registrato a Desio il 25 luglio 1991 nasceva l’A.O.M. Associazione Ornicoltori Monzesi. Dopo la nascita dell’A.O.M. si è voluta continuare la pubblicazione di un “notiziario” riportante le principali notizie e iniziative dell’Associazione. L’Informatore Alato, ideato dall’allora Segretario Dante Galimberti, era già edito dalla Corona Ferrea in forma di foglio ciclostilato (pro manuscripto) in formato A5 e veniva distribuito ai soli soci con consegna diretta. In questa occasione è stato creato anche il logo che è tuttora simbolo dell’Associazione. Così sul n. 50 di agosto 1991 veniva pubblicato il seguente articolo: È NATA L’A.O.M. - Il 18 luglio 1991, presso il notaio, Dottor Galbiati in Seregno, si è costituita la nuova Associazione Ornicoltori Monzesi, nata dall’unione tra la S.A.C.O.M e la Corona Ferrea. Logo A.O.M.


Copia con l’annuncio della nascita dell’A.O.M.

Il nuovo consiglio direttivo è formato dai consiglieri delle due associazioni, è presieduto dal Socio e consigliere federale Giuliano Motta e rimarrà in carica fino alla fine del corrente anno. Dopo la chiusura del termine massimo per l’iscrizione alla FOI (28 febbraio 1992) verranno indette le elezioni per la formazione del nuovo consiglio direttivo, che rimarrà in carica per un biennio. L’unione delle due associazioni monzesi - S.A.C.O.M. e CORONA FERREA - è un fatto storico che non ha precedenti nella vita dell’ornicoltura nazionale. Non sappiamo se a livello nazionale la cosa susciterà consensi o indifferenza; certo è che ci sono tutte le premesse per creare un’associazione “numerosa”. Tutto questo è stato possibile grazie ad una precisa volontà dei Soci di entrambe le associazioni espressa sia attraverso il referendum che in sede assembleare.

Finalmente un po’ di buonsenso si è espresso in questa vita di ornicoltori spesso tormentata da personalismi ed egoistici interessi. La fusione delle due associazioni è una prova di maturità che fa onore ai Soci che l’hanno voluta ed ai Consiglieri che l’hanno realizzata. Nel mese di aprile 1992 è stato pubblicato il n. 1 del notiziario, mantenendo la stessa veste grafica e aggiun-

Tutto questo è stato possibile grazie ad una precisa volontà dei Soci di entrambe le associazioni

gendo solo il logo della nuova associazione A.O.M. Considerato il sempre più vasto gradimento da parte dei soci ed il numero di copie sempre maggiore (visto il numero dei soci), si è deciso di migliorare la veste grafica e passare al formato A4. Si è inoltre deciso di far stampare il notiziario ad una tipografia. Pertanto, con il numero 4 di febbraio 1993, “L’Informatore Alato” ha avuto una nuova veste grafica. Anche questa soluzione ben presto si dimostrava inadeguata per le sempre maggiori esigenze di informare i soci sulle iniziative dell’Associazione. Pertanto, a partire dal n. 9 di aprile 1994 si è deciso di aumentare il numero delle pagine passando da 4 facciate a 6 facciate, sempre in formato A4, migliorando nel contempo la qualità della stampa. A questo punto si poneva il problema della spedizione e, poiché “l’appetito vien mangiando”, si è deciso di migliorare ulteriormente la pubblicazione e allo stesso tempo di registrarla al Tribunale e al Registro della Stampa, al fine di ottenere la possibilità di spedirlo in abbonamento postale a tariffe notevolmente inferiori. Quindi, il numero 11 di novembre 1994 ha ottenuto i requisiti di cui sopra.

Primo numero dell’Informatore Alato A.O.M.

