Italia Ornitologica, numero 3 2022

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Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus

ANNO XLVIII numero 3 2022

Estrildidi Fringillidi Ibridi

Canarini di Colore

Il Diamante Mandarino Tipi base e la mutazione “charcoal” e tipi aggiunti

Ondulati ed altri Psittaciformi

Columbidi

Ala perlata melaninico

Tortora dal collare Streptopelia roseogrisea



ANNO XLVIII NUMERO 3 2022

sommario Prima che sia troppo tardi Gennaro Iannuccilli

Da verde a giallo Marco Baldanzi

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Influenze reciproche tra vincoli genetici e vincoli ambientali Francesco Di Giorgio

Il Tico Tico o Passero dal collare rossiccio (2ª parte) Pier Carlo Rossi e Adriano De Sousa Santo

OrniFlash News al volo dal web e non solo

Spazio Club Club del Fiorino

Estrildidi Fringillidi Ibridi

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Canarini di Colore

Il Diamante Mandarino e la mutazione “charcoal” Stefano Angelini e Francesco Faggiano

Tipi base e tipi aggiunti Giovanni Canali

Ala perlata melaninico (Perlato melanico) Giovanni Fogliati

Sui canarini parlanti (1ª parte) Francesco Saverio Dalba

Educazione alle mostre Sergio Palma

Photo Show Le foto scattate dagli allevatori

La Salvia pratensis (selvatica) Pierluigi Mengacci

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Tortora dal collare - Streptopelia roseogrisea (detta risoria) Luigi Carusio

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Ondulati ed altri Psittaciformi

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Columbidi

La necrofilia negli uccelli (2ª parte) Ivano Mortaruolo

Il collezionismo ornitologico (13ª parte) Francesco Badalamenti

Attività F.O.I. - Verbale Consiglio Direttivo del 30 gennaio 2022

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Italia Ornitologica è la rivista ufficiale della F.O.I. - Federazione Ornicoltori Italiani, pubblicata in 10 (dieci) numeri annuali a cadenza mensile, 2 (due) dei quali in versione bimestrale nel periodo estivo (Giugno/Luglio e Agosto/Settembre). Il numero 3 - 2022 è stato licenziato per la stampa il 28/3/2022



Editoriale

Prima che sia troppo tardi di G ENNARO IANNUCCILLI, foto C. F USCO e D. CILLI

Fonte: ANSA, autore: Ciro Fusco

L’

immagine pubblicata dall’Agenzia di Stampa ANSA e che riportiamo in apertura di questo editoriale ci ha colpito profondamente. Senza banalizzare la percezione e il concetto di guerra che stiamo, purtroppo, subendo in questo periodo, l’espressione del bambino in fuga con la sua famiglia dai bombardamenti ci fa riflettere su quanto a volte le cose più semplici, gli affetti più spontanei e meno “costruiti” possano essere il salvavita per la nostra incolumità mentale e fisica.

Il fatto stesso che quel bambino abbia pensato, in un momento a dir poco drammatico come forse solo la guerra è in grado di generare, di portare con sé la gabbietta con il suo pappagallino, la dice lunga sul valore elevatissimo che ha nella scala degli affetti (e degli effetti) personali il rapporto con gli animali domestici, qualunque essi siano. Si, perché di solito il concetto di affezione si attribuisce – oltreché alle persone – solo ad alcuni animali, principalmente cani e gatti, fatta eccezione per qualche altra specie (ad esempio criceti, coniglietti, furetti ecc.).

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Editoriale Invece, qui siamo difronte a una chiara testimonianza di quanto anche un semplice uccellino, dall’insignificante valore economico, possa avere un’inestimabile quotazione nel profondo dell’anima e della coscienza di quel bambino, in preda al panico e alla disperazione sua e dei suoi cari. Ci piace pensare, ma ne siamo praticamente sicuri, che quel piccolo pappagallino abbia potuto donare qualche attimo di pace e spensieratezza al suo impaurito “padroncino”. Con le debite distinzioni, nei periodi che abbiamo vissuto in pieno o parziale lockdown, anche noi abbiamo avuto modo di assaporare l’azione taumaturgica dell’ornicoltura amatoriale, ai quali siamo dediti fin da bambini nella maggior parte dei casi.

Autore: Diego Cilli

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Ma, più in generale, sono tante le testimonianze di chi, in periodi di affaticamento mentale, è riuscito a trovare sollievo nel dedicarsi al proprio allevamento; questa situazione emotiva la viviamo, comunque, ogni qualvolta ci “isoliamo” con i nostri beniamini alati in un’attività che sembra estraniarci dal mondo esterno, allontanandoci dai problemi quotidiani, ma che al contempo ci collega idealmente alla natura e alle sue straordinarie manifestazioni che si palesano – nel nostro caso – attraverso il “cerchio della vita” degli uccelli presenti nei nostri allevamenti. Non si spiegherebbe, altrimenti, la gioia dei pazienti nelle case di cura e dei bambini affetti da varie patologie che, grazie ad alcuni progetti di pet-therapy con canarini, pappagalli & co., provano emozioni tali da indurli a esprimersi positivamente nonostante le difficoltà a cui sono purtroppo soggetti. Ricordo sempre con molto affetto la testimonianza di un giudice che, diversi anni fa, mi confidò di ottenere i migliori risultati terapeutici, alleviando il dolore e la sofferenza provocata da un problema oncologico che lo affliggeva, solo quando era in allevamento o quando era alle prese con le fasi di giudizio nelle mostre ornitologiche. A quei tempi, avevo appena finito di frequentare il corso giudici e quelle frasi mi entrarono nell’anima, e ancora oggi ne faccio tesoro, facendomi capire profondamente l’essenza della nostra coinvolgente passione. Tornando ai nostri tempi (ancora) tormentati, abbiamo da poco saputo che alcune aziende del settore ornitologico si stanno prodigando per rifornire gli allevatori, residenti nelle zone di conflitto, di mangimi e generi di prima necessità per gli uccelli che difficilmente potranno essere trasferiti dai loro allevamenti. Anche attraverso iniziative come questa si trasmettono messaggi di pace e solidarietà ai quali, ci auguriamo di cuore, possa far seguito al più presto la cessazione di qualsiasi operazione militare o azione di guerra. Prima che sia troppo tardi, per gli uccelli e per i loro allevatori. (la foto alla quale si fa riferimento è stata pubblicata dall’autore Ciro Fusco per Agenzia ANSA al seguente link: https://www.instagram.com/p/Caz5NRIKF_q/ )


DIDATTICA & CULTURA

Da verde a giallo testo e foto di MARCO BALDANZI

S

i chiama domesticazione il processo attraverso cui una specie “selvatica”, animale o vegetale, viene resa “domestica” (dal latino domus, casa), cioè dipendente dalla convivenza con l’uomo e dal controllo da parte di quest’ultimo e si attua mediante incroci/accoppiamenti seguiti da selezione. Per molte specie, la domesticazione ha comportato notevoli modificazioni nella morfologia, nel comportamento e nella fisiologia. Francis Galton, cugino di Charles Darwin, nel 1865 pubblicò The first steps towards the domestication of animals. Charles Darwin scoprì come pochi ma importanti caratteri o tratti siano sufficienti a differenziare le specie domestiche dagli ancestrali selvatici (1868, The Variation of Animals and Plants Under Domestication). Fu il primo a riconoscere la differenza tra l’allevamento selettivo, in cui allevatori e coltivatori selezionano per caratteri desiderabili o eliminazione di difetti, rispetto al modificarsi dei caratteri selvatici per selezione naturale (1859) o per selezione sessuale (1871). Anche il canarino è stato oggetto di profonda selezione domestica: ne è stato modificato il colore (con tipi, varietà e mutazioni aggiunte), la struttura delle penne (categorie), la morfologia e la postura (tutte le razze di forma e posizione) come pure il canto. Vorrei qui presentare ai lettori i punti salienti di un interessante articolo ornitologico: ‘Domestication of the canary, Serinus canaria – the change from green to yellow’ di Birkhead (1), Schulze-Hagen, Kinzelbach pubblicato nel 2004 su Archives of natural history. I canarini selvatici delle Isole Canarie (2) furono portati in Europa tra la fine del XIV sec. e l’inizio del XV sec. per la bellezza del loro canto. Secondo Aldrovandi

(3) (1599) in Ornithologiae hoc est de avibus historiae libri XII, erano due le varietà portate in Italia dai commercianti di zucchero: quelli “veri” dall’Isola Gran Canaria mentre gli “stulti” da La Palma e EI Hierro, così detti per l’abitudine di muo-

vere il capino mentre cantavano. Secondo Bory de St Vincent (1802) il canto poteva essere diverso secondo l’isola di origine e i più apprezzati erano quelli di Monte-Clare a Tenerife. Una curiosità che, se potesse essere confermata, sa-

Illustrazione di Giovanni Pietro da Birago nel testo di grammatica Latina, per il bambino Massimiliano Sforza, scritto da Aelius Donatus (1496-99)

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rebbe un chiaro esempio di selezione sessuale. Secondo Roland Sossinka, Domestication in birds (1982), una caratteristica comune della domesticazione negli uccelli è la riduzione di pigmenti del piumaggio. Il cambiamento di colore da canarino selvatico verdastro a canarino giallo può considerarsi un esempio di domesticazione. Secondo Stresemann (4) (1923, Zur Geschichte einiger Kanarienvogel-Rassen) questa transizione si ottenne in Germania tra il 1610 e il 1677. Anche se spagnoli e italiani furono tra i primi ad allevare canarini, generalmente si ritiene siano stati gli ornicoltori tedeschi i primi a far riprodurre i canarini in cattività (cfr. Parsons, “The origin and dispersal of the domesticated canary” in Journal of cultural geography, 1987). Stresemann, in un altro articolo del 1923, riportò l’esistenza di tre acquerelli di canarini, per mano di Lazarus Röting intorno al 1610: due canarini erano “verdi” come i selvatici ma un terzo era pezzato di giallo. Sempre Stresemann, riporta ciò che considera il primo reperto di un canarino tutto giallo in una descrizione del medico Lucas Schröck di Augusta nel 1677. Sulla base di ciò, Stresemann concluse che il passaggio dal piumaggio selvatico a quello del tutto mancante di melanine si è verificato in un periodo di sessanta o settant’anni. Questa lenta transizione era del tutto coerente con la scoperta di Duncker (1928, Genetik der Kanarienvögel, Bibliographica genetica, 4:40-140), basata su un attento allevamento e con estesi esperimenti di incrocio, secondo cui la colorazione del canarino sarebbe un carattere poligenico e quindi con lenta risposta alla selezione artificiale. In precedenza, Davenport (5) (1908) aveva condotto esperimenti di incrocio per determinare la base genetica del colore nei canarini. Un fervente Mendeliano che credeva che tutti i cambiamenti evolutivi risultassero dalla rapida selezione di “sports”, o mutazioni maggiori, piuttosto che dal graduale cambiamento dei caratteri. La rapida transizione al colore giallo, come sosteneva Davenport, non risultò però convincente e fu profondamente criticata, per scarsa metodologia e presentazione dei risultati, da parte di altri genetisti (Galloway, 1909, 1910; Heron, 1910; Duncker, 1928).

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Recentemente sono emerse nuove prove sui tempi della transizione del canarino da verde a giallo. Un dipinto di quelli che potrebbero essere canarini gialli esiste in un manuale di scuola italiana del XV secolo. Il manoscritto è un libro di grammatica Latina, per l’allora bambino Massimiliano Sforza, scritto da Aelius Donatus e illustrato da Giovanni Pietro da Birago, a Milano, tra 1496 e il 1499. Le immagini sono similari a quelli di sicuri canarini raffigurati in Valli da Todi (6) (1601) e Olina (7) (1622). Al momento, l’opinione più accreditata è che queste illustrazioni siano davvero di canarini piuttosto che di qualsiasi altro uccello giallo (p.es. zigolo giallo, Emberiza citrinella). Un’ulteriore evidenza che la selezione dei canarini abbia avuto un precoce inizio in Italia, deriva dalla Historiae animalium, di Gessner (8) (1555: 248-249). Dopo aver descritto il venturone (Serinus citrinella, oggi Carduelis citrinella), Gessner parla di specie simili con due affermazioni riguardanti proprio il canarino di tipo selvatico e il supposto canarino giallo, chiamato “uccello d’oro” e portato in Germania dall’Italia. Va però precisato che Gessner non vide egli stesso questi uccelli ma si basò su disegni e testi dei fratelli Gottfried e Ra-

Questa di Olina (1622) è una tra le prime illustrazioni del canarino

phael Seiler, di Augusta (Augsburg). Inoltre, che un allevamento selettivo di canarini fosse praticato in Italia intorno al 15°-16° secolo stranamente non è riportato né in Manzini (1575, Ammaestramenti per allevare, pascere e curare gli uccelli, li quali s’ingabbiano ad uso di cantare), né in Valli da Todi (1601) e Olina (1622). Per stabilire l’inizio della domesticazione del canarino, Kinzelbach e Hölzinger (2000) ricorrono alle pitture riportate intorno al 1580 nell’enciclopedia di 33 volumi del chierico protestante tedesco Marcus zum Lamm (1544-1606). In quest’opera si trovano due pitture di canarini selvatici (“canari vögelin”) che zum Lamm stabilì come allevati ad Heidelberg. Esistono inoltre altre due pitture di “canarini” con grandi, ben distinte zone gialle nella parte ventrale, allevati nel Tirolo. Non riconoscendo questo tipo di colorazione gialla, zum Lamm non assegnò loro un nome e li pose provvisoriamente vicino a Emberiza citrinella (zigolo giallo). Ricordiamoci che a quei tempi i canarini allevati erano estremamente rari, posseduti solo dalla nobiltà. Un’altra fonte sui probabili primi canarini gialli è quella dell’artista Johann Walter (1604-1677) di Strasburgo, che illustrò una serie di uccelletti esotici da gabbia nel 1657. Uno di questi, etichettato come “Serinus siu [sic.] Canari Vogel”, è giallo in faccia, ventre e dorso, mentre coda e ali sono bianche. Canarini bianchi erano citati anche dal suddetto medico Lucas Schröck di Augusta nel 1667 e divennero comuni in Germania già nel 1700, sempre secondo Stresemann (1923). Sulla base delle loro ricerche bibliografiche, Birkhead, Schulze-Hagen, Kinzelbach sostengono che la selezione artificiale sul canarino possa essere iniziata molto prima di quanto finora supposto. Basandosi sui disegni di Röting, Stresemann (1923) ipotizzò che la domesticazione fosse iniziata intorno al 1610. D’altronde, le illustrazioni di uccellini completamente gialli alla fine del XV sec. (Giovanni Pietro da Birago, Milano, 1496-1499) potrebbero suffragare l’ipotesi che l’allevamento selettivo possa essere iniziato molto prima, soprattutto


se è vero che la colorazione sia un carattere poligenico e quindi per la transizione da verde a giallo siano occorsi diversi decenni (Duncker, 1928). Per i tre autori, un canarino giallo in teoria potrebbe essere apparso spontaneamente come mutazione (ipotesi di Davenport, 1908) come è accaduto anche per il verdone lutino (Carduelis chloris): mutazione recessiva, sesso legata, che sopprime completamente la produzione di melanine. Verdoni lutino sarebbero stati realizzati tra il 1940 e il 1960, secondo Lander e Partridge (1998, Popular British birds in aviculture: greenfinches). La mutazione lutino è apparsa anche nel canarino, ma è altra cosa dal canarino giallo comune. In conclusione, gli uccelli tutti gialli nel dipinto del 1490 possono o non possono essere canarini: se lo sono non è chiaro se fossero mutanti lutino, o se fossero già frutto di diversi anni di allevamento selettivo. Il riferimento di Gessner a un canarino dal petto giallo, può o non può costituire prova di allevamento selettivo in Italia prima del 1555. In ogni caso, i dipinti nell’enciclopedia di zum Lamm intorno al 1580 forniscono una prova più robusta per canarini parzialmente gialli e l’inizio del processo di addomesticamento. Appare ora quantomai indicato l’articolo di Piercarlo Rossi, Il verdone giallo, pubblicato recentemente in due parti su I.O. n. 11 e n. 12 del 2021, descrivente le varie mutazioni ottenute in questo Fringillide (agata insieme ad ambra, mascherato e lutino, quindi bruno, isabella, satiné e le più recenti pastello e diluito) e la selezione dell’ornicoltore Massimo Corbella per il Verdone giallo. Riporto il passo secondo me più importante per il tema qui trattato: “Di più recente acquisizione la selezione del Verdone pezzato che, dopo anni di lavoro, ci ha permesso di osservare soggetti completamente lipocromici ad occhi neri (come era successo in passato con il canarino domestico)”. Si fa presto a dire giallo Umberto Zingoni, nel suo “Canaricoltura” (FOI, 2° ed. 1997) nel paragrafo “Storia del Canarino domestico” (pag. 373-374) riporta che: a seguito della conquista spagnola delle Canarie (1402)

iniziò il commercio dei canarini verso l’Europa, acquistati per il loro canto dai ceti più abbienti. Nel 1575 arrivano in Inghilterra dalle Fiandre, diffondendosi anche tra le classi meno agiate e in quel periodo “pare che sia apparso il primo Canarino giallo alla corte di Elisabetta I”. Zingoni riporta quindi uno stralcio da Olina (1622, ristampa del 1959, pag. 57) e i due relativi disegni, uno riprodotto nel presente articolo. Infine, cita l’opera di Jean Claude Hervieux de Chanteloup (1683-1747): Nuovo Trattato Utilissimo de’ Cannarini (Nouveau Traité des Serins de Canarie, 1709), riedito più volte fino all’ed. postuma del 1785, dove si elencano già 29 diversi colori: ad occhi rossi, giallo nei suoi vari toni, agata, isabella, bianco e tutti i loro pezzati (panachés). Zingoni commenta che i vecchi tipi erano comparsi già due-tre secoli fa. “Pochi secoli fa questa piccola creatura dal canto inimitabile vien portata in Europa, si moltiplica, si diffonde un po’ dappertutto e, ogni tanto, presenta qualche mutazione appariscente. La prima, come si sa, è stata la perdita delle melanine in qualche regione del corpo.” Zingoni, ibidem, pag. 596. Nel canarino melaninico il sottopiuma (zona basale delle piume) è sempre grigio più o meno scuro. Nel canarino lipo-

Copertina di un’edizione del 1684 del testo di Olina

comico è sempre bianco. Negli altri uccelli è sempre grigio scuro, qualunque sia il colore della parte distale; p.es. nel cardellino le piume bianche, gialle, rosse e brune hanno tutte sottopiuma nerastro. Nel 17° secolo comparve per mutazione un’anomalia nel colore del piumaggio che portò alla selezione dei canarini completamente gialli. In seguito comparve la mutazione per il bianco, poi per il bruno ecc. Il fattore per il giallo, a eredità intermedia, fortemente epistatico, ha come effetto la scomparsa di qualunque melanina nel piumaggio, mentre gli occhi restano neri (ibidem, pag. 443). La mutazione bianco dominante, detta anche Bianco tedesco, sembra apparve in Baviera nel 1677. Il doppio fattore bianco dominante è letale, quindi non ci sono bianchi dominanti omozigoti, ma solo eterozigoti (singolo fattore). È anche detto bianco soffuso perché il bordo esterno delle prime remiganti è colorato dai lipocromi. Invece il bianco recessivo, comparso ai primi del 1900, è anche detto bianco inglese. In omozigosi è epistatico sulla colorazione lipocromica. Giovanni Canali (I colori nel Canarino, 2° edizione, FOI 1998) precisa (pag. 66) che il canarino selvatico ha il piumaggio pigmentato di eumelanina nera, feomelanina bruna, forse tracce di eumelanina bruna e lipocromi (vari gialli, intermedi dal pagliato al limone) (9). Ci ricorda (pag. 30-31) che nel canarino quattro sono i caratteri Mendeliani: bianco recessivo (10), tipico; topazio, quasi tipico; opale e rubino, non molto tipici; eumo e onice, forse. Mentre sono multifattoriali il nero-bruno e l’acianismo; il giallo, come pigmenti; la tonalità limone (strutture diffrattive); il rosso (arancio). E altri ancora. Per acianismo (ibidem, pag. 73) si intende inibizione del pigmento melaninico; come etimologia, il termine è inappropriato (cfr. anche Zingoni, Canaricoltura) e sarebbe più adatto dire xanticismo: inibisce totalmente o parzialmente i pigmenti melaninici, tranne quelli dell’occhio (11); i pigmenti del piumaggio sono quindi solo i lipocromi. Conseguente a più eventi di mutazione (ibidem, pag. 49 e pag. 59) l’acianismo ha penetranza ridotta ma espressività variabile(12): p.es. da canarino lipocromico x canarino me-

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laninico si hanno tutti pezzati mentre da canarino lipocromico x fringillide melaninico si hanno meno pezzati e più melaninici con piccole zone acianiche. Cioè il genoma degli ibridi sembra meno favorevole all’acianismo. La segregazione dei pezzati derivanti dall’incrocio tra melaninici e lipocromici è: F1 100% pezzati; F2 25% melaninici, 25% lipocromici, 50% pezzati. Dato che le classi fenotipiche non sono così nette (melaninici non puri, lipocromici non puri, pezzati con varie gradazioni) Canali esclude un controllo monogenico. Questi geni dominanti a penetranza ridotta ed espressività variabile (pezzati con macchie più o meno grandi, più o meno numerose, nonché in diverse posizioni) sarebbero per Canali anche all’origine delle sgradite tracce acianiche nei melanici. Il canarino selvatico ha lipocromo giallo, più o meno o per nulla con effetti di diffrazione dovuti alle strutture delle penne, a livello di barbe (cfr. Canali, ibidem, pag. 163). Con la selezione artificiale si è passati dal giallo-oro al giallo limone. E in questo si riconoscono varie tonalità tanto da supporre un’eredità multifattoriale. Se invece il controllo genico fosse semplice, non c’è comunque accordo tra gli ornicoltori se la doratura domini sull’effetto limone o viceversa. A testimonianza di quanta variabilità sia sorta con secoli di domesticazione. Per Francesco Faggiano (Mutatis mutandi, FOI 2002, pag. 273) i pezzati sono stati il fulcro per costituire le varietà acianiche, canarino compreso. Tra le varie ipotesi, la più accreditata contempla l’attivazione di piccoli frammenti di DNA trasponibili (13), producendo instabilità nel genoma e inibenti, dove attivi, la sintesi delle melanine. Interpretazione interessante che mi riservo di approfondire in futuro. Sempre in ordine cronologico, c’è poi il testo di Octavio Perez-Beato, Fundamentals of color genetics in canaries, 2008, RoseDog Books, USA. Almeno tre sono i geni necessari per i lipocromi gialli. L’allele dominante K permette l’assimilazione dei carotenoidi(14) ma l’eterozigote Kk non è sufficiente a ottenere il colore giallo. Il recessivo kk blocca l’assimilazione dei carotenoidi (canarino bianco recessivo(15)). L’allele dominante

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Frontespizio del testo datato ca. 1580, in 33 volumi

