Territori & connessioni

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Giuseppe Lotti

Territori & connessioni design come attore della dialettica tra locale e globale

Edizioni ETS


Sentieri, tracce di esplorazioni, percorsi di ricerca, talvolta tortuosi, spesso incrociati, costruiti passo dopo passo. Saperi, diversitĂ di conoscenze costruite nel tempo, tacite ed esplicite, paesaggi culturali del mondo. Progetti, esperimenti per un futuro che muove dal rapporto con luoghi e con tradizioni interpretate. La collana indaga su architettura e design, su culture materiali e immateriali, su luoghi vicini e lontani, su oggetti e su idee, su saperi e credenze. Territori, conoscenze, innovazioni culturalmente, socialmente ed ambientalmente sostenibili, scenari delle sfide presenti e future.

Sentieri Saperi Progetti è curata da

Giuseppe Lotti e Saverio Mecca




ÂŤ...se non dimentichi mai delle radici ca tieni rispetti anche quelle dei paesi lontani. Se non dimentichi mai da dove vieni dai piĂš valore alla cultura ca tieni...Âť Sud Sound System



Giuseppe Lotti

territori & connessioni design come attore della dialettica tra locale e globale

Edizioni ETS


Università degli Studi di Firenze Facoltà di Architettura Corso di Laurea in Disegno Industriale Corso di Laurea Magistrale in Design Dipartimento di Tecnologie dell’Architettura e Design “P. Spadolini”

Questo libro non sarebbe stato senza il lavoro degli studenti, senza il confronto con le loro capacità, identità, tensioni al cambiamento. E a loro, inevitabilmente, è dedicato. in copertina: Ilaria Bartolini, Meet with taste, tazza; Alice Balatresi, Cecilia Catalano, Alessandra Ghiozzi, Bab Bel Abb, contenitore Le schede relative alle tesi sono state redatte da: Ilaria Bedeschi [I.B.] Lorenzo Camiciotti [L.C.] Valentina Gatti [V.G.] Giuseppe Lotti [G.L.] Valentina Maugeri [V.M.]

Progetto grafico Susanna Cerri con Irene Roscini

© Copyright 2010

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EDIZIONI ETS Piazza Carrara 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com www.edizioniets.com Distribuzione: PDE ISBN 978-884672617-9


Giuseppe Lotti

territori & connessioni design come attore della dialettica tra locale e globale

introduzione Vincenzo Legnante presentazione Massimo Ruffilli contributi Ilaria Bedeschi, Lorenzo Camiciotti Valentina Gatti, Valentina Maugeri


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È quanto mai opportuno che la disciplina del design assuma posizione, senza reticenze, sulla questione della produzione industriale e dei modelli di sviluppo. Non tanto perché possa sostituire le sue competenze alle peculiarità dell’economia e dei modi della produzione, quanto piuttosto per riportare nell’alveo del dibattito socio-economico anche la problematica recente e complessa del design. La storia di questa disciplina, troppo giovane per avere paradigmi scientifici definitivamente consolidati, procede indissolubilmente ancorata al flusso delle grandi trasformazioni economiche e sociali, come la rivoluzione e poi la produzione industriale diffusa, le tecnologie delle risorse e della trasformazione in prodotti, la cultura della serie e le sue modificazioni, le implicazioni dell’immagine e la comunicazione e, non ultima, la cultura del mercato. Nella accezione più estesa gli ambiti del disegno industriale superano la logica più convenzionale limitata al design post bauhaus e comprendono anche i processi dei tanti modi della produzione, industriale e non, comunque concretizzati in oggetti, che sono la manifestazione esplicita della cultura materiale dei luoghi e dei gruppi umani nelle differenti stratificazioni. Questa interpretazione, peraltro ben presente nel dibattito più recente sulla teoria del disegno industriale, ne esalta il ruolo di disciplina del progetto, luogo della sintesi di sistemi sociali e tecnici, valoriali ed economici, formali e sostanziali. La questione della forma, cioè del “dare forma” attraverso il progetto, assume così valenze impreviste anche per

Vincenzo Legnante

Presidente Corso di Laurea in Disegno Industriale, Università di Firenze

interpretare i processi evolutivi della nostra storia, umana, tecnica e artistica. Forse per questo motivo, proprio negli anni più recenti, intorno al design sono maturati interessi di varia natura e comunque tutti pertinenti per qualche buona ragione: industriali e/o produttivi e quindi economici, di comunicazione e di marketing, di ricerca per l’innovazione, sociologici, simbolici, culturali, artistici... Come se, attraverso il design, le diverse articolazioni dei processi evolutivi concretizzassero le tensioni innovative e i relativi risultati. La natura pervasiva del design poi, chiamato da più parti a intervenire per dare forma alle idee, si è rivelata un crocevia formidabile dove convergono le tecnologie nel senso più esteso del termine, le sperimentazioni artistiche più creative, gli aspetti utilitaristici della società, con le sue tensioni e le sue attese. Nei casi migliori la sintesi del progetto contiene tutti i fattori generatori, non solo forma pura, ma compiutezza di senso e di significato e appropriata allo scenario di riferimento. Per questo è necessario porre la questione del design sullo stesso tavolo delle grandi questioni della contemporaneità: a) la questione ambientale, prima tra tutte, con il corollario di effetti che comporta sulle responsabilità verso la natura e sui comportamenti; b) la questione sociale, che riguarda la necessità di comprendere in un quadro d’insieme le diversità, oggi materialmente più contigue che in passato; c) la questione industriale, intesa come modello di sviluppo e modi della produzione (globalizzazione dei mercati, delocalizzazione produttiva, alterazione delle linee

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Introduzione


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di continuità della cultura dei luoghi, perdita di mestieri, operatività nello spazio-tempo contestuale). Inevitabilmente questi tre aspetti sono fortemente interrelati e caratterizzano grandemente molti dei contributi più recenti non solo nel nostro settore scientifico. Non si spiegherebbero altrimenti i numerosi studi e applicazioni del design sul ciclo di vita dei prodotti, sulle logiche di ecoefficienza ed ecoefficacia a favore delle risorse, sui temi del solidarismo sociale che convivono fianco a fianco con le applicazioni più frivole del design e della moda e che portano molti nostri studenti a interessarsi dei “margini” del sistema industriale (la seconda vita dei prodotti, il riuso, la valorizzazione degli scarti, l’attenzione alla marginalità sociale e alle problematiche etniche...). In questo tipo di visione del design, pienamente legittima e a suo agio nel sistema industriale e mediatico contemporaneo, viene esaltato il ruolo del progetto realmente come sintesi di idee e di forma, ben sostenuto da motivazioni credibili, condotto con metodologie plausibili, e concluso non solo nella forma definitiva, ma come innesco di processi nuovi e di diverse modalità. In questi tempi piuttosto burrascosi per i sistemi produttivi globali, dove la fragilità di un elemento si trasmette ai diversi luoghi della terra senza filtri e dove il potenziale industriale si fraziona oltre ogni limite, con effetti ancora non ben chiari su cosa ciò significhi sulle stratificazioni culturali di ogni luogo, è opportuno porsi la questione della valorizzazione dei prodotti delle culture locali, ancora marginali rispetto ai grandi flussi dell’economia. Talvolta emergono segnali incoraggianti di vitalità creativa e industriale legata ai singoli territori, sostenuti con avveduta lungimiranza da chi non si rassegna a perdere in pochi anni patrimoni secolari di arti e mestieri, contributi di forme e sapienze che solo un atteggiamento snob può considerare esclusivamente vernacolari. La nuova sfida per il design sta anche nell’esplorazione di questi sterminati giacimenti culturali, legati a luoghi ben identificati, fatti di cose, storia e persone. Verificare, cioè, la capacità di rientrare nei grandi flussi dell’economia attraverso le peculiarità proprie, attraverso la produzione e non attraverso il consumo. Ovviamente producendo ricchezza e non sperperandola.

Questa raccolta di esperienze di Giuseppe Lotti è una preziosa testimonianza di un approccio che rafforza questo ruolo del design, relativamente nuovo e, considerando i risultati, molto promettente. Domande inevase, perfettamente disciplinari, possono trovare elementi di approfondimento. Come quelle, molto complesse, che riguardano l’artigianato come metodo produttivo, oppure che interessano l’universo dei segni e degli stilemi di un gruppo circoscritto, oppure ancora un’area geografica profondamente segnata dai sistemi tradizionali di lavorazione di un materiale disponibile in quel preciso luogo. La ceramica, il corallo, la canapa, l’alabastro, il legno, la paglia, il giunco, la pelle conciata... sono tutti materiali portatori di sistemi di sapere e di fare ben radicati nei sistemi locali, legati alle persone nella continuità tra le generazioni, con un proprio lessico e proprie regole. Sono temi che oggi occupano aree non del tutto definite dell’ambito disciplinare, ancora da sperimentare in tutte le articolazioni, e senz’altro più convincenti nei presupposti e nelle motivazioni che nelle pratiche attuative. Ciò non toglie che non solo dobbiamo occuparcene per tutte le ragioni che sono state dette, ma che potrebbero rivelare preziose indicazioni di percorsi inesplorati della ricerca del design. Anche per uscire dalle cornici identificative che, se hanno fatto la fortuna attuale della disciplina, potrebbero limitarne gli ambiti di intervento.


L’International Style del secolo scorso sembra ormai definitivamente tramontato tanto da cedere il passo al “global style” come risposta alla realtà contemporanea immersa nel cosiddetto villaggio globale che coinvolge forme espressive, linguaggi, usi, costumi, mode ed oggetti di tutte le culture e le tradizioni presenti nel pianeta. Tuttavia, rispetto a questa globalità trasversale ed onnicomprensiva, il design, come disciplina del progetto, si esprime oggi anche a favore di un recupero delle tradizioni e culture locali, contribuendo allo sviluppo dei territori attraverso la valorizzazione delle tante, singole e specifiche realtà che la “macchina” irrefrenabile dell’industrialismo sembrava aver dimenticato e superato. La dialettica tra locale e globale viene affrontata con passione da Giuseppe Lotti, in questo libro nel quale l’autore impegna la sua scuola la scuola di design fiorentina - nel presentarsi come entità di promozione e formazione verso la questione sociale, lo sviluppo del territorio, la qualità della vita e, indirettamente, dei suoi abitanti. Il progetto di design si arricchisce e si definisce così come cultura attenta al sociale, alla sostenibilità ambientale, alle specificità territoriali. Sono ormai anni che seguo Giuseppe Lotti nei suoi viaggi, nei suoi numerosi, “faticosi” workshop in vari paesi del Mediterraneo, in America Latina, Stati Uniti, Russia, Cina, India, in giro per il mondo, sempre impegnato a promuovere la cultura del progetto Made in Italy e a recepire ed apprezzare, di converso, le identità dei paesi e dei popoli anche i più lontani da noi.

Massimo Ruffilli

Presidente Corso di Laurea Magistrale in Design, Università di Firenze

In questo grande sforzo di conoscenza e di impegno verso lo scambio scientifico e culturale riemergono sempre con coerenza le matrici della cultura del progetto: l’amore verso la creatività, la fantasia, l’invenzione, la curiosità, la libertà di spaziare senza preconcetti, di apprendere, imparare, evolversi, aggiornarsi ed allargare le proprie conoscenze in ogni campo. Il progetto come forza e speranza per una economia basata sulla conoscenza, l’innovazione, l’identità, la storia, la qualità della vita. In questo libro, pieno di riferimenti e ricorsi anche ai maestri che ci hanno preceduto indicando la strada, Giuseppe Lotti dialoga con i suoi allievi, i progettisti, gli artigiani, gli artefici dei prodotti più disparati: dalle ceramiche al mondo dell’agroalimentare, dagli oggetti realizzati in palma alle cornici, dall’arredo al florovivaismo in una girandola di prodotti che ci parlano di etnie, di culture, di civiltà, di riti, di magie, di “altri” – “non si tratta di immaginare una cultura universale, che non esiste, ma di conservare una sufficiente distanza critica, affinché la cultura dell’altro conferisca senso alla nostra.” (Serge Latouche) L’attenzione preminente è rivolta ai Sud del mondo. Là dove è più difficile dialogare intorno al progetto e lottare contro la resistenza di chi non ha speranza, contro la ritrosia che si oppone al cambiamento, all’innovazione, a nuovi prodotti che non si presentano come innesti estranei alle culture locali, bensì come recupero, consapevolezza e rinnovata attenzione verso le tradizioni materiali dei territori, e al loro rilancio per tornare a crescere, a produrre, a sperare.

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Presentazione


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Progetti “tra qui e là”

Giuseppe Lotti

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sotto e nella pagina a fronte Alice Cateni, Estetica dell’imperfezione, sedute con decorazioni ispirate al naturale degrado del legno, autoproduzione, tesi di laurea, Corso di Laurea in Disegno Industriale di Firenze

Luoghi e interazioni Progetti sui presidi slow food toscani, sul sughero sardo o la ceramica di Caltagirone, su mortai e pestelli per le spezie in Calabria, che recuperano tipologie e dettagli propri della tradizione pastorale, per settori soggetti ad un forte ridimensionamento come quello delle cornici della Valdelsa. Ma anche sulla palma nel sud del Marocco, con ONG nelle favelas di São Paulo, o in Amazzonia a Xapuri, insieme ai ceramisti di Moknine in Tunisia, ed ancora sul reimpianto della canapa nelle crete senesi, su un possibile museo del ghiaccio o sulle Vie del verde in provincia di Pistoia, ma anche con gli artigiani rom che lavorano il rame o a Prato, tra gli abitanti storici e la fitta comunità cinese. Progetti che, frutto del lavoro degli studenti del Corso di Laurea in Disegno Industriale dell’Università di Firenze, ad una prima lettura, per le tematiche che affrontano, possono sembrare lontani e solo in parte coerenti. In realtà le proposte, nella loro varietà, appartengono alla stessa logica: presentano un’idea di sviluppo che, muovendo dal territorio inteso come sistema di imprese, competenze, rapporti, e dal rafforzamento della sua identità, opera nella consapevolezza che, di fronte alla sfida della globalizzazione, occorre aprirsi a connessioni, contributi, saperi esterni, ed anche alle sollecitazioni del confronto con altre realtà sociali, culturali, produttive, vicine e lontane, magari marginali e periferiche, pena l’appiattimento. Ed in questo mix si può giocare la sfida della competitività e di uno sviluppo maggiormente sostenibile sul piano sociale, economico ed ambientale. Tra i primi ad affrontare il tema dell’importanza dei luoghi nel progetto di design François Burkhardt: “La condizione postmoderna è innanzitutto un atteggiamento di fronte alle perdite di identità subite dalla società moderna... Il recupero della nozione di specificità regionale che, senza rimettere in causa la tendenza all’universalismo, consente una nuova discussione attorno al raporto fra luogo e storia, fra identità e prodotti, come seguito ai segni

che comprendono significati propri a una regione e che servono da legame nel senso di una comunità. È evidente che questi segni sono sempre esistiti, ma che, a causa di lenti meccanismi che cercano di farli sparire o di ignorarli, sono stati cancellati negli spiriti, pur essendo fisicamente presenti. Non si tratta di riprendere una discussione sulla conservazione dei valori ma piuttosto di associare culture radicate e nozioni universalistiche...”1 Tali considerazioni, frutto del dibattito che ha accompagnato il superamento della modernità, hanno assunto una crescente importanza alla luce del confronto intorno alle problematiche implicate dalla globalizzazione. “Se è vero che il radicamento rappresenta una condizione essenziale affinché questi saperi possano essere riprodotti e ricondotti alla creatività passata, è altrettanto vero che l’ibridazione è un passaggio ineluttabile per conferire ai sistemi locali artigianali vitalità e competitività e che questa ibridazione è

François Burkhardt, “La difficoltà di risolvere un rapporto sfalsato: a proposito dell’artigianato e del design”, in Ugo La Pietra (a cura di), Fatto ad arte. Arti decorative e artigianato, Edizioni della Triennale, Milano, 1997, p.18

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sicuramente tecnologica e stilistica, ma anche geografica. In altri termini, le possibilità di conservare il radicamento nelle proprie tradizioni e nel proprio territorio passa necessariamente attraverso il confronto con l’alterità che di volta in volta assume le sembianze dell’industria, del design, dell’altrove. D’altra parte territori e produzioni che tanto amiamo sono così attraenti proprio perché frutto di passaggi, incontri, contaminazioni.”2 In proposito Ezio Manzini, con lucidità, parla di “localismo cosmopolita”, una realtà che coniuga specificità dei luoghi e fenomeni indotti dalla globalizzazione e che, al di là di tendenze dominanti che oscillano tra posizioni localistiche e tradizionaliste di chiusura e la spettacolarizzazione turistica di ciò che resta della tradizione dei luoghi, opera nell’ottica di una valorizzazione sostenibile delle risorse locali (fisiche e socio-culturali).3 Il tutto con evidenti implicazioni di tipo ambientale – una produzione che si sviluppa con e non contro il territorio, l’utilizzo di fonti energetiche alternative locali, l’importanza della filiera corta per il contenimento dei consumi e la qualità dei prodotti. Quanto sopra come contributo ad un dibattito ben più ampio, che sconfina dalle tematiche inerenti il progetto, caricandosi di implicazioni che riguardano la prefigurazione di un modello produttivo, di sviluppo, sociale alternativo. Come scrive Aldo Bonomi, discutendo con altri gli scenari di una “sinistra dopo la sinistra” (post elezioni 2008), si tratta di “mettersi in mezzo, tra flussi e luoghi assumendo il territorio come nuovo spazio di azione intermedio e accompagnare le società locali nel ‘metabolizzare’ culturalmente i cambiamenti; per dirla con uno slogan, ‘mediare i flussi per accompagnare i luoghi’.”4 Design che prende posizione Se, come è ovvio per progetti di design, anche in questo caso il lavoro intorno alla forma risulta importante, centrale appare soprattutto la questione del designer come attore sociale nella sua capacità di contribuire allo sviluppo di un territorio, ma anche alla coesione sociale, alla qualità di vita di chi il territorio abita. Oggetti dotati di senso, dunque, con una storia alle spalle che deve essere spiegata, raccontata, valorizzata. Come particolare contributo ad una tematica – quella delle implicazioni etiche della professione di designer – che, Paolo Giaccaria, “Artigianato e identità. Il dilemma della cultura materiale” in Claudia De Giorgi, Claudio Germak (a cura di) Manufatto. Artigianato comunità design, Silvana, Milano, 2008, p.27 3 Ezio Manzini, Un localismo cosmopolita. Prospettive per uno sviluppo locale sostenibile ed ipotesi sul ruolo del design, www.sistemadesign.it 4 Aldo Bonomi, “Coscienza di classe, coscienza di luogo”, in AA.VV., Sinistra senza sinistra. Idee plurali per uscire dall’angolo, Feltrinelli, Milano, 2008, p.132 2

negli ultimi tempi, appare sempre più centrale nel dibattito internazionale. Così tra le categorie espositive della mostra D day Design d’aujourd’hui, organizzata dal Centre Pompidou nel 2005: “Au début du XXIe siècle, le design s’interroge plus que jamais sur lui-même, tout en réaffirmant l’importance du terrain comme l’indispensable fondament à la construction de ses savoirs. L’eau, le soleil, les dèjections humaines et animales sont autant d’énergies qui façonnent des propositions alternatives de développement que les programmes d’action des organisations non gouvernementales (ONG) et des associations relaient… La question de la responsabilité sociale et politique du designer est posée dans la vie quotidienne ou dans les formes d’expression de la démocratie. Le designer se trouve aussi confronté à des situations d’urgence, à l’exemple du logement social à New York ou de l’épidémie de sida en Afrique du Sud… Les fondements interdépendants du développement durable renvoient à la responsabilité environnementale, sociale et économique des entreprises.”5 Mentre nella presentazione del recente convegno Changing the change che ha cercato di fare il punto sulle esperienze internazionali del design per la sostenibilità: ”Sustainability must be the meta-objective of every possible design research activity. Sustainability here is intended as a systemic change to be promoted at the local and global scale. It will be obtained through a wide social learning process, re-orienting the present unsustainable transformations towards a sustainable knowledge society. Design research has to feed the social learning process towards sustainability with the needed design knowledge. That is, with visions, proposals, tools and reflections to enable different actors to collaborate and to move concrete steps towards a sustainable knowledge society.”6 In un tale scenario – che vede come centrali le macro questioni ambientali e, più in generale, della sostenibilità – rivendicare il ruolo dei territori (grandi e piccoli) come espressioni di saperi ma anche di valori e l’importanza delle connessioni tra questi e realtà vicine e lontane capaci di attivare percorsi di innovazione appare un contributo al dibattito sul ruolo del design che, più attento al sociale, interviene nel merito delle questioni intorno alla globalizzazione. Competitività dei territori L’attenzione alle tematiche di carattere sociale non esula assolutamente 5 6

cfr. AA.VV., D. Day. Le design aujourd’hui, Editions du Centre Pompidou, Paris, 2005 www.changingthechange.org


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Andrea Branzi, Animali domestici, sedia, produzione Zabro

Ugo La Pietra, Souvenir di Spilimbergo, produzione Mosaic Line

dall’importanza del design come strumento di competitività. Anzi. Forse proprio una particolare attenzione ai territori come espressione di qualità sociale e, conseguentemente, produttiva prefigura un ruolo peculiare per il nostro paese nel confronto internazionale. Così Jeremy Rifkin, prima degli ultimi sviluppi della politica del suo paese che, con l’elezione a presidente di Barack Obama, hanno riaffermato il ruolo di primo piano degli Stati Uniti come motore di innovazione sociale: “...Il sogno europeo pone l’accento sulle relazioni comunitarie più che sull’autonomia individuale, sulla diversità culturale più che sull’assimilazione, sulla qualità della vita più che sull’accumulazione di ricchezza, sullo sviluppo sostenibile più che sull’illimitata crescita materiale, sul ‘gioco profondo’ più che sull’incessante fatica, sui diritti umani universali e su quelli della natura più che sui diritti di proprietà, sulla cooperazione globale più che sull’esercizio unilate-

rale del potere… Una nuova generazione di europei porta su di sé le speranze del mondo e ciò conferisce ai poli d’Europa una responsabilità molto speciale, come quella che i nostri padri fondatori devono aver avvertito duecento anni fa, quando ad ogni angolo del pianeta si guardava all’America come ad un faro di speranza. Mi auguro che la nostra fiducia non vada delusa.”7 In particolare, per il nostro paese, Antonio Cianciullo ed Ermete Realacci formulano un’ipotesi fondata sul concetto di “soft economy” come economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione, sull’identità, la storia, la creatività, la qualità; in grado di coniugare coesione sociale e competitività e di trarre forza dalle comunità e dai territori. Così dal punto di vista competitivo, Jeremy Rifkin, The European Dream, trad. it. a cura di P. Canton, Il sogno europeo, Mondadori, Milano 2004, pp.5 e seg.