Testata del numero del febbraio 1993

Testata del numero dell’aprile 1994

Testata del numero del novembre 1994

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Copertina del n. 1 nuova serie, gennaio 1997

Pergamena attribuita all’Informatore alato dall’allora Presidente F.O.I. Salvatore Cirmi, aprile 2002

Questo formato del nostro notiziario ha continuato ad esistere con pubblicazioni bimestrali regolari fino al gennaio 1997 quando, in occasione del 34° Campionato Italiano organizzato dall’A.O.M. a Novegro in collaborazione con le Associazioni di Milano e Seveso, si è deciso di iniziare una nuova serie

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Copertina del n. 2 nuova serie, febbraio 1997

Copertina del n. 100 nuova serie, settembre 2016

con un’edizione speciale. Per la prima volta a gennaio 1997, n.1 della nuova serie, il nostro notiziario si presentava in una nuova veste grafica, più funzionale, meglio aderente alle necessità dei suoi contenuti. Era certamente un significativo passo avanti sulla strada di una continua ricerca di novità e di crescita, che da sempre ci anima. Ma questo non era certo il punto di arrivo, era solo una tappa; avremmo cercato di arricchirlo ulteriormente e di ampliarlo nei contenuti. Il n. 2 della nuova serie del Febbraio 1997 presentava già la nuova copertina, che sarebbe poi stata anche la guida per il futuro. Da quel numero vennero pubblicati, oltre alle notizie inerenti le attività e la vita Associativa dell’A.O.M., anche articoli tecnici di allevatori esperti, di veterinari e di tutti coloro (soci e non) che intendevano condividere le loro esperienze di allevamento. Il tutto corredato da foto a colori. Negli anni il formato non è più cambiato, ma le pagine, dalle iniziali 20, sono passate a ben 52. Nel mese di Aprile 2002 il nostro notiziario ha ottenuto dalla Federazione un grandissimo e per noi importantissimo riconoscimento, che ci riempie di orgoglio e ci ricompensa dei tanti sacrifici e delle non indifferenti

difficoltà che quotidianamente incontriamo per poter portare avanti un’iniziativa che, nata da pochi anni e con esigui mezzi a disposizione, ha incontrato consensi sempre crescenti anche al di fuori dell’ambito associativo, cui è comunque essenzialmente rivolta. Nel corso dell’Assemblea delle Associazioni affiliate alla F.O.I., svoltasi a Bologna nell’Aprile 2002, il Presidente Salvatore Cirmi ha voluto onorare la nostra iniziativa attribuendole una pergamena, che ci ha fatto molto piacere e che è conservata nella nostra Sede con l’evidenza che merita, in virtù dell’importanza che rappresenta per noi. Infatti, “L’Informatore Alato” è ormai diventato una voce di formazione e di informazione principalmente per i Soci della nostra Associazione, ai quali è distribuito e per i quali si propone come ulteriore, e non trascurabile, mezzo di intercomunicazione associativa. A partire dal 2016, la copertina dell’ “Informatore alato” è cambiata, con un’immagine a colori al centro diversa per ogni numero. Abbiamo voluto ripercorrere, sia pure brevemente e sottolineando le tappe più importanti, la “Storia dell’Informatore Alato”, il nostro notiziario di cui andiamo veramente orgogliosi e che è ormai riconosciuto come una rivista del settore.


Concludendo, vorremmo invitare tutti coloro che avessero esperienze particolari di allevamento, proposte, iniziative, curiosità, consigli od altro a voler collaborare con noi per rendere sempre migliore, pratico e interessante il nostro notiziario. L’A.O.M. è composta da tantissimi e valenti allevatori ed inoltre vanta anche molti amici e simpatizzanti, pertanto riteniamo che non manchino gli argomenti da partecipare agli altri tramite “L’Informatore Alato”. Aspettiamo quindi con fiducia la Vostra collaborazione! La rivista, come più volte sottolineato, è patrimonio di tutti e questo implica che tutti noi dobbiamo sentirci coinvolti nella sua realizzazione contribuendo in modo fattivo alla sua stesura e divulgazione. Ogni socio deve sentirsi coinvolto! Riportare le proprie esperienze può contribuire a migliorare le esperienze degli altri! Aggiungere valutazioni tecniche sulle varie specie allarga enormemente