G permette la conversione dei carotenoidi in pigmenti gialli. Il recessivo gg è il bianco tedesco, fenotipo mai osservato. Quindi Perez-Beato, rispetto a Zingoni, differenzia tra Bianco tedesco (teorico) e Bianco dominante. L’allele recessivo f, in omozigosi ff, è responsabile per l’enzima che trasferisce i lipocromi nelle penne (gialli o rossi che siano). La mutazione dominante F inibisce l’enzima e quindi Ff è il canarino bianco dominante, apparso alla fine del 1600. L’omozigote FF è letale. Secondo PerezBeato il giallo apparve come mutazione tra il 1680 e il 1713. Ma il giallo KKGGff viene fuori anche dall’incrocio di due dominanti KKGGFf. Comunque sia, la triade KKGGff, in quanto necessaria per i lipocromi nelle penne, deve trovarsi anche nel canarino selvatico, verde perché oltre ai lipocromi gialli ha le melanine, i cui fattori genetici sono sesso-legati (cromosoma sessuale Z): B è il gene per le melanine brune, N quello per le melanine nere, O è il gene per l’ossidazione. Da qui i quattro tipi base dei canarini melaninici: BNO nero-bruno, BnO bruno, BNo agata, Bno isabella. Ma non è sufficiente: occorre l’allele dominante P per avere melanine nelle penne, mentre l’allele recessivo p le inibisce (ibidem, pag. 50). Perez-Beato scrive che PP è il canarino melaninico,

Pp il canarino pezzato e pp il canarino lipocromico. Se così fosse, la domesticazione del canarino da verde a giallo sarebbe passata attraverso un mutante pezzato Pp (mutazione P p). Da mutato Pp x verdi PP sarebbero venuti altri eterozigoti Pp che unendosi tra loro avrebbero finalmente generato omozigoti pp lipocromici. Anche Perez-Beato riconosce che posizione, grandezza e forma delle toppe nei pezzati dipendono da altri geni ancora. Naturalmente sottolinea che il gene P riguarda solo le melanine delle penne. Quindi i geni BNO sul cromosoma Z sono presenti anche nei canarini lipocromici. E sono gli occhi a indicarci il genotipo melaninico dei lipocromici: i nero-bruni (BNO) hanno occhi neri, gli agata (BNo) hanno occhi scuri, non proprio neri, difficilmente distinguibili dai nero-bruni; i bruni (BnO) hanno occhi rossastri; gli isabella (Bno) hanno occhi rosa; infine albini, lutini e rubini hanno gli occhi rossi. Quindi come già detto pezzati diversi possono uscire dall’incrocio di un verde (nero-bruno) con un lipocromico, a seconda del genotipo melaninico di quest’ultimo. Dalle Canarie alle Midway Dal paragrafo La formazione delle Razze di Zingoni (ibidem, pag. 376) riporto integralmente: “Sicuramente nelle isole Canarie è comparsa qualche volta la mutazione per l’assenza totale o parziale di melanina, ma questi individui mutati (più o meno gialli) meno adatti dei “verdi” alla vita in quelle isole (perché più facilmente individuabili da parte dei predatori) sono stati eliminati, mentre appena quella stessa mutazione si è manifestata in cattività, subito l’Uomo ne ha approfittato per selezionare quel carattere (incrocio genitore x figlio, ecc.) pervenendo in poche generazioni a creare nuove popolazioni, prima inesistenti, di animali domestici, che sono appunto le Razze (cfr. anche pag. 596, ibidem, “Necessità della selezione”). In questo modo si sono formate centinaia di razze canine, decine di razze bovine, di polli, di colombi, ecc.” e così si torna al concetto di Domesticazione con cui abbiamo iniziato. Zingoni prosegue (pag. 377): “… le nuove Razze si formano per accumulo di mutazioni (eredità additiva), ed è chiaro che occorrono


molti anni perché gli allevatori ‘rastrellino’ con la selezione tutti gli individui che mostrano caratteri più vicini a quelli che si vogliono fissare, fino a raggiungere quel minimo di omogeneità fenotipica che è garanzia di sufficiente omogeneità genotipica”. E ancora: “Si può essere certi che se lasciassimo rinselvatichire i nostri Canarini, liberandoli in un ambiente simile a quello delle Isole Canarie, in meno di un secolo si riformerebbe una popolazione con molti se non tutti i caratteri propri della Specie selvaggia … ritorno dei caratteri ancestrali …” (ibidem, pag. 597). E ancora: “Se noi lasciassimo riprodurre liberamente (senza selezione) per 400 anni una qualunque Razza di Canarino (come di qualunque altro animale domestico) ci accorgeremmo che alla fine quella Razza sarebbe irriconoscibile, avendo ripreso gran parte dei connotati del Canarino selvaggio, se non tutti.” E Zingoni così spiega poco sopra: “Per concretizzare il concetto potremmo supporre che le differenze esistenti tra uno York, un Gibber e un Canarino selvatico riguardino in proporzione un milionesimo dei loro geni; gli altri sono rimasti identici.” (ibidem, pag. 602). Ebbene ricordo qui anche il fenomeno della retromutazione o reversione: a partire da un fenotipo mutato, può originarsi nuovamente un fenotipo selvatico. Chissà se Zingoni abbia mai letto: William A. Bryan(16) (1912) The Introduction and Acclimatization of the Yellow Canary on Midway Island, The Auk (17), pp. 339342. Mr. D. Morrison, sovrintendente dell’isola, acquistò nel 1909 ad Honolulu una coppia di canarini che accoppiò nel gennaio 1910. Da quattro covate di 5, 7, 6, 7 uova furono svezzati 6 e 5 novelli in 2a e 3a nidiata. Nel maggio 1910, mediante un sistema di trappole, furono catturati tutti i gatti randagi sull’isola. A luglio, gli 11 novelli e altri due maschi acquistati ad Honolulu furono liberati. A dicembre cominciarono a nidificare con una discendenza stimata di ca. 60 soggetti. A Dicembre 1911 partì una nuova stagione riproduttiva. “Sono cantori belli e molto attraenti, e sebbene non così amichevoli come il Fringuello di Laysan (Telespiza cantans) si nutrono tranquilli anche con una persona a un metro da loro”. Dopo la suddetta testi-

adattamento biologico al clima è soprattutto la latitudine che conta. Ricordo che si chiama ferale una specie animale o vegetale che vive e si riproduce liberamente in natura pur appartenendo ad una specie domestica. Accenno qui alla feralità perché può essere considerata il processo opposto alla domesticazione; per saperne di più si vedano anche: - https://en.wikipedia.org/wiki/Feral; - https://web.stanford.edu/group/stanfordbirds/text/essays/Feral_Birds.html - https://en.wikipedia.org/wiki/Feral_parrot; - https://en.wikipedia.org/wiki/Feral_pigeon.

Canarino maschio, allevato in gabbia, rappresentato in "Die Vogelbilder aus dem Thesaurus Picturarum" (ca. 1580, Marcus zum Lamm)

monianza, W.A. Bryan concluse: “… il futuro di questa colonia di canarini gialli sarà seguito da quelli che sono interessati all’introduzione e naturalizzazione di uccelli canori e galliformi poiché fornisce un eccellente esempio di una specie che ritorna alle sue naturali abitudini selvatiche in un ambiente poco ospitale dopo secoli di reclusione e allevamento e nutrizione artificiali.” Tuttora i canarini gialli vivono selvatici nell’atollo di Midway. Loro fotografie si possono vedere su Internet, come pure leggere p.es. in LaPointe, Atkinson, Klavitter (2013) in Avian disease assessment in seabirds and non-native passerines birds at Midway Atoll NWR, https://pubs.er.usgs.gov/publication/70 111903: “Anche due passeriformi introdotti, il canarino comune (Serinus canaria) e la maina comune (Acridotheres tristis), sono presenti su Sand Island e possono fungere da serbatoi di agenti patogeni trasmessi dalle zanzare”. Fatto curioso: l’arcipelago delle Canarie si trova nell’Oceano Atlantico alla latitudine di 28° Nord e l’Atollo di Midway si trova nell’Oceano Pacifico pure alla latitudine di 28° Nord. E sono quasi opposte trovandosi rispettivamente a 15° e 177° di longitudine Ovest. Però, come

Note (1) Tim Birkhead (n. 1950) è un ornitologo britannico, professore di Etologia ed Evoluzione all’Università di Sheffield. Le sue ricerche hanno riguardato la promiscuità negli Uccelli, la polispermia, ossia quando una cellula uovo è fecondata da più spermatozoi, e il significato adattativo della forma dell’uovo negli Uccelli. È autore di The red canary: the story of the first genetically engineered animal (2004) dove descrive l’efficacia dell’allevamento selettivo e di come l’interazione tra uno scienziato e un allevatore di canarini abbia portato al primo canarino a fattore rosso. (2) Le Canarie sono isole subtropicali, situate nell’oceano Atlantico, davanti alla costa dell’Africa e al Sahara, al largo del Marocco, poco più a nord rispetto al Tropico del Cancro, alla stessa latitudine di Florida, Bahamas, Bermuda, Caraibi, Hawaii. In ordine di estensione, le isole sono: Tenerife, Fuerteventura, Gran Canaria, Lanzarote, La Palma, La Gomera, El Hierro. (3) Ulisse Aldrovandi, talvolta scritto Aldovrandi (1522 – 1605), è stato un naturalista, botanico ed entomologo italiano, realizzatore di uno dei primi musei di storia naturale, studioso delle diversità del mondo vivente, esploratore che, negli ultimi decenni del Cinquecento e fino ai primi del Seicento, si impose come una delle maggiori figure della scienza, nonché guida e riferimento per i naturalisti italiani contemporanei. (4) Erwin Stresemann (Dresda, 1889 – Berlino, 1972) ornitologo e storico della scienza tedesco, è stato uno degli ornitologi più importanti del XX secolo. Dal 1921 fu a capo del “Dipartimento degli Uccelli” del Museo Humboldt di Storia Naturale di Berlino, e incoraggiò al lavoro scientifico un gran numero di futuri studiosi tedeschi, come Ernst Mayr e Bernhard Rensch. Dal 1922 al 1961 è stato inoltre redattore del Journal für Ornithologie, e Segretario Generale, Presidente (dal 1949) e Presidente onorario della Società Tedesca di Ornitologia.

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(5) Charles Davenport (1866 –1944) è stato un biologo ed eugenetista statunitense, tra i fondatori della rivista di statistica Biometrika. Con i suoi lavori, Davenport divenne noto come uno dei principali biologi statunitensi del suo periodo, pioniere nei tentativi di sviluppare degli standard quantitativi di tassonomia. Davenport ebbe un enorme rispetto per l’approccio biometrico all’evoluzione introdotto da Francis Galton e Karl Pearson, e fece parte del comitato editoriale di Biometrika. Comunque, dopo la ‘riscoperta’ delle leggi dell’ereditarietà di Gregor Mendel, divenne un fedele adepto ed un importante partecipante alla scuola Mendeliana di genetica. (6) Antonio Valli da Todi fu un uccellatore e scrittore Italiano vissuto intorno al 1600, noto per il libro Il Canto degl’Augelli del 1601. Il libro tratta della cattura, allevamento e addomesticamento di circa sessanta specie di uccelli canori. Include note sui metodi di trappole e caccia di uccelli, compreso l’uso di esche, reti, gufi e falchi. Comprende anche metodi per allevare gli uccelli e stimolarne il canto. Le illustrazioni sono di Antonio Tempesta. Il libro di Valli servì come base ad altri lavori Italiani sugli Uccelli, p.es. Uccelliera di G.P. Olina (1622), che plagiò considerevoli porzioni raggiungendo maggiore popolarità. (7) Giovanni Pietro Olina (1585 - circa 1645) fu un naturalista Italiano, avvocato e teologo, meglio noto per gli scritti sulla cattura e l’allevamento degli uccelli canori: Uccelliera,

overo, Discorso della natura, e proprieta di diversi uccelli (1622). Il libro di Olina descrive e illustra anche le reti da cattura, l’uso di richiami e accurate istruzioni per imbalsamare gli uccelli. Questo testo riporta una delle più antiche e accurate illustrazioni del canarino. Sia Valli da Todi che Olina riportano la storia di come i canarini giunsero in Europa ossia tramite il naufragio all’Isola d’Elba di una nave proveniente dalle Canarie. Secondo Valli da Todi i canarini naufragati si sarebbero riprodotti sull’isola. Secondo un successivo studio, le raffigurazioni del supposto canarino Elbano sarebbero in realtà di venturone corso (Carduelis corsicana). (8) Gessner Conrad o Konrad (Zurigo 1516 1565), è stato un naturalista, teologo e bibliografo svizzero. Erudito, in possesso di una cultura poliedrica, coltivò lo studio di numerose scienze, dalla teologia alla filologia, dalla botanica e zoologia alla medicina. Le Historiae animalium (1551-1558), un’opera enciclopedica di 4.500 pagine e contenente numerose illustrazioni, costituisce la più completa opera di zoologia del Rinascimento. Vi sono descritti più di mille animali, compresi animali delle Indie Orientali e delle Americhe. L’opera, in quattro volumi, era il frutto di una sintesi di varie fonti: la Bibbia, Aristotele, Plinio, di comunicazioni che gli giungevano dai suoi numerosi corrispondenti e dell’osservazione diretta. Seguendo la classificazione di Aristotele, il primo volume trattava dei quadrupedi vivipari; il secondo volume dei qua-

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Frontespizio dell'edizione italiana di Nouveau Traité des Serins de Canarie, (1709), Jean Claude Hervieux de Chanteloup (1683-1747)

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drupedi ovipari; il terzo degli uccelli e il quarto degli animali acquatici. Un quinto volume sui serpenti fu pubblicato postumo nel 1587. In ciascun volume gli animali erano in ordine alfabetico. Canali ricorda la seguente regola: nei maschi sono più rilevanti le eumelanine, nelle femmine le feomelanine. Quindi i colori a base di eumelanine (nero, grigio, blu, azzurro, viola e verde) sono più diffusi e accentuati nei maschi; mentre i colori a base di feomelanine (marrone, nocciola, giallo, fulvo e rosso) sono più diffusi tra le femmine. Da non confondere però il giallo e rosso da feomelanine con il giallo e rosso da lipocromi, che invece possono essere molto più accesi nei maschi. Il bianco recessivo è epistatico su tutte le altre varietà. Solo con accoppiamenti mirati, si può sapere di quali geni è portatore (Canali, 1998, pag. 52). L’acianismo (xanticismo) è epistatico su tutte le altre mutazioni melaniniche ma il colore dell’occhio indica il tipo di appartenenza (tipi base e aggiunti). Quindi i pezzati saranno diversi secondo il tipo del genitore melaninico e il tipo del genitore lipocromico. Su I.O., 1990, n. 4, pag. 39, Aggiornamenti di Genetica, Zingoni spiega che la penetranza indica la percentuale di soggetti che in una popolazione esibiscono un carattere, mentre l’espressività ne indica la variazione quantitativa. Esempio di espressività è la pezzatura nel Canarino domestico: i fenotipi eterozigoti (Vv) variano enormemente e riporta la figura tratta da Colored Canaries, di G.B.R Walker (New York, 1977). Si definiscono trasposoni alcuni elementi genetici presenti nei genomi di procarioti ed eucarioti, capaci di spostarsi da una posizione all’altra del genoma. In particolare negli eucarioti essi possono spostarsi sia in posizioni diverse sullo stesso cromosoma sia su cromosomi differenti. Essi fanno parte degli elementi trasponibili, assieme alle sequenze di inserzione (IS). Gli animali non hanno la capacità di sintetizzare i lipocromi (carotenoidi) partendo da composti più semplici, quindi devono procurarseli nutrendosi di vegetali, o di animali che si sono nutriti di vegetali. Nel canarino bianco recessivo il grasso è praticamente privo di lipocromi (carotenoidi) e la pelle è colorata solo dal sangue, di un caratteristico rosa-violaceo. William Alanson Bryan (1875-1942) è stato uno zoologo, ornitologo, naturalista e direttore di museo americano. Nel 1900 alle Hawaii divenne dapprima curatore di ornitologia al Bernice P. Bishop Museum e poi professore di zoologia a Manoa. Dal 1921 al 1940 diresse il Los Angeles Museum of History, Science and Art. The Auk è una rivista scientifica trimestrale statunitense https://www.jstor.org/journal/ auk. Pubblicazione ufficiale dell’Unione Americana di Ornitologia http://americanornithology.org, è stata fondata nel 1884. Contiene articoli riguardanti studi scientifici di anatomia, comportamento e distribuzione degli uccelli.


ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Il Diamante Mandarino e la mutazione “charcoal” testo STEFANO ANGELINI e FRANCESCO FAGGIANO , foto S. ANGELINI

Introduzione Nella storia dell’ornicoltura ornamentale, il Diamante Mandarino è sicuramente una delle specie che dopo l’ondulato e il canarino ha dimostrato grande capacità di adattamento alla vita domestica, ripagando nel tempo i suoi appassionati ornicoltori con un gran numero di varianti cromatiche, che spaziano dalla comune mutazione bruno fino ad arrivare alla complessa “charcoal” di cui ci occuperemo nel dettaglio in questo articolo tentando di identificarne la genetica e la giusta selezione. Cenni e ipotesi sulla genetica del "charcoal" Più è complessa la livrea ancestrale di una specie, più geni e più considerando saranno coinvolti nella sua determinazione e conseguentemente più possibilità di variazioni potranno determinarsi. Facendo una semplificazione estrema del complesso genico che sottende la livrea della specie, possiamo dire che alcuni di questi geni si occupano della produzione dei diversi pig-

Nel Diamante Mandarino oggi abbiamo un ampio ventaglio di varianti fenotipiche frutto di mutazioni genetiche spontanee

Coppia di Diamante Mandarino grigio charcoal

menti, altri si occuperanno di quale e di quanto specifico pigmento deve essere prodotto e altri ancora di dove deve essere depositato. Questo ci permette di identificare tre grandi classi di geni così identificabili: geni qualitativi, che orientano la produzione delle eumelanine e delle feomelanine, ricordando che è sempre e solo il melanocita la cellula produttrice sia delle eumelanine che delle feomelanine; geni quantitativi, la cui azione specifica incide sulla quantità di melanina depositata sul piumaggio; infine geni regolatori della distribuzione del pigmento, che stabiliscono quale pigmento vada

depositato o inibito in un dato punto del corpo. Nel Diamante Mandarino oggi abbiamo un ampio ventaglio di varianti fenotipiche frutto di mutazioni genetiche spontanee, riguardanti tutte e tre le classi di geni indicate. Come esempio di mutazione della qualità del pigmento possiamo sicuramente indicare il guancianera (geneticamente indicabile come onice), dove la variante genetica obbliga il melanocita a produrre solo eumelanina nera. Come mutazione tipicamente incidente sulla quantità di pigmento depositato sul piumaggio è calzante come esempio la mutazione dorsochiaro (genetica-

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mente identificabile come agata), che vede definire un fenotipo caratterizzato da una riduzione del deposito melanico che interessa sia l’eumelanina che, in modo più marcato la feomelanina, ma solo perché già di base la quantità di feo è di suo inferiore alle eumelanine. Come esempio di mutazione inerente la distribuzione del deposito dei diversi pigmenti, quindi descrivibile come mutazione dei disegni, possiamo sicuramente ricordare il pettonero, che stravolge sia i disegni eumelanici che quelli feomelanici, ricordando che viene considerato disegno

la selezione attenta può migliorare orientando l’espressione fenotipica della genetica per raggiungere e a volte superare l’eccellenza descritta negli standard. Vedremo di fatti nella trattazione specifica della mutazione “charcoal” come l’effetto mutante inibitorio di un gene permetta l’inespressione dello stesso, ma al contempo inneschi straordinariamente il prolungarsi dell’attività di altri geni che nel caso specifico determinano la saturazione eumelanica con impropria modulazione di nuove aree non pertinenti.

Novello appena involato di Diamante Mandarino charcoal

il margine o confine di un’area colorata. Sono, questi, solo tre esempi esplicativi di un più complesso ed articolato ventaglio di varianti genetiche del Diamante Mandarino non sempre contenute in esatti confini; probabilmente perché sullo stesso carattere intervengono sicuramente più attività genetiche, che se nel tipo base risultano tutte coerenti e concorrenti alla definizione del mantello classico, in presenza di modificazioni dell’assetto genetico spesso vanno in contraddizione tra loro determinando artefatti o espressioni intermedie, che poi solo

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Il “charcoal”: storia e caratteristiche genetiche Da ormai un ventennio in Australia è fissata nel Diamante Mandarino una particolarissima mutazione approdata solo da 4 o 5 anni in Europa attraverso gli Emirati Arabi dove, a loro volta, solo una decina di anni fa hanno avuto le possibilità di acquistarne alcuni soggetti, immediatamente rinforzati attraverso l’accoppiamento con ottimi soggetti in loro possesso. Questo mutante, che produce un fenotipo completamente innovativo, stravolge come accennato nel paragrafo precedente

l’intera genetica finora conosciuta perché determina un fenotipo per un fenomeno indiretto alla mutazione stessa, ovvero l’inibizione di un gene determina la sovraespressione di altri geni. I belgi, primi ad averli in Europa, hanno correttamente ritenuto opportuno mantenere la denominazione “charcoal”, ovvero carbone, indicata dagli australiani, per l’effetto ipermelanizzante e opacizzante che produce sul fenotipo (ma questo è solo l’aspetto macroscopico del mutamento) e inserendolo in ottimi ceppi di grigio classico ne hanno velocemente migliorato l’espressione fenotipica secondo i canoni della moderna mandarinicoltura, miglioramenti che hanno coinvolto ovviamente anche la struttura di questi animali, oggi già presentanti morfologie ottimali. Quello che caratterizza questa mutazione autosomica recessiva e non allelica a nessuna altra varietà già nota nel DM (pur potendo supporre che la stessa mutazione interessi anche il becco d’argento ventrescuro, sebbene non avendo ancora verificato questa ipotesi attraverso l’ibridazione) non è soltanto l’ipermelanizzazione del piumaggio, carattere già visto in altre varietà come ad esempio l’eumo, ma soprattutto il contemporaneo fenomeno di inibizione di alcuni caratteri, come ad esempio la definizione della guancia e la modificazione del disegno. Però, mentre ci spieghiamo la modifica di alcuni disegni, come tutte le aree bianche della livrea che essendo quasi o totalmente saturate dall’eumelanina nera prendono nuova identità, la scomparsa della guancia feo e la mancata sostituzione con una guancia nera è meno comprensibile. È chiaro che nel “charcoal” il melanocita non subisce quell’inibizione locale della produzione delle eumelanine così che il triangolo facciale, la zebratura della gola e del petto, il ventre e persino i pallini dei fianchi e gli scacchi caudali vengano completamente saturati, ma questo può spiegarci come mai non è più in grado di produrre la feomelanina? E soprattutto, come mai nelle aree di pertinenza feomelanica, in presenza della mutazione “charcoal”, non si verifichi il noto fenomeno di sostituzione che caratterizza ad esempio altri mu-


tanti come il guancianera? Sappiamo che esiste un gene che, mutando in una forma iperattiva chiamata “faccianera”, determina una saturazione quasi completa delle aree bianche; questo fenomeno di saturazione, però, ad un certo punto si esaurisce, permettendo il riavviarsi della sintesi feomelanica e lasciando presenti sul piumaggio aree bianche come pallini, zona anale e scacchi caudali, variamente sfumati di pigmento nero. Questo ci indica che anche la “charcoal” è data da una mutazione che sospende l’inibizione della produzione eumelanica che però non tende ad esaurirsi perché viene a mancare la causa inibente, andando a determinare una saturazione completa che non è influenzata da quanta feo si sarebbe depositata normalmente. Effettivamente, ad un’osservazione attenta, l’azione della “charcoal” non è di generale ipermelanizzazione, ma di eumelanizzazione ordinaria. In altri termini, nella “charcoal” il melanocita che viene orientato a produrre solo eumelanina rimane in attività per tutta la crescita del piumaggio, anche in quelle aree normalmente bianche o che sarebbero pigmentate da sola feomelanina, ma in queste non si ha quella produzione massiva che si avrebbe per le feo e che permette la definizione della guancia. Tanto è vero che, pur considerando corretti i soggetti che presentano un colore grigio fumo sul dorso e nero uniforme e saturo del petto e ventre, spesso la guancia nei maschi “charcoal” si presenta grigia e zebrata, così come succede anche sul petto e addirittura il ventre si può presentare grigio scuro e anche leggermente perlato di bianco (aree non saturate). Il fatto che spesso si evidenzi su guance, petto e ventre la “zebratura”, se pur su un fondo melanico e non bianco, ci dice che la produzione del pigmento non è costante nella quantità e pur considerando come tipici i soggetti uniformi e completamente saturi è chiaro che questo sia più il risultato (sperato) di un’attenta selezione e non l’effetto base della mutazione, che possiamo definire solo come eumelanizzante. Il fatto, poi, che le aree bianche come triangolo facciale ed estremità posteriore (groppone e codione) vengano saturate da

melanina nera è spiegabile sommando l’ininterrotta attività del melanocita con la mancanza specifica per quelle zone di un regolatore di base funzionante, che permette una sovraespressione del melanocita. Probabilmente l’effetto che produce il fenotipo “charcoal” sta nell’artefatto funzionale del recettore di membrana MC1R che, non recependo lo stimolo del gene agouti, il probabile gene mutante, che dovrebbe indurre la produzione della feomelanina, continua a produrre eumelanina sotto la stimolazione ipofisaria che è costante, ma quantitativamente

zione uniforme fosse da preferirsi rispetto alla possibilità di preservare la zebratura che compare sovente anche in aree come la guancia e non solo sul petto. In questi soggetti non è raro, difatti, osservare anche una leggera perlatura biancastra sul ventre. Essendo il “charcoal” un fenotipo scurente ed idealmente capace di saturare le aree di piumaggio bianco, si ritiene giustamente che l’evidenza della zebratura sia un difetto perché riconducibile ad un artefatto del funzionamento dei geni preposti alla zebratura stessa del petto che, non inibiti dall’azione del