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a lato: Dipradi – Politecnico di Torino, mobile, produzione Agenzia del legno

Riproduzioni di antichi mobili alpini, produzione Agenzia del legno

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Artigianato e artigianati La rinnovata attenzione per le realtà locali è strettamente interrelata con la rivalutazione dell’artigianato. L’interesse per la produzione artigianale è elemento ricorrente nella storia del design. Non molto lontano da noi, Enzo Mari in occasione della mostra Dov’è l’artigiano? (1981) ha elaborato un’attenta ricostruzione delle diverse forme che l’artigianato ha assunto nella contemporaneità a cavallo tra i due estremi, quello di chi nel suo lavoro racchiude tutte le azioni del fare e quello in cui proprietà dei mezzi produttivi, progettazione, produzione non coincidono in una sola persona ma sono proprie di più figure.9 Mentre per Branzi, a metà degli anni ‘80, si può parlare di nuovo artigianato, come palestra di sperimentazione del giovane design italiano: “Il prototipo e la piccola serie... non si pongono più come alternativa polemica alla produzione di serie, ma piuttosto la presuppongono come possibile e successiva 8 9

Antonio Cianciullo, Ermete Realacci, Soft Economy, Bur, Milano 2005, p.8 cfr. Enzo Mari (a cura di), Dov’è l’artigiano, Electa, Firenze, 1981

fase alle esperienze progettuali che il nuovo artigianato permette. Il pezzounico infatti, il modello riproducibile solo come ripetizione limitata di un prototipo, è una conseguenza del valore sperimentale del progetto, e non una premessa teorica. In questo senso, e in maniera corretta, il nuovo artigianato si pone a fianco, o prima, della produzione di serie, e non contro di questa, dal momento che la sua esperienza è di natura non tecnica o produttiva, ma fondamentalmente espressiva. Esso compie una funzione di laboratorio privilegiato dell’industria, realizzando modelli che ampliano di molto il repertorio compositivo dell’attuale industrial design, i cui margini di rinnovamento, all’interno della sola esperienza industriale, rimangono sempre più limitati al riciclaggio di stilemi produttivi ormai ampiamente confermati.”10 In Italia i più interessanti progetti finalizzati ad una riattualizzazione di determinate realtà produttive locali sono quelli condotti, da circa 20 anni, nell’ambito della mostra Abitare il tempo di Verona, in particolare nelle sezioni Raptus Europae, Progetti e territori, Genius Loci, organizzate da Ugo La Pietra e Carlo Amadori. I principi alla base dell’esperienza, che nel tempo ha riscosso un significativo successo, appaiono riconducibili a: il lavoro sulla cultura del progetto, la riscoperta delle risorse del territorio, la rivalutazione dell’artigianato, il rapporto con la storia. Così La Pietra: “I caratteri comuni di questi oggetti sono: la ricerca e la progettazione in rapporto all’ambiente e alla storia; oggetti d’uso che possono essere messi in produzione ma che, allo stesso tempo, mantengono le virtualità proprie dell’oggetto d’arte; strumenti di rilevamento e conoscenza dei punti di conflitto e di sovrapposizione delle due discipline: arte e design; riferimenti più o meno espliciti alla tradizione e, contemporaneamente, atteggiamenti carichi di novità, di imprevisti, e di azzardi... ci portano a scoprire i valori delle piccole etnie e delle effettive risorse dei nostri territori, risorse non solo legate alle materie, ma anche alle tradizioni iconografiche differenziate geograficamente, appunto, per aree culturali.”11 Una classificazione più recente rispetto a quanto proposto da Mari è quella presentata da Claudia De Giorgi e Claudio Germak che declinano la figura in: artigiano artista (un creativo con abilità manuali, isolato a cavallo tra il sistema dell’arte e quello del design), artigiano tipico (fortemente legato ad un territorio, depositario di tecniche, processi e linguaggio di cui in genere non riesce a proporre una attualizzazione), artigiano industriale (che partecipa 10 11

Andrea Branzi, La casa calda. Esperienze del Nuovo Design Italiano, Idea Books, Milano, 1984, p.141 Per i contenuti delle mostre cfr. I cataloghi di Abitare il tempo dal 1985 ad oggi

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per Realacci e Cianciullo, “...la tendenza al declino si può invertire anche spostando l’attenzione dalla hard economy delle aziende che delocalizzano nei paesi emergenti per inseguire il basso costo del lavoro alla soft economy che scommette sulla conoscenza e sulla ricerca, crescendo insieme al territorio anziché contro; che unisce la forza propulsiva dell’industria alla capacità di tenuta nel tempo dei saperi tradizionali; che ottiene i numeri necessari alla competizione su scala globale grazie a una rete diffusa di piccole imprese piuttosto che a pochi colossi; che sa ricavare piacere e utili sia dalla difesa di un lago di montagna, sia dalla ricerca sulle particelle subatomiche; che considera la coesione sociale, oltre che un valore in sé, uno straordinario fattore produttivo.”8 Tali note assumono oggi, di fronte all’emergere in tutta la sua durezza e drammaticità della crisi di un modello economico e di sviluppo fondato sulla pressoché totale assenza di regole di convivenza civile e di condivisione sociale, un nuovo significato. Nell’ambito delle considerazioni espresse da Cianciullo e Realacci vanno così letti alcuni dei progetti presentati in questa pubblicazione come quello legato al reimpianto della canapa nelle Crete senesi, un’antica cultura che oggi, di fronte al crescente interesse per prodotti vantaggiosi in termini ambientali e di salubrità, assume un nuovo significato (cfr. pp. 58-61).


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alla creazione di un prodotto industriale con parti che contribuiscono ad impreziosirlo), artigiano tecnico (che realizza le parti tecniche oppure modelli o prototipi, o, ancora prodotti altamente tecnologici), artigiano di lusso (che opera in settori dall’alto valore aggiunto – dal gioiello alla moda).12 Mentre sulle pagine di “Abitare” si distinguono un artigianato “tradizionale” (di piccoli numeri, magari l’alta ebanisteria), “sperimentale” (fortemente innovativo, di autoproduzione), “urbano” (espressione di luoghi e territori storici), “archeologico” (frutto del lavoro di una élite, per l’élite), “outsourcing” (recupero di identità del sud del mondo o come servizio offerto da eccelenze esterne), “del riparare” (in grado di allungare o dare nuova vita alle cose), “fai-da-te” (dell’invenzione).13 Relativamente alle attuali opportunità competitive è in generale il mercato stesso, con la sua frammentazione e con un crescente interesse per il pezzo unico, che offre nuove possibilità alla produzione artigianale. Così Omar Calabrese: “Sul fronte della percezione del valore artigiano occorre distinguere tra due diversi tipi di consumo, poiché il consumo dell’artigianato ha valori propri, che possono essere anche quelli di feticcio, collezionismo, curiosità legate ad un’esperienza come quella del viaggio. Ma il valore proprio dell’artigianato può essere anche quello simile a ciò che si cerca negli alimenti tipici... voglio quella cosa perché mi dà un senso tattile per il materiale con cui è realizzata, per i segni che vi sono stati lasciati sopra da chi l’ha realizzata. In questo caso c’è una specie di ecologia della mente, una magia naturale che si innesca nel momento dell’acquisto, un mondo di sensorialità.”14 Prodotti dotati di senso, magari di valori, di un’eccellenza che va ben al di là della crescente attenzione verso il lusso, di cui molti parlano, che, in generale, ha un’accezione maggiormente globalizzata, meno colta. Così Lidewij Edelkoort, una delle più importanti trends forecaster al mondo: “La gente è stufa di trovare gli stessi negozi, gli stessi marchi, lo stesso gusto ovunque... Il ‘global style’ non esiste, è stato creato dalle aziende ma non funziona più quando i consumatori viaggiano molto. La gente cerca sempre di più l’esperienza unica, personale e quindi il gusto e il cibo veramente locali, per riqualificare l’esperienza di viaggio... Come nel XVIII secolo ci fu una reazione alla serializzazione industriale in Inghilterra, e la nascita del movimento degli Arts & Crafts, così anche oggi la gente vuole soluzioni appositamente create per sé, 12 cfr. Claudia De Giorgi, Claudio Germak, “Artigianatocomunitàdesign”, in Claudia De Giorgi, Claudio Germak, op.cit. 13 AA.VV., Quale è il legame tra artigianato tradizionale e design, “Abitare” n.491, 2009 14 Omar Calabrese (intervista a ), Artigianato, ecologia della mente, www.fi.camcom.it

coniate su misura del proprio desiderio.” E relativamente al ruolo dell’Italia, alla domanda se questa potrà occupare una posizione in primo piano: “...in teoria sì perché gli skills artigianali, per ora, in Italia ancora ci sono. Purtroppo però il livello dell’educazione nel settore del progetto e della moda, fatte poche eccezioni, non è alto, e i nuovi talenti non sono sostenuti come in altri Paesi. C’è una grande americanizzazione del Paese, anche sostenuta da una tv spazzatura che impera e ha effetti negativi sull’italianità intesa come senso innato del bello. Dall’altro lato, sostenere l’italianità non significa, come invece purtroppo accade, chiudersi allo straniero. È assolutamente necessario che, per crescere, l’Italia comprenda e accetti le migrazioni di massa e ne tragga tutti i possibili vantaggi a livello di interscambio culturale, estetico e di gusto. La capacità di aprirsi e accettare il nuovo sarà la chiave del futuro successo del made in Italy.”15 Possibilità per una produzione non serializzata, non universalizzata ma plurale, dunque, in grado di raccontare le peculiarità, magari minute del territorio di appartenenza. Una qualità che assume una crescente importanza anche di fronte ai recenti sviluppi dell’economia che stanno portando, nell’ambito di un maggiore impegno verso le problematiche socio-ambientali, ad un più consapevole interesse verso modelli di sviluppo rispettosi dei territori e, conseguentemente, verso prodotti non globalizzati che, senza peccare di vernacolarismo, ci raccontano una contemporaneità complessa. Così nel lavoro di Marco Chessa in cui echeggia la memoria di una Sardegna profonda – come in Zompeddu, sedia che richiama lo sgabello dei pastori -, il tutto reinterpretato in chiave contemporanea – si pensi allo schienale in policarbonato di Cadrea (cfr. pp. 54-57). Oggetti come prodotti culturali Il manifatturiero può derivare la sua forza anche dalla sinergia con il settore dell’agroalimentare che, più di altri, è espressione di radicamento territoriale. Ciò è valido soprattutto nel caso di contesti che nell’immaginario collettivo occupano un ruolo significativo. Tale strada di stretto rapporto con i luoghi appare ovviamente più difficile là dove il contesto non è chiaramente connotato ed è scarsamente presente sul piano culturale. Così Giacomo Mojoli dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, parlando dell’esperienza di Slow Food: “Definimmo questa contaminazione ‘sensorialità sostenibile’, cominciando a immaginare in quel contesto un cibo 15

In Laura Traldi, Il design? Mai più ovvio e banale, “Interni” n.589, 2008


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Natanel Gluska, 69 seat, seduta a lato: Markkku Kosonen, Coat willow basket, cestino

che fosse buono da mangiare ma anche buono da pensare e ci prefigurammo, al tempo stesso, un prodotto di design bello da vedere ma anche buono da progettare, riprodurre e utilizzare... Slow Food ha proposto una visione, un modo di pensare e di agire che si è oggi esteso oltre il cibo, fino a ispirare un modo nuovo ed eco-compatibile di concepire lo sviluppo e l’economia, tanto quella locale come quella globale. La scommessa iniziale era che riqualificando i saperi tradizionali si sarebbero attivati processi virtuosi che avrebbero ricongiunto la qualità dei prodotti con quella del loro ambiente e delle forme sociali che li generano.”16 16 Giacomo Mojoli, Oltre il food design per una sensorialità sostenibile, “Il piacere di pensare al cibo” n.1, 2007

È la logica del progetto per alcuni presidi slowfood della Toscana in cui particolari prodotti dell’agroalimentare – il più conosciuto lardo di Colonnata, ma anche la farina di castagne della Lunigiana ed i fagioli zolfini dell’Aretino – sono abbinati, completati, da oggetti del manifatturiero che traggono da questi un valore aggiunto territoriale (cfr. pp. 66-69). Progetti che ci parlano anche di un nuovo modo di guardare alla montagna ed al modello di vita che questa ancora esprime. Così Marco Revelli, figlio di Nuto che, alla fine degli anni ‘70 aveva descritto il tramonto della campagna povera del cuneense ne Il mondo dei Vinti: “Le nuove interviste, questa ricognizione dell’universo che mio padre aveva descritto nel momento dello spegnimento e dell’abbandono, dimostrano che i ‘vinti’, in un certo senso, hanno iniziato a vincere qualcosa. Loro non ci sono più, ma molti dei discendenti continuano a essere un mondo, pur essendo diversi dai nonni o dai genitori. Rappresentano un


20 territori & connessioni Marta Laudani e Marco Romanelli con Filippo Francescangeli, Cisto, tappeto, produzione Laboratorio Su Terlarzu

Tomoku Mizu, Osilo, contenitore, produzione Alessandra Bennici

mondo completamente nuovo, non omologato alla cultura urbana, consapevole dei problemi odierni, in cui prosegue il legame con la terra e si affaccia il desiderio di socialità, avvolti dalla natura, standoci dentro in modo umano.”17

Il legame con l’agroalimentare è presente anche nella tesi che sviluppa soluzioni in parallelo per le tradizioni ceramiche umbre e calabresi, ora legandole ad una manifestazione ormai affermata (e, forse, eccessivamente globalizzata) come Eurochocolate ora a piccole tradizioni locali come quella della ’nduja (cfr. pp. 62-65). O ancora nella tesi per la ceramica di Caltagirone; in questo caso, al di là dell’abbinamento con l’agroalimentare, per cui sono pro-

17

Massimo Novelli, Il riscatto del mondo dei vinti, “la Repubblica” 1 febbraio 2009


21 territori & connessioni

Marcella Toninello, Patrizio Cardella, Pentagon, cioccolatini a lato: Wieki Somers, My Butterflies, bicchieri

poste tipologie nuove come il contenitore-portaintavola per arancini, si opera recuperando forme della tradizione alle quale vengono attribuite nuove funzioni: la pigna tanto presente nella storia della ceramica sciliana diventa lampada o portacandele, la civetta augurale diviene una brocca per acqua o vino, le luminare lui e lei si trasformano, semplificate, sintetizzate, astratte in vasi-contenitori che non perdono i riferimenti antropomorfi ma si fanno più contemporanei (cfr. pp. 50-53). Ma il progetto del territorio è anche un design che si interfaccia direttamente con il settore dei beni culturali e con il turismo di qualità intesi come vero plus competitivo dei territori che compongono il nostro paese. Il contributo del design alla valorizzazione di un territorio, con un’attenzione particolare ai beni culturali, è approfondito in Design, territorio e patrimonio culturale che documenta i workshop organizzati sul tema dall’Università di Napoli dal 2003 al 2005. Così Maria Benedetta Spadolini e Paola Gambaro: “una corretta ed efficace combinazione di cultura, ambiente e turismo può determinare… soluzioni imprenditoriali nuove capaci di generare crescita economica ed occupazionale, stabilità e competitività ma anche migliore qualità di vita sia per turisti che per residenti. Il patrimonio culturale ed ambientale di cui l’Italia dispone, rappresenta un elemento di fortissimo

richiamo per il turismo nazionale ma un suo sviluppo disordinato e non controllato può causare problemi ambientali e sociali e compromettere le valenze positive... A questi riferimenti si relaziona l’interesse del designer per la valorizzazione dei beni culturali, inserendosi nell’area di ricerca che ha visto porre le prime basi sul tema del design per lo sviluppo locale, riconoscendo nel capitale territoriale la risorsa strategica su cui far leva per promuovere economia e cultura.”18 Mentre Eleonora Lupo prefigura una possibile teoria, ricerca e pratica del design per i beni culturali, muovendo dalla considerazione che la loro valorizzazione è obiettivo strategico per il rilancio del Sistema Italia, nella consapevolezza che questi non possono essere considerati solo come risorsa ma come “patrimonio identitario e civile di memoria, la cui socializzazione è necessaria per attivare processi di intergrazione, riconoscimento e appartenenza degli individui e delle comunità.”19 È all’interno di tale scenario che va letta l’esperienza di Droog Design cui è spettato il compito di raccontare un territorio con il progetto Couleur locale per Oranienbaum, piccola città della Germania dell’Est, che ha portato alla 18 Paola Gambaro, Maria Benedetta Spadolini, “D:Cult.: il design per i beni culturali tra ricerca e sperimentazione”, in Vincenzo Cristallo, Ermanno Guida, Alfonso Morone, Marina Parente, Design, territorio e patrimonio culturale, Clean, Napoli 2006, pp.27-28 19 Eleonora Lupo, Il design per i beni culturali. Pratiche e processi innovativi di valorizzazione, Franco Angeli, Milano, 2009, p.14


Droog Design, progetti realizzati nell’ambito di Coleur locale for Oranienbaum: Marcel Wanders, Willow chair Martì Guixé, caramella, con seme di pioppo e bastoncino segnalatore Martì Guixé, vaso a camera Hella Jongerius, Picknick seats 22 territori & connessioni


Ritualità delle cose Lavorare sui territori, sui piccoli territori, su tradizioni produttive antiche di cui magari oggi poco rimane ha un significato che va ben al di là degli aspetti strettamente economici. Di fronte ad una progressiva deritualizzazione degli oggetti che ci circondano dovuta alla loro infinita moltiplicazione, alla indeterminatezza – non si sa più chi li ha realizzati, come e, sempre più spesso, dove -, alla loro superficialità simbolica, la produzione artigianale può assumere un nuovo significato: non più, come abbiamo visto, una spe20 21

cfr. www.droog.com cfr. Claudio Gambardella (a cura di), I love Pompei, Electa, Napoli, 2002

rimentazione prima della produzione industriale (Nuovo Design Italiano) o solo espressione di una plurale produzione locale (alla Abitare il tempo), ma anche costruzione di cose che, caricandosi di significati profondi, quasi ci parlano, stimolando nuove affettività. “Come ci spiegano gli antropologi, gli stessi manufatti preistorici erano il risultato di culture sciamaniche che indagavano le misteriose relazioni esistenti tra la rotazione del tornio e le leggi cosmiche che guidano il moto rotatorio delle stelle; oppure tra il fuoco che fonde i metalli e le energie magiche del sottosuolo; tra il battere del telaio primitivo e il succedersi dei cicli della vita e della morte. L’origine delle tecnologie primitive non è mai stata determinata dal caso, ma dalla faticosa mediazione tra significati cosmici e risultati tecnici; tra la solitudine dei nostri padri e la ricerca di relazioni ‘alte’, in grado di dare senso a quella solitudine planetaria.”22 “La storia dell’etnologia (scienza comparativa delle culture umane, che come disciplina scientifica incentra la sua ricerca sulle relazioni e le interazioni delle comunità etniche) insegna che al processo di avanzamento delle civiltà verso una società industrializzata corrisponde un assorbimento continuo delle unità sociali o tribù, da parte di unità più grandi e più forti di popolazioni. Spariscono allora gli oggetti rituali, i segni specifici e le tradizioni che hanno lasciato nella storia ricche testimonianze di una grande varietà e diversità di forme sociali e oggetti magici.”23 Così in Suber Rebus i prodotti si caricano di significati quasi archetipici recuperando, per forme e significati, elementi sacrali della Sardegna più antica, dalle janas ai mamuthones, alle pietre megalitiche (cfr. pp. 38-41). Mentre nel caso di mortai e pestelli calabresi i prodotti si presentano senza tempo, nelle forme essenziali potrebbero essere nati migliaia di anni fa (cfr. pp. 42-45). Una strada, quella che contrappone al nostro immaginario sempre più materialista, economicista e tecnicista, un “reincanto del mondo”24, sicuramente difficile da percorrere. Con Pierpaolo Pasolini: “...Io sono sempre più scandalizzato dalll’assenza di senso di sacro dei miei contemporanei25...La polemica contro la sacralità e i sentimenti, da parte degli intellettuali progressisti... è inutile. Oppure è utile al potere26...Io difendo il sacro perché è la parte dell’uoAndrea Branzi (a cura di), Capire il design, Giunti, Firenze 2007, pp. 11-12 François Burkhardt, op.cit, pp.8-9 24 Per il concetto di reicanto, si confronti: Serge Latouche, Entre mondialisation et décroissance. L’autre Afrique, 2007; trad. it. a cura di Vito Carassi, Mondializzazione e decrescita. L’alternativa africana, Dedalo, Bari, 2009 25 Pierpaolo Pasolini (a cura di Jean Duflot), Il sogno del centauro, Editori Riuniti, Roma, 1983, p.81 26 Pierpaolo Pasolini, Lettere luterane, Einaudi, Torino, 1976, p.21 22 23

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definizione di prodotti che “rispondono a quello che la regione ha da offrire e che devono essere prodotti in grado di rianimare l’attività economica, attirare turisti e portare gioia di vivere negli abitanti della Regione”,20 disegnati da designer quali Marcel Wanders ed Hella Jongerius; mentre, relativamente al tema del merchandising, il progetto I love Pompei, coordinato da Claudio Gambardella dell’Università di Napoli che ha coinvolto un gruppo di progettisti (tra cui Andrea Branzi, David Palterer, Isao Hosoe, Massimo Iosa Ghini...) e che, muovendo dalla constatazione della fruzione veloce degli scavi (al massimo 3 ore), di un “luogo del mito” spesso banalizzato dal ciarpame delle bancherelle, ha riaffermato la necessità di un lavoro altro, condotto con piccoli artigiani non avvezzi a lavorare insieme a designer, non frutto di imitazione ma di interpretazione.21 È con questa logica che nasce il già citato progetto di contenitori in cotto e canapa per le Creti Senesi in cui un’antica gestualità, quella del contadino che trasporta il suo misero pasto, del cercatore di tartufo, del tornitore, diventano pretesto per la generazione di forma (cfr. ancora pp. 58-61), In un contesto siffatto e nell’ottica di un’attenzione, come sopra descritta, per le realtà locali, anche di piccola dimensione, il design può divenire ancora supporto in grado di potenziare la rete dei musei del territorio. Siano quello del ghiaccio – un museo che non esiste ma del quale si auspica la creazione – nella valle del Reno in Provincia di Pistoia; un progetto particolare sulla immaterialità della sostanza, su oggetti “vicini” per tipologia – il bicchiere da whisky, il portaghiaccio -, sul loro imballaggio, sulla comunicazione – dalla cartolina alla t-shirt (cfr. pp. 74-77); oppure il progetto per le Vie del verde nella provincia di Pistoia per le quali si ipotizzano oggetti memoria che esaltano piante, fiori e frutti ed una comunicazione mirata (cfr. pp. 70-73).


mo che offre meno resistenza alla profanazione del potere27...Mi rendo conto d’altronde, che in questa mia nostalgia di un sacro idealizzato e forse mai esistito... c’è qualcosa di sbagliato, di irrazionale, di tradizionalista.”28

24 territori & connessioni Claudia Naso Onofrio, t-shirt per l’Ecomuseo della canapa di Bentivoglio, tesi di laurea, Corso di Laurea in Disegno Industriale di Firenze Daniela Piscitelli, Phard, cartolina folle, progetto I love Pompei

