Italia Ornitologica, numero 3 2023

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“Transgenia

ANNO XLIX numero 3 2023
Canarini di Colore Commento all’articolo nei canarini…” Estrildidi Fringillidi e Ibridi Il Diamante di Gould “Bruno” Canarini di Forma e Posizione Arricciati Benvenuto Benacus! Ondulati ed altri Psittaciformi Incoraggiare comportamenti naturali nei pappagalli Rivista mensile di Ornitologia Scientifica - Tecnica - Pratica Organo Ufficiale della F.O.I.-Onlus

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In copertina: Cacatua di Ducorps (Cacatua ducorpsii)

Foto: MOISÉS PÉREZ (LPF)

ANNO XLIX NUMERO 3 2023 sommario Nuova linfa ornitologica Gennaro Iannuccilli 3 Commento all’articolo “Transgenia nei canarini: il lipocromo rosso” Giovanni Canali 5 Il Diamante di Gould “Bruno” Daniele Zanichelli, Antonio Venturoli e Francesco Faggiano 9 Benvenuto Benacus! Luigi Mollo e Federico Vinattieri 15 Aspetti e modalità del crescere Francesco Di Giorgio 18 Incoraggiare comportamenti naturali nei pappagalli Rafael Zamora Padrón 20 Il progetto “Cresciamo insieme” in Toscana Luca Gorreri 23 Photo Show Le foto scattate dagli allevatori 27 Canarino di Colore… in forma! Roberto Bernardini 29 Quando la realtà supera la fantasia Piercarlo Rossi e Andrea Salvaterra 33 Un futuro mondo senza uccelli? Pier Franco Spada 37 La rondine, il cardellino e il rigogolo nelle opere del pittore Carlo Crivelli (1430/35-1494/95) - 2ª parte Ivano Mortaruolo 41 Il Rapastello selvatico Pierluigi Mengacci 47 OrniFlash News al volo dal web e non solo 52 Al di là del Veerkamp Pasquale Leone 55 Alla ricerca di un inizio Sergio Palma 57 Nasce ufficialmente il “Nido d’Abruzzo Accademy” Ass. Orn. “Il Nido d’Abruzzo” 61 Un successo inaspettato Christian Abbondanza 63 Canarini di Colore Estrildidi Fringillidi e Ibridi Ondulati ed altri Psittaciformi Uccelli in natura 5 9 20 37 Italia Ornitologica è la rivista ufficiale della F.O.I. - Federazione Ornicoltori Italiani, pubblicata in 10 (dieci) numeri annuali a cadenza mensile, 2 (due) dei quali in versione bimestrale nel periodo estivo (Giugno/Luglio e Agosto/Settembre). Il numero 3 - 2023 è stato licenziato per la stampa il 3/4/2023

Nuova linfa ornitologica

Come molti sapranno, nel mese di marzo si sono svolte le assemblee elettive per il rinnovo delle cariche dei Raggruppamenti Regionali della F.O.I. Per questa tornata elettorale, abbiamo registrato la candidatura di un’unica lista in tutte le regioni; evento alquanto singolare che può essere interpretato con una duplice valenza. Da un lato, possiamo considerare positivo il fatto che in ogni Raggruppamento si sia raggiunto un presumibile accordo circa le squadre formate per sostenere le liste dei candidati presidenti; sotto un’altra ottica, più preoccupante, la mancanza di più liste da eleggere dovrebbe indurci a pensare che forse siano sempre meno le persone disponibili a ricoprire ruoli istituzionali all’interno delle strutture organizzative federali e finanche delle associazioni territoriali.

Non è nuovo, infatti, l’allarme che riceviamo sempre con maggiore frequenza da parte di associazioni che non riescono ad individuare nuove figure di presidenti, segretari e consiglieri, per sostituire eventualmente coloro che li hanno preceduti rimanendo in carica, in taluni casi, per molti anni. Anche nel mondo associativo, così come in altri settori che coinvolgono persone a scopo volontaristico, si rende necessario talvolta un ricambio generazionale, o quantomeno motivazionale, per rinverdire e continuare a immettere nuova linfa nelle attività che ogni associazione deve profondere per organizzare – nel nostro caso - la vita ornitologica sul proprio territorio di competenza.

Non possiamo permetterci di assistere a un lento ma continuo declino di tutto ciò che riguarda la passione che da sempre ci affascina e ci consente di tenere acceso il motore dell’ornitologia amatoriale. Senza tenere conto dei reiterati tentativi da parte di alcune fazioni cosiddette “animaliste” che, soprattutto negli ultimi mesi, ci hanno costretti a dover intervenire a livello governativo/ministeriale per contrastare assurde proposte tese a vietare o limitare fortemente l’allevamento ornitologico amatoriale e sportivo.

Queste latitanze nell’assumere ruoli e funzioni che riguardano il nostro mondo, si cominciano a riscontrare anche nei Raggruppamenti e non vorremmo che ciò fosse il preludio per abbandonare o rinunciare a esporsi in prima persona, pensando alle eventuali difficoltà da affrontare.

Crediamo che questo sia, invece, il momento di fare fronte comune per portare alta la nostra bandiera di allevatori che operano nel pieno rispetto dell’etica e del benessere animale,

così come stabilito e certificato in quel Disciplinare di autocontrollo, prodotto dalla F.O.I., trasmesso e accolto dal Ministero della Salute nel 2008.

Evitiamo i contrasti interni alle nostre associazioni e ai nostri Raggruppamenti e cerchiamo di collaborare per trovare insieme soluzioni che possano promuovere tutte le attività sui nostri territori: mostre di qualsiasi ordine, convegni, incontri, insomma occasioni utili nell’intento di unirci e di non abbassare la guardia certamente verso chi vuole attaccarci ma, direi soprattutto, nei confronti di quella pigrizia sociale che sta attanagliando di questi tempi un po’ tutti noi, giovani e meno giovani.

Tornando ai nuovi direttivi dei Raggruppamenti appena insediati, ritengo opportuno sottolineare che essi sono la effettiva propagazione/emanazione della F.O.I. nelle varie regioni italiane; sono il trait d’union tra il vertice federale e le associazioni, quindi hanno una funzione molto importante di monitoraggio del territorio e di sostegno organizzativo, come si evince anche dai regolamenti federali.

Spiace riscontrare la mancata partecipazione di alcune associazioni alle assemblee di Raggruppamento; siamo a conoscenza che in vari casi tali associazioni non comunicano neanche la propria impossibilità a presenziare alle suddette riunioni, tantomeno si preoccupano di chiedere disponibilità e delegare un loro socio per assistere agli incontri regionali. Siamo difronte a comportamenti da biasimare, non rispettosi della comunità ornitologica di cui si fa, o si dovrebbe felicemente far parte. A volte abbiamo ascoltato giustificazioni assurde per queste assenze, di carattere esclusivamente personale, generate da antipatie pregresse nei confronti di chi dirige i Raggruppamenti o di altre associazioni. Crediamo che bisogna superare questi atteggiamenti, ben consci che non tutti possono risultare reciprocamente simpatici, che si possono avere idee diverse, che si possono sostenere differenti modalità di approccio e azione sulle varie tematiche affrontate; ciò però non deve mai inficiare la voglia di confrontarsi per trovare soluzioni nell’ottica del bene comune ornitologico.

In conclusione, riteniamo di dover ringraziare chi, ancora e soprattutto di questi tempi difficili, si è candidato in prima persona a ricoprire incarichi istituzionali nei Raggruppamenti – da presidente, segretario o consigliere che sia – e, insieme alle rispettive associazioni territoriali, tiene viva la fiamma dell’ornitologia amatoriale e sportiva.

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Commento all’articolo “Transgenia nei canarini: il lipocromo rosso”

Ho letto l’articolo di Mimmo Alfonzetti che riassume studi effettuati da ricercatori sul rosso, sul mosaico e sull’urucum (dott.ssa Gazda ed altri).

Mi sento in dovere di intervenire, visto che ho commentato studi analoghi in passato per quanto concerne il mosaico. Critica fatta con il dr. Marco Baldanzi, che non solo è un genetista, ma conosce l’inglese scientifico. Chi volesse informarsi può vedere l’articolo: “Dimorfismo e dicromatismo sessuale” I. O. n°11/2022 ove, fra l’altro, faccio riferimento a pubblicazioni precedenti anche su rivista scientifica informatica e sito internet.

Prima di toccare l’aspetto “categoria” desidero dire qualcosa sui fattori rossi. Sarebbe stato più completo evidenziare meglio l’aspetto poligenico dei fattori rossi, almeno come riportato, anche se segnalato. Non ci sono riferimenti agli studi fondamentali del compianto prof. Riccardo Stradi: scienziato, docente universitario ed una delle massime autorità mondiali sui carotenoidi. Non si parla dell’alfa-doradexantina e dell’astaxantina. Ebbene, questi sono i due principali pigmenti rossi presenti nel cardinalino del Venezuela selvatico. Il primo derivato principalmente dalla luteina ed il secondo principalmente dalla zeaxantina, in seguito ad elaborazioni lunghe e complesse, che richiedono geni specifici. La cantaxantina è presente, ma in misura limitata, poiché è un derivato del

beta-carotene previa elaborazione, poco assimilato, che pure richiede geni specifici.

Vorrei anche ricordare che il primo caso di colorazione artificiale si tramanda che sia avvenuto in un soggetto giallo ad opera della capsantina, già assimilabile senza elaborazione, contenuta in diverse varietà di pepe. Allo stato attuale si colora principalmente con cantaxantina sintetica già pronta all’uso e che quindi non necessita di elaborazione.

In passato su I. O. è stato pubblicato un importante articolo scientifico in cui si citavano studi, i quali dimostravano che i geni codificanti per il rosso sono in gran parte situati su due cromosomi (“La base genetica del colore rosso negli uccelli” I. O. n°2/2017 di Marco Baldanzi). Pubblicazione che mi ha gratificato, visto che in passato avevo prospettato una vicinanza di locus dei geni per il rosso, anche se solo a livello di supposizione, in seguito ad osservazioni su

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Canarino selvatico, foto: D. Cautillo CANALI, foto D. CAUTILLO e E. DEL POZZO

certi risultati di accoppiamenti che vedevano, tendenzialmente, rimanere assieme alcuni geni. Analoga supposizione l’ho fatta per i fattori responsabili della tonalità limone; non ci sono però verifiche su questo aspetto a quanto ne so. Comunque il rosso è chiaramente poligenico, fatto sostenuto anche dagli autori considerati da Alfonzetti che, fra l’altro, forse sono gli stessi di cui sopra. Sono perplesso su evidenti miglioramenti del rosso con la somministrazione di carota, semmai con beta-carotene sintetico (“Ali bianche, lipocromi e dintorni” I. O. n°12/2018 di Riccardo Paganelli e Giovanni Canali).

Quanto alla citazione del dr Duncker, non mi soffermo ma cadeva in vari errori, almeno come riportato sul testo di Eyckens. Pensava ad un singolo fattore rosso

e che il cardinalino fosse rosso pieno. Invece, se non colorato il cardinalino diventa arancio, inoltre il giovane ha la barratura alare arancio. Aveva anche sbagliato con il bianco recessivo che non distrugge ma inibisce i carotenoidi, quindi non può essere utile per il rosso, sempre secondo quanto riportato dall’Eyckens. Va considerato che erano altri tempi.

Per quello che concerne il mosaico ne ho già parlato molto e non voglio diventare pedante. I riferimenti sono sull’articolo sopra citato. Semmai ribadisco che sul sito della mia associazione (www.adopparma.com) c’è l’articolo anche in inglese scientifico sull’intenso con chiosa del genetista dr. Pasquale De Luca (The distinctivess of the “intensive” mutation), presente su I. O. in italiano (“L’unicità della mutazione intenso” N°8/9 2018). Questo tipo di mutazione non è mai stato descritto in letteratura scientifica, inoltre per almeno due secoli, forse più di tre, è stata esclusiva del canarino, oggi forse anche in lucherino e verdone. La mutazione intenso è straordinaria e rende straordinario il concetto di categoria, del tutto ignoto in altre specie. L’aspetto più pregnante è dato dagli aspetti degenerativi che si hanno accoppiando in purezza brinati e mosaico, rendendo necessario l’accoppiamento misto con intensi per mantenere l’equilibrio. Sullo stesso sito si trovano anche altre cose come sull’origine del mosaico e le categorie.Considerare la mutazione intenso ritengo sia strettamente indispensabile per approcciare correttamente il discorso “categorie” di cui fa parte il mosaico. Mi soffermo solo su alcuni punti. Il primo è che il mosaico è una categoria che si manifesta sia in gialli che in rossi parimenti. Mentre nel riassunto dello studio citato la circostanza non sembra essere ben evidenziata, anche se non si dice il contrario. Errore certo è quello di definire recessivo il mosaico. È certamente dominante; per definire il comportamento genetico bisogna far riferimento alla forma selvatica cioè il brinato. Il mosaico domina il brinato, anche nelle ibridazioni. A questo proposito ribadisco che il brinato è sempre forma selvatica in tutte le specie (concetto ampiamente spiegato nell’articolo citato sul dicromatismo ed altri). In tutti gli ibridi, compreso il cardinalino, se la femmina canarina è mosaico omozigote sono mosaico, mentre se la femmina canarina è intensa portatrice di brinato sono metà intensi e metà brinati, di mosaico nessuna traccia; anzi negli ibridi con il cardinalino, i brinati maschi hanno molto spesso una brinatura fine ed uniforme, il contrario del mosaico. Il mosaico non appare neppure nel prosieguo

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Mosaico giallo femmina linea maschile, foto: E. del Pozzo
Il primo caso di colorazione artificiale si tramanda che sia avvenuto in un soggetto giallo ad opera della capsantina

degli accoppiamenti. Se fosse il cardinalino a trasmettere il mosaico, in qualche modo, come spesso si è sostenuto in altre sedi da vari autori, questo non potrebbe succedere; il mosaico dovrebbe uscire sempre ad ogni ibridazione. I risultati degli accoppiamenti in genetica sono basilari.

Il dubbio è lecito sui rapporti fra il mosaico e l’intenso. In effetti non è certo se siano allelici o no. In un primo tempo propendevo per la condizione allelica e ritenevo vi fosse una serie, con il brinato forma selvatica recessivo, il mosaico dominante sul brinato e recessivo nei confronti dell’intenso (intenso ovviamente dominante sul brinato). Poi ho modificato la mia posizione e propendo nel considerare l’intenso non allelico al mosaico che sarebbe quindi ipostatico e di conseguenza epistatico l’intenso (“Un dubbio sul mosaico” I. O. n°4/2017); un aspetto da chiarire.

Essendo il brinato probabilmente poligenico, potremmo avere la recessività del brinato stesso sia nei confronti del mosaico che dell’intenso, potendo essere coinvolti geni diversi.

Fra l’altro, considerare dicromatico il mosaico sarebbe sostanzialmente una questione ormonale, non avremmo una condizione genetica in senso stretto, che invece è palese. Bisogna considerare che il mosaico si esprime a livelli molto diversi; infatti vi sono mosaico estremamente caratterizzati, talora perfino iper tipici ed altri così poco espressi che si confondono facilmente con brinati abbondanti. L’unico parametro certo è il taglio netto nella zona ventrale, altrimenti visti dall’alto, mosaico pessimi e brinati pessimi sono praticamente uguali. A questo punto ribadisco che le zone di elezione intense non le ha create il mosaico, ma sono presenti già nel brinato, anche e soprattutto selvatico. Le diverse espressioni del mosaico le ho attribuite a geni modificatori o complementari. Tali geni agiscono sia sul mosaico che sul brinato; infatti le due linee selettive si tengono separate, poiché il brinato lo si vuole fine ed uniforme come brinatura e il mosaico con il massimo contrasto fra la brinatura abbondantissima e le zone di elezione evidenziate. Quando si mescolano le categorie, gli intensi possono anche essere

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Mosaico rosso femmina linea maschile, foto: E. del Pozzo Mosaico giallo maschio linea femminile, foto: E. del Pozzo

belli ma i brinati ed i mosaico no, spesso pessimi. Se il mosaico fosse determinato solo da un fatto enzimatico-ormonale, determinante dicromatismo, ritengo che non potremmo avere variazioni apprezzabili, che invece sono evidentissime e soprattutto selezionabili. Ritengo quindi che il mosaico sottolinei e non aumenti realmente il dicromatismo (come ampiamente spiegato in altre pubblicazioni). Il canarino è chiaramente dimorfico e dicromatico, anche se il fatto non è evidentissimo. Qui ricordo ancora che i mosaico vincenti, maschi e femmine, nei lipocromici, provengono da linee selettive diverse e che le femmine della linea selettiva maschile talora hanno più maschera dei maschi della linea femminile. Questo al fine di evidenziare artificiosamente il dicromatismo.

Mi sento di precisare il passaggio nel quale si parla di penne bianche nel mosaico. Talora sono effettivamente bianche, ma spesso ad essere bianca è solo la parte più esterna; nei brinati tipici solo l’apice, nei mosaico oltre l’apice, si va oltre in misura diversa, anche totale. Il meccanismo è lo stesso, del resto il mosaico è solo più brinato di un brinato. Ritengo poco probabile il passaggio della minore quantità di carotenoidi;

semplicemente ritengo siano repressi dalla maggiore brinatura. Se ci fosse minore quantità di carotenoidi, il mosaico potrebbe non essere categoria ma più facilmente varietà. Inoltre non sono noti casi di riduzioni localizzate; gli avorio per esempio sono uniformi. I mosaico pessimi sono quasi nelle stesse condizioni del brinato abbondante. Inoltre, se i carotenoidi fossero minori per via dell’enzima ritenuto di dicromatismo, la carenza si dovrebbe ripercuotere anche sugli intensi imparentati con mosaico. Invece gli intensi parenti di mosaico non presentano alcuna differenza con quelli parenti di brinati. Su questo aspetto non ammetto repliche poiché ho allevato intenso x mosaico per anni. Avendo visto, se non mi inganno, pubblicazioni analoghe, esprimo apprezzamento per il fatto che gli autori non siano caduti, come quasi tutti gli altri in passato, nell’errore di ritenere che il car-

dinalino avesse trasmesso il suo dicromatismo sessuale. Del resto ben diverso da quello del canarino specialmente maschio, anche mosaico.

L’aspetto che non condivido è l’aumento reale del dicromatismo, che a mio avviso è solo sottolineato.

Ho spiegato la cosa nella pubblicazione citata all’inizio, come in altre. Preciso che Alfonzetti ha fatto bene a riportare questi studi, che certo non disprezzo, tutt’altro; credo semmai che si debbano interpretare. Ho fornito una mia visione interpretativa. Secondo me il problema è la categoria, che non è una nostra invenzione, se non per il nome, ma che essendo stata per secoli esclusiva del canarino, non viene considerata in campo scientifico. Del resto la mutazione para mutagenica intenso è unica e non è mai stata considerata sempre in campo scientifico.

Per quanto concerne l’urucum, non mi soffermo; mi piacerebbe che venisse chiarito l’aspetto delle patologie cerebrali che sarebbero indotte, secondo molti. Se così fosse accertato, non credo che sarebbe varietà da allevare.