Diamante Mandarino grigio charcoal maschio

ondulatoria con picchi di produzione che caratterizzano il realizzarsi dell’effetto “zebratura”, dato da bande scure (nere) su fondo chiaro (grigio) uniforme. Descrizione del fenotipo Il nome “charcoal” = carbone, dato dai colleghi belgi a questa mutazione, rende perfettamente l’idea del fenotipo ottimale richiesto per questa mutazione, ovvero nero come il carbone. Nell’applicare i presupposti generali della selezione del Diamante Mandarino ci si è domandati se una satura-

gene mutante “charcoal”, tendono ad esprimersi anche in aree di non pertinenza. È un fenomeno già più volte osservato nel DM in altre condizioni genetiche dove, rotto l’equilibrio dato dall’assetto genetico “ancestrale” per la presenza di un mutante, gli altri geni si esprimono in modo differente e in aree di non pertinenza. Ricordiamo che ogni singola cellula del corpo di un essere vivente contiene esattamente gli stessi geni di tutte le altre cellule e che è l’informazione proveniente dal mondo circostante che gli dice come comportarsi. Quando questo messag-

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sono alleliche e la eumo presenta due piccoli indizi distintivi che però fanno la differenza e che sono alterazione della struttura del piumaggio, il quale per anomalo sviluppo degli uncini risulta poco compatto soprattutto su remiganti e timoniere, con presenza di feomelanina sui fianchi e sulle guance. Entrambe queste caratteristiche non sono presenti sul “charcoal”.

Diamante Mandarino grigio charcoal

gio è artefatto o interpretato male perché uno o più geni sono mutanti, la risposta è impropria; sarà poi la selezione a orientare e migliorare la nuova possibilità fenotipica che si va a determinare. Così per il DM grigio “charcoal” maschio è ritenuto ottimale un colore grigio fumo, scuro e uniforme su capo, guance e dorso, mentre si ritiene ottimale un petto e un ventre nero carbone, con fianchi castani, ma privi di pallini (perché è caratteristica della mutazione la saturazione di ogni area del piumaggio). Anzi, come detto, va evidenziato che ogni area acianica del tipo classico viene saturata da eu nera, così che il triangolo facciale diventa nero e molto evidente, anche perché si fonde con la lacrima; groppone e codione sono completamente neri e anche gli scacchi della coda vengono pigmentati, così che copritrici caudali e timoniere assumano lo stesso colore nero. Nella femmina l’attività melanizzante è più contenuta, così come succede anche nelle femmine faccianera, probabilmente perché l’assetto ormonale femminile incide sull’espressione del pool genetico che sottende la definizione dei disegni neri. Si evidenziano comunque sature di eu nera e non grigia le aree del triangolo facciale, del calzone completo (grop-

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pone e codione sono totalmente interessati da melanina nera) e le copritrici caudali come nel maschio, mentre il ventre è tendenzialmente grigio scuro. Un altro elemento caratteristico del fenotipo femminile, dove la differenza tra la porzione superiore del corso con la porzione inferiore è minima, è data dalla presenza di “perlatura nera” sul bassopetto e sul ventre. Tale richiesta fenotipica per il DM grigio “charcoal”, pur se estremizzata e ancora raggiungibile con difficoltà, permette di distinguere il “charcoal” dall’eumo, col quale potrebbe confondersi con un’osservazione sommaria dei soggetti. Va ricordato che, pur determinando un fenotipo molto simile, l’eumo risulta preservare molto il disegno classico su un fondo melanizzato, ma non scuro come il “charcoal”; le due mutazioni non

Per il DM grigio “charcoal” maschio è ritenuto ottimale un colore grigio fumo, scuro e uniforme su capo, guance e dorso

Storie di ornicoltura: l’esperienza di Stefano Angelini col DM “charcoal” Ho ritenuto opportuno riportare l’esperienza di Stefano Angelini per aggiungere a questa monografia sul “charcoal” anche un vissuto emotivo che testimoni come sia la passione a portare avanti nel tempo l’ornicoltura, che non è un semplice esercizio sportivo o un improbabile business, ma parte pervasiva delle nostre giornate che ci permette di crescere come persone attraverso l’accudimento dei nostri amati uccelli domestici e attraverso quell’intreccio di relazioni sociali che l’ornicoltura può farci realizzare. «Quando nel 2000 ho iniziato ad allevare, l’entusiasmo del neofita mi portava ad allevare un po’ di tutto, ma il Diamante Mandarino è stato capace di conquistarmi in modo totalizzante, tanto che presto ho dedicato tutto l’aviario a questo straordinario estrildide australiano. Ho cercato tra allevatori e sul web di documentarmi e capire come funzionasse la sua genetica e la sua selezione e non ho tardato ad imbattermi nel “charcoal”, già allora presente in Australia, ed è stato amore a prima vista. Purtroppo, le possibilità di riuscire ad importare direttamente dall’Australia in Italia questa varietà di DM erano zero, sia per limiti legali che economici. Ho continuato comunque a seguire di tanto in tanto qualche allevatore australiano che portava avanti questa particolare mutazione, anche se da quello che ho potuto capire i presupposti ornicolturali e selettivi degli allevatori australiani sono molto diversi da quelli europei e italiani, sia per mentalità che per possibilità. Dopo qualche anno, l’interesse di facoltosi appassionati del Bahrain e di altri paesi mediorientali ha fatto la differenza. Questi allevatori hanno speso davvero molto per acquistare i migliori


DM un po’ da tutto il mondo, arrivando a pagare i più grandi tecnici del Mandarino perché andassero a scegliere i migliori soggetti dagli ornicoltori di ogni dove, predisporre le coppie e giudicare negli show. In pratica, hanno miscelato i migliori ceppi di DM inglese (selezionati principalmente per forma e posizione) con i migliori ceppi Olandesi (selezionati principalmente per colore e disegno), ottenendo così una selezione mediorientale del DM con ottime caratteristiche di forma e posizione abbinate a ottimo colore e disegno. Sulle ali del vento e di “internazionali”, ricchi principi arabi hanno potuto acquistare i primi “charcoal” e inserirli in questi nuovi ceppi che hanno velocemente migliorato la stanca selezione australiana. Dopo qualche anno di riproduzione mirata e la stabilizzazione di più ceppi, sono iniziate le impegnative trattative che dal Bahrain hanno permesso di portare in Belgio prima ed in Olanda subito dopo il “charcoal”. Da qui inizia la storia europea di questa mutazione, che come primo step di una selezione un po’ più consapevole e tecnica, ha verificato la non allelicità con gli eumo e l’effetto della sovrapposizione con il faccianera, da cui si evidenzia un fenomeno sinergico che fa esprimere ottime potenzialità alla mutazione “charcoal”, ma senza evidenziare realmente la presenza stessa del faccianera. Anche l’interazione con il guancianera produce caratteristicamente un miglioramento fenotipico addirittura in condizioni di eterozigosi, ovvero i grigi “charcoal” portatori di guancianera si esprimono fenotipicamente meglio dei grigi “charcoal” puri, non presentando i

Diamante Mandarino grigio charcoal femmina

deficit di melanizzazione o le zebrature considerate difetto. Suggestiva è la combinazione “charcoal” guancianera, che vede nei maschi migliori un’espressione nero saturo della parte inferiore dal mento alla cloaca con la comparsa di una guancia se pur non particolarmente estesa comunque evidente ed espressiva. La prova con il pettonero, anch’essa mutazione non allelica alla “charcoal”, ha evidenziato l’esclusività selettiva delle due mutazioni, che combinate presentano carattere antagonista una sull’altra, facendo comparire nei soggetti “charcoal” pettonero una sfumata guancia brunastra e il disegno caudale, con-

dizione ritenuta impropria nella selezione della “charcoal”. Due anni or sono, io e l’amico Muraro abbiamo finalmente coronato il nostro sogno acquistando alcuni soggetti e riuscendo a riprodurli anche con buon successo, dando avvio alla stabilizzazione di due nuove linee di sangue italiane, che attualmente promettono molto bene sia come rusticità dei soggetti che come fenotipo nonostante la variabilità espressiva dei soggetti. Vedremo nei prossimi anni le varie combinazioni con altre varietà cosa saranno in grado di regalarci». Si ringrazia per la collaborazione Stefan Verhoeven.

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CANARINI DI COLORE

Tipi base e tipi aggiunti di GIOVANNI CANALI, foto E. DEL POZZO

S

pesso si parla di tipi base e di tipi aggiunti, i concetti dovrebbero essere noti, ma non vorrei che ci fossero aspetti non chiari a tutti, talora ne ho l’impressione. Data l’importanza di questo tema, ritengo quantomeno utile fare delle precisazioni, se non altro per i neofiti. I tipi base tradizionalmente considerati sono: nero, bruno, agata ed isabella. Nero e bruno sono ossidati, agata ed isabella diluiti. Quindi vediamo subito

Nero intenso rosso, foto: E. del Pozzo

Vi sono due linee selettive opposte, massima ossidazione, vale a dire massima espressione melanica negli ossidati e massima diluizione nei diluiti

che vi sono due linee selettive opposte, massima ossidazione, vale a dire massima espressione melanica (colori scuri) negli ossidati e massima diluizione nei diluiti, (colori più chiari, ma non sbiaditi). Tipi aggiunti sono tutte le altre mutazioni attinenti alle melanine, tranne l’acianismo. Si badi bene chi i tipi base sono anche definiti classici; talora si parla in modo non molto corretto di “normali”, oppure di “vecchi tipi” da contrapporre ai “nuovi”.

Isabella brinato rosso, foto: E. del Pozzo

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Agata brinato giallo maschio, foto: E. del Pozzo

Bruno eumo intenso giallo, foto: E. del Pozzo

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Il discorso dei tipi base (o classici) è fondamentale per due ordini di motivi: i vari tipi aggiunti (pastello, opale, ecc.) si classificano in associazione con i 4 tipi base suddetti, con pochissime eccezioni parziali, come per il phaeo ed il satiné, inoltre la presenza di un tipo base dà un’indicazione fondamentale come linea selettiva. Nelle selezioni è perentorio capire quali aspetti dipendono dal tipo base e quali dal tipo aggiunto, come vedremo. In realtà i 4 tipi base non hanno la stessa importanza, anche se sempre fondamentale. Il nero o come sarebbe meglio dire nero-bruno e l’agata sono i più pregnanti, le colonne portanti di ogni selezione che voglia essere veramente ortodossa. Il nero-bruno è necessario per mantenere il disegno nei bruni anche classici e l’agata per lo stesso motivo negli isabella anche classici. Peccato che dei veri nerobruni si stia perdendo lo stampo. La forma selvatica, quella delle Canarie per capirci, è il nero-bruno; questo per il canarino ma anche per tutte le altre specie, almeno di fringillidi, che sono nero-brune sempre. Il termine deriva dal fatto che vi sono sia melanine nere che brune e fra le brune segnatamente la feomelanina. Un’eccezione ampia potrebbe essere data dagli psittaciformi che non hanno feomelanina. Va detto che quando una mutazione agisce in modo autonomo sulla forma selvatica, non si ha un’interazione; infatti non sarebbe necessario dire: nero pastello, nero opale, ecc., sarebbe sufficiente ed anche più corretto dire soltanto: pastello, opale, ecc. Tuttavia a me non dispiace l’aggiunta del termine nero, poiché dà un’indicazione precisa sulla selezione da seguire. Negli altri casi c’è sempre un’interazione, vale a dire la presenza assieme di 2 mutazioni, cioè il bruno oppure l’agata oltre a quella del tipo aggiunto, negli isabella di 3 mutazioni, visto che l’isabella è già l’interazione di bruno e di agata, cui sommare il tipo aggiunto. Pertanto un bruno pastello, come un bruno opale sono dati dall’interazione

della mutazione bruno e di quella del tipo aggiunto, in questi casi, pastello oppure opale. Stessa cosa per agata pastello ed agata opale, ove troviamo la mutazione agata in interazione con le mutazioni pastello oppure opale. Nell’isabella le mutazioni interagenti sono 3; infatti l’isabella comprende bruno ed agata, più l’ulteriore mutazione di tipo aggiunto, come opale o pastello e di conseguenza abbiamo: isabella pastello ed isabella opale. Ho citato i casi del pastello e dell’opale e non di altri tipi aggiunti per brevità e per il fatto che sono stati storicamente i primi tipi aggiunti segnalati, ma avrei potuto mettere al loro posto o aggiungere altri tipi aggiunti, quali: topazio, onice, cobalto, ecc.

La forma selvatica, quella delle Canarie per capirci, è il nero-bruno; questo per il canarino ma anche per tutte le altre specie, almeno di fringillidi, che sono nero-brune sempre

Ora, se qualcuno preparato in campo biologico, ma non edotto dei nostri termini, avesse letto le righe precedenti, non si raccapezzerebbe bene per la faccenda del bruno e dell’isabella. In effetti in passato si è fatta una brutta confusione. La mutazione che trasforma l’eumelanina nera in eumelanina bruna si chiama isabellismo. Pertanto si fece bene all’inizio a chiamare i soggetti che ne erano affetti isabella. Poi, avendo incrociato gli isabella con gli agata, grazie al crossing-over, si ebbe l’interazione di isabella e di agata. A questo punto sarebbe stato logico, oltre che corretto, chiamare i nuovi canarini isabellaagata oppure volendo usare un solo nome isabellino. Invece si decise di chiamare bruni i veri isabella originali


ed isabella l’interazione con l’agata. Il suddetto è un errore solo di denominazione, ma poi ne è stato commesso un altro sostanziale, cambiando selezione; infatti i nero-bruni (tipo selvatico), che si selezionavano come logico per la massima espressione del nero e del bruno, vennero chiamati solo neri perché si decise di selezionare solo a favore del nero e non anche del bruno, anzi contro il bruno (prodotto da feomelanina). Non starò ad esprimermi oltre avendo già fatto in passato un’inutile battaglia a favore del nero-bruno; dico però che quando si selezionano i bruni, anche classici, il supporto da usare è il nero-bruno, non il nero selezionato contro il bruno (la feomelanina). Questo perché nei bruni si vuole ancora la massima espressione del bruno dato da feomelanina, anche se non manca chi è contrario alla feomelanina anche nei bruni. Ritengo che queste precisazioni debbano essere tenute ben presenti. Quando si valuta un soggetto, bisogna saper distinguere fra i pregi e i difetti del tipo base e del tipo aggiunto. Non sempre questa distinzione è chiara anche per persone abbastanza navigate. Se su certi aspetti non vi sono dubbi, su altri possono invece esserci. Non vi è dubbio alcuno che carenza di nero fin quasi al carnicino su becco e zampe nei neri come nero pastello o nero opale o nero cobalto ed altro, è un difetto del tipo base. Anche la presenza di melanina su becco e unghie di agata è un difetto di tipo base, quale che sia il tipo aggiunto. Certo, a proposito di nero su becco e zampe dei neri, può interferire il tipo aggiunto, quindi dovremo valutare in proporzione del medesimo, facendo anche confronti omogenei. In qualche caso il tipo aggiunto annulla l’eumelanina su becco e zampe, come nel phaeo, in altri casi la riduce in modo quasi totale come nel topazio. Carenze di disegno localizzate (fianchi, testa) riguardano il tipo base. Del resto si nota che i difetti sopra indicati, sono presenti anche nei classici (tipi base). I difetti dei tipi aggiunti attengono in-

vece a scarse espressioni dei medesimi. Un esempio tipico lo troviamo nel pastello, che essendo prodotto da un gene maggiore ha diverse interferenze di geni modificatori. Si va dal nero pastello tradizionale a quello dalle ali grigie al massimo; le forme intermedie sono date da difetti del pastello, causate appunto dai suoi geni modificatori. Anche in presenza di espressività variabili la colpa dei difetti è del tipo aggiunto, ad esempio

il (nero) phaeo con melanina centrale per mancata inibizione della stessa. Per fare un esempio, ritengo chiaro, cito casistiche dell’isabella pastello. Un isabella pastello molto diluito ma con disegno è ottimo come tipo base, ma carente come pastello, poiché il disegno non è ridotto totalmente o quasi dall’azione dei geni modificatori; un isabella pastello con molto bruno ma senza disegno è scadente o pessimo come tipo base, ma ottimo

Agata opale intenso rosso, foto: E. del Pozzo

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come pastello; un altro molto diluito e con disegno annullato è ottimo in tutto; un altro ancora con molto bruno e disegno è pessimo in tutto. In allevamento soggetti del genere darebbero risultati diversi; da notare che il soggetto molto diluito ma difettoso per il disegno potrebbe dare ottimi classici, quelli con molto bruno certo che no. A volte ci sono situazioni più difficili da valutare. Un tipo che crea problemi

Isabella pastello intenso giallo, foto: E. del Pozzo

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A volte ci sono situazioni più difficili da valutare. Un tipo che crea problemi grossi può essere l’opale o sue forme alleliche, da alcuni non riconosciute come tali

grossi può essere l’opale o sue forme alleliche, da alcuni non riconosciute come tali. Secondo la mia visione i veri neri opale sono quasi del tutto perduti, molto spesso sostituiti da canarini diversi. L’accoppiamento in purezza nel nero opale danneggia la penna che si arriccia e fa perdere l’espressione azzurrina delle penne forti presente negli intensi. La causa è da ritenere consistere in una minore riduzione dei granuli di eumelanina abbassata nella pagina inferiore della penna, che ne aumenta il peso inducendo arricciatura e facendo perdere l’effetto strutturale di riflessione azzurrino, che richiede granuli più fini e distanziati. Nei neri opale incide, come sempre, il tipo base nero, ma talora in modo strano. Ho citato in passato un episodio: in un mercatino, guardando un trasportino contenente neri opale, direi tutti veri, c’erano diverse espressioni nei tipi, mediamente non molto buoni, del resto erano da vendere. Quello che mi colpì fu un soggetto particolarmente scadente per carenza di eumelanina, era uno dei cosiddetti “agatati”, termine pessimo talora usato per indicare dei neri anche classici così atipici da somigliare a degli agata. Ebbene, quel soggetto era certo un pessimo nero (certo come tipo base), non un pessimo agata, ma come opale era in un certo senso anche “troppo bello…” direi piacevole per un non esperto. Cosa intendo? Intendo dire che i riflessi azzurrini erano maggiori rispetto agli altri soggetti. Tuttavia una piacevolezza fasulla, non certo da premiare poiché presente in un soggetto privo di valore come tipo base. Attenzione però a non equivocare, poiché la mancanza di azzurrino nell’opale, quando ci dovrebbe essere (come nelle penne forti dei neri opale intensi), è il peggiore difetto del tipo aggiunto opale. Tuttavia da non pretendere ove non possibile come negli apigmentati lipocromici o nei neri opale non intensi. Da non privilegiare però come neri opale canarini più scuri, che tali non sono e che non abbassano l’eumelanina nella pagina inferiore della penna. Ben sappiamo che l’opale ha la sua migliore espres-


sione nell’agata ove può raggiungere un vero azzurro nel disegno, visto che i granuli di eumelanina sono già ridotti dalla mutazione agata, sulla quale di conseguenza l’opale agisce meglio, e possono quindi favorire l’effetto strutturale di riflessione della luce che induce a percepire l’azzurro. Ebbene, il pessimo nero di cui sopra somigliando ad un’agata favoriva l’azzurrino, tuttavia in modo anomalo. Nell’agata opale si è sbagliato cercando un tipo base pesante, cioè con più eumelanina, per avere più azzurro (l’azzurro ha sempre base di eumelanina), ma perdendo di vista la tipicità del tipo base agata. In qualche caso si è talmente spinto il disegno pesante che si è finito con l’intaccare l’azzurro. Mi è capitato di vedere agata opale grigiastri per disegno troppo pesante, eppure secondo me erano opale veri, visto che l’eumelanina era prevalente nella pagina inferiore della penna. Mi rendo conto che questi discorsi sul-

Mi è capitato di vedere agata opale grigiastri per disegno troppo pesante, eppure secondo me erano opale veri, visto che l’eumelanina era prevalente nella pagina inferiore della penna

l’opale non sono semplici, specialmente senza canarini da mostrare. Un aiuto fondamentale è che l’opale abbassa in gran parte l’eumelanina nella pagina inferiore della penna. Se questo non accadesse non saremmo difronte ad un vero opale. In qualche caso si è anche pensato di avere tipi base scadenti per favorire il tipo aggiunto. Il tipo base deve essere sempre prioritario. Discorsi del genere

sono stati talora fatti per quello che riguarda i diluiti nell’onice e nel cobalto. In effetti le mutazioni onice e cobalto, con la loro diffusione di eumelanina, non sono adatte ai diluiti (agata ed isabella) poiché la diluizione del tipo base riduce moltissimo l’effetto di diffusione. In questi casi, due sono le soluzioni: o ci si accontenta, sempre privilegiando il tipo base, magari valorizzando il tono del disegno, o si rinuncia ad allevare diluiti nelle suddette mutazioni. Come del resto è successo per il phaeo senza problemi particolari: i phaeo diluiti (agata ed isabella) somigliavano troppo a dei lipocromici ad occhi rossi. Non avrebbe senso, dal punto di vista tecnico, allevare tipi base scadenti (agata o isabella poco diluiti) per favorire il tipo aggiunto. Convinto di aver suscitato qualche malumore, spero tuttavia di avere rimarcato la questione tipo base e tipo aggiunto, che non può, proprio non può, essere sottovalutata.