Creatività ‘altre’ Ma riaffermare l’importanza dell’identità dei territori come strumento di rafforzamento delle produzioni non significa chiusura verso il confronto, negazione del contributo in termini di innovazione che può venire dall’esterno. Anzi, proprio in un misurato incontro, in uno scambio calibrato, in un attento mix tra particolarismi si gioca il futuro delle economie e, dunque, del progetto dei territori e, più in generale, la sfida di una nuova socialità. Così Rullani: “Riscoprendo il ruolo centrale della conoscenza tacita, anche nelle forme di apprendimento moderno, si fa dunque un doppio passaggio: da un lato si torna indietro, alle condizioni della produzione pre-moderna; dall’altro si guarda avanti, verso una diversa concezione di modernità in cui il sapere tacito e l’apprendimento evolutivo siano impiegati per gestire la complessità generata dalle forme artificiali di sapere... Pure essendo vecchia e pre-moderna, la conoscenza tacita ha un grande vantaggio: non è facilmente riproducibile e non è facilmente propagabile...” In chiave competitiva “il primo cambiamento che richiede un elevato sforzo di investimento... riguarda il rapporto fra sapere informale e sapere formale... Tutto ciò continuando a coltivare le proprie differenze originali, sviluppando idee e competenze innovative, diverse da quelle disponibili nel sapere globale... Infine nei paesi dell’economia globale bisogna andarci a imparare a operare. Servono conoscenze inter-culturali e trans-nazionali... serve un approccio dialogico – di interazione e interpretazione reciproca con altri uomini ed altre culture.”29 Un contributo che può venire anche attraverso forme finora impensabili, all’interno di uno scenario che, come suggerisce Nicola Bellini, vede “la marginalità come opportunità”, ridefinendo il concetto di “periferia” e proponendo quello di “periferie connesse” come nuovi poli di crescita e di innovazione.30 Il confronto e lo scambio avvengono innanzitutto vicino a noi. La predisposizione a ricevere l’altro, il tema dell’accoglienza, la sfida della multietnicità, la ricerca di un’integrazione da non intendersi come assimilazione, con tutte le Pierpaolo Pasolini (a cura di Jean Duflot), op.cit., p.82 Ivi, p.82 29 cfr. Enzo Rullani, Economia della Conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti, Carocci, Roma 2004 30 Nicola Bellini, Intervento al convegno Mediterranée et identité. Strategies, projets, communication et marché, Firenze, 9 giugno 2006 27 28


Umberto Eco, Cinque scritti morali, Bompiani, Milano 1997, p.107 Umberto Eco, “Quando entra in scena l’altro nasce l’etica”, in Carlo Maria Martini e id., In cosa crede chi non crede?, Atlante editoriale, Roma, 1996, p.72 33 Wilhelm Weischedel, Skeptische Ethik, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am main, 1976; trad. it. a cura di R. Garaventa, Etica scettica, Il Melangolo, Genova, 1998 34 cfr. Vittoria Franco, Etiche possibili. Il paradosso della morale dopo la morte di Dio, Donzelli, Roma, 1996 35 Anna Elisabetta Galeotti, “Integrazione” in AA.VV., Sinistra senza sinistra. Idee plurali per uscire dall’angolo, op.cit., pp.171-172 31

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una cultura universale, che non esiste, ma di conservare una sufficiente distanza critica affinché la cultura dell’altro conferisca senso alla nostra.”36 Alcune esperienze maturate all’interno del progetto Geodesign, promosso da Torino 2008 World Design Capital si muovono proprio con tale logica. Il tutto all’interno di un ben più ampio scenario – “Eppure... il grande e profondo motore del design italiano può oggi ripartire. Può tornare a pompare forme e soluzioni, alimentandosi di esperienze pratiche e di nuove tecnologie, sfornando prodotti ad alto valore estetico e simbolico. Purché si abbandoni una volta per tutte una compiacente nostalgia (che favorisce solo coloro che sopravvivono grazie alla celebrazione di un mito) si accetti di guardare in faccia la nuova realtà delle nostre città. Che sono oggi la culla di grandi società cosmopolite, dove non solo le pratiche del consumo e gli stili di vita sono plurali, ma anche le tradizioni artigianali e i bisogni sono molto più articolati e complessi di tre decenni fa... è la sperimentazione, in una città mondo, dell’idea che il design possa tornare ad essere un fattore di coesione e integrazione sociale e culturale.”37 Così il progetto di tappeti di Paolo Zani per la comunità rumena che rilegge in maniera contemporanea un importante elemento simbolico/affettivo (il tappeto, appunto, posto sul pavimento ma anche a parete) della cultura di questo popolo; la rivista “Albania 1 e 1000” del gruppo Motore di ricerca, spazio di mediazione e di dialogo interculturale; il contenitore termico trasformabile per alimenti che risponde al sistema di controllo internazionale in materia di igiene per le feste all’aperto della comunità peruviana di Giulia e Valerio Vinaccia; la trasmissione radio dedicata agli stranieri residenti a Torino ma non solo, promossa dall’Associazione M.I Africa che, nella definizione di alcuni prodotti grafici, ha visto il lavoro di Odoardo Fioravanti. Con tale logica in questo libro nascono i progetti che affrontano il tema dell’integrazione della comunità rom attraverso una rivalutazione della lavorazione del rame propria di questa cultura (cfr. pp. 104-107), o Meet with taste che ha portato alla realizzazione di un “luogo” d’incontro intorno alla tavola con una tra le comunità straniere più numerose d’Italia, quella dei cinesi a Prato (cfr. pp. 84-87). Su tematiche analoghe troviamo esperienze anche nell’ambito del già citato Geodesign: le stufe progettate dal Laboratorio architettura nomade (che lavora in tutta l’Europa con i rom) e realizzate Serge Latouche, op.cit, pp.76-77 Stefano Boeri, “Il design, la città e i desideri”, in Stefano Boeri, Lucia Tozzi, Stefano Mirti (a cura di), Geodesign. La mobilitazione dell’intelligenza collettiva. 48 progetti per Torino, Abitare Segesta, Milano, 2008, p.8 36 37

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difficoltà che comportano, ad un’analisi non superficiale offrono prospettive impensabili. Così Umberto Eco, qualche anno fa di fronte all’affermarsi della multietnicità: “Gli intellettuali non possono battersi contro l’intolleranza selvaggia, perché di fronte alla pura animalità senza pensiero il pensiero si trova disarmato. Ma è troppo tardi quando si battono contro l’intolleranza dottrinale, perché quando l’intolleranza si fa dottrina è troppo tardi per batterla, e coloro che dovrebbero farlo ne diventano le prime vittime. Eppure lì sta la sfida: educare alla tolleranza gli adulti che si sparano addosso per ragioni etniche e religiose è tempo perso. Troppo tardi. Dunque l’intolleranza selvaggia si batte alle radici, attraverso un’educazione costante che inizi dalla più tenera infanzia, prima che sia scritta in un libro, e prima che diventi crosta comportamentale troppo spessa e dura.”31 Ed ancora Eco in colloquio con il cardinale Carlo Maria Martini, soffermandosi sul concetto di “Altro in noi”: “dobbiamo innanzitutto rispettare i diritti della corporalità altrui, tra i quali anche il diritto di parlare e pensare. Se in nostri simili avessero rispettato questi diritti del corpo non avremmo avuto la strage degli innocenti, i cristiani nel circo, la notte di San Bartolomeo, il rogo per gli eretici, i campi di sterminio, la censura, i bambini in miniera, gli stupri in Bosnia.”32 Il rispetto dell’altro appare alla base di un’etica necessariamente multiforme, “scettica”,33 perché senza fondamenti assoluti. Vittoria Franco parla così, con felice definizione, di “Sfida creativa verso l’altro”,34 un’espressione sicuramente efficace anche per il tema oggetto di questo testo. “...L’integrazione oggi non può voler dire assimilazione al nostro modello culturale, posto che ne esista uno, univoco e compatto. La richiesta di assimilazione è iniqua perché comporta che il costo dell’adattamento sia pagato esclusivamente dai migranti, in termini di libertà del loro stile di vita. Poiché la società democratica è intrinsecamente pluralista e riconosce a ciascuno il diritto di libertà di pensiero, religione, associazione e stili di vita, la richiesta di uniformarsi ai nostri usi e costumi per niente uniformi è insieme contraddittoria e discriminatoria.”35 Mentre Serge Latouche: “Non si tratta... di immaginare


segnazione in protagonismo sociale ed economico. Per trasformare il ruolo delle istituzioni locali da semplici erogatori di risorse in stimolatori di una domanda che può generare decine di nuove realtà imprenditoriali.”38 Nelle tesi qui presentate la ricerca va oltre ipotizzando sul manifatturiero possibili sinergie in grado di guardare alla alterità, talvolta marginalità, come ad un valore aggiunto. Per la realizzazione di prodotti che riescono a ritagliarsi una propria peculiarità e, magari, un plus competitivo, nella loro connotazione sociale.

26 territori & connessioni OLPC (One Laptop Per Child), produzione Fuseprojet

dalla comunità kalderasha, che, in rumeno, variante dialettale, significa appunto “calderaio”; il progetto Chinatown a Milano di Map Office finalizzato a raccontare la vita e le attività della china-town milanese da tempo al centro di un accanito dibattito. Ancora Boeri: “...la scommessa che l’invenzione e la produzione di oggetti d’uso possono essere anche una grande occasione d’integrazione e riscatto per le minoranze culturali, religiose, linguistiche che abitano le nostre società urbane. Sono una sfida per ribaltare la loro ras-

Progetto e decolonizzazione Il tema del confronto è coniugato al di fuori del contesto italiano con un occhio di riguardo per i paesi del Sud del mondo. Con una definizione di Nord e Sud che non contiene giudizi di valore. D’altronde, come scrive Lorenzo Imbesi: “Se la stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta vivrà molto presto nelle grandi metropoli globali, e il trend non sembra essere destinato a diminuire, questi”, (concentrazione demografica, disparità, conflitti) “saranno gli scenari dell’emergenza su cui la produzione e il progetto si dovranno misurare. Insomma, se è vero che il globale è ormai diventato il modo d’essere del locale, e sembra un processo irreversibile, la domanda è: ha ancora una qualche importanza parlare di Nord e Sud del mondo? O piuttosto, non è vero che possiamo rintracciare tanti Sud nel Nord come tanti Nord nei vari Sud del mondo? O anche tante periferie nel centro e tanti centri nelle periferie?.”39 Semmai con Franco Cassano: “la modernizzazione del Sud è una modernizzazione imperfetta o insufficiente o non è piuttosto l’unica modernizzazione possibile, la modernizzazione reale?”40 È alla metà degli anni ’60 che, nell’ottica di un più ampio interesse verso le implicazioni di carattere socio-politico, per la prima volta, ricerca e progetto si sono interrogati sul contributo che il design può dare allo sviluppo dei paesi del Sud del mondo. Esperienze come quelle della Esdi di Rio de Janeiro, prima scuola brasiliana di disegno industriale e di Sudhakar Nadkarni in India41 sono figlie della diaspora ulmiana e dell’idea di designer come professionista critico. Di questi anni anche i primi contributi di carattere teorico. Stefano Boeri, op.cit., p.8 Lorenzo Imbesi, “La questione etica nel design”, in AA.VV., South out there, 2008, p.32 40 Franco Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari, 1996, p.3 41 Sull’esperienza della Scuola di Ulm e sul lavoro dei suoi allievi si confronti Il contributo della scuola di Ulm, “Rassegna”, settembre 1984 38 39


42 cfr. Victor Papanek, Design for the real world, 1970; trad. it. a cura di G. Morbelli, Progettare per il mondo reale, Mondadori, Milano, 1973 43 cfr. Gui Bonsiepe, Teoria e pratica del disegno industriale. Elementi per una manualistica critica, Feltrinelli, Milano, 1975 44 cfr. Lina Bo Bardi, L’impasse del design. L’esperienza del Nordest del Brasile, Charta, Milano, 1995

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Così Victor Papanek,42 muovendo dal presupposto che: “Il disegno pubblicitario, che tende a persuadere la gente ad acquistare cose di cui non ha bisogno, con denaro che non ha, allo scopo di impressionare altre persone che non ci pensano per niente, è forse quanto di più falso oggi possa esistere. Subito dopo arriva la progettazione industriale, che appronta le sgargianti idiozie propagandate dagli esperti pubblicitari”, per uscire da tale impasse, prefigura la necessità di individuare nuovi settori di intervento del design: “È abbastanza chiaro che oggi c’è bisogno di una nuova crociata. Vaste aree di bisogno e, allo stesso tempo, di bisogno di progetti esistono dovunque nel mondo. Il designer deve decidere... di bussare a porte che non sono mai state aperte prima... l’UNESCO, l’UNICEF e molte altre organizzazioni (di diverso colore politico) in centinaia di aree che si interessano del problema delle necessità ottimali di sopravvivenza umana, sono alcune direzioni verso le quali i designers possono muoversi”. Su posizioni analoghe anche Gui Bonsiepe che, citando Marcuse, guarda alla possibilità che nei paesi del Sud si affermi un modello di sviluppo alternativo al nostro. Il quest’ottica la progettazione può presentarsi come decolonizzazione che si affida alla produzione di oggetti con materiali locali ed a bassa tecnologia; all’intensità di lavoro e non di capitale; al preservare le identità culturali; al lavorare per le classi meno abbienti. Concretamente Bonsiepe applica questi principi nel Cile di Unidad Popular di Salvatore Allende nel quale realizza un gruppo di lavoro che si prefigge obiettivi quali diminuzione delle importazioni; risparmio nel pagamento di brevetti, modelli e marchi; soddisfacimento di veri bisogni; utilizzazione razionale delle capacità industriali locali; standardizzazione dei componenti, sottoinsiemi e prodotti, per semplificare la produzione, abbassare i costi ed ottenere miglioramenti tecnico-funzionali; riduzione e definizione dei tipi di prodotti; creazione di presupposti per una cultura materiale propria.43 Tra le esperienze condotte nei paesi del Sud, con un approccio non progettuale ma principalmente analitico, il lavoro in Brasile di Lina Bo Bardi,44 apertamente schierata contro l’industrializzazione selvaggia del paese, la proliferazione speculativa del design che, troppo spesso, porta alla produzione di oggetti-gadgets, nella maggioranza dei casi superflui e conduce alla fine di

Stfano Giovannoni, allestimento vetrina in via Paolo Sarpi a Milano nell’ambito del progetto Milano-Cina, promosso da Naba

una vera cultura autoctona. Di qui, per Bo Bardi, la necessità di fare un bilancio e allo stesso tempo di proteggere la cultura popolare; non è il folklore, ma una storia vista dall’altra parte, fortemente attiva e profondamente sentita. “È il nordestino di cuoio e delle latte vuote, è l’ambiente delle ‘vilas’, è il negro e l’indio. Una massa che inventa, che porta un contributo indigesto, secco, duro da digerire”. Siamo di fronte ad una radicale revisione delle utopie che erano alla base del Movimento Moderno: “Se il problema è fondamental-


28 territori & connessioni Laboratorio Architettura Nomade, stufa realizzata con la comunità rom Kalderasha a lato: Katrina Furniture Project, seduta e tavolo d’emergenza per gli sfollati dell’uragano Katrina

mente politico-economico, il lavoro dell’’agente’ nel campo del ‘disegno’ è, nonostante tutto, fondamentale. È quello che Brecht chiamava ‘la capacità di dire no’”. No alla società così concepita, no al modello di vita attuale. Con la cosciente, amara, consapevolezza – si pensi agli ostacoli frapposti al lavoro dalla dittatura brasiliana – che “tutto questo è destinato inevitabilmente a cadere nel vuoto”. Oggi, dopo anni di scarsa attenzione alle implicazioni sociali della professione, un design che ha avvertito nuovamente l’urgenza di un approccio più critico al progetto guarda con rinnovata attenzione ai paesi del Sud del mondo. Il tema è ampio; con un’attenzione principalmente dedicata alle grandi problematiche – fame, acqua, energia. In tal senso, l’esperienza più importante è sicuramente rappresentata dalla recente mostra del Cooper-Hewitt, National Design Museum, Design for the other 90%.45 Ma anche l’attenzione verso 45 cfr. AA.VV., Design for the other 90%, Cooper-Hewitt, National Design Museum Smithsonian Istitution, New York, 2007

le tematiche più strettamente legate allo sviluppo produttivo è crescente; l’interesse nasce anche dal tentativo di recuperare la carica creativa di realtà ancora non contaminate dalla globalizzazione, per un mercato maggiormente sensibile a prodotti particolari, magari unici. In più sono passati quasi quaranta anni dai lavori di Papanek, Bonsiepe e Bo Bardi ma la situazione dei paesi del Sud in troppi casi non è cambiata ed anzi il divario economico, se possibile, si è addirittura incrementato. Design con i Sud del mondo Tra gli attuali contributi del design alla cooperazione internazionale l’esperienza più strutturata appare sicuramente quella promossa dalla Design Academy di Eindhoven che, nell’ambito del Master in Man and Humanity, prevede tre aree tematiche Globale, Locale e Personale. È nella sezione Globale che si sono attuati i progetti più pertinenti alle considerazioni qui presentate con workshops realizzati in diverse realtà locali.


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Ivo Pons, Puf-Ouriço, pouf realizzato con jeans di recupero da scarti industriali, produzione Projeto Florescer a lato: Dina Broide, borse in tessuto prodotte con residui dell’industria tessile a São Paulo

La prima esperienza della Design Academy è stata condotta in Brasile con il progetto Design Solidàrio (2001)46 che si è sviluppato a Serrita, un villaggio dello stato del Pernambuco e a São Paulo, presso l’Associação Comunitaria Monte Azul. Alla base del lavoro con l’ONG il tentativo di introdurre nuove soluzioni nella lavorazione rivolte ad un ampliamento di mercato. In particolare gli studenti hanno ipotizzato di utilizzare un legno meno pesante e più flessibile per la costruzione di utensili da cucina, lampade e piccoli oggetti d’arredo; con la carta riciclata hanno proposto la realizzazione di piatti e ciotole invece che semplici cartoline di auguri; hanno sostituito le sagome ritenute eccessivamente severe delle bambole di pezza, frutto del precedente lavoro di ONG tedesche, con forme più divertenti utilizzabili anche come zaini. Nel secondo progetto il contesto di intervento è stato il Kenya, con il progetto Enjoy the difference (2002) che ha visto il coinvolgimento di artigiani che 46

AA.VV., Brasil > Holland. A design match, Design Academy Eindhoven, Eindhoven, 2002

lavorano nei settori della gioielleria, paglia e banano, tessuti, metallo, legno, pietra e ceramica. Le difficoltà che inizialmente si presentano in interventi di questo tipo sono ben riassunte da Vera Winthagen, unica studentessa olandese di un gruppo di lavoro fortemente transnazionale: “Non potevo produrre idee perché pensavo che tutto ciò a cui lavoravo fosse inutile. Mi chiedevo se questo apparisse come risultato del calore, dell’atmosfera del villaggio o più propriamente come frutto di una attitudine africana alla vita. Era molto difficile lottare contro questo sentimento negativo... forse sarebbe stato meglio lasciare tutto, regalare il mio denaro e tornare in Olanda. Poi una sera siamo stati invitati a cena a casa di Salome, leader del gruppo degli intagliatori, e anche unica donna; nel momento in cui siamo entrati nella sua casa la mia percezione della realtà è completamente cambiata. Era chiaro che la famiglia di Salome aveva una differente percezione del mondo; benché la situazione fosse la stessa, Salome e la sua famiglia avevano fatto delle scelte... potevi sentire che volevano realizzare qualcosa al di fuori del quotidiano mentre dall’altra parte c’eravamo noi, gli studenti, appena sfiorati dalla vita... questo ambiente mi ha dato una speranza... il progetto esiste perché c’è una situazione che vuoi cambiare; riguarda l’azione e il movimento... il design è


30 territori & connessioni Carlos Motta, poltrona a dondolo in legno di recupero, produzione Fàbrica de Cadeiras São Paulo a lato: Fatima Bueno, segnalibri, in legni vari dell’Amazzonia come sensibilizzazione alla biodiversità, produzione Marcenaria Fatima Bueno

espressione di speranza... Tutto ciò forse riflette il modo occidentale di pensare perché implica che puoi agire e cambiare la realtà... Possono essere utili per Salome e la sua famiglia queste conclusioni? Il pericolo di condividere questa intuizione è quello di imporre (ancora una volta?) il nostro modo occidentale; ma d’altra parte vorrei dare ad alcune persone più speranza rendendole capaci di migliorare la loro vita quotidiana. Forse proprio con un po’ più di speranza loro non avranno più bisogno di noi; una situazione ideale.”47 Nel 2003 l’attenzione si è spostata in Perù attraverso la collaborazione con l’ONG Allpa con sede presso Lima. L’obiettivo del progetto Made in Perù è stato quello di contribuire ad accrescere le opportunità di mercato locale ed anche internazionale degli artigiani coinvolti. Superate le inevitabili difficoltà iniziali dovute a problemi di comunicazione ed anche alle eccessive aspettative della comunità locale, sono stati realizzati oggetti in ceramica e tessuto (coloratissime bambole) che sono stati esposti in una mostra che si è tenuta a Francoforte. Il guadagno ottenuto dalla vendita dei prodotti è stato utilizzato per creare un fondo di assistenza per giovani designer peruviani 47 cfr. AA.VV., Enjoy the difference. A design journey in Kenya, Design Academy Eindhoven, Eindhoven, 2004 – traduzione a cura dell’autore

disposti a lavorare con realtà artigianali locali su progetti di innovazione. Il progetto Home in India48 (2004) si è incentrato sul tema degli oggetti per la casa rivolti al mercato locale ed internazionale al fine di contribuire ad un miglioramento delle condizioni economiche degli artigiani di diversi settori produttivi (dalla lavorazione della pelle al legno, dal tessuto alla ceramica, al metallo riciclato). Home in India ha dovuto superare la ritrosia iniziale degli artigiani che inizialmente si sono espressi in maniera fortemente negativa nei confronti di contributi provenienti dall’esterno. In particolare nel caso dei tessuti, si è lavorato sul ricamo attualmente realizzato su federe per cuscini, portafogli, borse, sacche… recuperando il fantasioso cromatismo dei prodotti destinati al mercato locale in quelli rivolti ai mercati internazionali da sempre più anonimi. Si è poi chiesto alle ricamatrici di raccontare con il disegno la loro vita; operazione che ha portato ad un aumento del valore dei pezzi e ad una cresciuta consapevolezza delle ricamatrici che si sono sentite partecipi della fase di progettazione. Inoltre, superando le iniziali remore, sono stati sperimentati ricami su materiali alternativi: plastica, carta da parati, nylon, adesivi, foglie, lana ed altri tessuti. Un’altra sfida è stata quella di pensare al ricamo come parte integrante ed essenziale del prodotto e non come accessorio facoltativo, in modo da creare una coerenza tra decorazione ed oggetto. Sono state infine elaborate strategie di marketing, sviluppo 48

cfr. AA.VV., Design+Crafts. Dutch Kutch, Design Academy Eindhoven, Eindhoven, 2004


49 AA.VV., Workshops à Dakar. Collectif de designers, Jean-Michel Place, Paris, 2004 – traduzione a cura dell’autore

Studenti di Disegno Industriale di San Marino e dello IUAV di Venezia, Design Beyond the Borders of Development, scola posate e porta coltelli realizzati nell’ambito del progetto SuDesign in Vietnam