Ultimo Numero dell’Informatore alato, febbraio 2021

gli interessi di molti allevatori. Riportare consigli pratici aiuta moltissimo chi si avvicina a questo hobby. Non dobbiamo sempre pensare che debbano essere gli altri a farsi carico dei vari aspetti della realizzazione della rivista. A partire poi dal 2020, la rivista è sfogliabile in formato pdf anche dal nostro sito www.aommonza.it, completamente rinnovato nella sua veste grafica e facilmente consultabile sia dai soci che da persone interessate a conoscerci e saperne di più sulla nostra Associazione. A lato riportiamo la copertina dell’ultimo numero dell’”Informatore Alato”, patrimonio dell’A.O.M. Monza, la nostra Associazione! Un ringraziamento particolare va a tutti coloro che hanno collaborato e continuano a farlo con articoli e suggerimenti pur non essendo Soci, in particolar modo al nostro ex Presidente Cesare Pollastri al quale molto si deve per il successo dell’Informatore Alato.

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Risposta alla risposta

C

on stupore inizialmente, amarezza un istante dopo, leggo la “risposta” data al mio articolo sulla Klokkende apparso su IO dicembre 2020. Generalmente gli articoli si commentano, invece mi ritrovo una risposta (a cosa?)! Mi riferisco a quanto riportato nello scritto firmato da Gabriele Roberto, Commissario Tecnico Canto, pubblicato su IO numero 4/2021 a pagina 21. Stupore perché ritengo che I.O. dovrebbe essere utilizzata a scopo divulgativo e non per denigrare l’operato degli altri; amarezza in quanto non riesco a capirne il motivo. In un primo momento avevo deciso di non replicare ma, visto che la famosa “risposta” non è stata firmata dal Signor Gabriele Roberto, bensì dal Sig Gabriele Roberto Commissario Tecnico Canto, mi trovo costretto a doverlo fare. Cosa sarà mai successo di così grave tale da dover scomodare il suddetto? Ma andiamo per gradi. Leggo di non aver soddisfatto le aspettative del Signor Gabriele Roberto Commissario Tecnico Canto. Me ne farò una ragione, conscio del fatto che non penso di essere in grado di poter scrivere un articolo tale da soddisfare le aspettative di tutti (e chi lo è?); diciamo che ci ho provato! “L’aspetto tecnico lasciamolo trattare ai giudici della categoria...” addirittura si fa riferimento agli articoli 2 e 7 del regolamento FOI. Che ben venga! Ma dal 1995 in poi, anno in cui ho iniziato la mia avventura in FOI e ho iniziato a ricevere Italia Ornitologica, quanti articoli tecnici a firma della CTN canto sono stati redatti? Giornate di divulgazione fatte con gli allevatori? Direi nulla o quasi, tranne qualche scambio di opinioni durante la giornata di apertura al pubblico alle gare, nella confusione della manifestazione stessa. Piccolo particolare: il sottoscritto è stato allievo giudice superando la prova scritta e avendo iniziato anche le prove pratiche di affiancamento con giudici. Conseguentemente, forse, un “pochino” di competenza l’avrei anch’io... e le critiche ai criteri di giudizio (nessuno è perfetto) penso si possano fare, anche perché erano costruttive e non distruttive come il suo scritto. A tal proposito, lei dice che non si è capito a cosa mi riferissi, visto che ci dovrebbero essere dei “fantomatici” nuovi criteri di giudizio in fase di stampa. Se sono in fase di pubblicazione come avrei potuto conoscerli? Ho utilizzato l’aggettivo “fantomatici” perché ho interpellato qualche giudice e ne sono completamente ignari... viva la condivisione!