In conclusione anticipo eventuali obiezioni, ignorando il proverbio latino: “excusatio non petita accusatiomanifesta”. Se pensassi di aver errato sul mosaico lo riconoscerei senz’altro, poiché ritengo gravissimo errore insistere su posizioni errate. Del resto credo di essere l’unico autore ad aver scritto un articolo di pura autocritica: “Mea culpa mea culpa” (I. O. n°12/2009). Il fatto è che ho visto troppe volte confondere pessimi mosaico con pessimi brinati o viceversa e che il mosaico vede accentuare artificiosamente le sue caratteristiche dicromatiche, anche con selezioni anomale, una per i maschi ed una per le femmine. Per quanto concerne la domanda di Mimmo sul rosso ed il mimetismo, penso di poter azzardare una risposta anche se solo parziale e dubbia. Il rosso non è poi così poco mimetico, tenendo conto del fatto che il cardinalino vive spesso in zone ombrose nelle chiome degli alberi; inoltre certe cortecce non sono molto diverse come colore dal rosso, specie se visto in ombra. Poi non c’è solo il mimetismo, ma anche la capacità elusiva, legata alle piccole dimensioni ed alla rapidità dei movimenti.

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Canarino selvatico, foto: D. Cautillo
Se ci fosse minore quantità di carotenoidi, il mosaico potrebbe non essere categoria

Il Diamante di Gould “Bruno”

La proposta degli amici del Diamante di Gould

Premessa

Quando l’ornicoltura è ancora quel fenomeno socio-culturale che ha determinato nel tempo il trasformarsi dell’uccellagione in attività tecnicosportiva dall’impronta protezionistica, è possibile lavorare attraverso un confronto gratificante e sereno per il movimento, raggiungendo soluzioni condivise e funzionali. È con questo approccio che gli “Amici del Diamante di Gould”, gruppo che riunisce oltre 150 ornicoltori europei iscritti nelle diverse Federazioni aderenti COM, nell’intento di contribuire fattivamente alla crescita tecnica del mondo dell’ornicoltura sportiva e, nello specifico, di seguire e sostenere la conoscenza e l’evoluzione selettiva del Diamante di Gould, ha ritenuto opportuno formalizzare come gruppo di allevatori direttamente interessati alla questione la propria posizione sulla nuova mutazione diffusamente presente negli aviari d’Europa e comunemente denominata “bruno”.

Introduzione

Si ritiene in primo luogo che l’esperienza diretta, ovvero sviluppata nei propri allevamenti, così come i risultati espositivi sia il primo indicatore

tecnico a cui far riferimento nello studio e comprensione dei fenotipi e della loro giusta denominazione, che devono essere spiegati e orientati secondo evidenze scientifiche inopina-

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testo di DANIELE ZANICHELLI, ANTONIO VENTUROLI eFRANCESCO FAGGIANO, FOTO CASCIELLO, CLEMENTE ePAGLIARINI D. Gould tn maschi con in primo piano "ino bruno" a confronto con un "ino", all Pagliarini
“Amici del Diamante di Gould” è un gruppo che riunisce oltre 150 ornicoltori europei iscritti nelle diverse Federazioni aderenti alla C.O.M.

bili e non sull’opinione personale; per questo abbiamo lungamente sviluppato l’argomento raccogliendo dati ed esperienze dirette, strutturando a monte di questo nostro documento conclusivo, che si propone di dare un’identità tecnica selettiva alla mutazione, una mappa concettuale e un sondaggio che potesse dare a tutti gli ornicoltori la possibilità di conoscere la questione ed esprimersi in base a concetti formali, ritenendo che la partecipazione e l’opinione di massa sia elemento fondamentale della nostra passione.

La mappa concettuale

Abbiamo elaborato una mappa concettuale che partendo dall’esigenza di orientare e guidare l’identificazione del fenotipo conducesse l’ornicoltore, con metodo scientifico, attraverso il confronto e la conoscenza a dichiarare a quale delle mutazioni oggi note

potesse potenzialmente essere riconducibile il fenotipo in questione. Questo perché l’identità genetica e fenotipica di una mutazione serve a dare un nome adeguato alla stessa ed indirizzarne la selezione.

L’identificazione è basata sull’approccio deduttivo che la conoscenza dei test di ibridazione e di selezione, parallelamente all’analisi tecnica del fenotipo, ci forniscono, orientando la risposta alla domanda: quale mutazione sessolegata produce un fenotipo dai toni bruni, con occhio rosso scuro e capace di ossidare il fenotipo lutino? Pur essendo la risposta quasi scontata per un ornicoltore medio, se ne è proposta una doppia, bruno o pastello, descrivendo però le caratteristiche di ogni eventuale scelta. Questo per evidenziare anche le grandi differenze tra le due possibili opzioni.

Dati e considerazione tecniche

Come detto, la nota è frutto diretto del nostro fare ornicoltura attraverso la selezione del Diamante di Gould e, nello specifico, della mutazione in questione. Per questo, nel presente contributo adduciamo all’esperienza diretta le conclusioni del caso, sostenute dalla conoscenza scientifica trasversale.

Da tempo alleviamo e seguiamo in modo impersonale e con un approccio prettamente tecnico-scientifico gli sviluppi inerenti questa mutazione, che un’analisi oggettiva dei dati ufficiali ci evidenzia:

-Trattasi di mutazione sessolegata, recessiva rispetto all’allele ancestrale, che produce un fenotipo caratterizzato da occhio rosso scuro, evidente nei piccoli ancora implumi, piumaggio interessato da pigmento eumelanico bruno e feomelanina, associati ovviamente a lipocromo.

-L’azione mutante principale della mutazione è data dal totale viraggio qualitativo dell’eumelanina che è depositata sul piumaggio in piccoli granuli, non raggruppati (come avviene nel tipo classico a melanina nera), di colore bruno e marrone.

-Non è apprezzabile una sostanziale riduzione quantitativa del deposito eumelanico, ma una modifica quali-

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Ibrido mutato di Gould bruno x Kiitliz bruno, all. Casciello e Pagliarini Kiitliz satinè a sinistra e lutino a destra, all. Clemente

tativa del pigmento e una sua lieve amplificazione; evidenza, questa, in modo inconfutabile nell’analisi della combinazione “bruno”+lutino, dove si apprezza un rinforzo dell’ossidazione dell’eumelanina bruna così come è stato recentemente accertato nel canarino di colore satiné ossidato…. Elemento già noto ad ornicoltori e tecnici da oltre mezzo secolo.

-Macroscopicamente la mutazione sviluppa un fenotipo “ossidato” e non diluito, che mantiene i contrasti tipici della specie, ma caratterizzato da un fondo bruno anche molto scuro e ricco di feomelanina, evidenziato in alcune combinazioni come ad esempio nel “bruno” blu, dove l’assenza di lipocromo svela una diffusa presenza di feo su dorso e ventre, oppure nel pettobianco a testanera, dove la maschera melanica è visibilmente di un marrone limpido e luminoso per l’inibizione della feomelanina e la lieve riduzione eumelanica che il petto bianco determina anche su base “bruna”.

-Riteniamo inopportuna e deviante l’attuale inclusione dei nostri soggetti nella denominazione COM di “diluito ungherese” perché gli esemplari a cui questa denominazione fa riferimento sono ancora attualmente di proprietà esclusiva del signor Fakete, che non ha ceduto alcun esemplare e che espone, appunto, in modo esclusivo i suoi esemplari al Mondiale, mentre il fenotipo a cui l’intero movimento ornitologico europeo fa contestualmente riferimento non è mai stato a contatto con questi esemplari ungheresi, non deriva da questi e non se ne conoscono realmente le affinità genetiche. Se è vero che il signor Fakete ha prodotto prole mutante dall’accoppiamento tra le due popolazioni, tali risultati sono attualmente di dominio esclusivo dello stesso; non potendo commentare così tali risultati che risultano “riservati” a pochi e non verificabili, rimane comunque come dato inconfutabile la totale estraneità dei nostri soggetti a questa mutazione ungherese.

-Si rammenta che la comparsa della mutazione in questione è avvenuta in Olanda, da dove i primi soggetti sono stati importati velocemente in Italia, Spagna e Portogallo, mentre i soggetti ungheresi, che peraltro presentano un fenotipo abbastanza differente dai “bruni”, dovrebbero essere comparsi precedentemente nell’aviario del signor Fakete.

-Di contro, in tutte le più importanti manifestazioni, specialistiche e non, d’Europa, la presenza di soggetti interessati dal fenotipo in questione, a nostro vedere identificabile serenamente con la classica mutazione “bruno”, è cospicua e sottoposta più volte a valutazione di tecnici giudicanti, magari pur concordi con la nostra opinione, ma limitati nell’espressione dall’equivoca sovrapposizione e da non ferme e corrette prese di posizione.

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Kiitliz satinè, all .Clemente Satiné ossidato mosaico rosso, archivio FOI

-Tale opinione si è andata strutturando anche grazie alla possibilità di osservare dal vivo i risultati dell’attività ornicolturale selettiva, primo tra tutti, come detto, il fenotipo combinato “bruno”+lutino, alias satiné, che rappresenta la versione ossidata del lutino classico, grazie al fenomeno di complementazione tra l’amplificazione del residuo eumelanico bruno determinato dalla mutazione “bruno” e il limite del lutino che permette solo il deposito proprio di questa frazione melanica. A tal proposito, si smentisce l’ipotesi dell’intervento di un presunto e mai comprovato “fattore scurente” grazie all’ottenimento di esemplari satiné di diamante di Kittlitz, frutto della sovrapposizione tra Kittlitz lutino e Kittlitz bruno, la stessa mutazione bruno che ha prodotto in ibridazione figli maschi con il Gould

“bruno”, evidenziando in primis che si tratta della stessa mutazione e che, in secondo luogo, tale mutazione, in interazione con lutino anche nel Kittlitz, determina la ben nota ossidazione bruna, attribuita al presunto fattore scurente, che peraltro dovrebbe provocare un inscurimento su toni grigio-nerastri e non bruni, come avviene nei nostri satiné.

-In riferimento all’ipotesi che esista un rapporto di allelia tra la mutazione pastello a dominanza incompleta e il mutante “bruno”, riteniamo che il fenotipo PastelloSF/bruno, caratterizzato da uno schiarimento del deposito melanico ma non da un viraggio qualitativo dello stesso, si realizzi esclusivamente per un fenomeno di epistasi dominante (dove apparentemente la mutazione recessiva sembra dominare/complementare con la variante dominante), sostenuta dall’interferenza reciproca che le due mutazioni si provocano a causa del ben diverso ruolo che ognuno dei due geni ha. Nello specifico, sappiamo che la mutazione Pastello a dominanza incompleta sex-linked del Gould interviene sul processo di trasporto degli aggregati melanosomici (gruppi di melanosomi ossidati che vengono raggruppati e trasportati da una proteina trasportatrice, che in presenza della mutazione Pastello non è più capace di svolgere il proprio lavoro). Il ruolo di questa proteina è talmente determinante che anche in eterozigosi, ovvero quando solo la metà delle proteine trasportatrici funziona, si evidenzia la condizione mutante, tanto da esprimersi

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Satiné mosaico rosso (classico), archivio FOI Tre femmine di Gould bruno, all. Pagliarini
Sappiamo che la mutazione Pastello a dominanza incompleta sex-linked del Gould interviene sul processo di trasporto degli aggregati melanosomici

con metà del suo ruolo. Quando in un soggetto è presente la mutazione “bruno” anche in eterozigosi, la quantità di aggregati melanici comunque è minore (pur non essendo questa condizione visibile ad occhio nudo, perché anche se della coppia di geni solo quello ancestrale svolge la funzione, che il mutante non sviluppa, la funzione è preservata). Tale deficienza determinata dal-

l’eterozigosi per il mutante “bruno” è amplificata e resa evidente dalla deficienza della capacità di tra-

sporto del gene pastello, la cui funzione è tanto determinante da incidere fortemente anche in eterozigosi ed amplificarsi in presenza di fattori incidenti sulla funzione sottesa.

Conclusioni

Da questo coinvolgente lavoro che ha visto partecipe oltre l’80% del nostro gruppo, possiamo affermare che la variante fenotipica in questione, per le elencate evidenze, i dati tecnici, la documentazione addotta e le motivazioni tecnico-scientifiche riportate, va identificata e denominata come “bruno”, sessolegata classica; si ritiene opportuno, visto il grave ritardo a cui è tutt’oggi sottoposta, che venga ufficialmente denominata per garantirne la giusta selezione e, soprattutto, il meritato giudizio, funzione di un’identità ufficiale oggi ancora stranamente misconosciuta.

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Diamante di Gould satiné testa arancio, all. Pagliarini
Quando in un soggetto è presente la mutazione “bruno” anche in eterozigosi, la quantità di aggregati melanici comunque è minore

Benvenuto Benacus!

La lunga attesa è finita

testo e foto di LUIGI

Il Mondiale di Napoli 2023 ha sancito il definitivo ingresso del Benacus nelle razze di Forma e Posizione riconosciute dalla C.O.M. Innanzitutto, formuliamo le più sincere ed affettuose congratulazioni all’ideatore della razza, il sig. Pietro Peluso che, nell’amenità di Riva del Garda e memore degli insegnamenti selettivi sui Bossù arricciati appresi in gioventù nella sua Campania, ha selezionato un piccolo gioiello che, dal 18 gennaio 2023, è la sesta razza di canarini di Forma e Posizione Arricciati creata in Italia e riconosciuta a livello mondiale. A lui va anche il nostro grazie.

La nuova razza è stata chiamata Benacus in ossequio ad una vecchia tra-

dizione che vuole che il nome della razza derivi dal luogo di creazione. Essendo stato creato a Riva del Garda, ha preso il nome dell’omonimo lago; Benacus è, infatti, il nome che gli antichi romani usavano per il Lago di Garda. Riteniamo opportuna una piccola precisazione anche a rischio di apparire pignoli: spesso in giro per mostre si sente pronunciare il nome Benacus con diversa accentazione (Bénacus, Benàcus o, anche, Benacùs); per fare chiarezza va detto che si tratta di una parola latina che porta l’accento piano sulla “a” (Benâcus -i), in italiano conserva l’accentazione latina e, quindi, va letto “Benàcus” con l’accento tonico sulla “a”. La storia del Benacus inizia nei primi

anni del XXI secolo e, più precisamente nel 2009. In quella stagione riproduttiva il sig. Peluso accoppia una femmina di Bossù con un maschio di Gibboso. Dei 13 novelli ottenuti da quella coppia furono selezionati, anche con l’aiuto dei giudici internazionali Giovanni Bertoncello e Alfano Stach, i soggetti posti alla base della nuova razza. Il ciuffo fu inserito nella selezione, nel 2011, grazie ad un fiorino bianco T.C. di rara bellezza fornito proprio dal giudice Bertoncello. Fra il 2010 e il 2013 i soggetti ottenuti furono accoppiati con dei Gibbosi di piccola taglia e dal portamento difettoso (tendente al “7”). Successivamente si andò avanti in consanguineità con ulteriori, sporadiche, introduzioni di san-

NUMERO 3 - 2023 15 CANARINIDI FORMAE POSIZIONE ARRICCIATI
Il giudice internazionale Altobelli e i suoi colleghi al lavoro I Dirigenti C.O.M. - J. Quintas, D. Crovace, C. F. Ramoa e il Presidente F.O.I. - A. Sposito, lieti, salutano il nuovo arrivato in casa C.O.M.

gue Gibboso. A detta del sig. Peluso non è stato mai utilizzato il Gibber Italicus. Nel 2014 il giudice internazionale Giuseppe Corsa, nel suo ruolo di Presidente della Commissione Tecnica Nazionale CFPA, ricevuta la segnalazione che si stava lavorando alla selezione di questa nuova razza, ebbe l’attenzione e la cortesia di recarsi personalmente presso l’allevamento Peluso, in quel di Riva del Garda, per comprendere appieno le procedure selettive utilizzate e per dare un fattivo contributo tecnico alla definizione di uno standard che, nel rispetto delle direttive C.O.M., rendesse la razza immediatamente riconoscibile. Da allora la CTN-CFPA ha poi seguito con continuità la nuova razza nelle varie tappe di riconoscimento e la stessa premurosa attenzione alla razza è stata prestata anche dai giudici internazionali Gianfranco D’Alessandro e Emilio Sabatino che, nell’ordine, si sono succeduti, dopo Corsa, nella presidenza della CTN-CFPA.

I giudici Corsa, D’Alessandro e Sabatino, erano presenti, pur non essendo in giuria, al Mondiale di Napoli per il riconoscimento del Benacus, in un’ideale staffetta con i due giudici che lo hanno visto nascere, Bertoncello e Stach.

Durante quei lunghi anni, al sig. Peluso si sono uniti nella selezione molti allevatori da varie parti d’Italia. In questa sede, essendo complicato elencarli tutti e per non far torto a nessuno, si ricordano solo quelli che, insieme a Pietro Peluso, hanno esposto i loro soggetti per il definitivo riconoscimento al Mondiale di Napoli 2023; essi sono, in ordine alfabetico, i sig.ri Luigi Bustaffa, Fabrizio Giuliani, Luigi Mollo e Antonino Strazzer. Con lo stesso criterio ci piace ricordare che la giuria che ha decretato a Napoli il definitivo riconoscimento era formata dai giudici internazionali Gabriel Larrea (AR), Paulo Medeiros (PT), Franc. Palos Franco (ES), Antonio Altobelli (IT) e Alex Beylemans (B). Prima di chiudere, appare opportuno fare una breve descrizione tecnica di questo magnifico e rustico canarino.

Il Benacus appartiene alle razze arricciate di posizione. Questo significa che il canarino, quando si trova nella gabbia di esposizione, deve assumere un portamento “a forma di sette, collo proteso in orizzontale a livello dei carpi nella posizione di lavoro, corpo verticale con coda perpendicolare al posatoio” [Criteri di giudizio CFPA, ed. 2020]. Assumere questa posizione “di lavoro” è indubbiamente faticoso per cui il canarino non la può tenere per molto tempo ma deve intervallarla con una postura più rilassata, la cosiddetta posizione “di riposo”. Un buon soggetto deve essere in grado di tenere la posizione di lavoro per un periodo di circa un minuto. Ovviamente se la mantiene più a lungo è meglio. Quando assume la posizione di lavoro gli arti inferiori, lunghi e deplumati al ginocchio, devono essere

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Il giudice Mollo illustra al collegio giudicante le caratteristiche della razza Foto di gruppo. È da notare, a fianco di J. Quintas, il Presidente della CTN-CFPA, E. Sabatino e, al centro, il past-president della CTN-CFPA Gianfranco D’Alessandro

leggermente flessi al calcagno. Anche la coda - proporzionata al corpo, stretta e lievemente biforcuta all’estremità - e le ali - lunghe, uniformi, ben aderenti al corpo - danno il loro contributo all’assunzione della corretta posizione. Si tratta di un portamento molto tipico che differenzia nettamente il Benacus dalle altre razze similari (Arricciato del Sud, Melado, Gibboso, Gibber Italicus, Girardillo, etc.).