Studenti di Disegno Industriale di San Marino e dello IUAV di Venezia, Design Beyond the Borders of Development, sgabello

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di oggetti dalla forte identità locale come i souvenir, promozione attraverso cartelloni stradali e depliant negli alberghi. Al di là del lavoro della Design Academy, interessante anche il progetto di collaborazione tra la Biennale di Dakar e quella di Saint-Étienne che nel 2003 ha riunito per tre settimane di lavoro designers africani e francesi. Le regole del gioco, come evidenziato dalla pubblicazione che raccoglie i risultati del progetto, concernevano nella concezione e realizzazione di un oggetto con le risorse umane, naturali, materiali e tecniche della regione ed in reale partenariato con gli artigiani locali. La peculiarità principale dell’operazione emerge chiaramente: “l’obiettivo enunciato vede l’implicazione dell’artigianato locale nel e verso il design, una valorizzazione del saper fare artigianale in un campo che svilupperà queste ricchezze e potenzialità creative senza riassorbirle nel pittoresco né nella diffusione omogeneizzante dei modelli. Un progetto di design sarà messo alla prova delle sue pretese e davanti alle sue responsabilità etiche.”49 A livello italiano da citare l’esperienza del Corso di Laurea in Disegno Industriale dello IUAV di Venezia, coordinato da Gaddo Morpurgo, che ha avviato un rapporto di collaborazione con il Consorzio Botteghe della Solidarietà che opera sul commercio equo e solidale. Muovendo dall’interesse espresso anche a livello comunitario verso un supporto alla crescita delle economie dei paesi del Sud del mondo attraverso il ricorso a strumenti di design, controllo qualità, conoscenza dei mercati ed al tempo stesso sostenibilità del modello di sviluppo e garanzie nelle condizioni di lavoro, nasce nel 2003 il progetto Made in Pvs che ha portato nel primo anno allo sviluppo del format dei punti vendita attraverso il progetto di espositori in cartone economici facilmente autocostruibili da parte dei rivenditori, con un’immagine grafica unitaria e corrette informazioni sui prodotti. Nel 2004 si è lavorato attraverso progetti di prodotto ed il coinvolgimento dell’ONG Craft Link e di piccole realtà produttive vietnamite. L’azione ha portato alla realizzazione di una linea di oggetti in bambù e vimini attraverso un’operazione di forte semplificazione formale e di rifunzionalizzazione del materiale anche attraverso l’individuazione di nuove tipologie di prodotti al di là di quelli tradizionali – cesterie e sedute. Il tutto al fine di individuare nuovi settori per il commercio equo e solidale senza negare i problemi legati all’innesto di progetto sulle culture locali, in nome di una globalizzazione dal basso basata sul principio di coopera-


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zione e non di concorrenza. Il progetto ha portato alla definizione della linea di prodotti SuDesign realizzata nel distretto Bac Nonh nel Vietnam del Nord. Mentre, più recentemente, sempre lo IUAV nella sua sede di San Marino, nell’ambito di una serie di iniziative sul tema del design per i Sud del mondo (creazione di un centro studi, partecipazione a mostre, attivazione di workshops) ha realizzato l’Atelier Ruanda, Laboratoire de recherche et des projets d’innovation de design en Afrique, finalizzato, tra l’altro, a valorizzare produzioni locali come quella dei cestini-capanne tipo agaseks k’uruhindu che, come spesso avviene, in quanto lenta e poco remunerativa, rischia di perdersi di fronte a tecniche non autoctone ma sicuramente più facili e veloci e, apparentemente, più vantaggiose in termini economici.50 Contaminazioni programmate Tutto ciò si collega direttamente al tema del territorio come presentato in questo testo nell’ottica dell’attivazione di collaborazioni cognitive ma anche progettuali e produttive tra luoghi diversi, non solo perché la sfida della competitività passa anche da questo scambio, ma anche perché imparare 50

cfr., AA.VV., South out there, op.cit.

a pensare ai Sud del mondo significa acquisire la consapevolezza dell’importanza dei territori cui apparteniamo o nei quali ci troviamo ad operare. È infatti coscienza della complessità e conseguente inevitabile pluralità di approcci, argine verso un tecnicismo e funzionalismo sterile, rivalutazione del simbolico come matrice di comportamenti e cose, rinnovata attenzione alle relazioni con chi ci è (più o meno) vicino. “La dimensione chiave di questa idea del sud sta nella convinzione che sia possibile costruire un’idea di ricchezza diversa, autonoma dalla rincorsa infinita dei profitti e dell’appropriazione privata, ricca di beni comuni. Il sud non ha solo da imparare, ma anche qualcosa da insegnare. La sua resistenza al cambiamento non è solo zavorra conservatrice, ma anche la richiesta di una vigilanza critica sul presente e quindi anche un suggerimento per il futuro.”51 In un tale contesto i progetti qui presentati si pongono programmaticamente come sperimentazione di contaminazioni tra le contaminazioni, quasi a verificare le potenzialità creative di un meticciato epistemologico e progettuale. Con il termine meticcio che diviene espressione e al tempo stesso banco di prova di una volontà di confronto, scambio, dialogo tra culture diverse Franco Cassano, “Tre modi di vedere il sud”, in Marta Petrosewicz, Jane Schneider e Peter Schneider (a cura di), I sud. Conoscere, capire, cambiare, Il Mulino, Bologna, 2009, pp.46-47

51

Guido e Valentina Drocco, Cactomix, tazze da the, produzione artigiani marocchini a lato: Milli Paglieri, poltrone in tessuto Lana Kilim, produzione artigiani marocchini


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Design Academy Eindhoven, sgabello-tavolo, tavolo, progetto Made in India a lato: Design Academy Eindhoven, pietre, progetto Made in India

contro ogni forma di chiusura localistica – culture che non devono “cercare di abolire, ma piuttosto di problematizzare, di affinare e render complessa l’analisi delle categorie, che non saranno più solamente pensiero nello spazio ma anche nel tempo.” Il métissage “ci conduce a non considerare più il locale come opposto al globale (o l’inverso), la periferia al centro, le donne agli uomini, il folle al normale, il futuro al passato (o l’inverso). Il che determina una questione che non può essere risolta dalla logica della tesi e dell’antitesi, e nemmeno della sintesi…”52 Il tutto a prefigurare uno scenario di scambio tra territori vicini e lontani, che è sempre un rapporto tra persone, un confronto, forse più facile, tra chi vive ai margini dello sviluppo, tra non centralità, tra gli “altri di qui” e gli “altri di là”,53 come contributo al dibattito culturale e alla coesione sociale. Uno scambio che muove anche dall’intento di recuperare una dimensione più profonda dei prodotti, un rapporto più affettivo e duraturo con gli oggetti che ci circondano. Con Franco La Cecla: “Una società mista e di merci miste? Ci si augura piuttosto di avere a che fare nel futuro con una società 52 Françoise Laplantine, Le Métissage, 1997, trad. It. A cura di Carlo Milani, Il pensiero meticcio, Elèuthera, Milano, 2006, p.72 Per il concetto di meticciamento cfr. anche Serge Gruzinski (a cura di), Planète Métisse, Musée du Quai Branly / Actes sud, Arles, 2008 53 cfr. Vito Teti, “Geografie ed etnografie dell’interno”, in Marta Petrosewicz, Jane Schneider e Peter Schneider (a cura di), op.cit.

dove i confini tra le identità linguistiche, così come tra le differenti cosmologie di oggetti, non scompaiano ma interagiscano… Molto dipenderà certamente da quanto il nostro sistema di oggetti ridurrà le pretese di essere universale, utile e il più civile di tutti. Al contrario la tribalizzazione dei nostri oggetti... potrebbe solo arricchire la nostra vita quotidiana di un respiro che gli oggetti sembrano aver perso. Perché in fin dei conti, per noi, si tratta di compiere un viaggio all’inverso: dal feticcio all’oggetto usato e risignificato quotidianamente. È quanto, ovviamente, avviene nelle vite di ognuno di noi. Inevitabilmente le cose, oltre a essere toccate da noi, ci toccano; inevitabilmente finiamo per chiamarle con un nome proprio, inevitabilmente diventano presenze, amici, amori, parenti, nemici.”54 Per un risultato complessivo che presenta evidenti implicazioni anche sul piano strettamente produttivo. La caratteristica degli oggetti contemporanei è infatti la complessità al momento della nascita e nello sviluppo – tanto che su una rivista come “Domus” si è coniata l’espressione “Geodesign”: “la gran parte dei prodotti del furniture design (e non solo)” ha infatti oggi una variegata articolazione territoriale che investe aree diverse del mondo. Capita sempre più spesso che lo stesso oggetto venga ideato, assemblato, prodotto in serie, reso comunicabile, impacchettato, commercializzato e venduto in 54

Franco La Cecla, Non è cosa. Vita affettiva degli oggetti, Elèuthera, Milano, 2002, pp. 55-57


34 territori & connessioni Vittorio Sanfilippo, Roots, pouf, progetto DI for Laos, Corso di Laurea Magistrale in Design di Firenze Irene Roscini, BAG2, borsa a doppio utilizzo, progetto DI for Laos, Corso di Laurea Magistrale in Design di Firenze

parti diverse del pianeta. E tutti questi luoghi diversi, come caratteri genetici, in qualche modo lo condizionano, lo plasmano, gli restano attaccati”55. In quest’ottica vanno letti i progetti condotti in collaborazione con Adedra, ONG marocchina, sull’artigianato in palma che hanno portato alla realizzazione di oggetti ad opera di associazioni di femmes rurales; tra questi un tavolinetto con plastica di recupero che prevede anche una finitura realizzata da imprese italiane che ne cureranno la commercializzazione (cfr. pp. 88-91). Ma anche la tesi Pneu dedicata al riuso dei pneumatici condotta con gli artigiani di Marrakesh che ha portato alla realizzazione di una serie di oggetti – di arredo, cornici, specchi, gioielli – per i quali, in alcuni casi, come il sistema di contenitori con ante in pneumatico, si ipotizza anche una co-produzione tra le due rive del Mediterraneo (cfr. pp. 96-99). Il tutto anche in un’ottica più ampia. “Per ‘alternativa mediterranea’ si può dunque intendere il tentativo di resistere, facendo leva su un recupero della tradizione e dei valori mediterranei, alla deriva universalistica e ‘monoteistica’ che viene dall’Occidente estremo – gli Stati Uniti d’America – e si abbatte con violenza sul vecchio mondo… L’’alternativa mediterranea’… vorrebbe valorizzare, piuttosto, la cultura del limes, dei molti dei, delle molte lingue e delle molte civiltà, del ‘mare fra le terre’ estraneo alla dimensione monista, cosmopolitica e ‘umanitaria’ delle potenze oceaniche.”56 Mediterraneo, dunque, ancora come mare di mezzo, non solo tra terre, ma tra due modelli di sviluppo, quello comunemente definito come occidentale, il nostro, che ha portato mediamente a benessere economico ma che pecca sul piano della sostenibilità ambientale, nella disparità nei confronti di realtà a più basso tasso di sviluppo e non appare generalizzabile perché porterebbe in breve al tracollo del pianeta; quello proprio della riva sud, eccesivamente lento, soggetto alla minaccia di una occidentalizzazione incontrollata, ma che ancora si esprime in continuità con il territorio, in rapporto con la tradizione, in legami sociali forti. In questa logica di confronto intorno alla piattaforma tavolo da the alla menta, liquida mediterranea nascono i due progetti Tawila, una base comune per 4 diverse interpretazioni affidate a studenti delle due rive del Mediterraneo (cfr. pp. 116-119), e Dessine-Moi copritavola in formelle di ceramica cucite, quasi a significare il mare di mezzo tra 2 terre/mondi

AA.VV., I tre mondi del geo-design. Sette opinioni a confronto, “Domus” n.891, 2006 Danilo Zolo, “La questione mediterranea”, in Franco Cassano, Danilo Zolo, Alternativa mediterranea, Feltrinelli, Milano, 2007, pp.20-21 55 56


Barbara Puccini, pouf contenitore in palma e plastica di recupero, produzione AFDES, progetto Elles Peuvent, Corso di Laurea in disegno industriale di Firenze

57 Massimo Canevacci, “Codici sincretici” in Giuseppe Furlanis, Giuseppe Lotti, Saverio Mecca (a cura di), Abitare Mediterraneo. Contributi per una definizione, Grafiche Martinelli, Bagno a Ripoli (Fi), 2004, pp.92-93 58 Massimo Canevacci Ribeiro, La linea di polvere. I miei tropici tra mutamento e autorappresentazione, Malmemi, Roma, 2007, p. 231

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(cfr. pp. 80-83), prodotti in un workshop che ha coinvolto 5 scuole di design nel Mediterraneo. In altro contesto, ma muovendo dallo stesso principio, i progetti Omo (cfr. pp. 100-103) e Polt-Lona (cfr. pp. 108-111) realizzati da ONG che operano nelle favelas di São Paulo nella realizzazione di oggetti che nascono dal riuso di scarti di lavorazione. Una scelta, quella del Brasile e di São Paulo non casuale... “il Brasile, paese noto come terra dei contrasti e delle avanguardie antropofagiche, è diventato un vero laboratorio in progress di quanto il futuro/presente ci sta già riservando: l’attraversamento dai sincretismi religiosi ai sincretismi culturali. Attraversamenti metropolitani trans-culturali, trans-etnici, trans-comunicativi.”57 Un contesto, dunque, particolarmente adatto a verificare le logiche dell’incontro, dello scambio, della contaminazione (in questo caso tra studenti e docenti, tra ONG ed imprese, tra due diversi approcci progettuali e produttivi). Sempre in Brasile, ma espressione di una realtà non urbana ma rurale i progetti realizzati in Amazzonia con la comunità di Xapuri, villaggio di Chico Mendes che, proprio in difesa di uno sviluppo maggiormente sostenibile, ha perso la sua vita (cfr. pp. 92-95). Tutti progetti che nascono fortemente condivisi, interpretati, trasformati, spesso in meglio con chi li costruisce; con gli studenti che magari, inizialmente, rimangono stupiti perché la realizzazione è diversa rispetto a ciò che avevano prefigurato nel progetto ma poi, pian piano, ne colgono il valore di condivisione, di contaminazione formale, di continuità con la tradizione, di concretezza materica, fino a preferirla. D’altronde, alla Canevacci: “Il relativista prende posizione... non è neutrale, in quanto si oppone all’offensiva di teorie totalizzanti... il nuovo relativismo sposta l’interpretazione di una cultura dalla tradizione etnocentrica alla visione del mondo del soggetto portatore di quella stessa cultura: è un metodo non una dottrina: prende posizione, non è neutrale; valorizza le differenze culturali contro ogni universalismo.”58


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TERRITORI


Janas, imballaggio per vino, particolare del prodotto impilato

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Progetti per il sughero sardo

Luoghi L’attenzione è dedicata all’artigianto sardo in una sua particolare applicazione, quella del sughero, che si sta progressivamente perdendo di fronte ad una produzione sempre più industriale. Ma al di là del settore di intervento, la tesi è l’occasione per interrogarsi su una produzione, quella artigianale, che spesso non nasceva solo per rispondere ad esigenze utilitarie ma si caricava di valenze simboliche, talvolta addirittura rituali. “Gli oggetti non sono e non sono mai stati soltanto ‘oggetti’; cioè strumenti per realizzare semplici operazioni di lavoro o di vita domestica. Le piccole o grandi ‘cose’ che si trovano nelle nostre case sono sempre state, fino dall’antichità più remota, dispositivi su cui gli uomini si sono esercitati per realizzare metafore e relazioni simboliche.” (Andrea Branzi, a cura di, 2007) Conoscenze La tesi, dopo aver approfondito le peculiarità di distribuzione geografica (la quercia da sughero cresce solo sul Mediterraneo ed in Portogallo), la natura fisico-chimica del materiale, i vantaggi in chiave ambientale (non si butta via nulla) e le fasi di estrazione e lavorazione, ricostruisce la storia dell’impiego del sughero attestato già 3000 anni fa sia con funzione meramente pratica (tappi di anfore, galleggianti per pesca) che decorativa (cofanetti porta oggetti intarsiati, bicchieri, saliere), fino allo sfruttamento industriale con la prima fabbrica in Spagna alla metà del ‘700. Particolare attenzione è attribuita alla realtà sarda che rappresenta più del 50% della produzione totale, con un vero e proprio distretto nei territori di Tempio Pausania, Calangianus, Berchidda, Luras, caratterizzato da aziende spesso a carattere familiare, dalla produzione verticalmente integrata, rivolta in larga misura alla realizzazione di agglomerati. Attenzione è poi dedicata all’artigianato sardo – una realtà ancora radicata per il persistente isolamento dell’isola – di cui sono evidenziati anche progetti recenti (come ad esempio Sardegna Lab, promosso dalla regione insieme ad Imago Mundi) ed agli (scarsi) impieghi del sughero nel design. Scenari I progetti si sviluppano in continuità con la tradizione dell’artigianato sardo, dichiarando un’identità comunitaria ed al tempo stesso inserendosi nelle pratiche di vita quotidiana grazie alle loro funzioni ed alle scelte formali. Le tre proposte vertono intorno ad azioni quali custodire, raccontare, avvolgere.

Laura Porcu relatore Giuseppe Lotti

Progetti Un imballaggio per mirto deriva la sua forma dalla figura delle janas – fate depositarie di un sapere antichissimo di natura sciamanica –, dal loro abito, che è anche crisalide pupa, cioè bozzolo di farfalla pronta a volare – con il volo magico che è richiamato e favorito da un foro che consente la presa per il trasporto. Per un packaging prezioso da riutilizzare, al di là del trasporto, anche come espositore impilabile a ricostruire, ripetuto, la texture di un antico nuraghe. Una lampada che recupera come punti luce i campanacci (che scacciano le forze negative e gli spiriti maligni) propri dei Mamuthones, figli del culto dionisiaco, riuniti, quasi intrappolati da una nassa (rete in giunco a asfodelo per la pesca) a ricordare le funi con cui il guardiano cattura anche gli spettatori della tradizionale processione del carnevale sardo. Il tutto ad esorcizzare sensazioni di paura infantile provate di fronte all’esibizione dei Mamuthones. Il terzo oggetto, infine, muove dal culto delle pietre magiche, in particolare i menhirs, chiari riferimenti fallici, oggetto di culto per le donne che pregavano intorno per chiedere fertilità. L’adorazione avveniva spesso tramite abbraccio che nel prodotto è richiamato dall’addossarsi dell’abito ad un attaccapanni (un imbottito in gomma poliuretanica dotato di struttura metallica interna, con spaccature che servono per appendere i vestiti); un’azione quotidiana, meccanica, quasi banale viene così riletta evocando un rito arcaico. [G.L.]

Approfondimenti Andrea Branzi (a cura di), Capire il design, Giunti, Firenze, 2007 Camillo Del Bono, Il distretto industriale del sughero in Gallura. Quaderni di analisi, Edizione Banco di Sardegna, Sassari, 1993 Marco Rainò, Andrea Marcaritelli (a cura di), Over design over. Materia, tempo e natura nel design contemporaneo, Silvana Editoriale, Milano, 2009 Dolores Turchi, Lo sciamanesimo in Sardegna, Newton e Compton editori, Roma, 2005

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SuberRebus

progetto di


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Janas, imballaggio per vino pagina a fronte Rete magica, lampada


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Alessia Puntillo

Mortai e pestelli per le spezie in Calabria

Luoghi Il contesto di azione della tesi è la Calabria, la sua produzione artigianale, con un intervento progettuale su una particolare tipologia di prodotto, quella del mortaio e relativo pestello, da sempre utilizzato per frantumare, pestare e ridurre in polvere sostanze solide in campo scientifico o in alchimia, nella chimica e nella farmacia tradizionale, ma soprattutto in cucina. Conoscenze La tesi muove dalla descrizione del contesto territoriale di intervento, di cui si evidenziano i tratti storici (con la Calabria, da sempre terra di passaggio e conquista e dunque di mescolanza di culture, tradizioni e pensieri, quasi un microcosmo del Mediterraneo); il contributo in termini di produzione artigianale, importante ma poco documentato, dalle ceramiche alla tessitura, alla lavorazione dei metalli fino alla pietra ed al legno, oggetti dell’intervento. Una sezione è poi dedicata alla descrizione della tipologia di prodotto su cui si opera – il mortaio – tradizionalmente usato per frantumare spezie ed altri ingredienti (come ad esempio grossi pezzi di sale con il quale si condiva o conservava il cibo). Nella tesi, attraverso una scheda di carattere antropologico-etnografico, sono stati censiti circa 30 mortai, tutti di produzione calabrese, dei quali vengono indicati materiali, tecniche di lavorazione, dimensioni, anno presunto di produzione, fonti di informazione. Scenari Il progetto non è solo un redesign di oggetti tradizionali da sempre nati in maniera spontanea, spesso autoprodotti. Il lavoro muove dalla consapevolezza che piccole tradizioni locali, oggi in affanno, possono trarre nuova linfa da un collegamento più stretto con il territorio e, magari, con ciò che di più caratteristico il territorio offre, la produzione agroalimentare. Il tutto con un occhio di riguardo alla multisensorialità del prodotto in cui tatto, udito, ma soprattutto olfatto e gusto appaiono sollecitati. Ma la tesi è anche di più: si presenta come l’occasione di interrogarsi sulla trasformazione del panorama degli oggetti che ci circondano. Un tempo i prodotti si presentavano come espressione di determinati luoghi, era conosciuto il nome di chi li aveva realizzati, sopravvivevano a più generazioni, ed ogni casa finiva per essere già un piccolo museo della cultura domestica, mentre oggi la sovrapproduzione, la

relatore Giuseppe Lotti

serialità, le logiche del consumo veloce hanno prodotto un mondo in cui gli oggetti troppo spesso hanno perso la loro “cosalità”, vivono neutri ed indifferenti, sono generatori di rapporti superficiali. Con l’idea di provare a contrastare, per quanto possibile, questa tendenza. ”Mi auguro che gli uomini ritrovino un giusto rapporto con le cose, che abbiamo comprato, ingoiato, sciupato, gettato con incredibile leggerezza per tanti anni. Oggi sono troppe. Si accumulano da tutte le parti... siamo ricoperti dagli oggetti; stanchi di quello che produciamo. Abbiamo smarrito la sensazione di come è fatta una cosa: del suo peso, del suo spessore, dei suoi colori, delle sue ombre, e del valore simbolico che può avere nella nostra vita. Non le amiamo più. Non possiamo amarle, visto che oggi sono diventate infinitamente sostituibili.” (Piero Citati, 2008) Progetti Tre sono le soluzioni proposte, legate dall’estrema semplicità formale, derivata direttamente dalla natura. La prima, completamente in pietra (granito silano), recupera l’organicismo di forme alla Jean Arp o Henry Moore; la seconda, più alla Aalto o Wirkaala è prodotta in pietra locale calcarea, mentre il pestello è in legno d’ulivo; la terza, infine, è in legno di castagno e pietra di fiume appena lavorata. Completano il progetto il packaging che recupera le manualità proprie dei cestai con contenitori che nascono dal tradizionale modello Spurtune e sono realizzati in giunco e castagno, ed un piccolo contenitore per spezie – un sacchetto in tela grezza – corredato di ricette. [G.L.]

