La Fortezza di Arezzo: restauro e rivelazioni di un momento | Maurizio De Vita (a cura di)

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a cura di maurizio de vita

La Fortezza di Arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento


La collana Ricerche di architettura, restauro, paesaggio, design, città e territorio, ha l’obiettivo di diffondere i risultati della ricerca in architettura, restauro, paesaggio, design, città e territorio, condotta a livello nazionale e internazionale. Ogni volume è soggetto ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata al Comitato Scientifico Editoriale del Dipartimento di Architettura ed al Consiglio editoriale della Firenze University Press. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, favorendone non solo la diffusione ma anche una valutazione aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze e la Firenze University Press promuovono e sostengono questa collana per offrire il loro contributo alla ricerca internazionale sul progetto sia sul piano teorico-critico che operativo.

The Research on architecture, restoration, landscape, design, the city and the territory series of scientific publications has the purpose of divulging the results of national and international research carried out on architecture, restoration, landscape, design, the city and the territory. The volumes are subject to a qualitative process of acceptance and evaluation based on peer review, which is entrusted to the Scientific Publications Committee of the Department of Architecture (DIDA) and to the Editorial Board of Firenze University Press. Furthermore, all publications are available on an open-access basis on the Internet, which not only favors their diffusion, but also fosters an effective evaluation from the entire international scientific community. The Department of Architecture of the University of Florence and the Firenze University Press promote and support this series in order to offer a useful contribution to international research on architectural design, both at the theoretico-critical and operative levels.


ricerche | architettura design territorio


Con il contributo di

Il volume è l’esito di un progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. La pubblicazione è stata oggetto di una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Un sincero ringraziamento agli Uffici tecnici e agli Uffici amministrativi del Comune di Arezzo, ai Dirigenti e funzionari delle Soprintendenze a diverso titolo coinvolte per aver sempre condiviso un percorso complesso e lungo con spirito di collaborazione e condivisione nel pieno rispetto dei ruoli istituzionali e delle competenze specifiche. Un ringraziamento alle Imprese impegnate nelle opere di restauro, a Stefano Dabizzi che per anni ha seguito e diretto come Direttore di cantiere per l’Impresa tutte le fasi dei restauri ed alle maestranze tutte, di alto livello, disponibili ed appassionate alle tematiche tecniche di un contesto monumentale importante e pregevole rivolgendo tale ringraziamento, in rappresentanza di tutte, a Lorenzo Lumachi. Un ringraziamento va anche ai tanti collaboratori al progetto ed alla direzione dei lavori quali sono stati Francesca Bastiani, Federica Bonifazi, Federica De Curtis, Alessandra De Martino, Sofia Gismondi, Mila Martelli e Filippo Nobili (Studio NEM), Silvia Marcello, Maristella Medici, Francesca Musanti. Un sincero ringraziamento va a Virginia Neri per la sua paziente e determinante collaborazione alla curatela di questo volume. Un grande ringraziamento a Susanna Cerri che come sempre ha messo a disposizione competenza e sensibilità non comuni per dare a questo volume senso grafico e valore compositivo di alto livello. Si vuole solo ricordare che gli interventi di restauro di cui alla prima e seconda fase sono stati realizzati essendo Sindaco di Arezzo Giuseppe Fanfani e proseguiti, particolarmente con il restauro del bastione del Belvedere e con l’allestimento delle quattro mostre di arte contemporanea che si son succedute fino ad oggi essendo Sindaco Alessandro Ghinelli. A questi amministratori, alle Giunte da loro presiedute ed ai funzionari tutti ritengo sia da tributare un sincero ed esteso ringraziamento.

Foto in copertina: il bastione del Soccorso a restauro ultimato, foto Studio De Vita & Schulze Architetti.Foto Andrea Sordini pagg. 15, 18, 19. Foto Laboratorio di GEomatica per l’ambiente e la COnservazione dei beni culturali - GECO, Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università degli Studi di Firenze, pagg. 58, 63, 65, 67, 68, 69, 70, 71. Immagini Tesi di laurea magistrale di F. Rosticci “La geomatica per il progetto di restauro. Il Bastione Belvedere: un percorso sperimentale per la modellazione numerica e solida”, relatore Prof.ssa Grazia Tucci, correlatori Prof. Giacomo Tempesta e Dott.ssa Valentina Bonora, Università degli Studi di Firenze, a.a. 2013-2014. pagg. 72, 73.

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri

Foto Giacomo Tempesta pagg. 77, 78, 79. Foto Tommaso Sensini: pagg. 21, 30, 33, 42, 43, 50, 51a, 57, 82, 84s, 84bd, 85a, 85b, 87, 89d, 90, 91, 93, 95. Foto Gianni Miani pagg. 84ad, 85c, 89s. Foto Studio De Vita & Schulze Architetti pagg. 35, 51b, 128, 158, 160, 164 -165, 167, 168, 186, 208, 210s, 218, 219. Foto Luca Pammolli pagg. 116 -117, 118 -119, 120 -121, 122 -123, 124 -125, 126. Foto Leonardo Paolini pagg. 198, 199, 200, 201, 203b, 207. Foto Alessandro Ciampi pagg. 6, 52-53, 74, 130, 132, 133, 134, 135, 137, 138139,140, 141, 142, 143, 144, 145, 146, 147, 148, 149, 150, 151, 152, 153, 154, 155, 156, 157, 161, 162, 170, 172, 173, 175, 176, 177, 178, 179, 181, 182, 184, 185, 189, 190, 192, 193, 196, 203, 204-205, 210d, 211, 212-213, 215, 217.

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2020 ISBN 9788833381145

Foto Andrea Sbardellati pagg. 187, 195, 222, 223, 224, 225, 226, 227, 228, 229, 230, 231, 232, 233, 234, 235, 236, 237, 238, 239, 240, 241, 242, 243, 244, 245, 246, 247, 248. Traduzione dall’italiano del contributo di Maurizio De Vita, The restoration of the Fortress of Arezzo: a scientific project to create an international centre for contemporary art di Victoria Infantino Whitehouse, revisione di Maria Fitzgibbon.


a cura di maurizio de vita

La Fortezza di Arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento


le fasi e le persone del progetto

Le diverse fasi degli interventi di restauro che qui si illustrano hanno visto la partecipazione e soprattutto la costante collaborazione di un altissimo numero di tecnici, amministratori, funzionai e dipendenti degli uffici comunali, delle Soprintendenze competenti, di studiosi e figure altre in diverso modo partecipi di questo straordinario percorso. Precedentemente alle due fasi principali che hanno portato al restauro e riutilizzazione integrale della Fortezza di Arezzo occorre ricordare gli interventi condotti dalla Soprintendenza BB.AA di Arezzo fra il 1989 ed il 1991 nel bastione della Diacciaia che portarono alla scoperta della “Porta dell’Angelo”, coordinati da Carla Corsi così come subito prima degli interventi qui riportati sono state realizzate prime opere relative al restauro di porzione del camminamento sommitale con progetto di Mauro Senesi, seguiti da Sauro Cerofolini e Lorenzo Padelli. Le due fasi dei lavori che hanno visto progressivamente compiersi il restauro della fortezza, qui di seguito illustrate, hanno visto la partecipazione delle seguenti figure tecniche ed istituzionali: Prima fase dei lavori di restauro – restauro delle cortine perimetrale della Fortezza (2007-2011): Progetto definitivo, progetto esecutivo e Direzione dei Lavori del restauro del paramento murario della Fortezza di Arezzo: Ufficio Lavori pubblici del Comune di Arezzo: Progettista Mauro Senesi, Responsabile Unico del Procedimento Enzo Bianchi, Direttore dei Lavori Mauro Torelli con Francesca Ghiandai, Armando Migliardi, Roberto Meazzini, Alessandro Belardini. R.U.P. Enzo Bianchi. Consulenza per la definizione di criteri e tecniche di restauro ed in fase di cantiere Responsabile scientifico: Maurizio De Vita Gruppo di lavoro: Giacomo Tempesta, Ulrike Schulze, Giulia Cellie, Mila Martelli, Emanuela Piccini. Collaboratori: Eleonora Bindi, Lara Cutini, Giovanni Trabacchin, Andrea Sordini Consulenza finalizzata ai rilievi Responsabile scientifico: Grazia Tucci Gruppo di lavoro: Valentina Bonora, Alessia Nobile Collaboratori: Hit Gracci, Tommaso De Paoli, DeltaG srl, Stefano Niccolodi Esecutori delle opere Impresa CARLI 1979 Srl di Piobbico (PU) - Responsabile tecnico Enea Rossi Studio Tre Tecnologia e Restauro di Arezzo (restauri specialistici) Gli interventi sono stati realizzati grazie ad un finanziamento dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze Seconda fase dei lavori – restauro degli ambienti e degli spazi aperti interni alla fortezza (2012-2019): I vari interventi, suddivisi in quattro lotti corrispondenti ad altrettante aree interne della fortezza, sono stati ultimati nel 2015 rendendo così possibile l’attivazione di mostre, attività culturali in genere, visite. E’ stato successivamente realizzato il restauro del Bastione del Belvedere, ultimato nel 2019. Progetto definitivo dei lotti 1,2,3,4: Ufficio Lavori pubblici del Comune di Arezzo: Progettisti Mauro Senesi, Mauro Torelli, Cristiana Lenti, Serena Chieli, cons. Alfredo Strazzullo. Responsabile Unico del Procedimento Antonella Fabbianelli. Progetto esecutivo: Progettisti Paolo Rocchi, Riccardo Stolzuoli, Claudio Ciucciarelli, Roberto Vari, cons. Carla Corsi, coll. Paolo Luppi, Giuseppe Oliva, Nicola Stanganini, Francesca Favilli, Chiara Berlingozzi, Davide Favilli, Matteo, Angioloni. Direzione dei Lavori: Maurizio De Vita (DL) e Ulrike Schulze (DO) - Studio De Vita & Schulze Architetti, Leonardo Paolini – Sertec srl (strutture), Studio SPIRA (contab. D.O. sicurezza), Leopoldo D’Inzeo e Paolo Bresci – CONSILIUM srl

(Impianti), con Gianluca Galli (agronomo), Francesca Guidelli (archeologa), Shila Pouladin. Progettazione definitiva ed esecutiva di varianti per i quattro lotti: Studio De Vita & Schulze Architetti c.g., Sertec srl, Studio SPIRA, CONSILIUM srl, Collaudo tecnico e amministrativo: Alessandro Donati Esecutore delle opere relative ai lotti 1,2,3,4: Impresa M.B.F. con sede in Arezzo con le Imprese Sabato Leonardo srl, Dei Elettroimpianti, CMB Carpenterie srl, successivamente Impresa Leonardo Services srl di Arezzo. Responsabile tecnico Lamberto Favilli Gli interventi sono stati realizzati grazie a finanziamenti della Regione Toscana utilizzando fondi europei (PIUSS) e con finanziamenti dell’Amministrazione comunale di Arezzo Progetto di restauro del Bastione del Belvedere: Progetto preliminare: Studio De Vita & Schulze Architetti Progetto definitivo: Ufficio Lavori pubblici del Comune di Arezzo: Progettisti Cristiana Lenti, Luca Marcantoni, Roberto Meazzini, Stefano Carrai Variante al progetto definitivo: Studio De Vita & Schulze Architetti, Gabriele Clerissi (strutture) Progetto esecutivo: Studio De Vita & Schulze Architetti, Gabriele Clerissi (strutture) Direzione dei Lavori: Maurizio De Vita DL, Ulrike Schulze DO, Lucio Cappetti (sicurezza) Esecutore delle opere: Impresa Leonardo Services srl di Arezzo. L’intervento è stato realizzato grazie a finanziamenti dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, dell’Amministrazione comunale di Arezzo e della Regione Toscana. Le indagini e gli scavi nelle aree di interesse archeologico Contemporaneamente alla realizzazione delle opere di restauro della fortezza sono state condotte tali attività sia nell’area della cosiddetta cripta di età alto medioevale che della cosiddetta domus di età augustea. Tali opere sono state progettate e ne è stata fatta alta sorveglianza da Sivia Vilucchi e dirette dall’Ufficio Lavori pubblici del Comune di Arezzo, Mauro Torelli, Cristiana Lenti con Simona Ciofini. L’assistenza alle indagini archeologiche e la redazione della documentazione sono di Hermann Salvadori; per l’intervento del 2008 di Ada Salvi; per alcuni interventi del giugno 2012 di Francesca Guidelli. Assistenza e documentazione per gli interventi archeoantropologici di Erika Albertini, la direzione scientifica di Silvia Vilucchi. Per la Soprintendenza, assistenza tecnica di Gianluca Scotti; interventi conservativi di Franco Cecchi; per il settore geologico Pasquino Pallecchi. Altri interventi conservativi di Nadia Barbi. Impresa esecutrice dei lavori M.B.F. S.p.A. Esecuzione Laser Scanner GeoPos di Franco Peruzzi, elaborazioni di Noemi Secci. Gli interventi sono stati realizzati grazie a finanziamenti della Soprintendenza Archeologia regionale della toscana, di PRADA spa e dell’Amministrazione comunale di Arezzo. Le attività riferite a percorsi autorizzativi ed alta sorveglianza relativamente ai Beni architettonici sono state svolte da Mariella Sancarlo, oggi Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo, già Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici di Arezzo. Per quanto relativo ai Beni archeologici da Silvia Vilucchi, della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e per le province di Pistoia e Prato, già funzionaria della Soprintendenza Archeologia della Toscana e successivamente da Ada Salvi, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo. Più incontri e relativi concordamenti in fase di cantiere, a seguito dei ritrovamenti archeologici, sono stati condotti anche con Andrea Pessina, ora Soprintendente per la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato, già Soprintendente della Soprintendenza Archeologia della Toscana.


indice

Introduzione 7 Alessandro Ghinelli La fortezza nella storia 9 La fortezza di Arezzo. Storia di un monumento e del suo territorio Andrea Sordini

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Prima Fase 29 La prima fase del restauro della fortezza di Arezzo: il restauro delle cortine murarie (2007-2011) Maurizio De Vita

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La fortezza di Arezzo: metodi e tecniche della geomatica per la conoscenza di una struttura fortificata Grazia Tucci

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Interventi per il consolidamento strutturale del Bastione del Soccorso e del Bastione del Belvedere 75 Giacomo Tempesta I restauri specialistici del paramento murario Tommaso Sensini

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I ritrovamenti archeologici 99 Le indagini e le scoperte archeologiche (2008-2017) Hermann Salvadori, Silvia Vilucchi

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Seconda fase 115 Un nuovo polo per la cultura contemporanea ad Arezzo. Il restauro della Fortezza: conservazione, addizioni, rivelazioni Maurizio De Vita Osservazioni in dettaglio: materiali e tecniche delle addizioni Ulrike Schulze

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La Fortezza di Arezzo. Ricostruzioni, consolidamenti e strutture per i nuovi elementi funzionali 197 Leonardo Paolini Una nuova impiantistica per la Fortezza di Arezzo Leopoldo D’Inzeo Le mostre di arte contemporanea in Fortezza nelle foto di Andrea Sbardellati The restoration of the Fortress of Arezzo: a scientific project to create an international centre for contemporary art Maurizio De Vita

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introduzione

È fortemente simbolico e carico di un significato che va oltre lo straordinario valore tecnico dell’intervento, il poderoso e accurato restauro della Fortezza, esempio potente dell’architettura militare cinquecentesca la cui struttura, raffinata ed elegante nella sua dimensione spaziale, domina il colle di San Donato. Dopo secoli durante i quali era rimasta indifferente alla Città, simbolo di una conquista, quella medicea, che ne aveva profondamente ferito l’onesta fierezza cambiandone le sorti e insieme l’aspetto, grazie al ritrovato splendore della sua pura bellezza e alla valorizzazione dei suoi spazi si è riconciliata con la sua gente, della quale, insieme alle tante altre prestigiose testimonianze di cui Arezzo è custode, racconta il passato e il carattere. Un passato millenario, che vanta origini etrusche e che da quel periodo in avanti ha formato la Città, rendendola terra di operosità e genio, di fierezza e volontà, di intuito e laboriosità. Molto di tutto ciò possiamo ritrovare in questo libro che racconta i 12 anni di lavori, compresi tra il 2007 e il 2019, che hanno restituito ad Arezzo un monumento che è sintesi di storia, architettura, ambiente, rendendolo contributo determinante allo sviluppo delle potenzialità culturali e turistiche della Città. Cultura e turismo intesi come risorsa e come affermazione di identità, dove per cultura si intendono tutte le forme artistiche coniugate nella loro accezione storica e moderna, si intende la valorizzazione di quel patrimonio immenso, artistico, architettonico, urbanistico, che caratterizza Arezzo, si intende la programmazione di una serie di eventi mirati al consolidamento di un ruolo da protagonista che Arezzo è in grado di sostenere a pieno titolo. E per turismo si intendono gli effetti di una promozione strategica ed efficace capace di ottenere risultati importanti. In questa visione, divenuta nel tempo progetto concreto, rientra a pieno titolo la valorizzazione della Fortezza, rivelatasi ambiente privilegiato e speciale per accogliere le espressioni più raffinate dell’arte moderna. La scultura, in particolare, ha trovato qui la sua “sede naturale”, in piena sintonia con la solidità dello spazio che la accoglie in un dialogo tra storia e contemporaneità che è anche alchimia di equilibrio e grazia. In questi spazi “di guerra”, in questi ultimi anni si sono susseguiti i bronzi intensi di Ivan Theimer, l’eleganza e la levità degli angeli e delle Madri di Ugo Riva, la maestosità e insieme la fragilità dei cavalli di Gustavo Aceves, la modernità del mito antico evocata dalle opere di Mimmo Paladino; nelle sue aree esterne siamo tornati a passeggiare e a godere della meraviglia di un panorama unico. Tutto questo, senza contare che la Fortezza si è dimostrata poi un autentico scrigno di tesori propri, sui quali sono ancora in corso lavori di scavo e di studio: resti dell’antica chiesa di San Donato in Cremona, riemersi proprio nel corso delle opere di restauro, hanno a loro volta rivelato preesistenti livelli di chiese ancora più antiche e con esse il piano di calpestio di età etrusca e romana. Un grandissimo lavoro, quindi, quello che ha così perfettamente riconsegnato la Fortezza ad Arezzo, e quello che ne ha sviluppato le enormi potenzialità. Ringrazio tutti coloro i quali, con ruoli e responsabilità diversi, durante gli anni dei lavori e in quelli successivi hanno riportato alla vita questo monumento straordinario, la cui storia antica e moderna è narrata in questo libro importante.

Alessandro Ghinelli Sindaco di Arezzo



introduzione

La fortezza nella storia

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la fortezza di arezzo. storia di un monumento e del suo territorio Andrea Sordini

Cenni sull’impianto morfologico-urbanistico della città murata Da un’analisi morfologica la città di Arezzo si presenta, nella parte intramuraria, come un centro originatosi e diffusosi sul piccolo sistema collinare composto dalle sue due alture principali: il colle di San Pietro, in cui troviamo la Cattedrale e quello di San Donato, dove si colloca invece la Fortezza Medicea. Tutto attorno si dipartono le direttrici viarie che conducono rispettivamente: in direzione nord in Casentino, ad ovest nel Valdarno ed ancora fino a Firenze, a sud in Valdichiana in direzione per Roma ed infine ad est, dove si accentuano lievemente i rilievi, nella Valtiberina. L’espansione di Arezzo nei secoli si è articolata in maniera che la città si sviluppasse fondamentalmente in direzione sud-ovest in forma di semicerchi concentrici facendole assumere quella particolare forma a ventaglio, che, seguendo le curve orografiche, degrada e si dilata dove il territorio presenta un andamento pressoché pianeggiante. Nelle strutture di difesa che si sono susseguite, evolvendosi ed adattandosi alle tecniche belliche dei vari periodi storici, possiamo notare come il cuore strategico e militare si sia sempre attestato nel colle dell’attuale Fortezza Medicea, luogo da cui si dipartivano i tracciati delle varie cinte difensive.

XIII-XIV sec. Palazzi del libero Comune e fortilizi del dominio fiorentino All’interno della cerchia duecentesca e poi di quella ben più vasta, costruita tra il 1317 ed il 1330 dal Vescovo Guido Tarlati, sulla sommità della città, sorsero le due strutture del governo di Arezzo: il Palazzo del Comune (1232) tra la parte alta di via Pellicceria e l’attuale Piazza Grande, ed il Palazzo del Popolo (1270-78) nell’attuale area del Praticino, oltre alla nuova Cattedrale iniziata nel 1277 sul sito della chiesa di San Pier Maggiore e ad una miriade di palazzi e di edifici di culto1. Per quanto riguarda l’apparato di difesa della città possiamo affermare che, nonostante tutte le porte cittadine costituissero una pre-difesa, l’arce vera e propria si trovava nella parte più alta di Arezzo, soprattutto quando vi sorsero il Cassero Grande, detto poi Cittadella e il Casseretto o Cassero, sua intima difesa, costruiti dai fiorentini quando Pietro Tarlati, detto Pier Saccone, dovette vendere la città al Comune di Firenze nel 1337, dieci anni dopo la morte del vescovo Guido, suo fratello. Andrea Andanti, Arezzo e le sue mura, in “Punto e Linea”, Notiziario Ufficiale del Comitato Regionale dei Geometri della Toscana, n. 6 novembre 2005, Tipografia Tommasi, Lucca, (pp 20-28).

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pagina a fronte Ignoto, Rappresentazione del Cassero e della Cittadella, 1436, Arezzo, Biblioteca Città di Arezzo.


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la fortezza di arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento • a cura di maurizio de vita

Ortofoto e schema morfologico della città di Arezzo (elaborazione dell’autore).

Al suo interno vi furono inglobati i due emblemi della, fino ad allora, libera potenza civica: il Palazzo del Comune2 con la sua Torre Rossa3 – perché in mattoni – terminata nel 1318 ed il Palazzo del Popolo4, oltre alle case dei Tarlati e ad una miriade di chiese. Ubaldo Pasqui, Documenti per la storia della città di Arezzo, 4 volumi, dal vol IV “Croniche (sec XIV-XV)”, Coi Tipi di U. Bellotti, Arezzo, 1904, Annali Aretini (1192-1343), (p 61 nota 24). “Il vecchio palazzo del Comune, scambiato sempre dai nostri storici con quello del Popolo, fu atterrato quando nel 1539 si costruì la fortezza; sicché oggi non ne rimane alcun vestigi, né può indicarsi precisamente il luogo ch’esso occupava. Per quanto ricavasi da antichi documenti, pare che rimanesse presso l’attuale fortezza, entro la cittadella medioevale, a capo la stada di Pellicceria sulla quale discendeva la sua scalinata. Aveva il portico e nella parte inferiore, nel piano terreno, eravi la curia del potestà, il quale ebbe l’abitazione nel palazzo medesimo fin verso il 1355… A fianco del medesimo si ergeva la «turris Comunis», la quale, per essere tutta quanta di laterizi, fu appellata volgarmente la torre rossa.” 3 Idem, (p 45). “1318…Elevata et alzata est turris Comunis de mattonibus, et facta quedam magna campana Comunis, stetit pulsari non potest quia eius manice sunt torte.” 4 Idem, (p 71 nota 167). “Non molto lungi dal vecchi palazzo del Comune costruito nel 1232, in cima alla via di Sasonia (oggi dei Pileati), presso il luogo ove in antico privasi una porta urbana, era posto il «palatium populi» edificato nel 1278. Che stesse quivi, lo 2


la fortezza di arezzo. storia di un momumento e del suo territorio • andrea sordini

Il Palazzo del Popolo e quello del Comune, in mano ai fiorentini, erano accessibili soltanto dall’interno della Cittadella, in comunicazione quest’ultima con la città per mezzo di una sola porta ben munita, detta nel Cinquecento del Rastrello, e con il contado tramite Porta S. Angelo a nord e S. Donato ad est. Nella posizione più alta di questa fortificazione, collocato all’incirca nella metà orientale dell’attuale Fortezza Medicea, si ergeva il Cassero, chiamato anche Cassero di Sant’Alberto, dall’omonima porta della cinta tarlatesca o ancora di S. Donato, per la presenza dell’antichissima chiesa di S. Donato in Cremona che venne a trovarsi al suo interno; quest’ultima difesa custodiva il cosiddetto Palazzone, un grande edificio con un’alta torre sormontata da beccatelli5. I fiorentini, nel 1343, realizzarono un ulteriore presidio: il Cassero di S. Clemente6, a custodia della strada per il Casentino e di quella dei Setteponti sul tracciato della Cassia Vetus per il Valdarno. Si trattò probabilmente di una grande torre costruita sopra la Porta omonima, comunicante con il Cassero e la Cittadella (quando nel 1343, cacciato il Duca di Atene, Arezzo tornerà libera gli aretini manterranno il poderoso sistema militare imposto da Firenze, che servirà alle fazioni che si alterneranno nel governo cittadino). Riconquistata7, quarantacinque anni più tardi, la città venne nuovamente venduta (per la seconda volta) ai fiorentini che la acquistarono per 40.000 fiorini d’oro, mentre Cassero e Cittadella ne costarono oltre 21.000, un particolare quest’ultimo che fa riflettere su quello che rappresentava questo intimo complesso per l’esercizio del dominio, visto anche il fatto che nel 1395 fu ulteriormente potenziato assicurando per tutto il XV secolo un’efficace funzione difensiva8. Il nuovo assetto di difesa di Arezzo nel Cinquecento: il fronte bastionato Il Cinquecento si inaugura nella città di Arezzo con l’urgente necessità di porre mano al proprio apparato militare, ormai non più capace di sopperire a quelle prerogative di difesa nei confronti di un popolo, quello aretino, che proprio nel 1502 muove un nuovo tentativo di ribellione contro il dominio fiorentino9. Un ammodernamento sia tecnico che architettonico che coinvoldimostra, oltre qualche altro documento, una memoria del 1323 che leggesi nell’Inventarium bonorum dell’Ospedale del Ponte da cui si ha, che detto ospedale confinava dinanzi colla «via publica sive strata, qua itur a porta s. Spiritus civitatis Aretii ad palatium populi dicte civitatis recto tramite»… gli avanzi di questo edificio «bello e superbo oltre modo», al dir del Rondinelli, si vedevano ancora nel 1786. Oggi non rimane visibile che il bozzato dell’arco di una porta di un muro sottostante alla piccola maestà del pubblico Prato. Il palazzo del popolo servì da residenza ai priori del popolo, i quali dopo l’incendio del palazzo stesso. Si ritirarono altrove. Riparato ch’esso fu nel 1339, vi ritornarono, ed ivi stettero fino quasi al termine del secolo xiv. 5 Franco Paturzo, Gianni Brunacci, La Cittadella Scomparsa, Letizia Editore, Arezzo, 2007, (p 34). 6 Ubaldo Pasqui, Documenti per la storia della città di Arezzo, 4 volumi, dal vol IV “Croniche (sec XIV-XV)”, Coi Tipi di U. Bellotti, Arezzo, 1904, Ricordi di Ser Guido Notaro (1341-1354), (p 84). “...cassarettum, quod erat ad portam sancti Clementis.” 7 Idem, Ricordi di Simo di Ubertino (1376-1384), (p 91). “Memoria che mercoledì notte appresso al dì di 28 de settembre anni mille ccclxxxiiii°, venente el giovedì, el dì di sant’Angelo, entrò in Arezzo Marcho da Pietramala e i suoi consorti colla gente del Sire di Chosì, et intraro per ischale de la porta di santo Cimento al cantone che va a la Fonte Pozzolo, e sciesero de le mura dentro et ispezzaro la porta, et ancho ischalaro in quella ora a la torre che si chiama a l’Alboreto, ch’è tra la porta di santo Lorentino et porta Buia; et il giovedì venente ebbero tutta la terra e il cassero grande, salvo che la torre del podestà…” 8 Andrea Andanti, Le fortificazioni di Arezzo (sec. XIV-XVI), Comune di Arezzo – Assessorato al Turismo, Arezzo, 1988, (pp 5-8). 9 La rivolta degli aretini contro i fiorentini durò dal 4 al 25 giugno del 1502: il giorno 7 fu conquistato il Cassero di San Clemente, successivamente, il 17, ebbe inizio l’assedio condotto da Vitellozzo Vitelli, che vide la resa della Cittadella e del Cassero già il giorno seguente. Andrea Andanti, L’evoluzione del sistema difensivo di Arezzo: 1502-1560, in “Architettura militare nell’Europa

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la fortezza di arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento • a cura di maurizio de vita

pagina a fronte La cortina tra il Bastione della Chiesa e quello del Ponte di Soccorso, 2006.

ge il sistema difensivo in modo da adattarlo alla nuova concezione militare delle armi da fuoco. Arezzo è la prima città del Granducato ad essere investita da questo rinnovamento: il circuito delle mura viene ridotto, si costruiscono sette baluardi a difesa di otto cortine difensive, di cui quattro di nuova edificazione, quattro porte – una ogni due tratti di mura – e la Fortezza, di forma pentagonale a cinque bastioni, dominante sul punto più alto della città, collocata come ottavo baluardo. Le nuove difese, oltre che per una necessità di sicurezza interna dovuta ai tumulti della città stessa, rientrano all’interno di un più vasto progetto strategico per meglio assicurare il confine del dominio fiorentino verso la Valdichiana e lo Stato Pontificio, come anche quelle di Cortona, Lucignano e Montepulciano, oltre a Sansepolcro, a chiusura del fianco per la Valtiberina. Un piano che, sebbene promosso da Cosimo I, era già stato preparato durante il principato di Alessandro de’ Medici, all’interno di un ammodernamento generale di tutte le fortificazioni dei maggiori centri granducali. Nei lavori ad Arezzo, come primissimo atto, si mette mano alla Fortezza che viene realizzata in due tempi: da Giuliano da Sangallo (1445-1516) a cui si affianca nel 1508 il fratello Antonio il Vecchio (1455-1534), e su un nuovo progetto di Antonio da Sangallo il Giovane (1483-1546) che la porta a compimento, nell’arco di un anno, nel 1540, integrando in essa le parti precedentemente costruite e superstiti all’ennesima ribellione aretina avvenuta nel 152910. A cavallo tra queste due fasi ha inizio anche la riedificazione dell’apparato delle mura, concepite sulle nuove tecniche balistiche a fuoco adottate per la stessa Fortezza, in un’espressione ancor più massiccia e monumentale. I lavori di ammodernamento vengono completati nel 1560: la spesa per la costruzione della Fortezza è sostenuta dal Governo del Granduca, mentre quella per la cerchia delle mura spetterà alla città, dove l’onere fiscale da corrispondere è appesantito dalla “tassa per la muraglia”, un’entrata che da straordinaria si trasformerà ben presto in ordinaria, andando a foraggiare i lavori per le altre fortificazioni dello Stato.

del XVI secolo”, a cura di Carlo Cresti, Amelio Fara, Daniela Lamberini, atti del Convegno di Studi: Firenze 25-28 novembre 1986, Edizioni Periccioli, Siena, 1988, (p 129). 10 Nell’arco di un trentennio la città insorse per la seconda volta: approfittando della ritirata fiorentina in Valdarno per l’avvicinarsi dell’esercito di Carlo V contro Firenze, gli aretini assediarono tra il 12 novembre 1529 al 21 maggio del 1530 la Cittadella e la nuova Fortezza. La città, però, tornò nuovamente ai fiorentini per gli accordi stipulati tra Carlo V e Clemente VII al secolo Giulio de’ Medici (1478-1534); lo stesso Alessandro fu proclamato prima Signore, nel 1531, poi Duca della Repubblica Fiorentina. Andrea Andanti, Le fortificazioni di Arezzo (sec. XIV-XVI), Comune di Arezzo – Assessorato al Turismo, Arezzo, 1988, (p 13).


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La costruzione della Fortezza Come appena accennato gli interventi sull’apparato militare vedono, cronologicamente, prima la modernizzazione di quelle difese che potremmo definire di altura, cioè di quel sistema che da secoli si era sviluppato sul colle di San Donato, soprattutto come dominio sulla città. Dopo poco più di due mesi dal ripristino della tranquillità, a seguito della rivolta aretina del 1502, viene inviato Giuliano da Sangallo, il quale sappiamo essere rimasto in Arezzo dal 14 al 21 di ottobre, compiendo un sopralluogo e redigendo un progetto di riorganizzazione dell’intero complesso della Cittadella e verosimilmente anche del Cassero. Da Giuliano viene presto inviato il fratello Antonio, detto il Vecchio, con il compito di realizzare “tutto quello che manca e che bisogna per fortificare questa fortezza d’Arezzo”11; viene sicuramente rivisto il progetto del primo e la conduzione dei lavori avviene intorno agli anni 1506-1508, come ci riferisce lo storico Marcattilio Alessi (1470-1546) riguardo al ritrovamento di monumenti etruschi e romani intorno al 1508, nella costruzione della Fortezza, nel “gettare a terra certe mura per edificare di nuovo la rocca”, quando, molti ruderi antichi divengono cave di pietra o impiegati come fondazioni, mentre lapidi romane “furono tutte mandate alla fornace per trarne calcina”12. Riferibili a questa prima fase costruttiva, l’attuale Fortezza conserva due bastioni: quello detto della Chiesa e quello del Ponte di Soccorso, edificati, entrambi a partire dalla zona ad est del vecchio Cassero, nonché la cortina di collegamento tra di essi. I due bastioni si presentano in una particolare morfologia a cuore, a realizzare i cosiddetti orec-

Andrea Andanti, Le fortificazioni di Arezzo (sec. XIV-XVI), Comune di Arezzo – Assessorato al Turismo, Arezzo, 1988, (p 10). Ubaldo Pasqui, Documenti per la storia della città di Arezzo, 4 volumi, dal vol IV “Croniche (sec XIV-XV)”, Coi Tipi di U. Bellotti, Arezzo, 1904: Prefazione, (p V).

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pagina a fronte Giovan Battista Belluzzi, Pianta della fortezza di Arezzo, 1552, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.

chioni, che, non allontanandosi particolarmente dalla cortina, su di essa si ripiegano (nel caso del Bastione del Ponte di Soccorso) risvoltando in maniera da alloggiare nella parte concava le bocche da fuoco. La loro caratteristica peculiare, oltre alla tipologia della forma, è il forte impiego del laterizio che dona alle strutture un effetto sia ornamentale che cromatico. La cortina, realizzata in pietrame misto, nella scarpa della muratura, ha una serie consecutiva di archi a tutto sesto in mattoni con l’estradosso coincidente con la cornice in pietra serena modanata a toro, da cui si stacca il paramento in piombo, scandito da altri archi, con lo stesso passo di quelli sottostanti, ma stavolta ribassati e sovrapposti in una serie di ben cinque ghiere l’una sull’altra. Non sappiamo con certezza fino a che stato di avanzamento fosse la Fortezza quando è messa alla prova durante il nuovo assedio, stavolta più prolungato, perpetrato dagli aretini dal novembre del 1529 al maggio dell’anno seguente; vengono operate distruzioni alla nuova struttura e smantellato l’ancora esistente Cassero di San Donato. Successivamente l’incarico per la ricostruzione passa di nuovo nelle mani di un Sangallo, ma stavolta di Antonio, detto il Giovane, nipote degli altri due architetti precedenti ed autore della stessa Fortezza da Basso di Firenze, inviato ad Arezzo dalla Repubblica Fiorentina nel 1534. Con la successione di Cosimo I (1519-1574) si dà inizio, nel 1538, ai lavori delle mura ed il 15 di settembre del 1539 all’attuazione del progetto per al Fortezza, che vede sul campo del cantiere lo stesso Giovanni d’Alessio, detto Nanni Unghero, fidato collaboratore del Sangallo. Viene restaurata la parte superstite già precedentemente realizzata, ricostruendo, in forme nuove lo sviluppo verso la città; la Cittadella è interamente demolita in modo da poterne riutilizzare il materiale e per lasciare libero campo al tiro dei cannoni. Nel gennaio del 1540 i lavori procedono celermente, concludendosi, in poco meno di un anno, il 22 luglio con la costruzione degli altri tre Bastioni: quelli del Belvedere e della Diacciaia, con al centro quello di Spina: un elemento di dissuasione rivolto verso una città, Arezzo, troppo ribelle ed insofferente. Queste nuove difese sono realizzate in maniera più funzionale, perpendicolari alla cortina e fortemente aggettanti da essa, in forme robuste ed interamente in pietra. Non viene impiegato il laterizio e non si attua alcuna rifinitura di carattere estetico, eccezione fatta soltanto per il toro in pietra, demarcazione tra la scarpa ed il muro soprastante in piombo. La divaricazione delle nuove cortine congiungenti i vecchi bastioni con i nuovi si richiude nella cosiddetta Spina, un quinto bastione detto anche puntone per la sua particolare conformazione acuta, minaccioso nella sua solidità che reca nella parte alta lo stemma della famiglia Medici, sebbene attualmente fortemente degradato e mutilato. Dalle intersezioni tra bastioni e cortine viene assicurata la difesa dei fianchi tramite il tiro incrociato dei cannoni collocati all’interno delle troniere, accessibili da camere interne ai bastioni in comunicazione con gli altri capisaldi a mezzo di vani e di corridoi che corrono lungo le cortine.


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Osservando la Pianta della Fortezza del Belluzzi (1552) possiamo ascrivere al lavoro di Giuliano ed Antonio il Vecchio la parte campita in rosso, mentre a Sangallo il Giovane quella in giallo di più recente edificazione. Dopo più di quarant’anni dall’ultimazione della Fortezza è realizzata, intorno al 1583, una struttura di rinforzo sotto la parte sud-est, denominata la Tenaglia per la sua particolare morfologia, ma non viene mai completata e cadde presto in rovina, costandole l’appellativo di Fortezzaccia Vecchia che in tante piante troviamo indicato. È possibile che questo intervento porti la firma del grande architetto Bernardo Buontalenti (1536-1608) che, come sappiamo, aveva preparato degli studi riguardanti l’impianto difensivo di Arezzo13. Ritornando alla fase costruttiva, per quanto riguarda la mano d’opera, essa è reperita nelle campagne: sia per la Fortezza che per le mura i lavori procedono a mezzo delle cosiddette comandate, cioè giornate di lavoro offerte da contadini e braccianti in cambio del vitto. Un’attenzione particolare va però rivolta, anche se in maniera non approfondita, a ciò che viene abbattuto per impiantarvi la Fortezza, sebbene non sia possibile ricostruire con esattezza l’intero complesso della Cittadella e del Cassero, né tanto meno la morfologia dei percorsi al proprio interno. Nota è la demolizione della Torre Rossa e del Palazzo del Comune avvenuta nel novembre del 1539, ma periscono anche tante torri e palazzi, uno tra tutti quello della famiglia Tarlati, e soprattutto moltissime chiese, ha scampo soltanto l’antichissima chiesa di San Donato in Cremona, che diviene a tutti gli effetti il luogo di culto della guarnigione. 13

Andrea Andanti, Le fortificazioni di Arezzo (sec. XIV-XVI), Comune di Arezzo – Assessorato al Turismo, Arezzo, 1988, (p 20).

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Quando invece, per i nuovi interventi costruttivi, non si attua l’impietosa tecnica del guasto14, cioè dove non si ritiene conveniente abbattere ciò che vi è in essere, sia nell’edificazione del nuovo fronte bastionato, che per i muri in rilevato della Fortezza, si procede all’interramento ed al rialzamento dei piani di quota. Questo è il motivo per cui alcune architetture, o parti di esse, sono giunte pressoché intatte fino ad oggi. Restauri e scavi, a volte del tutto fortuiti, hanno riportato alla luce una profusione di manufatti: dalla Porta Sant’Angelo (1991) fino alle più recenti scoperte di bastioni sepolti, mura in opera ciclopica, mosaici romani e la Chiesa stessa di San Donato in Cremona di cui sono affiorate le fondazioni e la cripta. Per avere una descrizione degli ambienti di cui la Fortezza si compone dobbiamo fare riferimento ad un documento redatto nel 174915 e che, sebbene non coevo all’età della costruzione, ci fornisce informazioni piuttosto dettagliate. L’intera opera viene dotata di fossato che rende il complesso ancora più massiccio e severo; ad essa si accede tramite l’ingresso principale a nord-ovest, munito di un ponte levatoio su otto arcate, e chiuso da un portone in legno e ferro e da un rastrello, incardinato su guide laterali, azionabile dall’alto da due grosse carrucole. È presente anche un’altra apertura, la Porta del Soccorso, situata a nord-est verso la campagna anch’essa dotata di ponte mobile e la Porta Segreta, di modestissime dimensioni, collocata nel Bastione del Belvedere nell’immediata adiacenza di quest’ultimo con la cortina. Le mura hanno un circuito di 1150 braccia e sopra a ciascuno dei cinque bastioni vi è un casino per la sentinella, coperto da lastre di piombo, mentre sopra all’ingresso principale e sul Bastione di Spina è in forma di loggetta con copertura in tegole e coppi. All’interno di ogni bastione trovano spazio le “piazze base” con le relative troniere per l’alloggio dei cannoni e dotate di ben diciotto camini di volata, veri e propri pozzi luce che garantiscono anche il ricambio dell’aria dopo la combustione. Sulla sinistra entrando nello spazio aperto troviamo il Il Bastione di Spina, 2006. pagina a fronte Il Bastione della Chiesa e quello del Ponte di Soccorso, 2006. Il Bastione del Belvedere e quello della Diacciaia, 2006.

lungo corpo di fabbrica adibito agli ufficiali e ai soldati, nonchè la sala d’arme, mentre, sul lato sinistro, vi è il quartiere del capitano e in adiacenza l’alloggio del cappellano. Di fronte, oltrepassata la cisterna, si colloca la Chiesa di San Donato il cui ambiente sottotetto è adibito a deposito di legnami, mentre a lato vi è il magazzino dell’artiglieria. Sul lato delle caserme sono presenti anche due botteghe: una per il macellaio e l’altra per il fabbro.