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ONDULATI ED ALTRI PSITTACIFORMI

FORMA & POSIZIONE PARTIAMO DALLE BASI

Ala perlata melaninico (Perlato melanico) testo e foto di GIOVANNI FOGLIATI

D

Giovane melaninico

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urante una sua visita in Australia nel maggio del 1991, Jeff Attwood sentì di una nuova forma della mutazione “Spangle” che era stata prodotta a Brisbane. Quegli uccelli erano apparsi presso l’allevamento del signor Garry Heuval. I soggetti che vide erano stati originariamente prodotti da Ala Perlata classici, ma i giovani apparivano come dei normali in ogni senso tranne la coda, che era chiaramente di tipo perlato. Al raggiungimento della seconda muta, l’aspetto degli uccelli mutava drasticamente. Simili ai noti Ala Perlata normali, ma allo stesso tempo decisamente molto diversi. Le perle della maschera apparivano piene e solide nell’aspetto e non con il centro decolorato come nella forma “Spangle” nota; i marchi guanciali erano chiaramente violetti e definiti, non bianchi come spesso accade con gli Ala Perlata. La coda era come nella forma perlata, ma il cambiamento più accattivante era nel disegno delle ali e delle remiganti, che assumeva un contrasto più evidente e marcato. Il signor Attwood non ebbe altre notizie della nuova forma fino al 1998, quando egli stesso vide nascere da una coppia formata da Ala Perlata Grigio Verde x Verde Scuro un novello Normale Grigio con una strana coda chiara. L’uccello in questione, raggiunta la fine della prima muta non mostrò differenze nel disegno, ma trascorsi alcuni


L’Ala Perlata Melaninico, o Perlato Melanico, si presenta sostanzialmente come un classico Ala Perlata

mesi iniziò la seconda muta e il nuovo aspetto iniziò lentamente a mostrarsi. Ora aveva il disegno dei soggetti visti anni prima in Australia. Il soggetto, una volta diventato adulto, fu unito ad una femmina Verde Scuro e durante la stagione 1999 produsse tre soggetti visivamente normali, ma con timoniere perlate. A tempo debito, quei tre giovani si svilupparono nel “Perlato melanico”. Descrizione L’Ala Perlata Melaninico, o Perlato Melanico, si presenta sostanzialmente come un classico Ala Perlata, ma il disegno risulta essere più pronunciato e netto. Le perle della maschera sono a colorazione piena nel Normale, ma può essere presente un accenno di nucleo decolorato negli Opalino, mentre i marchi guanciali sono simili alla varietà di colore appartenente: violetti se Verde o Blu, grigi se Grigioverde o Grigio. Sin dal nido è possibile riconoscere un Perlato Melanico osservando il colore delle timoniere centrali, che saranno chiare pur mantenendo marcature dorso/alari sostanzialmente non perlate. La mutazione può essere inserita con profitto anche in altre varietà proprio in virtù del disegno, che non si affievolisce come nei soliti Ala Perlata, muta dopo muta. Nel doppio fattore la colorazione del corpo e dei marchi guanciali, pur schiarendosi in maniera simile al Cannella, si mantiene uniforme mentre il resto delle marcature dorso/alari scompare del tutto. Particolarità del Melanico è di possedere i marchi guanciali completi e non spezzettati come nell’Ala Perlata comune. A volte si osserva una variante (o meglio un tipo di selezione) di questa mutazione fortemente più mela-

ninizzata, al punto che in età adulta sembra mantenere i tipici tratti giovanili. Particolarità di questa mutazione si riscontra sui novelli nel nido che a prima vista non sembrano essere Ala Perlata, ma ad un attento esame si notano le timoniere decolorate, segno inequivocabile della loro genesi. Dopo la prima muta del piumaggio la trasformazione si fa evidente e la metamorfosi si completa poi in un soggetto in cui l’equilibrio del tratteggio esprime gradevolezza ed una maggiore appariscenza. Mentre negli Ala Perlata attualmente in circolazione il disegno ossidato presso il bordo del piumaggio si esterna a fatica e servono anni di attenta selezione per riottenere una melaninizzazione accettabile, nei Melanici il motivo ornamentale marcato si valorizza fortemente in tutte le mutazioni in cui è inserito. Nelle varietà Normale e Opalino è palese la massima espressione del Tipo beneficiando di un maggiore effetto ossidativo delle “lunette”; i marchi guanciali sono completi, mentre i punti della maschera si presentano pieni e non decolorati al centro come negli Ala Perlata. L’ereditarietà Il gene mutato “Ala Perlata Melaninico” è autosomico dominante incompleto sul suo allele selvatico (gene non mutato). Almeno uno dei genitori deve essere melanico per poter ottenere una parte della prole con questa mutazione. Entrambi i genitori devono essere Perlato melanico per ottenere il doppio fattore. Combinando tra loro il Perlato melanico e l’Ala perlata si manifesta una nuova varietà dovuta alla combinazione dei due fattori, simile ai melaninici, ma totalmente visibile sin dal nido. Inizialmente questa nuova forma fu denominata “mutazione uno”, poi sostituita dalla definizione “PERLATO DOMINANTE DANESE” che, come detto, non è un’altra mutazione ma semplicemente la combinazione delle due. I tre fenotipi sono distinguibili già nel nido, mentre possono far sorgere

Perlato melanico df

qualche dubbio in età adulta. In grandi linee si possono dare le seguenti indicazioni:

Melanico in muta

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GIOVANI DA NIDO o APPENA SVEZZATI Ala Perlata

Marcature sottili più o meno marcate, marchi guanciali spezzettati e bicolore

Perlato Melanico

Marcature non perlate, timoniere chiare e marchi guanciali pieni.

Perlato Dominante Danese

Marcature perlate complete e ben evidenziate con marchi guanciali pieni.

SOGGETTI ADULTI DOPO LA MUTA Ala Perlata

Marcature sottili più o meno marcate, marchi guanciali spezzettati e bicolore

Perlato Melanico

Marcature perlate complete e molto evidenziate con marchi guanciali pieni.

Perlato Dominante Danese

Marcature perlate complete e ben evidenziate (a metà strada tra il Melanico e il Perlato comune), con marchi guanciali pieni.

Di seguito una tabella di alcuni possibili accoppiamenti, i risultati sono ovviamente indipendenti dal sesso dei riproduttori, trattandosi di mutazioni autosomiche dominanti incomplete e non sesso-legate (s.f. = singolo fattore; d.f. = doppio fattore):

COPPIA

ASPETTATIVA 50% Perlato Melanico s.f.

Perlato Melanico s.f. x Perlato Melanico s.f.

25% Perlato Melanico d.f. 25% Normale (non mutato)

Perlato Melanico s.f. x Normale Perlato Melanico d.f. x Normale

50% Perlato Melanico s.f. 50% Normale (non mutato) 100% Perlato Melanico s.f. 25% Normale (non mutato)

Perlato Melanico s.f. x Ala Perlata s.f.

25% Perlato Melanico s.f. 25% Ala Perlata s.f. 25% Perlato Dominante Danese s.f.

Il doppio fattore (d.f.) Perlato Dominante Danese, che geneticamente è un Ala Perlata d.f. Perlato Melanico d.f., è indistinguibile da un doppio fattore Ala Perlata ma, se accoppiato con un Normale, genera dei Perlato Dominante Danese singolo fattore. Esperienze personali Per la prima volta lo vidi dal vivo a Flums, in Svizzera, in circostanze fortuite, mentre passavo in rassegna le gabbie della locale esposizione di Pappagallini Ondulati; non ve n’erano altri, eppure catturò la mia attenzione come nessun altro. Daniel Lütolf, il suo proprietario, lo aveva esposto per poterlo mostrare in tutta la sua rarità e appariscenza. Un soggetto Ala Perlata Melaninico Cobalto di rara bellezza si rivelava al mondo ornitologico e ai miei occhi in tutto il suo fulgore. Avevo già avuto modo di poter esaminare quella mutazione da alcune foto reperite in rete, ma poterla osservare in un soggetto dal vivo era tutta un’altra cosa. Credo sia stata attrazione a prima vista; purtroppo, il prezzo elevato che il buon Lütolf chiese fece presagire sin dall’inizio la mia impossibilità all’acquisto e al momento del ritorno a casa ero sicuro che un pezzo del

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Melanico opalino

mio cuore fosse rimasto là, aggrappato saldamente a quel volatile. Riuscii ad entrare in possesso di due esemplari di questa mutazione alcuni anni fa durante il Campionato Europeo a Karlsruhe (Germania), li cedeva un allevatore svizzero. La femmina si riprodusse per prima, ma non ebbi molta fortuna perché mi morì poco dopo la nascita dell’unico piccolo. Il maschio si riprodusse un paio di mesi dopo con una femmina Opalino Verde scuro. Dalla coppia, in due nidiate, ottenni due Perlati Melanici. Il maschio, dopo un buon periodo di riposo, fu rimesso in coppia con una femmina Verde Chiaro e dall’unione mi assicurai altri tre Melanici. Nei tre anni in cui si riprodusse riuscii a dargli


altre due femmine in modo da poter re-incrociare i fratellastri fra loro e mantenere una certa stabilità nella linea famigliare. Al momento sono alla terza generazione e sto mettendo in pratica alcune prove. Dall’unione con l’Ala Perlata ho ottenuto dei soggetti “Perlato danese” di buona fattura e disegno. A suo tempo proverò l’unione Perlato Melanico x Perlato Danese per prendere nota del fenotipo dei giovani. Ho provato ad inserire l’Opalino e devo dire che i risultati sono decisamente incoraggianti. Nella stagione cove 2019 ho unito un Perlato Melanico al Cannella e ho constatato la bontà del disegno, anche se combinato con una varietà notoriamente ostica e dal disegno modesto negli Ala Perlata classici.

Remiganti melanico

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DIDATTICA & CULTURA

Sui canarini parlanti di FRANCESCO SAVERIO DALBA, foto AUTORI VARI

[1.] Prolegomeni Nei primi anni ‘90 mi interrogavo se lo zoologo irlandese Nicholas A. Vigors, vissuto a cavallo tra XVIII e XIX secolo, avesse attribuito ai Brotogeris il nome del Genere in ragione di una loro particolare inclinazione a parlare. In greco oi brotòi sono “i mortali”, sineddoche per “gli umani”(chiunque abbia tradotto Omero non può non rammentarlo)– mentre “γῆρυς” significa “voce”, dunque: “coloro che hanno una voce umana”. Trai pappagalli, oltre a loro, solo l’Amazona oratrix si è vista assegnare, nel nome scientifico, un riferimento alle proprie abilità locutorie; alcuni altri attributi di specie sono al più legati al clamore che i pappagalli sono in grado di generare: così festiva o garrulus (il riferimento è al Lorius garrulus; ma tra i Corvidi si incontra un altro parlatore, il Garrulus glandularius, la ghiandaia. Di recente sul Monte Baldo ho notato al suolo alcune inconfondibili piume azzurre di un G. gladularius predato nei pressi di un tronco ove erano presenti anche dei segni di affilatura delle unghie da parte di un orso, all’apparenza tuttavia molto più risalenti). Uno dei più abili parlatori, il Melopsittacus ha invece un nome che significa “pappagallo cantante”. Mentre scrivo, intorno al mio tavolo di lavoro stanno alcuni Brotogeris: un tirica, cinque cyanopterus, di cui tre nati quest’anno e due jugularis, e, con animo sereno, posso affermare che le loro emissioni vocali hanno ben poco di umano (specie al mattino presto): esse sovrastano di molto le urla di Lorius lory, Trichoglossus euteles ed eguagliano quelle di Chalcopsitta scintillata. I Brotogeris sono animali assai confidenti e tendono a vocalizzare tutto il dì (specie quando i piccoli erano involati, i

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Prima parte

genitori tendevano a scacciarli con molto strepito); il più confidente di tutti è il tirica, che ha nome Beniamino, si avvicina sempre al dito e lo prende delicatamente nel becco. Pur avendo già due anni di età ed essendo allevato dai genitori, ha iniziato rapidamente ad accettare il cibo dalle mani ed ora sembra volere articolare qualche parola: saluta ed al momento di ricevere la frutta emette un verso particolare, che denota un misto tra attesa e compiacimento. Questo conferma quanto dice R. Harris nel volume Grey-checked Parakeets and Other Bro-

Dante Gabriel Rossetti piange il Vombato chiamato "Top"

togeris del 1985 riguardo ai loro costumi assai confidenti. Vigors, comunque, non dà alcuna spiegazione alla sua scelta. La descrizione del Genere si rinviene nel secondo volume del The Zoological Journal, 1825, ove pubblicò il suo articolo intitolato On the arrangement of the genera of Birds: vari suoi amici ornitologi gli avevano richiesto di compilare una lista dei Generi degli uccelli esistenti, così si indusse a scrivere una bozza e, in seguito, a pubblicarla. A p. 400 dell’articolo vi è l’elenco dei Generi dei pappagalli -molti dei quali, all’epoca, erano ancora inseriti nel genere “contenitore” linneano “Psittacus”. Qui Vigors introduce per la prima volta il genere Lorius ed appunto il Brotogeris, senza però che sia dato conto delle ragioni alla base della scelta dell’epiteto (questo perché si tratta -con un gioco di parole - di un nomen loquens immediatamente intelligibile in greco, ma che nulla in realtà dice sulla motivazione ad esso sottesa). Il tipo del Genere Brotogeris, indicato dal Vigors, era lo Psittacus pyrrhopterus descritto da Latham nel Supplementum Indicis Ornithologici Sive Systematis Ornithologiae del 1801, p. XXII. Anche in quest’ultima opera (e nella parte, in lingua inglese, che la precede – Supplement II to the General synopsis of Birds) non si rinviene alcun riferimento alle abilità oratorie del pappagallo. Latham scrive: “Abita nel Brasile, o quantomeno si suppone che sia così, poiché fu portato in Inghilterra da una delle navi baleniere dei mari del sud, ora è nella collezione del generale Davies” (p. 90). È improbabile che Latham lo avesse visto in vita: il generale Davies è Thomas Davies, membro della Royal Society e


della Linnean Society, era militare ma anche pittore e collaborava continuativamente con Latham. Nel 1770 aveva pubblicato sulle Philosophical Transactions della Royal Soc. di Londra, una lettera nella quale si diffondeva sulla preparazione tassidermica degli uccelli, oggetto della sua collezione , mentre alla sua cooperazione con Latham si deve la descrizione della Menura novaehollandiae: è l’uccello lira, anch’esso un ottimo imitatore, che predilige i suoni degli apparati meccanici, come le motoseghe, i martelli pneumatici, gli allarmi delle autovetture (basterà cercare qualche video dal titolo “Lyre bird imitating” e si rimarrà stupiti, anche dalle imitazioni di altri uccelli, come il kookaburra. A proposito di kookaburra, nel Parco Natura Viva di Verona ve ne sono alcuni e, se si emette il loro tipico verso in prossimità della gabbia, essi invariabilmente rispondono, posandosi sulla rete. I motivi di un tale interessante comportamento sono chiaramente spiegati nel volume di S. Legge, Kookaburra, pubblicato da Csiro, per me una delle letture più interessanti del 2021). Comunque il Brotogeris di Latham non proveniva dal Brasile, in quanto il pyrrhoptherus vive in Ecuador e Perù; attualmente a San Francisco, in California, è registrata una popolazione selvatica. Animato dall’interrogativo sull’origine del nome, mi rivolsi dunque al manuale di Karl Russ, Die sprechende Papageien, i pappagalli parlanti, scritto in un’epoca in cui il tedesco era la lingua della scienza (come oggi lo è della filologia classica), ma che per via dell’interesse destato, presto ottenne anche una versione in inglese: The speaking parrots, a scientific manual. Qui, per accidente e

Il compositore si affezionò molto all’animale, tantoché quando dopo tre anni lo storno morì, fu seppellito in giardino con una processione e Mozart gli dedicò un epitaffio

Il tema del III movimento del concerto per pianoforte e orchestra KV 453 di W.A. Mozart, nell'interpretazione dello storno (in alto)

del tutto inaspettatamente, trovai una notizia tale da destare il mio massimo grado di stupore. Ma di questo più innanzi. [2.] Su alcuni uccelli parlanti Oltre ai pappagalli vi sono altri uccelli in grado di articolare parole umane. Primi tra tutti i Corvidi. La ghiandaia blu (Cyanocitta cristata) sfrutta la sua capacità di imitare i rapaci per far fuggire, allarmandoli, gli altri uccelli dal loro pasto (così leggo in M. Unwin, Crows). Lo storno è un provetto parlatore: Mozart ne aveva uno, acquistato per 34 kreuzer, circa 50 euro attuali. Egli era appassionato agli uccelli canori ed il suo storno più celebre probabilmente non era il primo che avesse avuto. Il compositore si affezionò molto all’animale, tantoché quando dopo tre anni lo storno morì, fu seppellito in giardino con una processione e Mozart gli dedicò un epitaffio. Anzi, era solito organizzare un ufficio funebre per tutti gli uccelli che passavano a miglior vita, con accompagnamento canoro e recitazione di versi di commiato. Io stesso, tra le mie primissime memorie, ricordo di avere voluto un corteo funebre per un canarino, morto nel 1977, a nome Cipì (il romanzo di Rodari era di cinque anni precedente). Un celebre brano polifonico, dedicato ad un pappagallo, è la Marcia funebre sulla morte di un pappagallo di Valentine Alkan (nel titolo ricorda una delle Silvae di Stazio: Psittace, dux volucrum, domini facunda volputas,/ humamae sollers imitator, psittace, linguae,/ quis tua tam subito praeclusit murmura fato?).

Un altro artista, il pittore pre-raffaelita Dante Rossetti, molto tempo più tardi, dedicherà una illustrazione alla morte del suo vombato, componendo anche egli dei versi (sebbene si possa a buon diritto dubitare che le specifiche esigenze del vombato potessero venire assicurate, specie a quell’epoca e latitudine, da un privato. Ne ho visti invece degli esemplari in salute ed attivi negli zoo di Budapest e di Praga). Dalle lettere di Mozart risulta che avesse posseduto anche dei canarini. Il celebre storno aveva appreso un passaggio del terzo movimento del concerto per pianoforte KV 435, ma lo riproduceva con alcune sue varianti particolari. M West ed A. King hanno pubblicato un lungo studio sullo storno di Mozart, in American Scientist, 1990, vol 78, pp.106-114, nel quale viene avanzata la curiosa e suggestiva ipotesi che lo Scherzo musicale KV 522, scritto il 12 giugno 1787 derivasse da materiale canoro originariamente dello storno. Il brano è sempre stato inteso come un motteggio dei compositori principianti, ma nel primo movimento vi sono frasi strane, non proporzionate, prive di ispirazione e mescolate in maniera illogica, come è caratteristico di uno storno che imiti dei brani musicali. Nella campagna di Abano Terme il mio allora professore di fagotto aveva un merlo che dagli alberi vicini imitava alcune frasi musicali. A Trento, all’inizio del 2000, viveva un merlo che tornava ad ogni primavera in una edicola di giornali, vicino al centro e stazionava tranquillamente sopra e sotto di essa, tuttavia non parlava. Un corvo, parlante, più celebre era solito

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fermarsi presso una bottega di un calzolaio in Roma antica: sotto il principato di Tiberio era caduto da una nidiata, nata sopra il tempio dei Dioscuri. Il calzolaio, considerata anche la sua sacra origine, lo salvò ed il corvo prese presto a parlare; “volava tutte le mattine sulla tribuna degli oratori e, rivolto verso il foro, salutava per nome i principi Tiberio, poi Germanico e Druso, e in seguito la folla dei Romani che passava di lì; poi tornava alla bottega e diventò oggetto di ammirazione per questa sua assiduità che durò parecchi anni”. Venne ucciso da un calzolaio vicino, perché aveva macchiato dei calzari; l’uccisore fu prima allontanato dal quartiere, poi ucciso a sua volta. “Il funerale dell’uccello fu celebrato con un affollato corteo, il letto funebre fu portato sulle spalle da due Etiopi, preceduto da un suonatore di flauto e da ghirlande di ogni genere fino al rogo, che fu costruito sulla destra della via Appia, al secondo miglio, nel terreno che ha il nome di Redicolo. Così al popolo di Roma sembrò che l’intelligenza di un uccello fosse una giustificazione adeguata per fargli esequie solenni e per la punizione di un cittadino romano”. Che ad un uccello parlante sia attribuito

Balaam e l'angelo, G. Jaeger, 1836

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spesso un connotato di sacralità è attestato dall’attributo di specie della Gracula, appunto Gracula religiosa. [3.] Animali parlanti dell’antichità Giulio Cesare aveva da poco varcato il Rubicone, quando a Roma iniziarono a manifestarsi i presagi di una imminente guerra: Tum pecudum faciles humana ad murmura linguae (Luc. Phars., I, 561), Allora la lingua degli animali riuscì agevolmente a mormorare parole umane. Anticamente si dava per certo che molti animali, in circostanze particolari, parlassero con voce umana, per annunciare imminenti eventi. Sicuramente gli animali della latinità erano più loquaci di quelli giudaico-cristiani: nell’Antico Testamento, oltre al serpente, vi è solo un altro animale che articola parole umane, l’asina di Balaam. Si duole col padrone e dice: “Che cosa ti ho fatto, perché mi bastoni?” Nei secoli gli esegeti cristiani attribuirono la capacità di parlare non tanto all’animale, quanto all’intervento dell’angelo (così S. Agostino, in De Genesi ad litteram, ripreso da S. Tomaso in Summa theol. II, 165, 2, 4). Nel XVI secolo Francesco Maria Guaccio,

nel suo Compendium maleficarum elenca una lunga serie di animali in cui può trasformarsi il demonio, tra questi la mosca: “Se qualcuno, con la sua presenza, gli impedisce di esprimersi, si trasforma in mosca, e, accostatosi all’orecchio, suggerisce ciò che gli preme” (L. I, cap. V). Gli annalisti romani registrano le ipotesi nelle quali alcuni animali avrebbero spontaneamente profferito parole intelligibili. I più loquaci erano bovi e vacche. Una silloge di animali parlanti si trova nel Liber prodigiorum di Giulio Ossequente, dove parlano principalmente buoi (Bos locutus), dei cani ed in un caso degli uccelli che emettono “lamenti umani”, non ci viene invece riferito il contenuto dei discorsi. Anche Tito Livio non manca di registrare i bovini parlanti, spesso a Roma, ma anche ad Anagni, nelle sue Storie si legge anche di una gallina che avrebbe detto parole umane. Varrone è più preciso e, nel De re rustica, riporta le esatte parole pronunciate da un bue (in un passo purtroppo parzialmente guasto) così come conservate in precedenti fonti scritte: in Senato venne riferito che un bue aveva detto: “Plauzio piuttosto che Irrio pretore” (De re rustica, II, 5,5). [4.] Animali parlanti della modernità Nessuno ha sentito in prima persona parlare un bovino. Invece chiunque può udire le orche (Orcinus orca) imitare parole umane, articolate in maniera abbastanza comprensibile (si cerchi qualche video con la stringa “talking killer whale”). Anche gli scimpanzé riescono a dire qualche parola, è celebre il caso di Johnny che sapeva dire “mama” e, nella Roma moderna del 1962, vi era uno scimpanzé, a nome Renata, che diceva la parola “mamma” in maniera ancora più chiara (si può vedere un filmato, intitolato The Talking Chimpanzee in Rome, 1962). Si avverava così la profezia del La Mettrie, scritta nel più celebre trattato del meccanicismo, L’homme machine (1747), per cui sarebbe stato possibile insegnare a parlare alle scimmie. Ma a parte questi racconti veritieri, merita di esserne menzionato uno che fu invece frutto di decezione. È il curioso caso della mangusta parlante, dimostra-


tosi in realtà una frode. Sull’isola di Man degli anni ‘30, nei pressi del villaggio di

Canarini Harzer-Roller, fonte: http://pagesperso-orange.fr/canariharz/

Dalby, la fattoria della famiglia Irvin era molestata da rumori e sussurri provenienti dalle pareti di legno. Si “presentò” così alla giovane figlia una creatura che dichiarò di essere una mangusta indiana (i giornali dell’epoca sono zoologicamente poco accurati, alcuni la definiscono donnola parlante). La vicenda destò molto scalpore, e le fu dedicato un libro, the Haunting of Cashen’s Gap del 1936, ma ovviamente non vi ricorre alcuna prova non solo della capacità di parlare della mangusta, ma dell’esistenza della mangusta stessa. Quello che però interessa, nell’economia dell’articolo, è la situazione in cui la mangusta sarebbe stata sentita parlare: in estremo isolamento, da una ragazzina probabilmente annoiata o in vena di scherzi (d’altro canto le origini dello spiritismo sono dovute proprio ai trucchi delle sorelle Fox), naturalmente senza alcuna prova concreta. Tutto ciò premesso, sono veridiche le attestazioni di canarini in grado di prof-

ferire parole umane? La risposta nel prossimo numero.