Approfondimenti Egidio Bevilacqua, Stefano Vecchione, Calabria. Saperi e sapori del Mediterraneo, La dea, Camigliatello, 2004 Piero Citati, Addio consumismo, riscopriamo le cose, “la Repubblica”, 3 dicembre 2008 Piero Citati, Noi giocavamo con i soldatini, “la Repubblica”, 2 febbraio 2007 Franco La Cecla, Non è cosa. Vita affettiva degli oggetti, Elèuthera, Milano, 2002

43 territori & connessioni

Storie di sapori e forme

progetto di


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Mortaio in pietra e pestello in legno pagina a fronte Mortaio in legno, pestello in pietra e imballaggio in giunco e castagno


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Per la competitività dell’industria delle cornici nella Valdelsa Luoghi La tesi è finalizzata a prefigurare scenari di competitività per il settore delle cornici della Valdelsa, un comparto che, sulla scia di un’impresa un tempo leader a livello internazionale, ha visto la nascita di un buon numero di aziende tanto da rappresentare il primo “distretto” italiano del settore. Negli ultimi tempi il territorio ha subito un brusco ridimensionamento sia a livello di imprese che di addetti. Tale momento difficile è legato soprattutto alla competitività di paesi in cui più basso è il costo della lavoro, alla semplicità del prodotto facilmente copiabile, alla difficoltà nel creare un vero valore aggiunto. Conoscenze Il tema è stato affrontato attraverso un inquadramento di tipo storico finalizzato ad evidenziare i momenti di evoluzione del prodotto – dalla nascita della cornice come elemento autonomo nel ‘300 fino al trionfo di forme espresso dall’Art Nouveau –; un’analisi multidisciplinare sul tema attraverso un approccio estetologico ed in relazione ad alcune esperienze dell’arte moderna e contemporanea; una presentazione di ricerche e progetti recenti sul tema; una ricostruzione del ciclo produttivo sia nel caso di realizzazioni artigianali che di altre maggiormente industrializzate. Scenari Le proposte presentate non appaiono rivolte a una specifica impresa, quanto a tutto un sistema, definendo scenari alternativi di utilizzo delle cornici al fine di recuperare, per quanto possibile, margini di competitività per ciò che resta del comparto. Siamo all’interno di quello che può essere definito design per i sistemi territoriali di impresa in cui attori, metodologie e strumenti di intervento risultano ancora da definire in maniera sistematica. Nel caso specifico, al di là della elaborazione anche formale di particolari progetti, l’attenzione è rivolta proprio alla definizione di impieghi alternativi del prodotto nel settore dell’arredo, dei complementi, dell’allestimento di negozi e showroom, nella nautica e a livello di arredo urbano. Una capacità di collegamento anche azzardata alla base del pensiero strategico. Così Mauri: “Uno sguardo che riconcepisce le cose, le sottrae innanzitutto all’univocità di senso, non si lascia sfuggire i dettagli, interroga i piccoli gesti; non è uno sguardo fisso, illuso che la sua ap-

Maria Battaglini

relatore Giuseppe Lotti

plicazione stabile gli faccia scorgere meglio, mentre non vede altro che l’uguale; è mobile, si sposta ovunque alla ricerca di opportunità, di piccoli cambiamenti, si decentra per cogliere altre prospettive...” (Francesco Mauri, 1996) Da valutare le implicazioni di tale definizione di scenari alternativi in ottica di mercato in quanto le scelte implicano necessariamente una distribuzione alternativa; con le difficoltà attuali che comunque, richiedono al comparto scelte coraggiose. Progetti Tra i prodotti presentati, per i quali sono stati elaborati anche prototipi, da citare: - Icona, sedia pieghevole che, quando non è utilizzata, diviene elemento decorativo, quadro con relativa cornice da appendere al muro con il vantaggio di non occupare spazio; - Giove, un tavolo con piano in cristallo e struttura ottenuta da una doppia cornice incrociata, di cui una non chiusa; - Art-pendere, attaccapanni ottenuto da più cornici quasi a significare la molteplicità, varietà e mutevolezza del vestiario appeso; gli abiti vengono attaccati ai gancini che tradizionalmente servono per il quadro alla parete; - Compositon, sistema di espositori per negozi, in cui la merce, compresa dentro cornici classiche riccamente decorate alternate a parti più contemporanee a mo’ di ripiani che talvolta rompono la forma rigida rettangolare, si presenta come la vera opera d’arte. A completare la serie, Orizzonti, unico prodotto non realizzato nel tradizionale legno ma in cotto e travertino, elemento segnalatore di eccellenze a livello urbano e paesaggistico in grado di raccontare al visitatore – appunto, inquadrandolo – il territorio della Valdelsa. [G.L.]

Approfondimenti Marco Bettiol, Stefano Micelli (a cura di), Design e creatività nel made in Italy. Proposte per i distretti industriali, Bruno Mondadori, Milano, 2005 Flaviano Celaschi, Alessandro Deserti, Design e innovazione. Strumenti e pratiche per la ricerca applicata, Carocci, Roma, 2007 Loredana Di Lucchio, Il design delle strategie. Un modello interpretativo della relazione tra design e impresa, Gangemi, Roma 2005 Francesco Mauri, Progettare progettando strategia. Il design del sistema prodotto, Masson, Milano, 1996

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Al di là del quadro

progetto di


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Composition, espositore pagina a fronte Icona, sedia-quadro


La pigna, lucerna, particolare 50 territori & connessioni


Con i ceramisti di Caltagirone

Luoghi La tesi è dedicata alla ceramica di Caltagirone, dall’antica tradizione – dal VII millennio a.C., attraverso la dominazione araba (una presenza che qui resiste più a lungo che in altri luoghi della Sicilia) fino all’’800 che tra, le molte combinazioni, definisce le caratteristiche cromatiche, il turchino e il blu, il verde con decorazioni dipinte ma anche modellate e la grande varietà tipologica attuale. Ma il progetto è anche l’occasione di interrogarsi sull’importanza dell’artigianato, che oggi si carica di nuove valenze: “La mia proposta di una nuova cultura materiale non ha niente a che vedere con una cultura consumista, perché riguarda il fare, nel senso di ‘poesis’, non il comprare. Osservo invece che ovunque materialismo e consumismo sono associati. Abbiamo bisogno di un materialismo culturale per capire meglio come le nostre cose sono fatte, da dove vengono: questo, nella mia visione, renderebbe il mondo migliore.” (Richard Sennet, 2008) Conoscenze Dall’analisi emerge il profilo di un settore che si trova ad affrontare una crisi diffusa, dovuta alle sfide competitive del mercato globale, alla perdita delle capacità produttive tradizionali, alla difficoltà di individuare strategie di supporto condivise. Una sezione innovativa è stata anche dedicata alle esperienze innovative nel settore della ceramica a scala internazionale nel design ed a livello artistico. Scenari Sono stati individuati due scenari di intervento: il primo ha mosso da oggetti della ceramica tradizionale attraverso una progressiva astrazione formale, in alcuni casi anche cambiando la funzione; il secondo, nell’ottica di un più forte legame con il territorio, ha provato ad unire la ceramica con la tradizione culinaria locale, nella consapevolezza che tale legame può contribuire a rafforzarne il valore aggiunto. “Rivoluzionare le forme della tradizione senza violentarle, stilizzare mantenendo chiaro il punto di partenza” (Lo Monaco) sono stati i principi alla base delle scelte più strettamente linguistiche. Progetti La pigna, espressione riconoscibile della ceramica di Caltagirone, simbolo di buon auspicio, fecondità, abbondanza, assume nel progetto una funzione – quella di

Irene Lo Monaco

relatore Giuseppe Lotti

lampada, lucerna – che va al di là della semplice valenza figurativa. La luce traspare da tagli e curvature della ceramica – quasi una sbucciatura – che riprendono, interpretandola, la currogosità propria dell’oggetto. Lu e Mera, lui e lei, derivano dalle lucerne ad olio di riferimento antropomorfo, nate nel ‘500 ed affermatesi nel corso dell’’800 qui trasformate in contenitore per alimenti. I disegni delle due figure nascono da un motivo classico del ‘700 in modo da creare un contrasto netto tra la forma decisamente contemporanea ed elementi tradizionali. Nel caso di Ribello la forma deriva da vasi officinali, albarelli, anche questi nati nel Medioevo, più recentemente utilizzati come vasi da fiori. In questo caso l’oggetto non vede mutata la sua funzione, ma l’attenzione è rivolta al decoro su una forma estremamente semplificata, niente bordi, nessuna aggiunta nel collo. La civetta-brocca nasce da una semplificazione della forma dell’animale – uccello notturno, compagna di figure malvagie, foriera di morte, ma anche, per la capacità di vedere al buio, simbolo della sapienza, dell’intelligenza razionale. Nel caso del vassoio per arancini la forma nasce – per ripetizione – da quella propria del cibo, che è quasi sempre tondo; all’oggetto è aggiunto un doppio manico intrecciato in canapa che rende il vassoio simile ad un cestino. Per questo prodotto sono stati utilizzati i colori manganese, verde e arancio, largamente adoperati nel periodo arabo e in quello successivo. Nel vassoio per cudduredde, ciambelline tipiche del periodo natalizio, i tagli, diversi per larghezza e profondità, lasciano scorgere il colore dello strato più basso così come la ciambella fa intravedere l’impasto. [G.L.]

Approfondimenti Giacomo Alessi, Giuseppe L. Danzuso, Fiasche, lumere, cantieri e cannate. Ceramica d’uso a Caltagirone tra cinque e ottocento, Silvana, Cinisello Balsamo, 2003 Ugo La Pietra (a cura di), Fatto ad arte. Arti decorative e artigianato, Triennale di Milano, Milano, 1997 Stefano Maffei, Giuliano Simonelli, I territori del design. Made in Italy e sistemi produttivi locali, Il sole 24 ore, Milano, 2002 Richard Sennet, The craftsman, Yale University Press, New Haven & London; trad.it. a cura di A. Bottini, L’uomo artigiano, Feltrinelli, Milano, 2008

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Saperi di creta

progetto di


La pigna, lucerna 52

territori & connessioni


Lu e Mera, vasi contenitori

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Sempreverdi, posate 54

territori & connessioni


Interpretare la tavola

Luoghi La tesi di laurea ha come oggetto un tema largamente dibattuto quale quello del rapporto tra l’uomo e il cibo. I progetti sviluppati nel corso del lavoro propongono una lettura originale ed in qualche misura dissacrante di questo rapporto, la cui complessità è riconducibile a matrici culturali, simboliche e religiose, con riferimenti al territorio di origine. Numerosi sono i saggi sulla varietà semantica legata alla tavola e all’atto del cibarsi, l’arte pittorica è ricca di tavole più o meno imbandite e molte sono le pellicole in cui, attorno ad una tavola, si racconta il nostro tempo, a dimostrare che molta della commedia umana va in scena a tavola. Conoscenze Negli ultimi anni diversi sono stati i progetti che, con forme e finalità diverse, hanno tentato di esperire e raccontare i molteplici significati della tavola, tra questi ricordiamo inediti connubi tra teatro e banchetto in cui spettatori e attori divengono protagonisti di un convivium; ritratti fotografici di persone a tavola che compongono un percorso tra passato e futuro; e diverse esperienze di esposizione-allestimento tra cui Tabula rara dove personaggi illustri del mondo della cultura, della moda e del design sono stati invitati ad interpretare il proprio personale concetto di tavola. Scenari In forma esplicita questo lavoro deve molto al mondo dell’arte; le sue radici sono infatti ravvisabili in movimenti quali dadaismo, surrealismo e concettuale. Il fine progettuale è provocare una sorta di cortocircuito ludico tra realtà, percezione e significato, proponendo all’osservatore-fruitore oggetti che siano metafore da interpretare. In maniera forse meno consapevole, i progetti recuperano anche una materialità antica, derivata dalla tradizione, in alcuni elementi quasi neoprimitiva. “Le cose ci inducono, agonisticamente, a innalzarci al di sopra dell’inconsistenza e della mediocrità in cui cadremmo se non investissimo in loro – tacitamente ricambiati – pensieri, fantasie e affetti. Sono cose, appunto, perché su di esse ragioniamo, perché le conosciamo amandole nella loro singolarità, perché – a differenza degli oggetti – non pretendiamo di servircene soltanto come strumenti o di cancellarne l’alterità e perché infine, come accade nell’arte, le sottraiamo alla loro

Marco Chessa

relatore Giuseppe Lotti correlatore Angelo Minisci

precaria condizione nello spazio e nel tempo, trasformandole in ‘miniature d’eternità’ che racchiudono la pienezza possibile dell’esistenza.” (Remo Bodei, 2009) Progetti Mescolare stili, materiali e sensazioni per reinterpretare e valorizzare la tavola è la matrice della prima linea di oggetti proposti (sedie, tavolo, piatti, bicchieri, posate, tazze e tovaglia) in cui si ravvisano tracce di linguaggi lontani e quasi confliggenti. Il barocco incontra il minimale sulla sedia provenzale della nonna; mentre sono presenti espliciti riferimenti anche dal mondo rurale che viene reinterpretato in forma contemporanea e, insieme alle forme, si fondono i materiali con paglia, legno, plexiglass, metallo e vetro che coesistono in un equilibrio che pare instabile. Il focus del progetto è raccontare e provocare contatti fisico-emozionali tra cosa e fruitore; le immagini erotiche nascoste tra i petali di fiori che decorano la tovaglia e le stoviglie ci raccontano che la tavola è il luogo dei sensi (ne usiamo ben quattro su cinque per mangiare) e ci invitano a rivalutare la nostra dimensione sessuale. All’interno della collezione si distingue anche una seconda linea di oggetti denominata useless, composta da prodotti che, per ammissione degli stessi progettisti, sono letteralmente inutilizzabili. Si tratta di oggetti dalla funzione poetica che aspirano a “contenere contenuti”, e rappresentano il tentativo di interpretare quello che Renato De Fusco descrive come “il design che prima non c’era”. (2008) I progetti sono stati realizzati ed esposti, in uno stand dedicato al gruppo di designers SMog Milano, cui appartiene Chessa, presso il Salone Satellite durante la 47a edizione del Salone del Mobile di Milano. [V.G.]

Approfondimenti AA.VV., Chi è l’artigiano moderno?, “Abitare” n. 491, 2009 Remo Bodei, La vita delle cose, Laterza, Bari, 2009 Renato De Fusco, Il design che prima non c’era, Franco Angeli, Milano, 2008 Stefano Follesa, Pane e progetto. Il mestiere di designer, Franco Angeli, Milano, 2009

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Ef-fusioni

progetto di


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Camasutra, set di piatti Pagina a fronte Cadrea, seduta Corrudu, appendiabiti Who am I, seduta Zompeddu, seduta


Sasso, contenitore per tartufi in terracotta con canapa e stoppa 58 territori & connessioni


Progetti di canapa (e terracotta) nelle Crete Senesi

Luoghi Un più stretto rapporto tra prodotti e territorio di appartenenza può rappresentare un valore aggiunto in termini competitivi; tale legame risulta più efficace per contesti particolarmente presenti a livello collettivo ed in relazione a prodotti ‘fortemente autoctoni’ come quelli dell’agroalimentare. È nell’ambito di tale scenario che si inserisce la tesi in oggetto finalizzata a verificare le potenziali applicazioni della canapa nell’ambito di un progetto promosso dal Comune di San Giovanni d’Asso (Si). Conoscenze Fino agli anni ’50 la canapa era una cultura presente nella campagna senese e, più in generale, toscana – “Un primato (quello dell’Italia n.d.a.) che si è mantenuto fino alla metà del secolo scorso ed è stato spazzato via di colpo dal vento del petrolio che ha seminato raffinerie e nylon, fumi e plastica, ciminiere e prodotti dal prezzo imbattibile. Se alla concorrenza delle fibre sintetiche si aggiunge la nomea sospetta della cannabis – quella utilizzata nei campi è una stretta parente della pianta che la generazione del ’68 ha interpretato ad uso ricreativo – si ottengono le ragioni di un blocco totale della produzione che sembrava aver messo una pietra tombale sull’impiego tradizionale della canapa.” (Antonio Cianciullo, Ermete Realacci, 2005) La cultura della canapa appare invece vantaggiosa in termini di sfruttamento del terreno (resistenza della pianta, velocità di crescita, scarso bisogno di pesticidi e fertilizzanti), varietà di prodotti garantita dall’utilizzo di tutte le sue parti (dai tessuti al cartario, dalla cosmetica alla farmaceutica, ai biopolimeri), mercato (con un’attenzione verso il materiale da ricondurre principalmente ad un più generale interesse per le tematiche ambientali). Scenari Muovendo dagli aspetti sopra evidenziati e nella consapevolezza che, a causa degli alti costi e delle quantità minime, la produzione di canapa sul territorio in oggetto può risultare conveniente solo nel caso di tipologie di prodotto dall’alto valore aggiunto, si è lavorato attraverso un forte radicamento locale individuando i settori produttivi più opportuni per l’intervento. In particolare il rapporto con il territorio è stato ricercato attraverso un collegamento con l’agroalimentare; così l’atten-

relatore Giuseppe Lotti

zione è stata rivolta ad i settori fortemente presenti sul territorio: l’olio, il vino, il tartufo, con un occhio al packaging “di qualità” con la possibilità di riutilizzo dopo il trasporto e, all’interno di tale contesto, sono state verificate le possibile sinergie con altre produzioni del territorio – soprattutto la terracotta delle Crete. Progetti In concreto la tesi ha prodotto progetti nel settore del packaging agroalimentare, mentre il rapporto canapa-creta è stato sviluppato a diversi livelli di integrazione. Sul piano strattamente formale l’ispirazione nasce dal recupero di gestualità tradizionali contadine. Nel caso del vino si è lavorato sull’usanza di mettere il cibo in una pezzola di stoffa, con una corda passante che funge da maniglia ed è inserita in asole realizzate, secondo la tradizione, a gigliuccio. La bottiglia dell’olio è invece contenuta dentro una spirale ascendente che emula in modo macroscopico lo sviluppo dell’argilla durante il lavoro al tornio, come un oggetto che lavorato con troppa forza perde il proprio asse di rotazione. Lo strapparsi del materiale – la frangia sulla sommità e le feritoie provocate con un chiodo (quello con cui i vasai firmavano i pezzi) – drammatizza il materiale. All’interno è presente un tessuto in canapa a protezione della bottiglia d’olio. Il porta tartufo, infine, ha una forma che richiama quella del sasso affondato nel terreno, mentre la presa piatta ed a mezzaluna evoca il taglio che il cercatore fa nel terreno con i suoi vanghetti. Qui la canapa è presente nel materiale e, insieme alla stoppa, bruciando nella fase di cottura aumenta la capacità isolante con i fori che portano anche ad un minor ritiro in fase di essiccazione. Il portatartufo a livello di seconda vita potrà essere utilizzato come contenitore per gioielli. [G.L.]

Approfondimenti AA.VV., Una fibra versatile. La canapa in Italia dal Medioevo al Novecento, Clueb, Bologna, 2005 Antonio Cianciullo, Ermete Realacci, Soft Economy, Bur, Milano, 2005 Claudio Germak (a cura di), Uomo al centro del progetto. Design per un nuovo umanesimo, Umberto Allemandi & c., Torino, 2008 Francesco Morace, Il senso dell’Italia, Libri Scheiwiller, Milano, 2008

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La forma del gesto

progetto di

Andrea Pignataro


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pagina a fronte Portabottiglie per l’olio e Sasso, contenitore per tartufi

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Sasso, contenitore per tartufi in terracotta con canapa e stoppa a lato Portabottiglie per olio e contenitore per tartufi, Pezzula, portabottiglie per vino in canapa


Anello portacioccolatino, particolare 62 territori & connessioni


Un parallelo tra le tradizioni ceramiche calabresi e umbre Luoghi È una tesi che nasce dal confronto tra due realtà produttive di antica tradizione ceramica, quella di Vibo Valentia in Calabria, costituita da piccole realtà artigianali e quella di Gualdo Tadino in Umbria, con una produzione maggiormente industrializzata. L’obiettivo degli scenari prefigurati e dei progetti realizzati è quello di contribuire al rafforzamento della competitività attraverso un più stretto rapporto con quelle che sono le peculiarità del territorio – dall’agroalimentare agli eventi culturali. “Il design, tradizionalmente associato alla progettazione delle componenti tecnologiche, prestazionali, estetiche e comunicative dei beni d’uso, ha progressivamente... allargato le sue competenze, affinando capacità di visione strategica degli scenari d’uso e sensibilità rispetto ai significati dei comportamenti di consumo dei beni, configurando quello che viene oggi definito come sistema prodotto... Proprio in virtù di queste trasformazioni si assiste ad un processo di avvicinamento progressivo tra le strategie e i processi che sottendono il mondo del design e quello dei beni culturali.” (Eleonora Lupo, 2009) Conoscenze Le due realtà oggetto dell’intervento sono state analizzate sia dal punto di vista storico che produttivo (a livello di tecniche e decorazioni); con una tradizione, propria della Calabria, che risale alla Magna Grecia mentre la realtà di Gualdo Tadino è stata collegata più in generale alla ceramica umbra, con una storia che ha raggiunto il suo apice dal Medioevo al Rinascimento. Di entrambe le produzioni è stata analizzata l’attuale congiuntura evidenziando punti di forza – presenza di conoscenze e capacità fortemente radicate – e debolezza – sopravvalutazione dell’Euro, scarsa competitività a livello di costi, difficoltà di accesso al credito, bassa propensione all’innovazione -, nonché le iniziative promosse dalle amministrazioni. Scenari Relativamente agli scenari di intervento è stata definita una matrice che individua azione ed innovazione – formale, tecnologica, tipologica, di mercato, promozionale. In particolare, per il contesto di Vibo Valentia la definizione di scenari ha riguardato la sinergia con l’agroalimentare proprio del territorio, la realizzazione di nuove tipologie di prodotto (dall’arredo ai complementi per l’edilizia); mentre per

relatore Giuseppe Lotti correlatore Ilaria Bedeschi

Gualdo Tadino si è operato intorno al prodotto alimentare tipico o di produzione propria ed alla promozione della ceramica attraverso manifestazioni locali. In entrambi i casi, al di là della definizione formale degli oggetti, si è operato attraverso l’astrazione di decorazioni tipiche. Progetti In dettaglio, per quanto riguarda il territorio calabrese, intorno all’agroalimentare sono stati progettati contenitori per la degustazione di prodotti tipici conosciuti al di là dei confini della regione, dall’’nduja di Spilinga con la possibilità di riscaldarla, alla cipolla rossa di Tropea e relativa marmellata, al tartufo (un dolce) di Pizzo. Mentre, relativamente alle nuove tipologie di prodotto, sono stati realizzati poufsedute (una tipologia poco frequente in ceramica) e numeri per civile abitazione a connotare il contesto urbano locale. Nel caso di Gualdo Tadino la progettazione ha riguardato un copri-tappo per barattoli che richiama la classica copertura in stoffa, con relativa etichetta in ceramica non smaltata per poter descrivere il contenuto che può essere riutilizzata come pendaglio di una collana, e tappi per bottiglie di olio o vino. Nel settore degli oggetti di promozione di manifestazioni locali si è operato su Eurochocolate, che, dal 1994, ha riscosso un crescente successo – dall’anello con supporto per contenere un Bacio Perugina o un cioccolatino, che una volta mangiati rivelano il decoro sottostante, al manico di un lecca-lecca in cioccolato che può essere riutilizzato come pendente; alla scacchiera in cui le pedine sono i già citati Baci. Mentre per la Mostra mercato nazionale del tartufo della Valtopina è stata disegnata una scatolina-forziere per contenere il prezioso tubero riutilizzabile come porta gioie e la fiaschetta da degustazione per I giochi de le porte di Gualdo Tadino. [G.L.]