Daniela Lamberini, La politica del guasto: l’impatto del fronte bastionato sulle preesistenze urbane, in “Architettura militare nell’Europa del XVI secolo”, a cura di Carlo Cresti, Amelio Fara, Daniela Lamberini, atti del Convegno di Studi: Firenze 25-28 novembre 1986, Edizioni Periccioli, Siena, 1988, (pp 219-240). 15 Ragionamento dei lavori dell’artiglieria e fortificazioni d’Arezzo. ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi, filza 548, fascicolo IX, anno 1747. 14


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Odoardo Warren, Pianta della fortezza di Arezzo, 1749, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale. pagina a fronte Foto aerea della Fortezza dal lato nord-est: in primo piano (da sinistra) il Bastione della Chiesa e quello del Ponte di Soccorso.

Decadenza delle fortificazioni: il progressivo disarmo della Fortezza Nonostante il ripristino della Fortezza, durante la prima fase (1641-44) della cosiddetta Guerra del Ducato di Castro (tra Papa Urbano VIII ed il Duca di Parma, alleato con Venezia, Modena e Firenze, che si conclude nel 1649 con l’annessione del feudo viterbese allo Stato Pontificio16), sappiamo, da un resoconto di pagamenti del 1634, che era già iniziata una certa graduale dismissione della struttura tramite una cospicua riduzione dell’organico al suo interno che annoverava soltanto: un castellano, quattro bombardieri e diciannove soldati. Successivamente, per oltre tutto il XVII secolo, la città gode di un particolare periodo di pace durante il quale nel 1737 avviene il cambio della famiglia regnante17: i territori granducali, infatti, passano agli Asburgo-Lorena con Francesco Stefano (Francesco II, 1708-1765). Con la morte di Francesco Maria e del nipote ed erede diretto, Ferdinando, la sorte di casa Medici va nelle mani dell’unico maschio rimasto, quel Giovanni Gastone (1671-1737), fratello dello stesso Ferdinando e di Anna Maria Luisa, Elettrice Palatina, che assisterà al passaggio delle consegne. La decisione sul possesso del Granducato è stabilita a Vienna già nel 1735: sancita la fine della Andrea Andanti, Le fortificazioni di Arezzo (sec. XIV-XVI), Comune di Arezzo – Assessorato al Turismo, Arezzo, 1988, (pp 21, 34). La Nazione, La grande storia della Toscana, vol II, “Dal Cinquecento all’Unità d’Italia”, Bonechi Editore, Firenze, 2006, (pp 28-30, 36-39).

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Guerra di Successione Polacca con l’assegnazione a questa nazione del Ducato di Lorena, la diplomazia europea presente prevede per lo stesso Duca di Lorena, allora regnante e rimasto spodestato, la futura eredità toscana. Degli anni successivi sono altri documenti di sopralluoghi e relazioni sullo stato degli armamenti ammalorati da sostituire e su lavori manutentivi da compiere alla Fortezza di Arezzo. Nel 1661 viene rimosso il ponte levatoio dalla Porta del Soccorso, mentre altre carte di contabilità denunziano una sempre maggiore destinazione agraria dell’intera struttura a scapito di quella più propriamente militare18. Con l’avvento dei Lorena viene affidato al Colonnello Odoardo Warren il compito di rendere nuovamente efficiente la Fortezza annoverandola tra quelle fortificazioni che, con riferimento a quella di Arezzo, “Sua Maestà Imperiale [h]a ordinato che si converrebbe armata…”19, come leggiamo nella relazione dello stesso Warren a corredo dell’ottimo rilievo delle fortificazioni aretine, redatto, insieme alle altre Città e Fortezze del Granducato, nel 1749. Ma questa volontà non si concretizza: l’area centrale viene concessa in affitto per la messa a dimora della coltura del gelso e vari ambienti interni alla Fortezza sono impiegati come depositi ed alloggi per una fabbrica di lana da poco impiantatasi in città. Finalmente nel 1782 il Granduca Pietro Leopoldo ne decide la completa dismissione e, una volta soppresso il presidio militare, la Fortezza, è messa in vendita venendo acquistata il 25 ottobre dell’anno successivo dalla famiglia Gamurrini che trasforma l’intera proprietà in fondo agricolo.

Franco Paturzo, La Fortezza di Arezzo e il Colle di San Donato dalle origini ad oggi, Letizia Editore, Arezzo, 2006, (p 108). Odoardo Warren, Raccolta di piante delle principali città e fortezze del Gran Ducato di Toscana, 1749, copia anastatica a cura di Francesco Guerrieri e Luigi Zangheri, Edizioni S.P.E.S. Studio Per Edizioni Scelte, Firenze, 1979, (p 123).

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L’occupazione napoleonica e le distruzioni Nel novembre del 1798, appena quindici anni dopo la vendita della Fortezza, Ferdinando III (17691824), succeduto nel 1791 al padre Pietro Leopoldo salito nel 1790 al trono austriaco, ne riprende il possesso preoccupato dalle mire espansionistiche di Napoleone verso il quale non avrà mai un atteggiamento inimicante ed ostile, quanto di prudenza e di apertura. Di diverso sentire è invece la città, e soprattutto i ceti più poveri esasperati dalla presenza francese vista come un popolo non portatore di libertà e diritti ma come un despota: un esercito invasore che ha come ordine espresso del Direttorio di “non lasciare nulla in Italia di quello che si può trasportare o che può essere utile”20. Nel maggio del 1799 si sviluppa la ribellione contro le truppe francesi che hanno occupato l’intera regione. Arezzo è la prima città ad insorgere con i cosiddetti moti del “Viva Maria”: la Fortezza viene riattivata ed una riorganizzazione improvvisa di difese coinvolge tutte le mura e le porte; ma ciò non basterà. Le truppe napoleoniche entrano in città da Porta San Lorentino, nell’ottobre del 1800, saccheggiando e devastando. Come gesto punitivo, il 26 di ottobre, viene minato il Bastione del Belvedere che si spacca letteralmente in due parti, quello del Ponte di Soccorso, le cui lesioni portano in vista le camere interne e quello della Chiesa, anch’esso gravemente mutilato. Nel novembre dello stesso anno i francesi insorgono all’interno della Fortezza e, a scopo punitivo, fanno saltare in aria gran parte degli edifici presenti danneggiando irrimediabilmente l’antica chiesa di San Donato in Cremona. È questo l’episodio che innesca la perdita della quasi totalità degli edifici presenti all’interno Antonio Bacci, Viva Maria! Storia in ottava rima dell’insurrezione aretina nel 1799 contro i francesi con una nota introduttiva, Grafiche Calosci, Cortona, 1999, (dalla nota introduttiva pp 3-28).

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pagina a fronte Jacopo Gugliantini, Pianta e sezione del corpo di fabbrica adibito a quartiere per ufficiali e soldati. Jacopo Gugliantini, Pianta e sezione trasversale della Chiesa di San Donato in Cremona, 1801.

del circuito della Fortezza, consegnandoci, da ormai due secoli, un sistema in gran parte muto. Presso l’Archivio di Stato di Firenze è presente una documentazione preziosissima redatta dall’Ing. Jacopo Gugliantini nel tra il 1801 ed il 180621 in occasione della stima per il rientro in possesso da parte della famiglia Gamurrini dell’intera proprietà; in essa troviamo dettagliato ciò che era presente nella Fortezza al momento della sua vendita e ciò che invece viene riconsegnato. I danni maggiori sono rappresentati dai tre bastioni già citati, dove “l’apertura di grandi brecce pone in pericolo altre porzioni di muraglia restata sciolta”; partendo poi dall’ingresso, risulta mancante il sesto arco del ponte mobile e “atterrato” il grande camino del corpo di guardia oltre a quasi tutte le spallette a parapetto lungo il coronamento di ronda. Le vigne e gli orti “sono devastate per il taglio sulla massima parte delle piante e per essere la loro superficie ricoperta da cementi di terracotta e di sassi avanzati dalle diroccate fabbriche ivi comprese; si trovano proprio atterrati tutti i fabbricati che possono considerarsi in numero di sette cioè: il casino del proprietario, la casa dell’ortolano, la chiesa, la torre, la cisterna e il casino di delizia sul bastione di spina.” È redatto anche un progetto di ripristino da parte degli stessi francesi, ma non viene mai realizzato. Insieme agli altri edifici elencati è irrimediabilmente danneggiata l’antica chiesa di San Donato in Cremona che successivamente viene abbattuta, andando perso con essa l’affresco di Bartolomeo della Gatta presente sulla lunetta. Come accennato precedentemente, questa chiesa è stata l’unica ad essersi salvata nella costruzione della Fortezza, diventandone il luogo di culto della guarnigione e venendo elevata a parrocchia nel 1645 con patronato spettante al Serenissimo Granduca. Come illustrato anche nella pianta redatta dal Gugliantini essa si compone di un’aula a tre navate con volte a crociera poggianti su sei colonne in pietra. Nel presbiterio vi è una tribuna coperta da una cupola ornata da stucchi, come l’altare sottostante a tre gradini dotato di ciborio, e sono presenti anche altri tre altari laterali. Nella parte retrostante la tribuna si colloca la sacrestia e al di sotto un ambiente voltato anch’esso a crociera su due colonnette centrali e in comunicazione con il bastione adiacente. Nel pavimento della chiesa sono presenti nove fosse granarie, oltre ad un ossario, mentre nel sottotetto vi è uno stanzone lungo 40 braccia e largo 15, accessibile da una scala esterna coperta con una tettoia su cavalletti, e destinato a deposito dei legnami. Durante le devastazioni attuate dall’esercito napoleonico l’edificio subisce una prima mutilazione negli ambienti della sacrestia a seguito dell’esplosione dell’orecchione del bastione limitrofo, dove crolla parte della cortina esterna e 20 braccia di volta interna, successivamente viene gravemente danneggiato a colpi di mine insieme agli altri edifici presenti. Fogli relativi alla Fortezza di Arezzo. ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi, filza 2046, fascicolo XX, anno 1806. “Addì 16 Gennaio 1801. Io Jacopo Gugliantini Ing. Deputato dall’Ill.mo Sig. Vicario Regio di Arezzo, per dare i necessari schiarimenti ai SSig. Ingegneri Gaetano Berciagli, Pietro Conti e Lui(gi) Sgrilli, in occasione di doversi eseguire la stima della Fortezza di Arezzo. Attesto che la detta Fortezza rispetto alle Fabbriche interne all’epoca che dal Nobile Sig. Direttore Niccolò Gamurrini fu consegnata alle Truppe delle Bande, era nello stato che dimostrano le piante, e Disegni qui sopra delineati”.

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pagina a fronte Umberto Tavanti, planimetria dell’ingresso in Fortezza e sezioni trasversali sul fossato (ASA, Ufficio Tecnico, filza 55, c 475r).

Dalla trasformazione in pubblico passeggio ai giorni nostri Ancora sotto il dominio napoleonico, tra il 1807 ed il 1809, viene colmato l’avvallamento tra la Cattedrale e la Fortezza, realizzando, a sbarramento contenitivo, il muraglione al termine di via dei Pileati, punto in cui la direttrice della Ruga Maestra, l’attuale Corso Italia, scendeva nel dislivello tra i due rilevati uscendo dalle mura trecentesche per Porta San Biagio. Su questo nuovo terreno pianeggiante si realizza il primo parco pubblico cittadino che subito prende il nome di Prato; si tratta di una zona ellittica successivamente impiegata per gli spettacoli delle corse dei cavalli, mentre i terreni limitrofi continuano ad essere concessi in affitto come coltivi. Nel 1816, terminata l’occupazione francese, la Fortezza torna ai legittimi proprietari che ne riprendono l’utilizzo come fondo agricolo; a seguito dei danneggiamenti subiti è molto probabile che si decida di abbattere gli edifici presenti, compreso ciò che resta della chiesa di San Donato in Cremona. Rimane in piedi soltanto la porzione trasversale, destinata a casa colonica, facente parte di un edificato originariamente ben più vasto adibito ad alloggio di ufficiali e soldati, a cui si aggiunge il cosiddetto casino Fossombroni sul Bastione di Spina realizzato, nelle forme attuali, dal suo nuovo proprietario. È infatti Vittorio Fossombroni a subentrare nel possesso della Fortezza, che ormai è un podere, utilizzandola come personale luogo di villeggiatura. Gli anni successivi vedono il ritrovamento di una cisterna romana (1872) nei pressi del prato, subito ricoperta, e la sciagurata demolizione di resti di mura romane e pavimenti in mosaico, nonché di un baluardo medievale. Con la costruzione del nuovo cimitero urbano continua l’opera demolitiva di resti archeologici antichi, mentre il successivo ampliamento, con la realizzazione del cosiddetto Golgota – un’opera di forme futuriste – rimodella il terreno nei pressi dei bastioni e delle cortine di nord-est compreso il livello di imposta del ponte mobile alla Porta del Ponte di Soccorso. Nel 1893 la Fortezza, ormai in completo abbandono, viene donata dal conte Enrico Vittorio Fossombroni al Comune di Arezzo tramite lascito testamentario a beneficio della città. Nel 1896, su progetto dell’Ingegnere Capo dell’Ufficio Tecnico Comunale Umberto Tavanti, viene attuato il riempimento del fossato ancora esistente con l’interramento dei pilastri e archetti in muratura su cui poggiava la passerella del ponte mobile. Durante tali opere di movimento terra affiorano svariati resti archeologici che purtroppo sono prontamente demoliti a forza di mine per il loro “scarso valore, trattandosi di fondazioni, e per la loro difficoltà di mantenimento” 22. Viene inoltre realizzato il viale rettilineo in asse con l’accesso in Fortezza a prosecuzione dell’asse minore dell’ellisse del Prato, oltre ad una ricca piantumazione di lecci, platani, tigli e aceri. Del 1900 sono alcuni lavori di manutenzione e risanamento soprattutto alle volte della galleria di ingresso con successiva rimozione del portone in legno che viene sostituito con un cancello in ferro 22

Passeggi pubblici e piante. ASA, Ufficio Tecnico, filza 55 (antica segnatura n. 82), affare n. 11, (cc 426v-488r).


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con cartiglio riportante la data 1904 anno in cui la Fortezza è aperta ai cittadini come “pubblico belvedere”. Una prima fase di lavori realizzati tra il 1906 e i 1907 rende percorribile il camminamento sugli spalti lungo le cortine e nei bastioni della Diacciaia, della Spina e del Belvedere, mentre gli altri due sono inseriti successivamente nel completamento del progetto nel 1910; la parte centrale viene invece riservata come campo da giochi per il Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II che si accolla per intero l’onere di spesa. È del 1926 il progetto (non realizzato), sempre a firma dell’Ing. Umberto Tavanti, per la trasformazione del cosiddetto casino Fossombroni, in “una loggetta di tipo artistico coevo al fortilizio mediceo”, che avrebbe previsto l’apertura di grandi luci sulla muratura, trasformando il manufatto sommitale al Bastione di Spina in una sorta di padiglione panoramico aperto sulla città. Per quanto riguarda l’area attigua del Prato, nel 1927 viene approvato un nuovo progetto di trasformazione redatto dall’Arch. Giuseppe Castellucci, l’anno successivo è inaugurato il monumento a Francesco Petrarca, ad opera dello scultore Alessandro Lazzerini, e nel 1932 il paesaggista Pietro Porcinai è incaricato per il verde. All’alba del secondo conflitto mondiale Prato e Fortezza sono destinati nuovamente a fondo agricolo come orto di guerra. Su progetto datato dicembre 1942 i locali interni alla cortina tra il Bastione del Belvedere e quello della Chiesa vengono adattati a rifugio antiaereo. Dalla contabilità del lavori, redatta nel dicembre dell’anno successivo dall’allora Ing. Capo Donato Bizzelli, si evince quanto viene realizzato: sono tamponate le arcate esterne in luogo di aperture quadrangolari di modeste dimensioni accessibili da un trincerone scavato in aderenza alla muratura e i vani interni sono collegati tramite passaggi realizzati sullo spessore dei muri trasversali.

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la fortezza di arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento • a cura di maurizio de vita

pagina a fronte Foto del ritrovamento dell’edicola con l’immagine dell’Arcangelo Michele (da Funghini)

Per la particolare collocazione altimetrica rispetto alla città, la Fortezza è sfruttata anche come riserva idrica: già nel 1920 viene creato un piccolo serbatoio a servizio del vicino ospedale, successivamente nel 1945-46 sono utilizzati gli ambienti interni ai bastioni della Spina e della Diacciaia (circa 600 mc) fino ad arrivare, negli anni ’60 del secolo scorso, alla costruzione dell’enorme cisterna, a pianta quadrata, all’interno dello spazio centrale e della capienza di oltre 10.000 mc. Con questo intervento tutto ciò che poteva essere rimasto sepolto nei secoli viene improvvisamente ed irrimediabilmente perso. Nonostante i documenti ci riportino gli esiti negativi di saggi eseguiti prima dell’inizio dei lavori (a progettazione comunque già avvenuta) sappiamo che gli scavi realizzati nel 1964 si rivelano molto più complicati e la spesa molto più onerosa di ogni previsione per la presenza di una percentuale molto elevata di sostruzioni e rocce da mina contro una minima parte di terreno di riempimento. Il materiale di risulta viene poi riversato sia a copertura del nuovo manufatto in cemento armato che su tutta l’area centrale rialzando fino a tre metri il livello originario. Parlando di quelle opere che sono state custodite con l’interramento, perché ai tempi della costruzione della fortezza non se ne rese necessario l’abbattimento, un esempio tra tutti è il ritrovamento della Porta di Sant’Angelo in Arcaltis facente parte della cinta muraria trecentesca. Portandoci infatti sul Baluardo della Diacciaia si nota come la cortina muraria trecentesca si arresti su di esso, e come le nuove costruzioni cinquecentesche si trovino ad un livello maggiore rispetto a quelle precedenti. Trovandoci poi su un ambiente rialzato da terrapieni era plausibile anche l’ipotesi che l’ingresso nell’Arezzo del Tarlati, nei pressi del Monastero di Sant’Angelo, si fosse potuto trovare ancora nella sua integrità. E ciò è avvenuto: nel maggio del 199123 durante i lavori di restauro del baluardo torna alla luce la porta, dotata di avancorpo, e composta da un altissimo arco cieco a tutto sesto con conci in arenaria perfettamente squadrati all’interno del quale si apre – in basso – il fornice ribassato di passaggio e sovrastato da un’edicola con piedritti in mattoni e copertura in lastre di pietra aggettanti. Dapprima sono emersi i tre stemmi, posti nel Cinquecento da Cosimo I dei Medici, e successivamente la statua dell’Arcangelo Michele: un’opera in arenaria, originariamente policroma, delle misure di circa 1,5 metri di altezza per 1 di larghezza, sorprendentemente ben conservata. Faceva parte anch’essa, insieme alle tradizionali Madonne col Bambino24, del ciclo di immagini sacre che furono poste nel 133925 sopra le maggiori porte urbane di Arezzo discostandosi, però, per Aldo Funghini, Importantissima scoperta archeologica nella Fortezza Medicea di Arezzo, in “Notiziario Turistico di Arezzo”, n° 177-78, Edizione, 1991, (pp 10-11). 24 Alessandro Del Vita, Le statue della Beata Vergine delle antiche porte di Arezzo, in “Arte Cristiana”, rivista mensile, Milani Alfieri & Lacroix, 1918, (pp 58-61). 25 Nel 1339, sui principali ingressi in città, erano state poste immagini in pietra a grandezza naturale raffiguranti la Vergine Maria con il Bambino, come voto della città a scongiurare il ritorno della peste; dagli Annali Aretini sappiamo infatti che quell’anno fu tremendo per le tempeste, le inondazioni ed i terremoti che si registrarono, nonché per la grave carestia che colpì duramente Arezzo. Alcune di queste opere sono oggi esistenti e conservate: presso il Museo Statale d’Arte Medievale e Moderna di Arezzo, una nella Chiesa di San Domenico, una presso la Sede della Banca Popolare dell’Etruria e un’altra all’interno della loggia del Palazzo Comune. 23


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unicità del soggetto poiché patrono della stessa famiglia Tarlati. L’episodio del ritrovamento della Porta Sant’Angelo e le scoperte documentate nei decenni passati, insieme a quelle recentissime, sono indicative della ricchezza di stratificazioni e di storia presente all’interno della Fortezza e sul Colle di San Donato in generale. Un patrimonio che attraversa i secoli e di essi ne è l’espressione: dai segni dell’impianto urbano antico all’espansione della città, dall’Arezzo libero Comune al dominio di Firenze. Mutamenti urbanistici e politici che vedono la Fortezza sia come protagonista delle vicende storiche, ma anche come – nei tempi più recenti – la grande dimenticata.



Prima fase 2007-2011: studi, progetti e interventi di restauro delle cortine perimetrali della Fortezza di Arezzo



la prima fase del restauro della fortezza di arezzo: il restauro delle cortine murarie (2007-2011) Maurizio De Vita

Le attività e le valutazioni che si riferiscono all’avvio delle attività di restauro che hanno in più anni interessato la Fortezza di Arezzo ha visto operare, sia nella fase di studi e di elaborazione progettuale che nei diversi momenti operativi, figure diverse da quelle che poi hanno partecipato alle attività del restauro degli ambienti e spazi interni della fortezza. Qui di seguito si vogliono riportare il senso, le scelte, gli esiti di questa prima fase affidandone la descrizione, la rendicontazione scientifica di quelle attività che sono andate a comporre il quadro complesso del percorso restaurativo, sempre pluridisciplinare, sempre diverso, sempre rivelatore di risposte inattese. I paragrafi che seguono fanno anche da premessa a contributi più specialistici per legarne le sequenze e per essere comunque stato ed essere sempre il restauro una disciplina che vive di una interazione culturale e tecnica scientificamente alta coesa per metodo ed intendimenti condivisi. Progettazione, conduzione delle attività ed esiti trovano quindi qui lo spazio che si deve alle ragioni del coordinamento, alle principali scelte restaurative, alle risposte della materia in forma di “diario minimo di cantiere”1. Le premesse, questioni di metodo e le fasi principali del progetto di restauro L’avvio del progetto di restauro delle cortine murarie ed i bastioni della Fortezza di Arezzo ha dato luogo ad una prima sequenza di attività che hanno composto, integrandosi, un necessario e complesso percorso della conoscenza. Tale percorso è progetto esso stesso ed è parte di tutto il percorso progettuale che trova in esso non solo, cosa evidente, la base di avvio di ogni scelta, ma che soprattutto non rappresenta un “prima” ma un “durante” di ogni progetto e cantiere di restauro che, per essere tali, sono ricerca e confronto critico con la Storia. Le attività, in sintesi, sono state le seguenti: • avvio di ricerche storiche da fonti edite ed inedite e prosecuzione delle stesse per tutta la durata del percorso conoscitivo per poter verificare ed incrociare le risultanze delle indagini indirette con quelle direttamente desumibili dall’analisi delle parti del manufatto e da questo nel suo insieme; • definizione dei criteri di rilievo delle cortine, esecuzione e restituzione dei rilievi stessi con tecniche tradizionali e con tecniche avanzate; 1 Una prima rendicontazione del restauro delle cortine murarie della Fortezza di Arezzo è in M. De Vita Il Restauro lapideo. Le mura della Fortezza di Arezzo, Firenze 2012. Da questa pubblicazione sono tratti alcuni paragrafi di questo saggio.

pagina a fronte Foto aerea della Fortezza a restauri delle cortine murarie ultimati


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pagina a fronte La cortina ovest e la cortina sud-est prima dei restauri

• definizione dei criteri restaurativi, delle scelte e delle tecniche da adoperare sia in ordine ai restauri specialistici che alle opere strutturali finalizzate al consolidamento di parti interessate da dissesti. L’elaborazione dei criteri di metodo e dei passaggi operativi del restauro delle cortine lapidee si è rivelata di particolare complessità a fronte delle numerose problematiche legate alle tante componenti materiche e tante forme di degrado presenti. Occorre dire che particolarmente delicata ed attesa, anche e soprattutto da parte dell’Amministrazione comunale, era la definizione dei criteri restaurativi e degli interventi sui tre bastioni fatti esplodere dalle mine napoleoniche. Tale insolita realtà poneva infatti sia complessi problemi di carattere strutturale ma anche interrogativi legati ad eventuali “ricostruzioni” o “completamenti in stile” peraltro fin dall’inizio esclusi anteponendo a questi le necessità del consolidamento delle parti ancora in essere. • scelte relative alla redazione del progetto soprattutto in ordine alla chiarezza espositiva degli elaborati sia in accordo con le norme e leggi vigenti che per una efficace cantierizzazione delle opere stesse, coerente con le premesse teoriche e di metodo, utile e predisposto per gli aggiornamenti che il cantiere di restauro spesso prevede in ordine ad analisi, prove, campionature, successivo monitoraggio ed archivio. Note storiche2 Le vicende cinquecentesche: la distruzione della cittadella medioevale e la costruzione della Fortezza La Fortezza di Arezzo, costruita nel punto più alto della città, il colle di San Donato, chiude verso nord-est il circuito difensivo urbano dominando tutto il territorio aretino, edificata laddove presenze preromane e romane e soprattutto la cittadella medioevale era stata ubicata con palazzi, torri ed un tessuto denso e ricco in buona parte se non in tutto sacrificato alla realizzazione di questa importante fortificazione cinquecentesca. Nell’ottobre del 1502, per volere dei Medici fu inviato ad Arezzo Giuliano da Sangallo che delineò un progetto di riorganizzazione dell’intero complesso della Cittadella e verosimilmente anche del Cassero medioevali per inglobarli nella più ampia fortezza che si voleva erigere. Successivamente vi si recò il fratello Antonio, detto il Vecchio, con il compito di perfezionare e rivedere il progetto del primo; la conduzione dei lavori avvenne intorno agli anni 1506-1508. L’incarico per l’ampliamento della Fortezza passò successivamente nelle mani di Antonio da Sangallo detto “il Giovane“, nipote di Giuliano e di Antonio il Vecchio, autore della stessa Fortezza da Basso di Firenze, inviato ad Arezzo dalla Repubblica Fiorentina nel 1534. Nel gennaio del 1540 i lavori procedevano celermente concludendosi in poco meno di un anno.

2 Si veda, per quanto riguarda un più esteso e dettagliato resoconto delle vicende storiche della Fortezza, il saggio di A. Sordini in questo stesso volume


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pagina a fronte Il Bastione del Soccorso prima dei restauri

Decadenza delle fortificazioni: il progressivo disarmo della Fortezza Sappiamo, da un resoconto di pagamenti del 1634, che era già iniziata all’epoca una certa graduale dismissione della struttura. Con l’avvento dei Lorena venne affidato al Colonnello Odoardo Warren il compito di rendere nuovamente efficiente la Fortezza ma questa volontà non si concretizzò e nel 1782 il Granduca Pietro Leopoldo ne decise la completa dismissione e, una volta soppresso il presidio militare, la Fortezza, fu messa in vendita venendo acquistata il 25 ottobre dell’anno successivo dalla famiglia Gamurrini che trasformò tutto in fondo agricolo. L’occupazione napoleonica e le distruzioni ottocentesche Nel novembre del 1798, appena quindici anni dopo la vendita della Fortezza, Ferdinando III (17691824), succeduto nel 1791 al padre Pietro Leopoldo salito nel 1790 al trono austriaco, ne riprese il possesso preoccupato dalle mire espansionistiche di Napoleone. Nel maggio del 1799 si sviluppò la ribellione contro le truppe francesi che avevano occupato l’intera regione. Le truppe napoleoniche entrarono in città da Porta San Lorentino, nell’ottobre del 1800, saccheggiando e devastando. Come gesto punitivo venne poi minato (26 ottobre) il Bastione del Belvedere, spaccato letteralmente in due parti, e successivamente quello del Soccorso nonché quello della Chiesa. Nel novembre dello stesso anno i francesi demolirono, all’interno della Fortezza, gli edifici adibiti a magazzini e danneggiando irrimediabilmente l’antica chiesa di San Donato in Cremona. Nel 1896, su progetto dell’Ingegnere Capo dell’Ufficio Tecnico Comunale Umberto Tavanti, venne attuato il riempimento del fossato ancora esistente con l’interramento della passerella del ponte mobile poggiante su pilastri ed archetti in muratura. Il novecento fra abbandono e distruttive costruzioni Le cronache novecentesche riferite alla Fortezza di Arezzo testimoniano un sostanziale silenzio e distacco della città, degli studiosi, degli operatori di settore dalla Fortezza, lasciata ad un progressivo abbandono. Tale distacco fu, unitamente alla mancanza di un percorso conoscitivo e restaurativo, all’origine della decisione dei primi anni novanta di ubicare al centro della Fortezza un deposito per l’acqua in cemento armato formato da un parallelepipedo con lati di circa quaranta metri ed una profondità di circa otto metri, parzialmente interrato. La terra scavata per realizzare tale serbatoio, ancora oggi attivo fu sparpagliata all’interno stesso della Fortezza rialzando la quota originaria della piazza d’armi di più tre metri alterando così le caratteristiche costruttive e distributive della Fortezza interrando peraltro numerosi locali posti all’interno dei bastioni e a ridosso delle cortine interne. La condizione di abbandono e sostanziale lontananza della città e degli abitanti dalla fortezza è perdurato fino al momento in cui l’Amministrazione comunale con le attività e gli interventi dei quali qui si dà notizia, consegnando agli studi ed ai progetti poi portati a compimento un manufatto in avanzato stato di degrado sia per quanto riguardava le cortine esterne che per gli spazi aperti e gli ambienti interni.


la prima fase del restauro della fortezza di arezzo: il restauro delle cortine murarie (2007-2011)• maurizio de vita

Criteri e tecniche di rilievo3 Le attività collegate al rilievo sono state delineate di concerto fra i responsabili della ricerca per avviare, sia da un punto di vista concettuale che procedurale ed operativo, una fase fondamentale della conoscenza che doveva restituire in modo analitico i dati dimensionali e qualitativi delle cortine murarie e delle sue parti, dei conci, dei giunti, dei litotipi e delle relative condizioni di degrado. La realizzazione dei rilievi con tecniche avanzate che di seguito sono specificate ha portato ad acquisire un numero elevatissimo di informazioni che sono state determinanti nella redazione degli elaborati bi e tridimensionali. Le ortofoto e la documentazione fotografica generale e di dettaglio sono stati quindi strumenti dinamici estremamente importanti per le indagini sullo stato di conservazione dei materiali per le possibilità che hanno offerto di fare riscontri di assoluta precisione fra le notazioni di campagna e le 3 Si veda, per quanto riguarda le attività di rilievo il saggio di G. Tucci, che tali attività ha delineato, coordinato e diretto, in questo stesso volume

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valutazioni congiunte di sede. Ritornando ai diversi momenti delle fasi di rilievo sono state avviate, fin dall’inizio della fase di acquisizione delle informazioni, le operazioni di rilevamento delle cortine murarie della Fortezza procedendo con l’applicazione di tecniche di misura integrate (GPS, topografia classica, sistemi a scansione, fotogrammetria). Di tale percorso, sia sul piano del metodo, dei riferimenti scientifici e per gli aspetti operativi con specifico riferimento alla campagna di rilievi della Fortezza di Arezzo, come già accennato, si tratta esaustivamente in altra parte di questo volume. Una ultima notazione in merito al rilievo della Fortezza ed alla sua restituzione è riferita ad una tecnica rappresentativa messa in opera per questa esperienza come per altri studi ed interventi in campo restaurativo. Per parti significative che si possono definire “campionature estese” del paramento è stata realizzata la vettorializzazione della tessitura muraria, il “ridisegno” accurato in scala appropriata di ogni parte ed elemento. Ogni singola pietra, bozza angolare, inserto decorativo è stato ricalcato dalle ortofoto, come detto, per porzioni significative e selezionate delle cortine murarie. Questa modalità di rappresentazione amplifica di fatto la comprensione delle modalità e delle stratificazioni costruttive, delle modificazioni, delle riparazioni, delle tessiture, di quanta materia fu riutilizzata (a seguito della distruzione delle preesistenze medioevali ad esempio) e quanta estratta, lavorata e posata per l’occasione. La stessa individuazione delle forme di degrado e dei dissesti annotata con indagine visiva diretta e successivamente trasferita e verificata sulle ortofoto, una volta riportata su questi elaborati grafici da “ridisegno” hanno rivelato davvero molto sia in merito a degrado e dissesti stessi che, soprattutto, alle loro cause. Le prime indagini chimico-fisiche sui materiali lapidei Di seguito alla definizione e realizzazione della mappatura delle parti del paramento, del degrado e dei dissesti rilevati si sono avviate analisi petrografiche ed indagini chimico-fisiche, con particolare riferimento ai materiali lapidei (quindi ai conci e lastre di pietra ma anche alle parti in laterizio) come delle malte usate per la realizzazione dei giunti, dei materiali di addizione e su tracce o lacerti di intonaco evidenziatisi sul paramento stesso. Tali indagini, finalizzate anche alla definizione esecutiva delle tecniche restaurative, sono state esplicitate, tanto per le modalità e criteri di attuazione quanto per le risultanze delle stesse, su relazioni tecniche illustrate con le immagini ed i grafici propri di questo genere di attività, quali immagini al microscopio, tabelle relative alle caratteristiche meccaniche dei materiali ecc. Gli esiti delle prime indagini ed analisi fisico-chimiche condotte sui materiali che costituiscono le cortine murarie della Fortezza di Arezzo4 sono state indagini-guida che hanno fornito le informazioni preliminari confluite nelle scelte di base del progetto di restauro ed alle quali hanno fatto seguito le 4 Queste indagini preliminari sono state condotte dal Laboratorio Materiali lapidei e Geologia applicata all’Ambiente e al Paesaggio dell’Università degli Studi di Firenze, coordinato dal Prof. Carlo Alberto Garzonio e condotte dalla Dott.ssa Emma Cantisani.


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analisi puntuali eseguite dopo il montaggio dei ponteggi estesamente su tutte le cortine e bastioni, riportate più avanti in questo volume5. Tal indagini chiarivano che la struttura muraria della Fortezza di Arezzo è realizzata prevalentemente in litotipi sedimentari; ad un primo esame autoptico sono state riconosciute diverse litotologie quali arenarie a diverso contenuto di materiali argillosi (litologia prevalente), alberese, pietra paesina ecc. In alcune aree tali litotipi sono stati utilizzati in associazione con mattoni. I principali fenomeni di alterazione a cui tutti i materiali, con diversa intensità, apparivano sottoposti erano collegabili a processi di alterazione biologica con sviluppo di macroflora e microflora che aveva trovato, ad esempio, nella ”arenitizzazione” dell’arenaria il terreno fertile per il proprio sviluppo. Erano inoltre presenti fenomeni di alterazione differenziale e formazione di croste sulle arenarie. Il diverso contenuto di minerali argillosi aveva influenzato fortemente il grado di alterabilità delle arenarie a causa del loro dilavamento che aveva innescato la decoesione del materiale. In generale i processi di degrado delle arenarie apparivano legati alle caratteristiche mineralogicopetrografiche e fisiche del materiale per cui il tipo di matrice, la quantità di cemento, il tipo di minerali argillosi erano ed in genere sono i parametri fondamentali da valutare per comprendere le forme di degrado dei materiali. Per la caratterizzazione dei diversi litotipi è stato effettuato un primo prelievo di 10 campioni, rappresentativi delle diverse litologie utilizzate nella realizzazione della struttura. I campioni sono stati analizzati con diverse metodologie analitiche presenti nel Laboratorio di Analisi dei Materiali dell’Università degli Studi di Firenze allo scopo di determinarne le caratteristiche mineralogiche petrografiche e fisiche. Tali ricerche sono state svolte nell’ottica della ricostruzione delle relazioni esistenti tra materiali utilizzati e loro tessitura e per lo studio delle relazioni esistenti tra litotipi e materiali di fondazione. Per quanto riguarda un primo studio dei fenomeni di degrado si è effettuato il prelievo di 10 microscaglie e polveri soprattutto in relazione allo studio dei diversi tipi di patine da sottoporre ad analisi chimiche mineralogiche di dettaglio allo scopo di individuarne la natura e valutare le tecniche di rimozione più adatte. Nel caso di distacchi incipienti si è effettuato il prelievo di campioni per verificarne le caratteristiche fisico meccaniche e le relative condizioni di stabilità. In seguito al rilievo di dettaglio è stata verificata la presenza di resti di intonaco su alcune porzioni della struttura, anche in questo caso è stato realizzato il prelievo di campioni, sotto forma di microscaglie e polveri da analizzare per via chimico-mineralogica. La campagna preliminare dei prelievi e delle indagini chimico fisiche è stata seguita, nelle prime fasi del cantiere di restauro, da una sistematica ed estesa attività di analisi mineralogico-petrografiche, chimico-stratigrafiche e biologiche, più avanti specificate, preliminari a tutti gli interventi di restauro.

5 Sia in riferimento all’esecuzione estesa di indagini fisico-chimiche sui materiali che per una puntuale rendicontazione di restauri specialistici si veda il saggio di Tommaso Sensini in questo stesso volume

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La restituzione grafica con analisi del degrado e individuazione puntuale degli interventi di restauro è stata realizzata per tutte le cortine e tutti i prospetti dei bastioni (le immagini si riferiscono ai prospetti della cortina nord est e di una faccia del Bastione del Soccorso)

L’individuazione e restituzione del degrado e dei dissesti L’organizzazione del lavoro e la redazione dei grafici di rilievo, come già accennato, è stata condotta di concerto e coerentemente con le scelte restaurative e con la costruzione quindi di un sistema di documenti grafici, fotografici, tecnici in genere che hanno successivamente accolto le risultanze delle indagini sul degrado e sui dissesti come le proposte relative agli interventi restaurativi. Le ortofoto prodotte, le sezioni e le piante ai diversi livelli sono stati di fondamentale importanza per progettare e per disporre di elaborati di facile gestione e di assoluta accuratezza e precisione dimensionale che, come meglio specificato più avanti, sono stati supporto irrinunciabile per acquisire i pareri degli Enti competenti, specificare puntualmente gli interventi previsti, verificare ed aggiornare le attività in fase di cantiere. È stata dunque elaborata la mappatura del degrado e dei dissesti dei paramenti murari sulla base dei rilievi svolti e quindi sull’interezza dei paramenti stessi con approfondimenti anche su singole


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porzioni significative, insiemi di elementi, singoli conci murari come detto ridisegnando tali porzioni evidenziando ogni sua minima parte anche per le forme di degrado e le patologie che interessavano ciascuna di esse. La mappatura è stata definita seguendo quanto indicato con le Raccomandazioni Normal 1/88 ed integrando le stesse con precisazioni rappresentate sotto forma di addenda alla legenda sia relative a forme di degrado particolari per caratteri e localizzazione che al degrado antropico ed a quanto riferibile ai crolli dovuti all’attività bellica che ha interessato la Fortezza e il suo intorno nei secoli. Analogamente, per tratti significativi, tale mappatura è stata condotta sui rilievi di dettaglio derivanti da ridisegno di precisione di porzioni delle cortine murarie. Gli elaborati derivati da acquisizioni con laser-scanner, inoltre, sono stati realizzati quali basi scientifiche fondamentali per la restituzione analitica delle analisi materiche e dell’individuazione e localizzazione delle forme di degrado che avrebbero poi fatto parte del progetto definitivo e del progetto esecutivo di restauro; altrettanto utili dovevano essere per le successive verifiche in fase di precantierizzazione per riportare con esattezza le mappature e le campionature delle indagini fisico-chimiche ma anche per registrare con precisione gli interventi puntuali ed estesi eseguiti per tutta la durata del cantiere di restauro e che su tali basi sono state annotati, riportati, contabilizzati. Le principali forme di degrado rilevate, analizzate, restituite nella loro esatta localizzazione sono state: •presenza di vegetazione: arbusti con radici in profondi erbose con radici in profondità •presenza di vegetazione con radici superficiali •deposito superficiale •patina biologica: muschi e licheni •patina dovuta a depositi organici ed inorganici •alterazioni cromatiche dovute ad alterazione biologica

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Rilievo di dettaglio della cortina sud-est ed individuazione analitica delle alterazioni riferite alla legenda. Particolarmente interessante la tessitura e lo stato di conservazione delle cortine progettate da Giuliano ed Antonio da Sangallo il Vecchio, con ghiere sovrapposte di archi di scarico e murature in pietra prevalentemente proveniente da demolizioni e mattoni. Il rilievo di dettaglio ha evidenziato la presenza di lacerti di un intonaco a calce che doveva ricoprire queste cortine forse anche per l’uso di materiale misto e disomogeneo

pagina a fronte Mappatura dei prelievi per le campionature di depositi superficiali (licheni, agenti biologici) in più punti ed in considerazione dell’evidente differente natura delle patine biologiche, scaglie di pietre di diversa formazione litologica, scaglie di pietra con formazioni licheniche, scaglie di mattoni, malta dei conci di grandi dimensioni, malta dei giunti di conci di recupero, malta dei giunti delle parti in laterizio, malta del sacco esposto, porzioni di intonaco, malta di probabile natura cementizia. A tutte le campionature riportate e numerate sui prospetti corrisponde una descrizione analitica e le relative risultanze nelle schede specifiche elle indagini fisico-chimiche.