La Menura in un'illustrazione di Th. Davies, fonte: commons.wikimedia.org

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CANARINI DI FORMA E POSIZIONE LISCI

Educazione alle mostre testo e foto di SERGIO PALMA

S

ul numero della nostra rivista Italia Ornitologica di Aprile 1997, a pagina 19, un articolo ad hoc riportava alcuni “problemi espositivi”. I Clubs ancora non esistevano o erano veramente pochi. In quell’articolo si descrivevano i posatoi da usare e le gabbie per i Canarini di Forma e Posizione Lisci, con relative distanze tra gli stessi. L’articolo sopra citato finiva con le seguenti parole: “...nelle passate stagioni alcuni allevatori di Yorkshire (esperti) portavano i posatoi dai propri alleva-

Modo errato di porre la mangiatoia

Pochissimi espositori di Forma e Posizione Lisci dedicano più di un minuto al controllo ed eventuale modifica della posizione dei posatoi o addirittura della loro forgia e misura

menti… per i canarini di Forma e Posizione Lisci” … ne troveranno beneficio” … i giudici avranno meno difficoltà nello scegliere i migliori”. Oggi, quasi tutte le Razze di canarini riconosciute in Italia hanno il proprio Club. Uno degli scopi principali di ogni Club dovrebbe essere la selezione ed il miglioramento della relativa razza, la diffusione e la conoscenza del canarino allevato, realizzando incontri tra i soci stessi, allo scopo di migliorare la preparazione tecnica degli iscritti. Ma forse, se dopo 24 anni ancora si vedono cose come quelle che sto per descrivere, allora sarebbe bene che il miglioramento e la preparazione tecnica fossero anche indirizzati alle Associazioni. I Clubs dovrebbero concentrarsi molto più su questi aspetti e non solo criticare l’operato dei Giudici. Oltre a parlare di bilanci, di standard, di sedi delle mostre ecc., perché non istruire i soci anche sull’allestimento delle gabbie? Si è mai spiegato ai propri iscritti come vadano allestite le gabbie che ospiteranno gli uccelli per il concorso al quale partecipe-

ranno? Da quello che si vede in giro per le mostre direi proprio di no. Posso affermare che pochissimi espositori di Forma e Posizione Lisci dedicano più di un minuto al controllo ed eventuale modifica della posizione dei posatoi o addirittura della loro forgia e misura. Pochi, forse pochissimi conoscono la materia, accusando poi i Giudici di incompetenza in caso di mancata vittoria. Mi pregio di far parte della categoria dei Giudici F.O.I. ma, consentitemelo una volta tanto, in questa occasione

Modo errato di porre la mangiatoia

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Canarini con mangiatoia allo stesso livello del posatoio: a causa di questo usano la mangiatoia come posatoio, non permettendo un buon giudizio

inverto i ruoli, lamentandomi dell’operato degli allevatori. Nelle varie mostre, anche le specialistiche di Club, che dovrebbero essere le eccellenze delle mostre monorazza, si notano canarini sporchi, canarini con remiganti e timoniere mancanti, spezzate o frastagliate, posatoi della stessa gabbia diversi tra loro, con forma diversa da quella prevista, distanze tra i posatoi non idonee e mangiatoie poste in modo sbagliato, cioè alla stessa altezza dei posatoi stessi. Molti troveranno la scusa e diranno che le gabbie sono allestite dagli organizzatori della mostra ancora prima dell’ingabbio, ma se l’organizzazione non si serve di persone competenti per allestirle, l’allevatore dovrebbe conoscere la forgia, le dimensioni e la posizione dei posatoi e, cosa molto importante, il posto dove va alloggiata

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la mangiatoia. La posizione della mangiatoia è importante, perché non deve consentire al canarino di usarla come un terzo posatoio. I problemi maggiori si riscontrano in quelle Razze che vengono esposte in

I problemi maggiori si riscontrano in quelle Razze che vengono esposte in gabbie tipo C2 “Tunnel”, come dice la C.O.M., e cioè Yorkshire, Bossù Belga, Lancashire, Llarguette, Rheinlander, Munchener, Bernois etc.

gabbie tipo C2 “Tunnel”, come dice la C.O.M., e cioè Yorkshire, Bossù Belga, Lancashire, Llarguette, Rheinlander, Munchener, Bernois etc… ed ancora gabbie tipo C3 “Border”, sempre secondo i dettami C.O.M., che sono quelle per Fife Fancy, Border, Razza Spagnola, Japan Hoso, Scotch Fancy. In queste Razze si notano non solo difformità tra i dettami della C.O.M. e della C.T.N. ed i posatoi usati, ma anche diversità di posatoi tra gabbia e gabbia, se non addirittura due posatoi differenti nella stessa gabbia. Non parliamo, poi, della collocazione degli stessi, che è variabile sia nel posizionamento che nella distanza tra di loro. Però poi siamo pronti a chiedere “ma perché il mio canarino non ha vinto?”. Qui di seguito le forme e le dimensioni dei posatoi idonei:


d = mm 14 rotondi Posatoio per Lancashire, Border, Norwich, Crest – Crest Bred (gli Yorkshire devono averli ovali 14 x 9) d = mm 12 Posatoio per Llarguette, Bossù Belga, Bernois, Munchener, Scotch Fancy, Fife Fancy, Gloster, Lizard, Ciuffato Tedesco d = mm 10 Posatoio per Rheinlander, Salentino, Japan Hoso, Razza Spagnola Per le gabbie a tunnel i posatoi saranno due e vanno sistemati uno centrale, in alto, alla metà circa, e l’altro in basso, dove andrà alloggiato anche il beverino; la mangiatoia deve essere messa in basso, mai assolutamente all’altezza del posatoio superiore. Nelle Gabbie tipo Border si posizioneranno 2 posatoi all’altezza della trave centrale e trasversale alle barrette, come segue per Border e Scotch Fancy; la distanza tra i due posatoi sarà di 6 barrette (circa 9 cm), mentre per le restanti razze ospiti di questo tipo di gabbia saranno 5 barrette (circa 7 cm). Anche in questo caso la mangiatoia sarà bassa, nella parte opposta alla porta. Per i soggetti alloggiati nelle gabbie a cassetta la distanza tra i posatoi è di 5 barrette (circa 7 cm). Sottolineo che di solito la mangiatoia viene posizionata sulla stessa linea dei posatoi. In questo modo il soggetto non è di facile osservazione perché, innervosito, va in maniera continua da un posatoio all’altro e quindi sulla mangiatoia. Ora, per concludere, vorrei sollecitare i Clubs a sensibilizzare i propri iscritti e le Associazioni al rispetto delle regole e a fare attenzione ai posatoi ed alla mangiatoia.

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Questo mese, il protagonista di Photo Show è: ANGELO CAIMI - RNA Z265 con la fotografia che ritrae il soggetto “Ibrido di Verdone x Fringuello” Complimenti dalla Redazione!

(*) Tutte le foto inviate, anche quelle non pubblicate, rimarranno a disposizione della FOI a titolo gratuito e potranno essere utilizzate, senza alcun limite o vincolo temporale, per pubblicazioni, iniziative e scopi promozionali della Federazione

• Invitiamo tutti gli allevatori a inviare foto di soggetti provenienti dai propri allevamenti, con descrizione della specie, razza e mutazione, all’indirizzo: redazione@foi.it

• All’autore della foto mensilmente prescelta da un comitato interno, verrà offerto in omaggio un libro edito dalla FOI in base alla preferenza e alla disponibilità.


ALIMENTAZIONE

La Salvia pratensis (selvatica) testo di PIERLUIGI MENGACCI, foto P. MENGACCI, E INTERNET (AUTORI VARI)

Dal libretto dei miei appunti orto-ornitofili e non solo

Salvia pratensis, fonte: www.etsy.com.it.listing

Premessa Come ho già scritto in precedenti articoli, a volte, alcune circostanze fortuite, insolite o strane, mi spingono a riprendere in mano i miei appunti orto-ornitofili per “rinnovare” ricordi che il trascorrere del tempo purtroppo affievolisce o ci porta via. Rileggerli, mi stimola altresì a riordinare le poche paginette di appunti scritti un po’ “alla rinfusa” e ad aggiornare ed integrare alcuni argomenti trattati superficialmente, in modo tale che ne esca uno scritto il più possibile attuale, esaustivo, comprensibile ed anche utile per chi avrà interesse e pazienza di leggerlo. Questa volta è toccato ad un incontro, al-

quanto strano, con la Salvia selvatica che, tempo fa, mi ha condotto ad una peripezia insolita.

“Se molto vuoi campare salvia hai da mangiare” (antico proverbio) “Molte piante curano, ma una sola salva (la salvia)” (detto toscano)

Ai margini del piccolo parco della scuola elementare del mio paese (Monteciccardo, Municipio di Pesaro), dove i fiori gialli del tarassaco e del crespigno si mescolano a quelli azzurri della cicoria selvatica e di altre erbe prative, alcuni cespugli con steli a forma di spiga con infiorescenze di colore blu scuro contornano questo spazio rallegrato dal vocio dei bambini, come se volessero attirare l’attenzione con la loro bellezza ed eleganza. Quasi tutti i giorni percorro la stradina che si snoda al di sopra della scarpata che delimita il parco per raggiungere il bar-edicola del capoluogo e mi fermo in una posizione non coperta da cespugli di alloro per salu-

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Stelo di salvia selvatica nel giardino dell’autore, foto: P. Mengacci

tare mia nipote Sahumi mescolata agli altri bambini che fanno ricreazione. Un giorno il mio sguardo venne attratto in modo particolare da quelle spighe bluastre e il desiderio di coglierle mi invogliava a scendere, ma ancora una volta mi son detto: “Al ritorno, scendo, faccio qualche foto, raccolgo alcuni steli e cerco di capire che pianta sia”. Durante il tragitto di ritorno dal bar, dopo aver acquistato il solito quotidiano, il rumore di un tagliaerba attirò la mia attenzione. Più mi avvicinavo alla scuola più diventava forte; accelero il passo e, giunto nei pressi del parco, il mio sguardo va subito a quegli steli blu: “Ci sono!”. Successivamente, i miei occhi cercano l’operatore che sta rasando il prato: non è molto lontano da quella zona... A quel punto, il pensiero di perderli mi ha dato una spinta: con due salti mi sono trovato di fronte a quei cespugli con il cellulare in mano; ho scattato due foto, ho strappato alcuni steli e sono ritornato sulla stradina prima che il giardiniere facesse “tabula rasa”. Posso garantirvi che sono rimasto sorpreso della mia agilità, ma nel contempo anche un po’ deluso. Infatti, lì per lì non me ne ero accorto ma il lieve profumo, inconfondibile, di quei fiori blu tanto ammirati e desiderati e quello più deciso delle piccole fo-

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glie premute fra le mie mani mi hanno fatto esclamare: “Gigi, sono steli di salvia selvatica! Visti da lontano, chi lo avrebbe mai immaginato!”. Giunto a casa, mia moglie, appena mi vide con quegli steli blu nelle mani, interrompendo di passare l’aspirapolvere esclamò: “Con tutta la salvia che abbiamo nel giardino, mi raccogli anche quella selvatica?”. Dopo una breve pausa proseguì: ”Mi dici dove l’hai presa? Ha dei fiori molto belli! Cosa ci facciamo? Dove li mettiamo?”. E, visto che non le rispondevo, dopo un po’: “Ah, già! Ne farai la solita tisana per i canarini!”. Interrompo il mio silenzio e le racconto com’è andata. Mentre lei inizia i soliti rimbrotti e riaccende l’aspirapolvere, alcune foglioline ed una spiga blu finiscono nel pentolino di acqua bollente che nel frattempo avevo messo sul gas sul piano di cottura della cucina. Le altre spighe finiscono invece in un vaso a sostituire alcune rose ormai appassite. Nell’attesa di filtrare l’infuso, un dolce profumo si diffonde nella stanza e attraversa le mie narici, riportando alla memoria il ricordo della prima tisana con la salvia selvatica che, circa 40 anni fa, avevo assaggiato

Rosetta basale di salvia selvatica, foto: P. Mengacci

da un vecchio allevatore di canarini, Bruno Tombari (r.i.p.), detto “Il vescovo”, erborista convinto, da cui ho appreso l’utilizzo delle erbe selvatiche e tisane nella alimentazione dei canarini, come riportato nel mio libretto di appunti orto-ornitofili. Sono trascorsi diversi lustri da quel giorno e, con un po’ di nostalgia, mentre attendo che la tisana si raffreddi, vado a rileggermi gli appunti di quell’incontro. Secondo Bruno, “la tisana con la salvia selvatica, molto utile nelle umane difficoltà digestive” è altrettanto utile per le funzioni digestive dei pulli durante la riproduzione e nel primo svezzamento ed è molto efficace come antisettico per i canarini in tutte le fasi della loro vita. Pochi cenni generali chiudono la paginetta sulla salvia selvatica ed anche quella volta mi son ripromesso di riordinarli, aggiornarli e completarli. Quello che segue è un piccolo e modesto lavoro che ha soddisfatto la mia curiosità di conoscere meglio una pianta selvatica che, ai giorni nostri, è diventata una delle tante erbe senza nome che fioriscono nei prati di campagna, in luoghi incolti, lungo i marciapiedi ed in qualche aiuola in giardini privati e nei parchi di città.


Cenni botanico-storici La salvia selvatica (nome scientifico Salvia pratensis) chiamata anche salvia degli uccelli, è una pianta aromatica spontanea perenne appartenente alla delle Lamiaceae e al genere Salvia. Etimologicamente il nome generico (Salvia) deriva dal “salvus” (salvare, sano) per le sue proprietà benefiche, mentre l’aggettivo (pratensis) indica il luogo di crescita, ovvero nei prati. È definita anche la “cugina di campagna” della più nota Salvia officinalis, in quanto, ovviamente, la troviamo nei prati o in campi incolti generalmente assolati e aridi. Si distingue da quest’ultima per il colore dei suoi fiori che sono blu, mentre quelli della officinalis sono azzurro chiaro; si distingue anche dal colore verde delle foglie, rispetto al grigio argentato con una peluria biancastra che ricopre quelle della officinalis. Le sue foglie verdi disposte in prevalenza a rosetta basale sono grandi, picciolate, rugose, a margine dentato e lungo il fusto, di sezione quadrangolare, ricoperto di peli, diventano più piccole e non picciolate. Gli steli floreali che si sviluppano dalle rosette basali, dalla primavera a tutto ottobre ed oltre, a seconda delle temperature stagionali, portano le infiorescenze blu a forma di spighe, molto bottinate dalle api. Un particolare molto curioso del fiore: gli stami si comportano come un ”bilanciere” con piccole leve: quando un insetto, in cerca di nettare, penetra nel fiore, aziona una specie di levetta che ribalta il braccio dello stame che porta l’antera, così il polline si rovescia sul dorso dell’insetto. Questo “meccanismo” è facilmente verificabile introducendo una matita ben appuntita nel fiore. ll frutto è un tetrachenio (uno schizocarpo composto da quattro nucule). La forma è più o meno ovoidale (o più o meno trigona). I semi, di colore marrone scuro, sono sprovvisti di endosperma e sono piccolissimi (in un grammo ne stanno oltre 200). (da wikipedia.org/wiki/Salvia pratensis)

Cespuglio di Salvia Scalea nel giardino dell’autore, foto: P. Mengacci

La Salvia pratensis fin dall’antichità era nota ed apprezzata per le sue varie proprietà ma anche oggetto di varie credenze. Nelle antiche culture egizia, greca e romana era considerata sacra e veniva chiamata “erba dell’immortalità”. Alcuni scritti riportano che Cleopatra la usasse anche per preparare filtri afrodisiaci e che dagli Egiziani venisse usata per im-

Cespuglio di salvia selvatica nel giardino dell’autore, foto: P. Mengacci

balsamare i morti. Ippocrate ne consigliava l’uso nelle piaghe. I Galli la consideravano una panacea, in grado di guarire tutti i mali. Anche per i Romani era una panacea e veniva impiegata per conservare la carne, ritenuta capace di potenziare la memoria e si credeva pure che rendesse immortali. I Druidi la usavano contro febbre, tosse, paralisi, epilessia, ma anche per favorire il concepimento ed il parto; le veniva attribuito, inoltre, il potere di resuscitare i morti ed era usata come ingrediente in numerosi incantesimi. Anche nel Medioevo e forse fino ai primi anni del secolo scorso la Salvia pratensis era molto apprezzata e fra i suoi vari utilizzi c’era anche quello di sostituire il luppolo per fare la birra. Fra le varie superstizioni, c’è quella che dice che in alcune zone, oltre ad essere piantata negli orti, veniva messa a dimora anche vicino casa, in quanto era credenza che la longevità dei proprietari della casa dipendesse dal fiorire della salvia e se si ammalava quella pianta lo stesso poteva accadere anche agli abitanti della casa. Curioso, inoltre, che anche in Cina venisse considerata “pianta della longevità” e un cesto di foglie di salvia veniva scambiato dai mercanti olandesi con tre cesti di tè. Inoltre, nel Medioevo, insieme a rosmarino, timo e lavanda pare fosse utilizzata per preparare un infuso “miracoloso” (l’aceto dei quattro ladroni), che si diceva proteggesse dalla peste. Col trascorrere degli anni pian piano la Salvia pratensis è stata quasi dimenticata a vantaggio dalla più “nobile” e aromatica officinalis ed è diventata un’erba fiorita poco conosciuta. Oltre alle specie officinali, il genere Salvia annovera circa 900 specie di aromatiche suddivise fra annuali, biennali e perenni. Queste specie, coltivate in vivai specializzati, sono molto interessanti per l’aroma, come mellifere e come piante ornamentali per i bellissimi fiori di vari colori e assieme alla pratensis, vengono utilizzate da giardinieri e paesaggisti nell’arredo urbano e privato.

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Componenti e proprietà salutistiche principali Alla Salvia pratensis, meno aromatica della cugina officinalis, la saggistica attribuisce le stesse proprietà di quest’ultima. Nella sottostante tabellina sono riportati i valori nutrizionali della Salvia officinalis, assimilabili a quelli della pratensis, che a titolo informativo ho ritenuto utile trascrivere. Valori nutrizionali per 100 g di Salvia Officinalis Fonte: U.S. Department of Agriculture, Agricultural Research Service. USDA National Nutrient Database for Standard Reference, Releas Energia: . . . . . . . . .315 kcal (1317 kJ ) Carboidrati: . . . . . . . . . . . . . . . .60.73 g Fibre totali: . . . . . . . . . . . . . . . . .40.3 g Lipidi totali: . . . . . . . . . . . . . . . .12.75 g Proteine: . . . . . . . . . . . . . . . . . .10.63 g Acqua: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7.96 g Zuccheri totali: . . . . . . . . . . . . . .1.71 g. Sali minerali Calcio, Ca: . . . . . . . . . . . . . . . .1652 mg Ferro, Fe: . . . . . . . . . . . . . . . .28.12 mg Magnesio, Mg: . . . . . . . . . . . . .428 mg Fosforo, P: . . . . . . . . . . . . . . . . . .91 mg Potassio, K: . . . . . . . . . . . . . . .1070 mg Sodio, Na: . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11 mg Zinco, Zn: . . . . . . . . . . . . . . . . . .4.7 mg. Rame, Cu: . . . . . . . . . . . . . . .0,757 mg.

Salvia pratensis, fonte: wikipedia.org

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Tisana di salvia pratensis, foto: P. Mengacci

Manganese, Mn: . . . . . . . . .3,133 mg. Selenium, Se: . . . . . . . . . . . . . . . .3,7ng. Vitamine Vitamina C, totale acido ascorbico . . .32,400 mg. Tiamina (Vitamina B1) . . . .0,754 mg. Riboflavina (Vitamina B2) .0,336 mg. Niacina (Vitamina B3) . . . .5,720 mg. Vitamina B6 . . . . . . . . . . . . .2,690 mg. Vitamina E (alpha tocoferolo) .7,480 mg. Colina totale . . . . . . . . . . .43,600 mg. Vitamina A . . . . . . . . . . . . . . . . .295 ng. Folati totali . . . . . . . . . . . . . . . .274 ng. Carotene beta . . . . . . . . . . . .3485 ng. Criptoxantina beta . . . . . . . . .109 ng. Luteina + zeaxantina . . . . . .1895 ng. 100 grammi di foglie di salvia hanno un apporto calorico pari a 315 kcal.