La gabbia da esposizione a cui si è accennato è quella che si usa per i canarini Yorkshire, detta anche “a cupola”, attrezzata con due posatoi da 12 mm; uno posto in alto al centro e l’altro in basso alla quinta gretola. Il fatto che si tratti di un canarino di posizione non deve trarre in inganno. Il Benacus va giudicato certamente per la posizione ma senza mettere in secondo piano le arricciature. Pertanto, come in tutte le razze arricciate, anche nel Benacus devono essere valorizzate le cinque arricciature principali – jabot, fianchi, spalline. In questa razza queste sono le sole arricciature presenti e devono manifestare un netto distacco con le altre regioni del corpo caratterizzate da un piumaggio perfettamente liscio ma non abbondante. Di fatto, in questa razza il piumaggio deve essere scarso ma non “ruvido” come quello di un Gibber. Anzi, pur essendo poco voluminoso, deve apparire composto e brillante, in una parola, serico. Questo particolare piumaggio, a cavallo fra quello dell’Arricciato del Sud e del Gibber, dà origine ad una specifica caratterizzazione delle cinque arricciature principali che risultano ben evidenti ma molto contenute. Infatti, lo jabot deve essere “composto da due arricciature che dai lati del collo convergono verso il centro per coprire completamente il giugolo” [Criteri di giudizio CFPA, ed. 2020]. È chiaro che esso non riesce ad assumere la dimensione e voluminosità del cestino dell’Arricciato del Sud ma neppure presenta quella “nudità” che caratterizza il jabot di razze come il Girardillo o il Gibber. Lo stesso discorso vale per i fianchi che devono essere “corti leggermente folti, simmetrici, rivolti

verso l’alto senza coprire le ali o raggiungere le spalline” [Criteri di giudizio CFPA, ed. 2020]. Queste ultime, a loro volta, dovranno incunearsi fra i carpi conservando una evidente simmetria e una netta demarcazione centrale. Per completare la descrizione, non ci resta che dire che un canarino ideale deve avere una lunghezza di 16 cm con una testolina a forma di nocciola, sostenuta da collo liscio, lungo e proteso in avanti. Il ciuffo deve presentarsi completo, composto e, diparten-

dosi da un punto centrale, deve coprire la testa lasciando scoperti la radice del becco e gli occhi. Le sopracciglia non sono ammesse.

Sulla taglia andrebbe forse avviato un discorso di revisione; infatti, una lunghezza leggermente maggiore, anche solo di mezzo centimetro, consentirebbe al Benacus di assumere un maggior volume corporeo soprattutto in corrispondenza delle spalle che appaiono spesso molto strette. Inoltre, e non sarebbe poco, lo differenzierebbe ancor più decisamente dal Gibber Italicus. Ma queste considerazioni vanno affidate alla CTNCFPA che è la depositaria dello Standard.

Nel ricordare che sarà possibile esporre Il Benacus, sia testa ciuffata e sia testa liscia, in tutte le mostre nazionali ed internazionali già dalla stagione 2023, concludiamo invitando gli allevatori di arricciati, sempre molto attenti alle novità, a valorizzare e diffondere questa nuova eccellenza dell’ornitologia italiana.

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Il giudice Vinattieri con l’ideatore della razza, Piero Peluso
Il piumaggio deve essere scarso ma non “ruvido” come quello di un Gibber. Anzi, pur essendo poco voluminoso, deve apparire composto e brillante

Aspetti e modalità del crescere

L’adolescenza non è nient’altro che un processo emozionante, interessantissimo e desiderabile; il processo attraverso cui si diventa maturi. Anche per i canarini specializzati nel canto.

Quali sono le normali e desiderabili trasformazioni che la bestiola dovrà subire durante questo processo di sviluppo?

In primo luogo, la crescita corporea che comporta la necessità di nutrirsi più abbondantemente di proteine, calcio, ferro e parecchi altri elementi e spesso è associata ad un appetito formidabile. Ma non tutti crescono alla stessa età o con le stesse proporzioni.

I giovani cantori che crescono senza diversità molto marcate non hanno problemi; ma anche gli altri, per la maggior parte, sono perfettamente normali.

Gli adolescenti si sviluppano anche sotto molti altri aspetti.

Il cuore e gli altri organi assumono proporzioni maggiori.

L’aspetto che riveste un’importanza più generale è il fatto che, in questo periodo, aumenta la resistenza a molti tipi di infezione. Le trasformazioni di carattere psicofisico che avvengono durante l’adolescenza non sono meno normali o auspicabili di quelle fisiologiche.

È naturale che l’adolescente cerchi in tutti i modi di rendersi indipendente, il che viene acquisito più facilmente da quei giovani che fin dalle prime esperienze sono stati indotti ad avere una certa fiducia in sé stessi.

Un altro processo di trasformazione –per noi il più importante – connesso all’adolescenza attiene al repertorio canoro (si faccia in modo che sin dai primi giorni di vita il futuro cantore abbia davanti a sé il buon esempio di consimili adulti da ammirare e imitare).

Già al momento della nascita il pullus ha una sua individualità, basata su una serie di differenze somato – biologiche.

La differenza esisterebbe anche se si trattasse di due gemelli, identici come due gocce d’acqua (ma non sono mai sopravvissuti – che io sappia – due nidiacei provenienti dallo stesso uovo).

L’unione di una madre e di un padre, provenienti da strade diverse, ci assicura che il figlio sarà simile in qualche cosa all’una, in qualche cosa all’altro, ma per molte cose differente da entrambi.

Se si riesce a guardare individualmente ciascuno di questi esserini, a riconoscere le sue differenze di temperamento e di sensibilità, a spianargli la strada ogni volta che è possibile e quindi lasciarlo da solo per svilupparsi a modo suo, gli si danno le migliori possibilità di uno sviluppo buono.

Non bisogna quindi temere le differenze fra soggetto e soggetto e bisogna incoraggiare con ogni mezzo l’individualità del canarinetto, permettendogli di diventare un adulto degno di avere un impronta differente da chiunque altro. Per molti anni ornitologi e ornicoltori hanno discusso se abbiano un influsso maggiore, sulla personalità del canarino specializzato nel canto, l’ereditarietà e l’ambiente. Oggi si è generalmente concordi nel ritenere che i caratteri di un cantore siano il prodotto dell’eredita-

18 NUMERO 3 - 2023 CANARINIDA CANTO
Si faccia in modo che sin dai primi giorni di vita il futuro cantore abbia davanti a sé il buon esempio di consimili adulti da ammirare e imitare

rietà e dell’ambiente combinati insieme.

Benché l’ereditarietà ponga dei limiti, il grado di sviluppo delle attitudini potenziali di ciascuno può essere accresciuto o diminuito da un lungo contatto con un determinato ambiente. L’alato giovane desideroso di apprendere, dotato di sensibilità indagatrice, emotivamente sicuro e fisicamente sano, impara meglio di un altro che non sia in possesso di queste qualità. Infatti il canarino “idoneo” trae dalle nuove esperienze benefici maggiori di quello che si trova in una condizione opposta. Possiamo dire che un soggetto è idoneo a nuove esperienze canore quando queste lo attraggono. I preparatori non devono aspettare passivamente che l’interesse dei canarini si risvegli da solo, ma possono fornire stimoli atti a svilupparlo.

Per assicurare, poi, ai nostri piccoli amici una buona salute mentale dobbiamo fare in modo che essi ricevano affetto, protezione, sicurezza e guida. L’imitazione dei modelli degli adulti è un aspetto importante dello sviluppo della personalità canora.

Il processo mediante il quale un piccino modella sé stesso sul comportamento di un adulto è detto “identificazione”.

La scuola è generalmente il banco di prova per un più sistematico avanzamento e affinamento in fatto di canto. Un certo numero di insuccessi scolastici deriva dall’inevitabile realtà delle differenze individuali: differenze di capacità, maturità, temperamento. Per contro, c’è il canarino dotato e pieno di talento (molto spesso bello anche fisicamente).

Può assurgere un genio del canto. “E nella sua canzone è la nostra pace”.

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Già al momento della nascita il pullus ha una sua individualità

Incoraggiare comportamenti naturali nei pappagalli

Ogni anno le prime covate della stagione sono attese con ansia. Alcuni gruppi di pappagalli hanno un lungo periodo di riposo, come i cacatua bianchi. Sebbene sia consigliabile che ai cacatua vengano forniti i nidi durante i primi mesi dell’anno, in modo che i maschi possano sincronizzarsi con le femmine al momento giusto, ci sono alcune coppie che, essendo già ben radicate, procedono ad incubare le prime uova prima della fine dell’inverno.

Nel caso dei cacatua bianchi, si consiglia di chiudere l’ingresso del nido con del legno tenero. Questo farà sì che il maschio, in particolare, inizi a lavorare per aprire completamente il buco, dando alla femmina il tempo di stimolarsi, a poco a poco, purché sia impegnata in questo lavoro e non lo persegua senza sosta, come accade quando i nidi vengono improvvisamente messi a disposizione della coppia.

I più attivi di questo gruppo di cacatua sono solitamente i Cacatua di Ducorps (Cacatua ducorpsii), che si caratterizzano per essere molto irrequieti nel periodo pre-riproduttivo. Infatti il loro comportamento può essere estremamente aggressivo in molti casi. Le femmine devono avere opzioni per nascondersi dal maschio e avere varie possibilità di alimentazione in luoghi diversi. L’energia di questa specie è sor-

(*)Direttore Scientifico Fondazione Loro Parque

prendente e vale la pena osservare le loro danze del corpo nella stagione degli amori.

Quest’anno è stata questa specie all’interno del gruppo dei cacatua ad avere il suo primo pulcino nei primi mesi del 2023. Questo è un buon segno dell’inizio della stagione anche per le altre specie vicine a questa voliera, in quanto la coppia emette segnali di allevamento al resto dei loro vicini.

C’è da aspettarsi che le prime uova della stagione siano sterili o che l’incubazione non funzioni perfettamente. Ma se gli uccelli sono ben preparati, un inizio di stagione con pulcini sani fin dalle prime covate indica buone prospettive.

Questo è un momento di corteggiamento tra coppie e anche di competizione tra gli uccelli, cosa molto impor-

tante da tenere a mente per chi li accudisce. Nel caso di giovani uccelli in aree comuni, sono molto frequenti in questo periodo simulazioni di corteggiamento e giochi simili a combattimenti tra loro. È importante incoraggiare questi comportamenti e non evitarli, soprattutto nei giovani uccelli: è il modo per loro di sviluppare il pieno potenziale di comportamenti naturali. Per i giovani uccelli, allevati negli anni precedenti, questa è la fase di apprendimento in cui iniziano a riconoscere la specie a cui appartengono e anche a capire le proprie reazioni. Un cacatua che cresce senza questa possibilità non avrà il giusto addestramento per potersi comportare correttamente nei confronti del suo compagno quando raggiungerà la maturità. Molti comportamenti aggressivi dei cacatua vengono

20 NUMERO 3 - 2023 ONDULATIEDALTRI PSITTACIFORMI
Cacatua bianchi in gruppo

evitati grazie alla preventiva crescita dei giovani messi in grado di poter con-

dividere la voliera con altri cacatua. Anche le aspettative di fertilità delle

prime covate nelle coppie appena formate miglioreranno notevolmente.

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Pullo di Cacatua di Ducorps Competizione tra Cacatua in fase giovanile

Il progetto “Cresciamo insieme” in Toscana

Nasce in Toscana una fattoria didattica tra le più grandi d’Italia: la fattoria “Cresciamo Insieme” tra le colline pisane che si snodano tra il padule di Fucecchio e la Lucchesia, precisamente ad Orentano, località già famosa per le creazioni dolciarie a base di bignè. Grazie all’impegno della Direzione del Centro RSA “Madonna del Rosario” e del suo direttore avv. Riccardo Novi, con un progetto specifico è stata realizzata una stupenda fattoria didattica immersa in un paesaggio suggestivo caratterizzato da molto verde ben curato. La fattoria è ubicata vicino alla grande struttura RSA che ospita circa 100 anziani in difficoltà ed è gestita dal Vaticano e disponibile per la fruibilità di molte persone provenienti, oltre che dalla Toscana, anche da diverse regioni. L’area di diversi ettari di superficie sia collinare che in pianura è suddivisa in vari comparti ben organizzati, strutturati in varie aree che ospitano moltissime specie di animali. Transenne in legno, recinzioni ben posizionate delimitano le zone con gli animali dai percorsi in sicurezza in legno, con pontili, contornati

da alberature, fiori, aiuole, gratinati in legno con rampicanti, corridoi ecologici a migliorare l’habitat e la biodiversità. Ad arricchire anche l’aspetto paesaggistico ed estetico, sono presenti anche fossati e laghetti, utili come habitat per molte specie di uccelli domestici ma frequentati in alcuni tratti aperti anche da numerosi animali selvatici che si soffermano in tale oasi. All’ingresso della fattoria è presente una voliera ad arco con alcuni colorati pappagalli ara, come a fornire un saluto di benvenuto ai visitatori. Proseguendo per

i verdi vialetti, si incontrano le ampie voliere con varie razze di galline, con varie specie di fagiani variopinti, con i pavoni e svariate tortore. Immergendosi all’interno, troviamo aree con le capre, le pecore che presentano mantelli diversi, poi si incontrano gli asini, i muli anche di razze in via di estinzione genetica; quindi, tale fattoria rappresenta anche un serbatoio di razze da preservare. Poi zebre, alpaca, dromedari, e le zone con i mufloni ed i cinghiali. Ma anche i maialini autoctoni, quelli vietnamiti e quelli della cinta senese con la caratteristica

NUMERO 3 - 2023 23 CRONACA
La voliera donata dalla F.O.I.
L’area di diversi ettari di superficie sia collinare che in pianura è suddivisa in vari comparti ben organizzati

banda nera sul corpo. Cavalli, pony, daini e altre decine e decine di specie che rappresentano la gioia degli anziani e dei numerosi ragazzi che, accompagnati dai familiari, visitano a

centinaia questo bellissimo ambiente e questi numerosi animali allevati con cura nel massimo rispetto del loro benessere.

Il Raggruppamento ornitologico della

Toscana, dopo aver visitato e tenuto rapporti con la direzione, ha pensato quindi di presentare al Consiglio Federale FOI uno specifico progetto di collaborazione che ha previsto l’acquisto di voliere di varie dimensioni, complete delle attrezzature interne (mangiatoie, abbeveratoi, nidi ecc.) che sono state donate e quindi ben collocate all’interno della fattoria. Insomma la FOI, presente anche con il Presidente Sposito e il segretario Nunziata all’inaugurazione, ha voluto compartecipare al progetto “Cresciamo Insieme” sin dalla creazione della fattoria, dimostrando la vicinanza del nostro movimento ai più deboli e ai giovani, in quanto il centro gestisce anche un asilo di ragazzi e si è convenzionato con il Comune per agevolare le visite a molte scolaresche del territorio, oltre ad essere

aperto alla popolazione. La fattoria dispone di un pulmino a batterie e scoperto, per le visite di anziani o giovani diversamente abili, e si rapporta con l’ospedale pisano e con la scuola superiore ed internazionale S. Anna per programmi di riabilitazione grazie alla pet therapy che qui viene svolta da esperti sanitari. L’area presenta per i visitatori anche le voliere arricchite di uccellini esotici, di pappagallini, di pavoni e di quaglie giapponesi, molto frequentate, fotografate ed apprezzate, grazie ai soggetti forniti dai nostri allevatori. Il centro ha anche un laghetto tutto contornato da rete, anche in copertura tipo tetto, dove diverse anatre come i germani, le mandarine, le anatre mute, le marzaiole con alcune oche e cigni, fanno da padrone e in apposite strutture in legno riescono a riprodursi con la gioia primaverile dei ragazzi e dei nonni.

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Alcuni animali della fattoria Un laghetto con uccelli nella fattoria didattica
L’area presenta per i visitatori anche le voliere arricchite di uccellini esotici

La fattoria presenta per tutti gli animali ricoveri come casette di legno, gazebi, cespugli, protezioni in cemento o pietre, dove nelle giornate peggiori e la notte le varie specie possono ripararsi. I percorsi e le aree sono corredate da specifici pannelli informativi sulle specie; il Raggruppamento toscano ha realizzato anche pannelli a carattere ornitologico con disegni, foto e notizie didattiche e divulgative per far conoscere al meglio il nostro movimento. In collaborazione con la direzione della fattoria, prevediamo di organizzare lezioni sul nostro mondo alato, esposizioni di rapaci, proiezioni di video sugli uccelli al fine di poter rappresentare al meglio le nostre attività e finalità, in quanto siamo convinti che il nostro movimento, oltre ad organizzare mostre, deve con iniziative come questa

Prevediamo di organizzare lezioni sul nostro mondo alato

entrare sempre maggiormente nel tessuto sociale globale. Tutte queste iniziative sono attivate altresì grazie alla collaborazione assidua di diversi volontari del nostro mondo FOI che fanno parte delle associazioni ornitologiche della Toscana, come ad esempio quelli dell’associazione pisana, in quanto la fattoria ricade nel loro comprensorio territoriale. Queste attività rappresentano la base per altre iniziative che sempre più entrano nel tessuto sociale, facendoci conoscere come federazione anche con lo scopo di aiutare i più deboli ed i più giovani, unitamente ad altri progetti di recupero e tutela degli uccelli al vaglio del Raggruppamento della Toscana. Del resto, i principi del terzo settore di cui la FOI fa parte ci indirizzano a fare azioni in tali comparti, in quanto la protezione degli uccelli rappresenta anche un fondamento principale del nostro statuto.

NUMERO 3 - 2023 25
La fattoria frequentata da molti ragazzi Voliera con pappagalli

(*)Tutte le foto inviate, anche quelle non pubblicate, rimarranno a disposizione della FOI a titolo gratuito e potranno essere utilizzate, senza alcun limite o vincolo temporale, per pubblicazioni, iniziative e scopi promozionali della Federazione

Questo mese, il protagonista di Photo Show è: PAOLO MAGNANI - RNA 851H con la fotografia che ritrae il soggetto “ibrido di Crociere fasciato x Ciuffolotta major” (foto di Domenico Cautillo) Complimenti dalla Redazione!

•Invitiamo tutti gli allevatori a inviare foto di soggetti provenienti dai propri allevamenti, con descrizione della specie, razza e mutazione, all’indirizzo: redazione@foi.it

•All’autore della foto mensilmente prescelta da un comitato interno, verrà offerto in omaggio un libro edito dalla FOI in base alla preferenza e alla disponibilità.

Canarino di Colore… in forma!

Rientro dalla visita a una Mostra Ornitologica: per noi allevatori ma soprattutto amanti e appassionati della riproduzione del canarino di colore è una vetrina di meraviglie e soggetti da memorizzare, una vera lezione, importante aggiornamento sui tipi allevati e non, utile revisione e incremento del proprio bagaglio conoscitivo.