•macchie dovute a depositi associati a percolazione puntuale di acque piovane non regimate •mancanza estesa di porzioni di paramento lapideo o in cotto •mancanza puntuale di porzioni di paramento lapideo o in cotto •distacco di intonaco puntuale ed esteso •erosione dovuta a dilavamento •scagliatura con presenza di patina biologica •esfoliazione •degrado differenziale: alterazione dei piani di posa dei conci lapidei/elementi in cotto •fratturazioni •crolli I criteri e le tecniche restaurative In primo luogo si vuole specificare quali siano stati i criteri restaurativi relativamente ai principi ed al metodo che li hanno generati. Il restauro della cortina muraria della Fortezza di Arezzo si è conformato in primo luogo ai criteri della conservazione volta a dare solidità strutturale e superficiale agli elementi ed alle parti che la costituiscono stante la condizione storicizzata del suo assetto, quale lo abbiamo ereditato e quale esso ci si presenta. Puntuali interventi di integrazione sono stati progettati e condotti se motivati da esigenze di continuità materica e strutturale e senza alcuna concessione ad ipotesi di ripristino di parti mancanti o crollate, sia in linea di principio che per evidente incongruità del ripristino stesso a fronte dei criteri e delle tecniche del restauro quale oggi si vuole intendere. Minime sottrazioni ed addizioni Primo riferimento di metodo è stato quello del minimo intervento, ossia la definizione di criteri e tecniche di intervento sempre subordinate a campionature,

Restituzione di dettaglio dell’l’ingresso principale della Fortezza con l’individuazione analitica delle alterazioni riferite alla legenda (Raccomandazioni Normal 1-88)

prove, valutazioni dirette sul campo ed indirizzate alle integrazioni e rimozioni più contenute possibili . Per quanto riguarda le prime le stesse puliture estese non dovevano andare oltre la rimozione dello sporco e dei depositi superficiali incoerenti o di macchie e concrezioni derivanti da forme di degrado, facendo particolare attenzione al mantenimento delle patine. L’azione dei biocidi doveva essere selettiva e valutata a seguito delle analisi biologiche e tale da non interessare le stesse patine. Le stesse formazioni biologiche inattive e fortemente ancorate alle murature andavano mantenute sia perché l’eventuale distacco avrebbe portato a perdita di


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Prove di pulitura manuale su muratura interessata da depositi superficiali estesi Prove di idropulitura con acqua a bassa pressione con lancia ad ugello rotante e getto controllato

pagina a fronte Microstuccature di fratturazioni localizzate del paramento murario. Rimozione manuale di porzioni di malta cementizia

materiale lapideo sia per essere ormai probabilmente da secoli l’effettiva superficie e patina della parte considerata. L’allontanamento di vegetazione spontanea doveva essere condotta in modo da non danneggiare le porzioni di cortina muraria e gli interstizi fra i conci e le parti di malta interessate dagli apparati radicali; le porzioni di conci lapidei a rischio di distacco dovevano essere sottoposte ad azione di preconsolidamento e rimosse solo se effettivamente in pericolo di caduta o di crollo; le parti di malta ammalorate dovevano essere consolidate e rimosse solo se di difficile o impossibile mantenimento in situ e diversamente preconsolidate e consolidate. Più in generale le rimozioni dovevano avvenire solo per comprovata impossibilità di conservazione nella posizione e nelle quantità rilevate o per essere le parti da rimuovere evidente causa di degrado (ad esempio

Puliture selettive di porzioni limitate della muratura e dello stemma lapideo con applicazione di supporto e soluzione satura di acqua distillata e carbonato d’ammonio

biologico) o di dissesti (come per opere provvisionali malamente realizzate per ovviare ai crolli

Realizzazione di perfori ed inserimento di barre di vetroresina per il consolidamento del grande stemma lapideo posto sul Bastione della Spina

mancanze nelle connessioni e microfessurazioni ed anche quanto sarebbe risultato facile veicolo

ottocenteschi, a loro volta causa di ulteriori danneggiamenti strutturali e prossime al crollo). Una estesa opera di microstuccature eseguite a mano doveva andare a reintegrare piccole di infiltrazioni di acqua a seguito della necessaria, accurata rimozione manuale di precedenti sigillature a cemento. Per parti di particolare pregio e con valenza di manufatto scultoreo, come ad esempio per il grande stemma mediceo presente sul fianco del Bastione della Spina, laddove era stata valutata una condizione di degrado con formazione di macchie o sporco particolarmente tenace si era prevista ed è stata realizzata una pulitura a carattere selettivo con applicazione di pasta di cellulosa e soluzione di acqua distillata e carbonato di ammonio. Laddove era evidente l’incipiente distacco del singolo manufatto lapideo dal supporto si sarebbero poi eseguite imperniature con barre di vetroresina.


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Per quanto riguarda le addizioni le stesse dovevano limitarsi a quanto strettamente necessario; per gli interstizi fra i conci delle cortine, sia in pietra che i mattoni è stata prevista la stilatura profonda e superficiale dei giunti stante l’evidente perdita, talvolta anche molto accentuata, della malta con rischio di successivi e collegati dissesti, ma comunque sottolivello rispetto ai conci del paramento e fino a raggiungere i livelli sufficienti a garantire la continuità fra le parti e quindi la sicurezza strutturale puntuale e complessiva oltre che l’assenza di cavità potenzialmente causa di infiltrazioni, azioni di gelo e disgelo, nuove formazioni di apparati vegetazionali ecc. prestando particolare attenzione alla composizione delle malte utilizzate (come vedremo più avanti). Solo per alcune porzioni o situazioni puntuali sono state valutate tassellature con materiale di recupero ed integrazioni volte a dare continuità, soprattutto per le parti in cotto della cortina nordest e copertine e filari in laterizio soprastanti delle zone vuote, e consistenza materica e strutturale al paramento. Per parti o elementi puntuali si è suggerito di procedere a consolidamenti diffusi con l’ausilio di iniezione di malte per la ricostituzione di un piano di continuità fra il paramento

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interno e quello esterno. Sono stati previsti interventi di consolidamento puntuali con tecniche avanzate quanto sperimentate e limitati interventi di cuci-scuci per discontinuità strutturali che lo richiedevano. I crolli ottocenteschi: materia e documento di eventi storicizzati da restaurare Alcune considerazioni e soprattutto rendicontazioni vanno fatte in merito alle indicazioni date e quindi alle scelte operate in merito al restauro dei tre bastioni fatti esplodere dalle mine delle truppe napoleoniche nel 1800, allontanando ogni ipotesi di ricostruzione e ripristino di tipo stilistico o del più ipocrita à l’identique. I crolli derivanti dall’azione delle mine poste dalle truppe napoleoniche nel 1800 sono essi stessi una sommatoria di dati storicizzati da mantenere, conservare, restaurare quale documento di importanza assoluta e parte della vita secolare della Fortezza, in totale adesione al principio dell’autenticità del manufatto storicizzato. A fronte di ciò l’assetto sicuramente particolarissimo delle parti dei bastioni smembrati andava consolidato verificando in primo luogo l’effettiva stabilità sia delle parti crollate che delle parti successivamente aggiunte per collegare i crolli a fronte di eventuali azioni sismiche e per fermare l’azione di degrado che naturalmente si era prodotto sulle membrature murarie interne esposte da decenni all’azione degli agenti atmosferici. In più punti dei bastioni danneggiati era leggibile la stratificazione in sezione delle murature e l’evidente perdita di elementi lapidei del sacco interno per il progressivo disgregarsi delle malte. Gli stessi elementi in muratura che, successivamente ai danneggiamenti, erano stati apposti per ridare continuità alle parti erano consolidare ed in qualche caso da eliminare, essendo in più punti in condizioni di forte dissesto con lesioni provocate dalla spinta delle terre soprastanti e da probabili azioni sismiche succedutesi nel tempo6. Le indagini preliminari agli interventi di restauro Al fine di valutare con la maggior esattezza possibile gli interventi di restauro specialistico da attuare per le diverse parti ed i diversi materiali che compongono le mura della Fortezza di Arezzo, in collaborazione con l’Amministrazione comunale sono stati avviate, all’apertura del cantiere, le indagini rese possibili dalla presenza di ponteggi e mezzi d’opera in genere e fatte eseguire dalla Ditta aggiudicataria dei lavori secondo quanto previsto dal Capitolato speciale d’appalto e quindi dai documenti contrattuali. Il tipo di indagini, la lettura ed interpretazione delle stesse, le scelte relative alle campionature da compiersi e quelle relative alle lavorazioni da eseguire sono state il frutto della collaborazione definita dalla convenzione di ricerca oltre che, evidentemente, di

6 In questo stesso volume si veda il contributo di G. Tempesta che illustra in dettaglio gli interventi relativi i rinforzi strutturali dei Bastioni del Soccorso e del Belvedere.


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quanto convenuto nei numerosi incontri e sopralluoghi con la competente Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Arezzo7. Ritengo giusto e corretto (oltre che ammissibile a lavori ultimati) aggiungere che le apprezzabilissime qualità e tempistiche dei risultati ottenuti in tutte le fasi dei restauri si devono anche alla assoluta disponibilità ed all’esperienza messa in campo dalla Ditta che ha materialmente eseguito gli stessi. Le indagini visive dirette e ravvicinate Come già accennato la presenza in cantiere di ponteggi, trabattelli e mezzi d’opera in genere, oltre che l’avvenuta eliminazione della vegetazione facilmente rimovibile senza pericolo per le murature ha permesso di fare i necessari riscontri visivi al fine di valutare a distanza ravvicinata lo stato di conservazione del paramento, lo stato, la consistenza e le caratteristiche delle malte, le caratteristiche, la vitalità o stato inattivo delle formazioni biologiche e quanto prima non visibile se non da distanza media o ravvicinata ma limitatamente al piede delle cortine e dei bastioni. Tale indagine ha innanzitutto permesso di dare una prima rimodulazione alle indicazioni relative alle alterazioni presenti e quindi all’analisi del degrado come anche agli interventi da compiersi ed ha inoltre rivelato con maggior precisione quanto in parte già evidente, ossia l’alternanza di conci e lastre fatte cavare, tagliare e mettere in opera ex-novo per la realizzazione di alcune cortine ed il largo uso di materiale proveniente da demolizioni di manufatti preesistenti in altre. Il materiale che compone i paramenti in esame presenta infatti numerosissime porzioni evidentemente formate con conci lapidei e materiali di risulta, sia nella cortina nord-ovest realizzata da Giuliano ed Antonio da Sangallo il Vecchio che in quella nord realizzata da Antonio da Sangallo il Giovane . Le indagini dirette e l’eliminazione della vegetazione hanno messo in luce non solo porzioni di muratura generica ancorché ascrivibile alla edificazione di edifici medioevali ma parti facilmente riconoscibili e di grandissimo interesse quali stipiti di porte, gradini, rocchi di colonne e colonnini medioevali semplicemente inseriti nella muratura, si può ritenere, essendo disponibili sul posto e quindi riutilizzabili. La posizione di queste porzioni e di questi elementi e lo studio specifico degli stessi, a restauro ultimato, è proseguito e sta tuttora proseguendo al fine di dare datazione e senso agli stessi nell’ottica di una ricostruzione critica dei caratteri delle preesistenze di età antica nella Fortezza di Arezzo. Sempre a seguito dell’analisi diretta e ravvicinata del paramento sono state definite in dettaglio le ulteriori indagini strumentali, ossia le indagini termografiche, le indagini chimico-fisiche, le indagini biologiche sugli agenti biologici.

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Oggi Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggi per le province di Siena, Grosseto e Arezzo

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Gli interventi di restauro: sequenze, tecniche, indicazioni e prescrizioni La definizione dei criteri e delle opere da condursi ai fini del restauro e del consolidamento del paramento murario della Fortezza è stata quindi elaborata su grafici che evidenziavano la corrispondenza e coerenza fra la mappatura del degrado e la puntuale descrizione degli interventi necessari a partire dalle opere di presidio delle parti strutturali cui corrispondeva un effettivo rischio di collasso strutturale fino alle diverse azioni da intraprendere al fine di pulire, consolidare, eventualmente integrare elementi o porzioni in relazione al grado ed al tipo di degrado individuato. Nel caso, peraltro frequente, di sommatoria di forme di degrado presenti nella stessa porzione di paramento murario, si sono individuate non solo le tecniche restaurative specifiche e specialistiche ma anche le più opportune sequenze di applicazione delle stesse, finalizzate soprattutto alla conservazione del materiale ed all’arresto di perdita di porzioni dello stesso. Si sono voluti riportare più in dettaglio gli interventi che sono stati previsti per il paramento murario della Fortezza di Arezzo, rappresentati nei grafici per sequenza di applicazione ed operatività, rimandando alle prime fasi preliminari al cantiere la prosecuzione delle indagini fisico chimiche, le campionature e le prove delle specifiche lavorazioni e la scelta dei materiali e dei prodotti più idonei. Gli stessi interventi sono stati definiti ed identificati in modo da permettere un riscontro immediato e diretto, ai fini di una effettiva operatività e del relativo controllo tecnico-economico, con i computi metrici estimativi e le prescrizioni tecniche confluite nel capitolato speciale di appalto. Operazioni preliminari • Svolgimento di Indagini, test, analisi chimiche e petrografiche al fine di individuare i prodotti idonei da impiegare, campionature per le malte per individuare l’esatta composizione, la granulometria, la cromia. Tale attività ha comportato la stesura di relazioni tecniche specifiche con l’individuazione dei punti del paramento nei quali sono stati effettuati i prelievi, l’esito delle analisi di ogni campione, le immagini relative, le conclusioni ed indicazioni derivanti dall’analisi. • Messa in sicurezza di parti pericolanti. Tale attività era finalizzata ad assicurare la stabilità e la permanenza in situ di parti decoese dal supporto in modo da poterne supporre il distacco, doveva garantire la sicurezza per le persone e ad evitare la perdita o la caduta di parti già molto degradate, da svolgersi con l’ausilio di cestelli ed elementi mobili per la parte di indagine specifica su eventuali parti soggette ed a puntelli, protesi, elementi provvisionali metallici per la messa n sicurezza. • Operazioni localizzate propedeutiche alle operazioni di pulitura. Per le zone e parti decoese è stato previsto il preconsolidamento ossia il ristabilimento parziale della coesione mediante impregnazione per mezzo di pennelli, siringhe, pipette, o a spruzzo, con estere etilico dell’anidride silicica, applicandone la minima quantità necessaria a consentire la pulitura. Per i frammenti in fase di distacco la riadesione con realizzazione puntuale di ponti di resina.


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• Ripulitura dei cumuli di materiale crollato. Dopo la rimozione della vegetazione si doveva effettuare la cernita del materiale non più aderente alle porzioni dissestate con accatastamento in cantiere degli elementi in pietra e in cotto recuperabili e reimpiegabili per eventuali tassellature e reintegrazioni. Intervento sulla vegetazione – trattamento di attacchi biologici ed operazioni di diserbo • Disinfestazione da colonie di microrganismi autotrofi e/o eterotrofi su paramenti murari mediante applicazione di idoneo prodotto biocida atto ad eliminare le colonie di vegetazione inferiore costituite da batteri, alghe, licheni. • Eliminazione di piante erbacee e piante superiori dall’apparato radicale superficiale e di modesta entità. Opere di diserbo mediante attrezzature a mano, esclusi i prodotti chimici, dei paramenti murari con l’asportazione completa di arbusti ed erbe infestanti con ogni attenzione per non provocare danni alla muratura circostante. • Eliminazione sia della vegetazione erbacea che di quella arbustiva (ruderale ed infestante) con apparati radicali penetrati in profondità, con applicazione di prodotti chimici sistemici (il principio attivo viene assorbito dal fogliame e veicolato in tutta la pianta con il flusso della linfa) applicato a spruzzo sulle foglie, lasciando disseccare le piante prima di rimuoverle per poi procedere all’asportazione. • Interventi su vegetazione arbustiva con radici di grossa entità, penetrate profondamente e diffusamente nella muratura con strumenti idonei, per eliminare sia la parte aerea che quella radicale compresa anche l’applicazione sui ceppi non rimovibili di specifico erbicida a lunga azione; si doveva intervenire con taglio della pianta, lasciandone temporaneamente parte in situ e successivo trattamento di “devitalizzazione” della ceppaia e delle radici. Nel caso in cui l’eliminazione della massa vegetale avesse anche solo potenzialmente comportato la perdita di elevate parti di muratura si doveva procedere con la sua conservazione in situ, effettuata mediante l’annegamento delle parti residue della massa vegetale all’interno della malta per privare l’apparato radicale “morto” di ossigeno e di luce. Puliture – rimozioni • Operazione di pulitura a secco per la rimozione di particellato, polveri, terriccio e guano e depositi scarsamente aderenti, eseguite manualmente con spazzole, scope, raschietti e se necessario con l’ausilio di getto d’aria o aspiratori • Pulitura delle superfici lapidee stabili e prive di patine organiche ed inorganiche con lavaggio mediante acqua deionizzata a bassa pressione variando la durata del trattamento in funzione della necessità al fine di asportare la patina di smog ed i depositi superficiali compatti e aderenti senza intaccare il paramento litoide.

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• Pulitura delle pareti in pietra, laterizio e miste per la rimozione di patine organiche devitalizzate ed inorganiche e depositi mediamente aderenti con idropulitura con lancia dotata di testina rotante previe prove per la determinazione del grado di pulitura. • Pulitura localizzata delle superfici lapidee in maniera selettiva nelle zone di maggiore spessore, compattezza e aderenza dei depositi mediante lavaggio con soluzione satura di acqua distillata e carbonato d’ammonio e successiva spazzolatura. • Rimozione della malta cementizia o bastarda eseguita con scalpelli e martelli sia manuali che ad aria compressa, raschietti, spazzole con l’accortezza di non intaccare il materiale originale e compresa l’accurata rimozione delle polveri e degli sfridi di risulta. • Pulitura puntuale e limitata delle superfici voltate ed in laterizio per attenuazione dello spessore delle concrezioni calcaree eseguita a mano. Interventi di restauro e consolidamento localizzati, tassellature puntuali • Consolidamenti puntuali di frammenti e parti di paramento. L’operazione ha riguardato frammenti di “dimensioni limitate” intese secondo un arco di grandezza dei frammenti che andava dalla scaglia al pezzo più pesante, ma comunque maneggiabile da un operatore. • Preconsolidamento puntuale di parti decoese con prodotti a base di silicato di etile. • Riadesione di scaglie e frammenti pericolanti o caduti mediante resina epossidica, previa pulitura e preparazione delle interfacce, inserimento puntuale di perni in vetroresina con ogni cura per la rimozione degli eccessi di resina. • Imperniatura di fratture e piccole lesioni non strutturali tramite inserimento in fori predisposti di perni in vetroresina di diametro e lunghezza appropriate ed iniezione di resina epossidica fluida o poliestere a pressione a ricucire fratture e piccole lesioni degli apparecchi murari in pietra, laterizio o miste. • Consolidamento del paramento al supporto per porzioni puntuali e limitate. Per distacchi, fratturazioni e fessurazioni profonde: interventi puntuali di riadesione di distacchi del paramento murario e di stuccature delle fessurazioni profonde mediante colatura o l’iniezione in profondità di malte a base di calce idraulica naturale e sabbie vagliate. • Riprese di muratura a cuci-scuci per ricucitura di lesioni puntuali, o di porzioni scollegate, eseguite con pietra uguale a quella esistente, legate con malta idonea, stuccate esternamente con malta di calce. • Tassellatura di piccole mancanze di parti di paramento in cotto degradate ed a rischio di crollo, con elementi in cotto di antica fattura, analoghi all’esistente per caratteristiche fisiche e cromia, puliti ed esenti da sali, messi in opera con malta di calce. • Riempimento di mancanze e reintegrazioni di lacune, limitato a piccole porzioni in situazioni puntualmente individuate con insilaggio in opera di conci di pietrame del tutto analoghi a quelli contigui e malta di calce idraulica, sabbia e pozzolana.


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• Restauro di intonaco decoeso presente per limitate porzioni sui fianchi sud e sud-est della Fortezza mediante preconsolidamento di porzioni di intonaco non in grado di sopportare il lavaggio, con velatino di garza di estere in soluzione; applicazione di bendaggio e protezione delle parti in pericolo di caduta al fine di sostenere l’intonaco durante le operazioni di consolidamento. Stuccature e sigillature • Sigillatura e stuccatura dei giunti, delle alveolizzazioni del materiale laterizio, delle sconnessioni più profonde con malta di calce composta da calce idraulica naturale, sabbia silicea di natura alluvionale e pozzolane micronizzate. • Microstuccatura degli elementi lapidei delle fratture, scagliature, piccoli fori e vie d’acqua sulla pietra arenaria, travertino o laterizio con applicazione manuale di maltina composta da calce idraulica naturale, inerti appropriati, pigmenti minerali . • Interventi sulle porzioni di copertina sommitale in pietra: scarnitura delle connessioni, pulitura, lavaggio, applicazione di malta idraulica e pozzolana, lisciatura con apposita stecca di ferro e modellazione del giunto per favorire il deflusso delle acque. • Interventi sulle porzioni di cortina sommitali in cotto o muratura mista e dalla presenza di feritoie, con la stilatura dei giunti, pulitura delle cavità, parziali interventi di scuci-cuci con integrazione di elementi in cotto di recupero. • Restauro delle parti in elevato riferibili a porzioni di sottofondazioni o parti originariamente non visibili, con pulitura superficiale e successiva applicazione di consolidanti specifici. Integrazione delle stesse all’interno di rinfianchi a scarpa inerbiti. Consolidamenti superficiali e protezione • Consolidamento superficiale esteso del paramento murario. Ristabilimento della coesione con applicazione di due mani di silicato di etile, applicato a pennello avendo cura di proteggere le superfici dalla pioggia e dalla insolazione diretta durante i trattamenti Interventi strutturali • Rigenerazione muraria diffusa e consolidamento. La rigenerazione muraria diffusa ed il conseguente consolidamento si eseguono mediante iniezioni di miscele leganti e riempimenti di malte finalizzati alla riadesione profonda dei giunti ed aderenza tra gli elementi lapidei che compongono l’apparecchiatura interna della muratura con iniezioni di miscele leganti a base di calce e pozzolana ventilata a stabilità volumetrica, di consistenza fluida e a basso contenuto di sali solubili • Intervento di consolidamento in presenza di lesioni isolate o di discontinuità dell’apparecchiatura. L’intervento viene adottato in presenza di lesioni di modesta entità e scarsa profondità rispetto allo spessore effettivo del paramento murario.

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• Intervento di consolidamento e messa in sicurezza di porzioni murarie in fase di post-crollo al Vedute di dettaglio di porzioni delle cortine murarie dopo il restauro che evidenziano alcune delle molte disposizioni, lavorazioni, litotipi presenti nelle mura della Fortezza

fine di eliminarne le condizioni di instabilità. L’intervento si riferiva ai casi di dissesto presenti in

pagina a fronte Il bastione della Spina e l’ingresso monumentale dopo i restauri

fenomeni di ribaltamento ed ulteriori dislocamenti delle porzioni murarie attraverso il ripristino

Fotopiano dell’ingresso monumentale dopo i restauri pagine 52-53 La cortina nord-ovest dopo gli interventi di restauro

corrispondenza del Bastione del Belvedere, del Bastione della Chiesa ed del Bastione del Ponte del Soccorso. Intento primario dell’intervento era quello di consolidare la situazione attuale evitando del ruolo efficace delle malte leganti e l’applicazione di elementi di ancoraggio in acciaio inox inghisati nella muratura. Dal cantiere di restauro: note, aggiornamenti, specifiche sulle lavorazioni Gli interventi e le vicende che hanno caratterizzato il cantiere di restauro delle cortine murarie della Fortezza, da poco ultimato e durato circa due anni, hanno restituito dignità strutturale e formale alle cortine della fortezza evidenziandone peraltro il carattere estremamente composito, la narrativa vasta dei suoi litotipi che, attraverso le loro lavorazioni, la loro disposizione, caratteri e forme specifici, la natura geologica, il senso cromatico delle patine, rimanda a momenti diversi ed anche molto distanti, della storia del colle di San Donato e degli insediamenti che vi si sono succeduti. In sintesi va detto che le attività hanno seguito le previsioni progettuali con le necessarie variazioni imposte dalle risultanze delle analisi biologiche e fisico-chimiche, dalle prove e campionature, dai concordamenti in cantiere. Particolarmente importante è stato avviare (e seguire in qualità di consulente) le attività a partire dalla cortina muraria più problematica, ossia quella rivolta a nord ovest e dal bastione con maggiori criticità, ossia il Bastione del Soccorso che sono stati campi di prova per l’applicazione di lavorazioni poi eseguite, con le dovute differenze e specificità, sulle altre parti della cortina muraria della Fortezza. Ad altri saggi presenti in questo volume si rimanda per una rendicontazione estesa sia dei restauri specialistici sul paramento murario che degli interventi relativi ai rinforzi strutturali dei due bastioni fatti esplodere dalle truppe napoleoniche nel 1800.


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Fotopiano del fronte sud-ovest prima dei restauri, esempio di mosaicatura con numerazione dei fotogrammi per fotopiano a restauro finito, fotopiano della cortina dopo i restauri


la prima fase del restauro della fortezza di arezzo: il restauro delle cortine murarie (2007-2011)• maurizio de vita

Monitoraggio e manutenzione Alla fine dei lavori di restauro sono stati realizzati nuovi rilievi delle cortine con mosaicatura di immagini fotografiche ad alta definizione. Le ortofoto delle cortine e dei bastioni restaurati documentano quindi la situazione immediatamente successiva alla realizzazione delle opere per ogni necessità di verifica puntuale o estesa che si vorrà fare nel tempo. In tal senso si è voluto fornire uno strumento utile per l’attività di monitoraggio che negli anni si vorrà fare del paramento o di parti specifiche anche per valutare l’efficacia delle singole opere svolte a distanza di anni con confronti regolari. Tali rilievi, uniti alle mappature degli interventi eseguiti si ritiene possa essere di riferimento anche per ogni attività di manutenzione che l’Amministrazione comunale vorrà o potrà condurre, sia in vista di interventi puntuali che per un controllo più ampio ed esteso ad una percezione di questo bellissimo monumento a scala paesaggistica e territoriale.

Fotopiani del Bastione del Belvedere lato ovest prima e dopo i restauri

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Fotopiani del Bastione della Spina prima e dopo i restauri pagina a fronte Foto aerea della Fortezza a restauri delle cortine murarie ultimate. In evidenza il bastione del Soccorso fatto esplodere dalle truppe napoleoniche nel 1800.


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la fortezza di arezzo: metodi e tecniche della geomatica per la conoscenza di una struttura fortificata Grazia Tucci “I lavori di conservazione, di restauro e di scavo saranno sempre accompagnati da una rigorosa documentazione, con relazioni analitiche e critiche, illustrate da disegni e fotografie.” [Art. 16, Carta di Venezia, 1964 ]

La geomatica per la conservazione La comprensione della consistenza materiale del patrimonio costruito è il primo passo per poter definire la migliore strategia di conservazione, e la documentazione è, a sua volta, il primo passo per la comprensione. Pertanto, se conoscenza e strategie di conservazione sono strettamente interdipendenti, è evidente il ruolo primario della documentazione: è indispensabile conoscere sia il manufatto che i fattori di rischio a cui è esposto per pianificare efficacemente interventi di conservazione e programmi di manutenzione utili per evitare di affrontare situazioni di emergenza. Ogni manufatto ha una propria realtà materica, i cui parametri variano continuamente perché esposto a fenomeni di degrado dovuti ad una complessa serie di meccanismi che interagiscono fra loro. La disponibilità di strumenti e tecniche innovative consente di ottimizzare il processo conoscitivo, dalla osservazione diretta, alla localizzazione e quantificazione del degrado, allo studio delle sue fasi evolutive, alla valutazione dei rischi di dissesto statico; diventa così necessaria una visione organica che consenta di strutturare i dati in modo da costituire un valido impianto di partenza per le analisi e le scelte di intervento. In rapporto alle problematiche da indagare e alle finalità della ricerca è necessaria una organizzazione preliminare che permetta di definire con chiarezza tutte le scelte operative. Si deve elaborare un progetto di rilievo che tenga conto di tutte le possibilità della tecnologia, e decida quale metodo e quali strumenti utilizzare. Considerata l’estensione dell’area occupata dalla Fortezza, si è deciso di procedere con la realizzazione di una rete di inquadramento misurata con GPS e con il rilievo di dettaglio del paramento esterno delle mura con sistemi a scansione tridimensionale e fotopiani. Il rilievo metrico della Fortezza ha così costituito la base di riferimento per tutti i tipi di documentazione necessarie nelle fasi di analisi, diagnosi, intervento e monitoraggio: ha infatti il compito di dimensionare correttamente le informazioni geometriche e posizionare nello spazio (referenziare) informazioni anche tematiche, come quelle relative ai materiali e al loro stato di conservazione.

pagina a fronte Rilievo Laser scanning della fortezza (Laboratorio Geco, 2008) È stato realizzato il rilievo laser scanner dell’intera fortezza. Per la realizzazione degli elaborati a supporto del progetto di conservazione dei paramenti esterni sono state isolati ed elaborati i dati relativi agli stessi, evidenziati nell’immagine


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Le acquisizioni tridimensionali hanno riguardato l’intera Fortezza, anche se per rispondere alle contingenti necessità di supporto dell’intervento di conservazione dei paramenti sono stati elaborati, in un primo tempo, soltanto i dati relativi ai prospetti esterni. L’output del rilievo metrico può costituire il riferimento geometrico per un sistema informativo: le informazioni possono essere strutturate in relazione alle geometrie, ai materiali, alle patologie, consentendo un collegamento ad un database. È possibile quindi di volta in volta fornire rappresentazioni grafiche che rappresentano la risposta a query specifiche. In questo senso il rilievo metrico deve divenire un elemento di aggregazione di contributi pluridisciplinari, una piattaforma comune su cui incardinare i vari saperi e non più una mera operazione di “servizio”. Alcune indicazioni sulle modalità secondo cui deve essere strutturato un progetto di documentaIl contributo della Geomatica è fondamentale in tutte le quattro fasi che caratterizzano, in modo ciclico e non lineare, un progetto di conservazione: ognuna di esse richiede infatti una conoscenza metrica dell’oggetto in esame accurata, corretta e aggiornata. Rielaborato da: Santana Quintero et al. 2007

zione sono state stabilite già dalla Carta di Venezia (articolo 16) e dopo poco ampliate nei “Principles for the recording of monuments, group of buildings and sites” (1966). La conservazione del patrimonio costruito si sviluppa a seguito di una serie di fasi di lavoro, che coinvolge l’analisi per stabilire il valore e significato al fine di comprendere la priorità di azione e l’assegnazione di risorse, la diagnosi per individuare le cause di danni e degrado, la terapia per scegliere le misure correttive e controlli o monitoraggio per valutare l’efficacia dell’intervento. Il contributo della Geomatica è fondamentale in tutte le quattro fasi sopra descritte, che non dovrebbero essere considerate come parte di un processo lineare con un inizio e una fine, ma piuttosto come un ciclo: ogni fase richiede infatti una conoscenza metrica dell’oggetto in esame accurata, corretta e aggiornata, anche secondo diversi livelli di dettaglio e precisione. La Geomatica riveste pertanto un ruolo di primo piano nel contribuire alla conoscenza di un bene producendone una documentazione, di validità certificata, relativa alla sua conformazione geometrica e a tematismi di varia natura, spazialmente riferiti. Tutte le tecniche che alla Geomatica fanno riferimento sono infatti finalizzate a definire la posizione di punti nello spazio (o a descriverne lo spostamento, se oltre ad un sistema di riferimento spaziale se ne assume anche uno temporale, come avviene nelle operazioni di monitoraggio) e a descrivere l’andamento di superfici (o le loro deformazioni), esprimendo al contempo l’affidabilità delle rappresentazioni proposte. Un tempo, i migliori conoscitori di un monumento erano proprio i suoi rilevatori (anche se i titoli di rilevatore, misuratore o agrimensore non sono stati generalmente vanto né per architetti né per ingegneri, in quanto attestanti un ‘saper fare’ considerato strumentale ad altri, più alti, ‘saperi’) che, spesso muniti di rotella metrica e filo a piombo ne esploravano gli spazi annotandone forme e dimensioni, guidati da una formazione fortemente radicata nella storia dell’architettura. Le misure erano sostanzialmente limitate a distanze, riferite a piani la cui giacitura nello spazio era evidentemente non semplice da materializzare. La progettualità inevitabilmente insita in ogni misura non poteva che essere guidata da ipotesi formali, tecnologiche, costruttive. Come conseguenza della rivoluzione introdotta dalle tecnologie elettroniche e informatiche, dal punto di vista scientifico e


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professionale si sono andate definendo competenze tecniche sempre più specifiche e si sono diffusi strumenti con prestazioni sempre più elevate. Si è così andata evidenziando la differenza tra chi produce i dati per la documentazione e la conservazione e chi li usa. Se da un lato l’iper-specializzazione, e una a volte semplicistica fiducia in pur strabilianti strumenti hardware e software, tende ad allontanare i due mondi, solo una rete che li colleghi, non in modo rigido, può valorizzare le competenze presenti in entrambi e creare insostituibili sinergie per affrontare problemi complessi come quelli della conservazione e della valorizzazione dei beni culturali. Se in passato era difficile distinguere tra ‘misura’ e ‘interpretazione’ dell’edificio, e persino individuare una priorità temporale tra le due operazioni, le tecnologie oggi disponibili consentono di operare sul campo in tempi molto ridotti e, pertanto, portano a minimizzare le ipotesi a priori e a posporre sistematicamente la fase interpretativa a quella mensoria. Il rischio è che la inevitabile consequenzialità temporale prevista dalla successione misura – analisi e la compressione dei tempi necessari per la prima porti a trascurare la polisensorialità dell’esperienza percettiva comunque ancora indispensabile per supportare le ipotesi di modellazione successive. “Dal generale al particolare!” non deve restare solo l’imperativo del misuratore che rivendica le proprie competenze, dalla referenziazione del monumento al rilievo di dettaglio, dei suoi più minuti dettagli. “Dal generale al particolare” è la descrizione di come si muove lo sguardo, tra visioni d’insieme e ravvicinate, di chiunque esplora con interesse uno spazio, cercando di coglierne “l’essenza” e rendendosi disponibile a subirne le suggestioni. Moderni sistemi di rilievo Pur rimarcando ancora una volta che la materia di cui sono costituiti gli edifici e la loro rappresentazione virtuale non devono essere considerati completamente interscambiabili, la riproduzione digitale di un edificio può originarsi da sistemi di rilievo diversi. Una classificazione possibile degli strumenti oggi maggiormente diffusi è quella che distingue sistemi basati sulla elaborazione di immagini (fotogrammetria digitale, anche nelle sue declinazioni semplificate) e sistemi basati sulla misura diretta delle distanze (sistemi a scansione). Le applicazioni a grande scala, come quelle che caratterizzano i progetti di documentazione in campo architettonico e archeologica, presentano problematiche specifiche che richiedono generalmente una pianificazione caso per caso, oltre all’uso integrato di strumenti diversi, perché spesso un singolo sistema non è in grado di soddisfare tutte le necessità. Il diagramma seguente riassume le diverse tecniche che possono essere adottate per un rilievo metrico, in funzione della scala di indagine e della complessità formale dell’oggetto di studio.

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Applicazione delle diverse tecniche di rilievo tridimensionale in funzione della scala di indagine e della complessità formale dell’oggetto. Da: Historic England, D.M. Jones (a cura di), 2011. 3D Laser Scanning for Heritage (second edition).

Fotografie per il rilievo La fotografia costituisce il primo ed inestimabile strumento per la documentazione ed è possibile individuare tre forme di utilizzo delle immagini fotografiche: - Fotografie per la documentazione non metrica - Immagini rettificate o prospetticamente corrette (dette anche fotoraddrizzamenti o fotopiani) - Fotogrammetria, i cui risultati danno origine a modelli 3D, ortofoto, restituzioni vettoriali. Le fotografie per la documentazione non metrica sono scattate generalmente senza una specifica pianificazione delle posizioni di presa, utilizzando una vasta gamma di camere, da quelle compatte a quelle professionali. È una forma di documentazione fondamentale, sia che si considerino le immagini contemporanee prodotte durante gli interventi in corso, sia che si faccia riferimento a quelle che costituiscono la memoria storica di interventi condotti in passato. Questo tipo di fotografia però non è destinato ad essere utilizzato per derivarne le dimensioni degli oggetti e degli spazi ripresi. Talvolta viene posizionato sulla scena fotografata un metro o una apposita barra graduata, che deve però essere intesa come un modo per fornire un’indicazione di massima delle dimensioni più che uno strumento di misura. I video costituiscono un modo interessante per registrare rapidamente una grande quantità di informazioni: si può così documentare non solo le caratteristiche dell’edificio ma anche la sua costruzione o gli interventi che su di esso sono condotti, l’uso e il contesto. Le immagini fotografiche rettificate costituiscono un metodo efficace per la documentazione metrica di strutture relativamente piatte, come possono essere (almeno in prima approssimazione) le facciate di molti edifici. La correzione prospettica applicata deriva dal calcolo analitico di una tra-


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Su ogni prospetto sono state realizzate una serie di prese fotografiche ad alta risoluzione, curando le condizioni di illuminazione e limitando quanto possibile le zone d’ombra prodotte dalla vegetazione circostante la fortezza

Le immagini fotografiche rettificate descrivono in modo metricamente corretto la consistenza degli elementi piani del paramento murario. Nelle situazioni più articolate, come nel caso del Bastione Belvedere, i piani da considerare sono diversi e rispetto ad ognuno di essi è stata calcolata una trasformazione indipendente. Gli elementi non piani, come le porzioni di muratura a sacco in vista, sono stati rappresentati con ortoimmagini del modello di punti ottenuto dalle scansioni 3D.

sformazione omografica e richiede, per ogni piano individuato sull’immagine, la conoscenza della posizione di almeno quattro punti. Come in tutti i sistemi di rilievo, la disponibilità di un numero più elevato di vincoli consente di controllare meglio i risultati ottenuti. Nel caso del paramento murario della Fortezza è possibile individuare due piani distinti: quello della porzione inferiore a scarpa, per l’appunto inclinato, e quello superiore, pressoché verticale. L’intero perimetro delle mura è stato ripreso con una camera reflex digitale Nikon D80 e obbiettivo con focale equivalente a 27 mm. Per sfruttare al meglio la risoluzione del sensore le prese sono state scattate con l’inquadratura in verticale. Ogni immagine è stata quindi elaborata considerando in un primo tempo la porzione superiore e rettificando il relativo piano e, successivamente rettificando la porzione inferiore, rispetto ovviamente allo stesso piano verticale. La pendenza della parte in scarpa è desumibile dai profili verticali realizzati su ogni lato. I punti di riferimento utilizzati per il calcolo delle trasformazioni omografiche sono stati materializzati con appositi target, attaccati alle mura prima del loro rilievo. Le loro coordinate sono state ricavate dal modello di punti ottenuto in seguito alle scansioni tridimensionali. Per la restituzione grafica dei vari prospetti della Fortezza, le immagini rettificate sono state mo-

Fotopiano del prospetto Nord-Est. Per il calcolo dei fotopiani si è assunto quale piano di riferimento un piano verticale interpolante l’andamento del tratto di mura di volta in volta considerato. Risulta pertanto in vera grandezza la porzione di mura superiore, verticale a sua volta, mentre è scorciata la parte inferiore, in funzione della scarpa. Gli elaborati grafici prodotti integrano i fotopiani con la restituzione vettoriale dei principali elementi di discontinuità geometrica. Le porzioni di cortina adiacenti al prospetto oggetto delle varie tavole sono rappresentati con immagini del modello di punti.


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saicate tra loro: la disponibilità di punti di controllo di coordinate note omogeneamente distribuiti sulle mura ha permesso di automatizzare questa fare e di assicurare una qualità metrica omogenea, evitando deformazioni non inusuali nel caso di mosaici realizzati con sistemi più approssimati. I fotopiani così ottenuti costituiscono al contempo un elaborato metrico affidabile e una documentazione realistica della consistenza materica del paramento murario. Tecniche fotogrammetriche più complesse possono essere utilizzate per il rilievo di oggetti ed edifici caratterizzati da forme articolate. In questo caso sono necessarie viste multiple della stessa porzione di oggetto per consentire sia di ricavare informazioni tridimensionali che di realizzare ortofoto. Sistemi a scansione 3D Con il termine ‘scansione’ si indica il processo di digitalizzazione operato dagli scanner, che convertono informazioni di tipo analogico in informazioni di tipo digitale. È comune l’esperienza di digitalizzazione (o scansione) di documenti cartacei, quindi bidimensionali, attraverso scanner. Gli scanner tridimensionali, che stanno avendo una crescente diffusione, operano in modo analogo, seppur nello spazio tridimensionale: così come una immagine digitale, risultato di una scansione 2D, è costituita da pixel, il prodotto di una scansione 3D, detto range map o semplicemente ‘scansione 3D’, è costituito da punti nello spazio di cui sono note le coordinate. La posizione di ogni punto è determinata, in modo estremamente rapido e completamente automatico, tramite la misura di due angoli e una distanza. La progettazione del rilievo tramite scansioni deve fare riferimento al principio geometrico secondo il quale sono acquisiti i dati, che è quello della proiezione centrale. In modo del tutto analogo a quanto avviene per una fotografia, infatti, sarà possibile acquisire solo gli elementi in vista; tutto quanto risulta ‘in ombra’ da una postazione di scansione dovrà essere pertanto rilevato da una posizione differente. È quindi evidente che tra ogni scansione e quelle immediatamente adiacenti è necessario prevedere una sovrapposizione adeguata a documentare in modo esaustivo l’oggetto. Questa ridondanza di dati è utile anche per l’allineamento delle varie scansioni in un unico sistema di riferimento. Per questa operazione sono generalmente utilizzati anche appositi target, posizionati sulla scena e misurati con metodi topografici, che definiscono a priori il sistema di riferimento nel quale sarà espresso l’intero rilievo. Il sistema di riferimento adottato è il WGS84. Le quote dei vertici della rete di inquadramento sono state calcolate con riferimento all’ellissoide e sono quindi state trasformate in quote ortometriche. Le indicazioni altimetriche riportate sugli elaborati grafici fanno riferimento a queste ultime. Il risultato della fase di allineamento delle scansioni è un modello tridimensionale che, proprio a causa dell’elevato automatismo con il quale è stato prodotto, si può definire ‘acritico’. Le operazioni di interpretazione dell’oggetto e di selezione delle informazioni significative che tradizionalmente sono eseguite sul campo possono ora essere realizzate sul modello invece che sull’oggetto del ri-


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lievo. Le rappresentazioni grafiche che dovevano essere sempre definite a priori, per consentire di limitare le onerose operazioni di misura a quelle strettamente necessarie a realizzarle, possono ora essere stabilite successivamente alla costruzione del modello, che è un vero database di informazioni metriche. La natura digitale e tridimensionale dei dati rilevati, inoltre, suggerisce di valorizzarne la flessibilità con l’esplorazione di nuove forme di restituzione grafica. Per il rilievo della Fortezza sono state realizzate circa 70 scansioni, riprendendo la struttura di volta in volta da punti di vista diversi, regolarmente distanziati lungo il perimetro. La risoluzione adottata, all’incirca centimetrica, consente al modello finale di fornire un’ottima descrizione delle pareti rilevate: il modello di punti ottenuto documenta infatti non solo dimensioni e giaciture dei paramenti, ma anche la tessitura dei materiali, lapidei o laterizi, che li costituiscono. Sono inoltre facilmente riconoscibili i target posizionati per la rettifica delle immagini fotografiche (come descritto in precedenza). Alcune lacune nei dati sono imputabili alla presenza, in alcune parti piuttosto importante, di vegetazione infestante. Caratteristiche dei dati rilevati A prescindere dalle specifiche soluzioni tecnologiche implementate nei diversi sistemi di misura, nei dati rilevati si possono individuare alcune caratteristiche comuni: • Si tratta sempre di dati digitali: le informazioni provenienti dal mondo reale sono campionate e registrate in formato numerico, con i conseguenti vantaggi in merito alla flessibilità, trasmissibilità, condivisone, possibilità di archiviazione automatica di metadati, ecc. Va comunque ricordato che il patrimonio documentario digitale deve affrontare i rischi legati all’obsolescenza digitale. • Sono tridimensionali: un rilievo metrico registra posizione, dimensione e forma di ogni parte dell’oggetto di studio e, anche se è ancora diffusa la necessità di disporre di piante, sezioni, prospetti stampati su carta, per esempio per consentirne la consultazione sul sito, le moderne tecniche di rilievo generano sempre informazioni metriche tridimensionali. • Sono, al momento dell’acquisizione, indifferenziati. Derivano infatti da un campionamento eseguito direttamente sulla superficie dell’oggetto (nel caso dei sistemi range-based) o su sue fotografie (sistemi image-based). Sistemi automatici di segmentazione e classificazione danno buoni risultati a scala urbana e territoriale, mentre in applicazioni a grande o grandissima scala è al momento difficile utilizzarli per una strutturazione semantica del modello.