Approfondimenti Daniele Amoni, L’arte ceramica a Gualdo Tadino, Quattroemme, Perugia, 2001 Vincenzo Cristallo, Ermanno Guida, Alfonso Morone, Marina Parente, Design, territorio e patrimonio culturale, Clean, Napoli, 2006 Guido Donatone, Ceramica antica di Calabria, Isveimer, Napoli, 1989 Eleonora Lupo, Il design per i beni culturali. Pratiche e processi innovativi di valorizzazione, Franco Angeli, Milano, 2009

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Terre antiche

progetto di

Sara Commodi, Federica Santoro


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territori & connessioni


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Scacchiera con cioccolatini pagina a fronte Contenitore per la ‘nduja, marmellata, tartufo


Testi, particolare dei manici 66 territori & connessioni


Progetti per i Presidi alimentari toscani

Luoghi Territorio, storia, tradizione sono le parole chiave di questa tesi il cui obiettivo è dare risalto alla Toscana attraverso uno degli aspetti che la rendono famosa nel mondo, ovvero la produzione enogastronomica. Viaggiando tra alcune delle mete singolari ed evocative delle tradizioni toscane, si incontrano persone che lavorano per promuovere, non solo prodotti e sapori, ma un messaggio che trascende la gastronomia e rimanda ad un modo di vivere ed ad un complesso di valori spesso dimenticati. Conoscenze Il progetto dei Presidi è nato in Italia nel 1999, come fase operativa dell’Arca del Gusto. L’Arca, dopo aver catalogato centinaia di prodotti a rischio di estinzione, decide, attraverso il progetto dei Presidi Slow Food, di entrare concretamente nel mondo della produzione collaborando con i produttori per promuovere prodotti, lavori e saperi. Dopo una prima fase segnata dalle perplessità di produttori ed enti pubblici, il Salone del Gusto tenutosi nel 2000 segna una svolta decisamente positiva nella storia del progetto che da allora continua a crescere, non solo in Italia, ma anche negli altri Paesi del mondo. Nel 2003 il crescente successo del progetto si concretizza nella nascita della Fondazione Slow Food, a cui fanno capo tutte le attività dell’associazione internazionale inerenti la tutela della biodiversità. Scenari Tra i 20 Presidi alimentari toscani ne sono stati selezionati 3 che rappresentano luoghi, ambienti e culture peculiari, il lardo di Colonnata; la farina di castagne, tipica delle zone ricche di boschi come la Garfagnana, la Lunigiana e la montagna pistoiese; i fagioli zolfini del Pratomagno, oggi ricercati e ambiti da veri e propri collezionisti. I progetti, pur recuperando forme proprie del territorio oggetto dell’intervento, si presentano assolutamente contemporanei. “I tempi sono maturi perché l’errore di considerare la cultura popolare come un nostalgico esercizio di stile non si ripeta più. Lo si è dimostrato con successo in campo gastronomico e sono fiducioso che avverrà per ogni forma di espressione che sta alla base di ciò che siamo, perché prima di tutto facciamo parte di una comunità. Ciò non toglie che la necessità di archiviare, salvare, registrare stia venendo meno, che il percorso iniziato qurant’anni fa sia giunto al termine. Anzi, per citare l’antropologo

relatore Giuseppe Lotti

Piercarlo Grimaldi, che dà un senso politico forte a questa riscoperta, abbiamo bisogno di continuare a creare ‘granai di umanità ai quali l’uomo del presente può attingere proficuamente quando l’inverno della cultura si fa più rigido e disumano’. È tempo di unirci al coro.” (Carlo Petrini, 2008) Progetti Visitando il paese di Colonnata emerge chiaramente quanto la vita degli abitanti sia legata all’attività estrattiva e alla produzione del lardo. Da qui l’idea di progettare e realizzare una piccola conca di marmo che sia contemporaneamente prodotto per la conservazione ed il consumo del lardo e oggetto della memoria, capace di evocare la tradizione dei cavatori (l’elemento ligneo alla base ricorda la “lizza”, tecnica per trasportare i blocchi di marmo). Pistoia e il racconto di un tempo in cui l’alimento basilare dei suoi abitanti era il neccio (sottile sfoglia a base di farina di castagne e acqua, cotta tra due testi di ferro) sono l’occasione per il secondo intervento progettuale. In questo caso si è scelto di mantenere i testi attualmente in uso, dotandoli di componenti aggiuntive in grado di dare all’oggetto una valenza formale che trascenda il mero utensile da cucina. In particolare sono stati progettati e realizzati una serie di manici intercambiabili, utilizzando forme e materiali che recuperano tradizioni contadine. La Sagra del fagiolo zolfino, che si tiene ogni anno nella frazione di La Penna del Pratomagno, è l’ispirazione per il progetto di una linea di oggetti in ceramica, dalle forme organiche per la preparazione e la presentazione in tavola del piatto finito. [V.G.]

Approfondimenti AA.VV, Diario Slow Food: 365 giorni in Toscana, Slow Food, Bra (Cn), 2007 AA. VV., L’Italia dei Presidi. Guida ai prodotti da salvare, Slow Food, Bra (Cn), 2004 Enzo Legnante, Giuseppe Lotti, Un tavolo a tre gambe. Design / Impresa / Territorio, Alinea, Firenze, 2005 Carlo Petrini, La rinascita della tradizione, “la Repubblica”, 13 dicembre 2008

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The Tuscan Gustibus

progetto di

Mirko Spinetti


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territori & connessioni


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Lizza, conca per il lardo di Colonnata pagina a fronte Testi, versione con il manico in legno


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Logo e cartolina per Pistoia, terra delle piante

territori & connessioni


Proposte di merchandising per Pistoia, terra delle piante Luoghi Muovendo dai risultati del workshop Scenari e progetti per il vivaismo pistoiese, la tesi è finalizzata alla realizzazione di merchandising per Pistoia, capitale europea del verde. Il lavoro è rivolto a verificare il contributo del design in un settore non orientato al design, muovendo dalla considerazione che la competizione crescente richiede l’impegno di strumenti in grado di creare plus competitivo. Così Paola Gambaro per il comparto floricolo del Ponente Ligure: “Per fronteggiare questa fase problematica gli operatori sono coscienti di dover intervenire su molti aspetti del processo produttivo e distributivo... riconoscono tuttavia che tutto questo non basta per tener testa a un mercato che si mostra decisamente aggressivo. Avvertono la necessità di intervenire anche su altri aspetti che riguardano il settore dei consumi e la difesa di una propria identità, interessando aree attinenti il marketing, la comunicazione e il design in generale.” (Paola Gambaro, 2003) Conoscenze La tesi ricostruisce le principali fasi evolutive del florovivasimo pistoiese, dagli albori a metà degli anni ’50 dell’Ottocento, allo sviluppo degli anni del Fascismo, fino al boom degli anni ’60 ed all’ultimo decennio con una progressiva specializzazione anche in risposta ad una crescente concorrenza. La congiuntura attuale è affrontata sia dal punto di vista numerico – aziende, addetti, fatturato, export – che degli elementi di forza (soprattutto la presenza di un articolato sistema di soggetti, relazioni, conoscenze) e debolezza (scarsa attitudine alla ricerca, difficoltà di ricambio generazionale, una concorrenza crescente). Scenari Successivamente alla fase di individuazione delle Vie del Verde – “dei Giardini, delle Stagioni, dei Colori” -, percorsi tematici per turisti e non solo, la progettazione ha definito prodotti di merchandising rivolti sia ai turisti che agli abitanti che risiedono in zona e che magari non conoscono completamente la realtà di Pistoia. Le proposte di progetto si dividono in due categorie: la prima costituita da oggetti che evocano le peculiarità del luogo; mentre la seconda si presenta come più grafica.

relatore Giuseppe Lotti

Progetti Per quanto riguarda gli oggetti memoria del territorio, questi sono stati progettati per essere realizzati in acciaio a continuare la tradizione pistoiese della lavorazione dei metalli. Il primo oggetto nasce dall’enfatizzazione della frutta che viene esaltata da un centrotavola dalle linee morbide al fine di creare una specie di “esposizione di colore” che ricorda i declivi delle colline toscane. La seconda proposta progettuale si lega invece alla tradizione del Natale; in questo caso le tipologie di coltivazione che entrano in gioco sono due, di rilievo per la provincia: gli alberi da frutto, e gli abeti. Il tutto a richiamare la tradizione che portava ad addobbare l’albero di Natale con la frutta. Il prodotto si presenta come una sorta di rievocazione di tutto questo, con sottili ma nette differenze: l’albero vero scompare e la frutta diventa l’albero stesso. Il terzo progetto, infine, nasce dalla necessità di coltivare le erbe aromatiche in appartamento che viene affrontata attraverso il progetto di contenitori di dimensioni contenute e pensili, appesi sotto lo scolapiatti della cucina in modo tale da subire lievi ma costanti annaffiature. Relativamente ai progetti grafici, questi riguardano il logo di Pistoia città del verde, una forma sintetizzata che può richiamare sia una pianta sia fili d’erba. Il logo è proposto su t-shirt e cappellini promozionali e su materiale di utilizzo domestico, come per esempio presine e guanti per il forno da cucina, una produzione, quella della biancheria per la casa, tipica del pistoiese. Completa la proposta una cartolina a sorpresa, in due versioni: un dvd dove sono stati inseriti files di svariate tipologie di alberi, utili per il lavoro di progettisti; un cartoncino, con rappresentate graficamente, sul fronte, quattro diverse specie di fiori oppure di alberi ed indicazioni tecniche relative; ogni striscia è anche un tester profumato. [G.L.]

Approfondimenti Ampelio Bucci, L’impresa guidata dalle idee, Domus Academy, Milano, 2002 Elisabetta Cianfanelli (a cura di), Land*Flower*Design. Marchi dell’eccellenza pistoiese, Polistampa, Firenze, 2007 Paola Gambaro, Design Ricerca Azione. Strategie e comunicazione per il sistema floricolo del ponente ligure, Alinea, Firenze, 2003 Vincenzo A. Legnante, Giuseppe Lotti (a cura di), Forma viva. Design per il vivaismo, Alinea, Firenze, 2007

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Le vie del verde

progetto di

Martina Berti


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territori & connessioni

CD e cartolina


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Presina Albero di Natale con frutta


territori & connessioni

Cool_slowly, grafica 74 per il Museo del ghiaccio


Oggetti ricordo per un museo del ghiaccio

Luoghi Il progetto è un contributo al tema del design per la valorizzazione del territorio. In particolare l’attenzione è rivolta alle problematiche legate ai beni culturali nell’ambito di un dibattito che negli ultimi anni si è sviluppato a livello nazionale: si pensi ai workshop sul tema organizzati in Campania da Ermanno Guida e Vincenzo Cristallo. In particolare, la tesi si è sviluppata attorno ad un’ipotesi di Museo del ghiaccio della montagna pistoiese – ad oggi non esistente, mentre è presente un ecomuseo diffuso sul territorio con un itinerario di cui fa parte il percorso del ghiaccio nella valle del Reno – di cui si ipotizza la realizzazione e per il quale sono progettati oggetti ricordo. Una realtà, quella dell’industria del ghiaccio, nata alla fine del ’700 come misero incremento per gli scarsi introiti degli abitanti della montagna. Conoscenze Nonostante le possibilità offerte dalla Legge Ronchey che stimolava i musei alla creazione di merchanding, scarsi sono ancora nel nostro paese gli esempi di progettazione coordinata legata alle collezioni museali. Nella tesi è citato il caso di I love Pompei che, con il coordinamento di Claudio Gambardella, ha portato alla realizzazione di una serie di souvenir d’autore, figli di “quel filone umanistico che Ponti identificava con le origini stesse del design italiano” (Gambardella, 2002), disegnati, tra l’altro, da Andrea Branzi, Riccardo Dalisi, Isao Hosoe, Enzo Mari, Alessando Mendini, Paola Navone… Scenari “L’immateriale del materiale” oggetto del progetto ha inizialmente creato qualche problema – “Bisogna capire se si deve progettare il ghiaccio, per il ghiaccio o ispirandosi al ghiaccio…”. Poi la scelta è caduta sull’oggetto memoria del territorio: l’obiettivo era quello di andare al di là di forme stereotipizzate; la difficoltà stava nel “riacquistare quell’attaccamento al proprio territorio e alle proprie radici che la routine cittadina aveva in qualche modo intrappolato in un cantuccio della memoria.” (Baria). Sul piano tipologico la scelta è caduta su due direzioni di lavoro: la progettazione di alcuni elementi grafici – il segnalibro la cartolina, la t-shirt, l’ombrello – ed altri più ‘oggettuali’, il portaghiaccio, i bicchieri con relativo packaging.

relatore Giuseppe Lotti

Progetti Relativamente alle scelte progettuali, queste sono da individuare nella grafica di tipo fotografico con immagini trattate “alla Andy Warhol” – con il ghiaccio che diviene oggetto di culto così come la banana della copertina del disco dei Velvet Underground & Nico. Nascono i loghi per t-shirt coo_slowly, be_cool e ice_drink in cui il ghiaccio è interpretato con i colori dell’Ecomuseo della Montagna pistoiese “quasi a raffreddare chi indossa la maglietta in un caldo pomeriggio d’estate”. Altro motivo grafico, il ragazzo che, quasi sospeso in aria, gioca con il ramo spezzato dal “bruscello” fenomeno naturale che trasforma le piante in sculture di ghiaccio spesso portandole alla rottura con ingenti danni all’ecosistema bosco – quasi ad esorcizzarne gli effetti dannosi: “Hai voluto spezzare il ramo? E ora io mi ci diverto.” Relativamente all’oggettistica, le forme sono derivate direttamente dall’”insieme del ghiaccio” e cioè da quel complesso di strutture ed attrezzi che sono stati teatro della produzione a cavallo tra ‘800 e ‘900. Così il portaghiaccio deriva la sua forma da La Madonnina, la ghiacciaia più famosa della valle del Reno con due tronchi di cono concentrici dai vertici opposti in acciaio inox stampato. La stessa ispirazione formale è alla base anche dei bicchieri Glass 21/12, ottenuti attraverso incamiciatura di due paste di vetro con un doppiofondo nel quale è serigrafata la scritta ”cool_slowly” che compare solo in presenza del liquido e New Wave realizzati in vetro dicroico che cambia colore a seconda della natura della luce – artificiale o naturale. Completa il set di bicchieri un imballaggio formalmente neutro in cartone ondulato realizzato senza colla né punti metallici. [G.L.]

Approfondimenti Duccio Canestrini, Non sparate sul turista, Bollati Boringhieri, Torino, 2004 Flaviano Celaschi, Alba Cappellieri, Alessandra Vasile, Lusso versus design. Italian design, beni culturali e luxury system: alto di gamma e cultura di progetto, Polidesign – Franco Angeli, Milano, 2005 Claudio Gambardella, I love Pompei, Electa, Napoli, 2002 Rolando Nesti, L’industria del ghiaccio a Prataccio. Ricerca sulle vecchie ghiacciaie del rio Buio, Polistampa, Firenze, 1998

75 territori & connessioni

Bringing it all back home

progetto di

Emilio Baria


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bruscello?, grafica per il Museo del ghiaccio

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pagina a fronte Glass 21/12, bicchieri ed imballaggio

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CONNESSIONI


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Dessine-Moi, tavolo, dettaglio, produzione Jacqueline Becker


Comunicazione interculturale a tavola

Luoghi La tesi nasce nell’ambito del workshop Ceramica / Mediterraneo / Agroalimentare del progetto Interreg III C Euromedsys, tenutosi a Sousse (Tunisia) nel Marzo 2007 che ha visto la partecipazione, oltre che del Corso di Laurea in Disegno industriale, dell’Isia di Firenze, della Seconda Università di Napoli, dell’ècole des Beaux Arts de Marseille e dell’Institut des Beaux Arts de Sousse. Il progetto di Anzillotti lavora in particolare sulla difficoltà di comunicazione ed al tempo stesso sulla necessità di dialogo interculturale visto come occasione di scambio e crescita e nasce dal problema contingente creatosi in occasione del workshop stesso – 3 paesi e molte lingue, arabo, francese, italiano, un po’ d’inglese. In un contesto di intervento, il Mediterraneo, che, a smentire quanti dall’apertura della rotta delle Americhe guardano all’Occidente come unico riferimento mondia“punto del pianeta su cui si incontrano e si scontrano civiltà diverse...” con i “conflitti che costituiscono la prova più certa della centralità del Mediterraneo che, lungi dall’essere diventato un lago marginale, costituisce ancora oggi una frontiera cruciale.” (Franco Cassano, in Cassano, Zolo, a cura di, 2007). Conoscenze Il tema della comunicazione interculturale è stato di recente oggetto di alcune sperimentazioni nel mondo dell’arte – così Michelangelo Pistoletto attraverso il tavolo Love difference (2003) con il piano in vetro specchiante che riprende la forma del Mare Mediterraneo, simbolo del multiculturalismo, e attorno sedute provenienti dai diversi paesi che su questo si affacciano –, mentre nel design è presente il tema del coinvolgimento del fruitore a livello di scrittura e disegno che si ritrova, tra l’altro, in Paolo Ulian, Pagina, piastrella con righe per una più facile scrittura sui muri dei bagni pubblici; Djoke de Jong, Drawing table per Droog design, un tavolo da disegno per cene noiose o costruttivi brainstorming; Sanne van Engen, Active Tablecloth, tovaglia cruciverba per giochi di gruppo. Espliciti anche i riferimenti di natura semiotica: per un progetto che lavora fondamentalmente sulla “funzione seconda” del tavolo – il comunicare attraverso il disegno; ed una tovaglia significante come canale materico comunicativo. Scenari Il progetto opera sulla possibilità di comunicazione garantita da una tovaglia in ceramica sulla quale è possibile scrivere. La tovaglia è costituita da più elementi, uniti tra loro da una corda rossa a zig-zag, quasi ad unire le due rive del Mediteraneo ed i paesi che su di esso si affacciano – “… si nous avons des terres différentes, nous avons une mer comune.” (Becker) Più formalizzazione di un concetto che vero e proprio prodotto, dunque, a percor-

relatore Giuseppe Lotti correlatori Ilaria Bedeschi, Angelo Minisci con Jacqueline Becker, Ècole des Beaux Arts de Marseille

rere il confine, da sempre labile, tra arte e produzione; con al contro un messaggio sociale che, esplicitamente, ci parla della necessità di un confronto paritetico tra culture. Progetti Del progetto viene realizzato un primo prototipo di studio in Tunisia durante la settimana del workshop, un pezzo che, data la brevità del lavoro, rimane alla fase di biscotto (senza cottura); un secondo prototipo è poi realizzato a Marsiglia da Jacqueline Becker, e, abbinato a due contenitori sempre in ceramica per pennarelli, viene esposto in occasione della mostra Abitare il Mediterraneo (Firenze, luglio 2007) e del Festival della Creatività (Firenze, ottobre 2007). La seconda mostra è l’occasione per testare l’idea con molti bambini che si divertono ad intervenire sulla nappe con disegni e scritte. In più, nel tentativo di capire se del prototipo fosse possibile attuare una produzione a tiratura limitata, Colorobbia, azienda toscana che opera su materiali per l’industria della ceramica e del vetro, ha realizzato ulteriori prototipi, alcuni in scala, in vetroceramica e poi in vetro, nei quali sono stati applicate piccole calamite con l’obiettivo di garantire ai pennarelli l’ancoraggio al tavolo. Nelle ultime versioni scompaiono la scomponibilità degli elementi e la “cucitura” ed il pezzo diventa un unico elemento – più prodotto e meno istallazione. [G.L.]

Approfondimenti Fernand Braudel, La Mediterranée, Flammarion, Paris, 1985; trad.it. a cura di E. De Angeli, Il Mediterraneo. Lo spazio la storia gli uomini le tradizioni, Bompiani, Milano, 1987 Franco Cassano, Danilo Zolo (a cura di), L’alternativa Mediterranea, Feltrinelli, Milano, 2007 Giuseppe Lotti, Il letto di Ulisse. Mediterraneo cose progetti, Gangemi, Roma, 2008 Annalisa Marinelli, Etica della cura e progetto, Liguori, Napoli, 2002

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Dessine-moi

progetto di

Samuele Anzellotti


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Fasi del workshop a Sousse, Tunisia

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pagina a fronte Dessine-Moi, tavolo, produzione Jacqueline Becker


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84Meet with taste, tazza, dettaglio territori & connessioni


Tra Prato e Cina

Luoghi L’attenzione è rivolta ad un particolare contesto, quello della città di Prato, in cui la presenza di extracomunitari, in particolare cinesi, manifestatasi a partire dagli anni ’90, è molto forte – su 180.000 abitanti, tra regolari e senza permesso di soggiorno, i cinesi risultano più di 20.000. I cinesi sono impiegati in larga parte nelle aziende tessili – circa un quarto del totale -, in concorrenza con le imprese tradizionali verso le quali possono vantare un più basso costo della manodopera, minore spese di gestione, con conseguenti crescenti conflittualità amplificate dalla attuale congiuntura economica. La comunità cinese, per cultura estremamente coesa ed indipendente, presenta inoltre un basso tasso di integrazione. Conoscenza La tesi affronta dunque il tema della società multietnica attraverso l’analisi di concetti chiave quali migrazione, flussi, straniero, etnia, diversità, altro, diffidenza, pregiudizio, identità, intolleranza, multiculturalismo, scontro, assimilazione, paura, allarme, xenofobia, territorio, distanza, nazione, appartenenza, transculturalità, multipolarità, intolleranza, invisibilità, seconda generazione, confine, frontiera, condivisione, ospitalità. Ma senza tralasciare lo sguardo dell’altro: xin yi min – migrante, guanxi – rete di solidarietà tra persone fidate, wenzhouren – abitanti, chi proviene da Wenzhou, lao huaqiao – cinesi soggiornanti all’estero da lunga durata, wuming – senza nome, zagong – manodopera generica. A ricordare quanto è importante superare la visione eurocentrica ed occidentale del mondo: “inclusione significa che la comunità politica si apre all’inserimento di cittadini di qualsiasi estrazione senza che questi ‘diversi’ debbano assimilarsi a una supposta uniformità etno culturale... nelle società multiculturali diventa necessaria una ‘politica del riconoscimento’; dal momento che l’identità di ogni singolo cittadino si intreccia alle identità collettive e viene a dipendere dallo stabilizzarsi di una rete di riconoscimenti reciproci.” (Jürgen Habermas, 1999) Scenari A livello di scenari di progetto si è scelto di operare nel settore dell’agroalimentare muovendo dalla consapevolezza che l’uomo è ciò che mangia e che, da sempre, il

relatore Giuseppe Lotti

cibo ha rispecchiato, più di altre espressioni, la complessità dell’esistente, le contaminazioni tra popoli, l’intreccio delle culture. L’attenzione è stata rivolta a due prodotti tipici delle culture oggetto dell’incontro – il biscotto di Prato, dall’antica tradizione ed il the, una bevanda il cui consumo si perde nella notte dei tempi, molto diffuso in Cina. Il cibo diviene dunque il luogo dell’incontro, dello scambio, della condivisione. Progetti La tesi ha prodotto un piatto-vassoio a base circolare sulla quale è ricostruita in estrema sintesi la pianta del centro di Prato, la città tra le mura – che diviene lo spazio che contiene i biscotti – in cui compaiono le piazze e le strade principali. Tutt’intorno cinque frammenti di piatto, che diventano essi stessi piattini per il the, sui quali sono posizionate altrettante tazze di una misura a metà tra quelle tradizionali per il the cinese e quelle italiane su cui, a rilievo ed internamente, sono riprodotti volti estremamente stilizzati – come a dire la città, la gente, i singoli individui. Un oggetto-manifesto, che racconta una nuova possibile ospitalità basata sulla convivenza, non un prodotto per il mercato. La presentazione del prodotto è affidata anche ad un video che ricostruisce con ironia e leggerezza la situazione che potrebbe venire a crearsi intorno al prodotto; con un primo momento in cui vince la incomunicabilità tra giovani italiani e cinesi e, successivamente, proprio intorno al the e biscotti ed al progetto, nasce un dialogo che si apre ad una possibile amicizia. [G.L.]