Ritengo di paragonare la visita di una Mostra con lo splendore di una vetrina di oreficeria dove regnano arte, bellezza e valore.

Nella mostra ornitologica sezione Canarini di Colore ci sono centinaia di tipi esposti nelle diverse categorie e varietà, tutti splendidi, frutto dell’impegno individuale dell’allevatore che espone, certamente, il miglior risultato ottenuto.

Oggi la mia attenzione è concentrata a vedere i soggetti esposti analizzando la forma e le conseguenti proporzioni che applico a ogni singolo esemplare; qui mi devo adeguare a confrontare un’enormità di taglie diverse per ogni tipo, frutto di una somma di fattori in base a una variabilità normale e inevitabile. La variabilità spesso è condizionata dal piumaggio che influenza in molteplici modi il risultato delle dimensioni del soggetto.

Sarebbe facile applicare le misure standard per tutti come avviene per altri animali, ad esempio come nel cane o nel gatto; si prende un metro e si rilevano le misure dell’animale: tanti centimetri la testa, tanti per la lunghezza totale e tante altre misu-

razioni da riportare sulla figura che combina con lo standard.

Nei primi anni che allevavo canarini fui “fulminato” da un disegno fatto da un conoscente, anche lui appassionato, scaturito da un suo pensiero e dalla consultazione di libri, che riportava a una bella figura del canarino di colore, perché al tempo di canarini bellissimi, come oggigiorno, ne vedevo veramente pochi, special-

NUMERO 3 - 2023 29 CANARINIDI COLORE
Brinato giallo, foto: E. del Pozzo
Ritengo di paragonare la visita di una Mostra con lo splendore di una vetrina di oreficeria dove regnano arte, bellezza e valore

mente i melanici rispecchiavano una forma che il più delle persone paragonava a un passerotto. Non era difficile che ti domandassero: “Quel passero lì che incrocio è?” seppur il tipo, la varietà e dimensioni fossero ben diverse e riconoscibili.

Quindi avere un disegno, con riportate misure, che concretizzi la forma e le dimensioni corrette di un canarino di colore è indispensabile e la pubblicazione sui criteri di giudizio di un canarino con misure indicative dello standard è stata la soluzione di tante discussioni.

Quando partecipai a una lezione del Prof. Zingoni che trattava le dimensioni dei canarini, lo stesso sottolineò l’importanza del piumaggio e soprattutto delle dimensioni delle timoniere (coda) che, se sono un po’ più lunghe, aumentano la taglia. Ci fece partecipi del fatto che se le penne della coda vengono totalmente asportate, si modifica la taglia; inoltre, se il soggetto viene totalmente bagnato si riducono ulteriormente le dimensioni, cosicché, oltre alla struttura della corporatura, il piumaggio fa la forma e le proporzioni del canarino.

Ora ritorno a far mente locale sulle dimensioni dei soggetti esposti in una mostra; tralascio volutamente di fare analisi paragoni o descrizioni di misure dei melanici, perché ci sono evidenti differenze di proporzioni anche fra questi tipi, come anche tra maschio e femmina o tra intenso e brinato, e perché ci sono dei tipi che si presentano con misure differenti dallo standard, compresa la forma tra tipo e tipo, solo perché è più evidente nei lipocromici, sempre restando che questa mia osservazione può essere applicata indistintamente a tutti i canarini di colore.

Avere una misura fissa dello standard

del canarino di colore è probabilmente impossibile, ma la figura di riferimento con indicazioni di minima o di massima dimensione rientra nelle necessità indispensabili dell’allevatore che si deve riferire alle descrizioni e al disegno del libro dei Criteri di Giudizio, unica opportunità di confronto tra i soggetti del proprio allevamento con la realtà della figura standard.

Ritengo inutile sentir dire: “Guarda che bel canarino” se non si avvicina o rientra nella forma e nelle dimensioni dello standard; può essere troppo grande (belloccio), generale tendenza, o piccolo (minuto); allora al piccolino manca la proporzione per essere un bel canarino.

L’analisi visiva della morfologia porta immediatamente a esaminare il profilo, il formato (dicasi misura), l’armonia di conformazione che, se presente, conferisce al soggetto una bellezza che lo rende ben proporzionato nelle diverse forme del corpo che si trovano in perfetto equilibrio (verificare per esempio: se il soggetto è magro, ha le zampe lunghe, forma grossolana, ecc.)

Prima di esporre un mio confronto, rileggo le caratteristiche descritte nel libro dei Criteri di Giudizio della CTN Canarini di Colore che indica la Lunghezza, o dicasi Taglia, la Testa comprendente il becco, gli occhi e il collo, il Dorso comprendente le ali, il Petto, il Tronco, la Coda, gli Arti inferiori comprese le dita.

Di seguito la descrizione dei difetti che possono esprimere i soggetti che sono esposti per essere giudicati. Riferisco le mie impressioni sui canarini lipocromici esposti tenendo a mente la differenza tra un soggetto con piumaggio intenso e un soggetto con piumaggio brinato che, come dice G. Canali nel suo libro dedicato ai canarini di colore, è la prima differenza che salta all’occhio.

Sono particolarmente attratto dai canarini lipocromici mosaico; qui veramente si può affondare l’occhio nella gabbia perché si esalta immediatamente la differenza morfologica del maschio e della femmina.

Il maschio mosaico esprime una cor-

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Bianco,
foto: A.J. Sanz
L’analisi visiva della morfologia porta immediatamente a esaminare il profilo, il formato (dicasi misura), l’armonia di conformazione

poratura e la forma in toto robusta con tutte le dimensioni che raggiungono il massimo consentito: lunghezza che si avvicina ai 14 cm; testa ben rotonda, importante, con becco proporzionato piccolo, occhio evidente, con collo che stacca la testa dal corpo; dorso ben formato senza insellature o gobbe; petto piuttosto imponente, così come tutto il tronco che corrisponde al soggetto; zampe di giusta proporzione e il piede prensile. Può apparire come una descrizione esagerata ma, un tempo, un allevatore di canarini mosaico mi confidò, a proposito di un canarino lipocromico mosaico maschio, che se un canarino mosaico si presenta fiero e forte, corpo con manto bianco gessoso con la categoria e la colorazione di giusta tonalità ed espressione, è un soggetto vincente. Non può essere altrimenti, questo vale un po’ per tutti i canarini di colore anche intensi o brinati, ma nel mosaico vi è

una maggiore esaltazione di queste caratteristiche.

La femmina lipocromica mosaico ha la selezione destinata ad avere un’espressione diversa secondo la linea selettiva; per rispettare lo standard di femmina mosaico, ha una proporzione e una forma che rasentano le dimensioni richieste.

La femmina mosaico che si presenta tipica per la categoria ha una corporatura più piccola, la testa un po’ pic-

cola poco rotondeggiante anche se il collo è proporzionato, il dorso e il corpo tendenzialmente piccoli, le zampe non lunghe; le dimensioni in totale raggiungono appena i 13 cm. Questi soggetti selezionati per avere le qualità del piumaggio corto e bianco gessoso, hanno la categoria ristretta esaltata solo nei punti di elezione, anche se la varietà del lipocromo è ottima.

Non è difficile confrontare la corporatura tra maschio mosaico tipico e femmina mosaico tipica.

Poi ci sono le femmine mosaico selezionate come incremento alla categoria del maschio mosaico che hanno la corporatura più robusta e una forma che si avvicina al maschio mosaico; questi soggetti sono esposti quasi esclusivamente nelle rispettive categorie al Club del Mosaico, ad esempio nella mostra di Faenza (ora a Cesena, ndr), solo perché non c’è la categoria a concorso nelle mostre or-

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Mosaico rosso maschio foto: A. J. Sanz Mosaico giallo maschio, foto: E. del Pozzo
La femmina lipocromica mosaico ha la selezione destinata ad avere un’espressione diversa secondo la linea selettiva

nitologiche. Interessante vedere e confrontare maschi linea femminile e femmine linea maschile. Riassumendo, il mosaico lipocromico dà l’effettivo riferimento per confrontare le diverse corporature, dimensioni e misure che variano nell’esposizione dei canarini di colore di tutti i tipi e categorie. Anche la varietà può interferire, visualmente, sulle reali dimensioni del soggetto.

Da diversi anni c’è un aspetto del canarino di colore che sta cambiando, per scelta degli allevatori che perseguono una certa selezione di soggetti con una testa rotondeggiante tendente al grande: corporatura regolare e testa importante con posizione sul bastoncino protesa verso l’alto, specialmente nel bianco recessivo.

Penso, personalmente, che sia una scelta di tendenza per allevare soggetti molto vistosi che poi sono richiesti dal mercato; un soggetto con selezione spinta in certe direzioni fa richiesta e, quindi, mercato.

Questa nuova espressione, come detto, si vede più spesso nei lipocromici bianchi; è applicata anche nei lipocromici rossi, più nel brinato che nell’intenso, perché l’intenso ha una struttura del corpo e della testa inferiore e in questi soggetti si nota meno: pur rispettando le dimensioni (dicasi taglia e misure) dello standard dettato dalla CTN nel libro dei criteri di giudizio, questi soggetti richiamano immediatamente l’attenzione verso la testa che è notevolmente tonda e larga, difficile stabilire se adeguata al corpo.

Ho visto dei gatti che vengono selezionati per l’importanza della testa: bene, ma questi animali hanno uno standard che richiede una testa grossa (forse non c’è ancora uno standard che preveda un canarino di colore con “testa grossa”, ma non mettiamo limiti al futuro).

Tornando nella mostra, mi viene da affermare che i canarini di colore allevati in questi tempi moderni propongano certamente un fortissimo miglioramento in tutto. Bellissimi canarini, tipi melanici inaspettati e fino a pochi anni addietro impensabili, che ti stimolano a intraprenderne l’allevamento, che è difficile, colmo di sacrifici, di delusioni ma anche di soddisfazioni.

Buone cove a tutti!

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Mosaico rosso avorio femmina,foto: A. J. Sanz Intenso rosso, foto: E. del Pozzo
C’è un aspetto del canarino di colore che sta cambiando, per scelta degli allevatori che perseguono una certa selezione di soggetti con una testa rotondeggiante tendente al grande

Quando la realtà supera la fantasia

Prefazione

Il crociere è senza ombra di dubbio un ospite indiscusso delle nostre montagne; il suo habitat è costruito prevalentemente da boschi di abete rosso con un’altitudine variabile tra i 1000 ed i 1900 metri sul livello del mare.

La specie è stata ampiamente descritta e si evidenzia per le ali lunghe ed affusolate che fanno di lui un ottimo volatore; inoltre, è dotato di zampe corte e robuste che gli permettono un’ottima presa in ogni situazione, in special modo sulle preziose pigne delle conifere, cosa che gli consente di restare saldamente ancorato a quest’ultime così da poter estrarne il prezioso contenuto, anche a testa in giù.

Quello tra il crociere e l’abete rosso è un legame simbiotico; infatti, i suoi spostamenti, riproduttivi e non, sono legati alla maturazione delle pigne della Picea abies, in special modo nel periodo estivo quando i coni dell’anno precedente stanno per terminare e si stanno formando le nuove pigne.

Negli anni in cui le pigne prodotte dall’abete rosso sono scarse e le popola-

zioni di Loxia curvirostra particolarmente abbondanti, queste ultime lasciano la taiga in gran numero e appaiono come migranti occasionali invadendo l’Europa sud-occidentale.

I recuperi di uccelli inanellati, principalmente in Germania, confermano che questi ultimi non fanno ritorno nelle foreste della Russia settentrionale nello stesso anno solare, ma soltanto l’anno successivo, quando un nuovo raccolto

di abete rosso sarà nuovamente disponibile.

Dai centri di recupero ed inanellamento abbiamo potuto apprendere che alcuni esemplari hanno scelto siti di nidificazione molto lontani da dove sono nati, con un record di 2950 km di distanza; i crocieri legano il loro periodo riproduttivo alla maturazione delle pigne e questo li differenzia dalla maggior parte degli uccelli delle zone temperate che

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Splendido disegno dorsale dell'ibrido in oggetto
Quello tra il crociere e l’abete rosso è un legame simbiotico; i suoi spostamenti, riproduttivi e non, sono legati alla maturazione delle pigne

utilizzano il fotoperiodo e segnali supplementari (ad esempio, temperatura, approvvigionamento alimentare ecc.) per i cambiamenti temporali nella fisiologia riproduttiva e nel comportamento.

Il Crociere in ambiente domestico Da alcuni anni il genere Loxia sta riscuotendo, da parte degli allevatori, parecchio interesse. Le ragioni sono molteplici, sicuramente da attribuire al carattere confidente che gli uccelli manifestano, nonché alla particolare forma del becco che li rende accattivanti; inoltre, va anche considerata la relativa predisposizione della specie a riprodursi in ambiente domestico.

Poche semplici regole hanno garantito il successo riproduttivo.

Durante la stagione di riposo è consigliato fornire ai crocieri un misto “povero” così composto: 50% di misto per canarini e l’altro 50% sarà un misto per verdoni-ciuffolotti. Quando disponibili, è bene somministrare le pigne sia di abete rosso che di pino mugo, non tanto come fattore alimentare, ma per gioco e movimento: è uno spettacolo vederli intenti ad aprirle per estrarne il prezioso contenuto.

Nel delicato periodo della muta è possibile fornire loro un pastone morbido con aggiunta di colorante gradito dalla maggior parte dei soggetti, che permet-

terà loro di ottenere una splendida livrea rossa.

La frutta e la verdura non sempre sono gradite, mentre sono particolarmente ghiotti di girasole immaturo che è possibile fornire loro dal mese di giugno fino ad agosto inoltrato.

Dalla fine del mese di novembre, per preparare i soggetti alla successiva stagione riproduttiva, si può aumentare gradatamente la quantità di semi delle conifere e ridurre la miscela di mantenimento. Non essendo una specie che lega la stagione riproduttiva al fotoperiodo, in ambiente controllato, quando si decide che è il momento giusto per la riproduzione, basta togliere completamente la comune miscela e lasciare a loro disposizione soltanto un misto composto in prevalenza da abete rosso e larice (va bene anche il miscuglio per crociere ai fini della riproduzione commercializzato da alcune ditte). Oltre a quanto appena dichiarato, è possibile integrare il tutto con pinoli sgusciati ad uso pasticceria (esistono in commercio confezioni da 1 kg a prezzi contenuti): si può iniziare fornendone 10/15 per coppia al giorno e la quantità aumenterà alla nascita dei piccoli; quando disponibili, anche le pigne sono molto gradite. Ogni coppia potrebbe avere un differente ciclo riproduttivo, ad esempio in caso di coppie assortite con soggetti del continente

africano (Serinus/Crithagra) e fringillidi europei; pertanto, con un’attenta osservazione e con questo piccolo escamotage è possibile gestire il ciclo riproduttivo, giocando sull’inizio della somministrazione dei semi di conifera.

Con l’aumento di ceppi sempre più consolidati si è notato che il genere Loxia è molto meno soggetto a turbe intestinali o a problemi respiratori che spesso colpiscono, invece, ciuffolotti, lucherini ed alcuni carpodachi asiatici.

Chi decidesse di allevarli dovrà ricordare di non tenerli in ambienti eccessivamente caldi; questa specie mal sopporta la calura estiva, pertanto, soprattutto in questo periodo, andranno aiutati fornendo loro vaschette per le abluzioni giornaliere.

Il Crociere in ibridazione

Con il passare degli anni e la presenza di ceppi sempre più “domestici” si è scoperto che le femmine possono essere considerate compagne ideali per qualsiasi fringillide, sia esso indigeno che esotico, sia a lipocromo giallo oppure rosso.

Questo ci ha permesso in appena una decina di anni di poter ammirare ibridi con la maggior parte dei fringillidi comunemente allevati in ambiente domestico; fino a poco tempo fa questa particolarità era riscontrata solamente in

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Visione fron
tale dell'ibridoLa coppia che ha prodotto l'ibrido

un’altra specie, quella del carpodaco Messicano (Haemorhous mexicanus). Questo particolare, per nulla irrilevante, ci fa supporre che ci troviamo di fronte a due specie che potremmo definire l’anello di congiunzione tra tutti i fringillidi.

Osservando attentamente gli ibridi realizzati con i Loxia noteremo che questo genere trasmette alla prole una forma arrotondata inconfondibile ed il becco è più o meno arcuato.

Agli inizi degli anni ‘90 i soggetti con parentale Loxia erano merce rara ed erano sempre molto ammirati ed apprezzati; come non ricordare la femmina ibrida con il cardinalino del Venezuela che si aggiudicò ben 94 punti (punteggio veramente “importante” in quegli anni) di Giampaolo Consonni? Fu poi la volta di quelli con il canarino del Mozambico dell’amico Carmine Bloisi e di Consonni, appunto, e di quello con il verzellino di Paolino Archetti e via via via molti altri. Ad oggi sono veramente pochi i fringillidi non ancora utilizzati in questa ibridazione; personalmente non ho mai ammirato quello con il venturone ed il Loxia curvirostra, anche se ad onor del vero uno splendido maschio ibrido tra il Carduelis citrinellacorsicana ed il Loxia curvirostra himalayensis si aggiudicò il titolo di Campione Italiano ad Ercolano nel 2016.

Sicuramente un superibrido inedito sarebbe quello con il verzellino fronterossa.

Anche le altre specie o sottospecie comunemente allevate di questo genere (fasciato, Himalaya e pinete) hanno dato origine a diversi ibridi realizzati da grandi allevatori come Mauro Bagiolo e l’inarrivabile Patrizio Salandi.

Canarino a fenotipo mutato x Crociere

Ogni anno mi capita di visitare diverse mostre, alcune in veste di giudice, altre come semplice appassionato e gli ibridi sono i primi che osservo, visto che mi affascinano da sempre.

Quest’anno alla mostra di Riva del Garda ho ammirato un soggetto, a mio modo di vedere, strepitoso realizzato da Andrea Salvaterra: canarino satiné x crociere.

Alcuni giorni dopo il giudizio ho contat-

tato l’allevatore, che si è dimostrato subito molto disponibile ed ha deciso di raccontarci come è riuscito a realizzare questo splendido soggetto.

- “Mi sono avvicinato al mondo dell’ornitologia grazie al nonno paterno che aveva una grande passione per il mondo alato che spaziava dalle cinciarelle ai fagiani, passando per una miriade di razze.

Ho sempre allevato fin dalla giovane età ma la svolta l’ho avuta con la conoscenza di Tullio Frisinghelli da cui ho imparato l’arte dell’ibridologia, poi è venuto da sé iscrivermi all’Associazione Ornitologica Trentina e affinare le varie tecniche tra cui l’alimentazione, la cura dei soggetti nelle varie fasi dell’anno e la pulizia dell’aviario.

Grazie a diverse letture in materia, ricerche su internet e scambi di opinioni con tutti gli associati, anno dopo anno il mio bagaglio di esperienze e conoscenze è aumentato sempre più.