Principali benefici della salvia Le principali proprietà benefiche della salvia, conosciute fin da tempi antichissimi, tramandate dalla medicina popolare e riconosciute e avvalorate non solo in campo fitoterapico, sono racchiuse nelle sue parti ricche di principi attivi, vale a dire le foglie e le spighe fiorite. Infusi, tisane, tinture e oli essenziali vengono consigliati per le numerose azioni benefiche utili a ristabilire gli equilibri dell’organismo. “Le moderne applicazioni terapeutiche della salvia sono supportate dal consolidato utilizzo nella tradizione, ma anche dai dati raccolti nella pratica dai medici erboristi, da studi in vitro o in vivo (su animali) e da alcuni studi clinici”* e si possono così riassumere: Per uso orale: infusi, tisane, oli essenziali, estratto secco in capsule vengono consigliati per le seguenti proprietà: - Antisettica e antimicotica - Digestiva e antispastica dell’apparato digestivo - Estrogenica - Antisudorale - Astringente - Sedativa - Tonica e stimolante generale - Coleretica e colagoga (favorisce la produzione e il deflusso della bile) - Per il controllo degli zuccheri nel sangue - Per migliorare la memoria Per uso esterno: foglie di salvia tal quali o come infuso, consigliate come: - disinfettanti per le ferite - sbiancanti per i denti - rinfrescanti per l’alito Nell’uso culinario anche le foglie della Salvia pratensis, pur essendo meno aromatiche di quelle della cugina officinalis, o Scalea (tutte presenti nel mio giardino), vengono utilizzate insieme ad altre erbe per insaporire carni, sughi, minestre, frittate e ripieni vari e sono state rivalutate da vari chef. Consiglio un primo piatto di ravioli con ripieno di farinello, ricotta e parmigiano, saltati al burro e salvia selvatica, dove l’aroma meno spinto della salvia si fonde con il sapore del ripieno creando un connubio molto delicato e sfizioso (ricetta di


mia moglie), che ha ottenuto gli elogi dei commensali per la sua gradevole azione olfattiva e gustativa! Altro piatto di cui sono goloso (bisogna non abusarne) è la frittura di foglie di Salvia scalea ripassate in pastella: una croccante golosità, semplice da preparare e sempre molto apprezzata sulla tavola. È bene ricordare che un eccessivo consumo o un sovradosaggio di salvia o dei suoi derivati, quali infusi, tisane, oli essenziali, tinture può risultare tossico per il nostro organismo e per quello dei nostri volatili, per cui è sempre bene affidarsi ai consigli del proprio medico o di un esperto di nutrizione e, nel caso specifico, al veterinario. La salvia per uso alimentare adoperata per insaporire primi piatti e pietanze è generalmente considerata sicura. In campo ornitologico la salvia viene consigliata da diverse aziende per le sue proprietà, sia come semi o sotto forma di estratti depurativi: - I Semi per la loro efficacia digestiva, diuretica, antisettica, antimicotica, astringente, tonica e stimolante in generale, in quanto ricchi di tutti i principi attivi sopra menzionati. - Gli estratti per la loro efficacia antisettica contro funghi, virus, batteri; come depurativi del fegato, migliorativi delle secrezioni biliari e delle funzioni intestinali. Sono consigliati anche come terapia preventiva durante la stagione fredda, dove è più facile che vengano intaccate le vie respiratorie. Uso e dosi sono indicati sulle relative confezioni. La mia modesta opinione, per chi ha possibilità di raccogliere Salvia pratensis lontano da fonti inquinanti, è di utilizzarla come tisana o infuso non solo ad uso personale ma anche per i propri uccelli. Come più volte ho ripetuto nei miei scritti, inumidendo il cous-cous o il pastoncino con le tisane o l’acqua di cottura delle verdure trasferiamo tutte le proprietà benefiche delle piante selvatiche, nel caso specifico della salvia selvatica, nell’alimento che i nostri uccelli assumono. Oltre a fare una sana pas-

Alcuni benefici della tisana alla salvia, fonte: trattamenti naturali Bio

seggiata otteniamo due vantaggi: uno salutare ed un altro economico, il che non guasta mai! La tisana che realizzo per uso personale e per i miei canarini è così composta: - 200 ml di acqua bollita in cui metto in infusione 4/5 foglioline di Salvia pratensis e una spiga di fiori per circa 10 minuti; filtro in una tazza e la tisana è pronta per essere utilizzata. Semplice, basta solo attendere che si raffreddi! Per addolcirla, un cucchiaio di miele con qualche scorza di limone possibilmente bio. A chiusura di questo mio breve excursus ritengo interessante riportare due “testimonianze” dalla Scuola Medica Salernitana (la prima e più importante istituzione medica europea nel Medioevo, IX sec. d. C.), che ho visto riportate in ogni trattato sulla salvia, a dimostrazione dell’alto valore cu-

Alla Salvia pratensis, meno aromatica della cugina officinalis, la saggistica attribuisce le stesse proprietà di quest’ultima

rativo attribuito a questa pianta dalla medicina dell’epoca ed in seguito riconosciuto dalla moderna farmacopea. Sono: ‘’Salvia salvatrix, naturae conciliatrix” (Salvia salvatrice, mediatrice della natura), e “Cur moriatur homo, cui salvia crescit in horto?” (letteralmente: Perché dovrebbe morire l’uomo nel cui giardino cresce la salvia?). Queste “massime” ribadiscono il significato stesso del nome salvia, un termine che indica salute, salvezza, sanità, tutte qualità che rendono bene l’idea delle molteplici proprietà della salvia. Proprietà che dovrebbero farci riflettere e non poco. La natura, fra tutte le piante commestibili, ce ne mette a disposizione una, la salvia, utile per accompagnarci verso una sana longevità: perché non approfittarne? E non a caso, l’antico proverbio consiglia ed ammonisce: “Se molto vuoi campare, salvia hai da mangiare”. La salvia... salva. Ad maiora, semper!

Alcune fonti (*) Dr.ssa Sonja Bellomi Laureata in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche, con Dottorato di Ricerca in Scienza delle Sostanze Bioattive - https://www.inerboristeria.com/salvia-pratensis.html - https://healthy.thewom.it/alimentazione/salvia/ - wikipedia.org/wiki/Salvia pratensis)- https://www.peoplegreen.it/salvia-proprieta-uso-benefici

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CANARINI DA CANTO

Influenze reciproche tra vincoli genetici e vincoli ambientali di FRANCESCO DI GIORGIO, foto P. MARSON

Attenta ed oculata deve essere la selezione dell’apporto respiratorio

L’

edificio del canto Malinois si costruisce pietra su pietra; con scienza, fatica e sacrificio. Ottenere le melodie caratteristiche d’acqua e quelle usignolate fuse insieme, è compito arduo. Vi concorre il binomio combinato dell’ereditarietà e dell’ambiente. L’ereditarietà è la facoltà con la quale i discendenti di piante o animali rassomigliano ai loro ascendenti nelle qualità e nelle caratteristiche in forma palese o lo sono in forma latente.

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Attenta ed oculata deve essere, nel nostro animaletto, la selezione dell’apporto respiratorio, facendo in modo che questo abbia fibre muscolari più adatte all’emissione del canto speciale richiesto. Perché ciò si verifichi occorre conoscere il potenziale canoro dei maschi destinati alla riproduzione, cioè il numero e la qualità dei tours (frasi) in possesso. Un modo per conoscere questo potenziale è dato dalla scheda di giudi-

zio oppure da un’attenta valutazione del canto effettuata da un allevatore anziano, esperto conoscitore del canto Waterslager. È certo che per ottenere nei Malinois degli ottimi cantori non basta avere dei buoni maschi derivanti da un ceppo di alto valore genealogico; quindi delle buone femmine da razza valgono quanto dei buoni maschi cantori. La scelta delle femmine nei Malinois è più complessa che in altre razze, in quanto la femmina non canta e quindi non mostra le buone doti genetiche di canto, le quali restano un’incognita; mentre nelle altre razze (vedi colore, posizione ecc.) le qualità richieste sono visibili sia nei maschi che nelle femmine. Perciò l’allevatore del Malinois per la scelta di una buona femmina deve far ricorso al registro di allevamento, nel quale si vanno ad esaminare i parenti in linea diretta e cioè il padre, la madre, il nonno i fratelli e le sorelle in fatto di buona resa canora e buona


trasmissione dai genitori ai figli del canto desiderato. Comunque, nei primi mesi dell’anno cominceranno a nascere i primi pulli con grande gioia di noi allevatori. Vedendoli crescere fantastichiamo: “questo sarà un campione! No, forse lo sarà quest’altro! Ma guarda che collo taurino ha questo esemplare: certamente si imporrà con tutta la potenza delle sue corde vocali!”. Trascorrono i giorni ed iniziano a mangiare da soli. Da qui entrano in gioco, ad una ad una, tutte le pratiche occorrenti affinché i soggetti assolvano nel migliore dei modi alla funzione per cui vengono chiamati e cioè dare vita al canto artistico e da competizione. Due procedure diversamente segnate. L’educazione canora degli Harzer è, forse, solo un “educere” (etimologicamente: “trarre fuori”). Ci sono di

mezzo patrimonio genetico fortemente stabile e poca inventiva dei soggetti; paragono il canarino Harzer all’abete, che cresce sempre diritto (anche quando imperversano le bufere e il vento). Quella dei Malinois - Waterslager è, sì, un partorire delle disposizioni naturali ma affiancato – lo si sa da sempre – da canto, estro e creatività. È noto l’aneddoto. Uno psicologo domanda a un professore:” che cosa occorre conoscere per insegnare il latino a Giovannino?” “Il latino”, risponde subito il professore. “No”, replica lo psicologo, “bisogna conoscere Giovannino”. Assimilo il toponimo di Malines a qualsiasi albero che abbia bisogno di appoggio e di cure particolari per crescere bene. Ciò per dire che se è indispensabile l’apporto dell’alato adulto, da concepire come “ratio et via” di formazione

canora, altrettanto ineludibile è che tale guida assecondi la più perfetta aderenza alle esigenze della natura degli educandi. Ma i cantori giovani di maggior talento, nel nostro ambito, sono proprio quelli che si permettono bellamente delle licenze, tradotte in vere e proprie raffinatezze e squisitezze espressive. Senza sacrificio – abbiamo detto – non si alleva. Dietro il tunnel di amalgama graduale dell’universo canoro c’è un’alba piena di promesse. Il canto pieno dipende anche dalla capacità dell’uccello a sentire sé stesso cantare (feed-back uditivo). Poi arriva il tempo dei concorsi e delle performance (verifica, in sede professionistica, dei livelli qualitativi raggiunti). Comunque, anche se non sortiranno effetti di gloria, l’appagamento sarà grande!

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ESTRILDIDI FRINGILLIDI IBRIDI

Il Tico Tico o Passero dal collare rossiccio testo di PIERCARLO ROSSI ed ADRIANO DE SOUSA SANTO, foto A. DE SOUSA S.

Soggetto scudato (pezzato)

Allevamento in ambiente controllato Dopo questa descrizione del loro comportamento in natura, ora vedremo dì saperne qualcosa di più sull’allevamento in ambiente domestico e sulle varie mutazioni apparse negli ultimi anni. Pressoché sconosciuto in ambiente controllato in Europa, ho dovuto chiedere aiuto a Adriano de Souza Santos, un amico di penna, ed in questo caso anche di piuma, che vive a Carapicuíba, San Paolo del Brasile, oggi uno dei pochi allevatori specializzati in Tico Tico (il nome comune brasiliano della Zonotrichia capensis): il suo allevamento si chiama, infatti, Allevamento truppe d’élite – Tico Tico. E la frase che lo definisce è : “Sii il migliore in tutto ciò che fai; il risultato verrà in proporzione al tuo sforzo”.

Novello con piumaggio ancestrale

Seconda parte

Soggetto mutato fotografato in natura

Ringrazio fin da ora questo bravo e preparato allevatore che ci permetterà di sapere qualcosa in più di questa affascinante specie. Gli ho chiesto come fosse iniziato il tutto e quando fosse apparso in lui l’interesse ad appartenere ai birders. La passione per gli uccelli gli viene dalla culla, è ereditaria, qualcosa che si tramanda di padre in figlio (il nonno l’ha passata al padre, che l’ha passata a lui). Una persona non diventa Allevatore, ma nasce Allevatore, è qualcosa che è nel DNA come “memoria genetica”. “Mio padre ha sempre allevato uccelli e sono cresciuto guardandolo dedicarsi a questa passione, ma non avrei mai immaginato che un giorno sarei stato appassionato come lui. Ho sempre avuto una piccolo quantitativo di

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Coppia formata da soggetto ancestrale e soggetto mutato "opale"

uccelli, la stragrande maggioranza dei quali Tico Tico, appunto. Anche in giovane età sono riuscito a riprodurre la specie per la prima volta in una gabbia, tuttavia non avevo mai pianificato di avere un allevamento specializzato. Passano gli anni e nel 2010 incontro Izabel, la donna della mia vita, e ci siamo sposati. Mia moglie è cresciuta in una famiglia composta da molti allevatori e, come previsto, ho fatto centro perché anche lei nutriva un grande affetto per gli uccelli. Credo che quando la coppia condivide lo stesso hobby tutto scorre naturalmente e tende sempre a funzionare. È stato allora che ho pensato: Con questa combinazione perfetta, perché non realizzare un allevamento più moderno? Decidemmo quindi di strutturare un sito di riproduzione di piccole dimensioni ma imponente nel nome (Criadouro tropa de Elite) e iniziammo a selezionare il Tico Tico puntando alla riproduzione, allo sviluppo gestionale, alle tecniche di allevamento e al miglioramento genetico attraverso accoppiamenti specifici. Abbiamo creato una sorta di “ricetta della torta”, perché a quel tempo le informazioni sulla specie erano molto scarse. Nel 2016, con i compiti fatti e dopo

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Coppia formata da 2 soggetti "opale"

aver migliorato le tecniche specifiche per la specie, abbiamo deciso di espandere le nostre strutture e passare a un nuovo segmento, che stava emergendo all’epoca: le mutazioni. Già nel 2018 avevamo raggiunto l’obiettivo ottenendo i primi soggetti mutati nati qui nel nostro allevamento. Tenendo sempre conto della corretta selezione ed accoppiamenti mirati per raggiungere il risultato tanto atteso. Oggi siamo orgogliosi e lieti di essere meritatamente riconosciuti come pionieri in questo segmento per quanto riguarda le specie che più apprezziamo. La missione data è missione compiuta. Ma questo lungo viaggio non si ferma qui. La nostra traiettoria ora continua nella stagione 2021 e il destino ci riserva buone sorprese!”. Piccola parentesi: le mutazioni attualmente presenti in allevamento (ben visibili nelle foto allegate) sono: - Mutazione bianco dominante ad occhio nero a trasmissione libero dominante - Mutazione bianco recessivo, in cui sono ancora ben visibili i disegni della testa a trasmissione autosomica recessiva - Mutazione scudato (pezzato) a trasmissione autosomica recessiva - Mutazione cannella (bruno) con

trasmissione legata al sesso Mutazione pastello con trasmissione legata al sesso - Mutazione pastello bruno con trasmissione legata al sesso - Una mutazione che riduce l’eumelanina con fattore recessivo non ancora identificata Domando al mio amico allevatore cosa lo abbia portato ad allevare questa specie e come gestisca quotidianamente i suoi uccelli. “Diciamo che è stato amore a prima vista, una cotta d’infanzia. Il Tico Tico è stata la prima specie che ho avuto da ragazzo, a 9 anni di età. E da allora questa passione è diventata un vero matrimonio. Ora che ho 34 anni, posso dire che ogni anno è una nuova esperienza di apprendimento, una novità, un puzzle senza fine che mi affascina sempre di più. Il nostro allevamento ha come obiettivo principale la riproduzione, il miglioramento genetico e lo studio comportamentale della specie. Cerchiamo di mantenere gli uccelli sani durante tutto l’anno, per ottenere i migliori risultati durante il periodo della riproduzione. Perché ciò avvenga, ci preoccupiamo soprattutto dell’igiene assoluta in tutte le stanze e degli oggetti, siano essi gabbie o nursery. Fornisco la migliore alimentazione raccomandata -


per la specie, mi preoccupo che i soggetti possano godere delle belle giornate di sole nella zona esterna e mi dedico alla gestione quotidiana fornendo condizioni favorevoli per una migliore qualità di vita per i miei uccelli. L’obiettivo è l’uccello perfetto. La mia selezione si basa sulla scelta delle tonalità perfetta dei colori del piumaggio, compatibile con le mutazioni, al fine di ottenere un risultato di successo, garantendo giovani con le stesse caratteristiche dei genitori e standard sempre migliori. Mi occupo anche di caratteristiche come le dimensioni, il canto e la fibra. I primi uccelli che ho acquisito provenivano da diversi altri allevatori in tutto il Brasile e non erano destinati alla riproduzione. Questi possedevano gli uccelli solo per la loro bellezza. In 4 anni, attraverso lo studio e diversi tentativi ed errori, siamo finalmente riusciti a separare e classificare i nostri uccelli attraverso il comportamento genetico delle mutazioni. Pertanto, sono divisi in 3 gruppi noti come mutazione recessiva, mutazione legata al sesso e mutazione dominante. Da quel momento in poi, è stato molto più facile ottenere risultati soddisfacenti attraverso gli accoppiamenti assortiti di volta in volta. Abbiamo già bei soggetti con mutazioni fissate, ma è nostra intenzione fissare nuove linee di sangue nella stagione 21/22. L’obiettivo è innanzitutto ottenere nuovi ceppi e quindi ottenere uccelli che hanno un certo colore e che sono portatori di un altro”. Il suo allevamento è impostato sulla “piattaforma vivaio”, ma per quale motivo? “Ci sono diversi motivi. I nostri vivai hanno le seguenti misure: 200 cm di altezza x 150 cm di profondità e 100 cm di larghezza. Alleviamo anche in gabbie che hanno le seguenti misure: 40 cm di altezza x 30 cm di profondità e 70 cm di larghezza. Nella nostra concezione, vivai ben pianificati offrono una migliore qualità della vita, un arricchimento ambientale, forniscono attività fisica agli uccelli, incoraggiandoli a muoversi per raggiungere meglio acqua

Z. c. mutazione da denominarsi

e cibo. Esporre l’uccello a condizioni naturali come sole e pioggia, rafforzando così la sua immunità e facilitando la gestione quotidiana dell’allevatore. Sempre parlando di Tico Tico, in questi lunghi anni ho osservato che i siti di riproduzione che utilizzano i vivai hanno molto più successo nella riproduzione, i loro uccelli si preparano più velocemente e in modo più naturale, sono molto più

sani, più fertili e hanno una aspettativa di vita più lunga. Per essere più realistico, citerò un esempio. Vivaio: a seguito di una corretta gestione, l’allevatore ha il 90% di possibilità di successo, tenendo conto dei criteri di scelta della coppia genitoriale. Gabbia: a seguito di una corretta gestione, l’allevatore ha il 50% di possibilità di successo, tenendo conto dei criteri di scelta della coppia genito-

Z. c. "bianco dominante"

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Voliere esterne

riale. Per ogni piccolo nato in una gabbia, 6 nascono in un vivaio. Quanto a consigli sul cibo, la cura e la salute del Tico Tico, gli ho chiesto quali siano i problemi più comuni negli allevamenti e come possano essere affrontati. “Una maggiore attenzione dovrebbe essere concentrata sulla cura dell’igiene, poiché questo è un uccello con abitudini alimentari a terra; infatti, tendono a razzolare e a camminare sul fondo della gabbia. Consiglio l’uso di gabbie metalliche, con griglie che precedono il vassoio inferiore, impedendo il contatto diretto con le feci e facilitando la pulizia, nonché l’uso di mangiatoie a tramoggia, che rendono impossibile lo spreco di mangime. In natura si nutrono di semi, germogli, frutti e insetti. In allevamento è indicato l’uso di razioni estruse dalla composizione equilibrata, che forniscono tutte le esigenze nutrizionali degli uccelli onnivori. L’alimentazione principale di tutti i nostri uccelli è a base di farina estrusa e di mais. Il risultato è dimostrato in pratica con uccelli sempre sani e belli con il piumaggio attillato, fertili e predisposti alla riproduzione. Durante il periodo riproduttivo, aumentiamo il livello di proteine, aminoacidi e alcune altre vitamine presenti nei mul-

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tivitaminici. I problemi più comuni riscontrati nella specie sono: la famosa pancia arrossata e l’eccessiva desquamazione delle zampe. Questi due problemi sono direttamente legati alla carenza nutrizionale e possono essere facilmente corretti con una dieta a base di alimenti adatti alla specie. La base alimentare dei nuovi nati avviene attraverso l’utilizzo di in-

Locale d'allevamento

setti vivi come Tenebrio molitor, Grillo, Bichinho da Laranja e Barata Cinerea. Questa dieta viene proposta fino a quando il novello entra nella fase di svezzamento (media di 30 giorni), dove acquisisce piena autonomia. In Sudamerica (regione sudorientale del Brasile), il fotoperiodo si verifica nelle stagioni riproduttive che iniziano in primavera-estate (primavera: dal 21 settembre al 20 dicembre, estate: dal 21 dicembre al 20 marzo). Durante il periodo riproduttivo vivono rigorosamente in coppia, essendo estremamente fedeli ad un territorio che il maschio difende energicamente dall’avvicinarsi di altri maschi della specie. In allevamento, sia in gabbia che in voliera, di solito poniamo il maschio solo nel periodo dell’accoppiamento, dopo di che viene allontanato per evitare problemi come le zuffe e per avere un maggiore controllo sugli uccelli. L’esposizione al sole è offerta al mattino tra le 8:00 e le 11:00 mentre all’interno utilizziamo l’illuminazione artificiale tramite lampade UV con esposizione per 2 ore al giorno. Come nidi solitamente offriamo piccole scatole o vasi di legno che mimetizziamo con piante artificiali, solitamente ben accetti dalla coppia; il nido è a coppa aperta e sottile, fatta con erba secca e radici. In natura si trovano solitamente in cespugli bassi e chiusi o in ripari nascosti come piante da giardino. In allevamento, cerchiamo di fornire condizioni simili che facilitino la riproduzione della specie. La femmina depone da 2 a 5 uova di colore verde-giallastro con una corona di spruzzi rossastri; esse misurano circa 21 x 16 millimetri sull’asse e pesano da 2 a 3 grammi. L’incubazione ha una durata media da 12 a 14 giorni dopo la deposizione dell’ultimo uovo e i nidiacei sono accuditi dalla coppia o solo dalle femmine. Questi lasciano il nido dai 12 ai 16 giorni di vita, sempre seguiti dai genitori che continuano a nutrirli per diversi giorni. I piccoli dipendono dai genitori per una media di 35 giorni e definiscono i loro territori ancora giovani, tra i 5 e gli 11 mesi. Poiché i pulcini sono estremamente dipendenti


dal cibo vivo nel primo mese di vita, cerchiamo di separarli dai loro genitori il 7° giorno di vita per continuare l’alimentazione manuale, utilizzando una pappa industriale specifica per i pulcini di uccelli selvatici. In Brasile, gli allevatori di uccelli selvatici sono controllati dall’ente responsabile (IBAMA – Istituto brasiliano per l’ambiente e le risorse naturali rinnovabili), che ha un’istruzione normativa con alcune regole che devono essere seguite e se questo non succede si rischiano severe sanzioni. Tutti i pulcini di uccelli selvatici vengono identificati con un anello mentre sono ancora pulcini in base alle loro dimensioni fisiche e alla loro specie. Questi anelli anti-manomissione hanno numeri di registrazione univoci, che sono collegati a un sistema di monitoraggio elettronico (SISPASS) e memorizzano dati come: specie, nome popolare e nome scientifico, età e sesso.