Approfondimenti Marco Aime, Eccessi di culture, Einaudi, Torino, 2004 Iürgen Habermas, La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazioni e democrazia, Feltrinelli, Milano, 1999 Raffaele Oriani, Riccardo Stanagliò, I cinesi non muoiono mai, Chiarelettere, Milano, 2008 Carlo Petrini, Slow Fodd. Le ragioni del gusto, Laterza, Roma-Bari, 2001

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Meet with taste

progetto di

Ilaria Bartolini


86 territori & connessioni Meet with taste, il prodotto completo pagina a fronte Meet with taste, tazze


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Alice Cappelli, tavolino, 88 territori & connessioni

produzione donne di Tamegroute


Per l’artigianato della valle del Drâa in Marocco

Luoghi La tesi si sviluppa all’interno del Progetto Valorizzazione dell’Artigianato della Provincia di Zagora finanziato dalla Regione Toscana in ambito degli “Interventi per la promozione dell’attività di cooperazione e partenariato internazionale, a livello regionale e locale.” In particolare il lavoro è frutto dell’attività di due workshop progettuali finalizzati a valorizzare e innovare l’artigianato locale legato alla palma ed ai prodotti vicini nell’ottica di salvaguardare le competenze tradizionali verificando la possibilità di opportunità legate al turismo e di eventuali sinergie con aziende toscane. Il lavoro è stato condotto nella Valle del fiume Drâa, un contesto caratterizzato dalla presenza dell’uadì (fiume temporaneo), di sei oasi, di villaggi in terra cruda, ma anche a forte rischio di desertificazione, in collaborazione con Adedra, Ong locale. Una realtà, quella della Valle del Drâa, caratterizzata da una forte coesione sociale testimoniata dalle circa 400 associazioni civiche, un Marocco poco conosciuto “modèle pour les gens du Nord... qui semblent avoir, oublié cette tradition millenaire de la solidarité collective.” (Fatema Mernissi, 2004) Conoscenza Il tema del design per i paesi del Sud del mondo necessariamente fa riferimento alle esperienze della Design Academy di Eindhoven che ha attivato il Dipartimento Man and Humanity all’interno del quale si sviluppano workshop e progetti in collaborazione con strutture che operano per lo sviluppo locale dei paesi terzi (Enjoy the difference per la produzioni di oggetti in agave e foglie di banano in Kenya, Made in Perù con ONG ed artigiani che operano sulla tessitura tradizionale...). Nella tesi sono citate anche le esperienze dello IUAV di Venezia in Vietnam per lo sviluppo di prodotti in bambù e vimini e dello IED che, con Green Cross Burkina Faso, ha lavorato allo sviluppo di soluzioni per la gestione delle risorse idriche. Scenari Nell’elaborazione del quadro di interventi possibili sono stati prefigurati tre scenari di riferimento: prodotti per il mercato locale, su cui si è ritenuto di non intervenire per la difficoltà di acquisire reali conoscenze su oggetti con valenze esclusivamente funzionali e d’uso; prodotti per il mercato del turismo, finalizzati a creare

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relatore Giuseppe Lotti correlatori Ilaria Bedeschi, Ahmed Zainabi, ADEDRA

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Elles peuvent

progetto di

Maurizio Alonzo, Alice Cappelli

oggetti del ricordo a forte caratterizzazione territoriale, sia imballaggi per prodotti tipici che oggetti in palma di dimensioni e qualità appetibili per il turista; prodotti per il mercato estero, anche nell’ottica di sinergie con aziende italiane. Progetti In particolare Alonzo ha elaborato una serie di concept progettuali nel tentativo di reinterpretare forme e materiali locali, come in gl3, un tappeto in palma costituito da due forme circolari di diverso diametro realizzate con il motivo a spirale tipico della lavorazione del materiale, legate nel punto di tangenza da una tessitura di fili colorati. E ancora, nel tentativo di coniugare realtà produttive locali diverse, il portafrutta in ceramica verde di Tamegroute la cui base è un intreccio di filamenti di palma o i vasi a doppio cono in pneumatico di recupero e palma. Ed infine l’ipotesi di un tappeto che può essere realizzato interamente in Marocco o attraverso lo sviluppo di sinergie produttive: una base rettangolare in lana cotta locale (o in feltro se prodotto in Italia) in cui si inseriscono sedute tridimensionali circolari in palma. Il progetto di Cappelli, realizzato con l’Associazione di donne AFDES, è un tavolino basso in palma ricoperta da plastica proveniente dal recupero delle buste monodose del latte per bambini che mutua la doppia forma conica dal tajine. Utilizzato come piano di appoggio e di lavoro per una seduta a terra è anche contenitore con diverse chiusure possibili: un piano in palma, il vassoio in metallo per servire il the alla menta, un coperchio in metacrilato colorato nella versione frutto di sinergia produttiva con aziende italiane. [I.B.]

Approfondimenti AA.VV., Trésors et merveilles de la vallée du Drâa, Marsam, Rabat, 2004 Paola Caridi, Arabi invisibili. Catalogo ragionato degli arabi che non conosciamo. Quelli che non fanno i terroristi, Feltrinelli, Milano, 2007 Giuseppe Lotti, Ilaria Bedeschi (a cura di), Elles Peuvent. Progetti per gli artigiani della valle del Drâa, Ets, Pisa, 2007 Fatema Mernissi, Les Sinbads Marocaines: voyage dans le Maroc civique, Marsam, Rabat, 2004; trad.it. a cura di E. Bartuli, Karawan. Dal deserto al Web, Giunti, Firenze, 2004


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Alice Cappelli, tavolino, produzione AFDES pagina a fronte Elles Peuvent, fasi del workshop a Zagora


Luminaria uno, lampada, 92 territori & connessioni

particolare, produzione Emec


Un’esperienza a Xapuri, Amazzonia

Luoghi L’attività di questa tesi si è svolta a Xapuri, una piccola città dell’Amazzonia divenuta famosa per la lotta per la conservazione della foresta promossa da Chico Mendes; da qui sono mosse tutte le iniziative in difesa dei seringueiros e della foresta, che, nel corso degli anni, si sono allargate a tutta l’Amazzonia. L’attività è avvenuta presso l’officina scuola EMEC, che nasce da un progetto di collaborazione con l’associazione italiana Amazzonia-Brianza, il cui scopo è quello di creare una scuola-bottega per generare lavoro e rendita per donne ed adolescenti ad alto rischio.

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relatore Giuseppe Lotti correlatore Ivo Pons, Universidade Presbiteriana Mackenzie

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Design dell’altro mondo

progetto di

Ilaria Serpente

“relativismo culturale” che si fa progettuale. (Massimo Canevacci Ribeiro, 2007)

Conoscenza Il progetto rientra nella più ampia tematica del design per la cooperazione internazionale di cui sono ricostruite alcune esperienze brasiliane – da Design Solidário della Design Academy di Eindhoven a Design Possível (vedi schede seguenti). In particolare, rispetto ai progetti sopra citati, la tesi opera in un contesto rurale caratterizzato da forti problematiche sociali. Il boom economico e l’industrializzazione introdotti in Brasile a partire dagli anni ‘60, hanno trovato scarsi corrispettivi nella realtà delle campagne, basata su un’economia agricola latifondista. Nel Paese convivono ancora forme economiche e culturali medievali con il sistema capitalistico, senza una vera classe media. Il rafforzamento delle già alte barriere sociali ha fatto sì che oggi il Brasile sia un paese con grandi problematiche sociali pur essendo tra le prime dieci potenze industriali al mondo. In particolare, nonostante i recenti investimenti del governo, non esiste un vero e proprio artigianato brasiliano, ma solo episodi sporadici, perché non sono mai state create forme di associazione in grado di rafforzarne l’immagine; così l’artigianato è rimasto spesso simbolo di necessità e di povertà.

Progetti In un tale contesto, il progetto ha portato alla definizione di una serie di lampade per nuovi mercati e come risposta ad una commessa dell’officina relativa ad oggetti religiosi. Luminaria Uno è una lampada da terra realizzata con scarti di un legno, chiamato acariquara. Del buriti (una palma locale), invece, sono state utilizzate le parti rigide, inserite nella base di legno, e quelle morbide, intrecciate per dare forma alla luce. Fugindo è un gioco, un pezzo di legno recuperato nel magazzino, pulito, diviso in due parti, e riutilizzato per creare una lampada, dalla forma imperfetta che racchiude tutto il fascino dell’Amazzonia. Lampada minima è una lampada da parete essenziale, semplice e funzionale come le soluzioni usate per far fronte al clima equatoriale. La lampada, una volta smontata, entra in una piccola scatola di cartone (che può essere prodotta dalla cooperativa delle donne). Le bacchette di legno e la carta che fa da paralume sono di diversi tipi, in modo che l’acquirente possa scegliere la combinazione che più preferisce. Kit Igreja 1, commissionato inizialmente per una comunità locale di suore, è un set formato da calice, pisside e patena da vendere alle chiese della zona di Xapuri. Kit Igreja 2 è un secondo set progettato a São Paulo, un’alternativa più ricercata nelle forme e con l’aggiunta di un materiale nuovo da associare al legno: l’oriço di Castana do Parà, cocco dalla spessa corteccia. Da sottolineare la richiesta di coinvolgimento del design per la creazione di oggetti che solitamente rientrano in un mercato particolare, poco orientato verso i cambiamenti e le innovazioni. [V.M.]

Scenari La capacità di durare nel tempo e la funzionalità sono le caratteristiche più apprezzate dal mercato locale, verso cui è rivolto il prodotto finale. La difficoltà maggiore del progetto risiede proprio nella capacità di individuare un piano di confronto con la cultura del contesto di intervento che guarda all’oggetto esclusivamente come strumento. Il tutto nel tentativo di superare ogni rischio “assimilazionistico”, di “gerarchica acculturazione”, in un certo senso neo-coloniale in nome di un

Approfondimenti Lina Bo Bardi, L’impasse del design: l’esperienza del Nordest del Brasile, Charta, Milano, 1995 Vittorio Bonanni, Chico Mendes e la lotta dei seringueiros dell’Amazzonia, Datanews, Roma, 2001 Adélia Borges, Mauricio Azeredo. A costrucao da identidade brasile ira no mobilario, Instituto Lina Bo e P. M. Bardi, São Paulo, 1999 Massimo Canevacci Ribeiro, La linea di polvere. I miei tropici tra mutamento e auto rappresentazione, Meltemi, Roma, 2007


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Fugindo, lampada, produzione EMEC

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pagina a fronte Luminaria uno, lampada, produzione EMEC Fasi della lavorazione presso EMEC

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Bab Bel Abb, contenitore, particolare, 96 produzione artigiani di Marrakesh


Innovazione per l’artigianato di Marrakesh

Luoghi La tesi si muove nell’ambito del design per la cooperazione internazionale, con l’idea di portare un contributo operativo ad uno sviluppo mediterraneo che coniughi sostenibilità sociale ed ambientale; “Il Mediterraneo... come risposta comunitaria al capitalismo globalizzato, a un mondo dominato dalla legge impersonale e spietata del profitto privato, e a quelle filosofie che ne cantano le ‘magnifiche sorti e progressive’ ed esaltano la crescita senza curarsi dei cumuli di macerie che si assiepano ai bordi dello sviluppo.” (Franco Cassano, in Cassano, Zola, a cura di, 2007) Relativamente al contesto di intervento, la tesi ha operato in collaborazione con un gruppo di artigiani della medina di Marrakesh che lavorano il pneumatico di recupero al fine di definire prodotti che, muovendo da un materiale di per sé anonimo, assumessero connotazioni identificative del luogo di produzione. Conoscenza La tesi ha affrontato, attraverso il pensiero di Predrag Matvejevic´ e di Franco Cassano, il tema della centralità del Mediterraneo, individuandone alcune peculiarità: la contiguità delle diversità, l’apertura a scambi e comunicazioni, la varietà geografica, religiosa, culturale, la permanenza di radici e segni di sedimentazioni storiche. Sono stati approfonditi alcuni interventi rivolti al rapporto tra design e Mediterraneo, in particolare Medesign, la ricerca di Sistema Design Italia, che ha fornito un panorama ricco di interventi per la valorizzazione dei sistemi produttivi locali e l’indagine di tratti peculiari dei prodotti; e HabitatMed, condotto dalla Regione Toscana con un partenariato euromediterraneo che ha definito un Manifesto dell’Abitare Mediterraneo anche attraverso la realizzazione di prodotti simbolo. La tesi ha inoltre ricostruito, mediante un’analisi diretta in loco, le attività artigianali tipiche della medina: l’intreccio della paglia, la forgiatura del ferro e la lavorazione delle leghe metalliche, la colorazione della lana, la produzione di ceramica. Scenari L’azione progettuale si è articolata intorno alla definizione di scenari strategici di intervento secondo i quali si sono poi definiti i successivi prodotti: un primo livello di miglioramento della funzionalità e qualità del prodotto, finalizzato a renderlo maggiormente in linea con le normative vigenti (sostituzione di materiali, aumen-

relatore Giuseppe Lotti correlatore Saverio Mecca

to della leggerezza…); un secondo livello di innovazione formale attraverso l’uso del colore e la contaminazione di forme derivanti dall’iconografia locale; a seguire un’innovazione di mercato realizzabile con la creazione di kit di oggetti (vassoi e bicchieri, set di cornici…), piccoli souvenir turistici (sottopentole, tovagliette…), sinergie produttive con altri settori (paralumi per lampade); infine l’ipotesi di lavorare sull’emancipazione del materiale: cesti portabiancheria che lo identifichino come più igienico o gioielli che lo rendano artificialmente “prezioso”. Progetti In linea con gli scenari prefigurati sono stati elaborati anche alcuni prototipi: - Bab Aylen, specchio asimmetrico che trova spunto formale nelle porte della città, rivestito in pneumatico e acciaio stagnato impreziosito da decorazione puntinata a scalpello; - Bab Sidi, intervento di redesign sulle cornici in pneumatico già in commercio attraverso l’inserimento di lana di montone colorata; - Bab Debbagh, comodino che nasce dalla scomposizione geometrica di un pattern islamico costituito da una struttura in legno rivestita di pneumatico ed inserti in tessuto damascato; - Bab Bel Abb, mobile ad ante la cui struttura in legno laccato bianco è stata realizzata in Italia – ad ipotizzare possibili, future sinergie produttive tra le due rive – ed ante rivestite in pneumatico a formare geometrici motivi decorativi. Comune a tutte le soluzioni il riferimento – materico, formale, di texture – al contesto di intervento nel tentativo di contrastare ogni possibile tentazione colonizzante. [I.B.]

Approfondimenti AA.VV, Vivere sotto la “Luna crescente”. Cultura domestica nel mondo arabo, catalogo breve della mostra, Rovereto 2005 Pietro Barcellona, Fabio Ciaramelli (a cura di), La frontiera mediterranea. Tradizioni culturali e sviluppo locale, Dedalo, Bari, 2006 Franco Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari, 1996 Raffaella Fagnoni, Paola Gambaro, Carlo Vannicola (a cura di), Medesign _ Forme del Mediterraneo, Alinea, Firenze, 2004

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Pneu

progetto di

Alice Balatresi, Cecilia Catalano, Alessandra Ghiozzi


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Bab Aylen, specchio, produzione artigiani di Marrakesh pagina a fronte Bab Sidi, cornice, produzione artigiani di Marrakesh Bab Debbagh, comodino, produzione artigiani di Marrakesh


oMo, pouf da compagnia, particolare, 100 territori & connessioni

produzione Recicla Jeans


Una cooperazione Brasile-Italia

Luoghi Il lavoro di tesi nasce nell’ambito di una collaborazione tra il Corso di Laurea in Disegno Industriale di Firenze e l’Universidade Presbiteriana Mackenzie di São Paulo che, nell’ambito delle tematiche del design per la sostenibilità, ha attivato uno scambio tra studenti dei due paesi e OGN brasiliane – Aldeia do Futuro, Associação Comunitária Monte Azul, Florescer, Projeto Arrastão e Recicla Jeans – che producono oggetti in materiali di recupero (stoffa, jeans, legno, teloni pubblicitari in PVC). Il tutto nell’intento di contribuire, attraverso il design, ad accrescere la competitività dei prodotti delle ONG con ricadute sul piano sociale. La scelta del Brasile, di São Paulo, non è casuale, “il sincretismo che ha attraversato diverse diaspore è un dono che i Bresil attuali possono offrire (nonostante i loro multiproblemi) a quelle parti del mondo e dell’umanità che si muovono tra globalizzazione e localizzazione.” (Massimo Canevacci, 2004) La tesi nello specifico si spinge oltre il concetto di design come strumento di sostenibilità, attraverso la possibilità del progetto di ideare oggetti significanti, portatori di valori intrinseci di relazione tra gli individui e gli oggetti stessi, che finiscono per assumere una specifica, forte identità che li rende quasi animati. Conoscenza Il tema del design per i paesi del Sud del mondo è sviluppato attraverso lo studio dei contributi di Victor Papanek, con le considerazioni sulle responsabilità del progettista e sul rapporto con società e mercato; di Gui Bonsiepe, in particolare le riflessioni sulla necessità di un alto valore d’uso del prodotto e sulla rischiosa trasmissione di conoscenze tecnologiche dai centri alle periferie; e, relativamente al contesto specifico di intervento, di Lina Bo Bardi, con la ricerca sulla creatività popolare e la ”poetica del necessario” sfociati nel Museu da Arte Popular Solar do Unhão. La tesi ha anche affrontato un excursus storico sul design brasiliano teso a metterne in risalto i momenti e le personalità salienti (il modernismo degli anni ’30, l’impronta architettonica di Oscar Niemeyer, la ricerca di un’identità formale propria della fine degli anni ’50…) fino all’attuale conquista dello scenario internazionale con il “design artigianale” dei fratelli Campana.

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relatore Giuseppe Lotti correlatori Ilaria Bedeschi, Ivo Pons, Universidade Presbiteriana Mackenzie

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Design Possível

progetto di

Maddalena Vantaggi

Scenari Dal primo approccio alla cooperazione il progetto si è concentrato sul terreno di confine tra mondo dell’infanzia e oggetti ludici per adulti, da realizzarsi anche nel tentativo di attuare sinergie tra ONG diverse per territorio e prodotto. Le idee di progetto, elaborate a seguito di una conoscenza a distanza delle realtà produttive delle ONG, documentate con l’invio di video e materiale, hanno poi subito evoluzioni, integrazioni e modifiche con la successiva permanenza di due mesi a São Paulo, realizzando così una sorta di codesign, di personalizzazione degli oggetti da parte degli esecutori materiali che rappresentava uno degli obiettivi del progetto stesso. Progetti I progetti realizzati ed i relativi prototipi muovono da una forte ispirazione dal mondo del character design, inteso come design dei personaggi, dall’idea che abbiano tratti grafici distintivi che, al di là di un contesto narrativo, li facciano esistere in sé, con un’identità universalmente riconoscibile. Così oMo, un pouf da compagnia dalle dimensioni e fattezze ‘umane’, è un grande pupazzo di jeans, una sorta di personaggio emozionale morbido e comodo su cui adagiarsi e da abbracciare, con una tasca al posto del cuore, in cui, in contrasto con i consueti rituali voodoo di magia nera, riporre una foto o un pensiero d’amore. Anche Woodolls, marionette da dita, più facilmente usabili di quelle tradizionali per la presenza di un’anima in legno, nascono da caratterizzazioni di tratti essenziali ed universali mutuati da personaggi delle fiabe europee e brasiliane, per divenire giocattoli pedagogici a bassa tecnologia che spingono all’interazione fra i bambini e con i genitori. [I.B.]

Approfondimenti Marili Brandão e Fábio Magalhães (a cura di), Brasil Faz Design, São Paulo, 2002 Massimo Canevacci, Sincretismi. Esplorazioni diasporiche sulle ibridazioni culturali, Costa & Nolan, Milano, 2004 “Diid, Disegno Industriale”, Mercosur Design, n.12, 2005 Paul Meurs (a cura di), Brasil Holland. A design match, Design Academy Eindhoven, Eindhoven, 2002


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Fasi di lavorazione presso Recicla Jeans Woodolls, marionette per dita, produzione Aldeia do Futuro pagina a fronte oMo, pouf da compagnia, produzione Recicla Jeans


Tavola nomade, piano del tavolo, particolare 104 territori & connessioni


Sull’artigianato Rom

relatore Giuseppe Lotti correlatori Angelo Minisci Alessandra Carmen Rocco, Antica Sartoria Rom

Luoghi Il progetto nasce a seguito del workshop Outside Project – Belgrade 2006 (un progetto di interscambio che coinvolge docenti e studenti di scuole serbe, statunitensi ed italiane incentrato sui temi dello spazio, della memoria, dell’identità) e del contatto diretto con l’etnia rom, in un contesto particolare come quello del paese serbo. Attraverso l’analisi della cultura Rom e delle sue molteplici sfaccettature, spesso non conosciute (si pensi a come oggi gli zingari rappresentino con quasi 9 milioni di unità la più grande minoranza europea), si sono evidenziate, oltre alle ben note problematiche sociali e di inserimento, anche potenzialità relative a progetti artigianali ed ipotesi di sistemi di produzione che recuperino il patrimonio delle tradizioni estetiche di queste popolazioni nomadi. In tal senso un’esperienza di riferimento per la tesi è stata l’Antica Sartoria Rom promossa da Alessandra Carmen Rocco nella quale donne rom ideano, disegnano e realizzano abiti ispirati alla loro cultura. Mentre dal punto di vista delle lavorazioni sul rame è citato il lavoro dell’ASCE, Associazione Sarda Contro l’Emarginazione che, nel tempo, ha curato esposizioni sulla produzione artigianale del popolo zingaro.

discordanze cromatiche, l’amore per le linee sinuose e, nella decorazione, spesso riferimenti animisti. Un’estetica che, inevitabilmente è figlia della diaspora, summa in cui si fondono e si confondono elementi occidentali ed orientali (soprattutto indiani). In tale contesto la rivitalizzazione delle tecniche di lavorazione del rame, applicata a nuovi concept di prodotto che richiamano le tradizioni conviviali di questi popoli, potrebbero stimolare anche nuove forme di integrazione sociale.