Sui testi “obsoleti” come li considera lei: dato che il mio articolo è soprattutto un articolo divulgativo, oltre che tecnico (lo ha definito lei così), è stato doveroso fare riferimento ai testi storici in modo che i neofiti, e non solo, potessero avere una visione più completa dell’evoluzione del canarino Malinois Waterslager. Comunque, rimane a mio avviso molto molto attuale e per niente tramontato. Riguardo all’ipotetica “evoluzione della Klokkende grazie a pochi allevatori (chi sono?) per cui si è passati da vocali i, ui, oi tipiche di 50 anni fa, a vocali attuali o, u, uo, ou”, mi chiedo su quali basi lei possa affermare ciò, visto che i canarini di 50 anni fa non li ha mai potuti ascoltare, per ovvi motivi anagrafici. Tant’è che le vocali suddette vengono riportate dal Mignone che ascoltava i Malinois (e gli Harzer con le wasser...) quando io e lei ancora non eravamo stati concepiti. In ogni caso, il solo allevatore (non più vivente, purtroppo) che ha rivoluzionato e migliorato notevolmente la Klokkende ha un nome ed un cognome: Gilbert Janssens. Che io sappia, la migliore genetica di Janssens è andata soprattutto in Spagna e Turchia, poco o niente in Italia. Ad un certo punto lei, signor Gabriele Roberto Commissario Tecnico Canto, con tono offensivo, spara a zero su “molti allevatori” (chi sono, anzi, chi siamo?) che “non riuscendo ad ottenere risultati altamente positivi (?) cercano di portare avanti ancora teorie vecchie e superate creando disorientamento agli allevatori novizi e, a volte, anche dubbi agli allevatori esperti”. Qui sostanzialmente non riesco proprio a capire a quali “teorie” ci si riferisce! Teorie su cosa? Mi pare di capire che SIAMO considerati come la volpe che non arriva all’uva e dice che è acerba. Francamente, non capisco a cosa si alluda e soprattutto a chi? “Riguardo la monotonia del canto... i gusti non si discutono!” Eh no, signor Gabriele Roberto Commissario Tecnico Canto. Da semplice allevatore lo capisco, ma lei si è firmato come Commissario Tecnico Canto e non come semplice allevatore! Come tale dovrebbe perseguire lo standard del canarino Malinois Waterslager e quindi la completezza del repertorio, la modulazione, il brio, l’improvvisazione e non la monotonia di Malinois W. che si soffermano solo sulla Klokkende con conseguente deficit di repertorio, perché così è! Concordo completamente sul perseguire la qualità, una siringe capace di emettere determinati tours:

Lettere in Redazione

di G IANFRANCO GALLIPOLI

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Lettere in Redazione

“condizione sine qua non”... sbaglio o l’ho riportato nel mio articolo? Ora entriamo nell’argomento “meticciamento”. Bene, ogniqualvolta si tocca questo argomento, come anche in passato, lei, signor Gabriele Roberto Commissario Tecnico Canto si inalbera e fa bene. È assolutamente da evitare. Ottimo! Ma se lei è così sicuro che la mia sia solo una presunzione, perché se la prende così tanto? Mi chiedo però come faccia ad affermare il contrario. Non è solo “ascoltando qualche flauto” che si intuisce, ma l’intero accento canoro, la durezza e vocalizzazione delle belroll, la bollende per lo più assente o appena accennata, i “metallici” con mancanza dell’attacco tipico degli staaltonen, una maggiore propensione del cantore alla monotonia del canto rullato e meno a quello scandito. Ricordo che, durante una prova pratica di affiancamento con un giudice straniero, vedevo che su un foglio segnava man mano tutti gli stamm che giudicava, in modo da scongiurare che si potesse ripresentare, per errore, lo stesso stamm. A fianco di ognuno di essi scriveva delle annotazioni personali e, purtroppo, in molti metteva una H che stava per Harzer... Non aggiungo altro! Da biologo non commento neanche la buffonata dell’Usignolo. Per favore, siamo seri! La conclusione è epocale: lei esorta a scrivere su I.O. per formare e non per demolire. Ma come? Ha affermato che solo la CTN può fare articoli formativi, cioè tecnici! Noi poveri allevatori possiamo solo fare articoli divulgativi “su consigli per allevatori novizi e pareri riguardo l’allevamento del Malinois, ma soprattutto permeati da opinioni personali...”. Il mio articolo tutto è tranne che demolitivo e per fortuna ho avuto molti riscontri e gratitudine dagli allevatori che mi conoscono e che hanno visto nel mio scritto un motivo per cercare di creare proseliti, curiosità e carisma attorno al nostro splendido cantore, più che un articolo tecnico dal quale imparare qualcosa. Il mio intento era appunto questo. Chi sono io per insegnare cosa agli altri? Guardi, signor Gabriele Roberto Commissario Tecnico Canto, mi creda, lei ha perso l’opportunità di lodare il mio seppur modesto tentativo di scrivere un articolo sul nostro cantore, con rispetto verso il prossimo che contraddistingue il vivere civile e aggiungendo delle precisazioni, informazioni ed eventuali correzioni che avrebbero reso il tutto costruttivo e sinergico con gli allevatori tutti! Invece ha preferito intraprendere la strada che a quanto pare le è più congeniale, cioè la denigrazione. Denigrazione del mio articolo, della maggioranza degli allevatori “che portano avanti teorie vecchie e superate”, raccogliendo solo un pugno di mosche. Dovrebbe rendersi conto che forse anche un “semplice” allevatore le può insegnare

