Renata Picone
RA monumentale nell’Italia di fine Ottocento, Napoli, ESI 2012. 18 M. Proust, John Ruskin, «Gazette des beaux arts», 1 agosto 1900, cui segue nel 1904 l’introduzione e la traduzione della Bible of Amiens del 1885 19 G. M. Scalinger, L’Estetica di Ruskin, Napoli, Libreria Dekten e Rocholl 1900, p. 6. 20 «Il carattere del gotico è di subordinare le proporzioni insignificanti alle sculture significative, di sostituire all’obbedienza arida delle leggi matematiche l’osservazione commossa delle forme organiche e della bellezza vivente», G. M. Scalinger, L’Estetica di Ruskin… cit., p. 120. 21 Ivi, pp. 50 e segg. 22 Cfr. G. M. Scalinger, L’Estetica di Ruskin… cit., pp. 136-137. 23 A. Miola, Ricostruzioni e restauri, «Napoli nobilissima», Vol. XI, fasc. I, gennaio 1902, pp. 129-130. 24 G. M. Scalinger, L’Estetica di Ruskin… cit., p. 135. 25 A. Miola, La facciata del Duomo di Napoli: Cenno storico-descrittivo, Napoli, Tip. F. Giannini e Figli 1905. 26 A. Bellini, Note sul dibattito… cit., p. 896. 27 Cfr. J. Ruskin, Le sette Lampade dell’Architettura, con una presentazione di R. di Stefano, Milano, Jaca Book 1981, p. 227. 28 A. Miola, Ricostruzioni e restauri… cit. 29 T. V. Paravicini, Appunti pel restauro dei monumenti… cit. Cfr. anche A. Bellini, Note sul dibattito… cit., p. 898. 30 Cfr. R. Picone, Restauro architettonico e tutela del paesaggio in Italia. Prospettive future di un dialogo storico in RICerca/REStau-
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Scalinger analizza il contributo di Ruskin non solo in campo estetico, ma in quello artistico (pittura, scultura, architettura) e sociale, convinto com’è che non si può affrontare separatamente questi aspetti del suo messaggio. Per ciò che concerne la lettura dell’apporto dell’inglese alla cultura architettonica va precisato che Scalinger conosce, perché li cita ripetutamente in francese, The Seven Lamps (1849), The Stone of Venice (1851-’53) e The Lecture on Architecture and Painting (1853-’60). Da essi comprende che tradurre in pietra le leggi insegnate dalla natura – la stratificazione delle montagne, la giacitura delle pietre, la policromia, lo sviluppo spontaneo degli alberi, il corso delle acque – è per Ruskin il canone fondamentale che deve guidare l’architetto nella sua opera: «L’artista riproduca la natura tal quale vede e sente. Non ardisca aggiungere di suo, non ardisca sottrarre, alterare, scegliere»21 perché ciò significherebbe profanarla. Proprio in questo senso va letta, secondo Scalinger, la preferenza che l’inglese accordava all’architettura gotica, che ben riesce ad esprimere il sentimento della natura22. Tuttavia Ruskin tradisce, secondo lo studioso napoletano, una visione dell’architettura che risente della sua formazione di pittore, che lo porta ad anteporre «sensazioni pittoriche a quelle puramente plastiche, che appagano il senso di massa, di stabilità, di distribuzione, di solennità»23. Sostanzialmente Scalinger contesta a Ruskin una interpretazione dell’architettura più legata agli aspetti decorativi e scultorei che non all’impianto spaziale: L’importanza che egli [Ruskin n.d.r.] dà alla pianta è inferiore rispetto a quella da lui conferita alla bellezza dello stile prescelto: gli architetti sanno invece che un edificio non è che l’elevazione della pianta e che la prima bellezza è nelle proporzioni che questo rilievo ha saputo assumere24.
Ruskin ed il milieu culturale crociano Nel 1902, dalle pagine della rivista «Napoli nobilissima» allora diretta da Benedetto Croce, un altro intellettuale cittadino attento al dibattito sulla tutela del patrimonio esistente, Alfonso Miola, paleografo e archivista napoletano, autore di un fortunato saggio sulla facciata della Cattedrale di Napoli25, si sofferma su un tema, quello della autenticità, caro a Ruskin. Nel suo articolo Ricostruzioni e restauri Miola prende spunto dal dibattito suscitato dal crollo del campanile di piazza San Marco a Venezia per affrontare il difficile tema del rapporto tra ricostruzione e restauro, schierandosi apertamente tra gli oppositori della prima: un monumento antico distrutto non torna più in vita, come non torna un essere vivente che è morto. Ci si potrà presentare l’immagine di quello, il ritratto, un fac-simile; ma l’immagine non è la cosa esemplata, la statua non è l’uomo vivo. Quel che manca è l’anima, e i monumenti hanno la loro: «sono i ricordi che racchiudono, le idee e gli affetti che destano, le tracce dei secoli che portano impresse […] Ritorno ora a proposito del campanile chiedendomi se mai la più perfetta copia di esso potrà sostituire in tutto e per tutto l’originale. È possibile, appagando solo la vista, non far sentire allo spirito ciò che manca al nuovo sostituito al vecchio, cioè la vecchiezza?26.
Grazie ai Congressi degli ingegneri e architetti italiani, alla pubblicazione dei loro Atti, ad autorevoli riviste di settore come «Il Giornale dell’ingegnere architetto agronomo» successivamente unificata con «Il Politecnico» diffuse su tutto il territorio nazionale27, alle riflessioni ormai frequenti sulle idee sulla conservazione di John Ruskin, alla mobilità dei tecnici che si occupano di restauro nella prassi operativa, diffondendo da un capo all’altro della Penisola modi diversi di intendere il restauro, nei primi decenni del secolo scorso le idee di Ruskin avevano raggiunto le scrivanie degli intellettua-