Osservando il modello di punti da un punti di vista coincidente con quello occupato dallo scanner la descrizione dello spazio appare continua (a sinistra), mentre modificando la posizione di osservazione si evidenziano, in secondo piano, le lacune nei dati determinate dagli oggetti in primo piano (a destra)

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• Il tempo necessario sul campo per la loro acquisizione è molto breve. I più recenti sistemi di scansione operano con velocità sempre più elevate: pochi minuti sono stati sufficienti per ognuna delle scansioni realizzate alla Fortezza. Nei sistemi basati sull’elaborazione di immagini la sola operazione da svolgere sul campo è lo scatto delle fotografie. In entrambi i casi non si deve però sottostimare il tempo necessario per l’indispensabile pianificazione delle operazioni. Inoltre, se si può considerare che l’acquisizione avvenga pressoché in tempo reale, le successive elaborazioni finalizzate a rispondere alle diverse esigenze richiedono tempi anche considerevoli. • Il rilievo avviene sempre senza contatto con l’oggetto. • L’oggetto è campionato con alte risoluzioni. Il concetto di ‘risoluzione’ in fase di acquisizione è direttamente collegato a quello di ‘livello di dettaglio’ in fase di restituzione: tanto più è elevata la risoluzione, tanto più minuto sarà il dettaglio geometrico documentato dal modello. • Spesso ai dati geometrici sono associate informazioni sulla texture, provenienti da immagini fotografiche. Un’ultima osservazione relativa ai dati è per sottolineare che l’efficacia con la quale possono rappresentare il mondo reale non deve essere confusa con la accuratezza della rappresentazione stessa. Elaborazioni grafiche La validità metrica del modello consente di derivarne, anche in tempo reale, misure lineari, angolari, di superficie e di volume, utili sia per verificare analogie e differenze, sia per quantificare, anche in termini economici, interventi e materiali. Le elaborazioni che possono essere realizzate a partire dai dati rilevati sono svariate e di volta in volta devono essere individuate le più opportune a secondo delle finalità principali del progetto in corso. Molte attività progettuali richiedono, come elaborati grafici di base, rappresentazioni canoniche quali piante, prospetti, sezioni. Per tutti i piani sezione valgono le regole e le eccezioni previste per il disegno tecnico, come per esempio la necessità di attraversare quanto più possibile le bucature, evitare gli elementi strutturali, attraversare le volte in corrispondenza della chiave, ecc. Anche per le elaborazioni realizzate a partire dal modello di punti della Fortezza si è quindi proceduto in modo analogo, con traslazioni attente del piano sezione e la restituzione grafica solo degli elementi di volta in volta significativi. L’intera Fortezza presenta uno sviluppo lineare di circa 670 m, corrispondenti, per un’altezza media di 10-12 m, ad una superficie pari approssimativamente a 7.300 m2. Oltre ai fotopiani di tutti i prospetti, sono stati realizzati due profili orizzontali, alle quote +313 m (corrispondente alla parte di paramento verticale, a partire dal toro) e +318 m (incidente sempre sulla scarpa), oltre a 32 profili verticali. Le viste ortogonali del modello prodotto dalle scansioni (dette ‘ortoimmagini’) costituiscono un


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primo elaborato sul quale possono essere sovrapposte mappe che tematizzano i vari materiali che la costituiscono, le patologie riscontrate, i trattamenti in progetto. Le viste ortogonali possono essere ingrate con informazioni fotografiche direttamente derivate dal modello – nel caso di scanner con camera fotografica integrata o di sistemi image-based, oppure applicate in un secondo tempo, come avviene generalmente quando è necessaria una buona risoluzione ed un’elevata qualità fotografica della texture. Nel caso della Fortezza aretina, per consentire la migliore risoluzione fotografica degli elaborati finali, si è preferito realizzare una serie di fotopiani e integrare con essi le ortoimmagini del modello di punti. Ogni prospetto, quindi, risulta rappresentato da un fotopiano per la porzione di mura in vera grandezza, e da ortoimmagini del modello di punti per i lati dei bastioni che lo delimitano e che ovviamente sono rappresentati in scorcio. Altre forme di rappresentazione che possono essere ricavate in seguito alla scansione 3D di un manufatto conservano la tridimensionalità dei dati di partenza e consentono l’esplorazione interattiva del modello, che risulta essere estremamente utile per comunicare complesse realtà spaziali e materiali, oltre che per prefigurare gli esiti di interventi progettuali. Nel caso del Bastione Belvedere, sono stati sperimentatati diversi approcci di modellazione tridimensionale, come più dettagliatamente descritto in seguito. Infine, ricordando che “la conservazione della memoria storica va affidata, oltre che agli interventi sul corpo vivo della fabbrica, anche ad accurati sistemi di registrazione degli eventi che la coinvolgono”1 è possibile registrare in modo coerente campagne di rilievo che si sono succedute nel tempo, permettendo una lettura diacronica della fabbrica – si pensi al procedere, inevitabilmente distruttivo, di uno scavo archeologico.

1 L’eccellenza del restauro italiano nel mondo. Catalogo della mostra (Roma, 5 novembre-18 dicembre 2005), Proietti G. (a cura di), Ed. Gangemi, 2005, ISBN 9788849209037.

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Dalle scansioni effettuate possono essere ricavate informazioni 2D (viste ortogonali, come la pianta a sinistra) o 3D (visualizzazioni prospettiche, esplorabili e misurabili, come a destra)


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I profili orizzontali sono stati estratti dal modello di punti (come evidenziato a sinistra) e restituiti in ambiente CAD (a destra)

Proprio nella zona del Bastione Belvedere, il rilievo del 2008 è stato aggiornato nel 2012, in seguito alle operazioni di rimozione del terrapieno e agli studi avviati sulla porzione di fortezza minata nell’Ottocento dai Francesi. Dal rilievo al modello La riproduzione di alcune caratteristiche fondamentali (generalmente geometriche, ma anche tematiche, cromatiche, ecc.) di un oggetto può essere definita ‘modello’. Come noto, alla fase mensoria corrisponde un campionamento dell’oggetto, più o meno denso a seconda delle tecniche utilizzate e della finalità del progetto di documentazione. Il modello che ne deriva è pertanto un modello discreto (da alcuni definito ‘numerico’2,); tra le misure che lo costituiscono e l’oggetto originario esiste una seppur discontinua corrispondenza biunivoca3, a meno delle incertezze che caratterizzano strumenti e procedure utilizzati nel rilievo. Se questi sono descritti correttamente può essere considerato oggettivo, e in quanto tale altri operatori, con altri strumenti, possono definire modelli con esso compatibili. L’approssimazione del modello discreto è legata all’incertezza delle osservazioni. La successiva elaborazione dei dati richiede invece di interpretare e interpolare il modello derivato dalle misure, sulla base di considerazioni formali, strutturali, tecnologiche e di tutta la documentazione disponibile. Il modello che ne deriva è continuo (da alcuni definito “matematico”4) e caratterizzato da una verosimiglianza analogica con l’oggetto5, ovvero ne costituisce una rappresentazione convincente, dove “convincente” deriva non solo dalla sua somiglianza con l’oggetto originale, ma dalla validità del modello teorico adottato nella trasposizione del modello discreto in continuo. Il modello continuo introduce inevitabilmente un’approssimazione nella descrizione dell’oggetto, in quanto rappresentazione sintetica della complessità reale. La rappresentazione di tale sintesi si può avvalere, di volta in volta, di geometrie riconducibili a solidi elementari, a NURBS o a superfici Migliari R (2004) Per una teoria del rilievo architettonico. In migliari R (ed.) Disegno come modello, ed. Kappa, Rome. Crippa B, Mussio L (2014) Compagni!!... Tutti insieme cresciamo. In: Barriot JP, Sansò F (Eds.) Il Prof. Sansò e lo sviluppo della geodesia in Italia, Newton’s Bulletin, Milan. 4 Migliari, Op. cit. 5 Crippa, Mussio, Op. cit. 2 3


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mesh. In questi casi è necessario un intervento manuale (al campo dei beni culturali non sono generalmente applicabili i sistemi di modellazione automatica, o assistita, che possono accelerare l’elaborazione di modelli continui in campo meccanico o industriale) e pertanto il contributo portato dall’interpretazione di chi elabora il modello è più significativo. In funzione dell’approssimazione introdotta dalla tecnica adottata per la modellazione, si possono distinguere a) modelli ricavati con procedure automatiche di meshing triangolare (dalla nuvola di punti alla mesh), che consentono un’approssimazione topologica di minimo errore e quindi un’accurata descrizione (metrica, morfologica ematerica) dello stato di fatto dell’edificio, e b) modelli che, della nuvola di punti che descrive l’oggetto, considerano solo una serie di sezioni caratteristiche, usate come generatrici e direttrici di superfici generate per ‘trascinamento’ (rivoluzione di una curva bidimensionale attorno ad un asse, estrusione di una curva lungo un percorso definito da una seconda curva, superfici rigate), costituendo una più sintetica descrizione geometrica. Modelli triangolati La triangolazione è un processo automatico che consente di definire una superficie a maglie triangolari (mesh) a partire da un modello di punti. Evidentemente nelle zone dove i punti non sono stati rilevati – perchè nascosti da altri elementi rispetto allo scanner al momento dell’acquisizione – si determinano delle lacune anche nella superficie. L’automatismo del calcolo si deve quindi confrontare con le laboriose elaborazioni necessarie ad integrare le parti mancanti, operazioni che richiedono un attento intervento manuale dell’operatore e che incidono pertanto in modo significativo sui tempi di modellazione. I dati utilizzati come set di partenza sono detti non strutturati: ovvero sono disposti nello spazio in modo irregolare, con il solo vincolo di appartenere alla superficie che rilevano. Allo stesso modo le maglie triangolari della superficie calcolata rispondono al requisito di aderire ai punti che l’hanno generata, con intervalli di tolleranza regolabili dall’operatore. Il numero delle maglie è generale-

Lato di ingresso alla Fortezza: prospetto, profili verticali e orizzontali

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Dettaglio di un modello triangolato: la superficie è descritta da una mesh a facce triangolari, visibili nella visualizzazione in wireframe (a destra)

mente adatto a descrivere le superfici più articolate mentre è sempre esuberante nelle zone con andamento uniforme. Per questo una mesh triangolata non è ottimizzata per descrivere nel modo più efficiente un oggetto semplice.L’elevato numero di triangoli di una mesh definita tramite triangolazione rende impegnativa dal punto di vista delle risorse hardware necessarie la gestione di modelli anche di dimensioni contenute. Modellazione tramite profili Ogni superficie può essere considerata generata dalla traslazione o rotazione di una curva direttrice rispetto ad una generatrice. È questo l’approccio più classico adottato nella modellazione 3D che, in ambito architettonico, deriva le informazioni di partenza da rappresentazioni bidimensionali (piante, sezioni, prospetti): l’andamento di una cornice, per esemplificare la questione con un caso molto semplice, è definito dalla traslazione di una sua sezione (generatrice) lungo la traccia della parete (direttrice). La generatrice è solitamente derivata da una sezione verticale dell’ambiente, la direttrice dalla pianta. È evidente che per poter modellare la cornice in questione è indipensabile disporre di una sezione verticale dell’ambiente che la attraversi. Il rilievo laser scanning consente di conoscere potenzialmente tutte le curve necessarie, che possono di volta in volta essere vettorializzate sezionando opportunamente il modello di punti o la superficie triangolata da esso derivata. Superfici più articolate possono essere generate dalla traslazione lungo profili poligonali, curvi o mistilinei. Alcune superfici possono anche essere considerate generate dalla traslazione di un profilo di partenza che si trasforma in un profilo di arrivo, guidato da una coppia di linee guida che la delimitano nella direzione ortogonale a quella di traslazione. Modelli per il progetto e la comunicazione La sempre più vasta disponibilità di informazioni in formato digitale e l’avanzamento delle tecnologie ICT (Information and Communication Technologies) consentono lo sviluppo di numerose applicazioni che possono supportare un progetto di indagine: dalla raccolta e elaborazione di dati storici, alla documentazione metrica e tematica, al monitoraggio, alla descrizione ed archiviazio-


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ne degli interventi posti in opera, alla visualizzazione di strutture ed ambienti storici, anche non più esistenti, grazie ai sistemi di realtà aumentata. Si possono così creare reti interattive per la ricerca e la gestione di informazioni, che coinvolgono professionisti, studiosi, turisti e visitatori. Il modello di superficie del Bastione Belvedere è stato utilizzato per la progettazione di un intervento progettuale6: l’accuratezza e la completezza del rilievo disponibile hanno consentito contemporaneamente di fare puntuali verifiche dimensionali e di mantenere una visione d’insieme dello spazio articolato nel quale si sviluppa l’intervento. Modelli solidi I sistemi di prototipazione sono generalmente usati in campo industriale, dove i prototipi sono progettati ex-novo in ambiente CAD. In architettura e archeologia, invece, i modelli derivano da processi di digitalizzazione di oggetti, spazi, edifici reali. Il ruolo principale svolto dai modelli solidi in questi settori è quello di illustrare e supportare i progetti di comunicazione. Come spesso accade, si è assistito in tempi recenti ad una contaminazione tecnologica che ha trasposto strumenti e tecniche dal mondo industriale a quello dei beni culturali, rendendo però necessarie alcune precisazioni terminologiche. ‘Prototipo’ non deve più, in questo contesto, essere inteso come il primo elemento di una programmata produzione in serie, perché è evidente che l’obbiettivo di un modello architettonico realizzato con sistemi di rapid prototyping non è l’ottimizzazione della sua produzione di massa. Termini più appropriati per indicare questi modelli sono ‘replica’, se la sua scala è 1:1, o ‘modello solido’, nel caso di modelli in scala ridotta. In entrambi i casi si tratta di modelli ‘espositivi’, in quanto la loro funzione principale è quella di rappresentare e comunicare l’oggetto superando le limitazioni imposte dalle immagini bidimensionali, quindi consentendo di modificare il punto di vista dell’osservatore attorno al modello ed,eventualmente, di toccarlo. In questo modo la vista non è più l’unico senso attraverso il quale può essere trasmessa la comunicazione relativa ad uno spazio o ad un intervento, e il pubblico si amplia coinvolgendo, per esempio, anche ipo- e non-vedenti.

6 a cura di F. Rosticci e M. Tonelli, nell’ambito del Laboratorio di restauro dei monumenti, prof. M. De Vita, Università degli Studi di Firenze

Il terreno antistante il Bastione Belvedere è stato modellato con superfici NURBS appoggiate al modello di punti: sulla base dei dati rilevati con lo scanner sono stati vettorializzati i profili, che hanno a loro volta costituito le direzioni di riferimento per la modellazione delle superfici.

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la fortezza di arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento • a cura di maurizio de vita

La complessità degli spazi del Bastione Belvedere ha richiesto di elaborare la proposta progettuale non su tradizionali piante e sezioni ma direttamente sul modello 3D

pagina a fronte Una fase preliminare alla prototipazione vera e propria consiste nella generazione del file STL e nella sua verifica. Il file STL (Standard Triangulation Language To Layer) è uno standard grafico che descrive l’oggetto tramite una decomposizione delle superfici che lo compongono: le superfici del pezzo vengono descritte con elementi triangolari. Il numero di questi triangoli è tanto maggiore quanto meglio si vuole approssimare la superficie. Lo standard STL fu sviluppato inizialmente dalla “3D Systems” ed è uno standard per i sistemi di prototipazione rapida. Modello solido realizzato con una stampante 3d Kenstrapper modello Volta Beta (tempo di lavorazione: 14 ore) La modellazione a deposizone fusa (Fused Deposition Modelling, FDM) utilizza un filo di materiale termoplastico, deposto su un vassoio da una testina capace di muoversi lungo 3 assi. Il processo è automatico, così come l’eventuale generazione dei supporti, spesso creati a nido d’ape per alleggerire la struttura. Alla fine della lavorazione il prototipo non richiede ulteriori trattamenti. 25. Il processo di sinterizzazione (Selective Laser Sintering, SLS) consiste nella compattazione e trasformazione di materiali ridotti in polveri in un materiale solido. Tale trattamento termico viene svolto ad una temperatura inferiore al punto di fusione del materiale. Sezioni con geometrie specifiche vengono riprodotte da un raggio laser su strati sottili di materiale in polvere (in alto a destra). La polvere non sinterizzata agisce da struttura di supporto e permette di realizzare particolari senza limiti di complessità.

Realizzazione di un modello solido Il modello numerico deve essere predisposto e alla macchina che realizzerà il modello solido è solitamente inviato in formato STL. Con differenze legate alle diverse tecnologie impiegate, si procede quindi con la deposizione di materiale strato per strato fino ad arrivare all’oggetto finale. Questa fase può durare alcune ore in funzione delle dimensioni dell’oggetto (in particolare dell’altezza). Un’accurata scelta dell’orientamento del modello è importante sia per la finitura superficiale sia per ridurre i tempi di lavorazione. Una volta terminata la realizzazione del modello, deve essere rimosso dalla macchina e sono generalmente necessarie alcune operazioni manuali per liberarlo dal supporto o dal materiale in eccesso ed eventualmente operare ulteriori finiture della superficie con trattamenti quali l’impiego di carta abrasiva o la verniciatura.


la fortezza di arezzo: metodi e tecniche della geomatica per la conoscenza di una struttura fortificata • grazia tucci

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interventi per il consolidamento strutturale del bastione del soccorso e del bastione del belvedere Giacomo Tempesta

I consolidamenti strutturali di due porzioni dei massicci apparati murari perimetrali della Fortezza

pagina a fronte

di Arezzo hanno rappresentato un episodio sicuramente emblematico rispetto ai temi più generali

Foto del drone del Bastione del Belvedere

della filosofia dell’intervento di rinforzo in presenza di strutture in muratura. In generale il problema dell’analisi della consistenza strutturale di murature di tali dimensioni non è riconducibile al consueto tema della vulnerabilità, prevalente di tipo sismico, delle murature storiche quando quest’ultimo si riferisce agli edifici di natura civile o religiosa o a quegli edifici che compongono il tessuto edificato dei centri storici. La stessa sistematizzazione tipologica e disciplinare dei meccanismi di collasso, come anche dei fondamenti della meccanica stessa delle murature, riferibile ed applicabile ai casi di sistemi murari, perimetrali o di controvento, presenti in ossature murare delle tipologie edilizie sopra ricordate, né si adattano né si ritrovano, nella realtà, all’interno della casistica e delle problematiche strutturali e di dissesto proprie degli organismi murari relativi ai grandi sistemi fortificati. Infatti, malgrado l’enorme varietà con cui la costruzione muraria si presenta nei diversi luoghi e nelle diverse epoche, essa manifesta, nella casistica dei manufatti architettonici più tradizionali, sia di contesto che monumentale, la sostanziale omogeneità delle caratteristiche degli elementi strutturali semplici che la costituiscono, nell’assemblaggio di questi ultimi in tipi di apparecchi di connessione o anche nella qualità meccanica dei leganti, contribuisce fortemente a caratterizzarne sia la consistenza statica che il grado di vulnerabilità sismica. I concetti stessi di stabilità e di equilibrio, nell’ambito delle strutture murarie, obbediscono a regole che permettono la possibile individuazione o di meccanismi prevalenti di ribaltamento di parti (che possono conservare o meno caratteristiche di monoliticità interna), o a forme di collasso dovute a processi di disgregazione dei setti, causate dal ruolo scarsamente o per nulla efficace lei legami coesivi interni agli spessori murari. Nel caso invece delle grandi masse murarie, spesso caratterizzate da marcati spessori di strati lapidei esterni di paramento e sacchi interni formati quasi sempre da conglomerati particolarmente consistenti e coesi, il tema dell’equilibrio delle strutture viene declinato da un lato attraverso la distribuzione dei pesi propri e della congruenza dei baricentri parziali rispetto all’orma di contatto con il suolo, dall’altro attraverso il ruolo preponderante dell’attrito quale vincolo interno prevalente e in ogni caso oggettivamente difficile da mettere in crisi anche nel caso di eventuali azioni dinamiche.


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la fortezza di arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento • a cura di maurizio de vita

pagina a fronte

La tipologia di dissesto che frequentemente caratterizza i grandi apparati murari propri di fortezze e

Localizzazione dei due interventi

strutture similari proprie dei manufatti di tipo difensivo, si presenta attraverso dislocazioni di ampie

Bastione del Belvedere. Caratteristiche del crollo

porzioni muratura, marcate da fratture di interfaccia spesso di considerevole ampiezza, che si sviluppano seguendo l’alterno andamento dei giunti di malta tra gli elementi dell’apparecchiatura più esterna. Aspetto di grande importanza assume tuttavia la capacità di lettura non solo descrittiva dei quadri fessurativi, che spesso manifestano una medesima o ricorrente tipologia, quanto la consapevolezza di carattere eminentemente deduttivo dell’analisi del dissesto rispetto alle relazioni causa – effetto che lo hanno determinato. Spesso si ritrovano scivolamenti delle basi fondali, in special modo sugli sproni angolari di perimetro, in grado di dislocare ampie porzioni che trovano nuovi assetti di equilibrio, aiutati da contatti interni di tipo attritivo e compensati, appunto, da spostamenti relativi che si manifestano sotto forma di linee di frattura. In altri casi i riempimenti successivi di masse terrose a monte dei fronti murali, sviluppatisi attraverso il susseguirsi di stratificazioni storiche legate a usi e disusi dei manufatti, hanno invece favorito l’azione di spinte fuori piano che, se da un lato non sono quasi mai sufficienti a provocarne i meccanismi di ribaltamento, sono tuttavia la causa scatenante di accumuli di acqua in prossimità degli intradossi fondali, in grado di innescarne, ancora una volta, eventuali processi di scivolamento delle masse murarie che vi appoggiano. Ulteriori situazioni di dissesto sono quelle dovute all’azione infestante di elementi arborei, anche di grande dimensione, conseguenza di lunghi periodi di incuria manutentiva e di attenzione, in grado di insinuarsi all’interno dei paramenti e dei sacchi murari e di spostare in modo del tutto anomalo e casuale intere porzioni di muratura. Gli spostamenti e le dislocazioni di tali porzioni murarie divengono, in seguito, possibili cause di dissesto o perfino di crollo di altri elementi costruttivi, ad esse adiacenti o ad esse strettamente collegati attraverso vincoli di appoggio o di imposta, come ad esempio nel caso di strutture voltate poste a copertura di cunicoli, gallerie o più in generale passaggi, camminamenti e vani in parte o totalmente ipogei. La caratteristica prevalente dei fenomeni di disseto sopra sintetizzati è quella di offrire due alternative possibili: la prima è quella che si caratterizza attraverso l’assunzione di nuovi assetti statici di parti di struttura muraria, a loro volta stabili e duraturi, quasi cristallizzati in nuove configurazioni di equilibrio; la seconda, assai meno frequente, del crollo di parti circoscritte dell’ossatura muraria, crollo spesso istantaneo e anch’esso conclusivo e definito nel tempo rispetto a un nuove situazioni di equilibrio, per nulla caratterizzate, con riferimento alle porzioni ancora stabili, da quadri fessurativi che presentino a loro volta, al di là del proprio manifestarsi, una qualche progressione evolutiva.


interventi per consolidamento strutturale del bastione del soccorso e del bastione del belvedere • giacomo tempesta

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la fortezza di arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento • a cura di maurizio de vita

Bastione del Belvedere. Fasi dell’intervento di consolidamento.

Si potrebbe affermare come l’aspetto dinamico, o per lo meno progressivo, dei fenomeni di instabilità caratteristico delle strutture murarie di altra tipologia mal si coniughi con la casistica di dissesto dei grandi apparati murari di perimetro dei manufatti architettonici adibiti a fortificazioni, assumendo invece nel caso di quest’ultimi un carattere molto più simile al concetto meccanico di un equilibrio ‘indifferente’, ovvero di un equilibrio che accetta e compensa l’azione perturbativa con nuovi assetti stabili della struttura ‘effettivamente resistente’, che ne bloccano definitivamente la configurazione all’instante immediatamente successivo all’evento che ne ha provocato il dissesto. Dal ragionamento esposto scaturisce come conseguenza un preciso atteggiamento da tenere nei confronti delle tecniche di intervento consolidativo in presenza di manufatti di questa natura, un atteggiamento che fonda la sua coerenza nel fatto che non occorra in questi casi ‘rinforzare’, quanto invece ‘stabilizzare’ o, al massimo, ‘ricucire’, quando questo sia ritenuto necessario, al fine di ricostruire una continuità materica e strutturale ritenuta imprescindibile per la ricomposizione di una configurazione di equilibrio stabile nel tempo, tutto ciò pur accettando la presenza di ferite o cicatrici ormai non più pericolose. Gli interventi di consolidamento strutturale descritti in questa nota si riferiscono ai due bastioni della Fortezza di Arezzo, quello del Soccorso e quello del Belvedere. Ambedue i casi presentano una situazione di crollo delle porzioni murarie prossime agli sproni murari angolari. I crolli non sono dovuti a cause riconducibili ai consueti meccanismi di dissesto dei fronti murari: ambedue furono infatti semplicemente minati dalle truppe francesi nei primi anni del XIX secolo. È possibile osservare tuttavia come nel caso del Bastione del Soccorso l’azione dello scoppio, avendo interessato un’area più ristretta, dislocata quasi in punta, sulla parte curva del perimetro murario, abbia prodotto il totale disgregamento della muratura, provocandone la rovina a valle sotto forma di detriti totalmente decoesi. Una porzione di terreno, a monte del fronte murario, accumulatosi sopra strutture murarie sottostanti è stato negli anni contenuta attraverso la costruzione di un setto murario ‘di fortuna’ che, pur in precarie condizione di stabilità, ha comunque evitato che essa franasse.


interventi per consolidamento strutturale del bastione del soccorso e del bastione del belvedere • giacomo tempesta

Bastione del Soccorso. Fronte laterale

Nel caso invece del Bastione del Belvedere l’azione dello scoppio ha provocato il venir meno della base di appoggio del fronte murario che, fratturatosi in grandi porzioni al loro interno ancora compatte e consistenti, ha fatto sì che quest’ultime si adagiassero, scivolando verso valle, continuando ad appoggiarsi l’un l’altra lungo grandi squarci fratturati. La lettura dei due dissesti porta a due diverse interpretazioni del grado di vulnerabilità successiva al medesimo evento che li ha provocati. Il Bastione del Belvedere all’indomani del crollo ha trovato, nella dislocazione cinematica delle grandi porzioni di muratura, una nuova configurazione di equilibrio stabile basata su azioni di mutuo contrasto e sulla presenza di enormi forze di attrito che di fatto ne hanno impedito una progressione del dissesto. Il Bastione del Soccorso al contrario, nella sua nuova configurazione, vuoi anche per la presenza di strutture retrostanti prevalentemente voltate e caratterizzate da azioni spingenti, ha trovato un punto di equilibrio decisamente più instabile, a sua volta causa della progressiva comparsa di una tipologia di fratture che, per andamento e posizione, hanno subito messo in evidenza una maggiore e chiara vulnerabilità del manufatto. Alle due letture ed alle conseguenti analisi hanno fatto seguito due proposte di intervento sostanzialmente diverse. Per il Bastione del Belvedere è stato adottato un intervento, apparentemente atipico, che avesse il chiaro intento di cristallizzare la situazione di equilibrio nella configurazione ormai assunta dalla struttura. Tale scelta è anche sembrata in linea sia con una corretta filosofia di restauro quanto con una interpretazione che non nascondesse la drammaticità dell’evento a monte del crollo. Un cordolo di fondazione come appoggio sicuro ha consentito la ricostruzione ‘riconoscibile’ di parti murarie posizionate in modo da non consentire futuri traslazioni delle masse murarie. Per le porzioni più in alto, con il medesimo scopo, sono state approntate mensole di appoggio in profili metallici unitamente a tirantature di contenimento.

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Bastione del Soccorso. Individuazione schematica del quadro fessurativo.

Nel caso del Bastione del Soccorso l’intervento si è sviluppato su tre fronti distinti: - le porzioni murarie localizzate parte destra inferiore della parete, dislocatesi attraverso cinematismi di rotazione e di ribaltamento, sono state ricucite attraverso un sistema di tiranti inclinati secondo angolazioni ortogonali alla linea di frattura. Tiranti tipo B. - L’intero fronte di parete è stato quindi ricollegato longitudinalmente, in una sorta di precompressione leggera, mediante tiranti lunghi circa 15 mt e dotati di capochiave ai due estremi che impediscano ogni futuro meccanismo di ribaltamento della parte più alta della muratura. La direzione orizzontale dei tiranti è perfettamente ortogonale alla linea di frattura verticale che si è inteso presidiare con tale intervento. Tiranti tipo A. - La consistenza traversale degli spessori murari è stata infine migliorata attraverso una cortina Bastione del Soccorso. Particolari costruttivi: capichiave. Bastione del Soccorso. Schema tirante tipo B

di tiranti trasversali, anch’essi provvisti di capochiave ai due estremi. In questo caso l’intervento ha interessato l’ampia porzione di muratura posta in corrispondenza delle strutture retrostanti a prevalente tipologia voltata. Tiranti tipo C.


interventi per consolidamento strutturale del bastione del soccorso e del bastione del belvedere • giacomo tempesta

Bastione del Soccorso. Schema degli interventi di consolidamento mediante tiranti. Bastione del Soccorso. Schema tirante tipo A Bastione del Soccorso. Schema tirante tipo C

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i restauri specialistici del paramento murario Tommaso Sensini

“Imperò... è di necessità l’arte, l’intelligenza e il giudicio di coloro che lavorano. E questo fa discernere ... da quegli che sanno a quei che manco sanno” Giorgio Vasari

Una premessa ai restauri specialistici Il progetto di restauro di un edificio antico, che sia semplicemente descrittivo oppure corredato da un importante apparato di rilievi e documentazione, per quanto tenda a prevedere ogni azione in base all’analisi e osservazione dell’oggetto e per quanta esperienza e conoscenza possa vantare il gruppo che lo redige non può non contemplare l’eventualità o piuttosto la certezza di dover essere perfezionato in corso d’opera. La diagnostica di dettaglio è sempre utile per la effettiva conoscenza dell’oggetto e per definire le strategie di intervento ma raramente è veramente preliminare; molte prove non possono essere effettuate se non ad allestimento completo del cantiere, che nel caso di specie non era di semplicissima e immediata realizzazione. L’osservazione ravvicinata del paramento appariva complicata dalla presenza di vaste zone coperte da piante o parzialmente crollate. L’intero perimetro delle mura, in esterno, non era percorribile per impedimenti di varia natura quali aree private, crolli, boscaglie a ridosso delle mura. L’accurato lavoro di rilievo aveva ovviato a molti di questi problemi pur tuttavia eravamo tutti consapevoli che solo a ponteggi montati e dopo una prima sommaria pulitura la situazione sarebbe potuta apparire più chiara. Dopo i sopralluoghi, l’analisi del progetto e dei computi e nei diversi incontri tra committenza, progettisti, Soprintendenza, si sono approvate le scelte operative, individuate le aree per le prove ed elaborato il cronoprogramma. A luglio 2009 la superficie del paramento è stata analizzata tramite piattaforma aerea e sono state eseguite le prime prove per la pulitura ed il lavoro, iniziato a settembre 2009 è terminato a settembre 2011 dopo aver interessato un totale di circa ottomilacinquecento metri quadrati su un perimetro di oltre seicentocinquanta metri, per un’altezza da nove a quindici metri. Il dialogo costante tra i diversi attori impegnati nel processo ha contribuito ad approfondire le conoscenze e migliorare l’operato, adattando le metodologie alle specifiche casistiche che si prospettavano e alle diverse condizioni delle superfici. Operare direttamente sulla muratura ci ha permesso di ottenere interessanti e fondamentali informazioni che sono state condivise e hanno contribuito a comprendere vicissitudini dell’edificio e dell’area e confidiamo che questo intervento abbia migliorato conoscenza e mantenimento valorizzando la

pagina a fronte Arezzo, Palazzo Comunale. Particolare dell’affresco raffigurante “SS. Donato e Stefano presentano Arezzo alla Madonna” Salvi Castellucci (1649)


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la fortezza di arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento • a cura di maurizio de vita

Cortina Ovest. Vista dal Belvedere con sullo sfondo il bastione della Spina. Prima del restauro. Cortina Nord Est. Termografia sovrapposta all’immagine della muratura dove si evidenzia, con la tonalità più scura, l’importante presenza di umidità soprattutto nella parte bassa Cortina Est. Vegetazione sulle murature e sul coronamento, soprattutto capperi e gladioli. Alveolizzazione dei mattoni, perdita di materiale, patine, colature

compagine muraria che circonda quella che non è più nemmeno acropoli, cassero, cittadella, fortezza ma cuore e radice della città di Arezzo1. Lo stato di conservazione delle mura della fortezza prima dei lavori di restauro La condizione conservativa del paramento esterno della Fortezza, aperto il cantiere, mostrava due principali forme di degrado a carattere macroscopico: la copertura dell’intera superficie da proliferazioni vegetali sia superiori sia inferiori e la dissestata condizione materica caratterizzata da erosione delle pietre, fratture e crolli parziali. Tra le proliferazioni biologiche si evidenziavano vaste colonie di licheni su tutti i fronti, spessi cuscinetti di muschi nelle aree esposte ai quadranti settentrionali, erbacee di ogni tipo insediate nelle sconnessioni tra le pietre e rampicanti che coprivano estese porzioni in diversi punti. Anche alberi di notevoli dimensioni fuoriuscivano dalle mura, radicati tra le pietre. I dissesti erano provocati dal carico proprio delle mura e da quello indotto dalle terre sovrastanti con lesioni e caduta di materiale; le radici delle piante avevano scardinato parti della muratura penetrando in profondità; l’azione di dilavamento ed imbibizione dell’acqua piovana era aggravata dalla presenza del riempimento interno in terra che, impregnandosi, bagnava la muratura sconnettendo le pietre e provocando colature dove prosperavano alghe e si formavano concrezioni argillitiche e calcitiche. Il degrado legato a gelività aveva provocato disgregazioni, fratture, scagliature e grave erosione con perdita di forma e materia. 1 I restauri specialistici del paramento esterno della Fortezza sono stati eseguiti da Studio Tre Tecnologia e Restauro di Tiziana Conti e Tommaso Sensini di Arezzo.


i restauri specialistici del paramento murario • tommaso sensini

Il degrado biologico: patologie ed interventi restaurativi Gli edifici posti in esterno sono sempre terreno fertile per varie forme vegetali superiori e inferiori e microorganismi che attecchiscono, deturpano e rovinano il substrato su cui proliferano, nel caso di specie pietre e malte che costituiscono la muratura. Per la Fortezza la conseguenza più vistosa era percettiva per la colorazione variopinta della superficie con differenziazioni dovute all’esposizione cardinale e per le piante e soprattutto le estese cascate di edere che occludevano la visione di vaste parti della cortina. Su alcuni fronti erano presenti vere e proprie “praterie”, ovunque parietarie, graminacee e numerose piante di capperi. Tra gli alberi che avevano radicato tra le pietre, con grave danno alle murature, fichi e ailanti e alcuni esemplari di robinia e carpino. Tra la vegetazione inferiore la specie risultata più diffusa sono stati i licheni, associazione tra un fungo che fornisce l’apparato che assorbe le sostanze nutritive dal substrato ed un’alga che consente la sintesi clorofilliana. Per riconoscere le numerose specie di licheni, discriminare tra muschi, alghe e muffe e mettere a punto la strategia migliore per la loro devitalizzazione sono state eseguite numerose analisi biologiche2. Sono stati individuati, grazie a queste, licheni foliosi decisamente gialli della specie Xanthoriama, crostosi bianchi e rossastri della specie Lecanora e Caloplaca e bruno nerastri della specie Placynthium Nigrum e Verrucaria Nigrescens, questi ultimi i più diffusi, deturpanti e tenaci. Sul bastione della Diacciaia erano presenti patine di colore brunastro ben inserite nella porosità della pietra, riconosciute all’analisi come muffe epilitiche, formazioni capaci di trattenere l’umidità. Occorre far presente che, se asportati meccanicamente, i licheni portano con se’ frammenti di roccia, per rimuoverli è necessario devitalizzarli e “ammorbidirli” con trattamenti successivi a base di acqua e biocida e facendo attenzione che la clorofilla rilasciata dalla parte algale non penetri nella pietra macchiandola. Per la determinazione del corretto biocida inoltre si è posta particolare attenzione alle questioni ambientali e di sicurezza sul lavoro unita a ottimizzazione ed efficacia del trattamento. A questo proposito si vuole qui ricordare che dal 2009 sono definitivamente al bando i prodotti contenenti metalli pesanti tra cui quelli a base di Stagno e si è optato per alternative efficaci con prodotti idrodispersibili a base di OIT (n-ottil-tiazolinone) e un sale di ammonio quaternario (Benzalconio 2

Gli esami biologici sono stati eseguiti da R&C di Altavilla Vicentina e ProArte di Noventa Vicentina.