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qualcosa sul Malinois Waterslager. O lei è detentore della conoscenza assoluta e della verità? Aggiungo infine che il codice deontologico del giudice FOI, che lei dovrebbe rispettare e conoscere, recita: Preambolo ...la funzione del Giudice sia quella di custode dei principi della selezione e degli standard espositivi da applicare nelle mostre ornitologiche, nelle quali egli è chiamato a prestare la propria opera, con l’obbligo morale e professionale di manifestare competenza, di applicare con buon senso i dettami istituzionali a salvaguardia delle specie e delle razze selezionate, di fornire esempio di serietà e di lealtà competitiva, di favorire lo sviluppo dell’ornitologia attraverso la propria disponibilità al dialogo con gli allevatori, allo scambio di idee con i colleghi... Art. 5 Dovere di collaborazione I rapporti reciproci tra i Giudici e tra i Giudici e gli organi federali, gli allevatori e l’organizzazione della mostra debbono fondarsi sulla cooperazione e sul reciproco rispetto, così significativamente migliorando lo svolgimento dei compiti istituzionali. Art. 6 Dovere di disponibilità La disponibilità di un Giudice si esplica attraverso la piena partecipazione alle attività tutte che l’incarico richiede, non esaurentisi nel solo giudizio presso le manifestazioni ornitologiche o con la partecipazione agli aggiornamenti tecnici ovvero alle assemblee dei Giudici, ma esplicantisi anche attraverso l’apporto che è possibile fornire in favore degli allevatori e dei Giudici con minore esperienza di servizio, attraverso la partecipazione in qualità di relatori in convegni e riunioni, con la redazione di articoli tecnici da pubblicare sulla rivista federale, con il colloquio con gli allevatori che ne facciano richiesta in ogni possibile occasione d’incontro. Avrei altro da aggiungere vista la “strana” coincidenza della concomitante pubblicazione “dell’articolo di qualità, quello giusto e tecnico, perfetto” (ma dove?), a nome di Bosi Fausto sulla Klokkende (come mai non ha da ridire anche su quello che tutto è tranne che un articolo che ci saremmo aspettati “tecnico”?), sulle ultime modifiche effettuate dei criteri di giudizio, per fortuna validi solo in Italia, circa i punti di impressione legati alla Klokkende da poter assegnare anche in caso di repertorio non completo, sul pronome personale più consono che avrei dovuto utilizzare. Mi dilungherei troppo. Ma mi piace concludere il tutto con una celebre frase di Sigmund Freud sulla quale la invito a riflettere e anche tanto: “Se due individui sono sempre d’accordo su tutto, vi posso assicurare che uno dei due pensa per entrambi”.