Allevo esclusivamente ibridi tra diverse specie di fringillidi, o quelli con il parentale canarino; mi piace sperimentare, creare uccellini unici che in natura non esisterebbero e sono fermamente convinto che gli ibridisti siano dei gran so-

gnatori…

Il mio allevamento è composto da una ventina di gabbie da 90/120 cm e da una voliera in giardino dove far riposare i riproduttori e/o chi ha fatto la stagione mostre; il mio locale d’allevamento è composto da una stanza adiacente al garage con luce naturale ed artificiale, con una finestra ed una portafinestra priva di vetri; anche se vivo in Trentino, ritengo che gli uccellini debbano vivere appieno tutte le stagioni dell’anno, sia quelle calde che quelle fredde.

Alimento tutti gli uccelli con un miscuglio per canarini con perilla che integro con un buon misto per fringillidi.

Ho la fortuna di vivere in mezzo alla natura, quindi utilizzo molte erbe prative (centocchio, dente di leone, erba vetriola, spinaci selvatici, semi di betulla ed ontano…), spighe di piantaggine e portulaca; inoltre, peperoncini per uccelli a fattore rosso oltre a frutta e verdura mista del mio orto.

Uova sode e piselli da gennaio non mancano mai ed aumento progressivamente la luce fino ad arrivare a 15/16 ore. Per i crocieri, dal mese di novembre inizio ad aumentare il misto a loro de-

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L'ibrido a pochi giorni di vita

dicato ed i pinoli; inoltre, sulle mie montagne non manco mai di raccogliere pigne di abete rosso, pino mugo ed ogni tipo di leccornia.

Nelle gabbie inserisco spesso rami di abete che risulta un utile anti stress e passatempo; inoltre, la resina che fuoriesce quando vengono staccati gli aghi è gradita ed è ricca di proprietà antiossidanti, ottima per le vie aeree. Alla fine dell’autunno, appena terminate le mostre, vado a formare le coppie.

La coppia che ha dato origine all’ibrido descritto nell’articolo era stata alloggiata in una gabbia da 120 cm ben infrascata con rami di “sempreverde” di ogni tipo. Verso febbraio ho posto in un angolo tranquillo un portanido in plastica con all’interno un nido del commercio in fibre di cocco che poi la femmina ha foderato con juta, cotone e sfilacci di giornale che utilizzo sul fondo delle gabbie.

Il canarino, uno splendido maschio satiné, aveva mangiato per mesi pinoli e semi di abete, era in gran forma e già la prima covata presentava due uova feconde su cinque; non pensando di essere così fortunato, non mi preoccupai di rimuovere le uova deposte e il risultato fu che tra un pullus e l’altro vi era una diversità di 3 giorni, così purtroppo il più piccolo dopo alcuni giorni perì. Non avendo ancora balie pronte all’uso lasciai il compito dello svezzamento del piccolo rimasto (una femmina satiné) alla femmina di crociere, che si comportò in maniera egregia.

In seguito la femmina avrebbe deposto per altre due volte e con alterna fortuna; con le balie, sono riuscito a svezzare altri due piccoli: un maschio ancestrale ed un’altra femmina mutata, sempre satiné.

Come avevo già accennato in precedenza, gli ibridisti sono dei grandi sognatori e nel cassetto ho un sogno quasi realizzato, (quasi): sono due anni che ho una coppia formata da un carpodaco ed una femmina di fringuello che in tre diverse covate ha deposto tre uova che si sono rivelate feconde, ma gli embrioni sono sempre morti a circa 7/8 giorni. Spero che il 2023 possa essere un anno più fortunato e siccome la fantasia non ha limiti mi auguro di realizzare ibridi con specie che non ho mai posseduto, come ad esempio il canarino del Mozambico, il venturone e soprattutto il negrito… infatti, negrito x cardellino rimane uno dei miei sogni”.

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Nelle gabbie inserisco spesso rami di abete che risulta un utile anti stress e passatempo

Un futuro mondo senza uccelli?

Da un recente e autorevole studio intitolato “State of the world birds” è emerso che quasi la metà di tutte le specie di uccelli è in forte declino, con più di una su 8 a rischio di estinzione a causa dell’espansione e intensificazione dell’agricoltura, dei cambiamenti climatici e della deforestazione.

Gli uccelli sono i barometri della salute del nostro caro Pianeta e ci informano sullo stato della natura, sulle pressioni esercitate su di essa, ma anche fortunatamente sulle soluzioni esistenti e su quelle necessarie. I dati dello studio citato rappresentano un quadro decisamente preoccupante, quasi la metà delle specie di uccelli nel mondo è in declino mentre solo il 6% è in aumento. Questo declino si sta verificando in tutto il mondo. Ad esempio si stima che nel lontano Giappone le specie tipiche delle foreste e delle zone umide siano diminuite del 94%, mentre in Africa, e precisamente in Kenia, le popolazioni delle specie di rapaci sono diminuite di quasi tre quarti dal 1970. Lucy Haskell, responsabile scientifico e autrice principale del citato studio afferma che abbiamo già perso oltre 160 specie di uccelli negli ultimi 500 anni e che il tasso di estinzione sta accelerando. Secondo Haskell le pressioni che causano questi cali sono ben conosciute e riconducibili per lo più alle attività umane. In particolare, l’espansione e l’intensificazione dell’agricoltura sono la principale minaccia per gli uccelli del mondo e riguardano il 73% di tutte le specie minacciate.

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Cardellino

L’aumento della meccanizzazione, l’uso di prodotti agrochimici e la trasformazione dei pascoli in terreni coltivati hanno causato in Europa un declino del 57% degli uccelli degli habitat agricoli dal 1980. In Etiopia, ad esempio, la perdita di prati e pascoli a favore dei terreni agricoli ha causato dal 2007 una diminuzione dell’80% del numero di allodola libica, una specie endemica che non si trova in nessun

altro luogo del nostro Pianeta, della quale rimangono soltanto una cinquantina di coppie limitate a due soli territori; si teme che questa situazione possa diventare il primo esempio di estinzione di uccelli in Africa nei tempi moderni. Anche il disboscamento e la gestione forestale non sostenibile rappresentano un’altra significativa minaccia. Ogni anno scompaiono oltre 7 milioni

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Averla capirossa specie a rischio di estinzione in Sardegna Sterpazzola di Sardegna Occhiocotto

di ettari di foresta, con un impatto su quasi la metà delle specie di uccelli minacciate nel mondo. Particolarmente colpite sono le specie che dipendono da grandi alberi secolari, come l’aquila arpia (Harpia harpiyja), il rapace più grande e potente del mondo. Vive nelle foreste pluviali del Sud America, nidifica sugli alberi secolari che sono quelli presi più di mira dal disboscamento. Preoccupante è

anche l’impatto considerevole che viene dai cambiamenti climatici che stanno colpendo il 34% delle specie minacciate con tempeste senza precedenti, devastanti incendi e prolungate siccità, e con la tendenza all’intensificazione di questi fenomeni. Oltre a queste minacce, devono essere citate anche le catture accessorie della pesca, lo sfruttamento eccessivo e le specie invasive che storicamente

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Verdone Luì piccolo Magnanina sarda

sono state la principale causa di estinzione degli uccelli e continuano tuttora a guidarne il declino. Complessivamente sono 1.409 le specie di uccelli che vengono considerate minacciate, di cui 755 vulnerabili, 423 in pericolo e 231 in pericolo di estinzione. Per fortuna questi nostri amati animali ci indicano anche quali azioni sono necessarie per aiutare la natura a riprendersi, e ci dimostrano che le azioni di conservazione funzionano. Con il nostro piccolo e grande impegno quotidiano alimentato dalla nostra pas-

sione in linea con il nostro credo di “Allevare è Proteggere”, molti esempi di specie di uccelli sono fino ad ora state salvate dall’estinzione. Anche se la recente pandemia di Covid e l’aumento generale del costo della vita hanno indubbiamente distolto l’attenzione dalle tematiche ambientali, la società globale deve rimanere concentrata sulla crisi della biodiversità. La soluzione più importante per la maggior parte delle specie minacciate è la salvaguardia e la protezione di siti importanti per la natura, il ripristino

degli ecosistemi danneggiati, la lotta alle principali minacce per gli uccelli e la biodiversità. Una delle azioni più urgenti è la conservazione, la salvaguardia e la gestione efficace dei siti più critici da cui dipendono gli uccelli e la biodiversità. Nello studio “State of the world birds” vengono elencate oltre 13.600 aree chiave ritenute di fondamentale importanza per la biodiversità e che sono state sempre più utilizzate per la designazione di aree protette. Oltre a ciò, per molte specie minacciate è fondamentale affrontare l’eradicazione delle specie invasive; gli uccelli dimostrano che stiamo vivendo una crisi di estinzione, con almeno 187 specie confermate di essersi estinte dal 1500. Tra qualche anno, senza adeguate politiche di tutelae conservazione, anche l’ambiente naturale della mia terra, la Sardegna, potrebbe dire addio definitivamente a oltre 10 specie di uccelli, animali appartenenti all’avifauna sarda che hanno visto peggiorare, rispetto al 2013, il proprio status che da vulnerabile è passato a “Endangered”, ovvero ufficialmente in via di estinzione. Queste specie sono: l’averla cenerina, la beccaccia di mare, il cormorano, il falco pescatore, la berta minore, la magnanina sarda, il martin pescatore, il passero solitario, l’uccello delle tempeste, la raganella tirrenica, l’averla capirossa, l’astore sardo, il gipeto, la gallina prataiola. Attualmente in Italia sono istituiti 24 Parchi Nazionali, 146 Parchi Regionali, 147 Riserve Naturali Statali e 32 Aree Marine Protette. Se diamo alla natura una possibilità, essa può riprendersi, i nostri Governi devono però questa volta riuscire dove in precedenza hanno fallito, traducendo le loro promesse in azioni concrete. Il nostro futuro, e quello degli uccelli del mondo, dipende da questo. Noi abbiamo creato questa emergenza, ma abbiamo anche il potere di risolverla. Solo noi abbiamo gli strumenti per poter fermare l’estinzione degli uccelli, e dobbiamo agire adesso. Ognuno può fare la differenza, ogni cambiamento, per quanto piccolo possa sembrare, può davvero aiutare l’intero ecosistema e proteggere non solo i nostri amati animali, ma anche noi stessi.

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Passero comune

La rondine, il cardellino e il rigogolo nelle opere del pittore Carlo Crivelli

(1430/35 - 1494/95)

Seconda parte

Un altro dipinto col cardellino si trova nel Metropolitan Museum of Art di New York ed è noto con l’ “originale” nome di “Madonna col Bambino” (1482?). In questa opera l’uccello è fortemente trattenuto con entrambe le mani da Gesù: il vigore del gesto sembra rafforzato dalla spinta verso il petto e dall’estendersi delle ali, che appare quasi un’espressione di resa da parte del cardellino o, per converso, una sorta di abbraccio riconoscente.

Un’altra caratteristica dell’opera è costituita dalla presenza di una gigantesca mosca, la quale riflette la sua ombra sul parapetto. Parimenti su questo inserto visivo le interpretazioni non sono state univoche.

Sin dall’antichità tale insetto, insieme al topo, era infatti considerato un possibile vettore di pericolose zoonosi: non sorprende quindi se rappresentò la futilità, il male, il peccato e il demonio stesso, quest’ultimo noto pure con l’appel-

A lato: C. Crivelli, Madonna col bambino,1482(?). Tempera su tavola, cm 36,5 x23,5, Metropolitan Museum of Art, New York. Fonte iconografica: Zampetti 1997

Sotto: Bambin Gesù che abbraccia o trattiene un cardellino (si noti la mosca). Particolare della Madonna col Bambino

NUMERO 3 - 2023 41 DIDATTICA & CULTURA
testo di IVANO MORTARUOLO, foto AUTORIVARI

lativo di belzebù (la cui chiave etimologica è costituita anche dal termine ebraico beelzebub, ovvero “signore delle mosche”). Mentre in altri contesti l’assidua e tormentosa presenza della mosca è stata perfino associata alla passione di Cristo.

Il Crivelli propone la raffigurazione di una mosca pure in altre opere, seguendo così un orientamento pittorico che si era diffuso pressoché simultaneamente nelle Fiandre, Germania e Italia, dal 1450 al 1515, e interessando opere devozionali di vario ar-

gomento. Si è inoltre ritenuto che l’insetto potrebbe spogliarsi della sua valenza simbolica e costituire un mero artificio, un’espressione delle capacità mimetiche dell’artista che sa anche creare suggestivi e inquietanti trompe-l’oeil: in altre parole, potrebbe ritenersi una presenza “arbitraria” in seno al contesto dell’opera (Golsenne, 2017).

Volgendo poi un fugace sguardo alla Madonna, risulta evidente che le sue mani hanno dita lunghe e anche “appuntite”. Questa peculiarità viene dall’artista proposta costantemente, soprattutto nei vari personaggi femminili; spesso non limitandosi alla mera rappresentazione passiva, ma conferendo alle dita varie posizioni che sanno trasmettere un linguaggio non verbale di indubbio interesse. È pertanto ipotizzabile che l’autore conoscesse quelli che erano i principi della “retorica gestuale” e la straordinaria capacità comunicativa delle mani, spingendosi anche a rappresentarle in una sorta di peculiare e in-

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C. Crivelli, Il beato Gabriele Ferretti in estasi, 1489 (?). Tempera e olio su tavola, cm 141x87, National Gallery di Londra. Fonte iconografica: Zampetti 1997 Cardellino e festone di mele. Particolare de Il beato Gabriele Ferretti in estasi Femmina di germano reale con piccolo. Particolare de Il beato Gabriele Ferretti in estasi

quietante “groviglio” di dita nell’opera “Pietà” (Pinacoteca Vaticana - Roma) e “La Pietà” (Pinacoteca di Brera - Milano).

Un altro dipinto molto interessante, anche dal punto di vista ornitologico, è “Il Beato Gabriele Ferretti in estasi”(1489?), attualmente conservato presso la National Gallery di Londra

Gabriele Ferretti (1385-1456) apparteneva a una nobile e potente famiglia anconetana, ma non ebbe alcuna esitazione ad abbandonare tale condizione di privilegio ed entrare, a diciotto anni, nell’Ordine francescano dei Frati Minori presso la Chiesa di S. Francesco ad Alto. Condusse così una vita religiosa esemplare, gli vennero attribuiti vari miracoli e nel 1753 fu proclamato beato. Nel dipinto, molto verosimilmente commissionato al Crivelli dal nipote Bernardino Ferretti, il pio frate è inginocchiato e, mentre è raccolto in preghiera, ha una visione della Vergine con Gesù Bambino. Poco distante e sempre in alto, un cardellino sta appollaiato sul ramo di un albero spoglio, ma, essendo raffigurato da dietro, la sua attenzione sembra rivolta altrove, la sua presenza appare occasionale, quasi un dettaglio esornativo utilizzato per riempire parzial-

Dall’alto: Piccione, gabbietta con cardellino e pavone (si osservi tra l’altro il prezioso tappeto orientale, espressione di status sociale: in questa opera ne sono raffigurati tre). Particolare dell’Annunciazione

mente il vuoto antistante all’immagine divina. Questa potrebbe essere l’interpretazione suggerita da un esame prima facie. Tuttavia, una valutazione più attenta fa sorgere la domanda sul perché Crivelli abbia raffigurato proprio il cardellino e non un altro passeriforme. Una possibile risposta potrebbe essere ricercata nel fatto che il volatile, anche se apparentemente ignaro degli eventi narrati nella scena, è pur presente e

può esprimere la sua valenza simbolica. L’autore ci proporrebbe, quindi, una presenza-assenza interessante e soprattutto originale.

Nella parte opposta all’immagine della Madonna col Bambino, vale a dire in basso a sinistra, meno luminosa e quasi mimetizzata, vi è una femmina di Germano reale domestico (Anas platyrhynchos) con il suo piccolo, entrambi immersi nell’acqua. Le due rappresentazioni, quella divina e

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C. Crivelli, Annunciazione, 1486. Tempera e olio su legno, cm 207x146, National Gallery di Londra. Fonte iconografica: Zampetti 1997

quella animale, pur differendo enormemente per la loro natura e per la collocazione nel quadro (una nel cielo nuvoloso ma che si fa chiaro sullo sfondo e l’altra galleggiando in un’acqua oscura che però è in grado di riflettere l’immagine), sembrano esprimere un’unica realtà: l’amore di una madre per il proprio figlio!

Un ulteriore riferimento ornitologico viene proposto sullo sfondo, dove volano in formazione degli uccelli migratori, appena accennati.

L’opera che segue è più grande, complessa e ricca di riferimenti che attengono al mondo alato. Il titolo è L’Annunciazione ed è custodita presso la National Gallerydi Londra.

In alto, a sinistra del dipinto, vi è rappresentata una piccionaia con alcuni colombi domestici (Columba livia) dall’eterogenea cromia. Questo elemento architettonico, a mio parere, non è stato inserito occasionalmente,

bensì ha lo scopo di confermare e consolidare il senso di potere e di magnificenza cui aspiravano gli esponenti di spicco della società di allora. Invero, in diversi periodi del Medioevo e del Rinascimento solo i nobili e alcuni esponenti del clero potevano permettersi una piccionaia (detta anche colombaia o palombara). Tale privilegio veniva salvaguardato comminando pene severe a coloro che uccidevano o catturavano i volatili altrui.

Sempre nella parte alta del quadro, ma a destra, vi è un altro piccione poggiato su un asse. A tale uccello viene attribuito il significato di portatore di una buona notizia. In questo caso si fa riferimento alla comunicazione, da parte di un inviato del pontefice Sisto IV (8), relativa alla concessione dell’autonomia amministrativa alla città di Ascoli Piceno (allora faceva parte dello Stato Pontificio ed

era amministrata, ovviamente, da un delegato del Papa). L’avvenimento si svolse il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione, e tale coincidenza indusse gli Ascolani ad attribuire all’evento la duplice valenza politica e religiosa. Fu così che il Crivelli, incaricato di sintetizzare le due realtà in una pittura, nel 1486 realizzò questa magnifica opera (per la chiesa della SS. Annunziata di Ascoli Piceno) in cui dà prova di conoscere la prospettiva, proiettando le immagini in profondità e arricchendole anche con diversi particolari di vita quotidiana, oltreché di significativi rimandi religiosi. Continuando la ricerca di ulteriori dettagli ornitologici nel dipinto, si scorge, poco al di sotto del menzionato colombo, una gabbietta di legno all’interno della quale s’intravede un cardellino (un’altra è collocata sopra all’arco, nello sfondo). Colgo l’occasione per segnalare che Crivelli in un diverso dipinto, attualmente conservato presso il Städelsches Kunstinstitut di Francoforte sul Meno, ripropone tale motivo in una raffigurazione dell’Arcangelo Gabriele annunziante, che costituiva la parte superiore sinistra di un altro polittico: quello di S. Domenico di Camerino.