Bastione della Spina. Vegetazione prativa sul fronte Sud Ovest del bastione Immagine al microscopio della sezione lucida di un frammento di pietra con insediate colonie di muffe e licheni. Si nota la parte algale interna al tallo e la profonda radicazione del lichene Cortine e Bastioni da Nord Est a Sud Est. Proliferazione lichenica varicolore che copre il totale della muratura

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la fortezza di arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento • a cura di maurizio de vita

Cloruro) per il trattamento preliminare e a solvente a base di OIT e iodio-propinil-butil-carbammato per quello finale3. L’applicazione di tali agenti biocidi è avvenuta a spruzzo con pompa manuale airless, in condizioni di bassa deriva lasciando agire qualche giorno per la migliore azione dei principi attivi. Le pietre delle cortine murarie della fortezza Per il riconoscimento della tipologia delle rocce utilizzate per la pietre, dei componenti delle malte, per le sequenze stratigrafiche e per individuare prodotti di degrado sono state eseguite analisi petrografiche in sezione sottile e luce polarizzata. Per la lettura stratigrafica ci si è avvalsi di sezioni lucide analizzate al microscopio ottico; per determinare le componenti minerali i campioni sono stati esaminati al microscopio elettronico (SEM) con sonde (EDS); per captare le frazioni organiche e di degrado è stato condotto esame della spettrofotometria all’Infrarosso (FTIR). La parte predominante delle rocce costitutive i conci del paramento esterno della Fortezza di Arezzo sono ascrivibili alle Arenarie specificatamente della Formazione del Macigno Toscano, roccia argillosa arenacea appartenenti alle Arenarie del Pratomagno e Falterona la cui colorazione giallastra è legata alla presenza di materiale limonitico argilloso.4 Nella Fortezza ogni tratto è diverso: porzioni orizzontali o verticali si differenziano per tessitura, pezzatura e finitura; all’interno di singoli tratti persistono parti che evidentemente afferiscono a fasi storiche e costruttive diverse come della cortina Nord Est, verso il bastione del Soccorso, dove la tessitura incerta e male assortita diviene improvvisamente un ordinato rivestimento isodomo con finitura subbiata verticale. Ancora sul lato Sud è palese la ricongiunzione fatta con una muratura di tutt’altra tipologia alcuni metri prima del bastione del Belvedere, con tanto di cordolo sommitale che curva a chiudere. La maggiore presenza costitutiva del paramento la detiene il Macigno, la così detta pietra da macine, ruvida, lavorabile ed a tessitura omogenea sia giallo ambrata, per la presenza di ossidi ferrosi, sia grigioazzurognola per la presenza di altri ossidi e miche, quest’ultime responsabili di un progressivo e inesorabile sfaldamento. Le caratteristiche delle diverse pietre erano ben note ai costruttori dell’epoca. Giorgio Vasari (1511 1574) nel proemio alle “Vite...” cita la pietra forte “Cavasi per diversi luoghi la pietra forte, la qual regge all’acqua, al sole, al ghiaccio et a ogni tormento...” infatti precisa “… si può vedere in Fiorenza… di questa pietra… molte statue et arme, come intorno alla Fortezza… Questa ha colore alquanto gialliccio...” di contro ricorda “... quella ch’egli chiamano pietra serena… trae in azzurrigno o vero tinta di bigio, della quale n’è ad Arezzo cave in più luoghi... Questa sorte di pietra è bellissima a vedere, ma dove sia umi-

Borgioli, De Comelli, Pressi, su «Progetto Restauro», n. 37, ed. il Prato, 2006 Le analisi petrografiche, termografiche, microchimiche e la caratterizzazione delle malte sono state eseguite da ProArte di Noventa Vicentina. 3 4


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Bastione interrato. Le cospicue tracce di intonaco sul bastione rinvenuto in seguito agli scavi

dità e vi piova su o abbia ghiacciati addosso, si logora e si sfalda”5. Se la presenza del Macigno è più che scontata in quest’area geografica, già le arenarie del Cervarola, formazione prevalentemente marnosa, rinvenute in un solo fronte e in filari ordinati quanto lì privi di ragione, indicano la provenienza più che probabile dalle precedenti costruzioni della cittadella medioevale fatta radere al suolo dai fiorentini per erigervi la Fortezza che dovevano essere, vista l’ottima conciatura, non di secondaria importanza; la presenza di tale litotipo è affatto secondaria nei dintorni di Arezzo e nella stessa collina su cui giace il centro storico. Oltre alle diverse famiglie di arenarie, che rappresentano più dell’80 % della tipologia delle pietre apparivano presenti, ma meno numerosi, i calcari talvolta diagenicamente immaturi e quindi oggi frantumati, le marne, le argille anche dalle forme tormentate, rari travertini anche di recupero, più frequenti i laterizi sia a riempimento che, meno spesso, come corsi regolarizzatori dei piani. Abbiamo rinvenuto anche alcuni tartari, un elemento di pietra lavica o altro residuo vetrificato, uno di granito dell’Elba. Non emerge un ordine unitario nell’edificazione che appare a volte organizzata e seguire dei canoni precisi, come per i due bastioni più antichi della Chiesa e del Soccorso, mentre in altre parti è caratterizzata dall’utilizzazione di ciò che si trovava già sul posto, compresi conci di costruzioni precedenti come soglie con predisposizione di cardini, stipiti trecenteschi ben lavorati, lastre varie, rocchi di colonne il tutto montato a riempimento caotico e rintuzzato da scaglie e pezzame vario. È probabile che fosse prevista un’intonacatura di tutta la superficie sia per occultare la disomogeneità della muratura sia per regolarizzarla e proteggerla come la superficie del bastione rinvenuto interrato coperta da uno spesso e tenace strato di malta di colore chiaro. Nell’affresco di Salvi Castellucci (1608 - 1672) nell’atrio del palazzo comunale di Arezzo, si vede peraltro il profilo della città con il tratto di mura medicee, intervallate dai baluardi e dalle garitte, di tono chiaro e uniforme.

5 Giorgio Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, 1550 e 1568, a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, Firenze S.P.E.S., già Sansoni, 1966-1987. su www.memofonte.it (consultato 2020)

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Le calci e le sabbie Particolare attenzione è stata destinata allo studio degli impasti condotta su decine di campioni per stabilire tipologia della calce, natura delle cariche, rapporto legante / inerti, curva granulometrica e per intercettare la presenza di tinteggi e colori. Le malte del paramento esterno sono risultate a base di calce aerea o miste aerea/idraulica mentre numerosi campioni prelevati dall’interno del “sacco” erano a base di sola calce idraulica; gli inerti apparivano rappresentati da sabbia di fiume ed attraverso la lettura litologica se ne è potuta individuare la provenienza dall’alveo dell’Arno; rari ma sempre presenti i frammenti calcarei ed il cocciopesto, sporadico il rinvenimento di particelle da rocce basico silicatiche di origine magmatica. La caratterizzazione6 media della malta restituisce un impasto di colore nocciola, mediamente tenace e coesivo; granulometria da 0,06 a 4,0 mm; il conglomerato risulta moderatamente classato, frammenti da spigolosi ad arrotondati, superficie da liscia ad abrasa e distribuzione omogenea. La porosità primaria e secondaria era del 20% con vacuità irregolari da parte del legante e rare microfessurazioni; la struttura abbastanza omogenea con qualche calcinarolo. Il legante era caratterizzato da calce aerea carbonatata, l’aggregato prevalentemente sabbia costituita per oltre il 40% di quarzo mono e policristallino (Silice); 21% di frammenti di arenarie quarzose a cemento calcareo (sabbia da rocce di formazione macigno); 15% di feldspati; 11% particelle fini di tipo limonitico ed ematitico; 8% frammenti di mattone, 4% calcari sparitici. Un prelievo in profondità della malta del sacco nel bastione del Soccorso ha rilevato la presenza della calce idraulica giustificata dall’esigenza di conferire al calcestruzzo la resistenza necessaria ad una costruzione militare. Nella trattatistica specificatamente riferita all’architettura fortificata si fa riferimento a calci definite forti, morette, selvatiche e si attribuiva la reazione idraulica alla presenza di impurità argillose; Francesco di Giorgio Martini (1456 -1502) scrive che “una natura di pietra bigia in Toscana detta Albazzano, della quale si fa calcina che in luogo umido fa miglior presa di tutte le altre, di grandissima tenacità ed è di colore di cenere”7, descrivendo cioè la roccia ancora oggi definita Albazzana o Alberese, calcare marnoso che sottoposto a cottura fornisce calci idrauliche e che viene colta in Toscana nei dintorni di Firenze sul monte Morello, sui monti della Calvana, a Scandicci, a Calenzano. Il tipo di roccia non è raro anche in altre parti della regione, nel bacino dell’Arno, in Casentino e nel territorio di Arezzo. La stessa è chiamata anche Galestro ma questa definizione è talvolta utilizzata per le formazioni di Scaglia toscana o sequenze stratificate di argille. Nel fronte Sud, nella porzione centrale, in alto e quindi in un tratto che si discosta da altri per tessitura e tipologia del cornicione, anche la malta di allettamento è risultata contenere calce idraulica e tra gli 6 Caratterizzazione secondo le norme UNI-NORMAL 12/83. Gi esami sono stati condotti da Proarte di Noventa Vicentina, Opificio della Bioaedilitia di Bondeno, Studio Tre di Arezzo 7 Francesco di Giorgio Martini Trattati di architettura ingegneria e arte militare, Ed. Torino, 1841, su https://books.google.it (consultato 2020)


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inerti pietra basica di origine vulcanica, presente in zona esclusivamente nelle ofioliti dei Monti Rognosi, vicino Anghiari e in misura minore nei ciottoli del Maspino alle porte di Arezzo. Sulla cortina Sud Est, in prossimità del bastione del Soccorso già durante la ricognizione ravvicinata eseguita tramite piattaforma aerea, erano stati individuati frammenti di malta che mostravano tracce di una tinta chiara di tono ocraceo; la sequenza stratigrafica ha mostrato due stesure in cui la prima è un intonachino composto da calce aerea e sabbia di fiume e calcarea di colore bianco per una base luminosa, la seconda mostra dispersi in una matrice subtrasparente minuti cristalli di colore giallo. L’esame all’infrarosso ha registrato la presenza di grosse quantità di carbonato di calcio (calce e calcare) e discrete concentrazioni di silicati (ocre) mentre non si sono evidenziati prodotti di natura organica né di degrado. Si tratta di uno strato sottile da 20 a 80 micron di pittura a calce applicata poco densa in un’unica stesura e senza aggiunta di colle o oli. Data l’intima compenetrazione tra pittura e intonaco la stesura ha subito una carbonatazione simile a quella che si innesca con la tecnica dell’affresco secondo la formula ((CaOH)2 + Pigmento) + CO2 → (CaCO3 + Pigmento) + H2O. Questa parte del paramento ha dunque avuto in origine, o a un certo punto in un tempo non recente, una tinteggiatura di colore giallo luminoso! Gli interventi di restauro Prima di avviare i lavori su ciascun fronte, coi ponteggi montati, si è sempre proceduto all’osservazione ravvicinata così da analizzare e mappare puntualmente le zone ove eseguire le varie lavorazioni. L’intero parato è stato fotografato da vicino e, quando necessario, sulle singole pietre è stato apposto un segno delebile che ricordasse l’operazione da eseguirsi. Questo approccio ha permesso di “toccare con mano” l’intera superficie, analizzare da ogni punto di vista ciascun elemento e formarsi una mappa mentale per l’esatta conoscenza della condizione e la prefigurazione delle operazioni da svolgere. Per le malte sono state effettuate numerose formulazioni e campionature per determinare la corrispondenza del composto e le modalità di applicazione con particolare riguardo a colore, profondità e superficie; per le pietre da integrare sono state utilizzate innanzitutto quelle di recupero e poi con l’acquisizione di campioni di diverse cave le prove di lavorazione e patinatura si sono scelte quelle di nuova fornitura.

Sezione sottile a luce polarizzata di un campione di malta di allettamento Cortina Sud. Frammento di intonaco di colore chiaro con residui di tinteggio di tonalità giallo intensa

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Cortina Nord. Pulitura localizzata per la rimozione delle patine più tenaci con prodotti specifici, spazzola, acqua nebulizzata Microstuccatura delle fratture e scagliature nella pietra con spatola e malta specificatamente composta

Dal punto di vista dell’organizzazione del personale i lavori hanno visto la presenza costante di un restauratore di Beni Culturali, un tecnico con funzione di capocantiere, due squadre di addetti alle lavorazioni. I lavori sono stati condotti ottenendo una media di circa tre mesi per tratto e con lavorazioni e squadre che interessavano due tratti in contemporanea. Inoltre la sequenza operativa è stata pianificata tenendo conto dell’esposizione cardinale dei fronti e delle stagioni poiché l’aspetto climatico ha un forte impatto su questo genere di lavori non solo per l’agio di chi lavora ma per le conseguenze sui prodotti che sono sensibili all’escursione termica: carbonatazione di malte e tinteggi, reazione di silicati e resine richiedono temperature e umidità non estreme; occorre evitare situazioni di eccessivo irraggiamento solare o pioggia battente evita di danneggiare quanto realizzato. La prima cortina affrontata è stata quella Nord Est prospiciente il Cimitero urbano perché, oltre che più defilata, lunga quasi cento metri presentava una variegata casistica di materiali e degrado. Inoltre la contiguità con il bastione del Soccorso, più antico e parzialmente crollato, con quello della Diacciaia restaurato alcuni anni e stante la presenza della porta del Soccorso e di molte zone lacunose ne facevano un’eccellente palestra per mettere a segno ogni singola tipologia di intervento. Dopo numerose prove e messe a punto, nei sopralluoghi congiunti tra committenza, direzione lavori, Soprintendenza e restauratori si è giunti a determinare la corretta metodologia. Essendo presenti sporco, patine, proliferazioni biologiche di diversa natura e tenacità la pulitura è stata affrontata in più momenti: diserbo manuale e asportazione delle specie infestanti come edere e piante che a volte hanno richiesto lo smontaggio parziale della muratura; pulitura preliminare a secco, con spatole, spazzole e pennelli per la rimozione dei depositi incoerenti come terriccio e guano; pulitura generalizzata e rimozione delle patine biologiche devitalizzate ad acqua tramite idropulitura a freddo, utilizzando una macchina a pressione regolabile e frazionamento del getto tramite ugello rotante; nelle parti che mostravano ancora tracce da rimuovere, pulitura localizzata con prodotti basico solventi, spazzola di saggina e ulteriore risciacquo con acqua nebulizzata; sulle lapidi marmoree e stemmi di pietra per eliminare patine e croste, impacchi di soluzioni basico solventi e accurati risciacqui successivi con acqua deionizzata; per rimuovere stuccature ed elementi incongrui scalpello e martello. A parte rari casi di preconsolidamento, dove la pietra era così rovinata da non consentire alcuna ope-


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razione, il consolidamento di fratture e scagliature è avvenuto dopo la pulitura con applicazione o iniezione di malta fluida di calce idraulica naturale e inerti silicei micronizzati; i sollevamenti e distacchi sono stati fissati con ponti di malta adesiva composta da calce, silice e resina acrilica e ancorate al nucleo sano con l’inserimento di perni in vetroresina fissati con resina epossidica bicomponente. Per gli elementi di maggior peso, come lo scudo dello stemma posto sulla Spina, l’ancoraggio è avvenuto con l’inserimento di barre di acciaio in profondità fissate con adesivo vinilestere. In un caso, in corrispondenza della porta del soccorso con la pietra, di composizione fortemente micacea, quasi irrimediabilmente disgregata, si è ricorsi al consolidamento con estere etilico dell’acido silicico (Etile silicato), un prodotto che possiede buone capacità di penetrazione e che, nell’evaporazione dell’alcol etilico che si forma per reazione con l’acqua naturalmente presente nella pietra, precipita silice che rinforza la pietra secondo la reazione Si(OEt)4 + 4H2O → SI(OH)4 + 4EtOH. Questo prodotto deve essere applicato in più mani, bagnato su bagnato e fino a rifiuto per raggiungere il nucleo sano della pietra, evitando ristagni e colature e rimuovendo accuratamente gli eccessi che provocano macchie; il trattamento deve avvenire con temperature tra 15 e 30°C e Umidità Relativa non superiore a 60%, la pietra non deve essere umida per evitare cristallizzazioni in superficie. Per impedire che attraverso fratture e scagliature l’acqua piovana penetri nella muratura innescando processi di degrado progressivi, si è proceduto alla loro sigillatura (microstuccatura) che oltre a limitare la penetrazione dell’acqua rappresenta un’eccellente espediente estetico poiché attenua fortemente la percezione del degrado. Per la sua esecuzione è stato predisposto uno stucco a calce con granulometria e tonalità affini alla pietra caricata con una minima percentuale di resina acrilica, applicata con spatola con particolare accuratezza per pulizia e lavorazione. Nel restauro, alla perdita e mancanza di parti o elementi si ovvia con l’integrazione, che può essere materica o cromatica e che ne rappresenta la fase estetica; nel caso del paramento della Fortezza è stata relativa alla malta tra i conci e ad alcuni elementi lapidei mancanti o così rovinati da dover essere rimpiazzati. La malta è stata integrata dove mancante, consolidando il materiale incoerente con un primo riempimento con la medesima malta più fluida, raggiungendo poi il livello originale, adeguando la superficie

Bastione della Chiesa. Restauro ultimato del paramento e dei cordoli Campione della malta riprodotta posta in opera per la verifica finale di colore, aspetto, finitura

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e pulendo da tutti gli eccessi. In quanto non invasiva questa procedura limita azioni distruttive sull’oggetto, rispetta al massimo quanto pervenuto e minimizza l’uso del materiale e d’altro canto richiede una malta confezionata con cura e una tecnica applicativa puntuale e precisa. Gli studi sulle malte, oltre che interessanti per la conoscenza di tecnologia e pratica costruttiva dell’epoca e a volte utili per discriminare momenti costruttivi diversi, sono stati il fondamento per la formulazione del prodotto per il restauro. Sono state scartate le malte preconfezionate perché non rispondenti ai criteri prefissati ed è stata valutata l’opportunità di preparare il prodotto in cantiere, scegliendo e mescolando direttamente i vari componenti ma si è infine deciso di avvalersi di un produttore col quale fosse possibile un completo e reciproco dialogo che realizzasse appositamente il prodotto8. La richiesta era una malta a base di sole calci naturali e inerti molto simile a quella originale; a presa idraulica, per raggiungere una resistenza simile a quanto oggi, dopo cinque secoli, ha quella esistente. La calce aerea infatti ha una resistenza iniziale alla compressione non superiore a 1,0 N/mm2 (circa 10 Kg/cm2) mentre la calce idraulica naturale (NHL, Natural Hydraulic Lime)9 a seconda della tipologia può raggiungere i 9 N/mm2 (circa 90 Kg/cm2); le malte composte con NHL sono quindi più resistenti e pur avendo un comportamento idraulico mantengono la permeabilità vapore poiché le impurità di Silice Allumina e Ferro (SAF) e in particolare la Silice presente nel calcare idrata formando Silicato bicalcico e la calce libera, Idrossido non legato coi silicati, carbonata in virtù dell’esposizione all’aria trasformandosi in Carbonato di Calcio (traspirante) secondo la formula bruta C2S e CaOH + 4H2O + CO2 → C2S4H2O e CaCO3. L’inerte, che rappresenta lo scheletro del composto, in coerenza con quanto emerso dall’analisi di quella originale, lo volevamo di origine fluviale, a giusta curva granulometrica, lavato per depurarlo da frazione micrometrica e impurità organiche. Scartate quelle già utilizzate dal produttore non adatte per colore sono state usate sabbie provenienti dal Valdarno, da giacimenti tra Quarata e S. Giovanni, ad alto tenore di silice resistenti e insolubili, con granulo arrotondato e poco scheggiato che facilita lavorabilità e costipazione. Per accelerare l’inizio della presa è stata introdotta una minima percentuale di pozzolana naturale micronizzata, di colore rosso e giallo per contribuire al colore dell’impasto e, per adeguare l’aspetto alla malta originale, è stata aggiunta una frazione di cocciopesto e sabbia policroma con granuli fino a 7 mm; tuttavia nei diversi fronti è stato sempre necessario un adeguamento della cromia ottenuto aggiungendo di volta in volta pigmenti minerali naturali. Dove la mancanza era profonda ed era necessario uno spessore cospicuo si è proceduto a un riempimento parziale con frammenti di pietra o laterizio, 8 Opificio della Bioaedilitia di Bondeno (FE) con la quale si è avviata una collaborazione con sopralluoghi dei tecnici sul posto e visite agli impianti, definizione dei componenti, campionamenti per la definizione del prodotto, certificato, marcato “Fortezza di Arezzo”. 9 Le caratteristiche delle calci sono contenute nella Norma UNI EN 459-1:2010


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oppure si è caricata la malta con granulato di pomice naturale proveniente dalle cave di Pitigliano. Per l’integrazione delle pietre sono state utilizzate sia quelle di recupero crollate o reperite erratiche all’interno del monumento, sia di nuove, selezionate in base a criteri di natura, consistenza, grana, colore. Nel caso del cordolo sommitale del bastione del Belvedere gli elementi mancanti sono stati realizzati in arenaria bigia subbiata in superficie. Alcune lastre di rivestimento del lato nord est del bastione del Soccorso sono state integrate con una pietra serena di Firenzuola, fiammata sul posto per renderne scabra la superficie e quindi patinata. Per il marcapiano della cortina Nord Est, in parte caduto, la scelta è ricaduta su un tipo di calcarenite umbra a cemento carbonatico e matrice calcareo silicea di tono chiaro poi patinata, il profilo non è stato riprodotto ma si è proposta una lavorazione a subbia, eseguita sul posto e sottolivello. Per tutte le pietre oggetto di scuci cuci o per parti totalmente da ricostruire si è provveduto, oltre alla cernita e alla posa in opera rispettando piani e livelli delle parti contigue, alla lavorazione manuale di spigoli e superficie e all’adeguamento cromatico. L’ultima fase del restauro è rappresentata dal trattamento finale che è somma di più applicazioni: velatura, biocida, protettivo. La velatura, necessaria solo per quelle parti oggetto di parziale ricostruzione o sostituzione di elementi o fortemente dissonanti col contesto, è stata condotta con pigmenti minerali naturali in caseato di cal-

Cortina Ovest. Velatura per adeguamento cromatico delle pietre sostituite Bastione del Soccorso. Lavorazione superficiale e patinatura delle lastre integrate Bastione Belvedere. Lastre del rivestimento sconnesse e distaccate Bastione della Spina. Particolare in corrispondenza di vecchie aperture sul lato Sud Ovest del bastione

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cio oppure quando possibile si è disperso il colore direttamente nel protettivo finale; i pigmenti utilizzati sono stati ocra, terra di Siena naturale e bruciata, terra d’ombra naturale, terra verde, nero di Roma. Per il protettivo si è optato per un prodotto a base di copolimeri silossanici acrilati a bassa tossicità, che oltre che una funzione idrofobizzante, consolida moderatamente la superficie; al protettivo è stato aggiunto il biocida come deterrente a rapide proliferazioni. Nelle sole lapidi di marmo, il protettivo è stato sostituito da un’emulsione acquosa di cera microcristallina, più indicata per le pietre carbonatiche. Cortina Est e Bastione della Chiesa. Lavori quasi ultimati e finiture in fase di smontaggio dei ponteggi Cortina Ovest. Particolare con la parte a destra a lavori ultimati, a sinistra una porzione ricostruita con le pietre della stessa pezzatura dell’originale, al centro il paramento ancora da restaurare Bastione del Soccorso. Particolare della parte sommitale con parziale ricostruzione, integrazione dei mattoni, patinature

Lungo l’intero perimetro le diverse parti del paramento presentano caratteristiche differenti e oltre alla sequenza descritta è stato necessario adattarsi a condizioni presenti solo in determinate aree. Sul bastione del Soccorso la pietra a causa del montaggio contro verso delle lastre, più soggette a laminazione e distacco di scaglie, più numerosi sono stati gli ancoraggi, le iniezioni di malta fluida e più estesa la fermatura dei sollevamenti. Qui erano mancanti cospicue porzioni del coronamento in laterizio che è stato ricostruito secondo il profilo originale con elementi di nuova fornitura selezionati verificandone conformità meccanica e formale, stilando tra i mattoni con una malta realizzata specificatamente e provvedendo a una patinatura di adeguamento. Sulla cortina Sud Est, caratterizzata da una serie di archi di scarico a vista, le mancanze e le profonde erosioni dei mattoni, hanno richiesto di intervenire sia integrando i mattoni mancanti con elementi di recupero sia con parziali ricostruzioni, in malta a cocciopesto e armature interne in barre di vetroresina. Sul fronte Sud l’alveolizzazione eolica aveva prodotto incavi più o meno profondi sulla pietra, i mattoni e la malta e si è messa a punto una tecnica specifica definita collegialmente ed adattato il materiale per colmare parzialmente questi fori mantenendone la caratteristica ma impedendo che divenissero potenziali nidi e favorissero l’infiltrazione dell’acqua. In questa parte del perimetro sulla parte in alto a destra erano presenti cospicui lacerti intonacati che sono stati puliti, fermati lungo i margini, integrati e velati; nella parte in basso a sinistra che poggia sulla roccia della collina, un’argillite disposta a “frana poggio”, l’intero piede della muratura era “in falso” per l’erosione del terreno ed è stato ricostruito con pietre di nuova fornitura scelte per forma e dimensione per rispettare filari e pezzature originali e poi patinate. Nel bastione del Belvedere un trattamento specifico è stato riservato ai grossi blocchi crollati in conseguenza delle mine francesi dell’800 per mantenere la lettura delle conseguenze storiche mettendo però in sicurezza sia le parti potenzialmente instabili sia il paramento che in alcuni punti tendeva a staccarsi e precipitare. Le lastre staccate sono state fissate con malta e perni di acciaio, i blocchi sono stati rinforzati sostenendoli con elementi di calcestruzzo e muratura con una stuccatura a raso che distinguesse il ripristino dall’originale, la parte interna del sacco, dove instabile, è stata risarcita con pietrame e malta affine a quella originale e consolidata con l’inserimento di barre di vetroresina ad aderenza aumentata e malta fluida di calce idraulica.


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Sul bastione della Spina la parete a sud ovest, caratterizzata in parte da una pezzatura minuta e dalla presenza di alcune aperture tamponate, si è operato con particolare attenzione per mantenere l’aspetto come giunto a noi e denunciare, senza esasperarli, i profili delle aperture. La parete opposta del bastione, esposta a nord e con cospicue infiltrazioni d’acqua, era particolarmente interessata da alghe, oltre alla presenza massiccia di arbusti e felci ed è stata oggetto di più trattamenti di devitalizzazione. Il bastione della Diacciaia che era stato sottoposto a intervento nei primi anni novanta, non ha richiesto opere di consolidamento ma presentava la superficie completamente annerita da patine biologiche diverse dalle altre e la pulitura è stata condotta solo ad acqua. Sul lato dell’ingresso principale dove la flora autotrofa ed eterotrofa era particolarmente abbondante a causa dalla presenza delle piante ad alto fusto troppo vicine alla muratura che abbattono la circolazione d’aria, proiettano ombra sulla superficie, rilasciano pollini e prodotti di degrado, sia la pulitura sia il trattamento biocida sono stati adattati alla situazione. Prima di ogni smontaggio delle impalcature si è proceduto all’osservazione, per quanto possibile a distanza, per individuare eventuali difformità o disturbi e condotte le necessarie finiture quindi, puliti i piani del ponteggio e rimosse le polveri dalle pareti si è provveduto alla chiusura dei fori di ancoraggio. Ma nessun intervento di restauro per quanto condotto con le migliori tecniche e materiali può intendersi eterno: il materiale costituente ha un suo degrado irreversibile che il restauro deve tendere a che sia più lento possibile; la collocazione all’aperto sottopone le murature alle intemperie innanzitutto acqua, irraggiamento solare, gelo e poi all’inquinamento. Il particellato atmosferico che si deposita diviene nel tempo aggressivo per pietra e malte in quanto trattiene umidità e favorisce l’attecchimento di microflora che col loro metabolismo producono sostanze dannose oltre che deturpare l’aspetto. Prima o poi la vegetazione proverà a colonizzare le murature e gli animali vi cercheranno riparo; incidenti, eventi avversi o vandalismo possono rientrare tra quanto potrebbe causare o danneggiamento alle murature. I prodotti per il restauro, già reversibili per prassi, sono per propria natura degradabili, la resistenza dei materiali utilizzati non deve essere eccessiva per non trasformare l’originale nell’anello debole della catena, i protettivi non sono definitivamente risolutivi ma servono a migliorare la condizione e a procrastinare gli interventi successivi poiché le catene polimeriche degradano soprattutto per l’esposizione all’UV della luce; i principi attivi dei biocidi perdono efficacia quanto più sono chiamati a contrastare le ricrescite vegetali e la loro dispersione nel protettivo o la propria parte adesiva seguono il naturale degrado di questi componenti. Pertanto rientra, o dovrebbe rientrare, tra le fasi del restauro la manutenzione programmata; da prevedersi già in fase di progetto e di conto economico. Un periodo ragionevole di controllo periodico è ogni tre - cinque anni, in questo lasso di tempo i protet-


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tivi iniziano a degradarsi e perdere di efficacia mentre le piante eventualmente spuntate non avranno ancora un radicamento profondo. La mura della Fortezza non sono ovunque di agevole raggiungimento, occorre utilizzare una piattaforma aerea e / o intervenire con operatori su fune e potrebbe ravvisarsi anche lo stimolo a professionalità debitamente attrezzate anche con strumenti di osservazione di recente generazione per esplorare le murature per poi pulirle superficialmente, rimuovere le piante che vi avessero attecchito, rinnovare i trattamenti protettivi, eseguire piccole riparazioni. Tenere sotto osservazione l’oggetto permetterà anche di individuare tempestivamente eventuali criticità e la redazione di una scheda di ricognizione appositamente predisposta oltre che definire lo stato conservativo in quel momento, servirà per programmare nel tempo i lavori più necessari. Monitorare l’evolversi del degrado rappresenterà un eccellente strumento per verificare sia l’efficacia degli interventi, consentendone il miglioramento, sia per tracciare il naturale degradarsi delle superfici e delle strutture e ottenere informazioni preziose per progettisti e tecnici del futuro. Insieme a quanto emerso in occasione dell’intero restauro, tutte le notizie, le osservazioni e le scoperte contribuiranno a comprendere le vicissitudini dell’edificio e dell’area e a perfezionare le strategie di intervento, valorizzazione e gestione rendendo ancor più vero, se ve ne fosse bisogno, il concetto di Cesare Brandi che nella sua Teoria...10 (1963) asseriva “Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro”.

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Cesare Brandi, Teoria del restauro, VI, Einaudi 1977

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I ritrovamenti archeologici

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La Fortezza Medicea di Arezzo fu edificata alla metà del XVI secolo sul Colle di San Donato, sul

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quale, come sul vicino colle di San Pietro (ora sede del Duomo), in origine separati da una sella

veduta della Fortezza dall’alto

oggi non più percepibile per i successivi interri (zona del Prato), nacque e si sviluppò l’antica Arretium. Anche per l’eccezionale rilevanza storico-archeologica del luogo, dunque, nell’ambito dell’attuazione del progetto di recupero e riqualificazione della Fortezza Medicea di Arezzo promosso dall’Amministrazione comunale, l’allora Soprintendenza Archeologia della Toscana, successivamente Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo (settore Archeologia) ha proceduto al controllo di tutti i movimenti terra, effettuando saggi esplorativi preliminari e scavi stratigrafici in profondità e in estensione, che hanno portato alla scoperta, in particolare di due aree archeologiche monumentali, rispettivamente presso il bastione della Chiesa e nel settore tra il bastione del Soccorso e quello della Diacciaia1. Si fornisce in questa sede un sintetico resoconto dei risultati d’indagine fin qui raggiunti, essendo gli studi e la ricerca ancora in corso. Gli ampi movimenti terra condotti all’interno della Fortezza a ridosso delle mura perimetrali e dei bastioni, condotti con uso di mezzi meccanici e alcune verifiche e approfondimenti con interventi manuali, per i quali si è proceduto ad un attento controllo con costante assistenza archeologica, hanno messo in luce numerosi e importanti elementi strutturali che sono la testimonianza, nella diacronia, delle vicende storiche del sito. Tra questi almeno tre, meritano di essere ricordati. La prima evidenza è stata identificata di fronte al bastione della Spina, nella porzione sud ovest della Fortezza in cui sono stati messi in luce i resti di un bastione lobato parzialmente collassato. La sua presenza può essere riconducibile alla prima fase edilizia medicea degli inizi del XVI secolo, 1 L’assistenza alle indagini archeologiche e la redazione della documentazione sono di Hermann Salvadori; per l’intervento del 2008 di Ada Salvi; per alcuni interventi del giugno 2012 di Francesca Guidelli. L’assistenza e la documentazione per gli interventi archeoantropologici sono di Erika Albertini, la direzione scientifica di Silvia Vilucchi. Per la Soprintendenza, assistenza tecnica di Gianluca Scotti; interventi conservativi di Franco Cecchi; per il settore geologico Pasquino Pallecchi. Altri interventi conservativi di Nadia Barbi. Direzione Lavori di Maurizio De Vita, Mauro Senesi, Cristiana Lenti, Mauro Torelli. Impresa esecutrice dei lavori M.B.F. S.p.A. Esecuzione Laser Scanner GeoPos di Franco Peruzzi, elaborazioni di Noemi Secci. Le immagini sono del Ministero per i Beni e le Attività Cultuali e del Turismo


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Planimetria della Fortezza con indicazione delle due aree archeologiche

ovvero alla costruzione della fortezza di Giuliano e successivamente Antonio Da Sangallo il Vecchio iniziata nel 1503 e danneggiata dalle rivolte degli aretini intorno al 1530 (Tafi 1978, p. 267). Si deve, probabilmente, ai danneggiamenti riportati della struttura la scelta, nel 1534, di ripristinare e riedificare la Fortezza di Arezzo con la forma che vediamo ancora oggi. La seconda evidenza è localizzata nell’area corrispondente, all’incirca, con l’ingresso principale della fortezza. Sono stati riportati alla luce un bastione e un tratto di mura che per tecnica costruttiva sono riferibili al bassomedioevo. Particolarmente rilevante da un punto di vista interpretativo è la presenza di una cannoniera ricavata nel lato nord del bastione che confligge con le tecniche di guerra del bassomedioevo; non è escluso che anche in questa zona durante i rifacimenti dell’inizio del XVI secolo siano state sfruttate come fortificazione le strutture preesistenti applicando solo modifiche parziali. Tra il bastione del Soccorso, e il bastione della Diacciaia, è stata messa in luce una struttura muraria in pietre legate da malta con numerosi elementi di riutilizzo di età antica. La struttura ha andamento nord-sud, si conserva in elevato per circa m 1,20, ha uno spessore di m 1,80 ed è lunga circa m 12. La tecnica costruttiva e del paramento murario e i rapporti stratigrafici consentono di collocarla cronologicamente tra X e il XII secolo e rappresenta, insieme alla chiesa di San Donato in Cremona l’evidenza medievale più antica riportata alla luce. Nell’area antistante il bastione della Chiesa, con un primo saggio esplorativo eseguito nel 2008, dove la pianta redatta da Odoardo Warren del 17492 mostra il complesso della chiesa e dei suoi annessi, sono stati acquisiti i dati necessari per la progettazione dell’intervento archeologico in estensione e in profondità3. Cfr. Tafi A. 1978, Immagine di Arezzo, Arezzo, pp. 267-274, Andanti A. 1988, Le fortificazioni si Arezzo (secolo XIV-XVI), Arezzo. Cfr. Vilucchi S. 2009, Arezzo. Saggio archeologico esplorativo presso il Bastione della Chiesa della Fortezza Medicea, in Notiziario Toscana 5, 2009 [2010], pp. 284-285. 2 3


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Si è così verificato come almeno alcune delle strutture attinenti all’edificio (un ossario in mattoni del tipo “ad arca” voltato a botte, due silos granari e tre basi di pilastri), risultassero conservate alla profondità, rispetto alla quota di calpestio dell’area interna della Fortezza a quel momento, di circa m. 4,50. L’interro era costituito per più di m. 3 da materiale di risulta dell’enorme scasso praticato nell’area centrale della Fortezza negli anni ’60 del secolo scorso per la costruzione della grande cisterna idrica, che ha coperto il livello d’uso e di frequentazione dei primi del ‘900. Un limitato saggio in profondità ci ha rivelato inoltre la presenza di una stratigrafia sottostante che conservava resti ceramici di età etrusca arcaica (frammenti di bucchero e impasto, un frammento di kylix forse d’importazione) ed ellenistica (frammenti di ceramica a vernice nera). La chiesa di San Donato in Cremona è nota dalle fonti documentarie fin dal 10984, fu danneggiata irreparabilmente dai Francesi in ritirata nei primi anni dell’800 e successivamente abbattuta e obliterata. Dopo la rimozione del consistente interro su ricordato, partendo dalla quota di calpestio degli inizi del XX secolo, si è dato corso alle indagini archeologiche, svolte in più fasi a partire dal 2012, che hanno portato alla messa in luce della chiesa e all’individuazione (seppur ancora in forma parziale) delle varie fasi costruttive e di frequentazione del luogo. L’edificio, con orientamento est-ovest, presenta una lunghezza di circa m. 25 e una larghezza di m. 10; l’aula è divisa in tre navate da pilastri, di cui si sono rinvenuti i resti dei basamenti. Le mura perimetrali (spesse oltre m. 1) risultano costruite a sacco con il paramento in blocchi squadrati di calcare, la cui zona di approvvigionamento più prossima è identificabile nella collina di San Fabiano, posti in opera in modo orizzontale regolare, e sono conservati per un’altezza accertata di almeno m. 1,20. 4 Cfr. Pasqui U. 1937, Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medio Evo, R. Deputazione di Storia Patria Firenze, 1937, vol. III, p. 285.

Elementi strutturali identificati in fase di movimento terra

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Veduta dell’area archeologica della chiesa Ossario dell’angolo nord est con scala di accesso alla cripta Veduta della cripta

La facciata, così come i piani pavimentali (comprese le probabili lapidi funerarie presenti) della chiesa, sono stati demoliti e asportati contestualmente alle fasi di distruzione e rasatura dell’edificio. L’indagine ha rivelato la presenza, nell’angolo nord ovest e in quello sud ovest della chiesa, di due tagli di forma subcircolare interpretati come il risultato dell’attività di distruzione tramite la tecnica della mina5 effettuata dalle truppe francesi agli inizi dell’800. Gli approfondimenti di scavo hanno poi rivelato i resti della facciata, che risulta fortemente spoliata, con asportazione del materiale costruttivo lapideo fin quasi a livello della fondazione. Nelle navate, a confermare quanto riportato nella planimetria redatta dall’ing. Jacopo Gugliantini nel 18016 , sono presenti sette delle “nove buche per conservarvi il grano”, silos granari del tipo ‘a fiasco’ costruiti in mattoni legati da malta, intonacati all’interno, con imboccatura in pietra serena sagomata, che si apriva nel pavimento della chiesa, ultimo baluardo difensivo all’interno della Fortezza. Lo svuotamento e il successivo consolidamento di uno dei silos ha permesso di constatare che il manufatto era stato messo in opera contro terra: il riempimento costituito per lo più da macerie, ha restituito un capitello in pietra serena probabilmente relativo agli elevati interni dell’aula. Ad est le navate sono chiuse dal muro nord-sud del presbiterio, che doveva essere rialzato, come indica la presenza di due gradini (cfr infra). Nella navata destra, appoggiato al muro perimetrale sud della chiesa è stato messo in luce e documentato l’ossario visto nel 2008, che si presenta come una struttura di forma rettangolare di m. 2,70x 2,15, realizzata in laterizi e coperto da volta a botte: la struttura, realizzata sicuramente dopo il 1801, dovette comportare l’asportazione dei silos presenti. Nell’angolo nord est dell’aula, tra il muro perimetrale nord e il muro presbiteriale, è risultato presente un ossario realizzato dopo la tamponatura della porta nord di accesso alla cripta (cfr infra), e utilizzando lo spazio, perimetrato sul lato sud da una spalletta in pietra, della scala in pietra che scendeva verso la porta citata. Cfr. Rupi P.L. 1998, La Fortezza Medicea di Arezzo, Prato, 1998, p.66. Cfr. Archivio di Stato di Firenze, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi, in Giustini M. 2013, S. Donato in Cremona: chiesa madre di Arezzo?, in «Notizie di Storia», n. 29, Anno XV, Giugno 2013, p. 5 fig. 2 5 6


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All’angolo opposto dell’aula, tra il muro perimetrale sud e il muro presbiteriale, è stata identificata un’apertura che consente di accedere, attraverso una sorta di ‘corridoio’, a una struttura di forma quadrangolare (m. 0,80 x 0,80). Il corridoio è dotato di un pavimento a mezzane disposte secondo un modulo (la fascia centrale è disposta in orizzontale e quelle laterali verticalmente) a cui si accede attraverso uno scalino. L’approfondimento di scavo ha consentito di identificare la struttura come un punto di attingitura dell’acqua dalla chiesa, da collegare con la cisterna/pozzo presente nella cripta (cfr infra). Una porzione dell’elevato dell’abside semicircolare, costruita in blocchi squadrati di calcare, è risultata inglobata nel muro perimetrale della Fortezza cinquecentesca. Il settore orientale della chiesa, tra il muro presbiteriale e l’abside, ha rivelato la presenza di consistenti macerie edilizie , la cui asportazione ha consentito di portare in luce la cripta sottostante, non nota né documentata in precedenza. La cripta, perfettamente conservata per un’altezza di più di m. 4, fino all’attacco delle volte a crociera distrutte al momento dell’abbattimento della chiesa agli inizi del XIX secolo, di forma quadrangolare, ha una superficie di circa mq. 67 e presenta sul lato est un’abside quadrangolare. L’ambiente conserva gran parte del piano pavimentale in lastre irregolari di pietra serena con qualche frammento di laterizio; nella zona absidale sono stati identificati due lacerti di pavimentazione in cocciopesto. La cripta conservava in situ nella zona centrale due colonne probabilmente in parte di riutilizzo da edifici di età romana: quella nord in pietra serena su base quadrangolare in pietra i cui angoli sono decorati con motivi vegetali stilizzati, quella sud di granito con base modanata di marmo (per rinvenimento di elementi architettonici analoghi in Fortezza7 .

Guidoni G. 1996, Arezzo. La Fortezza, in Un quinquennio di attività della Soprintendenza Archeologica per la Toscana nel territorio aretino (1990-1995), a cura di S. Vilucchi, P. Zamarchi Grassi, A.M.A.P., Arezzo, pp. 15-17.

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Esempio di chiesa con cripta e presbiterio rialzato Pianta della cripta

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Parete ovest della cripta Aula della chiesa: fase di sepolture di XIV-XVI secolo

Il paramento murario è realizzato con bozze regolari di calcare e conserva otto dei dieci capitelli su cui s’impostano, come sulle colonne centrali, le volte a crociera che coprivano la cripta e sostenevano il pavimento del soprastante presbiterio rialzato. Nel lato sud dell’ambiente sono visibili due aperture: la prima, a sud est, è una finestra strombata realizzata in laterizi e poi intonacata che per caratteristiche tecniche e materiale sembra essere contestuale alla realizzazione della fortezza medicea; la seconda, nei pressi dell’angolo ovest dell’ambiente, è dotata di scalini e sembra essere riconducibile a un accesso esterno. In corrispondenza dell’angolo nord del muro presbiteriale (perimetrale ovest della cripta) è evidente la presenza di un’apertura tamponata, al di sotto della quale è visibile una ‘fodera’ in laterizi e un elemento litico che sporge dal paramento nord: elementi riferibili alla presenza di una scalinata, poi asportata, che consentiva l’accesso alla cripta dall’interno della chiesa.