Magie di Mostre

U

n saluto speciale da parte mia a organizzatori e fornitori di manifestazioni ornitologiche. Convinti e fiduciosi di essere prossimamente fuori dal periodo a rischio di infezioni, contiamo di rivederci – con spirito lucido e rinnovato - a partire dall’anno successivo a questo in corso. In segno augurale e di prossimità virtuale con i tanti amici, ridisegniamoli, dunque, i nostri tradizionali appuntamenti annuali, in cui fanno bella mostra di sé soggetti altamente competitivi perché sapientemente selezionati e addestrati. Ricordiamo gli attestati di stima e simpatia riscossi grazie ad importanti successi anche in esposizioni internazionali, con la conquista di vari titoli ed una presenza costante. Magnifichiamo dunque il nostro sport come amicizia, come festa ma non per questo trascuriamo la valenza tecnica, perfezionistica di esso. Lo spettacolo di eleganza, bellezza, gaiezza di canti fa parte della storia di ciascuno di noi. Funge da catalizzatore, misura il nostro tempo, i nostri ricordi, i nostri gusti. Noi amiamo il popolo alato e non rimpiangiamo le ore che ci prende. L’allevamento in ambiente controllato, poi, contribuisce alla salvaguardia di molte specie di uccelli, soprattutto di quelle in via di estinzione. Ancora vivi nei nostri ricordi i momenti emozionanti in cui numerosi volatili selvatici, recuperati e riabilitati al volo, furono restituiti alla libertà. Vittorie, sconfitte, tanti fatti e sentimenti: l’importante è che gli uccelli non vengano mai considerati privi di sensibilità e capacità di soffrire, ma siano trattati secondo le loro esigenze e rispettati, com’è diritto di ogni essere vivente. La grandezza dell’ornicoltura, il suo potere d’attrazione sono rappresentati dal far coincidere la meritocrazia con il rispetto delle norme. Quello che caratterizza un buon ornicoltore è la preparazione tecnico – scientifica unita all’intuizione, al colpo d’occhio, nonché ad una buona dose di fortuna che, naturalmente, non guasta mai. Occuparsi degli amabili pennuti con costanza, pazienza, attenzione e tempo infinito è uno stimolo per un’età biologica positiva. Il circo delle mostre ornitologiche ogni anno suscita polemiche ma cattura ugualmente l’interesse di migliaia di visitatori. E questo a prescindere dalla

qualità degli uccelli partecipanti e da quella dello spettacolo nel suo complesso. Qual è allora il segreto di tanto successo? Dette manifestazioni sono entrate nel DNA degli italiani, come la pizza. Fanno parte della storia dell’ornitofilia e del costume, ma fanno anche parte della storia di ciascuno di noi. Misurano il nostro tempo, il nostro lavoro, i nostri gusti. Ma attenzione a non fare degli “alati” un fenomeno da baraccone. Obbligati a comportamenti stereotipati, a esibizioni, diventano dei piccoli prigionieri. Davanti ai pannelli, o in ascolto dei virtuosi delle razze canterine, oltre che gli uccelli in bell’ordine mi piace guardare il pubblico e vedere come il gioco del coinvolgimento nasca subito. Se vi capita di vedere un padre e un figlio in muto raccoglimento davanti ad un volatile, vi accorgerete che in quel momento hanno la stessa età. Sia che la vostra passione per gli uccelli risulti di nuova data, oppure che li alleviate da anni, l’augurio è che non vi vengano meno la costanza e l’affetto. E che quel tanto di serenità, che viene così raramente dagli uomini, continui ad entrare in casa vostra ad opera di questi messaggeri alati. Per portare proseliti nel nostro sport bisogna partire “dal basso”, dai bambini, radici della società; devono impegnarsi la scuola, gli insegnanti, i mass-media, la F.O.I. e tanti altri affinché cresca nel nostro Paese la cultura naturalistica e in favore degli animali. L’allevamento simultaneo di più razze non permette né la perfetta selezione né un’igiene puntuale e radicale. Ricordiamo che la partecipazione, anche in veste di semplice visitatore, alle mostre è sempre consigliabile a qualsiasi allevatore, perché dà modo di fare utili esperienze e di allacciare rapporti con altri allevatori, rapporti suscettibili di ulteriori sviluppi. Agli allevatori/espositori di qualsiasi specializzazione dico: “Non pensate di vincere, né da subito né mai, la guerra della vita. La platea, tutta Vip e addetti ai lavori, è sicuramente difficile. Accontentatevi di vincere una battaglia. Anche piccola, piccolissima, ma portata fino in fondo”. Buone cose a tutti.