La rappresentazione della gabbietta con dentro l’uccellino non era nuova, poiché la si poteva ritrovare anche in immagini paleocristiane e medioevali. Nell’accezione originaria l’uccello simboleggiava l’anima alla quale veniva impedito di elevarsi al cielo, perché trattenuta dal corpo (cioè dalla gabbia). In successive interpretazioni si è sostenuto pure che l’uccelloanima rimandava al Cristo il quale, per espiare i peccati dell’umanità, si era “imprigionato” in un corpo mortale (Hjort in Berra, 2012). Dunque, la gabbia con il cardellino costituiva il simbolo e l’allegoria del Redentore (Calvesi in Berra, op. cit.).

Il Crivelli, oltre a riproporre tale elemento iconografico di rilevante pregnanza cristologica, ben evidenzia, da attento osservatore, il rapporto quotidiano che allora legava le persone al cardellino. Realtà questa che si è protratta anche in tempi relativa-

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Crivelli, ArcangeloGabriele annunziante, 1482. Tavola cm 54x38. Städelsches Kunstinstitut di Francoforte sul Meno. Si ponga attenzione alla gabbietta, e alla sua ombra, collocata a fianco della finestra. Fonte iconografica: Zampetti 1997

mente recenti. Ho peraltro viva l’immagine, nei miei ricordi giovanili, di simili gabbiette in legno con cardellini appese nei pressi dell’uscio di alcune abitazioni rurali o periferiche dell’Italia centro-meridionale (da informazioni assunte recentemente ho appreso che anche nel settentrione, in particolar modo nella Carnia, era diffusa tale consuetudine).

Proseguendo con questa “scannerizzazione” verso il basso, si trova l’immagine di un magnifico pavone (Pavo cristatus), eseguita, come nello stile del Crivelli, con grande maestria e singolare attenzione per i dettagli. Anche in questo caso, la presenza del galliforme non è casuale e assume il significato di resurrezione, immortalità.

Alla fine di questo percorso visivo vi è la Madonna che, con atteggiamento dimesso, viene “colpita” dal raggio dello Spirito Santo. Conformemente alla tradizione cristiana, tale espressione divina viene raffigurata come una colomba bianca dalle ali aperte. Questo orientamento iconografico trae origine dal Nuovo Testamento, in cui gli evangelisti Matteo, Marco, Giovanni e Luca riportano l’episodio del battesimo del Cristo, durante il quale “scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come di colomba” (Luca 3,22).

Un’altra rappresentazione della colomba-Spirito Santo si trova ne La Vergine Annunziata, che costituisce una cuspidedel polittico di S. Domenico di Camerino, attualmente conservata presso il Städelsches Kunstinstitut di Francoforte sul Meno. Questa rassegna di uccelli crivelleschi si conclude con il rigogolo (Oriolus oriolus) L’opera in cui è raffigurato costituisce la parte centrale del polittico di Camerino(1482), ora custodito a Milano nella Pinacotecadi Brera. È ritratta la Madonna su un trono marmoreo con il Divin Bambino che tiene tra le mani un uccello. Vari autori identificano il volatile con un fringuello, mentre in realtà trattasi di un rigogolo. Tale inesattezza è comprensibile perché il mondo dei critici d’arte, salvo rarissimi casi, ignora del tutto il mondo dell’ornito-

logia. Così lo studioso Pietro Zampetti (op. cit.)attribuisce all’opera il nome “Madonna in trono col Bambino che stringe tra le mani un fringuello”, mentre altri autori propongono una generica indicazione di “Madonna col Bambino”.

Io suggerisco di attribuire al dipinto la denominazione di Madonna delrigogolo. Così facendo si assegnerebbe un’esatta identità zoologica al volatile e nel contempo l’opera stessa diverrebbe facilmente individuabile

(anche ad altri lavori del Crivelli è stato attribuito il vago nome di “Madonna col Bambino”).

Del resto esistono già diversi dipinti caratterizzati dalla presenza di specie animali che ne hanno determinato l’identificazione. Cito qualche esempio: Madonna del cardellino (Raffaello Sanzio), Madonna del passero (Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino), Madonna della rondine (Carlo Crivelli), Madonna del gatto (Leonardo da Vinci).

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C. Crivelli, Madonna del rigogolo, 1482. Tempera e oro su tavola, cm 190,5 x78, Pinacoteca di Brera, Milano. Fonte iconografica: Zampetti 1997

Dalla letteratura consultata non sono riuscito ad avere specifiche informazioni sulla possibile portata simbolica del volatile. Allo stesso risultato, per certi versi, è pervenuto anche Friedmann (op. cit.), il quale ritiene che la rarità in molte aree dell’Europa abbia impedito al rigogolo di diventare un uccello domestico o un simbolo. Ignoro le ragioni che indussero il Crivelli a raffigurare questo volatile, ma certamente fu colpito dalla sua bellezza. Una bellezza che conosce pochissimi pari nell’ambito della nostra avifauna. La livrea del maschio è difatti prevalentemente di un giallo brillante, non a caso il nome scientifico del pennuto trae origine dalla cromia: oriolus (9)deriva dal latino aureolus = dorato, giallo,e aureolus corrisponde anche alla parola aureola. È ipotizzabile che Crivelli ignorasse la relazione semantica esistente fra i suddetti due lessemi; sta di fatto che le aureole dei personaggi sacri, come del resto gli sfondi dei quadri e altre decorazioni, venivano realizzate in oro. È noto che questo metallo rimandava primariamente al sole, alla sua luce ed energia, così come il Signore irradia luce ed energia divina sugli uomini.

Inoltre, se si pone attenzione anche al contesto cromatico dell’opera, si noterà che la livrea del rigogolo si integra e armonizza: ciò potrebbe aver contribuito, ulteriormente, a orientare la scelta di questo volatile.

Dunque, il Crivelli, definito anche “l’eretico del Rinascimento” e “l’ultimo pittore gotico”, ci propone un apprezzabile numero di specie ornitiche, alcune delle quali realizzate con particolare attenzione naturalistica. Anche quando rappresenta le modeste gabbiette nell’Annunciazione e nell’Arcangelo Gabriele annunziante, dà prova di possedere quel quid pluris che, soprattutto nell’ornitofilo, lascia spazio all’emozione e anche alla fantasia. Nella prima rappresentazione, infatti, il cardellino s’intravede fra le solide sbarre lignee, ma la scena è vivida pur nella sua frammentarietà. Invece l’interno della seconda gabbietta non è ben definito, però un

minuscolo segmento giallastro ci suggerisce che possa essere la barratura alare di un cardellino. Di grande effetto è poi l’ombra del manufatto proiettata sulla parete e dalla quale s’intravede la sagoma allungata del volatile, forse colta durante il consueto movimento da un posatoio all’altro o forse, come ipotizza Zampetti (op. cit.), è l’espressione di uno spavento.

A conclusione di questa nota vorrei evidenziare che, a fronte di un’arte di indubbio pregio, il riconoscimento da parte della storiografia artistica, come già accennato, è stato molto tardivo. Un impulso importante alla riscoperta del Crivelli è infatti venuto dal movimento artistico inglese dei preraffaelliti, fondato nel 1848. In estrema sintesi, i membri di questa confraternita rifiutavano il “rigido accademismo” di Raffaello, prendendo in considerazione solo i pittori antecedenti come Giotto (1267? -1337), Piero della Francesca (1412 circa1492), Botticelli (1445-1510), Crivelli eccetera, cui veniva fatto credito di spontaneità, originalità, abilità artigianali e sensibilità verso le espressioni della natura.

Ugualmente avverso è stato anche il destino di numerose opere dell’artista, in quanto sottoposte alla spoliazione napoleonica del 1812 e vittime di uno spregiudicato e forse illegale mercato antiquariale, favorito dalla disonestà o incapacità di

funzionari pubblici e di esponenti ecclesiastici. Sta di fatto che diversi polittici sono stati smembrati e successivamente le singole parti sono state acquisite da collezioni private e musei stranieri. Peraltro, la National Gallery di Londra vanta la maggior collezione di opere crivellesche. Tutto ciò rattrista enormemente! Tuttavia, conforta sapere che anche nel nostro Paese vi sono alcuni musei, pinacoteche e chiese in cui si possono ammirare le opere di Crivelli: un maestro del Quattrocento che ha rappresentato anche il mondo degli uccelli e le loro simbologie.

NOTE

(8) In realtà l’emissario papale, quando giunse ad Ascoli Piceno, recava una lettera nella quale si dichiarava soltanto la disponibilità a trattare la “libertà ecclesiastica”; ma la popolazione, credendo che la sua presenza corrispondesse all’agognata concessione, si abbandonò a generalizzate manifestazioni di entusiasmo. Di fronte al fatto compiuto, il papa acconsentì e l’8 giugno 1482 emise la relativa bolla (Golsenne, op. cit.).

(9) L’oriolo nell’antica Grecia veniva chiamato ikteros, mentre nel mondo latino il suo nome era galbulus - a cui corrispondevano i sinonimi galgulus, galbus e gaulus. Fra il XVI e il XVII secolo, lo svizzero Konrad Gesner (1516-1565) adottò il nome oriolus, mentre l’italiano Ulisse Aldrovandi (15221605) utilizzò galbula; inoltre l’inglese Francis Willughby (1635-1672) sostanzialmente fece ricorso a entrambe le nomenclature. Carlo Linneo (1707-1778), nella sua celeberrima opera Systema Naturae (1758, pagina 160), propose il nome scientifico di Oriolus galbula, chefu in uso fino alla metà del secolo scorso per poi essere convertito nell’attuale Oriolus oriolus.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

-Berra G. (2012): Il “musico Augelin” richiuso in gabbia nel Suonatore di liuto del Caravaggio, in AA.VV. La musica al tempo del Caravaggio. Gangemi Editore, Roma.

-Cattabiani A. (2000): Volario. Ed. Mondadori, Milano.

-De Luca D. (2021): Il Polittico di Carlo Crivelli a Montefiore dell’Aso. Edifir Edizioni, Firenze.

-Friedmann H. (1946): The Symbolic Goldfinch. Pantheon Books, Washington.

-Golsenne T. (2017): Carlo Crivelli et le matérialisme mystique du Quattrocento Presse Universitaires de Rennes, Rennes Cedex.

-Zampetti P. (1997): Carlo Crivelli. Nardini Editore, Firenze.

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Bambin Gesù con rigogolo. Particolare della Madonna del rigogolo

Il Rapastello selvatico

(Raphanus raphanistrum)

Premessa

Quando il tiepido sole dicembrino rende la temperatura meno gelida, dissolvendo la fitta coltre di nebbia salita dal mare durante la notte, prendo coltello e cestino e vado quasi sempre a visitare il vicino campo incolto in cerca di erbe mangerecce che la guazza notturna e le prime brinate invernali fanno diventare ancora più tenere e prelibate. Quella mattina, la nebbia presente nella vallata sottostante era una tavola increspata da cui sporgevano solo i merli della torre e la cima della guglia del campanile di S. Angelo in Lizzola (Vallefoglia - PU). Sembrava che il mare Adriatico fosse arrivato fin lassù, nascondendo buona parte dell’orizzonte. Prima di avviarmi alla ricerca delle solite erbe selvatiche (cicorie, tarassaco, crespigni e caccialepre), non potevo non fermarmi ad ammirare quello spettacolo della natura. Dall’alto della mia posizione (370 m. s.l.m.), mentre cerco di individuare i vari centri abitati verso la Romagna nonostante quel manto biancastro che interferisce con la vista, mi torna in mente L’infinito del celeberrimo poeta recanatese Giacomo Leopardi, a cui la siepe ostacolava la contemplazione dell’ultimo orizzonte… Nell’immensità del panorama, mi immedesimo nei versi finali della poesia: “Così,tra questa immensità s’annega il pensier mio / e il naufragar m’è dolce in questo mare”. Volgo lo sguardo verso est ed immaginando la costa croata mi incammino verso il campo incolto.

Giunto sul ciglio di una piccola scarpata che delimita una proprietà, il ru-

more starnazzante di una merla che vola via da un cespuglio di spinose acacie ricoperte di edera attira la mia curiosità. Mi avvicino, osservo il cespuglio e sulle cime fiorifere dell’edera spiccano bacche di colore blu scuro: ecco la fonte dell’interesse della merla. Le bacche sono un importante nutrimento per gli uccelli nel

periodo invernale. Apro una parentesi: le bacche dell’edera sono velenose per l’uomo data la presenza di numerosi glucosidi fra cui l’ederina, capace di provocare irritazioni molto gravi alle mucose dell’apparato digerente. Non lo sono invece per merli ed altri uccelli, per i quali costituiscono un alimento durante l’inverno.Mentre cam-

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di PIERLUIGI MENGACCI, foto P.MENGACCI, UNIVERSITÀDI TRIESTE, ELENATURA, DIZIONARIOBOTANICO, BLATTNER-HEIMTIERFUTTER.DE, WIKIPEDIA Dal libretto dei miei appunti orto-ornitofili e non solo Rosetta basale di Rapastello selvatico nel giardino dell’autore

mino assorto in queste considerazioni e affascinato dallo spettacolo della nebbia che va e viene, volgo gli occhi verso il terreno ed ecco che davanti ai miei piedi compaiono due cespi di erba di un verde intenso che spiccano fra gli steli grigiastri di altre erbe. Mi chino, depongo il cestino, prendo il coltello e osservo le grandi foglie più lunghe che larghe, con il margine irregolarmente dentellato ed al tatto leggermente ruvide. Taglio le rosette a pari del terreno e, prese in mano, esclamo: “Oh! Carino… Ecco due rapastèl!” Le pulisco, tolgo le foglie esterne ingiallite e, messe nel cestino, proseguo la mia ricerca nella speranza di incontrarne altre. Nel frattempo, la nebbia “ammucchiata” nella vallata sottostante, come sospinta da una forza invisibile, risale velocemente ed oscura quel pallido sole che mi aveva invogliato ad uscire. Sono avvolto dalla nebbia ed inizio la risalita. Ad un tratto la voce di mia moglie Angela: “Gigi, dove sei? Non vedi che nebbione! Accidenti alla tua mania delle erbe selvatiche! Sei uscito senza giaccone e cappello, vuoi prenderti una bronchite?!”. Raggiungo la mia signora che mi sta aspettando sul cancello che delimita il mio giardino dal campo incolto, pronta a ricoprirmi con giaccone e cappello di lana. La prima cosa che le dico, invece di ringraziarla: “Ho trovato un paio di rapastèl, stasera erbe cotte e salsiccia!”. Non vi dico come mi ha risposto… ve lo lascio immaginare! Quest’incontro nebbioso, poetico ed insolito al tempo stesso con i rapastèl (rapastello o ravanello selvatico), un’erba mangereccia che solitamente raccolgo a fine inverno e in primavera per rendere più saporite le misticanze o le erbe lessate oppure per cucinare il classico piatto locale “Rapastèl sa la salceccia”, mi ha spinto ad aggiornare il libretto dei miei appunti orto-ornitofili su questa brassicacea che ho sempre conosciuto dal punto di vista culinario.

Alcuni dati botanico-storici

Il Raphanus raphanistrum, conosciuto anche con il nome di rafano selvatico, ravastrello, ravanello selvatico, ramolaccio, gramolaccio ed altri nomi dia-

lettali, (nel dialetto pesarese “rapastèl”), è una specie erbacea perenne o biennale appartenente alla famiglia delle Brassicacee/Crucifere. Etimologicamente il primo termine del binomio è il nome con cui i Greci e i Latini chiamavano il Ravanello coltivato (Raphanus sativus). Alcuni testi lo considerano derivato dal greco ‘raphys’ = rapa oppure da ‘raphis’ = rafide, ago, in riferimento alla forma allungata e sottile della radice. Per il secondo termine (“raphanistrum”), l’origine è la stessa con l’aggiunta del suffisso “istrum” usato in latino con valore riduttivo, per indicare in questo caso la pianta selvatica.

Generalmente lo si trova in terreni incolti freschi ed umidiin due sottospecie, a fiori bianchi e a fiori gialli. Quello che cresce spontaneo nel mio giardino è a fiori bianchi (vedi foto). La rosetta basale è costituita da foglie frastagliate che possono essere lunghe fino a 15 cm, mentre le cauline son più piccole. Il fusto, ispido alla base, nella parte superiore è ramificato e può raggiungere un’altezza di cm. 80. I fiori, che sbocciano da marzo a tutto giugno, sono costituiti da quattro petali e sono disposti in racemi allungati; il colore è generalmente bianco panna ma può essere anche giallo chiaro in altra sottospecie. La parte commestibile è rappresentata soprattutto dalle foglie e dalle cimette raccolte nel periodo primaverile o dalle rosette basali che compaiono anche durante il tiepido inverno. Le radici sono fittonanti (non le ho mai raccolte) e secondo alcuni autori in alcune zone vengono consumate oppure vengono usate a scopo erboristico. I frutti sono delle silique verdi (specie di baccello) con dei semi divisi da una strettoia. I semi sono subsferici, brunastri, reticolati e si possono trovare anche in commercio. Generalmente, però, viene commercializzato il Ravanello comune (R. sativus), specie orticola a radice rossa arrotondata o bianca allungata, commestibile; nella mia zona sono chiamati “radicini”.

A titolo puramente informativo, vengono tramandati scritti sul rapastello selvatico e le sue proprietà da Erodoto storico (IV sec. a.C.), Teofrasto,

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Rapastelli nel giardino dell’autore Rapastello a fiore bianco

filosofo botanico (III sec a.C.), Dioscoride, medico botanico (I sec.d.C.) sia in campo alimentare che medicinale. Di un “raphanus” parla anche Plinio il Vecchio (I sec.d.C.) nella sua Naturalis Historia, riferendosi probabilmente al ravanello selvatico e definendolo “cibus illiberalis” (cibo volgare) perché infastidito dal suo cattivo odore di cottura, e suggeriva dunque di consumarlo insieme alle olive. Anche nel Medioevo illustri medici naturalisti (quali Pietro Andrea Mattioli e Giovanni Targioni Tozzetti) ne apprezzavano le qualità culinarie e medicamentose, descrivendolo come alimento popolare consumato con pane e olio, utile alla funzione gastrica. Una curiosità: anche il ravanello selvatico, a partire dai greci (Democrito riteneva che mangiarlo stimolasse il desiderio sessuale) si porta dietro la nomea di pianta afrodisiaca e per tutto il Medioevo fino ai giorni nostri tale “convinzione” risulta presente nella tradizione popolare.

Proprietà ed utilizzo

Il rapastello selvatico è una pianta erbacea ricca di vitamine e sali minerali. I componenti chimici sono glucosinolati, tannini, proteine, lipidi, carboidrati, zuccheri, amido, minerali (sodio, potassio, ferro, calcio, fosforo), tiamina, riboflavina, niacina, vitamine (A, B, C, E). Grazie al contenuto di tutti questi componenti, la pianta viene considerata antiossidante.