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Elaborazione da laserscanner della sezione est ovest della cripta

Dalla parte opposta del muro presbiteriale, è stata messa in luce un’apertura parzialmente tamponata in cui sono visibili tre scalini in pietra. Il rapporto stratigrafico tra il muro ovest della cripta, corrispondente al muro presbiteriale dell’aula superiore, indica che questo è stato messo in opera posteriormente, rispetto ai muri perimetrali cui si appoggia, forse riferendosi soltanto a fasi costruttive in successione nell’ambito del medesimo cantiere. Al fine di acquisire dati storico-archeologici sulle fasi costruttive ed insediative del sito, sono stati effettuati saggi di approfondimento stratigrafico sia nell’aula della chiesa (settore orientale prossimo al muro presbiteriale), che nella cripta (6 saggi) e all’esterno della chiesa lungo il muro perimetrale sud. Nell’aula della chiesa lo strato identificato sotto i livelli di demolizione è caratterizzato da una grandissima quantità di ossa umane frammentate e sconvolte rispetto alla giacitura primaria; ed è relativo ad una fase di vita della chiesa, che, sulla base dei materiali ceramici recuperati e delle caratteristiche delle deposizioni, risulta piuttosto ampio, compreso tra la fine del XIV e il XVII secolo. L’indagine tafonomica eseguita sulle sepolture presenti all’interno dell’aula della chiesa ha permesso di recuperare resti scheletrici pertinenti a 11 individui in connessione anatomica rinvenuti in 6 tombe: 4 sepolture singole primarie e 2 collettive la cui deposizione è stata progressiva e scaglionata nel tempo. La stratigrafia deposizionale evidenzia un lungo periodo di utilizzo dell’aula della chiesa come luogo di sepoltura; quasi tutti i giacimenti funerari, infatti, sono stati rimaneggiati (per la rideposizione di nuove inumazioni o a seguito di ridefinizioni strutturali dell’edificio di culto). Tutti gli inumati sono deposti con lo stesso orientamento cranio-caudale ovest-est e con il corpo in posizione supina. Il decorso post-deposizionale dei resti ha evidenziato differenze nella tipologia sepolcrale: si possono distinguere tre deposizioni in semplice fossa terragna, due in fossa con delimitazione del perimetro sepolcrale definito dalla presenza di pietre monolitiche e tre in cassa lignea. Alla fase di risistemazione dell’area della chiesa in età medicea dev’essere riferita anche l’area cimiteriale identificata all’esterno del perimetrale sud, caratterizzata dalla presenza di almeno tredici avelli in laterizio coperti da lastre di pietra. L’area sepolcrale è suddivisa in due zone da una struttura muraria (con andamento ovest-est) e le

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Aula della chiesa: fornace da campana

strutture tombali sono state edificate a coppie, ogni coppia si trova a una quota diversa seguendo un andamento degradante verso est. L’indagine stratigrafica di una delle tombe ha confermato che si tratta di avelli realizzati in laterizio organizzati su due livelli mediante tre mensole in pietra passanti. É stata documentata la presenza di sette individui all’interno della struttura, sulle tre mensole che scandiscono il livello superiore sono presenti porzioni di connessioni anatomiche riferibili ad un unico individuo mentre nel livello inferiore sono presenti ossa sparse (solo in due casi sono state identificate connessioni anatomiche parziali) riferibili almeno a sei individui. Tale evidenza ha fatto ipotizzare che questa tipologia di strutture sepolcrali svolgesse il duplice ruolo di deposizione (nel livello superiore) e ossario nel momento in cui era necessario collocare un nuovo deposto nel livello superiore. Non è da escludere che, date queste caratteristiche, possa trattarsi di una tomba di tipo familiare che spiegherebbe le parziali connessioni anatomiche documentate sul fondo dalla struttura. Tracce materiali della fase riguardante le trasformazioni dell’edificio ecclesiastico in epoca medicea, oltre agli elementi strutturali (realizzazione dei silos, obliterazione del vano di accesso nord/est alla cripta per trasformarlo in ossario, apertura laterale nel perimetrale sud, tamponatura dell’accesso a nord/est del muro presbiteriale, finestra strombata identificata nel perimetrale sud in corrispondenza della cripta e soprattutto il muro che trasforma la chieda da absidata ad aula rettangolare), sono testimoniate dalla distruzione della fornace da campana identificata nella navata centrale, parzialmente asportata dal silos posizionato tra i due pilastri collocati di fronte al muro presbiteriale. La fornace da campana si presenta come una struttura semicircolare costituita da pareti di sedimento termotrasformato e fondo in pietre arrossate da attività di cottura di cui sono stati documentati


le indagini e le scoperte archeologiche (2008-2017) • hermann salvadori, silvia vilucchi

vari livelli costituiti da lenti di carbone e un taglio che ne definisce il canale di combustione, i materiali rinvenuti negli strati di obliterazione la collocano in un orizzonte cronologico databile alla seconda metà del XIV inizi XV sec. La presenza di una fornace da campana, che viene fusa all’interno della chiesa prima della messa in opera del tetto8, identifica un intervento di rifacimento dell’edificio. La fornace s’imposta infatti su spessi strati di innalzamento e livellamento (che presenta numerosi frammenti ceramici residuali di età antica) funzionali a un netto cambio di quota all’interno della struttura riferibili cronologicamente al tardo XIII- XIV secolo. Il periodo storico di riferimento per la realizzazione di tali interventi coincide con il passaggio della 8 De Marco M., Vilucchi S. 1996, Castelfranco di sopra. Badia a Soffena, in Un quinquennio di attività della Soprintendenza Archeologica per la Toscana nel territorio aretino (1990-1995), a cura di S. Vilucchi, P. Zamarchi Grassi, A.M.A.P., Arezzo, pp. 114-117

Esterno del lato meridionale della chiesa: area cimiteriale Aula della chiesa: fase di sepolture di XI-XII secolo

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la fortezza di arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento • a cura di maurizio de vita

Aula della chiesa: accumulo di blocchi di calcare e frammenti di terrecotte architettoniche relativi alla fase ellenistica

Cripta, angolo sud ovest: sistema di canalette e struttura di piena età imperiale romana

Fortezza in mano fiorentina avvenuto intorno alla metà del XIV secolo per mano di Pier Saccone Tarlati; nella documentazione conservata sono attestati sostanziali interventi di rifacimento ad opera dei fiorentini9. Alla stessa fase sono da riferire le aperture di accesso alla cripta presenti nel muro presbiteriale e la posa in opera del pavimento della cripta come testimonia l’assenza di materiale posteriore alla seconda metà del XIV secolo nello strato di preparazione al pavimento stesso. Al di sotto del livello di rialzamento descritto, un’ulteriore fase di sepolture, in giacitura primaria, obliterato dagli strati di innalzamento e livellamento. L’analisi antropologica preliminare dei resti identificati ha permesso di rilevare la presenza di 7 individui adulti e 4 subadulti, di identificare i resti, ancora in giacitura primaria, di due ulteriori individui subadulti e la presenza di almeno altri due soggetti adulti che non è stato possibile portare in luce a causa delle tempistiche di cantiere. Il materiale ceramico recuperato consente di datare questa fase all’XI-XII secolo (confermata dalla presenza numerosi frammenti di forme aperte e chiuse di ceramica a vetrina sparsa); è rilevante notare che tutti gli strati che identificano questa fase sono posteriori sia ai perimetrali dell’edificio che al muro presbiteriale al muro presbiteriale, essendo quindi deposti quando l’edificio era già in 9

TAFI 1978, op. cit. p. 267


le indagini e le scoperte archeologiche (2008-2017) • hermann salvadori, silvia vilucchi

opera nelle forme ancora conservate, confermando il dato documentario che ricorda la chiesa di San Donato in Cremona fin dal 1098. Un approfondimento stratigrafico effettuato fino alla profondità di m. -2,80 circa dal piano della chiesa, nel settore est dell’aula presso il muro presbiteriale, ha portato in luce (seppur in modo limitato) strutture e livelli di età ellenistica. In particolare è emerso un consistente accumulo di blocchi di calcare di grandi dimensioni, che pur non costituendo una vera struttura, presenta un allineamento in senso nord-sud e un conoide di crollo con pietre di minor dimensione e frammenti di terrecotte, in direzione est. I blocchi erano frammisti a sedimento a matrice argillosa caratterizzato dalla presenza di numerosi frammenti di intonaco in disfacimento e frammenti di lastre architettoniche fittili, anche con tracce di colore azzurro, consistenti in frammenti di sima con baccellature, lastre con decorazione a stampo con girali ed elementi vegetali, che trovano confronti con decorazioni fittili di edifici templari del II secolo a.C. del territorio10. Resti e livelli di età antica sono emerse anche nei saggi realizzati all’interno della cripta, ed in particolare nella zona sud est lungo la parete meridionale, dove sono stati messi in luce un complesso sistema di canalette e una struttura muraria ad esse collegata. La struttura ha andamento nord-sud, è realizzata in pietre e si conserva in elevato solo per 35-40 cm.; sul lato sud è stata asportata dal taglio di fondazione della cripta. I materiali rinvenuti nei livelli di contesto sembrano riportare alla piena età imperiale. Le canalette hanno tutte andamento nord est-sud ovest e, per quanto è stato possibile determinare dalle ristrette dimensioni dei saggi, convergono in direzione sud ovest, in corrispondenza dell’ambiente ipogeo (cisterna/pozzo?) con accesso dalla cripta stessa e dall’aula superiore.

Cfr. Strazzulla M. J. 1977, Le terrecotte architettoniche nell’Italia centrale, in Caratteri dell’ellenismo nelle urne etrusche, Atti dell’incontro di studi Università di Siena 28-30 aprile 1976, Firenze, pp.41-49; Maetzke G. 1996, Un’ipotesi ricostruttiva del piccolo teatro del Santuario di Castel secco, in A.M.A.P. LVIII, pp. 271 ss.; Maec 2005, Il Museo della città etrusca e romana di Cortona. Catalogo delle collezioni, Firenze 2005, pp. 271 ss.

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Planimetria e veduta dall’alto dell’edificio di età romana

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la fortezza di arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento • a cura di maurizio de vita

pagina a fronte Edificio di età romana: particolare dei pavimenti musivi

Nel tratto compreso tra i bastioni del Soccorso e il bastione della Diacciaia, con l’asportazione di grandi accumuli di terra che avevano rialzato il piano di calpestio di questo settore della Fortezza, è venuto alla luce parte di un edificio di età romana, straordinariamente conservato alla fase di distruzione e di abbandono. Posizionato su un terrazzamento sul lato nord del Colle di San Donato, l’edificio presenta un orientamento nord ovest- sud est e conserva, per quello fin qui verificato, tre vani, di cui due con pavimento musivo e resti di intonaco parietale dipinto. L’ambiente sud (m. 10 x 7), un’ampia aula con accesso dal lato breve est, al di sotto di livelli di abbandono e dello strato di crollo della copertura laterizia, presenta un piano pavimentale in mosaico di fattura raffinata con decorazione “a nido d’ape” composto di esagoni delineati con tessere nere su fondo campito con tessere bianche, in ottimo stato di conservazione. L’ambiente a nord ovest (conservato per un’estensione di m. 4 x 2,5) mostra la presenza di un tappeto musivo con decorazione “a stuoia” con rettangoli delineati a tessere nere su fondo a tessere bianche disposti attorno ad un quadrato centrale campito in nero. Il mosaico mostra numerose fratture e lesioni, probabilmente dovute anche alla messa in opera a metà del XVI secolo del vicino muro difensivo con grandi arconi, tra il bastione del Soccorso e quello della Diacciaia. Ma il pavimento già in antico fu oggetto di interventi di rifacimento, come mostra un’integrazione in cocciopesto sul lato ovest dell’ambiente, che conserva un’apertura con soglia in pietra sul lato nord. Il terzo ambiente, a nord est (di cui non è possibile valutare l’estensione), non è stato ancora indagato nella sua interezza, ma il limitato saggio eseguito non ha rivelato la presenza di pavimentazione a mosaico. Le strutture murarie rinvenute sono realizzate in pietre e scaglie di arenaria legati da argilla e conservate in elevato per circa m. 0,50 e presentano tutte uno spesso intonaco parietale dipinto. I numerosi frammenti di intonaco rinvenuti in stato di crollo mostrano una decorazione pittorica in color rosso, giallo, verde e bruno su fondo bianco. I piani pavimentali rinvenuti sono attribuibili all’età augustea-inizi dell’età giulio claudia (fine I a.C. - decenni iniziali I d.C.) e trovano confronti stringenti, tra l’altro, con i mosaici della villa dell’Ossaia di Cortona11. La sequenza stratigrafica identificata con l’indagine ha fatto ipotizzare che gli elevati fossero realizzati in argilla cruda pressata, messi in opera su uno zoccolo in muratura. Un consistente livello di argilla frammista a rari frammenti d’intonaco disfatto, copriva infatti il crol-

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Bueno M. 2011, Mosaici e pavimenti della Toscana. II secolo a.C.-V secolo d.C., Roma, pp. 108-115.


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la fortezza di arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento • a cura di maurizio de vita

lo della copertura fittile in tutta l’estensione dell’ambiente sud, ad eccezione di una lunga e stretta fascia centrale in cui le tegole e i coppi crollati erano a diretto contatto con la pavimentazione musiva, rivelando come probabilmente gli elevati fossero collassati dopo la caduta del tetto. Ad eccezione della fascia centrale citata, lo strato di fittili copriva uno strato molto organico e ricco di carboni che costituiva lo strato di abbandono dell’ambiente e che ha sigillato il piano pavimentale musivo. Lo scavo ha inoltre portato in luce elementi strutturali che attestano almeno una seconda fase edilizia e di utilizzo dell’aula, forse con diversa funzione, di piena età imperiale, con la messa in opera, direttamente sul piano pavimentale, nel settore ovest dell’ambiente, di un’abside semicircolare (conservata per un’ampiezza di circa m. 3) e nella fascia centrale in questa fase ancora non indagata. Dopo l’abbandono e l’obliterazione dell’edificio, probabilmente in età altomedievale, sulla rasatura del muro perimetrale est della grande aula, la sepoltura di un inumato (di cui si conservano solo gli arti inferiori) deposto con una lunga spada in ferro disposta sul corpo longitudinalmente. La fondazione, tra X e XI secolo, della possente struttura muraria messa in luce a est dell’edificio, ha intaccato solo parzialmente la soglia di accesso all’ambiente ovest. Più impattanti risultano le evidenze medievali e postmedievali riferibili ai cantieri di edificazione delle mura trecentesche e della Fortezza medicea. Sono state, infatti, identificate almeno due attività di taglio che hanno intaccato la porzione nord dell’edificio, i cui materiali rimandano a un orizzonte cronologico compreso tra il XIII e i XIV secolo a cui sono associati numerosi frammenti ceramici residuali di epoca tardoantica e romana. Nella zona sud, invece, un grande taglio di forma sub-circolare riempito da sedimento termotrasformato di colore rosso e caratterizzato dalla presenza di pietre bruciate e, in percentuale minore, di coppi e tegole, sembra sia riferibile ad una grande calcara che, pur non intaccando il piano musivo, ne ha scurito le tessere. Durante le attività di movimento terra che hanno permesso l’identificazione dell’edificio con mosaici descritto, nello spazio compreso tra il 3° e il 4° pilastro del muro difensivo ad arconi verso il bastione della Diacciaia, è stata identificata la camera di combustione di una fornace che presenta la superficie interna completamente vetrificata dal contatto diretto con il fuoco. Per la struttura, ancora in corso d’indagine, non è al momento possibile formulare alcuna ipotesi né sulla tipologia del materiale prodotto, né sulla sua cronologia.


Seconda fase 2012-2019: progetti e opere di restauro degli ambienti, dei camminamenti e degli spazi aperti interni della fortezza che dal 2015 è diventata anche teatro di importanti mostre di arte contemporanea













un nuovo polo per la cultura contemporanea ad arezzo. il restauro della fortezza: conservazione, addizioni, rivelazioni Maurizio De Vita

La seconda fase del percorso restaurativo della Fortezza è stata avviata nel 2012 e si è conclusa nel 2015 per quanto riguarda la quasi totalità degli spazi aperti interni della fortezza, degli ambienti posti all’interno dei bastioni, dei camminamenti e nel 2019 con il completamento del restauro del Bastione del Belvedere. L’intervento era finalizzato alla restituzione alla collettività di uno straordinario monumento ma anche alla creazione di un nuovo polo culturale, sede di mostre d’arte, spettacoli, attività didattiche, spazi per la conoscenza e lo scambio culturale. Per ottenere ciò è stato necessario agire contemporaneamente portando a termine restauri specialistici delle parti lapidee e delle componenti antiche e la realizzazione di interventi di addizione funzionale ed architettonica necessari per la efficace utilizzazione quale nuovo centro delle attività collettive e museo di se stesso, spazio per l’arte e luogo eccellente della conoscenza e per la conoscenza, la didattica, la vita associata. Conservazione e addizioni funzionali ed architettoniche Avendo per riferimento questi obiettivi sono stati previsti e portati a compimento numerosi interventi relativi a tali addizioni, necessari ed utili sia dal punto di vista funzionale che normativo ed allo stesso tempo compatibili con la materia densa, parlante, fortissima e fragile al tempo stesso di una fortificazione cinquecentesca rivelatasi scrigno di presenze di età medioevale, romana e preromana di straordinario interesse. Come si specifica più avanti, fra le più significative di tali addizioni vi sono l’inserimento di nuovi ascensori, scale e percorsi di collegamento fra le diverse quote interne della fortezza, la realizzazione di locali tecnici e di servizio e di una impiantistica elettrica e meccanica funzionale alle nuove utilizzazioni della fortezza, la realizzazione di una grande struttura in acciaio cor-ten che ridisegna e ripropone con linguaggio contemporaneo la parte mancante (perché fatta saltare in area dalle mine delle truppe napoleoniche) del Bastione del Soccorso, nuove rampe esterne di accesso alla Fortezza, la creazione di parcheggi per disabili nelle immediate vicinanze, la realizzazione di lucernari a copertura delle bocche da fuoco ed altro ancora. Il tema predominante di tutto l’intervento, presente in tutte e fasi delle azioni restaurative mirate alla nuova utilizzazione del monumento, è stato quello del dialogo intenso, caratterizzato da reciproca

pagine 116-126 Viste aeree della Fortezza a lavori di restauro ultimati


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la fortezza di arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento • a cura di maurizio de vita

utilità e valorizzazione fra antica e nuova architettura, definendo con linguaggio sempre contemporaneo quanto si andava ad aggiungere, per necessità o volontà consapevole e rispettosa di traduzione al futuro della Storia dei luoghi. Tutto ciò anche e soprattutto per dotare la città di Arezzo, i visitatori e la collettività tutta di un grande spazio culturale che sapesse raccontare i la città, l’architettura, l’arte muovendosi nel tempo e per il tempo che verrà. Spazi aperti per l’arte, lo spettacolo, la comprensione e condivisione di un monumento Per quanto riguarda l’interno della Fortezza in genere occorre ricordare che preliminarmente ad ogni intervento sono stati effettuati scavi per allontanare tutta la terra riportata in occasione della realizzazione, negli ani sessanta del secolo scorso, del serbatoio per l’acqua posizionato al centro della Fortezza. Tali scavi sono stati eseguiti fino a trovare la quota originaria posta a circa quattro metri più in basso rispetto alla quota di rilievo iniziale fatto salvo per l’area centrale della fortezza interessata dal serbatoio, considerato inamovibile. Si sono quindi configurati gli spazi aperti interni alla Fortezza quale sequenza di percorsi bassi e percorsi con pendenza dolce di raccordo con un’area centrale alta. Tali scavi hanno consentito di ritrovare ambienti e passaggi dimenticati e sepolti per decenni ed allo steso tempo hanno determinato il ritrovamento di importantissimi manufatti di età post-antica ed antica, riferibili a periodi storici diversi e comunque molto antecedenti alla realizzazione della fortezza cinquecentesca. Le lavorazioni che hanno caratterizzato tutti gli spazi aperti posti all’interno della Fortezza sono state improntate a restauri e sistemazioni finalizzate alla rivelazione della fortezza, dei suoi amRitrovamento di porzioni di pavimentazione di un edifico di età augustea in prossimità del Bastione della Diacciaia

bienti, del paesaggio di intorno ma anche al possibile e complementare allestimento degli stessi per

Immagini dell’interno della chiesa medievale ritrovata

gamenti fisici e concettuali del tutto sconosciuti, inediti, sorprendenti.

opere d’arte, così come già sperimentato dalla riapertura al pubblico della fortezza, articolando colleSono state realizzate sistemazioni di percorsi, spazi di sosta, parti a verde, restauri di parti murarie prospicienti tali spazi aperti, opere relative al recupero dei camminamenti, sia alla quota degli spalti, quindi alla quota superiore, che alla quota più bassa, di accesso ai locali interni ai bastioni, quindi con abbassamenti e modellazione del terreno e dei percorsi stessi. Tale recupero e parziale ridisegno dei percorsi all’aperto è stato strettamente correlato alla realizzazione o integrazione degli accessi alla Fortezza, agli antichi come ai nuovi sistemi di risalita previsti, sia pedonali che meccanizzati. Per i camminamenti sommitali si è attuata la semplice sistemazione con ripulitura, in analogia con i lavori di restauro delle altre aree della Fortezza ed il rifacimento delle

pagine 130-131 Planimetria della città di Arezzo Pianta di progetto della fortezza alla quota degli interni dei bastioni

pavimentazioni con conglomerati con finitura in massetto architettonico con inerti di colore chiaro, resi quindi stabili anche per il possibile utilizzo da parte di persone disabili. Tutte le pavimentazioni esterne in pietra sono state invece realizzate solo ed esclusivamente riutilizzando il pietrame selezio-

Planimetria generale di progetto della fortezza

nato durante gli scavi di quella incredibile quantità di terra e materiali di riporto che, a seguito della

Sezioni di progetto

realizzazione del serbatoio dell’acqua ed allo stoccaggio “in situ” del materiale scavato, avevano alte-


un nuovo polo per la cultura contemporanea ad arezzo. il restauro della fortezza: conservazione, addizioni, rivelazioni• maurizio de vita

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rato completamente la leggibilità del monumento e del suo stesso senso costruttivo e compositivo. Al centro della Fortezza, perimetrato da una piantumazione di alberi di forma ovoidale, si apprezza ora la presenza di un grande spazio, la cui destinazione, oltre che di spazio per il passeggio, la sosta, la vita associata “en plein air”, è quella di luogo attrezzato per eventi e spettacoli stagionali di medie e grandi dimensioni grazie ad un nuovo grande palco con sottopalco attrezzato con camerini, spazi di servizio, spazi tecnici, magazzini. Percorrenze, arte e spettacolo vengono quindi qui a potenziale sintesi anche in vista di presenze molto numerose, con larghi margini di flessibilità dal punto di vista del tipo di eventi, in uno scenario ambientale emozionante ed un quadro architettonico storicizzato di assoluto valore. Alcuni degli straordinari ritrovamenti di interesse archeologico e storico-architettonico Nel corso degli scavi effettuati, condotti sempre a seguito di concordamento con la competente Soprintendenza Archeologica ed in presenza di un Archeologo, alcuni ritrovamenti di grande interesse sono venuti alla luce nell’area posta far il Bastione della Diacciaia ed il Bastione del Soccorso1. Si tratta di resti di un edificio di età agustea con tratti estesi di pavimentazione musiva in buono stato di conservazione e di tratti di muri in elevato con intonaco e cromie ancora conservati, studiati ed indagati con la dovuta attenzione e tecnica adeguata di scavo e successivamente restaurativa, incluse le debite protezioni, sia di cantiere che permanenti. Tale pavimentazione e l’area di intorno sono oggi in fase di studio e in attesa di ulteriori attività di scavo e possibile valorizzazione. I n p r o s s i mi t à di qu e s t a a r c h e o l o g i c a è s t a t o r i t r o v a to quanto rimane di un piccolo manufatto, probabilmente una polveriera, analogo ad altro manufatto presente sul retro del nuovo palco centrale; come quest’ulti-

Il ritrovamento di una chiesa ipogea di età altomedioevale in prossimità del Bastione della Chiesa

mo, è stato restaurato con interventi puntuali e specialistici riferibili a restauro lapideo.

Ritrovamento dei resti di un torrione della cinta muraria trecentesca

Nello spazio posto fra il bastione della Chiesa ed il Bastione del Soccorso, sostanzialmente a ridosso del Bastione della Chiesa si è verificato un ritrovamento di grandissimo interesse quale la Chiesa e la cripta che dovevano preesistere alla Fortezza stessa e che con ogni probabilità erano intitolate a S. 1

Si veda a questo proposito il saggio di S. Vilucchi ed H. Salvadori in questo stesso volume

pagine 132-133 Nuovi percorsi negli spazi aperti interni alla fortezza L’unico edificio ancora esistente nello spazio centrale della fortezza ed il nuovo ascensore esterno in acciaio che collega l’ingresso monumentale con i due livelli superiori


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Bastione della Diacciaia

Bastione della Diacciaia

PORTA DEL SOCCORSO

Bastione del Soccorso

Bastione del Soccorso

Bastione della Chiesa

Bastione della Chiesa Bastione della Spina

Bastione della Spina

Bastione del Belvedere

Bastione del Belvedere


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pagina a fronte e pagine 138-139 Il nuovo palcoscenico attrezzato costruito ad una estremità dell’ovale centrale

pagine 134-135 L’unico edificio ancora esistente nello spazio centrale della fortezza ed il nuovo ascensore esterno in acciaio che collega l’ingresso monumentale con i due livelli superiori

Donato. La pianta della Chiesa è ben leggibile e se ne aveva notizia da una perizia fatta redigere poco

Veduta dell’interno della fortezza alla fine dei lavori di restauro

archeologici sia alla quota dei ritrovamenti che a quote più basse per la presenza di manufatti o lavora-

Nuova sistemazione e pavimentazione dei camminamenti alti

zioni antecedenti la realizzazione della Chiesa e per verifica di strato imposto antico.

dopo l’azione delle mine poste dalle truppe napoleoniche nel 1800. La cripta invece non è rappresentata in detta perizia e parrebbe essere manufatto più antico, probabilmente risalente all’alto Medioevo. Tutto intorno a tali ritrovamenti è individuata un’area di interesse archeologico; sono stati attuati scavi

I Bastioni della Spina, della Diacciaia, del Soccorso: spazi per l’arte, la didattica, gli eventi. Gli interventi di restauro condotti all’interno di questi bastioni hanno permesso di dotare la Fortezza e quindi anche l’Amministrazione comunale di spazi di assoluto valore storico e documentale ma anche funzionali ad attività culturali e didattiche di vario genere. All’interno del Bastione della Spina, cui si accede dall’ingresso monumentale, a diversi livelli vi sono ampi vani dei quali si è attuato il restauro, il recupero e la rifunzionalizzazione con una dotazione impiantistica assolutamente completa e complessa quanto rispettosa dei dati spaziali e dei materiali antichi. Il pensiero è andato alle grandi e piccole mostre, a flussi significativi di persone, a caratteri diversi di manifestazioni artistiche cui garantire adeguato supporto tecnologico stante la presenza di spazi di svariate dimensioni e posizioni atte ad ospitarle. Molte le predisposizioni impiantistiche attentamente integrate nella fabbrica esistente, sia per quanto riguarda gli impianti meccanici che garantiscono un controllo climatico adeguato che quelli elettrici, affidati a flessibilissime linee continue ed alla presenza di un numero cospicuo di prese integrate nelle pavimentazioni. . Per quanto riguarda infatti le dotazioni impiantistiche dei vani sopradescritti, tanto le dorsali degli impianti meccanici quanto gli impianti elettrici hanno distribuzione sotto pavimento essendo comunque stati previsti degli scavi per la realizzazione dei solai areati. Per quanto riguarda i sistemi riscaldamento - raffrescamento, ricambi d’aria, gli stessi sono stati disposti con griglie a filo pavimento o utilizzando elementi di arredo di progetto quali carter delle apparecchiature stesse. Sono stati posti in opera delle colonnine verticali equipaggiate con componenti elettrici, denominate totem, in varie tipologie e con differenti dotazioni. Per raccordare i due diversi livelli degli ambienti del Bastione della Spina si è realizzato un ascensore di piccole dimensioni, con pannellature perimetrali in vetro, per disabili o ipoabili e la partenza di una scala a chiocciola che conduce a un ulteriore vano posto al di sopra della polveriera. Il vano posto al pagine 140-141 Il primo corpo di guardia della fortezza, oggi ingresso monumentale Vani interni al Bastione della Spina

livello inferiore, prima dei lavori non visibile e non accessibile ha rivelato essere stato un tempo un esterno essendo un lato di tale vano di fatto un prospetto in pietra di un edificio sicuramente importante e di pregevole fattura. Il piano di calpestio di questo vano è stato così “staccato” da questo prospetto, creando una fascia di rispetto in ghiaia e realizzando il collegamento fra l’arrivo della scala ed ascensore con detto piano di calpestio con un piccolo ponte in acciaio e vetro.


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Vani interni al Bastione della Spina e la nuova scala ed ascensore a norma pe raccordare livelli diversi all’interno del Bastione della Spina pagina a fronte Il vano ipogeo ritrovato all’interno del Bastione della Spina


un nuovo polo per la cultura contemporanea ad arezzo. il restauro della fortezza: conservazione, addizioni, rivelazioni• maurizio de vita

Con un ulteriore nuovo ascensore posto all’interno di una struttura in acciaio cor-ten trattato, dall’ingresso principale alla Fortezza e più precisamente dal primo corpo di guardia si può oggi accedere ai diversi livelli della Fortezza stessa e delle mostre qui allestite. Nel Bastione della Diacciaia, destinato ad attività didattiche ed espositive, si è realizzato un blocco di servizi e spazi tecnologici unico realizzato in forma di manufatto autonomo, reversibile, dichiaratamente attuale, progettato e realizzato in un involucro di acciaio cor-ten in nome di una distinguibilità già avanzata e delineata in questo progetto con altre addizione funzionali ed architettoniche. Si tratta dunque della attivazione, attraverso il restauro e la nuova dotazione impiantistica, di uno spazio per la didattica e per l’arte, autonomo in caso di eventi localizzati e predisposto per l’insegnamento come per la sperimentazione educativa ed espositiva. È stato realizzato un percorso fra il primo corpo di guardia della Fortezza, posto immediatamente all’ingresso principale della Fortezza stessa e gli ambienti del Bastione della Diacciaia e, all’interno di tale bastione un percorso su passerella metallica con appoggi puntuali, struttura metallica di tipo industriale semplice, pavimentazione in legno da esterni e balaustra realizzata con montanti metallici e cavi di acciaio tesati che permette di attraversare spazi diversi posti a quote diverse del bastione con pendenze a norma e quindi rendendo tale percorrenza e scoperta conoscitiva disponibile a tutti gli utenti. Il percorso si addentra fra le parti del bastione che residuano a seguito di crolli cui si è data risoluzione strutturale con integrazioni di parti pericolanti del paramento con pietrame derivante dagli scavi e stoccaggi selettivi effettuati nella fortezza stessa attivando una forma di distinguibilità appena rivelata da cromie e posa evidentemente di nuova fattura e curando allo stesso tempo il mantenimento delle patine delle parti esistenti. L’attraversamento del corpo del bastione rivela così impressionanti opere di scavo portate a termine in epoca cinquecentesca su strutture a sacco più antiche per poter ricavare cannoniere e fuciliere atte a “battere” l’area del Bastione del Soccorso posizionandosi, quale percorso di mediazione temporale, fra le mura cinquecentesche e quelle trecentesche ritrovate con gli interventi di restauro degli anni novanta del secolo scorso unitamente alla “Porta dell’Angelo” , testimonianza preziosa e della cinta tarlatesca. L’unico vano voltato e dotato di un grande lucernario ha per destinazione funzionale la didattica, incontri e conferenze. Il sistema di spazi ed aree che caratterizza il percorso culturale Fortezza di Arezzo trova nell’area del Bastione del Soccorso e negli spazi adiacenti un suo fulcro particolarmente significativo, sia dal punto di vista della riorganizzazione degli accessi e luoghi di deflusso, che per le destinazioni d’uso e gli ambienti che le accolgono. Oltre a ciò le modalità di intervento relative alla integrazione funzionale ed architettonica legate al crollo della porzione di bastione cuoriforme dovuta alle mine napoleoniche del 1800 trova qui un dialogo fra antico e nuovo che sia nella sua articolazione concettuale che nei suoi esiti formali e materici scrive una pagina nuova ed anche inedita del tema dell’identità del luogo quale

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Il percorso che dal Bastione della Spina conduce al Bastione della Diacciaia Il percorso e gli spazi del Bastione della Diacciaia che separano le fortificazioni trecentesche con la “porta dell’Angelo” dalla cortina cinquecentesca pagina a fronte La nuova passerella a norma che attraversa il Bastione della Diacciaia L’unico ambiente voltato e dotato di “bocca da fumo - ora un lucernario - all’interno del Bastione della Diacciaia

opportunità culturale e ricerca formale e funzionale del complesso rapporto fra un monumento e la contemporaneità. L’assetto pre-lavori del Bastione del Soccorso e le ferite inflitte dalle mine ottocentesche hanno condotto la ricerca e l’ipotesi progettuale verso la traduzione del grande varco aperto nella compagine muraria quale nuovo punto di contatto interno-esterno della Fortezza. In tal modo si è affrontato un problema di carattere pratico e funzionale quale la reazione di un ulteriore punto di accesso e di uscita dalla fortezza, ridefinendo allo stesso tempo quella restituzione critica dell’assetto originario che in questo caso è risoluzione volumetrica di un elemento determinante del sistema fortificato quale è un bastione angolare. Il Bastione del Soccorso è quindi anche una “porta della Fortezza”, cui riallaccia una ricomposizione della sua geometria che, rendendo avvertibile una continuità ormai persa ma riconquistata formalmente, inverte il senso della impenetrabilità della struttura fortificata, determinando una trasparenza controllata che instaura una nuova presenza della cortina, sia nella percezione diurna che notturna. Riprendendo dunque la geometria del lobo cuoriforme del bastione sangallesco, la stessa è stata riproposta con un alternarsi di pieni e vuoti realizzato con uno schermo di lamelle di acciaio cor-ten curvate in modo da riproporre la forma perduta e della lunghezza necessaria, quindi variabile, a “richiudere” il varco seguendo le linee irregolari del crollo, restando da queste leggermente distaccate. Tale cortina di lamelle creano una percezione di trasparenza e di continuità a seconda del punto di vista, dell’incidenza della luce diurna e del valore di illuminazione che proverrà dall’interno del bastione. Il percorso culturale legato alla storia ed ai caratteri architettonici della fortezza si snoda da questa hall verso i livelli superiori ed attraversando i vani del bastione. La nuova scala si collega allo scalone monumentale che è stato così restaurato e riutilizzato, mentre un nuovo ascensore vetrato collega i diversi livelli


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e conduce fino al camminamento superiore del bastione, in esterno, garantendo l’accessibilità a tutte le sue parti. All’interno del bastione, verso la parte interna, è stato conseguito il rifacimento di due volte crollate, la realizzazione i due passerelle metalliche che dai piani delle volte ricostruite conducono a vani prospicienti e la creazione di un gruppo di servizi igienici. Per i vani interni del Bastione, destinati ad attività espositive, si è attuato il consolidamento delle strutture murarie e delle soprastanti volte, il restauro delle parti residue di intonaco, la realizzazione di pavimentazione in pietra, la dotazione di impianti elettrici e meccanici, la realizzazione di infissi vetrati. Il progetto ha compreso la riapertura e la riutilizzazione della Porta del Soccorso, ingresso storico alla Fortezza di Arezzo, quale ulteriore occasione per incrementare le possibilità di accesso e di uscita dalla Fortezza. Il Bastione della Chiesa, mutilato anch’esso dalle mine delle truppe napoleoniche, è stato restaurato e sono stati resi visitabili gli ambienti interni residui, non privi di fascino e di valore documentale in quanto anche questo bastione, nella sua conformazione cuoriforme solo parzialmente ancora in essere, è ascrivibile al primo impianto cinquecentesco della fortezza, ideato da Antonio da Sangallo il vecchio e da suo fratello Giuliano. A seguito degli scavi effettuati per ritrovare le quote originarie, fra il Bastione del Soccorso ed il bastione della Chiesa, sono stati “ritrovati” sette vani voltati, originariamente adibiti a magazzini. I grandi archi prospicienti lo spazio aperto interno sono stati riaperti e sono stati realizzati infissi in acciaio e vetro, pavimentazioni in pietra, impiantistica idonea alla nuova funzione espositiva e museale. È stato realizzato un ponte che collega il Bastione della Chiesa con gli spalti che conducono al Ba-

pagine 146-147 Riproposizione del lobo del Bastione del Soccorso fatto esplodere dalle truppe napoleoniche nel 1800 con una struttura metallica e lamelle in acciaio cor-ten Collegamento con i camminamenti, interno e dettagli del nuovo lobo del Bastione dl Soccorso pagine 148-149 Collegamento con i camminamenti, interno e dettagli del nuovo lobo del Bastione dl Soccorso La scala originale ed un ambiente interno al Bastione del Soccorso pagine 150-151 Interno e dettagli del nuovo lobo del Bastione dl Soccorso

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stione del Soccorso, al di sopra della cripta, con struttura in acciaio. La struttura portante è affidata ad una tirantatura posta sotto l’impalcato del ponte, comunque leggera e realizzata con barre metalliche a sezione contenuta, con pavimentazione in legno da esterni e balaustra metallica, in tutto analoga a quella esistente nei camminamenti di ronda di effettivo confinamento laterale del ponte . Il bastione del Belvedere Nell’ottobre del 1800, a seguito dei moti aretini contro le truppe napoleoniche queste ultime minarono e fecero saltare in aria anche il Bastione del Belvedere, del tutto sventrato, spaccato in due parti e così rimasto fino ad oggi, anacronisticamente accessibile dall’esterno, privo quasi del tutto delle volte e degli orizzontamenti in genere. Nel quadro del più generale restauro della Fortezza, da poco ultimato proprio con gli interventi previsti per il Bastione del Belvedere, si apre un nuovo capitolo del rapporto fra il progetto e la complessa stratificazione di eventi, trasformazioni, significati di questa struttura fortificata. L’assetto attuale e quindi la storicizzazione della materia devastata dalle esplosioni così come degli stessi eventi legati ai moti dell’ottocento sono stati, nel progetto e nella successiva realizzazione delle opere previste, i riferimenti delle azioni materiche e concettuali che dovevano solo rispettare, riparare, raccontare senza alterare e men che meno completare il bastione e le sue parti ed i suoi ambienti rifacendo o ripristinando pareti, orizzontamenti, porzioni non più esistenti. Le azioni restaurative sono state in primo luogo indirizzate a prevedere restauri specialistici e quindi prevalentemente restauri lapidei e verifiche relative alla stabilità delle masse murarie ed ai consolidamenti necessari. Si doveva e si voleva però anche, con l’aiuto delle addizioni contemporanee, ritrovare la necessità dei luoghi, la Un ambiente interno al Bastione del Soccorso la Porta del Soccorso ritrovata, riaperta e dotata di una nuova scala in acciaio cor-ten e massetto architettonico

narrazione e quindi la lettura della loro storia, il senso stesso del Belvedere quale punto di osservazione e comprensione di un monumento, della violenza e della distruzione riservatagli dalla Storia e di un paesaggio mutato, di un orizzonte infinitamente vasto che unisce, lo si voglia o no, passato, presente e futuro. Laddove il Bastione, formidabile architettura di opposizione alla conquista oggi è massa squarciata e varco la fortezza trova un suo ulteriore punto di uscita e di accesso2, munito solo di un semplice cancello metallico posto fra le masse allontanate dalle esplosioni. Una scala metallica mette ora in collegamento i diversi livelli del Bastione, privi come si è detto di qualsiasi orizzontamento; sono stati

pagine 154-157 Il Bastione del Belvedere fatto esplodere dalle truppe napoleoniche nel 1800 restaurato. All’interno sono stati condotti restauri specialistici, opere di consolidamento ed è stata realizzata una nuova scala, percorsi in acciaio e legno pavimentazioni in pietra e massetto architettonico.

realizzati localizzati interventi di pavimentazione ed un’impiantistica elettrica di corredo agli ambienti ed ai percorsi, evidentemente da esterni. Il camminamento di ronda interrotto da più di due secoli ed il belvedere perduto ritrovano un posizionamento, leggermente discosto da quello originale, nella comprensione e fruizione di questa parte 2 La condizione anacronistica, già rammentata, del bastione “aperto” rappresentava anche, paradossalmente, una straordinaria opportunità essendo solo con questo varco possibile soddisfare quanto relativo alle vie d’esodo stante la destinazione della parte centrale della fortezza a spazio per spettacoli di grande richiamo.


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della fortezza. La realizzazione di una passerella metallica a struttura leggera e contemporanea, che collega la parte terminale del bastione e quindi del percorso di ronda con la cortina muraria posta fra il Bastione del Belvedere ed il Bastione della Chiesa ricuce il racconto, le parti separate, la terra e la sommità, la Fortezza ed il paesaggio. Come sempre o molto spesso accade, il percorso restaurativo si è mosso fra interventi specialistici e necessarie adizioni, fra la declinazione specifica di un impianto metodologico complesso e la creatività sperimentale, artigianale e mai protocollare finalizzata alla realizzazione di integrazioni per la conservazione. Come sempre uno dei quesiti fondamentali è se si siano fatte a noi ed al manufatto, tutte le possibili domande sulla natura ed il senso della sua autenticità e sulla effettiva capacità del progetto di trattenere e declinare al futuro tutta la complessità della storia e della materia del manufatto e del luogo.