Lettere in Redazione

di F RANCESCO DI G IORGIO

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Attività F.O.I. Sintesi verbale del Consiglio Direttivo Federale del 28 marzo 2021 (La versione integrale è pubblicata sul sito www.foi.it/verbali) Il giorno 28 marzo 2021 alle ore 17,30, in ossequio alle normative promulgate per il contenimento del contagio epidemiologico da coronavirus ed al divieto di spostamento dalle regioni di residenza, si è riunito in videoconferenza il Consiglio Direttivo Federale per discutere e deliberare sul seguente Ordine del Giorno: - Organizzazione del Campionato Italiano 2021 a Piacenza presso l’Ente Fiera Piacenza Expo; Il CDF, dopo aver effettuato una consultazione con l’Ente Fiera di Piacenza circa la disponibilità dei locali per il Campionato Italiano 2021, delibera la tenuta della manifestazione nella Città dove ha sede la Federazione. L’organizzazione dell’evento viene per quest’anno avocata alla Federazione medesima che lo gestirà mediante la costituzione di apposito Comitato. Prossimamente saranno resi noti il programma e gli altri elementi esplicativi della manifestazione. - Formalizzazione delle candidature alla carica di Organo di Controllo Monocratico di cui al punto 6 all’ordine del giorno dell’Assemblea Generale delle Associazioni convocata per il 25/04/2021; Il CDF, in considerazione dell’attuale condizione di sostanziale impedimento degli spostamenti su tutto il territorio nazionale e quindi della impossibilità

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di tenuta di Assemblee dei Raggruppamenti Regionali, ritiene che le candidature nella carica di Organo di Controllo Monocratico di cui al punto 6 all’ordine del giorno dell’Assemblea Generale delle Associazioni convocata per il 25/04/2021 possano essere proposte dai Consigli Direttivi dei Raggruppamenti Regionali ed Interregionali. - Indicazione alla COM-Italia di trasmissione alla COM della candidatura Italiana per il Campionato Mondiale 2027; Il CDF trasmette indicazione alla COM-Italia di inoltrare alla COM la candidatura dell’Italia come paese organizzatore del Campionato Mondiale previsto per l’anno 2027. - Varie ed eventuali Il CDF, a seguito della richiesta pervenuta in data 15 marzo 2021, delibera l’erogazione di un contributo a favore dell’Associazione Passione Pappagalli Free Flight di Montefalco (PG) di euro 500,00, per la realizzazione di eventi incentrati nella condivisione di esperienze tra pappagalli e bambini, anche diversamente abili, affetti da autismo o altre patologie. Le attività assumono grande rilevanza per aspetti sociali, psicoterapici e ludici. Il progetto prevede anche l’introduzione di giornate didattiche nelle scuole materne, di primo grado, nelle strutture RSA e Case di riposo.




Articles inside

Lettere in Redazione

11min
pages 63-65

Ivano Mortaruolo

3min
pages 49-50

Attività F.O.I. - Verbale Consiglio Direttivo del 28 marzo 2021

2min
pages 66-68

Federico Vinattieri

6min
pages 55-57

Pietro Biandrate

8min
pages 58-62

Pierluigi Mengacci

13min
pages 43-48

Francesco Faggiano

20min
pages 7-14

Ivano Mortaruolo

13min
pages 31-35

Club del Canarino Selvatico

2min
pages 25-26

Francesco Badalamenti

8min
pages 39-42

Giovanni Fogliati

5min
pages 15-18

Francesco Di Giorgio

4min
pages 28-30

Piercarlo Rossi

15min
pages 19-24

Giovanni Canali

7min
pages 5-6
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