Le sue proprietà medicinali e culinarie sono note fin dall’antichità e traman-

date dalla medicina popolare fino ai giorni nostri. Alcune proprietà in uso nella medicina popolare, come ad esempio l’utilizzo del succo di ravanello selvatico come disintossicante per fegato e bile, sono dimostrate ed avallate anche da recenti studi scientifici. Anche i glucosinolati contenuti in quest’erba ed in altre specie sono oggi allo studio dei ricercatori come potenziali agenti di protezione contro il cancro, in quanto sembrerebbero inibire gli effetti cancerogeni di molte sostanze. Altrettanto dicasi per le sue proprietà diuretiche, depurative e stimolanti l’attività del fegato e della cistifellea, con effetti positivi anche sui disturbi artritici e l’orticaria associati alle disfunzioni della funzione epatica. Viene inoltre consigliato di consumarlo come analgesico, spasmolitico ed ottimo calmante per le coliche renali e, come infuso, quale ottimo rimedio contro la raucedine, la tosse e il catarro bronchiale.

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Fiore di Raphanusraphanistrun, fonte: Dipartimento Scienze della
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Generalmente lo si trova in terreni incolti freschi ed umidi in due sottospecie, a fiori bianchi e a fiori gialli
Rapastello a fiore giallo, fonte: EleNatura - Elena TurrianiNaturopata

Anche del ravanello selvatico, come di altre verdure selvatiche descritte nei miei precedenti articoli, vengono impiegate a scopo alimentare le foglie della rosetta basale raccolte alla fine dell’inverno e all’inizio della primavera, quando sono sufficientemente tenere. Hanno un sapore molto deciso che ricorda il cavolo e si possono consumare crude, tagliuzzate, per arricchire con il

loro sapore deciso una misticanza di insalata, oppure lessate (perdono il loro odore) possono essere gustate in purezza (o assieme ad altre erbe), saltate in padella con aglio e olio “evo”, e sono pure un ottimo contorno per piatti a base di carni rosse, salsicce, stufati o arrosti. Anche i boccioli si possono cucinare e consumare come i broccoli. Dai semi si può ottenere un olio commestibile. Nella mia zona sono famosi i piatti “Rapastèl sa la salceccia” (un secondo sfizioso dove la salsiccia attenua il piccante dell’erba) oppure, nel Montefeltro, un primo piatto, altrettanto sfizioso e piccante: la “pasta verde” (foglie crude più tenere tagliate finemente e mescolate a lungo con la pasta appena scolata, aggiungendo olio “evo” e abbondante formaggio pecorino grattugiato prima di servire).

Per chi è curioso o vuol provare a gustarsi il piatto “Rapastel sa la salceccia” ecco la ricetta. Ingredienti: rapastelli selvatici - salsicce - peperoncino - aglio - olio - sale.

Sbollentare le rosette tenere, scolarle e ripassarle in padella con olio e aglio e salare. Aggiungere le salsicce precedentemente sgrassate in acqua bollente e aceto e un peperoncino. Infine brasare il tutto a fuoco lento. Servire caldo e… buon appetito.

In alternativa alla salsiccia a volte utilizzo il cotechino o zampone bollito oppure altre erbe selvatiche in mancanza dei rapastelli selvatici. Ah, dimenticavo: al posto del pane, provate la piadina… Il gusto si raddoppia!

Per quanto attiene all’ambito veterinario,il Raphanus raphanistrum fa parte di un gruppo di piante tradizionalmente usate per trattare una particolare micosi che colpisce il pelo, le unghie e la pelle di bovini, conigli, cani ed altri animali domestici.

Nelle mie passeggiate campagnole ho osservato spesso molti passeriformi, specialmente cardellini, attaccati ai racemi fioriti dei “rapastel”, e le mie deduzioni sono state ovvie. Così, come tutte le erbe selvatiche mangerecce, anche il rapastello selvatico è entrato nel mio allevamento di canarini di colore, in tutte le versioni, come ho già descritto nei miei precedenti articoli: come verdura appesa nelle gabbie o nella voliera assieme ai racemi fioriti o con le silique di semi immaturi; come acqua di bollitura per inumidire i pastoncini secchi oppure diluita come bevanda, sempre seguendo la stagionalità.

Ho fatto inoltre ricerche sui semi nell’alimentazione dei nostri uccelli da compagnia. Nell’elenco delle sementi utilizzate nei vari misti in commercio ed anche in quelli definiti “della salute” non ho trovato presenza dei semi del

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Silique di Raphanusraphanistrum, fonte: Dipartimento di Scienze della Vita, Universita di Trieste Siliqua di rapastello selvatico, fonte: Dizionario botanico Semi di ravanello, fonte: blattner-semi-e-miscele
Ho osservato spesso molti passeriformi, specialmente cardellini, attaccati ai racemi fioriti dei “rapastel”

rapastello sia selvatico che comune. In alcune confezioni di questi ultimi, l’elenco finisce con “… ed altri semi prativi”. A quel punto, mi son posto un interrogativo: visto che i semi di rapastello sono assimilabili ai semi di rapa presenti in alcune confezioni e la ver-

sione comune (R. sativus) è commercializzata, perché non utilizzare questi ultimi assieme ai cosiddetti “semi della salute”? La risposta è stata ovvia: due bustine di “radicini” (R. sativus) biologici, acquistate per la semina, sono finite in un chilogrammo di “semi della salute”!

Ad maiora, semper!

ALCUNE FONTI:

-Dafne Chanaz, ll prato in tavola – Le piante selvatiche commestibili d’Italia, Terranova Edizioni

-https://antropocene.it/2020/06/11/rafano

-https://www.quilianonline.it/quiliano-qualita/ilprato-di-laura-15/

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Raphanusraphanistrum Sturm DESC, fonte: Wikipedia

dal web e non solo

O rniFlash

Questi scriccioli aiutano solo gli amici intimi Gli

scriccioli della specie Malurus cyaneus, che vivono nei boschi ma anche negli ambienti urbani dell’Australia, sono tra gli uccelli con la struttura sociale più complessa e affascinante. Vivono in gruppi all’interno dei quali, però, non tutti i rapporti sono uguali: si potrebbe dire che alcuni scriccioli sono più amici di altri.

Ogni individuo ha innanzitutto un ristretto gruppo di altri uccelli che forma il nucleo fondamentale della sua socialità – di solito sono gruppi di 3-5 individui che comprendono una coppia e altre femmine che aiutano nell’allevamento dei pulcini. Poi c’è un secondo livello, che comprende gli altri gruppi di 3-5 individui che vivono nella stessa area e che formano una comunità più ampia. Infine ci sono gli scriccioli sconosciuti: questi uccelli sono tendenzialmente sedentari e territoriali, e non capita loro spesso di interagire con esemplari venuti da lontano. Nello studio condotto dalla Australian National University, pubblicato su Current Biology, il team ha messo alla prova la rapidità di risposta ai richiami di pericolo che gli scriccioli lanciano quando avvistano un predatore, a seconda di chi li stesse lanciando. Esposti a richiami di pericolo lanciati dagli esemplari del loro circolo riproduttivo ristretto, gli scriccioli si sono lanciati in soccorso verso gli altoparlanti; quando i richiami provenivano dal gruppo allargato, gli uccelli hanno dimostrato maggiore pazienza e prudenza, ma sono comunque intervenuti, cosa non avvenuta di fronte ai richiami di scriccioli sconosciuti. I risultati dimostrano che, come vale per noi umani, i diversi “livelli” sociali hanno funzioni altrettanto diverse, e una semplice richiesta di aiuto può provocare quindi comportamenti e reazioni molto differenti.

Fonte: https://www.focus.it/ambiente/animali/questi-scriccioli-aiutano-solo-gli-amici-intimi

Foto: Imogen Warren / Shutterstock

Uccelli, durante la migrazione fanno delle pause: rinforzano le difese

Gli studiosi sono molto affascinati dai meccanismi migratori degli uccelli. In particolare, con la convinzione che studiando il lavoro eccessivo sotto sforzo dei volatili, e la capacità di autoconservazione quando si arriva a una fatica così estrema, si possano inserire dei paralleli con il lavoro fisico ed i tempi di riposo dell’essere umano. Ed in particolare uno studio tedesco, dell’università di Lund, mette in luce degli aspetti fondamentali sui bioritmi degli uccelli durante la migrazione.

Il fenomeno migratorio in quanto necessità è stato ampiamente studiato. Meno cosa accade agli uccelli durante la migrazione. L’intenso sforzo fisico porta ad un certo punto la necessità di riposo per qualche giorno. Questo era stato motivato dal bisogno di rallentare il battito cardiaco e di acquisire un po’ di massa grassa come scorta per portare a termine il viaggio. Mentre lo studio di Arne Hegemann, biologo dell’Università di Lund, ha focalizzato l’attenzione sul lavoro del sistema immunitario durante il riposo dalla migrazione. “Questa è la prima volta – afferma Hegemann – che ciò è stato dimostrato negli uccelli migratori selvatici. Il nostro studio mostra che le soste degli uccelli migratori servono ad altri scopi, oltre al semplice ‘rifornimento’. Hanno anche bisogno di altri sistemi fisiologici per riprendersi”.

E questo può dare delle indicazioni importanti anche sul funzionamento del corpo umano. La necessità degli uccelli migratori di riposare, anche per migliorare il proprio sistema immunitario e diventare più resistenti, può essere spostata sull’essere umano. L’intensa attività fisica necessita delle soste, per consentire al fisico di rimettersi in sesto. Non è necessario molto tempo, bastano un paio di giorni di riposo.

Fonte: https://www.ecoo.it/articolo/uccelli-migrazione-pause/100289/

News al volo
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Doppia vittoria per aquile calve e contadini del Nord America

Pubblicato

su Ecopshere, lo studio della Cornell University mostra come contadini e aquile calve del Nord America abbiano instaurato una relazione dai grandi benefici per entrambi. Spinte verso i campi coltivati dal cambiamento climatico, che ha alterato la loro tradizionale dieta a base di carcasse di salmone, i rapaci rimuovono efficacemente carcasse e parassiti dal suolo.

“I rapporti tra contadini e uccelli rapaci è sempre stato percepito e dipinto come negativo a causa della predazione del bestiame” ha detto Ethan Duvall, autore dello studio, “Ma i contadini del Nord America ormai non percepiscono più le aquile come una minaccia. Anzi! Apprezzano il loro lavoro di pulizia”.

Negli ultimi 50 anni sempre più rapaci hanno abbandonato le sponde dei fiumi per cercare cibo tra i campi coltivati. La causa sembra essere ancora una volta il cambiamento climatico. Per compensare la mancanza di cibo le aquile calve si sono spostate nell’entroterra, verso i campi coltivati e le aziende lattiero-casearie, interessate ai loro scarti: carcasse di bovini e uccelli acquatici. Un andirivieni che ha presto mostrato i suoi effetti positivi. Le aquile calve, infatti, oltre a ripulire i terreni dalle carcasse degli animali, svolgono anche un’azione protettiva nei confronti di due storici nemici dei contadini americani: roditori e storni.

“Molti contadini non considerano più i rapaci come un nemico” ha detto Duvall, “Ma vorrei precisare che non ovunque è così”. Per gli allevatori di pollame i rapaci costituiscono ancora un problema. Non c’è da stupirsi.

Fonte: https://www.ultimavoce.it/doppia-vittoria-aquile-contadini-nord-america/ Foto: di AngMoKio - selfmade photo at Deutsche Greifenwarte (Burg Guttenberg), CC BY-SA 3.0

Adattamento degli uccelli ai cambiamenti ambientali

L’articolo,recentemente pubblicato sulla rivista “Current biology”

dal titolo “Rapid formation of new migration route and breeding area by Arctic geese”, degli Autori Jesper Madsen, Kees H.T. Schreven, Gitte H. Jensen, Fred A. Johnson, Leif Nilsson, Bart A. Nolet, Jorma Pessa, ha analizzato gli adattamenti di una popolazione di oche zamperosee (Anser brachyrhynchus), mostrando come queste, di fronte a repentini mutamenti degli ambienti artici, hanno trovato rapidamente nuovi siti di riproduzione.

Si legge nell’astratto dello studio: “Molti animali che si riproducono nell’Artico sono a rischio di estinzione locale a causa dalla riduzione dell’habitat. Le specie migratrici devono affrontare ulteriori crescenti pressioni antropiche lungo le loro rotte migratorie come siccità, creazione di barriere e sfruttamento agricolo eccessivo. Tali specie possono resistere solo se adattano le loro migrazioni, i tempi di riproduzione e l’areale stesso di nidificazione. In questo articolo si documenta la formazione molto rapida (10 anni) di una nuova rotta migratoria e di una popolazione nidificante disgiunta dell’oca zamperosee a Novaya Zemlya, in Russia, a quasi 1.000 km dai luoghi di riproduzione originari delle Svalbard (Norvegia). La popolazione è cresciuta fino a 3.000-4.000 uccelli, grazie alla crescita intrinseca e alla continua immigrazione dal percorso originario. La colonizzazione è stata resa possibile dal recente riscaldamento su Novaya Zemlya che ha creato nuovi luoghi adatti alla loro nidificazione. Questo comportamento sociale delle oche, con conseguente trasmissione culturale del comportamento migratorio tra conspecifici e stormi di specie miste, è la chiave di questo rapido sviluppo e funge da meccanismo che può consentire il salvataggio ecologico in un mondo in rapida evoluzione”.

Fonte: https://www.bighunter.it/Natura/ArchivioNews/tabid/220/newsid734/31264/Default.aspx

e non solo

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web
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Al di là del Veerkamp

Le nozioni di genetica che applichiamo alla canaricoltura di colore fanno parte di una piccolissima letteratura specializzata che noi ornicoltori abbiamo creato in maniera quasi autonoma. Senza voler fare torto a nessuno, nella miriade di libri scritti sui canarini di colore, credo che quelli di un certo livello d’impegno si possano contare nelle dita di una mano. Sono: Manuale sull’allevamento dei canarini di colore di H.J. Veerkamp, Canaricoltura di U. Zingoni, Campioni e razzatori di G. de Baseggio ed I colori nel canarino di G. Canali; a questi aggiungerei Genetica di base del canarino di colore di A. Vilasi, che senza dubbio ha avuto il merito di riproporre l’argomento della genetica nella canaricoltura di colore, argomento sul quale non si pubblicava più un libro da circa trent’anni. In effetti, prima del libro di Vilasi (2019) i più recenti libri erano quelli di de Baseggio (1989) e Canali (1990), mentre quelli di Zingoni ed il Veerkamp addirittura sono stati pubblicati nel 1970. Proprio il Manuale sull’allevamento dei canarini di colore, conosciuto in

gergo come “Il Veerkamp”, pur essendo stato pubblicato da oltre cinquant’anni è quello attualmente usato come riferimento quando si parla di genetica, ovvero i meccanismi ereditari ai quali ci si riferisce riguardo alla canaricoltura di colore sono ancora quelli descritti nel Veerkamp. Nulla di male, si potrebbe pensare. Se comunque i meccanismi ereditari sono stati correttamente individuati e classificati dando i risultati aspettati, significa che sono comunque quelli giusti.

Usare però questo criterio sarebbe estremamente riduttivo; qualora lo dovessimo considerare univoco, la genetica dovrebbe essere ancora ferma alle tre leggi di Mendel. La canaricoltura, o se vogliamo allargare il contesto la stessa ornicoltura, è una branca

dell’ornitologia, pertanto non si può rinnegare che anch’essa, in quanto parte della scienza, sia in continua evoluzione.

Se ampliamo la visione del nostro hobby, non soffermandoci esclusivamente sulla pratica dell’allevamento, vediamo che questo è strutturato su tre pilastri: quello scientifico, quello tecnico e quello pratico. È necessario che gli elementi di questa terna vadano sempre di pari passo in modo che possano operare in maniera congiunta.

Sarebbe impensabile che oggi si usassero le stesse tecniche di allevamento utilizzate cinquant’anni fa, come, allo stesso modo, sarebbe impensabile presentare oggi in un’esposizione un soggetto con lo standard di una volta. Adeguare, dunque, anche la parte

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“Il Veerkamp”, pur essendo stato pubblicato da oltre cinquant’anni è quello attualmente usato come riferimento quando si parla di genetica

scientifica ai tempi odierni è un punto spesso poco considerato, ma particolarmente importante per il nostro movimento.

Molteplici nozioni scientifiche sono state aggiunte e tante cose sono cambiate nel corso di mezzo secolo. Lo stesso approccio verso la letteratura scientifica, intesa come diffusione della conoscenza, ha mutato i propri canoni. Nella letteratura scientifica è apparso il concetto di “grey literature” che tradotto significa “letteratura grigia” e che potrebbe essere spiegata come una tipologia di nozioni che arrivano da fonte ausiliare. Con la diffusione di internet si è avuto accesso ad una serie di dati, informazioni, testi ecc. prevalentemente divulgati attraverso canali di libero accesso e comunque a carattere informale, inteso come non ufficiale. Una forma, quindi, di letteratura scientifica che si discosta da quella tradizionale. In origine, custodire la cultura e la scienza era prerogativa delle università e delle biblioteche che sancivano l’ufficialità delle fonti, la cosiddetta “white literature” (letteratura bianca). La grey literature è dunque una sorta di letteratura di minor conto, dove magari il contenuto ha equivalente valore ma, avendo delle fonti non convenzionali, ad esempio, viene presa in considerazione discrezionalmente nella valutazione del curriculum di un ricercatore. Nello scenario mondiale, in diverse nazioni la collaborazione tra comunità scientifica e associazioni ornitologiche in senso ampio, quindi con finalità simili alle nostre, porta a dei risultati che in genere vengono inquadrati nell’ambito della grey literature. Purtroppo in Italia questo non avviene. Noi non abbiamo mai avuto alcun contatto con la comunità scientifica, poiché non abbiamo mai avuto la necessità, e soprattutto non abbiamo mai avuto l’interesse d’intraprendere un cammino in tal senso. Oggi stiamo pagando lo scotto di esserci, per alcuni versi, “ghettizzati”; di non aver mai avuto alcun confronto con realtà che non fossero paritetiche alla nostra; di non essere entrati in circuiti che avrebbero dato una col-

locazione più idonea alle nostre finalità.

Potrebbe sembrare pretenzioso, ma un interscambio delle nozioni che noi ornicoltori abbiamo acquisito negli anni con la comunità scientifica potrebbe addirittura essere simbiotico. Nell’arco di questi anni abbiamo studiato, catalogato ed appreso diversi meccanismi che probabilmente potrebbero ampliare la conoscenza nell’ambito degli uccelli di affezione. Certo, magari un nonnulla se paragonato a quanto abbiamo appreso dalla comunità scientifica ma, per quanto empirici, tanti piccoli meccanismi genetici siamo riusciti a classificarli. Tuttavia, non è stata mai data la giusta valenza al nostro operato. Non abbiamo mai cercato il modo di comunicare con la comunità scientifica ed

non siamo degli sprovveduti. Tra i nostri iscritti abbiamo parecchie persone valide che in un confronto scientifico di sicuro non ricoprirebbero un ruolo di secondo piano.

