pagina 49 Fig. 1 Tempio Malatestiano, Rimini. Campata centrale e portale. Fig. 2 Matteo de’ Pasti, medaglia per Sigismondo Malatesta (medaglia bronzea, Londra, British Museum). Fig. 3 Tempio Malatestiano, Rimini. Veduta della porzione inferiore del fianco.
Ringrazio Luca Boschetto per aver discusso alcuni degli argomenti di questo contributo. C. Ricci, Il Tempio Malatestiano, Rimini 1974 (prima ed. Milano-Roma 1924), pp. 346-364; A. Montanari, Erudizione ‘malatestiana’ nel Settecento Riminese. Iano Planco e le tombe del Tempio, “Studi Romagnoli”, LIV, 2003, pp. 205-222. Sui rilievi, A. Turchini, Il Tempio Malatestiano, Sigismondo Pandolfo Malatesta e Leon Battista Alberti, Cesena 2000, pp. 878880. 2 T. Maffei, Epistola, qua cunctos Italiae Principes exhortatur, quo suis copiis in Turcam quamprimum contendant, qui nuper Costantinopolitana urbe potitus est, in Thesaurus Anecdotorum Novissimus, a cura di B. Pez, P. Hüber, Augsburg 1729, VI, 3, col. 377. M. Schraven, Out of Sight, Yet Still in Place: On the Use of Italian Renaissance Portrait Medals as Building Deposits, “RES: Anthropology and Aesthetics”, 2009, 55-56, pp. 182-193. 3 J. Raby, Pride and Prejudice: Mehmed the Conqueror and the Italian Portrait Medal, “Studies in the History of Art”, XXI, 1987, pp. 175-176, 187-188. 4 J. Woods-Marsden, How Quattrocento Princes Used Art: Sigismondo Pandolfo Malatesta of Rimini and cose militari, “Renaissance Studies”, III, 1989, 4, pp. 390-397; Ead., Images of Castles in the Renaissance: Symbols of “Signoria” / Symbols of Tyranny, “Art Journal”, XLVIII, 1989, 2, pp. 131-133; H.S. Ettlinger, The Image of a Renaissance Prince: Sigismondo Malatesta and the Arts of Power, Ph.D. Diss., University of California, Berkeley 1988, pp. 92-99. Sul castello, A. Turchini, Sigismondo Pandolfo Malatesta e Castel Sismondo, in Castel Sismondo e Sigismondo Pandolfo Malatesta, a cura di C. Tomasini Pietramellara, A. Turchini, Rimini 1985, pp. 151-218; sul significato della sua costruzione M. Folin, Sigismondo Pandolfo Malatesta, Pio II e il Tempio Malatestiano: la chiesa di San Francesco come manifesto politico, in Il Tempio Malatestiano a Rimini, a cura di A. Paolucci, Modena 2010, pp. 21-23. Citazione da T. Borghi, Continuatio cronice dominorum de Malatestis, a cura di A.F. Massèra, in Rerum Italicarum Scriptores, XVI/3, Città di Castello 19392, p. 91. 5 M. Bulgarelli, L’architettura, in Il Tempio Malatestiano a Rimini… cit., pp. 88-92. 6 R. Valturio, De re militari, Parisiis 1534, I, pp. 9-10; Vitr., De arch., 1.2.2-3. 7 Bulgarelli, L’architettura… cit., pp. 67-88, con bibliografia precedente. 8 Valturio, De re militari… cit., XII, pp. 356-358, 272-273. 9 Sappiamo che Valturio agisce da consulente artistico per il programma decorativo delle cappelle di San Francesco, S. Kokole, Cognitio formarum and Agostino di Duccio’s Reliefs for the Chapel of the Planets in the Tempio Malatestiano, in Quattrocento Adriatico. Fifteenth-Century Art of the Adriatic Rim, papers from a colloquium (Florence, Villa Spelman, 1994), edited by C. Dempsey, Bologna 1996, pp. 177-206. 10 F.P. Fiore, Tempio Malatestiano - 1453-1454 e seguenti, in Leon Battista Alberti e l’architettura, catalogo della mostra (Mantova, museo Casa del Mantegna, 16 settembre 2006-14 gennaio 2007), a cura di M. Bulgarelli et al., Cinisello Balsamo 2006, pp. 283-295. 11 A. Bruschi, Note sulla formazione architettonica dell’Alberti, “Palladio”, XXV, 1978, 1, p. 25. 12 H. Burns, Architecture and Identity in Italy, 1000-1600: An Introduction and Overview, in Architettura e identità locali. I, a cura di L. Corrain, F.P. Di Teodoro, Firenze 2013, pp. 29-33. 13 Valturio, De re militari… cit., XII, pp. 381-382. 1