Adriano De Sousa e la sua splendida famiglia

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O rniFlash Come nascono le nuove specie di uccelli

News al volo dal web e non solo

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a secoli si discute di come e dove si formano nuove specie di uccelli, ora lo studio “The formation of avian montane diversity across barriers and along elevational gradients”, pubblicato recentemente su Nature Communications da un team internazionale di ricercatori guidato da José Martín Pujolar e Knud Andreas Jønsson della Københavns Universitet, potrebbe aver dato la risposta definitiva, fornendo le prove che, nel corso della loro evoluzione, gli uccelli delle aree montuose – dove vive la stragrande maggioranza delle specie del pianeta – hanno lasciato gli habitat di pianura per spostarsi in quote montane sempre più alte. I ricercatori sottolineano che «Milioni di anni di fluttuazioni climatiche hanno contribuito a spingere le specie di uccelli verso l’alto, come probabilmente sta accadendo ora». Sequenziando il DNA di uccelli della stessa specie, ma che vivono su due montagne separate, i ricercatori sono stati in grado di studiare quanto queste popolazioni siano geneticamente diverse l’una dall’altra. Jønsson spiega ancora: «Possiamo vedere che più in alto vivono gli uccelli sulle montagne, maggiori sono le differenze tra le popolazioni della stessa specie. Alcune popolazioni sono così diverse che si potrebbe pensare che siano specie distinte. Viceversa, ci sono maggiori somiglianze tra le popolazioni di pianura. Questo ci dice che la diffusione di nuove specie deve aver avuto luogo dagli habitat di pianura verso l’alto». In media, le specie di uccelli sopravvivono alcuni milioni di anni prima di estinguersi. Più piccola è la popolazione, più una specie è vulnerabile e maggiore è il rischio di estinzione. Come sottolinea ancora il ricercatore danese: «Le nostre analisi dimostrano che le specie che vivono sulle cime delle montagne hanno 5-10 milioni di anni. Le fluttuazioni climatiche possono accelerare il processo, facendo in modo che le specie antiche si estingueranno più velocemente. Questa sarà probabilmente anche una conseguenza del moderno riscaldamento globale». Fonte: https://greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/ come-nascono-le-nuove-specie-di-uccelli-e-perche-sono-a-rischio-cambiamento-climatico/

In Svizzera, sempre più uccelli minacciati

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nche nella vicina Svizzera, come da noi e nel resto d’Europa, gli uccelli sono in declino a causa dell’agricoltura intensiva, della scomparsa delle zone umide e dell’urbanizzazione. Le specie che nidificano in Svizzera sono 205. Secondo la Stazione ornitologica svizzera di Sempach (LU), che ha pubblicato una nuova Lista Rossa degli uccelli nidificanti minacciati, il 40% di queste sono considerate in pericolo, un tasso tre volte superiore che nel resto dell’Europa. Nelle zone umide il 64% delle specie di uccelli sono sulla Lista Rossa. Situazione analoga nelle zone agricole dove, come conseguenza della continua intensificazione dell’agricoltura, quasi la metà delle specie (il 48%) è minacciata, compresi molti uccelli un tempo comuni come l’allodola o la quaglia. Anche in ambiente alpino il 38% degli uccelli sono considerati minacciati a causa dell’incremento delle attività umane ricreative e dei cambiamenti climatici. Fonte: http://www.bighunter.it/Natura/ArchivioNews/tabid/220/newsid734/29902/Default.aspx


O rniFlash Gli albatri sempre più in profondità: strategia per salvarsi? egli ultimi anni si sta assistendo a livello mondiale a una forte crisi demografica degli albatri, che in pochi decenni ha portato 15 delle 22 specie esistenti sull’orlo dell’estinzione. Un team internazionale di ornitologi dell’Università di Oxford, dell’Università di Lisbona e del British Geological Survey ha sviluppato una ricerca, pubblicata su Current Biology, che potrebbe aiutare la conservazione di questi uccelli in declino. La ricerca ha puntato a comprendere a quali profondità riescano a immergersi gli albatri per pescare. Il risultato, come vedremo, è stato sorprendente e potrà essere utile per intervenire con strategie e azioni per aiutare questi uccelli marini a non estinguersi. Quello che è emerso dallo studio è che le profondità di immersione raggiunte dagli albatri durante le loro azioni di pesca sono sorprendentemente più profonde di quanto si pensasse. L’albatro dai sopraccigli neri (Thalassarche melanophrys), per esempio, si stimava potesse pescare a una profondità compresa tra i 6 e i 9 metri mentre il monitoraggio condotto negli oceani ha dimostrato una capacità d’immersione incredibile, con picchi a –19 metri! Tim Guilford del Dipartimento di Zoologia presso l’Università di Oxford, spiega: «Immergersi a profondità più elevate per questi uccelli pelagici potrebbe essere il risultato di una flessibilità comportamentale mai vista prima e avere importanti conseguenze su come consideriamo i rischi per le specie minacciate e su come queste potrebbero rispondere al cambiamento». Fonte: https://rivistanatura.com/gli-albatri-sempre-piu-in-profondita-strategia-per-salvarsi/

Gazze si liberano a vicenda dei dispositivi GPS

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ricercatori australiani volevano studiare il comportamento di alcune gazze utilizzando dei dispositivi GPS di nuova generazione ma hanno assistito a qualcosa di incredibile. Questi uccelli, considerati tra i più intelligenti del pianeta, hanno iniziato ad aiutarsi tra di loro rimuovendo i piccolissimi zainetti contenenti il localizzatore GPS. Joel Crampton, uno studente di dottorato e il dottor Dominique Potvin, che guida lo studio, hanno detto di aver visto delle femmine adulte beccare l’imbracatura di un uccello più giovane liberandolo. “Questo mostra alti livelli di capacità cognitive e anche di cooperazione – aiutando gli altri apparentemente senza ottenere una ricompensa” dichiara il dott. Potvin. Ancora più sorprendente è il fatto che gli uccelli hanno riconosciuto che non potevano sbarazzarsi delle imbracature da soli e hanno finito col fare squadra per sfuggire dalle grinfie dei tracker. “Per quanto ne sappiamo, questo è il primo studio a segnalare la rimozione di localizzatori GPS all’interno di membri della stessa specie e dovrebbe essere preso in considerazione quando si pianificano futuri studi di tracciamento, in particolare su specie altamente sociali, come le gazze” conclude Crampton. Fonte: https://www.scienzenotizie.it/2022/02/26 /australia-gazze-si-liberano-a-vicenda-dei-dispositivi-gps-0052743

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S pazio Club Tempo di Bilanci

Club di Specializzazione

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ono già tre anni di appartenenza al Club del Fiorino e sembra ieri. Mi fu proposto, nonostante la mia giovane età, di assumere la responsabilità di un Club ormai in agonia. All’età di vent’anni, grazie all’incoraggiamento dei soci della mia Associazione e di altri illustri allevatori e giudici di FPA, accettai di provare a risollevare il Club del Fiorino. Avevo bisogno dell’aiuto morale e concreto di tutti loro e devo dire che mai e poi mai mi hanno fatto mancare il loro indispensabile supporto. Adesso è giunto il momento di fare un bilancio di questi tre anni. Dobbiamo puntare a nuovi progetti per il futuro facendo tesoro delle passate esperienze e cercando di non ripetere gli errori commessi. Per questo, consentitemi di essere orgoglioso di come siamo riusciti a far rinascere un Club che, di fatto, non esisteva più. Nel 2022, con tre anni di esperienza alle spalle e con lusinghieri risultati in termini di iscrizioni dei soci al Club e di numero di ingabbi alle due rassegne del 2021, possiamo organizzare le prossime attività con maggiore consapevolezza dei nostri mezzi. Certamente bisogna ammettere che l’annullamento di alcune delle più importanti mostre nazionali abbia favorito una notevole concentrazione degli ingabbi nelle poche mostre che si sono svolte e in due di queste abbiamo organizzato le nostre rassegne 2021. Siamo estremamente felici di aver creato sinergie con quelle Associazioni che, sin dai primi contatti, ci hanno trasmesso fiducia nelle loro capacità organizzative; ad esse, per il tramite dei relativi dirigenti di Associazione, va il nostro sincero ringraziamento. Inizialmente l’inesperienza ha attirato alcune critiche e qualche perplessità nei miei confronti. Tutto normale, tutto immaginabile, tutto previsto, tutto accettabile purché formulato con rispetto e pacatezza. Fra le cose che cambierei per il futuro c’è sicuramente il nostro modo di comunicare con la comunità degli allevatori. È giunto il momento di sostituire l’enfasi dei resoconti delle nostre rassegne con una maggiore concretezza

che spazi anche in altre direzioni. Quell’enfasi che a dire di alcuni è sembrata eccessiva, quasi a voler sostituire le nostre reali competenze e che, mi rendo conto, possa aver sminuito la percezione delle nostre capacità. Sono convinto che un Club di successo non abbia bisogno di auto-elogiarsi con toni trionfalistici da punto esclamativo. Un Club che è forte del suo livello qualitativo deve solo dimostrarlo con concretezza, con umiltà e con toni pacati. Ritengo fermamente che questo sia l’unico modo per essere credibili ed ottenere sempre maggiori consensi. Adesso abbiamo il dovere di andare oltre l’enfasi, dobbiamo crescere ed è giunto il momento di porre in essere iniziative che dimostrino che abbiamo come primo obiettivo la tutela della Razza nel massimo rispetto del suo standard. Il Fiorino, insieme all’Arricciato del Nord, è da tempo la razza Arricciata più diffusa nelle mostre ornitologiche e lo sarà anche in futuro; adesso concentriamoci sulla sua qualità, il resto verrà di conseguenza. Per fare questo, continueremo a focalizzare la nostra attenzione sul massimo rispetto delle principali caratteristiche del suo standard ideale. Affronteremo con assiduità il tema della taglia del Fiorino e della sua selezione, fino a che non avremo la forte convinzione di un suo diffuso miglioramento, quantomeno a livello nazionale. Per la fase di giudizio delle nostre “specialistiche”, inviteremo Giudici che abbiano un’alta conoscenza della Razza e una riconosciuta specializzazione nell’allevamento della stessa. Divulgheremo l’allevamento di questo piccolo “gioiello italiano” fra i giovani e fra i novizi, facendone conoscere la storia e la sua trentennale selezione. Sono sicuro che con il vostro supporto, e con la nostra passione, riusciremo a fare tutto questo e molto altro. Buona stagione cove! Bartolomeo Cozzolino


COLUMBIDI

Tortora dal collare Streptopelia roseogrisea (detta risoria) La mutazione “Testa di Prugna” testo, foto e allevamento di LUIGI CARUSIO

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ggi vorrei parlarvi della mutazione “Testa di Prugna”, presente nella Tortora dal collare Africana: questa mutazione è molto rara in Europa e negli Stati Uniti non esiste ancora oggi. La particolarità di questa mutazione sta nella pigmentazione dell’animale, che dipende dalla temperatura che si trova in allevamento e all’esterno; tale mutazione è quindi paragonabile alla punti-

forme nei gatti siamesi e himalayana nei conigli, e si ipotizza nel mondo ornitologico al canarino Perla. A causa del forte colore violaceo della testa, è conosciuta in Italia come “Testa di Prugna”. La particolarità di questa mutazione sta nel fatto che, più la temperatura è bassa durante la muta del soggetto, più si formeranno pigmenti scuri nel piumaggio: quindi, la tonalità chiara o scura del soggetto dipende

Piccoli Testa di Prugna a 15 giorni

La particolarità di questa mutazione sta nella pigmentazione dell’animale, che dipende dalla temperatura che si trova in allevamento e all’esterno A sinistra, Testa Grigia. A destra, Testa di Prugna

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A sinistra,Testa di Prugna. A destra, Testa Grigia

dalla temperatura dell’ambiente in cui ha effettuato la muta. Questo fenomeno è chiamato acromelanismo, definito come la deposizione di eumelanina e feomelanina nelle piume. La trasmissione genetica della mutazione è autosomica recessiva allelica all’albino. Oltre alla Testa di Prugna, esiste un’altra mutazione della famiglia dei Testa Colorata che è ancor a oggi in corso di stu-

Testa Grigia

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dio e selezione, ed è il “Testa Grigia”: questa mutazione è stata scoperta non molto tempo fa ed ha lo stesso patrimonio genetico del Testa di Prugna, in quanto anch’essa varia a seconda della temperatura. La trasmissione genetica del Testa Grigia sembra essere autosomica recessiva, ma non si ha la certezza assoluta. Questa mutazione in Italia è rarissima, oltre al fatto che ci sono pochissimi al-

Testa di Prugna

levatori a detenere soggetti che presentano tale mutazione. Io allevo questa razza da circa quattro anni e la trovo parecchio interessante sia dal punto di vista genetico che dal punto di vista dell’allevamento. Allevare le tortore non è facile come dicono alcuni; certo non si avrà la stessa difficoltà che si può trovare ad allevare i fringillidi, vista la loro tranquillità in allevamento, ma vi assicuro che non è


Testa Grigia

roba da poco. Prima di tutto è difficile trovare soggetti puri o selezionati in maniera decente; una buona parte di chi alleva le tortore non ha mai selezionato alcun tipo di mutazione e non ha mai fatto accoppiamenti mirati per cercare di capire a fondo le mutazioni e il rispettivo patrimonio genetico. Pochissimi allevatori in Italia hanno studiato e ancora oggi studiano la genetica della tortora, cercando di approfondirne sempre di più la conoscenza e di divulgare questa bellissima specie a più persone possibile. Tra questi il mio amico Vincenzo Rallo, che voglio ringraziare pubblicamente.

Testa di Prugna

Storia della mutazione “Testa di Prugna” Le prime prove sulla relazione tra la pigmentazione e la temperatura sono state trovate dopo il freddissimo inverno olandese del 1995/96. All’inizio si pensava che gli uccelli diventassero più colorati quando invecchiavano. Tuttavia, un soggetto molto colorato che aveva intrapreso la muta durante l’inverno, aveva perso la maggior parte del suo colore. Questa relazione tra pigmentazione/temperatura fu poi confermata dalla successiva rimozione delle piume per diversi mesi. In un periodo freddo, le

nuove piume crescevano più scure di quanto non lo facessero in un periodo più caldo. In estate, quando la temperatura raggiunge i 18° C, le piume crescono quasi bianche su tutto il corpo ma tranne sulla testa. La testa assume un colore grigio brunastro con forte riflessi di malva, il collare è grigio brunastro, circondato da una leggera bordatura bianca. La parte inferiore di tale bordatura è poco visibile in quanto si fonde col colore del mantello. La colorazione generale è crema chiaro con piume più o meno scure sullo scudo alare e sulla groppa.

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DIDATTICA & CULTURA

La necrofilia negli uccelli Considerazioni generali e rappresentazione di alcuni casi segnalati nella letteratura scientifica di IVANO MORTARUOLO, foto AUTORI VARI

Seconda parte

Corvi americani La tanatologia è una scienza che sostanzialmente studia tutte le possibili interazioni che si vengono a realizzare con la morte di un essere umano o animale. Risulta evidente che tale disciplina è intimamente collegata con altre branche scientifiche come, per esempio, il diritto, la medicina, la psicologia, l’etologia eccetera. Una cultrice di questa scienza è Kaeli Swift, che ha conseguito un dottorato di ricerca con tesi dal titolo American Crow (Corvus brachyrhynchos) thanatology (Università di Washington, 2018), nella quale sono raccolti i risultati di osservazioni, effettuate in varie località statunitensi, su Corvi americani a contatto con soggetti tassidermizzati conspecifici e extraspecifici. Le sperimentazioni (Swft e Marzluff, 2018) sono state due e si sono svolte in circoscritti periodi degli anni 2015-2017, nei pressi di luoghi dove vi erano coppie adulte nidificanti(5) . Con la prima sono state messe in mostra uno zimbello di Corvo adulto, di Corvo giovane, di Piccione domestico Columba livia (tutti e tre i volatili erano in posizione prona e con ali leggermente aperte, in modo da imitare con buona approssimazione la postura di una femmina accondiscendente) e di Scoiattolo grigio orientale Sciurus carolinensis. Da rilevare che i Corvi americani, quando ne hanno occasione, si nutrono di questi ultimi due animali, anche se tale orientamento saprofago (scaven-

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Espressione necrofila nei Corvi americani. Fonte iconografica: Kaeli Swift

ging) nelle aree prese in esame sembra poco praticato (6). Cosicché si è cercato di capire se i possibili incontri erano determinati da una ricerca di fonti alimentari o dalla necessità di reperire informazioni di altra natura. È emerso che il 70% dei Corvi americani non ha avuto alcun contatto con i soggetti imbalsamati, mentre il 24% si avvicinava con una certa agitazione, evidenziata da grida, richiami di allarme e anche formazione di gruppi di conspecifici (mobbing). A questi comportamenti facevano seguito anche espressioni di aggressività, particolarmente rivolte verso i Corvi tassidermizzati. In tale contesto, sono stati osservati sette tentativi di unione sessuale (quattro con il Corvo adulto, due con il Corvo giovane e uno con il Piccione). I campioni extraspecifici non hanno suscitato interesse dal punto di vista trofico, anche se sono stati oggetto di maggiori contatti rispetto ai Corvi imbalsamati.

Con il secondo esperimento si è sostanzialmente cercato di comprendere se la postura degli zimbelli fosse in grado di influenzare la risposta sessuale dei volatili selvatici. Per tal uopo ne sono state proposte tre tipologie: un Corvo prono con ali semiaperte, un Corvo prono con ali racchiuse e un Corvo in posizione naturale (dritto sulle sue zampe). I risultati non hanno evidenziato una sostanziale diversità, in quanto i tentativi di accoppiamento con l’ultimo campione sono stati tre, mentre quelli attinenti agli esemplari “a terra” sono stati cinque (7). Dunque, si è concluso che, nei Corvi americani, la postura non è determinante ai fini delle espressioni necrofile. Una difformità di risposte è stata però riscontrata fra i “fruitori” del tentato rapporto sessuale. Infatti, prima, durante e dopo le copule con i soggetti “a terra”, sono stati emessi rapidi e numerosi gracchii accompagnati da beccate. Mentre nel contatto con il Corvo “in


piedi” sono mancati tali versi, ma le attività aggressive sono state molto intense (forti beccate, strappo del piumaggio). La considerazione che gli zimbelli abbiano suscitato attenzioni di natura aggressiva e sessuale, ha suggerito che nei Corvi americani non viene riconosciuto lo “stato di defunto”. Da questa caratteristica, unitamente al fatto che entrambi i suddetti esperimenti si sono svolti per lo più durante la prima parte del periodo riproduttivo (aprile), si è arguito che i conspecifici imbalsamati siano percepiti come degli estranei invasori, in grado di arrecare nocumento alle compagne e alla prole. Vengono così attivate istanze territoriali che inizialmente possono avere carattere esplorativo e intimidatorio, per evolversi poi in aggressività e giungere anche ad atti di natura sessuale. Tuttavia, non risulta del tutto chiara la matrice di tali espressioni comportamentali, ma gli autori ritengono che “i cambiamenti endocrini legati alla riproduzione possano diminuire la capacità di elaborare informazioni contrastanti in alcuni Corvi americani” (è ipotizzabile che i due studiosi si riferiscano anche a giovani adulti che non hanno ancora maturato una sufficiente esperienza), rispondendo così in modo “inappropriato” alla vista degli zimbelli. Si verifica così una situazione “inappropriata” in un contesto che però non è reale. In condizioni di normalità, infatti,

l’intrusione di un Corvo nel territorio acquisito da una coppia in riproduzione suscita una reazione aggressiva, espressa inizialmente con intimidazioni, al che l’ “abusivo” ha la possibilità di allontanarsi oppure di rimanere e affrontare le ire dei legittimi proprietari. (8) Nella sperimentazione vengono proposti zimbelli che non oppongono reazioni, quindi simulano volatili sottomessi o accondiscendenti e, in entrambi i casi, le espressioni aggressive possono evolversi in risposte copulatorie. Sono incline a credere che i due fenomeni (aggressività e sessualità) siano tra loro relati (sono peraltro determinati dalla stessa area cerebrale). Una prova ne è anche il fatto che il testosterone, un ormone prodotto dai maschi in grossi quantitativi durante il periodo riproduttivo e che induce un determinante impulso alle attività sessuali, è in grado di potenziare la carica aggressiva. Ritengo, quindi, che le copule osservate dai suddetti studiosi potrebbero costituire anche un modo per affermare una superiorità territoriale. Rondini comuni, Rondini rupestri americane e Topini Se si pone attenzione al fatto che la Rondine comune Hirundo rustica, in un passato remoto, era considerata una divinità in Egitto e che nella millenaria tradizione cristiana della cosiddetta “Zoologia Sacra” simboleggiava l’incarnazione di Cristo, la resurrezione e la

Soggetti imbalsamati utilizzati nel primo esperimento sulla tanatologia dei Corvi americani. In alto da sinistra: un esemplare adulto e giovane. In basso da sinistra: Piccione domestico e Scoiattolo grigio orientale. Fonte iconografica: Swift e Marzluff, 2018

preghiera assidua e sollecita, può suscitare un guizzo di perplessità apprendere che questo uccello è stato coinvolto dal fenomeno della necrofilia. Ma, come ho già avuto modo di accennare, i comportamenti animali vanno esaminati accantonando le nostre proiezioni e i nostri parametri morali. L’unica segnalazione reperita nella stampa specialistica è stata realizzata a firma di Roland Libois (1984), che il 22 giugno 1982 trovò sulla pavimentazione del villaggio Irleau (Francia) una Rondine che tentava l’accoppiamento con un altro soggetto conspecifico, verosimilmente deceduto da poco. La nota non è accompagnata da documentazione fotografica, ma l’autore ipotizza laconicamente che la pulsione sessuale del volatile poteva essere molto intensa e l’immobilità del cadavere è bastata a innescare lo stimolo copulatorio. Segnala inoltre un articolo del 1971, pubblicato nella stessa rivista (Aves), in cui un certo E. Delmee riporta il caso di un maschio Passero domestico Passer domesticus (in libertà) che tenta di accoppiarsi con una pallina (pelote) grossomodo delle stesse dimensioni. Alla seconda specie, la Rondine rupestre americana Petrochelidon pyrrhonota, Charles R. Brown (Università di Tulsa) ha dedicato quasi un trentennio, effettuando osservazioni e ricerche nel Nebraska occidentale, che gli hanno consentito di pubblicare numerosissimi articoli e il volume Swallow Summer

Soggetti imbalsamati usati nel secondo esperimento sulla tanatologia dei Corvi americani. In alto: esemplare in posizione prona con ali semiaperte. In basso da sinistra: esemplare in posizione naturale e in posizione prona con ali racchiuse. Fonte iconografica: Swift e Marzluff, 2018

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Rondine comune. Particolare del dipinto “Madonna della Rondine” realizzato tra il 1490 e il 1492 da Carlo Crivelli (1435-1495) e attualmente conservato alla National Gallery di Londra. Fonte iconografica: Wikimedia Commons

(University of Nebraska Press, 1998). Ha avuto così modo di osservare vari episodi di tanatofilia, e in un’occasione almeno dieci soggetti, nell’arco di quindici minuti, hanno tentato di unirsi ai cadaveri giacenti lungo la strada. Lo studioso ipotizza che il colore rossastro del groppone possa costituire motivo di attrazione (la peculiarità di tale cromia è evidenziata anche dal nome specifico pyrrhonota: pyrrhos=rosso e notos= dorso, schiena). Anche per quanto attiene all’ultimo esponente della Famiglia Hirundinidae, vale a dire il Topino Riparia riparia, sono state effettuate varie osservazioni, fra le quali è recentemente emerso anche un caso di necrofilia omosessuale. Questo evento costituisce, da quanto mi è dato sapere, il secondo caso finora osservato negli uccelli (la prima segnalazione, come sopra riportato, è stata effettuata da Cornelis Moeliker e atteneva ai Germani reali) ed è stato relazionato da Naoki Tomita e Yasuko Iwami (2016). Ancor prima di rappresentare i fatti, si rende utile qualche sommaria informazione sulla biologia riproduttiva di questi volatili. Nei Topini vi è una forte tendenza all’infedeltà coniu-

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Rondini rupestri. Fonte iconografica: Charles R. Brown.