La volta soprastante il primo corpo di guardia, ora ingresso principale della fortezza




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L’irruzione dell’arte contemporanea per la rivelazione dei luoghi Come già accennato in apertura, una scelta strategica dell’Amministrazione comunale per il lungo periodo prevedeva l’ospitalità temporanea nella fortezza di nuove opere scultoree, perseguendo con essa l’istaurazione di un dialogo colto fra valori simbolici e linguaggi densi dell’arte dei nostri tempi con il luogo, anzi, i luoghi, e le più alte espressioni artistiche e architettoniche della città e del territorio di Arezzo. Al centro di questo dialogo dovevano essere posti il tempo senza tempo dell’arte, l’incontro delle storie con la Storia, la ricerca linguistica quale espressione ultima di intensi valori poetici, la reciproca, sempre inedita rivelazione che, volta per volta, la Fortezza e altri spazi iconici della città di Arezzo da una parte, le installazioni artistiche dall’altra dovevano accendere nei visitatori, nella storia della struttura difensiva e della città. Porre queste condizioni ha voluto dire proporre dialoghi complessi, distanti dalla ricerca o dall’offerta espositiva del contrasto e dell’alterità dissonante, pure potenziali veicoli di messaggi culturali fortemente poetici o provocatori, ma qui cercati e proposti per comporre autentiche sinfonie spaziali capaci di generare sonorità culturali del tutto inattese eppure da sempre presenti, solo non ancora nate. Questo incontro, sempre diverso, è avvenuto coinvolgendo spazi e ambienti della Fortezza che non necessariamente coincidevano con quanto le destinazioni espositive previste da progetto; si è rivelata in tal modo un’inedita assonanza fra unicità e imprevedibilità della ricerca artistica contemporanea e irripetibilità dell’architettura restaurata, con l’istituzione di accordi e sintonie intensissime, cercate e volute, certo, dall’artista, dai curatori della mostra e dell’allestimento, ma sicuramente anche molto amplificate, più potenti del previsto. Nella percezione dei visitatori, investiti da sollecitazioni molteplici, capaci di trasformare gli spazi antichi in scenari senza tempo, la rara forza simbolica e materica della preesistenza e dell’arte riescono a potenziare il racconto della storia e la comune partecipazione alla contemporaneità. Gli ambienti del Bastione della Spina e del Bastione della Diacciaia hanno ospitato molte opere degli artisti già ricordati ma, ogni volta, il connubio fra opere e sentire degli artisti e i luoghi della Fortezza ha determinato una sorta di condivisione culturale, forse derivante dalla comune appartenenza culturale. La lunga narrativa degli spazi e degli ambienti della fortezza, resa eloquente dal progetto e dal cantiere di restauro ha accolto ed accoglie l’inserimento di opere d’arte che a loro volta raccontano il tempo e la Storia con sollecitazioni sensoriali di gran lunga maggiori rispetto a quanto non accada con soluzioni espositive ‘per contrasto’, basate sul preconcetto di un’alterità talvolta solo esibita. La mostra nel 2016 di Ivan Theimer3, scultore ceco naturalizzato francese, attivo anche a Pietrasanta, si è strutturata in percorsi popolati da bronzi di piccole e grandi dimensioni disposti lungo i tratti di raccordo fra i bastioni, sui camminamenti di ronda, negli spazi aperti della Fortezza, all’interno dei bastioni stessi. Sono stati in questo modo raccolti i personaggi del mito, i bozzetti di opere realizzate per 3

Mostra a cura di Vittorio Sgarbi, Allestimento a cura di Roberto Barbetti, Francesca Sacchi Tommasi, Andrea Sbardellati.

pagina a fronte e pp. 160-161 Immagini della mostra di Ivan Theimer nella Fortezza (2016)

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importantissime piazze europee, come gli obelischi di bronzo per il Palazzo dell’Eliseo, il monumento commemorativo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino per il bicentenario della rivoluzione francese e quello che ricorda le vittime dell’olocausto. Ercole che sorregge un obelisco, collocato nello ‘spazio di mezzo’ individuato e ridisegnato dal restauro negli interstizi fra le mura medievali e quelle cinquecentesche, cosi come è per le altre opere e forse più di ogni altra opera, diveniva in questa sua dislocazione possente e ipnotico richiamo all’eterno confronto delle storie con la Storia. Del suo colloquio con Arezzo e con la classicità parla peraltro esplicitamente Ivan Theimer, intervistato per il catalogo uscito in occasione della mostra così descrivendo il suo percorso: “…la mia vita è piena di destini, come d’altronde la storia del mondo classico. Ho scoperto Arezzo e naturalmente Piero quando ero studente all’Accademia di Belle Arti di Parigi ... Ho ammirato spesso la Pala di Brera a Milano, il Battesimo di Londra e ancora il Polittico di Sant’Antonio a Perugia o la Maddalena del Parto di Monterchi. La Pala della Misericordia di Sansepolcro e il suo manto protettivo mi hanno ispirato per il monumento che ho creato a Dieulefit, in Provenza, un memoriale dedicato alla pietà che può scon-

pagina a fronte Immagine della mostra di Ugo Riva nella Fortezza (2017)

figgere la guerra. Gli affreschi della Vera Croce, le pietre di Arezzo, che digradano dal colle etrusco verso la pianura sono stati per me come una campana che risveglia gli antichi sogni e i ricordi sotterranei. Una vera e propria storia di rinascita per uno che ha vissuto l’emigrazione, la ricerca di una nuova identità, ma si è anche confrontato con l’accoglienza, con l’emozione dei luoghi e delle persone…”4. Altrettanto chiarificatrici sono le riflessioni con le quali Vittorio Sgarbi, curatore della mostra, apre il catalogo: “Theimer ad Arezzo ha trovato un giorno lo specchio della sua visione, prima nella Chimera e poi nella Storia della Vera Croce di Piero della Francesca … Misurandosi con Piero Ivan corona un sogno e la sua laboriosa formazione appartiene alla storia non a un delirio … L’intatta necessità di ripercorrere il Mito ha il suo antecedente proprio in alcune rare prove di Piero di soggetto non religioso. Penso all’Ercole ‘strappato’ a Borgo Sansepolcro e ora allo Stewart Gardner Museum di Boston: una vera rianimazione dell’antico, una ricostruzione di un mondo perduto … In quell’Ercole Piero ci rappresenta cos’è letteralmente la rinascita: sentire modo antico e mondo moderno come un solo mondo. E quando Theimer concepisce il suo Ercole che sostiene un obelisco ripercorre il cammino di Piero. Lo si avverte nel maestoso spazio della rocca popolato da Theimer di guerrieri e trofei, spazio ideale per la ricostruzione del Mito, di un mondo do eroi oggi scomparsi … Quando entriamo nella rocca di Arezzo non avvertiamo, come in ogni mostra di arte contemporanea in uno spazio storico, lo stacco fra l’antico e il moderno. Le sculture che sono state esposte nella rocca sembrano nate per stare lì, in una continuità ideale e materiale. Non si percepisce la distanza tra due mondi e due modelli di pensiero. Non c’è, dunque, astrazione”5.

4 5

Sgarbi 2016, p. 212. Ivi, p. 14.

pagine 164-165 Immagini della mostra di Gustavo Aceves nella Fortezza (2018)

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Ancor prima dei recenti restauri, nel corso di opere di scavo e di indagine condotti negli anni Novanta del secolo scorso, fu ritrovata una delle porte di accesso alla cittadella medievale poi distrutta per costruire la fortezza medicea, inglobata nella fabbrica cinquecentesca e riapparsa in quell’occasione. Fu chiamata la ‘Porta dell’Angelo’ perché al di sopra del fornice di ingresso fu rinvenuto un bassorilievo che raffigurava San Michele Arcangelo, ora custodito presso il Museo d’arte medievale e moderna di Arezzo. La mostra delle opere di Ugo Riva, tenutasi nella Fortezza dal giugno al gennaio 20176, ha avuto per titolo, appunto, La Porta dell’Angelo e di angeli si è popolata la Fortezza, immaginati e materializzatisi con altrettanta imprevedibilità ovunque si formasse un dialogo che, con una lingua sconosciuta, pure antica e nuova, facesse parlare gli angeli con la materia e il luogo spiegando l’eternità della materia stessa, la sua infinita mutevolezza, la solo apparente prigionia della terracotta, del bronzo, della pietra in figure e architetture la cui appartenenza all’antico e alla classicità libera la materia stessa nel mondo immaginifico e sensoriale contemporaneo. Anche qui vale la pena far parlare i protagonisti della mostra, che indicano prioritariamente il connubio, il dialogo e la riveImmagini della mostra di Mimmo Paladino nella Fortezza (2019- 2020)

lazione dell’incontro fra spazio restaurato ed espressione artistica contemporanea. Ugo Riva così descrive il suo incontro con la Fortezza: “… Mentre la magia del luogo si impadroniva di me apparivano spontaneamente nella mente le opere necessarie ad abitarlo. La mostra si era composta da sola … avrei desiderato immensamente rimanere a tu per tu con questa nuova creatura che mi parlava di sé, della sua storia, delle anime che l’avevano vissuta, percorsa, ne percepivo l’energia … Quando sono tornato ancora una volta alla Fortezza, per rivedere gli spazi, ho sentito che tra lei e la mia opera poteva nascere una intesa forte e piena di senso, rivelandosi, prima che una certezza, una necessità”7. Analogamente, dell’intenso e inaspettato confronto fra la sedimentazione storica della Fortezza narrata con il restauro e le opere di Ugo Riva, nate antiche, vive ‘per corrosione’, dice il curatore della mostra: “…Qui le tormentate creazioni di Ugo Riva hanno trovato pace, qui rifugio. Dopo i Sassi di Matera… è toccato ora a questa architettura potente e difensiva. Il destino stabilisce per i luoghi un’identificazione e anche una voMostra a cura di Vittorio Sgarbi, allestimento a cura di Roberto Barbetti, Ugo Riva, Realizzarte s.a.s., Francesca Sacchi Tommasi. 7 Sgarbi 2017, p. 15. 6


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Immagine della mostra di Gustavo Aceves nella Fortezza (2018)

cazione specifica. Ecco: questo è accaduto per Arezzo e per la sua Fortezza Medicea. E sono certo che il futuro di questo spazio sarà d’essere casa della scultura e anche del dialogo tra arte moderna ed antica”8. È seguita alle mostre appena ricordate quella dell’artista messicano Gustavo Aceves, tenutasi nella seconda metà del 2018, dal titolo Lapidarium: dalla parte dei vinti, un progetto itinerante cui l’artista lavora dal 2014 che amplia logisticamente il confronto espositivo del pensiero contemporaneo con gli spazi della classicità interessando la Fortezza, la chiesa di San Francesco, il sagrato del Duomo, piazza Vasari, con più di 200 opere realizzate in pietra, bronzo, resina, legno e altri materiali divenuti cavalli in viaggio simboli di fughe, abbandoni, migrazioni, frammenti sparsi di dolore e speranza. I suoi cavalli, formati da frammenti intensamente evocativi di percorsi umani, corrono per raccontare storie di vinti, di antieroi. Il cavallo, simbolo araldico di Arezzo, appartiene ad un’iconografia che ha ispirato Aceves a partire dalla storia delle peregrinazioni della Quadriga di San Marco, la stessa che l’aretino Francesco Petrarca disse, nel 1364, trasferita alla Repubblica di Venezia. Tale Quadriga si trasforma, nell’opera del maestro messicano, in racconto di peregrinazioni, interpretato da cavalli solitari, inquieti, fermi fra il Bastione della Spina e il Bastione della Diacciaia, e altri puledri galoppanti in branco fra il secondo e il primo corpo di guardia della Fortezza, dando origine ai più rumorosi e laceranti silenzi mai avvertiti da secoli.

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Ivi, p. 13.


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Uno dei più importanti artisti contemporanei incontra uno dei suoi Maestri: è questo il senso de “La regola di Piero” la grande mostra personale che, ad Arezzo dal 15 giugno 2019 presenta l’omaggio di Mimmo Paladino al grande pittore quattrocentesco Piero della Francesca. L’arte di Paladino fonda le sue radici nella grande tradizione figurativa e filosofica italiana. Una passione che lo ha spesso portato a riscoprire le culture più diverse, alla ricerca di un confronto con gli archetipi, le matrici iconiche, le tradizioni fondanti che, dalle civiltà pre-romane al Rinascimento, hanno costellato il pensiero mediterraneo. L’esposizione aretina 9approfondisce il rapporto tra Paladino e una delle figure del passato che più hanno contato nella sua formazione e con la quale ha intrattenuto un dialogo costante in tutta la sua ricerca artistica: Piero della Francesca. Una relazione riassunta dal titolo della mostra, “La regola di Piero”, che conferma quanto il pittore e matematico quattrocentesco di Sansepolcro sia stato determinante come fonte di ispirazione non solo a livello estetico, ma anche metodologico e teorico. Un omaggio garbato che, pur svolgendosi e dipanandosi per tutta la città, non chiama mai direttamente in causa il Maestro a livello formale, ma si risolve nel manifestare una condivisione di valori, come l’incontro tra tradizione e modernità, tra razionalità ed emozione, tra luce, forma e colore, tra idealizzazione, astrazione, simbolo e realtà. Più di cinquanta opere di Pala-

dino sono esposte in un percorso itinerante che tocca sei diverse sedi espositive. I due nuclei centrali della mostra – che vede protagonista proprio la pittura e che presenta opere tridimensionali nella loro naturale vocazione pittorica – sono la Galleria comunale d’Arte Contemporanea, che torna ad offrire grandi capolavori al pubblico, e la Fortezza Medicea, recente teatro di esposizioni d’arte. Per la Fortezza sono state selezionate un nucleo di opere monumentali capaci di innescare una tensione drammatica non comune con la scabra natura degli spazi. Il percorso comincia, anche in questo caso, con un’opera degli anni Ottanta: si tratta di “Senza titolo” un carro di bronzo del 1988 che trasporta venti teste, preziosi trofei di un corteo apotropaico che conducono all’interno della fortificazione. Tra le altre sculture-pittoriche monumentali presentate, spiccano i nove elementi di “Vento d’acqua”, sempre in bronzo, del 2005 già esposta al Museo di Capodimonte di Napoli e i giganteschi “Specchi ustori” realizzati nel 2017 proprio per l’esposizione bresciana del 2017. 9

L’esposizione è stata voluta dalla Fondazione Guido d’Arezzo e dal Comune di Arezzo e curata da Luigi Maria Di Corato,

Immagine della mostra di Mimmo Paladino nella Fortezza (2019- 2020)

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osservazioni in dettaglio: materiali e tecniche delle addizioni Ulrike Schulze

Ogni attività progettuale avviene e deve avvenire per passi o gradi, approfondimenti o ingrandimenti che definiscono la messa a fuoco di una parte, ne aumentano la definizione e ci permettono una conoscenza sempre maggiore e dettagliata. In architettura la progettazione segue un percorso di scale metriche alle quali associamo una quantità di informazioni crescente man mano che la scala aumenta, chiaramente definita nel disegno a mano, più confusamente riproposta nella rappresentazione virtuale, che apparentemente permette l’ingrandimento istantaneo ed infinito. La prima idea, la ricerca dell’immagine da raggiungere, l’obbiettivo finale non possono prescindere da un’astrazione della realtà, da un’estrema semplificazione, che ci permette di indicare l’essenza della soluzione in modo da definire la direzione che i nostri sforzi progettuali dovranno prendere. Di quell’immagine pura iniziale andrà perduta, via via che si ingrandisce la scala, l’apparente semplicità senza che debba venire meno però – ammesso di non cadere vittime di troppe distrazioni – l’obbiettivo estetico iniziale e ancor meno quello funzionale. Con la necessità di applicare un sistema complesso alla situazione reale aumenta la quantità di elementi coinvolti, interessati, significativi, così avviene anche per ogni soluzione architettonica, che per essere realizzata e poter rispondere alle diverse, a volte addirittura contrastanti, necessità che il luogo specifico richiede, ha bisogno di essere sviluppata, particolareggiata, decomposta in ogni singolo elemento che la costituisce prima di passare alla fase di realizzazione. Il cantiere necessariamente ci pone di fronte ad un’unica scala possibile: quella finale, reale, la scala 1:1; inoltre ci restituisce inevitabilmente la terza dimensione, abbandonata nel processo di astrazione, affidata alla capacità immaginaria del progettista oppure talvolta, sempre più di frequente, simulata virtualmente. Allo stesso momento avviene il confronto con le maestranze che dovranno realizzare, senza decorrere ad applicazioni virtuali, le soluzioni progettate. Dalla specificità dell’approccio, avvenuto per passi e guidato dall’immagine pura iniziale, alla conoscenza particolareggiata degli elementi da comporre, seguendo un quadro normativo complesso e non sempre privo di contraddizioni, lungo il percorso progettuale si incrociano e si raccolgono molteplici informazioni e indicazioni che si devono trasmettere, condividere ed eventualmente perfezionare anche in collaborazione con l’esecutore in modo da soddisfare insieme l’intenzionalità progettuale.

pagina a fronte Il Bastione della Diacciaia durante la mostra di Ugo Riva; Nuove aperture, nuovi percorsi, 2017


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Il Bastione del Belvedere; Il nuovo ponte pedonale, 2020

Il cantiere di restauro più di altri cantieri presenta delle difficoltà particolari dovute all’impossi-

pagina a fronte Addizione all’ingresso principale; Il nuovo ascensore, 2017

modificabile, affinabile, ma costituisce testimonianza storica o storicizzata, racconta la sua storia

bilità di influenzare, modellare o piegare alla volontà progettuale la parte preesistente: non è più evolutiva, trasmette conoscenza di una parte del passato. Si rende quindi necessario intraprendere un dialogo tra la parte antica e gli inserimenti del nuovo, nel rispetto della memoria ma anche del presente, dell’innovazione e dei valori del passato in modo da dare delle risposte alle necessità della collettività. Le parti nuove che a loro volta narrano una storia: delle tecnologie edilizie, delle modalità di lavorazione, dell’evoluzione dei materiali, dovranno rendere possibile e piacevole l’utilizzo, – che sappiamo essere il primo garante della conservazione dei beni architettonici – senza proporsi come false testimonianze, senza disturbare o distorcere il contesto, senza entrare in competizione ma semplicemente affiancando in modo ragionato e consapevole della strategia d’intervento, la parte esistente a completamento e a supporto. Un’estrema difficoltà nel complesso e variegato percorso progettuale dell’intervento di restauro della Fortezza di Arezzo è stata senza dubbio l’impossibilità di una lettura completa del costruito e del suo contesto, in gran parte nascosto sotto terra di riporto, sotto la vegetazione e sotto le macerie depositate nell’avvicendarsi della storia nel corso dei secoli. Per molte aree della Fortezza di Arezzo, il progetto definitivo ma anche quello esecutivo erano necessariamente basati su una lettura parziale, su saggi puntuali, su interpretazioni della parte emergente.



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Di conseguenza, durante la fase esecutiva, si è resa necessaria una costante riprogettazione di molte parti dell’intervento, cioè ogni qual volta la materia effettiva riportata alla luce contrastava con le previsioni di progetto o addirittura, come in molti casi, rendeva del tutto impossibile seguire il filo progettuale. Ed è così che durante i lavori, imponendo tempi e modi inusuali, molte volte si è resa necessaria una rilettura critica dei luoghi, una verifica delle scelte progettuali e in molti casi una nuova progettazione basata su ridimensionamenti e anche su rinunce, in nessun caso alla materia storica, per arrivare a imprevedibili soluzioni di insieme e di dettaglio sempre alla ricerca di una coerenza progettuale. Si cerca di dare spazio ad alcuni di questi dialoghi della parte storica rinvenuta con le addizioni di nuova progettazione, affiancando alle immagini le descrizioni e le riflessioni relative allo sviluppo in dettaglio delle soluzioni progettuali. È necessario ricordare quanto sia irrinunciabile l’approccio pluridisciplinare alla progettazione del particolare che, oltre all’aspetto concettuale ed estetico, non L’ngresso principale ed il nuovo ascensore; sezione trasversale Il nuovo ascensore all’ingresso principale; prospetto

può trascurare le esigenze statiche, climatiche, di sicurezza e di comfort e nemmeno disattendere l’effettiva e agevole eseguibilità dell’opera da parte delle maestranze coinvolte, senza rinunciare mai a sottostare al diktat del corrispettivo economico previsto e sostenibile per una committenza pubblica. Mentre una gran parte della Fortezza di Arezzo resterà per sua natura museo di se stesso, della storia dell’architettura difensiva e della storia di Arezzo, la maggior parte degli spazi, in particolar modo quelli interni ai Bastioni, doveva essere rifunzionalizzata per un utilizzo chiaramente del tutto estraneo da quello originario, per essere restituita a una fruizione a fini culturali, commerciali o di intrattenimento. Per i primi l’intervento doveva mirare a garantire la leggibilità del monumento e della sua storia, oltre all’accessibilità da parte di tutti in condizioni di assoluta sicurezza, evitando di escludere troppi spazi dalla visita del pubblico per motivi legati alla presenza di barriere architettoniche o problematiche legate a una percorrenza in sicurezza. Per i secondi l’adeguamento a scopi espositivi, convegnistici, culturali e commerciali richiedeva l’inserimento di tutte le dotazioni finalizzate a corrispondere alle necessità impiantistiche, illuminotecniche e igieniche imposte dalle normative vigenti e dagli enti competenti, ovviamente sempre valutando l’impatto delle addizioni nei confronti della peculiarità storica del costruito. Addizioni funzionali: l’ascensore – il palco – gli spazi di servizio Il futuro dei luoghi della Fortezza dipendeva innanzitutto dalle diverse possibilità di percorrenza di un luogo in origine ideato per rispondere ad esigenze di tipo militare; ecco che l’ubicazione degli accessi e delle risalite fin dal progetto preliminare acquistava importanza vitale; l’inserimento di ascensori per il superamento dei dislivelli era inevitabile e con questo l’inserimento del nuovo a contatto con l’antico era l’unica risposta possibile ad una utilizzazione della Fortezza da parte della comunità tutta. La strategia d’intervento, il filo conduttore dell’approccio ha guidato anche qui le scelte nel rispetto della materia antica, lasciando che la comprensione del contesto indicasse volta per volta la soluzione progettuale. L’accesso principale della Fortezza dalla città di Arezzo


osservazioni in dettaglio: materiali e tecniche delle addizioni • ulrike schulze

L’area centrale; Il nuovo palco scenico, 2020 Il nuovo palcoscenico; prospetto

presentava una spazialità intatta da tutelare e da affiancare letteralmente con l’addizione funzionale della risalita meccanizzata. Infatti dal primo corpo di guardia, solo un’apertura nella muratura è testimone dell’intervento, da cui si accede al corpo distaccato, indipendente dal monumento e interrato per la prima parte. Il vano dell’ascensore è stato realizzato in cemento armato e rivestito con elementi in lamiera di acciaio cor-ten, materiale scelto oltre che per la sua caratteristica di trasformazione nel tempo, per la formazione della patina che lascia percepire il passare del tempo e ne risalta la bellezza cromatica che particolarmente bene si abbina alle tonalità naturali delle pietre, dei mattoni e della terra, ma anche per la volontà di lasciare che la pelle esterna dichiari apertamente l’identità di addizione del nuovo all’interno di un sistema storico, attraverso il linguaggio di un materiale riferibile a una storia più recente e contemporanea con caratteristiche innovative rispetto a quelle tradizionali ad iniziare dal ciclo di produzione e dalle modalità di lavorazione. Lamiere piegate a formare doghe rigide, poste ad incastro in modo da presentare fughe che fanno da gocciolatoio e permettono il deflusso delle acque piovane, montate orizzontalmente su di una

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pagina a fronte Il Bastione della Diacciaia durante la mostra di Ugo Riva; Un’addizione per un servizio igienico e spazio tecnologico, 2017

sottostruttura verticale in alluminio rivestono tutto il corpo ascensore, che così si pone come solido aggiunto vicino agli altri volumi della Fortezza. Formalmente le fughe orizzontali ricordano la direzionalità delle tessiture murarie, in pietra o mattoni che siano, ma qui appaiono con una regolarità che testimonia l’appartenenza a un’epoca di lavorazioni a macchina. Appartiene allo stesso gruppo di addizioni il grande palcoscenico inserito all’estremità meridionale dello spazio ovoidale; elemento autonomo con evidenti ragioni funzionalistiche, distaccato e anche distante dalle cinte murarie e dai Bastioni della Fortezza, riesce ad entrare in dialogo con le massicce presenze storiche attraverso un linguaggio dei solidi collocati nello spazio aperto. Come per l’ascensore dell’ingresso, il rivestimento a doghe in acciaio cor-ten, con le fughe in leggera depressione, riveste la parte fuori terra e reinterpreta la tessitura della pietra a vista mentre la tonalità della patina va a sfumare con i colori della terra riportata lungo il perimetro curvilineo a formare delle scarpate. La pavimentazione del palcoscenico, per tradizione tipologica, ma anche per una scelta ben precisa estesa agli altri elementi aggiunti come le passerelle sopraelevate di collegamento e i ponti pedonali, è realizzata in assito di legno: materiale storico, ma qui proposto con il linguaggio contemporaneo delle superfici orizzontali in listoni di legno autoclavato e rigato, a rappresentare l’aspetto transitorio dell’addizione in confronto a quello illimitato del monumento stesso. Le vicende di una storia recente hanno segnato pesantemente la parte centrale della Fortezza di Arezzo: l’enorme serbatoio di acqua, realizzato in cemento armato nel secolo scorso e interrato al suo centro, ha alterato tutte le quote altimetriche originali degli spazi aperti contenuti all’interno delle mura della fortificazione. Nel tentativo di riscoprirne più possibile e di liberare i paramenti e gli accessi ai vani posti nei bastioni sepolti, sono venuti alla luce anche alcune parti di questa aggiunta recente come la parete in cemento armato, che accompagna la rampa di accesso dall’ingresso principale o il vano tecnico posto sopra al corridoio di accesso al serbatoio. Addizioni pure Dettaglio del rivestimento in Cor-Ten dell’ascensore; sezione verticale Dettagli; Il rivestimento in Cor-Ten dell’ascensore, 2017 L’addizione per un servizio igienico e spazio tecnico

queste, anche se non parte della progettualità in corso di realizzazione e frutto di considerazioni di ben altra natura; ciononostante inamovibili presenze da leggere in modo analitico cercando quella coerenza progettuale che non poteva che servirsi del vocabolario adottato per l’intervento e reagire con il rivestimento in acciaio cor-ten anche di quelle parti di recente fattura rinvenute durante gli scavi. Dirimpetto al rivestimento così realizzato troviamo invece un’antica cortina muraria, posta quasi in parallelo, riscoperta anch’essa durante gli scavi. Dichiaratamente attuale si propone anche il piccolo manufatto autonomo posto in prossimità del Bastione della Diacciaia, necessario per rendere funzionale quella parte della Fortezza. La situazione particolarmente delicata, in un contesto frutto di una complessa serie di fasi e di successive modifiche, imponeva molta attenzione alla reversibilità dell’intervento proposto. Il piccolo nucleo è realizzato in profili in acciaio e pannelli prefabbricati, delle dimensioni minime a garantire l’inserimento di un servizio a norma e a contenere quella parte di impiantistica necessaria a poter restituire anche questa parte del monumento alla collettività.


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Anche qui il leitmotiv della superficie nuova ma mutevole rivestita con le lamiere piegate in cor-ten fa da guida nella lettura critica del visitatore. Relativamente alla questione delle addizioni è stata quindi svolta una ricerca di materiali e cromie che potessero stabilire connessioni e continuità fra interventi separati e puntuali ma allo stesso tempo fra la materia antica e quella aggiunta; la stessa modalità è indicativa anche di quei pochi interventi di sottrazione, laddove cioè è stato necessario aprire dei varchi per poter accedere a singoli ambienti o addirittura a intere porzioni del monumento. A sostegno della porzione di muratura sovrastante il vano porta creato, solitamente di notevole spessore, è stata sviluppata un’architravatura composta da mensole laterali ancorate alle murature esistenti ed elementi in lamiera di cor-ten piegate, in modo da formare la parte orizzontale a sostegno della muratura sovrastante. Il prospetto interno al primo corpo di guardia nel tempo è stato modificato in virtù di esigenze diverse, realizzate in maniera quasi spontanea e successivamente parzialmente demolite, si presentava all’inizio dei lavori con un grande squarcio nella muratura aperto su quel che parrebbe essere un camino realizzato in mattoni a vista. Per la sua posizione e per gli evidenti rimaneggiamenti presenti in quella porzione dell’ingresso principale, si prestava ad un intervento di reinterpretazione: il “camino” dunque si trasforma un’ulteriore volta per divenire porta e accesso in quota all’area del Bastione della Diacciaia. L’elemento studiato per assolvere a quella funzione di portale ricorda vagamente anche le cornici in pietra presenti nei camini antichi: i lati inclinati nella parte superiore nascono dalla necessità di salvare tutta la materia muraria esistente al momento dell’intervento e di permettere il passaggio delle persone, allo stesso tempo riprendono l’andamento obliquo della cappa in muratura retrostante. Le lamiere in cor-ten sono dimensionate ed assemblate in modo da creare una


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sorta di cerchiatura a supporto della parte di muratura sovrastante realizzata a ricucire lo squarcio, posta in leggera depressione rispetto a quella preesistente rendendo così possibile una lettura critica degli interventi succedutisi nel tempo. Il nuovo ingesso al Bastione del Soccorso Diversa è la storia che narra il Bastione del Soccorso, gravemente ferito dalle mine napoleoniche del 1800, che hanno provocato il crollo di uno dei due lobi del bastione cuoriforme; una ferita oraIl Bastione del Soccorso; schema planimetrico

mai storicizzata e testimonianza dell’avvicendarsi della storia e delle guerre, giunta ai nostri giorni spoglia anche della materia che una volta ne definiva la forma. Dell’approccio concettuale al tema dell’identità del luogo quale opportunità culturale e ricerca formale e funzionale, è già stato riferito in questo stesso volume1; desidero qui sottolineare come le questioni dello sviluppo in dettaglio e della realizzazione del progetto di restauro siano strettamente legate e in continuità con la volontà progettuale di base. In questa parte della Fortezza i temi sono molteplici; senz’altro più significativa e vitale per una rifunzionalizzazione della Fortezza quale luogo di attrazione per la comunità, è la riorganizzazione degli accessi e dei luoghi di deflusso. La possibilità di risolvere una necessità pratica e funzionale come l’inserimento di una risalita, meccanica e non, oltre ad un’area di accoglienza posta in continuità tra esterno ed interno, senza la perdita di materia e senza che venisse alterata una spazia-

pagine 178-179 Dettagli; L’architravatura di una nuova apertura, 2017

lità conservata nel tempo, rappresentava un’opportunità determinante. La nuova hall riprende la

Il primo corpo di guardia durante e dopo i lavori, L’intervento di richiusura di una mancanza muraria; 2015-2017

cercare di riconquistare una continuità perduta doveva essere un materiale in grado di costituire

Il corridoio tra il primo corpo di guardia ed il secondo corpo di guardia durante la mostra di Ugo Riva; Il corridoio d’ingresso - uno spazio espositivo; 2017

geometria del bastione angolare, ma a dare forma ad una “ricomposizione dell’immagine” e a una definizione volumetrica che permettesse la lettura critica ed interpretasse diversamente dalla pietra perduta l’oramai apparente inaccessibilità della struttura fortificata. Allo scopo è stata studiata anche qui una cortina in acciaio cor-ten, qui però impiegato in modo del tutto diverso: pieni e vuoti si alternano ad un interasse di ventiquattro centimetri, formati da lamelle curvate dello spessore di tre millimetri e di un’altezza di quattordici centimetri, fissate con bulloni a fazzoletti

pagina a fronte Il Bastione del Soccorso; Un nuovo ingresso, 2017

asolati in modo da permettere gli aggiustamenti di precisione, a loro volta imbullonati ai richiami saldati alla struttura verticale in acciaio, lasciando così trasparire e intuire l’interno della fortezza e la sua spazialità originaria. Ogni lamella ripercorre una linea orizzontale dettata dalla geometria del lobo intatto, ridisegnando fedelmente la rastrematura della parte bassa della cortina, indicando il toro nel punto in cui inizia la parte verticale fino a segnare la sommità alta. Tagliate una a una a misura e con un leggero distacco fra loro, le lamelle si accostano in aggetto alla linea irregolare definita dal crollo ottocentesco.

1 Si veda il saggio di M. De Vita: Un nuovo polo per la cultura contemporanea ad Arezzo. Il restauro della Fortezza: conservazione, addizioni, rivelazioni. in questo stesso volume.


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pagina a fronte Il Bastione del Soccorso; La parte illesa dopo il restauro, 2015

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pagine 184-185 Il Bastione del Soccorso; Le addizioni: l’ascensore, la copertura in vetro, gli infissi, la struttura metallica, 2017

La nuova struttura metallica del Bastione del Soccorso; sezione verticale Dettaglio della nuova struttura metallica del Bastione del Soccorso; sezione verticale – prospetto laterale del pilastro

È in questa parte del progetto infatti che si evidenzia particolarmente come il dettaglio nel cantiere di restauro richieda di operare con maestranze che lavorino su misura, controllando costantemente la rispondenza tra l’elemento aggiunto e la materia esistente oltre al carattere pluridisciplinare, che vede la struttura portante metallica – ovviamente realizzata fuori opera ed assemblata sul posto – supportare ed interpretare esattamente la geometria dello schermo. La sommità dell’addizione invece è formata da lastre in vetro temperato e stratificato che ripercorrono in orizzontale la sagoma del lobo mancante e costituiscono la copertura della nuova area di ingresso, fissate puntualmente con elementi in acciaio inox alla struttura a forma di raggiera, meglio descritta ed approfondita in altra parte dello stesso volume2. Alla base dei montanti verticali sono stati realizzati dei plinti, al di sopra dei quali sono poste delle vasche in lamiera di acciaio cor-ten a contenere la terra necessaria alle piante rampicanti che, a partire dal basso e in modo liberamente disomogeneo, dovrebbero trasformare la griglia in una parete parzialmente inverdita. La ridefinizione quindi del vuoto creato dal crollo non solo dell’imponente paramento murario, ma con esso anche degli orizzontamenti consistenti in massicce volte in mattoni, era rivolta a stabilire connessioni e continuità fra ambienti e livelli separati. Infatti l’ascensore ubicato in posizione centrale all’interno della nuova hall di ingresso permette di collegare direttamente con l’esterno i tre livelli principali della Fortezza. Anche qui il sistema di addizioni architettoniche e funzionali si serve del linguaggio comune basato sulle scelte concettuali e sviluppato seguendo le caratteristiche dei materiali individuati per gli elementi aggiunti. In continuità con la struttura metallica di supporto allo schermo in lamelle in cor-ten anche l’ascensore è stato progettato come parte della stessa struttura in acciaio, minimizzando così l’impatto visivo e garantendo insieme a un involucro di vetro la trasparenza suggerita dallo schermo a lamelle. Quattro montanti verticali vengono collegati orizzontalmente in corrispondenza degli sbarchi e degli accessi e sono già completi di piatti saldati per l’appoggio delle lastre di vetro temperato e stratificato, formato da due lastre con interposta pellicola, dalle specifiche caratteristiche imposte dalle normative, che vengono poi fermate solamente con l’aggiunta di fermavetri in acciaio. All’interno del vano ascensore viene così creata la superficie liscia richiesta, mentre dalla hall si leggono tutti gli elementi necessari alla rispondenza della struttura ai calcoli inerenti il comportamento sismico e statico. Per la parte posta all’interno della hall lo spirito dell’intervento punta alla massima trasparenza che permette al visitatore di percepire la continuità fra interno ed esterno, e quindi fra lo spazio circoscritto e già appartenente alla fortezza, e il paesaggio circostante, facilitando così l’identificazione del contesto. Per la parte terminale, al di sopra della copertura in vetro strutturale, e

2 Si veda il saggio di L. Paolini: La Fortezza di Arezzo, ricostruzioni, consolidamenti e strutture per i nuovi elementi funzionali, in questo stesso volume.

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quindi oltre la sommità storica, la struttura dell’ascensore si costituisce invece elemento di supporto del proseguo della griglia di lamelle in cor-ten. L’intera struttura portante è realizzata con profilati d’acciaio prodotti industrialmente, assemblati, zincati e verniciati di tonalità simile al cor-ten. Gli infissi a chiusura degli Ex-Rifugi del Bastione del Soccorso Il prospetto della serie di ambienti voltati posti in continuità al Bastione del Soccorso, ritrovato dopo anni di sepoltura, colpisce per il contrasto tra la serialità delle arcate e il carattere spontaneo e disomogeneo della forma delle stesse. Realizzato in virtù di esigenze funzionali e difensive, certamente non dominato da un’affinata volontà estetica e di perfezione formale, ispirato dalla presenza di materiali edili derivanti dalla demolizione della cittadella medioevale riutilizzati con disinvoltura, ogni arco ha andamento diseguale dal suo prossimo, spesso con le imposte ad altezze diverse e Gli infissi a chiusura degli Ex-Rifugi del Bastione del Soccorso; prospetto Dettaglio del infisso a chiusura degli Ex-Rifugi del Bastione del Soccorso; sezione verticale

poca affinità con forme geometriche perfette. L’attuale produzione di infissi delocalizzata e legata al sistema industriale e seriale non può corrispondere all’esigenza di una produzione su misura di ogni singolo elemento. Dal rilievo, alla realizzazione di una dima metallica in scala reale sul luogo, alla lavorazione artigianale del profilo in acciaio, la specificità dell’intervento poteva coinvolgere

Dettagli; Gli infissi metallici del Bastione del Soccorso, 2017

solamente maestranze legate al processo edilizio tradizionale. La scelta materica segue il filo con-

pagina a fronte La copertura in vetro delle bocche da fumo, 2016 “Bozzetto per il bicentenario della Normale di Pisa” di Ivan Theimer, bronzo

esilità della struttura e massima trasparenza del diaframma, a sottolineare la massiccia presenza del-

duttore: l’immagine pura iniziale di un tamponamento invisibile fa scaturire la volontà di massima la pietra, ma con prestazioni atte ad isolare termicamente gli ambienti, garantendo così il comfort dell’ambiente interno. I profili in acciaio, vista l’elevata resistenza meccanica del materiale, consentono di utilizzare profili di sezione ridotta riducendo al minimo l’impatto visivo dell’infisso; al contempo le caratteristiche di grande lavorabilità e saldabilità dell’acciaio permettono di costruire serramenti su disegno. Nonostante la realizzazione a misura di ogni singolo infisso, anche dopo il suo posizionamento in luogo era necessario un intervento ad hoc per colmare e sigillare tutte quelle irregolarità create dall’utilizzo di elementi in pietra non lavorati allo scopo. Alla bellezza della tessitura in pietra a vista e della scoperta sorprendente di elementi architettonici utilizzati fuori contesto, insieme all’assenza di intonaci negli ambienti interni, si è reagito realizzando un


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pagina a fronte Dettagli; Particolare della copertura in vetro delle bocche da fumo, la struttura di supporto, 2020 Dettagli; Particolari della copertura in vetro delle bocche da fumo, 2020

coprifilo metallico sagomato a mano che ripercorre fedelmente l’andamento delle parti in pietra. In assenza dell’utilizzatore finale dell’opera la funzionalità degli ambienti doveva garantire la massima flessibilità nell’utilizzo; ogni vano è quindi accessibile direttamente dall’esterno in modo da essere autonomo attraverso un’anta apribile al centro dell’infisso, posizione che garantiva la realizzazione di porte dimensionate opportunamente e omogenee tra di loro, mentre la complanarità dei profili rende pressoché impercettibile l’accostamento del telaio fisso con quello mobile. I lucernari a copertura delle bocche da fumo L’intervento studiato per le coperture delle bocche da fumo, che hanno forme e dimensioni diverPlanimetria generale con i lucernari a copertura delle bocche da fumo

sificate le une dalle altre, con delle superfici che arrivano fino a coprire circa venticinque metri

Un lucernario a copertura delle bocche da fumo; pianta, sezione verticale, dettaglio del prospetto

quadri, rappresenta un altro esempio importante e travagliato di un approccio progettuale pluridisciplinare. Già nelle premesse del progetto definitivo emergeva la volontà di minimizzare l’impatto di una copertura in contrasto con la funzione originaria, d’altronde irrinunciabile dal punto di vista della funzionalità degli ambienti sottostanti. Era necessario garantire oltre all’impermeabilità una superficie ben precisa per l’areazione naturale degli ambienti; inoltre risultava fondamentale tutelare la sicurezza dei fruitori anche nel caso di utilizzi impropri di quanto, a tutti gli effetti, rappresenta una copertura purché posta all’altezza di un metro da terra, per cui di facile raggiungimento. Le scelte progettuali mirate a mitigare la presenza delle coperture, pur tutelando tutti gli aspetti di ordine di sicurezza e di natura igienico-sanitaria, sono state condivise in riunioni specifiche durante i lavori che hanno visto l’assommarsi delle competenze della Direzione dei Lavori e le singole direzioni operative e della Soprintendenza ai Beni Architettonici ed Artistici di Arezzo, oltre a quelle dell’impresa esecutrice con le sue maestranze e con i suoi tecnici progettisti, della coordinazione della sicurezza, dell’organo di collaudo e dell’amministrazione Comunale Committente. Esclusa la possibilità di un inserimento delle vetrate all’interno dei camini già esistenti, per problematiche accentuate legate alla possibilità di allontanamento delle acque piovane, che avrebbe comportato la conseguente necessità di costante manutenzione per evitare infiltrazioni di acqua all’interno dei vani, ma mantenendo la volontà di ottenere delle superfici trasparenti massimali senza riduzioni eccessive per l’inserimento di canali di raccolta e scossaline, rimaneva la sola possibilità della copertura dall’alto. La consistenza materica delle coperture doveva - così esposta - avere caratteristiche di essenzialità e leggerezza, pur resistendo alle aggressioni di una fruizione imprevedibile. Acciaio e vetro ancora una volta dovevano formare un insieme dalle massime prestazioni: il ruolo dell’acciaio doveva svilupparsi all’interno del camino, rappresentando una presenza solo accennata e quasi immaginata, mentre la trasparenza e l’impermeabilità del vetro, oltre all’apparente leggerezza, potevano divenire protagoniste creando una superficie continua e in evidenza, dando l’impressione di una fluttuazione autonoma al di sopra dei camini. Gli elementi verticali della struttura portante in acciaio sono ancorati dall’interno alle murature


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perimetrali esistenti, le mensole, poste perpendicolarmente al lato lungo, scomposte in due lame di acciaio rastremate verso i bordi. In questo modo sono smaterializzate riducendole a solo due linee sia nell’appoggio sia nel prospetto, e mantengono un ritmo di circa un metro, misura massima stabilita per le lastre di vetro. A collegamento delle mensole fungono altri piatti in acciaio, che insieme a due mensole di testa supportano gli elementi d’angolo, composti come tutte le altre lastre di vetro da 3 cristalli accoppiati con interposta pellicola di spessore complessivo di 4 cm. L’impermeabilità viene garantita dalla sigillatura lungo gli accostamenti in silicone trasparente a sottolineare l’impressione della superficie unica; un piccolo gocciolatoio in vetro evita che possano rientrare gocce lungo i bordi; lateralmente rimangono aperte delle fessure di circa 13 cm, a garanzia della superficie aerante richiesta. La natura del manufatto e del luogo, con i camminamenti alti sollevati al di sopra della città, comunica la sensazione di una sospensione nello spazio e nel tempo che si ripete e si rispecchia nelle superfici innalzate che ne coprono le bocche che secoli fa scagionavano i fumi dei cannoni. I percorsi sopraelevati del Bastione della Diacciaia e del Bastione del Belvedere Al momento dell’indagine a fini conoscitivi durante l’elaborazione del progetto, gran parte del Bastione della Diacciaia e tutta l’area del Bastione del Belvedere denotavano un accentuato stato di abbandono, cui si erano aggiunti in vari momenti interventi di messa in sicurezza delle parti prossime al crollo, asportazioni di materiali provenienti dai crolli, oltre al deposito e all’accumulo di terra di riporto velocemente infestata da vegetazione spontanea. Entrambi i Bastioni rivelavano un contesto frutto di una complessa serie di fasi e di successive modifiche, rinvenute durante l’esecuzione di scavi. Entrambi erano caratterizzati dall’assenza di tracce di pavimentazioni preesistenti e, viceversa, dalla presenza di frammenti di elementi in elevato come parti di scale in pietra, porzioni di murature, resti di basamenti o volte: da ciò è scaturita una risposta concettuale indirizzata ad evitare “completamenti” e quindi livellamenti o pavimentazioni continue. La volontà progettuale era invece volta a rendere percepibile il senso autentico del luogo attraverso la sequenza di spazi, per la maggior parte privi ormai di coperture, posti a quote e livelli discontinui e manomessi nel tempo. Si è voluto così inserire un elemento unificatore, nuovo, dal linguaggio contemporaneo e riconoscibile che collegasse con scale e rampe a norma tutti gli ambienti, muovendosi indipendentemente dalle murature perimetrali e in sopraelevato, ovvero senza toccare, coprire o riempire gli spazi se non per l’appoggio su piccole fondazioni puntuali. Le strutture in acciaio zincato e verniciato di tonalità simile al cor-ten sono estremamente semplici e regolari pur seguendo vano per vano l’andamento degli spazi preesistenti, collegandoli sia in orizzontale che per i dislivelli verticali senza creare barriere architettoniche; plinti puntuali, posizionati laddove non entrino in conflitto con strutture murarie pre-esistenti, costituiscono la base per i montanti verticali ancorati con piastre e tirafondi. La struttura orizzontale è composta da cosciali

pagina a fronte Il Bastione della Diacciaia durante la mostra di Ugo Riva; Nuovi percorsi, 2017

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Il Bastione del Belvedere; Il nuovo ponte pedonale, 2020

pagina a fronte Il Bastione della Diacciaia ed il Bastione del Belvedere; Nuovi percorsi, nuovi collegamenti, 2017, 2020

laterali ed elementi di collegamento perpendicolari che supportano direttamente la pavimentazione in assito in legno autoclavato portante. Al di sotto delle passerelle un canale metallico ospita tutti gli elementi impiantistici necessari, senza interferire in alcun modo con le murature storiche. La ringhiera di sicurezza è composta da profili a “t” rastremati verso l’alto che, attraverso semplici fori realizzati nell’anima, fanno da guida ai cavi in acciaio inox, posti ad interasse di 10 centimetri, messi in tensione attraverso tenditori. Il legno e l’acciaio, come per le altre addizioni, rappresentano il “leitmotiv” degli interventi, dichiarando apertamente l’identità del contemporaneo all’interno di un sistema antico, attraverso materiali riferibili ad una storia più recente e contemporanea oppure a caratteristiche tecniche innovative. Premessa concettuale della proposta rimaneva dunque quella di non voler in alcun modo alterare e men che meno completare i bastioni, le loro parti e i loro ambienti rifacendo o ripristinando pareti, orizzontamenti, porzioni non più esistenti a seguito dell’azione delle mine delle truppe Napoleoniche o di crolli avvenuti nel tempo. Piuttosto la dichiarata volontà progettuale era quella di rendere leggibile e visibile la narrazione della Fortezza, delle sue vicende storiche, delle avversità e delle ferite, dei successi e dell’abbandono. Era quindi naturale che laddove la continuità storica dei camminamenti alti era stata interrotta dagli eventi nel tempo, il ripristino di un percorso non poteva avvenire che ricorrendo allo stesso linguaggio innanzi descritto e cioè realizzando ponti pedonali in acciaio, estremamente sottili e quasi impercettibili alla vista dall’esterno, ma dichiaratamente appartenenti alla nostra epoca, stabilendo ancora una volta connessioni e continuità fra interventi separati e puntuali. I ponti, così come le passerelle interne ai bastioni, sono realizzati in acciaio zincato e verniciato, completati con ringhiere identiche a quelle già esistenti lungo i camminamenti di ronda; sono inoltre caratterizzati da pavimentazioni realizzate con assi portanti in legno autoclavato e rigato.