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zionalmente riferimento, anche per l’architettura dell’interno, è l’arco onorario romano7. Il significato della ricercata identificazione fra il signore di Rimini e l’edificio da lui patrocinato va interrogato ancora, alla luce di questa osservazione. Risulta di un certo interesse, a questo proposito, prendere in considerazione il testo del De re militari di Roberto Valturio. Nell’ultimo libro del suo trattato – quello dedicato ai trionfi – Valturio celebra le imprese guerresche del signore di Rimini e insieme ne esalta la figura di costruttore, che rende grazie per le sue vittorie. Topos di cui non mancano certo i modelli nell’antichità. E nell’antichità di Valturio l’arco è per un verso Porta Triumphalis – porta urbica di Roma antica attraversata dal corteo trionfale – per l’altro triumphalis arcus, monumento di cui viene dato il catalogo romano, peraltro facendo ricorso a una definizione tarda. Agli effetti del nostro discorso, però, è significativo che la funzione dell’arco antico sia funeraria: monumento funebre dei condottieri dell’antichità, che tramanda la memoria della figura e delle gesta degli imperatori, affidata non solo alla monumentalità dell’architettura – “rerum suarum insigni marmore et claro artificio” – ma alle altrettanto monumentali epigrafi8. L’architettura del Tempio, e la scelta di collocare i sepolcri sulle facciate – un tipo che, a quanto ne so, non ha riscontro nell’architettura di metà Quattrocento – sono conseguenti dunque alle intenzioni politiche di Sigismondo. Il carattere propagandistico dell’insieme fa pensare che il programma sia stato messo a punto in buona parte da lui e dai consiglieri umanisti della sua corte9, una volta presa la decisione di procedere al rifacimento all’antica della vecchia chiesa, che sancisce anche il passaggio dall’uso comune di arricchire di nuove cappelle la chiesa funeraria di famiglia, alla sua trasformazione in monumento alla gloria e alla fama dei Malatesta, e, appunto, nell’emblema di Sigismondo10.
È probabile che Alberti contribuisca in modo rilevante al processo decisionale fino dal 1450, quando verosimilmente va collocato il nuovo progetto. A questo proposito, proprio la scelta delle fonti antiche cui riferirsi sembra parlante. Citare nel Tempio uno specifico arco, quello di Augusto (fig. 5) – la porta urbica a pochi passi dalla chiesa – risponde alle intenzioni di entrambi, architetto e committente. Se, infatti, per Leon Battista la ripresa di fonti locali è, e sarà, uno dei procedimenti caratteristici della sua architettura11, per Sigismondo quell’arco non ha solo valenza onoraria, ma è l’edificio che incarna l’antichità della città, la sua fondazione romana – posta sotto la protezione delle divinità rappresentate nei tondi: Giove, Nettuno, Minerva e Venere – forma catalizzatrice dell’identità civica, su cui si sono depositate nel corso dei secoli storie e leggende12. Non solo. Sull’autorità dell’Antico, Sigismondo – preteso discendente di Scipione – intende fondare la sua immagine di signore, e la ripresa dell’arco lo sottolinea, introducendo il parallelo con la figura di Augusto. La chiesa viene designata templum, all’antica, mentre nel De re militari la sua descrizione chiude significativamente l’ultimo libro, e la decorazione viene considerata, nell’iperbolico elogio di Valturio, più antica di quanto di meglio si veda a Rimini: nihil antiquius, supera l’antico stesso13. Se guardiamo l’architettura, l’imitazione dell’arco è puntuale, non a caso più letterale che in ogni altra architettura albertiana. La tripartizione del registro inferiore della facciata – articolata dalla sequenza dei tre archi inquadrati da semicolonne – si deve all’intenzione di ripetere sulla facciata lo stesso modello, più che alla ripresa di un arco a tre fornici. La disposizione delle semicolonne, a rispettosa distanza dagli angoli, ne accentua il carattere di ornamento, come avviene nell’arco. Dall’edificio antico, poi, provengono il basamento, le semicolonne scanalate senza rudentatura – caso raro – e i risalti di trabeazio-