Conoscenza Il nomadismo dei rom ne ha penalizzato da secoli l’integrazione culturale, impedendo di conseguenza la conoscenza ed ancor più la diffusione di tutte le loro attività tradizionali. Il tema appare strategico in chiave politica: di fronte agli aspetti culturalmente più lontani e difficili da capire, da molte parti si moltiplicano le voci, anche autorevoli, che guardano ai rom come ad un problema da rimuovere. Con Gad Lerner, invece: “Alla dimensione irrazionale della politica di destra può contrapporsi efficacemente solo la passione civile e religiosa, la memoria storica, la denuncia del sopruso perpetrato nei confronti di un popolo, il coraggio di propugnare un’opera d’integrazione. Nel 1938 coloro che si opposero alla legislazione razziale promulgata dal regime fascista furono accusati di ‘pietismo’ e con questa motivazione un migliaio di loro furono espulsi dal PNF. Perché mai dovremmo sentirci disonorati dell’accusa di ‘buonismo’, settant’anni dopo?” (Gad Lerner, in AA.VV., 2008) Le attività artigianali di recupero e lavorazione dei materiali ferrosi sono caratteristiche secolari in cui si ritrovano tutti i caratteri estetici tipici dell’etnia rom, quali, l’instabilità, il conflitto, l’improvvisazione, la reinvenzione, le

Progetti I tre progetti presentati sono complementi ed utensili legati al mondo della tavola, tutti realizzati con rame lavorato a mano ed alcune parti in ceramica. Un tavolino per appoggiare le vivande in rame e ceramica, una sorta di “tavola nomade”; un utensile composto da due parti, l’una per scaldare le vivande, l’altra per preparare il tipico caffè turco; infine un piccolo tavolino che funge da vassoio, che richiama le tradizioni indiane. La lavorazione del rame prevede sugli oggetti decorazioni ed incisioni che recuperano brani della poesia rom. [L.C.]

Scenari Il materiale rame e la convivialità sono stati i due spunti per procedere alla definizione di concept legati al mondo della tavola, occasione ideale per parlare di confronto. I progetti muovono dunque dalla cultura rom, i suoi utensili ed i suoi riti ma filtrati attraverso suggestioni di altre culture sia occidentali che orientali. La collaborazione con artigiani rom ha portato alla creazioni di prototipi interessanti sul piano estetico che fanno anche immaginare nuove forme di integrazione nel tessuto economico e sociale attraverso la produzione di piccole serie.

Approfondimenti AA.VV., Sinistra senza sinistra, Idee plurali per uscire dall’angolo, Feltrinelli, Milano, 2008 Anna Rita Calabrò, Zingari. Storia di un’emergenza annunciata, Liguori, Genova, 2008 Riccardo Dalisi, Design ultrapoverissimo, Libria, Melfi (Pz), 2005 Antonio Tabucchi, Gli zingari e il Rinascimento. Vivere da Rom a Firenze, Feltrinelli, Milano, 1999

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Copper Design

progetto di

Matilde Serrini


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territori & connessioni


107 territori & connessioni

Scenario rom pagina a fronte Tavola nomade, set di oggetti


Polt-Lona, poltrona, 108 territori & connessioni

particolare, produzione Projeto Arrast達o


Riuso del pvc a São Paulo

Luoghi Design Possível è una cooperazione Italia-Brasile nata per favorire lo sviluppo di un design attento alle tematiche ambientali e sociali. Il progetto nasce dalla collaborazione tra il Corso di Laurea in Disegno Industriale dell’Università degli Studi di Firenze, l’Universidade Presbiteriana Mackenzie di São Paulo, il Consorzio Casa Toscana ed alcune ONG brasiliane. Tre sono i punti di forza di questo progetto: lavorare su prodotti destinati a mercati sensibili all’etica oltre che al design, coinvolgere le ONG che operano nell’ambito del riuso dei rifiuti, attivare collaborazioni tra strutture produttive toscane, artigiani brasiliani e studenti di diverse università. In particolare il progetto Polt-Lona è stato condotto in collaborazione con la ONG Projeto Arrastão attiva nel quartiere di Campo Limpo, nella zona sud di São Paulo. Conoscenza Projeto Arrastão opera grazie a donazioni, lavoro volontario ed un piccolo reddito derivante dalle produzioni dei laboratori interni all’organizzazione stessa. Questa ONG, che accoglie quotidianamente circa 2000 tra bambini e ragazzi, dispone di una biblioteca, di un laboratorio video e musicale e di alcuni spazi per praticare attività sportive ed è impegnata in iniziative pedagogiche, culturali e sociali volte ad accrescere un cosciente esercizio della cittadinanza. In particolare Projeto Arrastão opera anche attraverso attività produttive basate sul riutilizzo dei rifiuti per la produzione di oggetti. Nella tesi l’attività della ONG è inserita all’interno della più ampia tematica del design del riuso, dalle prime esperienze degli anni settanta ai più consapevoli esempi degli ultimi anni che si caricano di connotazioni ambientali. La matrice di tali operazioni è inevitabilmente lo spiazzamento Dada, “le interpretazioni tra quello che è stato l’oggetto e quello in cui è stato trasformato, dipendono in gran parte dalla visione del progettista, dalla sua capacità di saper vedere ciò che esiste dietro le cose e intuire nuove possibilità di vita per questi materiali.” (Cristina Morozzi, 1998) Scenari Il progetto, creato all’interno del laboratorio di moda e design, si distacca dalle tradizionali produzioni di Projeto Arrastão, che si limitano a borse e piccoli con-

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con Danielle Alcantara relatore Giuseppe Lotti correlatore Ivo Pons, Universidade Presbiteriana Mackenzie

territori & connessioni

Polt-Lona

progetto di

Marcella Foschi

tenitori realizzati in forme tradizionali, ed è frutto del lavoro congiunto di due ragazze che studiano design a Firenze e a São Paulo. Un materiale, la lona, ovvero la comune tela vinilica (pvc) utilizzata per banner pubblicitari da esterno, ed un obiettivo, creare un prodotto la cui provenienza sia immediatamente riconoscibile (ad esempio attraverso il cromatismo tipico del paesaggio brasiliano) e nel contempo capace di competere a livello commerciale in realtà diverse dal paese di produzione. Progetti Due studentesse, due scuole, due diversi approcci al progetto, l’uno (quello brasiliano) più legato all’effettiva producibilità, l’altro (l’italiano) più concettuale e metaforico, due idee a confronto, una ispirata alla staticità di un oggetto che si descrive attraverso il peso del corpo, l’altra legata al volo, che porta ad un oggetto sospeso e variabile. Polt-Lona una seduta multiforme, in versione poltrona-pouf o pensile, il cui nome evoca il materiale impiegato, la lona appunto, ed il prodotto d’arredo progettato. La poltrona pensile è un complemento per esterni da appendere ad un albero oppure ad un sostegno indipendente acquistabile separatamente (e, in tal senso, la versione finale prevede una struttura in tubolare piegato realizzata da un’azienda italiana). La forma circolare è garantita da una struttura metallica inserita lungo il perimetro di una sorta di guscio interno diviso in spicchi radiali, suddivisi a loro volta in tre anelli concentrici; a completare la struttura due grandi maniglie per appendere la seduta. La poltrona a terra è composta, invece, da un guscio interno formato da un solo anello di spicchi radiali e dotato, lungo il perimetro, di una serie di passanti esterni per inserire la struttura tubolare metallica di sostegno. [V.G.]

Approfondimenti Cristina Morozzi, Oggetti risorti: quando i rifiuti prendono forma, Costa&Nolan, Genova, 1998 Luis Razeto, Le imprese alternative: principi e organizzazioni delle economie solidali, Emi, Bologna, 2000 José Bernardo Toro, Nìsia Maria Werneck, Mobilização Social: um modo de construir a democracia e a participação, Abeas-Unicef, Brasilia, 2007 Luis Francisco Verano Paez, Economia Solidária, uma alternativa ao Neoliberismo, Cesca Edicoes, Porto Alegre, 2001


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Fasi della lavorazione presso Projeto Arrast達o

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pagina a fronte Polt-Lona, poltrona pensile, produzione Projeto Arrast達o


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Idifidek, piatto per il pane all’olio, particolare, produzione artigiani di Moknine


Progetti per la ceramica del Mediterraneo

Luoghi Anche Ifidek, contenitore per il pane con l’olio, tipico della cucina tunisina, nasce nell’ambito del workshop tenutosi a Sousse in Tunisia all’interno del progetto Interreg IIIC Euromedsys che, tra l’altro, ha portato alla definizione di un manifesto per un prodotto di identità mediterranea – Habitatmed –, attraverso la definizione di parole chiave; declinazioni; contenuti, linee guida. Ciò per creare livelli di lettura articolati fino ad una sorta di vero e proprio brief da fornire ai progettisti impegnati nell’azione dimostrativa. In dettaglio, in relazione ai primi due livelli del manifesto (parole chiave, declinazioni), si ha: bellezza – innovare sulla tradizione; equilibrio – sviluppare con la natura; identità – incontrarsi nella diversità; appartenenza – produrre come identità; ritualità – evocare significati. Al workshop, come all’abbinamento diretto tra progettisti ed imprese delle due rive del Mediterraneo, il compito di produrre oggetti emblematici in grado di raccontare e, se possibile, arricchire i contenuti del manifesto. Conoscenza Il progetto si muove all’interno della definizione dell’identità mediterranea dell’abitare intesa come realtà che esiste solo nella pluralità delle identità. “L’habitat mediterraneo non può essere che un habitat misto, ove il mare è ponte verso la terra e questa una soglia che apre su un orizzonte liquido. Ogni territorio mediterraneo è eterogeneo, posto su una linea di fuga che lo porta verso il largo… Il Mediterraneo è destinato ad essere uno spazio di dialogo tra le sue varie componenti, perché ognuna sente di far parte di un tutto che la trascende… Pensare ad un habitat mediterraneo, significa anche pensare all’ibrido, al misto, insomma ad un’apertura culturale totale.” (Betrand Westphal, in Furlanis, Lotti, Mecca, a cura di, 2004). Ed ancora: “Mediterraneo e diaspora. Il soggetto diasporico come pluralità internaesterna, è il soggetto dell’attraversamento e incrociamento, perché l’attraversamento contiene al suo interno l’incrocio; allora la diaspora come disseminazione di pluralità di forme, di frammentazione di forme, la diaspora non più segnata, non più marcata dallo sradicamento diviene una delle forme più interessanti, più libere, più creative del contesto contemporaneo…” (Massimo Canevacci, in Furlanis, Lotti, Mecca, a cura di, 2004)

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con Marwa Baccouch relatore Giuseppe Lotti correlatore Ilaria Bedeschi

territori & connessioni

Terra!

progetto di

Michela Bidetti

Scenari Ifidek nasce dalla collaborazione tra Marwa Baccouche (Tunisia) e Michela Bidetti (Italia). Il progetto si inserisce dunque all’interno del confronto di identità come proposta che, intorno alla cucina, costruisce una piattaforma di scambio tra le due rive del Mediterraneo. Un progetto-manifesto, quasi a riassumere i contenuti stessi di Euromedsys per una collaborazione tra studenti di paesi diversi che era uno fra gli obiettivi dichiarati nell’ambito del workshop. Progetti Ifidek è un contenitore per il pain à l’huile, di tradizione tunisina, di solito un semplice piatto grande fondo, in cui si ipotizza di risolvere il problema dell’eccesso di olio che si deposita in basso attraverso un doppio contenitore di cui quello superiore forato e quello in basso per raccogliere il liquido in eccesso che può essere riutilizzato – così come avveniva nei recipienti nei quali veniva conservato l’olio delle famiglie abbienti, che avevano un’apertura superiore dalla quale fuoriusciva il prodotto in eccesso da ridistribuire ai poveri. Nel prodotto appare interessante la logica di cooperazione stretta che si esprime nella foratura del contenitore superiore affidata alle dita delle mani delle due studentesse coinvolte. “Idifidek è un oggetto meticcio, nato dall’incontro di esperienze diverse – fin dal primo momento il lavoro è stato caratterizzato dall’affinità e dalla sintonia, elementi alla base di ogni vera cooperazione” (Bidetti). [G.L.]

Approfondimenti Giovanni Curatola (a cura di), Eredità dell’Islam. Arte islamica in Italia, Silvana Editoriale, Milano, 1993 Nina zu Fürstenberg, Chi ha paura di Tariq Ramadan? L’Europa di fronte al riformismo islamico, Marsilio, Venezia, 2007 Antonella Carù, Bernard Cova (a cura di), Marketing mediterraneo. Tra metafora e territorio, Egea, Milano, 2006 Giuseppe Furlanis, Giuseppe Lotti, Saverio Mecca (a cura di), Abitare Mediterraneo. Contributi per una definizione, Grafiche Martinelli, Bagno a Ripoli (Fi), 2004


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Idifidek, piatto per il pane all’olio, produzione Stefano Cipolla

territori & connessioni

pagina a fronte Fasi del workshop a Sousse, Tunisia

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Tawila, tavolo per il the alla menta, 116 territori & connessioni

prototipo definitivo, particolare


Tavolo per il the alla menta tunisino

luoghi La tesi nasce all’interno del workshop che si è svolto a Sousse in Tunisia per le aziende appartenenti al distretto di Moknine – circa 300 imprese, di piccola dimensione in stretta, antica, competizione tra loro; una produzione caratterizzata da un livello medio-basso rivolta ai settori della tavola e dell’edilizia. L’obiettivo dell’azione è quello di operare sui contenuti del Manifesto HabitatMed nato nell’ambito del progetto Interreg IIIc Euromedsys attraverso una esemplificazione nel settore della ceramica con un collegamento all’agroalimentare, che può rappresentare un valore aggiunto nel caso di territori fortemente connotati. Al workshop, che ha visto il coordinamento del Corso di Laurea in Disegno Industriale di Firenze e operativamente del Consorzio Casa Toscana, come rilevato, hanno partecipato altre quattro scuole del Mediterraneo: la Seconda Università di Napoli, l’Isia di Firenze, L’ècole des Beaux Arts de Marseille, l’Institut des Beaux Arts de Sousse.

relatore Giuseppe Lotti correlatore Ilaria Bedeschi

couche (Tunisia). Anche la scelta della tipologia di prodotto è emblematica della voglia di scambio multiculturale – il tavolo da the alla menta come momento d’incontro, per la sua valenza rituale, per la lentezza del gesto e della degustazione.

Conoscenza La tesi racconta i contenuti del workshop che si è articolato in 9 giorni di lavoro dedicati ad un incontro di presentazione delle ricerche elaborate dalle singole sedi, alle visite in azienda, alla definizione degli scenari, con l’obiettivo di lavorare ad un’innovazione non solo formale ma funzionale, legata a tendenze emergenti, alla progettazione, alla realizzazione dei prototipi portati fino alla fase del biscotto. Là dove possibile, sono stati composti gruppi con studenti provenienti da scuole diverse, al fine di creare rapporti, scambi di idee e contaminazioni creative. Nella tesi sono presentati inoltre alcune esperienze recenti di sperimentazione formale e tecnologica nel settore della ceramica.

Progetti La base del prodotto è comune per tutti gli studenti e deriva da una reale coprogettazione; interessante in tal senso l’anello-tasca-contenitore da utilizzare per riporre quanto dà fastidio al momento di sedersi (il cellulare, il portafoglio, le chiavi…). Il piano del tavolo da the è interpretato dai quattro studenti attraverso la lente della propria cultura, quasi a divenire esempio concreto delle possibilità di un métissage mediterraneo. Così per Boule il tavolo si presenta in una doppia versione – per il the con contenitore centrale e texture derivata da fibre vegetali e per l’aperitivo con vaso al centro e possibilità di contenere stuzzichini da mangiare. Bidetti si è soffermata sulla possibilità di separare la menta dall’infuso esaltandola come in un vaso da fiori. Baccouche cita reinterpretandole forme tradizionali lasciando spazio al cibo che, tradizionalmente, accompagna il the, pinoli e mandorle. Garotti, infine, ha operato per garantire la possibilità di prendere il coperchio del tavolo ed i relativi bicchieri come un vassoio, creando una maniglia-recipiente che può essere utilizzata anche come contenitore di stuzzichini. Completano il progetto decorazioni geometriche che ricoprono la parte superiore, smaltata, del bicchiere passante, mentre la parte inferiore è rimasta grezza, quasi a segnalarne la minore significatività. [G.L.]

Scenari Tawila rappresenta l’oggetto più emblematico della volontà di cooperazione in un proficuo scambio culturale proprio del workshop – “...per capire devo mettermi nei panni degli altri per non fare agli altri ciò che non vorrei fosse fatto a me. Non so come chiamare questo atteggiamento, ma credo sia produttivo. Per capire, serve empatia.” (Tahar Ben Jelloun, 2006). Il tavolo per il the alla menta nasce infatti dalla stretta collaborazione tra quattro studenti, oltre Garotti, Michela Bidetti (Italia), Hélène Boul (Francia), Marwa Bac-

Approfondimenti AA.VV., Mediterraneo e cultura europea, Rubbettino, Catanzaro, 2003 Mario Buono e Giuseppe Lotti (a cura di), Habitatmed. Cooperazione, contaminazione e cultura materiale come veicoli di sviluppo, Luciano Editore, Napoli, 2005 Tahar Ben Jelloun, Non capisco il mondo arabo. Dialogo tra due adolescenti, Bompiani, Milano, 2006 Luca Scarlini, La paura preferita. Islam: fascino e minaccia nella cultura italiana, Bruno Mondadori, Milano, 2005

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Tawila

progetto di

Guido Garotti


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Fasi del workshop a Sousse

territori & connessioni

pagina a fronte Tawila, tavolo per il the alla menta, particolare, produzione artigiani faentini


119 territori & connessioni


120 territori & connessioni

Appartenenze

Una nota di carattere metodologico. Il percorso di tesi – che, come emerge dalle schede, si sviluppa attraverso una fase di conoscenza del tema e di approfondimento sul contesto di intervento che porta alla prefigurazione prima che di progetti di prodotto di strategie e scenari – inizia quasi sempre al primo incontro con la domanda: “Da dove vieni? Quali sono le peculiarità produttive e culturali del territorio? Quali le tradizioni?” E, talvolta, la discussione si apre fino ad affrontare le implicazioni etiche della professione toccando in maniera esplicita le tematiche della sostenibilità e della cooperazione nel Sud del mondo. E, a partire da questi aspetti, il territorio di appartenenza – oggi, sempre più spesso, purtroppo, i ragazzi più che figli di un luogo sono figli della televisione – è visto pian piano in maniera diversa, il progetto non è solo ricerca di forma ma contributo all’idea di mondo altro.


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Piccoli segnali raccontano che qualcosa cambia... “Prima guardavo alla produzione ceramica di Caltagirone come qualcosa di vecchio e dunque lontano... da qui in avanti voglio operare su questo materiale così affascinante, imparare a lavorare al tornio e proprio a Caltagirone.” (Irene) Mentre Alice a conclusione del suo lavoro presso le donne di Afdes: “Ciò che mi gratifica particolarmente è portare avanti il lavoro con Afdes condividendone gli obiettivi e l’impegno nell’aiuto delle donne. Passando quattro giorni con loro ho colto una gioia e una voglia di comunicare anche se divisi da un ostacolo grande: la lingua, che diventa però inesistente se da entrambe le parti c’è la voglia di imparare a conoscere. Ecco, forse ho imparato a conoscere...” Chissà... forse, come scrive Umberto Galimberti, a proposito dell’”ospite inquietante”, del disagio culturale di tanti giovani “e se il rimedio fosse altrove? Non nella

ricerca esasperata di senso come vuole la tradizione giudaico-cristiana, ma nel riconoscimento di quello che ciascuno di noi propriamente è, quindi della propria virtù, della propria capacità o, per dirla in greco, del proprio daímon che, quando trova la sua realizzazione, approda alla felicità, in greco eu-damonía? In questo caso il nichilismo, pur nella desertificazione di senso che porta con sé, può segnalare che a giustificare l’esistenza non è tanto il reperimento di un senso vagheggiato più dal desiderio (talvolta illimitato) che dalle nostre effettive capacità, quanto l’arte del vivere (téchne tou˜ bióu) come dicevano i greci, che consiste nel riconoscere le proprie capacità (gnõthi seautón, conosci te stesso) e nell’esplicitarle e vederle fiorire secondo misura (katà métron).”1 1

Umberto Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano, 2007, p.14


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territori & connessioni


Indice

Vincenzo Legnante / Introduzione Massimo Ruffilli / Presenzazione Giuseppe Lotti / Progetti “Tra qui e là”

9 11 13

TERRITORI 10 tesi di laurea

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CONNESSIONI 10 tesi di laurea

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Appartenenze

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Finito di stampare nel mese di marzo 2010 in Pisa dalle Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com www.edizioniets.com


Giuseppe Lotti-Ilaria Bedeschi (a cura di – sous la direction de), Elles Peuvent. Progetti per gli artigiani della Valle del Drâa in Marocco / Projets pour les artisans de la Vallée du Drâa au Maroc, pp. 96. Lino Centi-Giuseppe Lotti (a cura di), Design ± Infinito. Percorsi del progetto critico, pp. 96. Saverio Mecca-Letizia Dipasquale (edit by), Earthen Domes et Habitats. Villages of Northern Syria. An architectural tradition shared by East and West, pp. 480. Saverio Mecca-Letizia Dipasquale-Luisa Rovero-Ugo Tonietti & Vittoria Volpi (a cura di ), Chefchaouen. Architettura e cultura costruttiva, pp. 218. Saverio Mecca-Silvia Briccoli Bati-Maria Cristina Forlani & Maria Luisa Germanà (edit by – a cura di), Earth / Lands. Earthen architectures in Southern Italy / Architetture in terra nell’Italia del Sud, pp. 304. Giuseppe Lotti, Territori & connessioni. Design come attore della dialettica tra locale e globale, pp. 124.


Di fronte alle sfide della globalizzazione i territori con le loro conoscenze e gli specifici saperi assumono una nuova importanza sociale, culturale e produttiva a patto che sappiano ripensarsi all’interno di reti interconnesse. Il testo si interroga sul ruolo del designer come attore sociale nel confronto tra locale e globale anche attraverso i progetti di tesi degli studenti del Corso di Laurea in Disegno Industriale dell’Università di Firenze.

Giuseppe Lotti, ricercatore, è docente al Corso di Laurea in Disegno Industriale e al Corso di Laurea Magistrale in Design dell’Università di Firenze. È autore di pubblicazioni sul design e curatore di mostre in Italia e all’estero.

€ 18.00


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