gale, sia da parte maschile sia da parte femminile (extra-pair copulation). Pertanto i maschi, oltre a insidiare le femmine altrui, profondono ogni sforzo per far sì che la propria compagna non venga fecondata da estranei. Naturalmente, questa attività di sorveglianza è circoscritta al solo periodo che precede la deposizione, cioè quando le femmine, appesantite dalle uova tenute “in grembo”, volano meno agevolmente, evidenziando così che sono fertili. Non sorprende, quindi, se uno stuolo di maschi bramosi, ai quali si unisce il disperato consorte, insegua una procace “sposina”. In genere le copule vengono consumate all’interno del nido, ma occasionalmente anche per terra. Nella prima fase la coppia si accovaccia e resta ferma toccando il suolo con i becchi e i colli, dopodiché il maschio, vibrando le ali, si appresta alla copula, che viene realizzata tenendo le ali stesse sollevate. Passo ora a una succinta descrizione dei fatti. Il 20 giugno del 2014 i suddetti due zoologi videro, in una strada asfaltata nei pressi di Hokkaido (Giappone), un cadavere di Topino con le ali leggermente aperte e abbassate, posizione questa che ricorda quella as-

sunta dalla femmina durante l’accoppiamento. L’osservazione durò quindici minuti durante i quali tre esemplari si sono alternati nelle copule, esibendo il pattern consueto delle ali tenute aperte a forma arcuata. A un certo punto uno dei tre rimase vicino al volatile deceduto, emettendo una sorta di cinguettii fino al momento in cui gli altri due se ne andarono. Quindi iniziò a camminare attorno alla sua “meta sessuale”, per poi tentare un altro accoppiamento. Gli autori, nel concludere la loro relazione, ipotizzano che la mancanza di un evidente dimorfismo sessuale e la postura assunta dal volatile morto possano aver contribuito alla realizzazione di tali episodi di necrofilia omosessuale, anche se tale postura è da ritenere un segnale scatenante di maggiore impatto. Dall’analisi visiva del cadavere emergeva che la cloaca era sporgente e, pertanto, si poteva ritenere che trattavasi di un esemplare maschio, ma gli autori, per scongiurare qualsiasi dubbio, ricorsero all’esame autoptico, che naturalmente confermò l’ipotesi iniziale. Ulteriori espressioni necrofile nei Topini sono state osservate da S. Dale (2001)


nei pressi di un lago della Grecia settentrionale. L’autore, incuriosito dal non trascurabile numero di cadaveri di questa specie lungo la strada (ben sette), fece sei prove sperimentali consistenti nel rimuoverli per poi collocarli in diverse aree stradali. Fu così che stormi di 50-500 soggetti atterrarono nei pressi dei corpi, fra i quali 1-5 esemplari tentarono di accoppiarsi. Da notare che tali osservazioni sono state realizzate fuori dal periodo riproduttivo. Dale conclude che la presenza di tali spoglie esercita nei conspecifici una certa attrazione, poiché non viene opposto alcun “rifiuto” all’esuberanza dei “trasgressivi” maschi e, quindi, la tanatofilia crea le condizioni per incrementare ulteriormente la preesistente mortalità dei Topini sulle vie di transito. Ulteriori segnalazioni di necrofilia negli uccelli - Oca delle nevi Anser caerulescens atlanticus (Gauthier e Tardif in McKinney e Evarts, 1997). - Cigno reale Cygnus olor (da un filmato proposto su YouTube). - Ibrido (maschio) di Fagiano di monte Lyrurus tetrix x Gallo cedrone Tetrao urogallus (immagini proposte dalla televisione norvegese nelle quali l’ibrido uccise un Fagiano di monte e poi tentò l’accoppiamento). - Tetraone dal collare Bonasa umbellus (Allen,1934). - Tacchino selvatico Meleagris gallopavo (da una breve segnalazione con relativa foto proposte sul Web). - Allodola dorsogrigio Eremopterix verticalis (Rayan, 2008). Considerazioni finali La trattazione della necrofilia, anche se attinente agli animali, non risulta agevole sia perché esistono ancora molti pregiudizi, sia perché il fenomeno coinvolge specie molto diverse che, come accennato all’inizio di questa nota, sono ascritte a varie classi tassonomiche. Sta di fatto che non ne è stata compresa compiutamente la natura e, di conseguenza, gli studiosi spesso si muovono sul terreno delle ipotesi. Per quanto riguarda il primo aspetto, le barriere etiche possono rendere difficoltoso un sereno esame di questi argomenti di storia naturale.

Lo dimostrano direttamente o indirettamente due autori già citati in questo scritto, George Murray Levick e Cornelis Moeliker, che, peraltro, hanno dato un contributo rilevante alla conoscenza del fenomeno in esame. Il primo studioso, temendo di essere “giudicato male”, criptava le sue osservazioni scrivendole in greco antico; il secondo autore impiegò sei anni dall’osservazione del fenomeno necrofilo-omosessuale alla pubblicazione della sua relazione (sembra che le sollecitazioni dei colleghi siano riuscite poi a far superare le titubanze del naturalista). Molto verosimilmente il disagio è derivato dalle nostre proiezioni antropomorfiche, favorite da millenni di convivenza con gli animali e dalla potente empatia che alcune specie suscitano nell’uomo. Giova ricordare, seppur in estrema sintesi, che l’antropomorfismo è un fenomeno mentale attraverso il quale inconsciamente si proiettano sugli animali esperienze soggettive, qualità e capacità tipiche della nostra specie. Così l’espressione necrofila di un cane, di un gatto o di un pinguino ci appare orrenda, ci turba similmente al fenomeno umano. L’alterità animale da interessante diviene imbarazzante. Tutto ciò è in conflitto con il nostro senso estetico e morale.

Ma gli animali hanno senso estetico e soprattutto morale? Per quanto attiene al primo interrogativo, la risposta è sicuramente sì, ma è limitata a una ristretta cerchia di specie (su questo argomento invito il lettore a consultare il recente libro di Richard O. Prum “L’Evoluzione della Bellezza”). Più impegnativa è la seconda risposta. Pur discostandomi da orientamenti antropocentrici, sono incline a ritenere che a buona parte del mondo animale sia sconosciuto il concetto di morale o di qualcosa che a esso si avvicini (protomorale). Dunque, il fenomeno in esame andrebbe visto con occhi meno severi e più distaccati, in quanto gli animali, non possedendo una vera e propria morale (per certe classi tassonomiche -Rettili, Anfibi e Insetti- è impensabile un adeguato discernimento), non possono macchiarsi di alcuna colpa: il loro comportamento è infatti dettato sostanzialmente da uno stato di necessità che non ha trovato adeguata soddisfazione. Su questo aspetto ci ritornerò tra breve, ora mi preme fare un’importante precisazione. Va doverosamente chiarito che vari animali, in primis le Scimmie antropomorfe, evidenziano un ethos nel quale confluiscono espressioni altruistiche (talvolta anche in ambito interspecifico), empa-

Topino. Fonte iconografica: canti-uccelli.it/topino/

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tiche, di tolleranza e di perdono, di intelligenza e razionalità, di ordine sociale. Capacità queste che scaturiscono da istanze di moralità rapportabili a quelle umane. La linea di demarcazione fra le due realtà non sempre è ritenuta agevole, rendendo così i confini molto sfumati. L’etologo Frans de Waal, nel suo libro “Naturalmente Buoni” (da me recensito nel 1998 sul n. 2 di questa Rivista), si spinge poi ad affermare che vi è un’universalità dei sistemi morali, ai quali fanno riscontro matrici neurobiologiche. Fra questi animali ve ne sono alcuni, per esempio gli Elefanti, i Delfini, le Scimmie antropomorfe e il Pecari dal collare Pecari tajacu (si tratta di una recente scoperta)(4), che mostrano attaccamento o curiosità verso i loro conspecifici morti, evidenziati da gesti di disagio, toccamenti vari, protezione del cadavere o tentativi di rimuoverlo e così via. Riportando il discorso al comportamento tanatologico che segnatamente interessa la sfera sessuale, va sottolineato che gran parte degli episodi si è verificata durante la fase riproduttiva (di rado in periodi attigui): quando cioè lo sviluppo delle gonadi maschili è al massimo (negli uccelli possono aumentare di trecento-cinquecento volte) e conseguentemente la tensione sessuale

raggiunge livelli parossistici. Questa energia, espressa attraverso un comportamento detto appetitivo, viene inibita se non trova uno stimolo adeguato (in condizioni di normalità è rappresentato da una femmina accondiscendente) a far scatenare l’impulso sessuale. Ma il perdurare di tale condizione di astinenza favorisce un abbassamento della soglia degli stimoli scatenanti che, in determinate situazioni, rende “appetitosa” anche la carcassa di un conspecifico (specialmente se monomorfico) che simula una vaga postura di “invito”: si realizza così un’azione consumatoria. Un ulteriore iter del fenomeno tanatologico, come sopra già indicato, lo hanno proposto Swift e Marzluff (2018) con le loro osservazioni sui Corvi americani esposti alla visione di soggetti tassidermizzati della stessa specie. Questi uccelli, infatti, percepiscono tali zimbelli come estranei potenzialmente pericolosi, soprattutto durante il periodo riproduttivo. Inoltre, i prefati autori, difformemente da un generalizzato orientamento, sono giunti alla conclusione che nei Corvi americani la postura del cadavere non è determinante ai fini della realizzazione dell’unione necrofila. Qualche volta la pulsione sessuale è talmente forte da superare le barriere in-

Stupro di gruppo ai danni di una femmina di Germano reale. Fonte iconografica: J.R.Compton / Logosedizioni

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terspecifiche, sfociando in un susseguirsi di eventi che dall’aggressione passano allo stupro, cui fa seguito la morte della vittima e il verificarsi di un rapporto necrofilo. Sono stati documentati dei casi nel Leone marino della Nuova Zelanda Phocarctos hookeri ai danni dell’Otaria orsina meridionale Arctocephalus forsteri, nel Tursione Tursiops truncatus ai danni del Delfino comune Delphinus delphinus e nella Lontra marina meridionale Enhydra lutris nereis ai danni della Foca comune Phoca vitulina richardsi. Anche negli uccelli sono avvenuti contatti necrofili interspecifici. Come è stato riferito dianzi, Swift e Marzluff (2018) hanno osservato un episodio in cui i Corvi americani hanno tentato di unirsi con uno zimbello di Piccione domestico. Un’altra situazione simile è quella dell’ibrido di Fagiano di Monte x Gallo cedrone che, dopo aver ucciso un Fagiano di monte, si abbandonò a impulsi copulatori. Se dal punto di vista morale ed estetico la necrofilia animale può apparire “non gradevole”, dal punto di vista adattivo non credo che possa apportare svantaggi o nocumenti. È ben vero che l’unione con un cadavere espone il soggetto attivo alla possibilità di contrarre malattie e di essere potenzialmente vittima di qualche predatore o di incidenti automobilistici, ma in realtà non genera alcun danno, tanto meno al soggetto passivo. Peraltro, un aspetto positivo sembra essere, a mio giudizio, l’allentamento della tensione sessuale (consummatory action). Ben diverso è lo stupro, che talvolta viene realizzato da una pluralità di soggetti. Come ho accennato in precedenza, nei Germani reali è un fenomeno molto frequente e i danni sono ingenti. Non raramente le vittime muoiono (nel 710% dei casi). Tuttavia, se non si verificano tali eventi, spesso sono riscontrabili lesioni esterne e interne (a vari organi e a uova), forti stress e interruzione dell’attività riproduttiva. Inoltre, i compagni delle femmine che subiscono violenza non raramente sono indotti ad abbandonarle o a rallentare considerevolmente la consueta attività di vigilanza (McKinney e Evarts, 1997). Risulta evidente che le conseguenze


sono nefaste, anche sotto il profilo adattivo. Naturalmente questa nota non vuol essere l’apologia della necrofilia negli animali, bensì ha il solo scopo di proporre a grandi linee, e nel modo più distaccato e semplice possibile, le peculiarità di un fenomeno poco conosciuto e nel contempo complesso. Volutamente alcuni aspetti sono stati appena accennati, anche se avrebbero richiesto degli approfondimenti, ma l’orientamento divulgativo scelto per la trattazione e lo spazio disponibile, peraltro generosamente concesso dalla Redazione di questa Rivista, non hanno consentito ulteriori sviluppi. Note (4) Vedi Kort et alii (2017) - Collared peccary (pecari tajacu) behavioral relation toward member of the herd. Ethology, 124 (2):131134. (5) Nei Corvi americani è stata documentata la durata del vincolo di coppia di oltre dieci anni.

(6) I Corvi americani orientano la loro scelta verso cadaveri che in vario modo sono stati già aperti (animali uccisi a seguito di un incidente automobilistico, dell’intervento di un predatore eccetera). (7) Va doverosamente segnalato che gli autori hanno ben evidenziato anche altri comportamenti di natura sessuale (copula fra “coniugi” e postura d’ invito all’accoppiamento) messi in atto dai Corvi americani nei pressi dello zimbello (entro i venticinque metri da quest’ultimo). (8) Nei Corvi americani si formano gruppi famigliari costituiti dai genitori e dai figli nati anche nelle annate precedenti. Queste “famiglie allargate” comprendono al massimo dodici individui adulti e tutti i componenti sono coinvolti nelle necessarie attività di ricerca del cibo, difesa del territorio eccetera. Bibliografia essenziale 1) Brennan P., Prum R., McCracken K., Sorenson M., Wilson R., Birkhead T. (2007) - Coevolution of Male and Female Genital Morphology in Waterfowl. PLoS ONE 2(5): e418. 2) Fulton G. (2016) – Anecrophilic copulation by a Bridled Tern Onychoprion anaethetus. Australian Field Ornithology 33:235-236. 3) Libois R. (1984) - Observation d’une Hirondelle (Hirundo rustica). Aves, 21 (1):57.

4) McKinney F. e Evarts S. (1997) - Sexual coercion in waterfowl and other birds. Ornithological Monographs Volume 49, pp. 163-195. 5) Moeliker C. (2001) – The first case of homosexual necrophilia in the Mallard Anas platyrhynchos (Aves:Anatidae). DEINSEA 8:243247. 6) Morris D. (1981) – La scimmia nuda. Tascabili Bompiani. 7) Ralph B. e Yancey F. (2017) – Davian Behaviour (Necrophilia) observed in the Mourning Dove in the Sierra Nevada foothills, California. CVBC Bulletin/Fall, 20 (3):77-80. 8) Russel D., Sladen W. e Ainley D. (2012) - Dr George Murray Levick (1876-1956): unpublished notes on the sexual habits of the Adélie penguin.Polar Record, 48 (04). 9) Slavid E. e Taylor J. (1987) - Feral Rock Dove displayng to and attending to copulate with corpse of another. British Birds, 8 (10): 497. 10) Swift K. e Marzluff J. M. (2018) - Occurrence and variability of tactile interactions between wild American crows and dead conspecifics. Phil. Trans. R. Soc. B 373: 20170259. 11) Tomita N. e Iwami Y. (2016) - What raises the male sex drive? Homosexual necrophilia in the Sand Martin Riparia riparia. Ornithological Science, 15:95-98. 12) Wikipedia (Enciclopedia libera), alla voce Necrophilia.

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DIDATTICA & CULTURA

Il collezionismo ornitologico

Tredicesima parte

Oggettistica, gadget e collezionismo minore testo e foto di FRANCESCO BADALAMENTI

I

l termine collezionismo conduce usualmente a una raccolta sistematica e ordinata di oggetti che offrano un particolare interesse per l’arte, per la scienza, per la storia, o che presentino caratteristiche di ricercatezza; nulla di tutto ciò in questo tredicesimo articolo sul collezionismo ornitologico, dedicato all’oggettistica, ai gadget, al collezionismo minore, agli oggetti del passato, da

Crest

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molti dimenticati, ma importanti per altri. La passione per il collezionismo, infatti, si è evoluta ed ampliata con l’avvento dei sistemi di comunicazione informatica, interessando nuove e più ampie quote di popolazione. I motivi sono prevalentemente collegati ai modesti costi per iniziare una collezione, alla vasta possibilità di scelta, all’avvento dei gadget, in altre parole

quei simpatici omaggi in mostre e fiere, spesso forniti dagli sponsor. Di fatto è partita una nuova fase del collezionismo che consente di raccogliere facilmente oggetti di uso comune che, altrimenti sarebbero destinati a esser cestinati. Questo tipo di raccolte è usualmente classificato con il termine di “collezionismo minore”. La definizione non deve essere, tuttavia, collegata al valore eco-


glie e persino bottiglie di vino e molto altro ancora. In questa nota, tratteremo alcuni tra questi, soffermando l’attenzione solo su quegli oggetti che, per le loro caratteristiche, rivestono aspetti di maggior interesse. Crest: con questo termine normalmente si intende quello scudetto di legno che fa da supporto a un emblema. Originariamente diffusi pre-

Patch Capsule per tappi bottiglie

nomico e venale degli oggetti, atteso che non sarebbe ad esempio possibile definire minore la collezione di gadget e pupazzetti, poiché alcuni di essi hanno raggiunto quotazioni importanti, direi proprio inimmaginabili. Questo collezionismo ha trovato spazio in Italia, in moltissime località dove si svolgono periodicamente i mercatini dell’usato e dell’antiquariato, nelle fiere di paese che si tengono nei caratteristici borghi italiani, nelle storiche esposizioni sul collezionismo, tra le quali, fra le più note , Ferrara, Forlì, Napoli e Piacenza e (proprio quest’ultima fiera si tiene presso Piacenza Expo, in località Le Mose a due passi dalla sede della F.O.I.). Davvero numerosi sono gli oggetti collezionabili nel nostro settore dell’ornitofilia sportiva e amatoriale: portachiavi, orologi, penne, crest, capsule per tappi, bicchieri e tazze, porta badge, patch, tappi per botti-

Boccali e vini

Porta badge

valentemente nel mondo militare, dapprima nei reparti della Marina, hanno in seguito cominciato ad essere utilizzati presso tutti i corpi militari. In seguito questi stemmi sono diventati comunemente utilizzati come ricordo di un ente, di un evento, di un’Associazione, ecc. Sono solitamente donati come ricordo di un evento a personalità in visita, a chi lascia il servizio, a chi frequenta un corso, ai soci di un’organizzazione, ma sono anche collezionati e anche scambiati in occasione di manifestazioni del settore. Esistono numerosi collezionisti che alimentano un vero e proprio mercato di questi oggetti. Nella sala riunioni presso la sede F.O.I. ve ne sono numerosi modelli, attaccati alle pareti. Capsule per tappi: sono quei dischetti di metallo che si trovano nella parte alta della gabbietta che trattiene i tappi delle bottiglie dei vini frizzanti, degli spumanti e anche di alcune birre artigianali. Da alcuni anni i produttori di vini si fanno personalizzare le cap-

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Tappi x bottiglie

sule con immagini di vario genere, non necessariamente legate al mondo dell’enologia. Nel corso degli anni ne

sono state prodotte migliaia di tipi diversi, caratterizzati da una grafica sempre più accattivante, tanto che

La prima piattaforma di annunci on-line per lo scambio di uccelli da gabbia e da voliera, di attrezzature e accessori ornitologici OrniScambio è raggiungibile cliccando il banner sul sito

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gradualmente sono diventate ricercati oggetti da collezione, e gli appassionati sono decine di migliaia in tutto il mondo, in particolar modo nei Paesi maggiori produttori di vini, quali la Spagna, la Francia, e, in tempi più recenti, l’Italia. Non poteva mancare la serie di capsule da collezione dedicate ai canarini. Bicchieri e boccali: Tazze, bicchieri, boccali e persino tappi per bottiglie, sono sovente utilizzati come forma di autopromozione da parte delle aziende. Ideati dal marketing delle grandi imprese del settore delle bevande, sono in seguito divenuti gadget collezionabili, ricercati e fonte di grande interesse. Tradizionalmente sono realizzati con impresso il marchio e/o un’immagine dell’avvenimento nei settori più disparati e in occasione di avvenimenti importanti; il settore dell’ornitologia non poteva, ovviamente, essere da meno.

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Patch: in passato utilizzate per rammendare e rattoppare i capi di abbigliamento usurati o strappati (la traduzione in italiano del termine è, appunto, toppa), sono oggi diventate un must e sono usate per impreziosire maglie, abiti e felpe con logo, scritte e immagini. L’uso delle patch è oggi volto ad inviare specifici messaggi, a identificarci, a rappresentare

Oggettistica in metallo collezione Chris van Hout

Questo collezionismo ha trovato spazio in Italia, in località dove si svolgono periodicamente i mercatini dell’usato e dell’antiquariato

Porta badge: si tratta dei tradizionali cordoncini, generalmente di larghezza da 1 – 2 centimetri, con impresso il logo, in stampa diretta in serigrafia o in sublimazione, e con un gancio portachiavi o chiusura di sicurezza. Sono in sintesi i collari porta-pass normalmente utilizzati per identificare persone che, appartenendo a una determinata categoria, hanno libero accesso ai locali ove si svolge una manifestazione, ad esempio i componenti della giuria, i membri del comitato organizzatore mostra, ecc. Nelle mostre ornitologiche di maggiori dimensioni sono di uso comune.

Portachiavi

Antica valigetta dell’ornitologo naturalista

l’appartenenza a un’organizzazione, un club, ecc.; ne esistono diverse tipologie, le più belle sono solitamente quelle ricamate, mentre le patch termoadesive sono le più facili da applicare, poiché è sufficiente appoggiarle sul punto in cui si desidera attaccarle e poi passarvi il ferro da stiro caldo. Patch con velcro, patch da cucire, e ancora patch in stoffa o carta, le opzioni sono molte, tutte quante ovviamente sono diventate oggetti da collezione anche in ornitofilia. Concludo questa breve nota, allegando alcune foto ritraenti alcuni oggetti, secondo me belli e particolari, come una antica valigetta dell’ornitologo naturalista (foto tratta da un noto sito internet di vendite online) e una mini serie di oggetti in metallo facenti parte della collezione di Chris van Hout.

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Attività F.O.I. Sintesi verbale del Consiglio Direttivo Federale del 30 gennaio 2022 (La versione integrale è pubblicata sul sito www.foi.it/verbali) - Sede Campionato Mondiale 2023; Il CDF, a seguito della comunicazione via mail del 30 gennaio 2022 anticipata telefonicamente nei giorni precedenti al Consigliere Crovace, di rinuncia alla candidatura della organizzazione del Campionato Mondiale 2023 da parte dell’Associazione Ornitologica Apuana, a causa della intervenuta indisponibilità di una porzione dei locali dell’Ente Fiera di Carrara perché impegnato da un centro tracciamento regionale Covid, dovrà effettuare ulteriori ricerche per l’individuazione di locali idonei per la realizzazione dell’evento in programma a gennaio 2023. La candidatura pervenuta dall’Associazione Ornitologica Parma, pur non essendo stata ancora valutata dal CDF nei minimi dettagli, come del resto la candidatura di Carrara, non potrà essere presa in considerazione essendo l’Ente Fiera di Parma ubicato in una regione soggetta a problematiche legate alla influenza aviaria.

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Il CDF esprime vera gratitudine alle Associazioni di Carrara e Parma per la disponibilità offerta. - Conferimento incarico legale all’Avv. Francesco Saverio Dalba per l’attivazione della procedura di garanzia in caso di danno procurato alla Federazione dalla Demerio sas per la fornitura di anellini difettosi; Il CDF, avendo ricevuto alcune segnalazioni da parte di allevatori tesserati FOI oltre alle lamentele apparse sui canali social in merito allo scolorimento di anellini di tutta la gamma delle tipologie, conferisce mandato all’Avv. Francesco Saverio Dalba di inviare alla Demerio sas una lettera con la quale si preannunci la chiamata in garanzia in caso di insorgenza di ipotesi di danno. - Varie ed eventuali; Il CDF comunica l’attivazione dell’accesso all’edizione digitale di Italia Ornitologica mediante la piattaforma intranet FOI.




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