Oggi, riflettendo sull’attuale politica che le associazioni animaliste stanno portando avanti nei nostri confronti, appare quasi necessario che si instauri una forte collaborazione tra i vari organi istituzionali della Federazione e gli allevatori. Vi sono pressioni sociali che gradualmente stanno diventando una forte minaccia al nostro hobby. Diviene fondamentale avere una Federazione adeguatamente organizzata con delle commissioni che mantengano bilanciato il rapporto scientifico – tecnico – pratico. Questo è il motivo per il quale ritengo ci sia bisogno di una commissione scientifica che riporti questo aspetto del nostro hobby al passo coi tempi.

incominciare ad entrare nel loro circuito. Non siamo abituati a guardare le cose in quest’ottica, comunque qualche piccolo passo siamo riusciti a farlo. L’iniziativa di Gianmaria Bertarini e la lungimiranza dell’attuale Consiglio Federale di appoggiarlo prontamente nell’instaurare una collaborazione tra la nostra federazione e l’Università di Bologna (tramite il prof. Fontanesi, Ordinario di zootecnia generale e miglioramento genetico presso la Facoltà di Scienze e Tecnologie agroalimentari) potrebbe rappresentare un buon inizio. Ipotizzare la costituzione di una commissione scientifica con operatività analoghe a quelle delle varie CTN, una commissione che sia dunque parte integrante del nostro movimento, potrebbe essere un’idea. Noi ornicoltori

Restando nell’ambito della canaricoltura di colore, noi tutti siamo a conoscenza del fatto che alcune dizioni siano anacronistiche. Si parla ancora di “ossidati” e “diluiti” in riferimento ai tipi base; si parla ancora di “fattori di riduzione” in riferimento a mutazioni che hanno caratteristiche additive e non riduttive; usiamo le stesse dizioni per mutazioni che agiscono sia nella pars plumacea (conosciuto in gergo come sottopiuma) che in quelle che agiscono nella pars pennacea (parte centrale della penna).

C’è bisogno che l’evolversi delle specializzazioni non sia supportato esclusivamente da cognizioni tecnico-pratiche. Non è più una contingenza allargare gli orizzonti ma diviene quasi un fattore essenziale; c’è bisogno di andare al di là del Veerkamp, oltre gli stessi attuali criteri di giudizio, se necessario, non per il mero gusto di cambiare, ma per il naturale evolversi delle cose. Se un cambiamento ci deve essere, è giusto che sia il risultato di un obiettivo di ricerca ben definito e che sia quindi il prodotto di uno studio maturo, dando un paradigma, se non propriamente scientifico, che almeno si basi su appropriate metodologie che gli possano conferire un adeguato spessore.

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Restando nell’ambito della canaricoltura di colore, noi tutti siamo a conoscenza del fatto che alcune dizioni siano anacronistiche

Alla ricerca di un inizio

Èun fatto generalmente accettato e incontrovertibile che la persona le cui ore di svago sono dedicate al legittimo perseguimento di un hobby interessante e piacevole è doppiamente soddisfatta in quanto lo trova divertente e idoneo a spazzare via dalla mente le preoccupazioni della vita lavorativa e familiare, sostituendole con brillanti pensieri e aspirazioni. Un’affermazione così radicale potrebbe, senza dubbio, non incontrare unanime approvazione, tuttavia non c’è niente di più deleterio come il pessimismo nel credo dell’hobbista,

qualsiasi esso sia: la ristrettezza mentale e il bigottismo non sono fatti per adattarsi all’ottimismo che dovrebbe permeare la nostra mente.

L’hobbista deve essere una persona impegnata per la maggior parte delle ore libere che, in altre circostanze, senza alcun progetto o scopo finale, sarebbero probabilmente tempo sprecato. Deve essere ben occupato nel perseguimento o nello sviluppo dell’oggetto, che è insieme mezzo di ricreazione e salvaguardia contro i cattivi pensieri i quali, certamente, trovano ancora spazio per insinuarsi nella mente di chi ha mani e menti oziose.

Bisogna essere a favore di un hobby di qualsiasi tipo. Sicuramente nessun

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Non c’è niente di più deleterio come il pessimismo nel credo dell’hobbista, qualsiasi esso sia

hobby è privo di intoppi, o particolarmente adatto ad una o più classi sociali. Nessun inizio deve necessariamente esigere un ampio esborso di denaro, questo anche per non subire grosse delusioni iniziali. Prima di occuparci dell’ornicoltura così come come la intendiamo oggi, possiamo scostarci anche solo per un attimo dalle associazioni che raggruppano gli allevatori, anche quelle storiche, fino a questo momento principali locomotive del nostro movimento. Quando e con quali mezzi la pratica dell’allevamento di uccelli sia stata adottata per la prima volta nessuno lo saprà mai. L’origine del culto è sepolta in profondità di secoli e possiamo solo supporre che le frequenti allusioni agli uccelli, che abbondano in tutte le antiche tradizioni, ci offrano sufficienti prove anche circostanziate che in una forma o nell’altra l’allevamento di uccelli come hobby per l’umanità è praticamente coevo al primo passo dell’uomo verso la civiltà. Per esempio, i primi falconieri della steppa datano a circa 4000 anni fa; in vecchie letterature si legge che alcuni diligenti studenti delle Sacre Scritture, a seguito di frequenti riferimenti ivi contenuti, abbiano dedotto che l’allevamento degli uccelli fosse un’istituzione riconosciuta già agli albori del cristianesimo. Pensiamo anche all’allevamento dei piccioni viaggiatori, che certamente dimostra che il nostro hobby possiede un lignaggio antico, probabilmente non superato né eguagliato da nessun altro passatempo di natura simile.

Nell’antica tradizione popolare, alcune delle specie di uccelli più importanti hanno mantenuto un consenso quasi invariato; erano i simboli riconosciuti da molte culture. La colomba, ad esempio, è da tempo immemorabile il simbolo riconosciuto di pace e fedeltà; al corvo, una specie dal modello e dai vizi opposti alla colomba, viene oggi attribuito un compendio di qualità perturbanti, maligne e malvagie.

Quest’ultima affermazione potrebbe essere confutata dai conoscitori delle Sacre Scritture dove si legge che “Dio

fornì al profeta Elia, con l’aiuto di un corvo, pane e carne di cervo”. L’aquila, signorile monarca dell’aria e della montagna selvaggia, è sempre stata l’emblema della saggezza e della forza e la possiamo trovare raffigurata in alcune immagini nei libri sull’induismo, in cui se ne parla come Garur Bodh, ovvero “Saggezza dell’Aquila” e in tanti vessilli nazionali o casate aristocratiche.

Ma a parte queste inferenze, il seguito dell’articolo porterà alla convinzione che l’allevamento degli uccelli è un hobby non degli ultimi tempi. I metodi e gli scopi per cui erano tenuti in ambiente controllato, salvo il caso di rapaci allevati per lo sport e la caccia, sono avvolti nel mistero e senza alcun documento attendibile fino al termine del XVI se-

colo, quando Konrad von Gesner, erudito naturalista svizzero (Zurigo 1516 - ivi 1565), seguito a ruota da Ulisse Aldrovandi, naturalista bolognese, e Francis Willughby, ornitologo inglese, (sebbene il lavoro di quest’ultimo non sia stato pubblicato per molti anni e quindi uscito postumo), fece qualche cenno al canarino come uccello domestico da compagnia di nobili e ricchi, amanti del suo canto.

Esiste una bibliografia sulla sua introduzione in Europa da parte di un certo John Bithincourt, del quale si narra fosse un ammiraglio o navigatore, al quale è attribuito il primo trasporto di canarini a Cadice, porto marittimo spagnolo, nell’anno 1405.

Si racconta che Bithincourt abbia preso possesso di Lanzarote, la più

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Quando e con quali mezzi la pratica dell’allevamento di uccelli sia stata adottata per la prima volta nessuno lo saprà mai

grande del gruppo delle Isole Canarie, con la sua flotta pochi anni prima; l’unica cosa certa di questa storia è che gli uccelli furono prelevati da quelle isole e portati in Spagna. Gli spagnoli capirono ben presto la qualità e adattabilità di quegli uccelli alla vita in ambiente domestico e cominciarono ad allevarli riproducendoli nelle gabbie. Da allora in poi l’allevamento degli uccelli divenne un passatempo redditizio e in breve tempo ne nacque un mercato oltre i confini della penisola iberica. Per molto tempo gli spagnoli lo monopolizzarono, rifiutandosi di esportare uccelli che non fossero maschi, tanto che passò un secolo prima di trovare le prime tracce del canarino insediato nel sud della Francia e da lì, lungo la costa mediterranea, nel nord Italia.

narie, insieme alle sue descrizioni e mutazioni presenti in ambiente domestico, come nelle opere di Eleazar Albin, nato come Eleazar Weiss (1680 – 1742), naturalista e pittore inglese che fu uno dei più importanti illustratori di libri sull’entomologia di quel secolo, e in quelle di Mathurin-Jacques Brisson (1723–1806), fisico e ornitologo autore dell’opera L’ornitologie ou Methode contenant la division des Oiseaux en ordres sections, especes, et leurs varietées del 1760, in sei volumi.

in ambiente domestico

Ma per portare la storia antica al punto in cui possiamo documentarla, cioè al momento dell’introduzione di Bithincourt, troviamo il Dr. William Turner con il suo “Turner on Birds” del 1544, nel quale parla di uccelli chiamati canarini e osserva che “quello che alcuni chiamano grigio altri chiamano verde; dove sicuramente ci possono essere difficoltà di interpretazione nella traduzione da una lingua all’altra oltre alla distinzione nel tono del colore relativo al sesso, perché se nel maschio si evidenziavano colori luminosi e verdi, nelle femmine si osservavano colori opachi e grigi” (ciò si potrebbe riferire anche al Verdone).

Arrivando al diciottesimo secolo, si iniziano a trovare tracce del canarino domestico (realtà o favola probabilmente mai accertata) delle Isole Ca-

Musée Buffondi Montbard (17271775), naturalista e filosofo francese, in contrapposizione con il naturalista italiano Aldrovandi, sentenziò che la natura non deve essere riportata a un disegno statico e prestabilito, ma a un ordine autonomo di leggi, a un processo continuo di interazione fra cause ed effetti; Michel Adanson (1727-1806) botanico e naturalista francese del XVIII secolo, si recò in Senegal per studiare flora e fauna e propose un “Natural system” di tassonomia distinto dal sistema binomiale presentato dal Linneo. Tutti i testi di questi autori contengono resoconti sugli uccelli e l’ultimo autore citato scrive che “il Verzellino delle Canarie, che in Francia diventa quasi bianco, è, in Tenerife, di un grigio profondo quasi quanto il Fanello”. Da questo scritto sembrerebbe che il “canarino bianco” che ha fatto scalpore negli primi anni del ‘900 esistesse già un secolo prima.

Qui abbiamo subito chiarito tre fatti importanti; in primo luogo, che il termine canarino era intimamente, sin dai primi giorni dell’allevamento, associato al colore giallo; in secondo luogo, quegli uccelli dal corpo chiaro furono prodotti già agli albori del Settecento; da questo riferimento ricaviamo la terza interessante scoperta, ovvero che i canarini furono allevati in un ambiente domestico in un tempo considerevolmente lungo prima che si manifestasse la mutazione del piumaggio scuro originario in piumaggio chiaro.

Per inciso, possiamo notare che questo riferimento a un uccello dal corpo chiaro come un “canarino classico”

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Gli spagnoli capirono ben presto la qualità e adattabilità di quegli uccelli alla vita

potrebbe fare un po’ di luce sulla curiosa insistenza con cui, ancora ai giorni nostri, molte persone inesperte in materia di allevamento credono che solo gli uccelli di colore giallo siano canarini.

Ciò detto, contrariamente all’opinione generale, l’allevamento del canarino per hobby non è un’istituzione moderna, ma può vantare un inizio in età antichissima ed una continuità ininterrotta attraverso diversi secoli, fino ai giorni nostri.

Razze come la London Fancy ora in via di ricostruzione (per così dire), il Lancashire, il Lizard e il Bossù Belga possiedono tutte una storia, come abbondantemente descritto da Hervieux de Chanteloup su come accoppiarli, allevare, addestrare e proteggere dalle malattie, insieme a una descrizione di merli, fringuelli, fanelli, allodole, usignoli, storni e cardellini (testo in tedesco, 1771). Il fatto che l’autorene parli in quegli anni fa capire che quelle razze di canarini esistevano già prima.

Ma la crescita e lo sviluppo dell’hobby negli ultimi cinquant’anni è stato il più fenomenale di tutta la sua storia e il suo progresso di anno in anno ha fatto segnare passi da gigante, tanto che mai come negli ultimi tempi sono state create tante nuove razze e si sono avute tante nuove mutazioni.

Quando una tale galassia di varietà affascinanti o no, belle o meno, è stata prodotta per gratificare il gusto e compiacere l’occhio dei suoi numerosissimi ammiratori? È un dato di fatto che i principali centri che alimentano l’hobby dell’allevamento siano posti dove questo hobby si è radicato maggiormente, facendo rivivere momenti che associavano la ricchezza del tessuto sociale all’allevamento e alla detenzione dei canarini. Questo avvenne anche nell’Inghilterra di epoca vittoriana quando furono selezionati lo Yorkshire, e il Norwich, che come monumenti viventi immortalano il gusto e la perizia dei cultori dei luoghi da cui hanno avuto origine. Nel chiudere e senza voler pubblicizzare alcunché, abbiamo anche in Italia alcune razze che nei nomi ricordano le zone dove sono state riconosciute, come il Gibber Italicus (gibboso italiano), il Fiorino (Firenze), il Benacus (zona del Garda) e la sola a piumaggio liscio, ovvero il Salentino (Salento).

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Contrariamente all’opinione generale, l’allevamento del canarino per hobby non è un’istituzione moderna, ma può vantare un inizio in età antichissima ed una continuità ininterrotta attraverso diversi secoli, fino ai giorni nostri

Nasce ufficialmente il “Nido d’Abruzzo Accademy”

testo e foto ASSOCIAZIONE ORNITOLOGICA “IL NIDOD’ABRUZZO”

Èstato presentato venerdì 24 Febbraio, presso il dipartimento di Medicina Veterinaria di Teramo, il nuovo progetto formativo (primo in scala nazionale) che vede la collaborazione fra quest’ultimo e la storica associazione ornitologica “Il Nido d’Abruzzo”.

Al convegno inaugurale, dopo i saluti di Mauro Di Marcantonio, (presidente

dell’associazione) e della docente Cristina Di Francesco, i relatori Alessandro Montani e Gianluca Todisco hanno tenuto le prime due lezioni inaugurali, rispettivamente sulle patologie infettive degli psittacidi e sull’alimentazione dei fringillidi.

«Il Nido d’Abruzzo Accademy», spiega la docente Cristina Di Francesco, è il risultato di una convenzione che è in

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È il risultato di una convenzione che è in atto già dal 2019 tra il dipartimento di Medicina Veterinaria e l’Associazione

atto già dal 2019 tra il dipartimento di Medicina Veterinaria e l’associazione “Il Nido d’Abruzzo”.

Il progetto ha finalità didattiche, divulgative e scientifiche ed è al servizio degli allevatori, affinché possano accrescere le loro conoscenze nell’ambito dell’ornitocoltura e acquisiscano una maggiore capacità nell’allestire un allevamento in cui venga tutelata la salute degli animali e il loro benessere. A breve, comunica Mauro Di Marcantonio, sarà pubblicato un calendario con un primo blocco di date, dove si andranno a toccare tematiche che varieranno dallo scientifico al tecnico, dall’alimentazione alle malattie, dalla genetica al riconoscimento dello standard di un tipo, ai criteri di giudizio. Ovviamente tutti gli incontri saranno approcciati esclusivamente con figure altamente professionali e competenti; un vero e proprio percorso formativo, ribadisce Di Marcantonio, perché luisempre più convinto - dice che la CONOSCENZA è alla base di ogni successo.

Alla fine, l’evento si è concluso con la presentazione dei social e del nuovo sito web dell’associazione da parte di Mattia Di Marcantonio (Responsabile web e marketing dell’associazione).

Il presidente Mauro Di Marcantonio sottolinea:

«La nascita dell’Accademy è la realizzazione di un sogno, poiché come sottolineato nel mio intervento, la conoscenza è alla base di ogni successo».

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Il progetto ha finalità didattiche, divulgative e scientifiche ed è al servizio degli allevatori, affinché possano accrescere le loro conoscenze nell’ambito dell’ornitocoltura

Un successo inaspettato

Il progetto, nato per caso da una chiacchierata con il Presidente della Pro Loco di Sogliano al Rubicone, Marco Pellegrini, è partito dai comuni salvavita che si usavano nelle miniere di tutta Europa (Canarini Malinois e Harz Roller), prima dell’avvento dei segnalatori attuali.

Visto che anche a Sogliano esisteva una miniera dove si estraeva il carbone e il museo di oggi ne è una testimonianza, il collegamento è venuto istantaneo: “Perché non allargare il campo e mostrare l’attività ornitologica dei nostri giorni?”. Stimolati anche dall’amico Bruno Zamagni, che è sempre attento alla ricerca di nuove esperienze, sia a livello specialistico che divulgativo, abbiamo accettato la sfida e domenica 20 novembre 2022, in occasione della Sagra del formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone, abbiamo allestito la mostra divulgativa con un centinaio di soggetti appartenenti a diverse specie, messe a disposizione sia dai nostri

soci che da quelli delle associazioni limitrofe di Rimini e Pesaro. All’apertura era presente il Sindaco del Paese, Tania Bocchini, la quale è rimasta piacevolmente stupita dalla varietà di razze presenti nel nostro allestimento e dalla passione che mettiamo in questo hobby.

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All’apertura era presente il Sindaco del Paese, Tania Bocchini, piacevolmente stupita dalla varietà di razze

In questa occasione si è pensato soprattutto ai bambini, che grazie al materiale divulgativo inviatoci dalla nostra Federazione, che qui ringrazio, hanno avuto la possibilità di conoscere ed anche toccare con mano il nostro fantastico mondo. Inoltre, come ulteriore stimolo, abbiamo fornito loro una piccola scheda dove poter votare i soggetti più rappresentativi. Lo stupore negli occhi dei bambini in visita è sicuramente il ricordo più bello che mi ha lasciato questa attività divulgativa. A fine giornata abbiamo contato i voti attribuiti ai vari soggetti e abbiamo capito che la partecipazione è stata nettamente al disopra delle nostre aspettative. Gli allevatori proprietari dei quattro soggetti più votati sono stati poi omaggiati con prodotti locali. Il successo dell’iniziativa in termini di partecipazione e soddisfazione per la cittadinanza, in particolare dei più pic-

coli, deve farci riflettere e farci comprendere che non si devono abbandonare i territori, dove ancora molti non conoscono il mondo ornitologico e nello specifico il nostro movimento. Quindi dico: sì alle grandi mostre, ma un analogo sì alle divulgative. Un grazie particolare per l’impegno profuso va a Oride Severi, Giancarlo Caligari, Luciano Pasolini, Loris D’Altri, Bruno Zamagni e Mario Bersani, per aver creduto molto in questo progetto. Inoltre, ringrazio “la mente vulcanica” di Marco Pellegrini della Pro Loco ed il suo braccio destro Gabriele Baroncini.

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Non si devono abbandonare i territori, dove ancora molti non conoscono il mondo ornitologico
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