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pagina a fronte Lo spazio espositivo; 2016 “Tartaruga con caduta degli angeli” di Ivan Theimer, bronzo, 2005-2006

La casa della scultura Sin dalla prima mostra di inaugurazione con le opere di Ivan Theimer nell’estate del 2016 apparve evidente quanto poi scritto da Vittorio Sgarbi l’anno successivo nel catalogo della mostra di Ugo Riva: “il destino stabilisce per i luoghi una identificazione ed anche una vocazione specifica. Ecco: questo è accaduto anche per Arezzo e la sua Fortezza Medicea”3. Tutt’altro che uno spazio neutro, diametralmente opposto al concetto del “white cube”, l’architettura potente e difensiva della Fortezza di Arezzo è uno spazio pieno di storia e di storie, di segni e tracce del passato, di sofferenze e di ferite inflitte nel tempo; uno spazio che custodisce la memoria di secoli e che sembra parlarci delle anime che lo hanno percorso e vissuto; uno spazio caratterizzato dalle contraddizioni tra le masse murarie imponenti, minacciose ed ostili e l’aura delle rovine, fragile, onirica, insicura. Negli anni di lavoro di restauro, in particolare durante i lavori di scavo, piano piano la Fortezza sembrava spogliarsi dei suoi abiti pesanti, delle terre che ne riempivano le cavità, dei detriti e della vegetazione che ne occultavano le fattezze: lentamente cominciava ad uscire dal suo silenzio secolare, a rivelare i suoi segreti ed infine a narrare le sue vicende. Ma è nel dialogo con le opere d’arte, prima con le sculture mitologiche di Ivan Theimer, successivamente con gli angeli caduti di Ugo Riva ed ancora con i cavalli frammentati di Gustavo Aceves e infine quest’anno con le sculture archetipiche di Mimmo Paladino, che la magia si impadronisce del visitatore e gli rivela quel che Ugo Riva chiama “l’innamoramento tra luogo e opere”4: la vocazione del luogo. Quel che sembra instaurarsi è in effetti un rapporto simbiotico imprescindibile tra gli spazi, - i loro materiali e le loro forme, segnati dal passare del tempo - e le opere, anch’esse apparentemente “nate antiche”, portatrici di epoche e culture lontane, eppure contemporanee, appartenenti al presente allo stesso modo della Fortezza, che ci appartiene e si propone a noi spettatori di oggi come la “casa della scultura”5.

3 Ugo Riva. La Porta Dell’angelo, a cura di Vittorio Sgarbi, catalogo della mostra, Arezzo, Fortezza Medicea 24 giugno 2017 – 07 gennaio 2018, p.13. 4 Ivi, p.15 5 Ivi, p.13


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la fortezza di arezzo, ricostruzioni, consolidamenti e strutture per i nuovi elementi funzionali. Leonardo Paolini

La Fortezza di Arezzo, luogo storico di eccellenza nel panorama delle architetture fortificate della

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Toscana, dove sono state progettate e già eseguite le nuove strutture si presentava all’inizio dei lavo-

Consolidamento di porzioni di arco in pericolo di crollo nel Bastione della Diacciaia con Inserimento di tiranti e capochiave a seguito di perfori puntuali ed iniezioni di malta

ri come una sovrapposizione talvolta caotica di interventi antropici rivelatisi ai nostri occhi via via nel tempo, durante il lento avanzamento degli scavi. Le nuove opere strutturali sono state così inserite per lo più all’interno dei vuoti costruttivi o delle perdite volumetriche subite dalle massicce strutture difensive durante i vari eventi storici che si sono qui succeduti ovvero semplicemente per l’effetto del tempo e della particolare esposizione atmosferica del luogo. Gli interventi “strutturali” sono stati quindi pensati, elaborati criticamente, progettati e realizzati con una particolare e specifica attenzione alle incombenti preesistenze murarie che appaiono ovviamente massicciamente sovrabbondanti rispetto agli attuali inserimenti. Era ovvio, infatti, che le nuove strutture, salvo particolari casi episodici, non potessero prevedere tecnologie e materiali analoghi a quelli storici qui presenti e quindi per la massima parte sono stati l’acciaio ed il vetro che hanno permesso di risolvere con efficacia inserimenti funzionali, ricostruzioni e consolidamenti locali. Occorre anche dire che le masse murarie che sono emerse dopo gli allontanamenti dei riempimenti di terra o delle macerie di detriti di concrezione, non sempre e dovunque sono risultate compatte e stabili a livello tale da poterle considerare direttamente riutilizzabili. Un esteso lavoro di consolidamento profondo e di riconfigurazione superficiale ha permesso, come preventivo intervento, di definire quali delle superfici esistenti potessero essere utilmente utilizzate come vincolo delle nuove strutture in elevazione o di semplice contatto di ricucitura per i nuovi inserimenti strutturali. Qui si seguito vengono commentati i più significativi interventi di ricostruzione e di consolidamento strutturale realizzati sugli elementi costruttivi di questa grande macchina difensiva, offesa dal tempo e dalla mano dell’uomo.


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la fortezza di arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento • a cura di maurizio de vita

La struttura del nuovo palcoscenico attrezzato posto al centro della Fortezza

Il nuovo palcoscenico attrezzato e l’ascensore esterno di collegamento fra l’ingresso monumentale e gli spalti Le più semplici strutture metalliche, che si presentano con tipologia ordinaria ed improntate a semplicità tecnologica, sono quelle con cui sono stati configurati gli elementi portanti del palcoscenico e dell’ascensore posti in due diversi punti degli spazi aperti interni alla Fortezza. La prima, ossia la struttura del nuovo palcoscenico, che occupa la parte centrale ed alta di tali spazi, si presenta come una organizzazione spaziale di travi HE a giacitura leggermente inclinata verso la platea verde, sostenuta da colonne ugualmente in HE, che permettono il sostegno di un orizzontamento in lamiera grecata, collaborante con un getto di calcestruzzo estradossale, quest’ultimo con funzione di irrigidimento piano e di vincolo perimetrale fra il piano di palco e cordolo sommitale alla muratura circolare di perimetro al vano sottopalco). Il nuovo ascensore esterno in acciaio La seconda struttura che vogliamo rammentare è quella dell’ascensore che ora collega il primo corpo di guardia posto all’ingresso monumentale sia con il livello sovrastante corrispondente allo spazio aperto posto fra le mura e l’unico edificio ancora esistente che con il livello degli spalti. L’elemento costruttivo metallico si presenta come una torre parallelepipeda dotata di passerella per il collegamento fra l’uscita in quota ed il camminamento perimetrale della Fortezza. La realizzazione ha presentato una minima specializzazione tecnologica per la configurazione della porzione interrata. È stato infatti necessario confinare il riempimento di terra a monte del vano inferiore di ingresso, tramite la realizzazione di una “berlinese” di micropali che ha permesso di eseguire


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in sicurezza lo scavo per il fondo fossa e le murature perimetrali in calcestruzzo, che formano l’alloggiamento interrato dell’elevatore. Lo spiccato strutturale ha poi trovato una sua definizione superficiale con fasce di acciaio cor-ten con le quali si è coniugato coerentemente il dato materico strutturale con quello architettonico per una permanenza nel luogo storico in forma di dialogo diacronico. Il nuovo vano scala ed ascensore nel Bastione della Spina Una terza realizzazione strutturale, sempre metallica, con una specifica difficoltà di inserimento è rappresentata dal nuovo vano scala con ascensore centrale che ora collega il vano posto nella parte più interna del Bastione della Spina con il grande ambiente ritrovato posto al di sotto di questo. Tale struttura trabecolare in profili metallici commerciali ed elementi sagomati, ottenuti da lamiere calandrate e gradini presso piegati, permette di contenere nello spazio limitatissimo disponibile un vano centrale per ascensore a pianta quadrata ed una scala a pianta circolare che lo avvolge. Questa organizzazione strutturale, che ha presentato notevoli problemi di montaggio e di definizione geometrica, ha permesso di assicurare un necessario collegamento irrigidente con le masse murarie storiche perimetrali e la configurazione sagomata dei pianerottoli di sbarco dell’elevatore che danno accesso a vani residuali a differenti quote altimetriche. Per questa struttura, evidentemente sartoriale e concepita in nome di una assoluta compatibilità fra la necessità funzionale e la conformazione del vano storicizzato, sono state studiate soluzioni di schermatura e protezione del vano vetrato interno che perimetra l’elevatore, utilizzando una fitta serie di tondi metallici orizzontali, che riducono la snellezza strutturale dei sottili elementi verticali e qualifica formalmente l’intervento strutturale, sottolineando l’intersezione delle due differenti volumetrie costruttive: il prisma impiantistico centrale e la spirale esterna della scala.

La struttura della scala a chiocciola in acciaio con ascensore centrale realizzata all’interno del Bastione della Spina

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La nuova passerella alla fine dei lavori Posa in opera della nuova passerella metallica per completamento del camminamento alto fra il Bastione della Chiesa ed il Bastione del Soccorso

Il ponte metallico fra il Bastione della Chiesa ed il Bastione del Soccorso Un altro intervento strutturale, che definisce il fondale dell’area archeologica della chiesa medioevale, sul lato Est del terrapieno centrale della fortezza, offre qualche spunto di apprezzamento critico sulla tipologia statica adottata e sulla tecnologia di realizzazione. Si trattava di superare, con una passerella di medie dimensioni, una mancanza del percorso pedonale dello spalto, per consentire comunque una passeggiata in quota senza la soluzione di continuità provocata da un crollo storico. Sul lato destro, guardando la cortina muraria esterna, già il piano dello spalto offriva lo spazio geometrico per realizzare l’appoggio della trave portante mentre sul lato sinistro un lacerto dell’antica volta a semibacino, copertura dell’abside della chiesa, ha impegnato le maestranze con opere di consolidamento murario dedicato che, mentre consentivano la conservazione confinata e “cristallizzata” della porzione di peduccio e di volta, non permettevano nel contempo un appoggio sicuro per la trave metallica di sostegno per il passaggio pedonale. Originariamente il progetto prevedeva la costruzione di una passerella con travi parapetto in legno lamellare incollato; in realtà la costruzione di un elemento di questo tipo avrebbe comportato il trasporto ed il tiro in alto di elementi scarsamente brandeggiabili nella zona specifica (le travi lamellari sono eseguibili solamente con la loro dimensione completa e non “montabili” per componenti sottomultipli direttamente in cantiere, come al contrario può essere possibile con le strutture metalliche). La soluzione costruttiva che è stata adottata, dopo molte proposte di inserimento geometrico nello specifico sito, è quindi stata scelta in acciaio; questa consente da un lato il minimo ingombro altimetrico dell’impalcato, e dall’altro il raggiungimento di una rigidezza flessionale che minimizza gli effetti deformativi sotto il carico mobile a cui è sottoposta. La carpenteria d’acciaio utilizzata risulta una trave composta, tipo “Finck”, con una particolare geometria dei tiranti inferiori ed una originale soluzione dello snodo fra tiranti inclinati laterali e barra di tiro centrale. La produzione, il trasporto ed il tiro in alto, nonché il montaggio sul posto, è stato possibile dividendo la trave stessa in tre spezzoni longitudinali, dove i giunti di montaggio sono posizionati nelle sezioni corrispondenti al cambio di inclinazione dei tiranti inferiori.


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I consolidamenti delle strutture ad arco nel Bastione della Diacciaia Un esempio riguardante il consolidamento delle masse murarie presenti, emblematico per la minimizzazione degli interventi di consolidamento locale sulle masse murarie esistenti, è evidente nel mantenimento di un piccolo spezzone di struttura ad arco in conci di pietra squadrata. L’intervento si colloca nell’area del Bastione della Diacciaia ed è risolto tramite l’inserimento di due tiranti in acciaio che confinano con un ancoraggio a sbalzo, i conci ancora rimasti in opera. I tiranti sono alloggiati in profonde sedi perforate, cementati per iniezione di malta adesiva ed amarrati con capo chiave in ferro configurato a disegno sulle due superfici opposte dell’ammasso murario. Una diffusa riaggregazione eseguita con malte colloidali pompabili, completa l’intervento e conferisce la necessaria monoliticità alla porzione muraria che originariamente si presentava particolarmente disarticolata ed in latente pericolo di crollo. Il completamento con struttura metallica del Bastione del Soccorso Infine, la più ampia ed affascinante ricostruzione che è stata progettata e pazientemente portata a compimento, è la struttura del Bastione del Soccorso. Le esplosioni subite dai due bastioni diametralmente opposti, del Soccorso e del Belvedere, hanno lasciato nel perimetro della fortificazione medicea due immensi vuoti, che in lotti di lavoro differenti sono oggetto, ora, di una specifica riconversione: vi si alloggiano infatti due differenti postazioni di accesso e collegamento verticale. All’interno del Bastione del Soccorso, le opere realizzate, definiscono ampie ricuciture murarie interne e nuove opere avvolgenti con elementi in acciaio, che ridisegnano nel vuoto della perdita muraria, lo spazio l’originale geometria della cortina difensiva. Infatti la preoccupante cavea, apparsa dopo gli smantellamenti dei crolli e la pulizia dalla flora arbustiva infestante, è stata attrezzata con una cantierizzazione disegnata e sagomata all’interno del grande anfratto e meticolosamente tutte le superfici sono state modellate con piccole ricostruzioni murarie, armature metalliche inserite nei massicci fratturati e con una diffusa iniezione di malte adesive pompabili che hanno riaggregato quanto l’esplosione subita ed il dilavamento del tempo aveva reso discontinuo e talvolta pericolante.

Strutture ad arco nel Bastione della Diacciaia prima dei lavori di consolidamento Consolidamento di porzioni di arco in pericolo di crollo nel Bastione della Diacciaia con Inserimento di tiranti e capochiave a seguito di perfori puntuali ed iniezioni di malta Consolidamento puntuale di parti strutturali a rischio di crollo all’interno del Bastione del Soccorso

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pagina a fronte Il completamento del Bastione alla fine dei lavori di restauro

Alcuni orizzontamenti voltati, in parte perduti ma ancora chiaramente individuabili nelle volume-

La realizzazione e posa della struttura del completamento con linguaggio contemporaneo del Bastione del Soccorso

originali; anche alcuni pannelli murari verticali sono stati riconfigurati in modo da ottenere un

pagine 204-205 La nuova passerella del Bastione del Belvedere che collega il camminamento sugli spalti interrotto a causa delle distruzioni ottocentesche dopo i lavori

trie di spicco agli appoggi, sono stati ricostruiti con tecniche e materiali pressoché analoghi a quelli contenitore murario cavo, aperto verso l’esterno con una geometria superficiale di confinamento il più possibile ordinata e staticamente consistente. Su tali superfici, risultanti dalle opere propedeutiche di consolidamento e richiusura muraria, sono state fondate e vincolate sui fianchi irregolari della cavea una serie geometricamente organizzata di colonne in acciaio a giacitura verticale collegate con una teoria di paralleli a configurazione spezzata che realizzano una struttura pluriconnessa, vincolata inferiormente a terra e lateralmente sui bordi perimetrali alle mastodontiche masse murarie, resti della storica esplosione distruttiva. Una superficie di nastri calandrati a disegno chiude con una fitta trama di paralleli l’esterno della ricostruzione e rammenta nell’osservatore l’immagine dell’antica volumetria della cortina difensiva. Il consolidamento delle strutture cinquecentesche voltate poste fra i Bastioni del Soccorso e della Chiesa Durante i lavori di pulizia e di messa in vista delle strutture di sostegno della cortina difensiva verso Est, fra i bastioni del Soccorso e della Chiesa, a copertura dei vani sottostanti, è emersa una successione seriale di volte a botte laterizie impostate su spesse murature, con le generatrici ortogonali alla cortina del bastione. I locali, che evidentemente avevano in origine la necessità di dover essere ben protetti dalla caduta di proiettili esterni, erano immersi sotto un notevole spessore di terra, fino al livello del camminamento perimetrale alle mura. Una serie di dissesti geometrici evidenti sull’intradosso delle volte stesse e la necessità di proteggere dalle percolazioni meteoriche sia tali strutture, sia il vano inferiore, hanno consigliato di eseguire sugli apparecchi murari voltati, un classico intervento di placcaggio estradossale. Le opere si sono concretizzate nello svuotamento dei rinfianchi, con una accurata pulizia delle superfici messe in luce, alla quale è seguito il posizionamento delle armature in rete di fibra di vetro resinata alcali resistente, connessa puntualmente alla struttura curva. Sulle superfici ondulate così preparate, il successivo getto di placcaggio in calcestruzzo ordinario additivato con specifico impermeabilizzante, ha completato l’intervento di consolidamento e di miglioramento prestazionale. Gli interventi strutturali nel Bastione del Belvedere L’ultimo intervento che in ordine di tempo è stato condotto a compimento, si è articolato sopra ed all’interno della impressionante frattura del Bastione del Belvedere. Anche in questo caso si sono adottate tutte le provvidenze di consolidamento già descritte per il Bastione del Soccorso, con la specifica preoccupazione, in questo caso di dover contenere anche tutto quanto era rimasto di elementi curvi, ad arco o voltati, che strapiombano verso l’interno della forra. Il percorso interno del



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pagina a fronte La nuova passerella del Bastione del Belvedere che collega il camminamento sugli spalti interrotto a causa delle distruzioni ottocentesche durante i lavori

visitatore che dall’accesso sul lato della strada di valle permette la salita fino al retro-palco del teatro all’aperto, rammenta infatti uno scoscendimento naturale quale potrebbe essere un pericoloso crepaccio. Nel corso di precedenti consolidamenti provvisionali erano state montate strutture tubiformi in acciaio che confinavano per reciproco puntellamento registrabile le due facce interne della spaccatura; questa presenza assieme alla instabilità delle macerie che ingombravano il percorso interno, rendevano ancor più viva la sensazione di insicurezza all’atto dei passaggi ispettivi. Dopo una accurata pulizia ed una meticolosa risarcitura delle superfici che si affacciano all’interno, sono stati adottati criteri di confinamento tramite ricostruzioni murarie localizzate a sostegno degli elementi costruttivi più strapiombanti; diffuse imperniature metalliche con funzione di tirante di contenimento sugli sbalzi più accentuati; cordoli a legatura trasversale di elementi fra loro disancorati, con accessoria funzione di contenimento delle spinte attive dei terrapieni di monte. L’elemento più qualificante di tutto l’intervento è rappresentato dalla passerella in acciaio montata fra i due massi murari che si affacciano sullo spacco e che realizza il sostegno del percorso pedonale a perimetro degli spalti. In realtà la struttura metallica è stata pensata e realizzata anche con la funzione secondaria, ma non assolutamente trascurabile, di puntellamento fra le due porzioni fratturate del bastione, in modo da poter smontare con sicurezza la serie di tubi provvisionali. Il montaggio di quest’ultimo elemento costruttivo è stato programmato e studiato utilizzando i mezzi di sollevamento di cantiere, ed ha presentato fasi di lavoro in quota su area aperta, con specifica difficoltà operativa, che comunque sono state superate con adeguata precisione e obbligatoria sicurezza per gli operatori. Le immagini consentono di apprezzare la suggestiva impressione di vuoto, che i visitatori saranno in grado di provare al loro passaggio.


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una nuova impiantistica per la fortezza di arezzo Leopoldo D’Inzeo

La realizzazione degli impianti elettrici (di illuminazione ordinaria e di sicurezza, di forza motrice, di terra), degli impianti speciali (di comunicazione, rivelazione incendio, etc.) e degli impianti meccanici (di climatizzazione, idrico-sanitari, antincendio, etc.) hanno avuto un’incidenza economica abbastanza secondaria all’interno dell’intervento di restauro della Fortezza di Arezzo ma ne costituiscono indubbiamente una parte significativa, sia sotto il profilo funzionale che sotto quello estetico - architettonico. Le principali scelte progettuali impiantistiche erano state definite dalla Ditta appaltatrice in sede di progettazione esecutiva conseguente all’aggiudicazione dell’appalto integrato, e sono state poi rivisitate dall’ufficio di Direzione Lavori in corso d’opera con la stesura di perizie di variante, motivate sostanzialmente, secondo quanto previsto dal Codice degli appalti, dall’esigenza di adattare gli impianti a sopravvenute situazioni impreviste inizialmente (ritrovamenti archeologici, etc.), ma anche al raggiungimento di un linguaggio coerente con i criteri di restauro delle parti interne ed esterne del complesso monumentale. Nelle decisioni del progetto, sia in quello originario che in quello poi effettivamente realizzato, possono ritrovarsi almeno tre tematiche, distinte e specifiche, che hanno reso l’intervento impiantistico complesso ed impegnativo: a) quella dell’inserimento di una serie di impianti multifunzionali all’interno di un contesto monumentale di grande importanza; b) quella di costruire un efficace supporto all’intervento di restauro nel suo complesso, in termini di efficienza, innovazione tecnologica e facilità gestionale e manutentiva in un’ottica di risparmio energetico, così come si conviene ad un’opera pubblica di tale valore; c) quella di garantire la massima sicurezza nei confronti degli utilizzatori, cioè dei visitatori e degli operatori comunali, sia utilizzando componenti intrinsecamente sicuri, che adempiendo alle norme legislative più rigorose in termini di protezione antinfortunistica. Per ciascuna di queste tre tematiche generali si indicano le principali considerazioni addotte e gli obiettivi prefissati.

pagina a fronte Il vano di collegamento tra il primo ed il secondo corpo di guardia illuminato da apparecchi luminosi incassati


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Ventilconvettore del Bastione della Diacciaia rivestito con un carter in acciaio cor-ten

Una impiantistica per la conservazione

Sistemi di illuminazione continui a sospensione negli spazi espositivi

sopra teorizzati, nello specifico caso della Fortezza di Arezzo sono stati adottate le seguenti principali

Coerentemente ai principi di “compatibilità” fra gli impianti tecnologici e gli interventi di restauro scelte progettuali: a) individuazione dei vani tecnici in luoghi separati da quelli di normale presenza del pubblico, debitamente compartimentati e convenientemente adattati; non si ritiene accettabile infatti, sia per motivi estetici che per motivi di sicurezza, la compresenza di apparecchi tecnologici (quadri elettrici per esempio) lungo i percorsi aperti al pubblico; b) conduzione di tutte le tubazioni e le canalizzazione degli impianti elettrici e fluidici all’interno di vani predisposti, sia a sviluppo orizzontale (cavedi sotto pavimento, cunicoli, etc.) che verticale (colonne montanti); laddove questo non è possibile, e soltanto in casi limitatissimi, saranno adottati sistemi di “camouflage” ottenuti mascherando adeguatamente le parti di impianti non integrabili; c) eliminazione pressoché totale, nei locali adibiti a presenza di pubblico, di tutti i pannelli di comando, salvo quanto descritto più oltre, accentrando la gestione e conduzione degli impianti da un luogo dedicato (control – room); d) localizzazione dei principali elementi terminali degli impianti, ad esempio i ventilconvettori, con modalità di posa sotto pavimento o comunque entro nicchie dedicate; laddove i terminali sono stati po-


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sati in esterno come per alcuni ventilconvettori posti nel Bastione della Diacciaia è stato disegnato dai progettisti architettonici e realizzato un mantello in acciaio corten al fine di instaurare collegamenti formali con molte delle addizioni architettoniche progettate per altre parti della Fortezza quale ricerca di dialogo formale con l’antico; e) integrazione globale dei terminali elettrici (prese, punti di prelievo, rilevatori, pulsanti, etc.) su apposite strutture multifunzionali (cosiddetti “totem”) che raccolgono numerosi apparati su un unico supporto, evitando l’intollerabile applicazione diffusa a parete degli apparati stessi. In conclusione, soprattutto per i locali interni più pregevoli dei vari bastioni della Fortezza, si è rigorosamente e costantemente ricercata la soluzione di minima invasività degli impianti e di massimo distacco fisico delle apparecchiature impiantistiche dai paramenti murari oggetto del restauro. Nelle parti esterne del complesso monumentale, questo concetto di integrazione e di compatibilità con il pregio architettonico dell’intervento è stato mantenuto, in particolare per gli impianti di illuminazione, che costituiscono la componente impiantistica preponderante. Gli impianti di illuminazione L’intervento impiantistico più significativo è rappresentato sicuramente da quello di illuminazione che, se riuscito, contribuisce a valorizzare le parti più pregiate di un complesso monumentale, costi-

Sistemi di illuminazione continui a sospensione negli spazi espositivi Illuminazione degli ambienti interni del Bastione del Soccorso e dei locali ritrovati fra il Bastione del Soccorso ed il Bastione della Chiesa con piantane pagine 212-213 Illuminazione degli ambienti interni del Bastione del Soccorso e dei locali ritrovati fra il Bastione del Soccorso ed il Bastione della Chiesa con piantane

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pagina a fronte L’integrazione tra corpi illuminanti ed architettura per l’illuminazione degli ambienti interni e della nuova integrazione architettonica del Bastone del Soccorso

tuendo quindi un elemento essenziale dell’intervento di restauro. Nel caso specifico si è presentata una straordinaria serie di situazioni, sia all’interno che negli ampi spazi esterni della Fortezza, che ha comportato un impegnativo studio illuminotecnico, correlato ogni volta con la consueta ricerca di compatibilità architettonica, per ogni casistica specifica. L’illuminazione ha riguardato infatti le seguenti zone: – all’interno i percorsi del pubblico, le aree museali e convegnisti che, le zone di servizio; – all’esterno i percorsi pedonali, i contrafforti e le zone di maggior concentrazione di persone (ad esempio il palco) La funzione dell’impianto di illuminazione ha rivestito, sia negli ambienti interni che negli spazi esterni, il consueto carattere di funzionalità, compatibilità estetica con l’intervento conservativo e sicurezza nei confronti degli utenti e del personale; in particolare la compatibilità con l’opera di restauro ha avuto un significato biunivoco, con l’obiettivo di ottenere il minimo di invasività ed il massimo della valorizzazione (notturna) delle parti più pregevoli del complesso monumentale. In alcuni casi, in presenza di pavimentazioni di nuova posa, gli apparecchi luminosi sono stati posizionati incassati come per l’ingresso ed il grande vano di collegamento fra il primo ed il secondo corpo di guardia. Per quanto riguarda l’illuminazione degli spazi a destinazione espositiva, didattica e comunque di possibile fruizione pubblica temporanea sono stati utilizzati sistemi luminosi continui a sospensione che garantiscono assenza di invasività, flessibilità d’uso, flussi luminosi ottimali. In alcuni casi, come è per gli ambienti interni al Bastione del Soccorso ed i cosiddetti ex rifugi si è optato per piantane fissate al suolo con analogo risultato in termini di invasività e luminosità. Per quanto riguarda invece l’illuminazione degli spazi esterni la stessa è stata risolta prevalentemente con apparecchi a pavimento incassati nel massetto architettonico di nuova realizzazione o con strisce led a luce calda inserite in traccia appositamente progettata e realizzata nei gradini in acciaio corten e massetto architettonico che conducono all’ovale centrale degli spazi aperti interni alla Fortezza . Studi specifici e soluzioni illuminotecniche particolari sono state concertate anche con la progettazione architettonica per valorizzare e restituire il senso ed il messaggio di integrazioni architettoniche significative come per la nuova protesi di acciaio in completamento del Bastione del Soccorso. Vengono di seguito presentati i più significativi sistemi di illuminazione adottati, ottenuti sfruttando sorgenti, apparecchi e modalità di installazione in maniera versatile ed appropriata. Qualità degli impianti e requisiti di sicurezza Sulla base della ricerca di compatibilità architettonica, di rispetto dei criteri del restauro e nello spirito del perseguire una significativa innovazione tecnologica, sono stati progettati e realizzati gli impianti con le seguenti peculiari caratteristiche: a) impianti di climatizzazione estiva ed invernale in tutte le zone adibite a presenza di pubblico al co-



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L’ integrazione tra corpi illuminanti ed architettura per l’illuminazione degli ambienti interni e della nuova integrazione architettonica del Bastone del Soccorso

pagine 218-219 Illuminazione esterna con corpi illuminanti ad incasso nel massetto di nuova realizzazione

perto, sia all’interno dei Bastioni che all’interno della Casina Fossombroni i cui terminali relativi (ventilconvettori) sono stati previsti sotto i pavimenti di nuova realizzazione con posa incassata e nascosta e corredati di griglie di mandata e di ripresa aria sempre a pavimento; le relative canalizzazioni dell’aria in poliuretano scorrono anch’esse prevalentemente sotto pavimento e quindi sempre in assenza di rimozioni o tracce su parti o materiali di pregio; b) gli impianti idrico-sanitari (adduzione e scarico) nei servizi igienici sono di tipo tradizionale ad incasso con tubazioni nascoste e sistemi di recapito in fogna, dedicati per ciascuna zona di intervento; c) gli impianti luce, adducente agli apparecchi illuminanti sopra descritti, sono posati prevalentemente in vista, entro tubazioni dedicate opportunamente integrate con gli elementi di arredo; d) l’impianto di forza motrice per l’alimentazione di tutte le utenze fisse e per i terminali è stato predisposto in tubazioni sotto pavimento; i terminali stessi sono costituiti nei casi più semplici da torrette a scomparsa e nei casi più complessi e frequenti da strutture autoportanti multifunzioni (cosiddetti totem) posti nei luoghi più baricentrici e strategici lungo i vari percorsi; tali totem rappresentano modalità di alloggiamento di prese, luci di emergenza, interruttori assolutamente non invasivi in quanto alimentati da tubazioni poste sotto i pavimenti di nova posa, distaccati dalle murature e da parti di pregio, reversibili, distinguibili; e) impianti speciali di comunicazione (in alcuni casi soltanto predisposti) costituiti da prese dati e telefoniche, diffusori sonori, posizionati sui medesimi totem. Sono stati parimenti previsti tutti i più aggiornati impianti relativi alla sicurezza, sia nei confronti del pubblico che nei confronti dei danneggiamenti ai quali il complesso monumentale può essere sottoposto; in particolare, nel rispetto delle più rigorose normative antinfortunistiche e di prevenzione incendi sono stati concepiti i seguenti sistemi: a) l’impianto luce di sicurezza, di tipo misto, è in parte alimentato da sorgenti autonome (gruppi di continuità dedicati) ed in parte con apparecchi illuminanti autoalimentati in modo da garantire al pubblico un esodo sicuro e ordinato verso i percorsi di uscita dalla Fortezza, anche in caso di mancanza di tensione di rete; b) per quanto riguarda gli impianti di sicurezza propriamente detti, quali rivelatori di incendio, rilevatori di presenze e/o antintrusione, i terminali di tali impianti sono stati concentrati, per quanto possibile, a bordo dei vari totem, riducendone l’impatto visivo negli ambienti più pregevoli; c) gli impianti di terra ed equipotenziali sono stati realizzati in modo da garantire un’adeguata protezione dal rischio di contatti indiretti, da parte del pubblico, con componenti degli impianti elettrici; d) gli estintori e la cartellonistica di sicurezza necessaria per lo sfollamento in piena tranquillità del pubblico al termine degli spettacoli e degli eventi. intrattenimento.


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historical notes: sixteenth-century events and notes on pre-existing buildings

Le mostre di arte contemporanea in Fortezza nelle fotografie di Andrea Sbardellati

Ivan Theimer Il sogno di Theimer, 2016, pp. 222-227 Ugo Riva, La Porta dell’Angelo, 2017, pp. 228-233 Gustavo Aceves, Lapidarium: dalla parte dei vinti, 2018, pp. 234-239 Mimmo Paladino, La regola di Piero, 2019-2020, pp. 240-247

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historical notes: sixteenth-century events and notes on pre-existing buildings Maurizio De Vita

Historical notes: sixteenth-century events and notes on pre-existing buildings The Fortress of Arezzo closes the city’s defensive circuit towards the north-east, dominating the whole Arezzo area from its mighty bastions. Perhaps more than any other urban monument, it tells the history of Arezzo and the study of its architectural events completes many many references some of which are unpublished to studies on the architecture of Sangallo. It was built on a site previously occupied by pre-Roman and Roman buildings and, above all, by the medieval fortified citadel consisting of palaces, towers and a dense and rich fabric which was largely, if not entirely, taken over by the sixteenth-century military site. In October 1502, at the behest of the Medici, Giuliano da Sangallo was sent to Arezzo, where he outlined a project to reorganise the entire building of the Citadel and, probably also of the medieval Cassero, including it in the wider Fortress that was to be erected. Giuliano sent his brother Antonio – known as the Elder – to complete the circuit and the fortified structure. The first project was certainly revised and work was conducted around the years 1506-1508. The present Fortress preserves two bastions from this first construction phase: the one called della Chiesa and the Ponte di Soccorso bastion, as well as the connecting curtain wall between them. The two bastions display a specific morphology in the shape of a heart, forming the so-called “lobes” which, not particularly far from the curtain wall, fold and turn up, so as to house the embrasures. Their peculiar feature, other than their shape, is the consistent use of brick. The curtain wall, made of mixed stones in the masonry batter, presents a consecutive series of round arches in brick, with the extrados coinciding with the overlying frame in bull-shaped moulded sandstone; from this comes the lead cladding, punctuated by other arches coinciding with the ones below, but lower in height, forming a series of overlapping rings. The Fortress, whatever its structure, was put to the test during the prolonged siege it suffered at the hands the people of Arezzo from November 1529 to May of the following year; the new building was partially destroyed and the existing Cassero di San Donato dismantled. The reconstruction then passed into the hands of Antonio da Sangallo the Younger – Giuliano’s and Antonio the Elder’s nephew and architect of the Fortezza da Basso in Florence – who was sent to Arezzo by the Florentine Republic in 1534. The following are indications left between 1 and 9 June on the works to be carried out, “If everything must be ruined [...] both the castle walls towards the city and all the towers, the dwellings and palace of the citadel: everything must be reduced to a square”1. The construction of the walls only began in 1538 under Cosimo I (1519-1574) and in 1539 the project

1

Cfr. Andanti 1988, Le Fortificazioni di Arezzo (sec. XIV- XV), a cura di A. Andanti, Comune di Arezzo, Arezzo, 1988, p. 13.

pagina a fronte Immagine della mostra di Ivan Theimer nella Fortezza (2016)


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for the Fortress began with Giovanni d’Alessio, known as Nanni Unghero, a trusted collaborator of Sangallo’s. The surviving part that had previously been built was restored, reshaping the development towards the city; the Citadel was completely demolished in order to reuse the materials and leave room for cannon fire. In January 1540 works proceeded quickly and were finished in under a year on 22 July, with the construction of the other three bastions: the Belvedere and Diacciaia, with the Spina in the middle. As a result, the Fortress looked dissuasive and threatening towards the city of Arezzo and its citizens. These new defence systems were made in a more functional manner, were robust and entirely made of stone, perpendicular to the curtain wall and overhanging sharply. The flanks were defended from the intersections between the bastions and curtain walls, with cannons placed at cross-fire inside the loopholes; these areas could be reached from rooms inside the bastions communicating with the other strongholds by means of openings and corridors that ran along the curtain walls. When the new fronts of the Fortress were built, the interior remains of the pre-existing building had to be demolished or buried in order to erect the buildings needed for the garrison and storage. Restorations and excavations carried out recently have revealed a profusion of wall remains, vaults, arches and entire rooms, as well as the Porta Sant’Angelo, pertaining to the fourteenth-century enclosure. The fact that the Fortress was built in two phases is clearly documented in the plan of the Fortress, drawn up in 1552 by Giovan Battista Belluzzi2, on the basis of which we can ascribe the part in red to Giuliano and Antonio the Elder, and the yellow, more recent part, to Sangallo the Younger. The entire construction site was surrounded by a moat and was entered from the north-west through the current main entrance, once equipped with a drawbridge on six arches3 to overcome the existing height difference; back then there was another opening to the north-east, the Porta del Soccorso, which faced the countryside, also equipped with a movable bridge. Around 1583, over 40 years after the completion of the Fortress, a reinforcement structure was built under the south-east part called Tenaglia – pliers, due to its particular shape, but it was never completed and soon fell into ruin (hence the name Fortezzaccia Vecchia – old fortress) written on many later plans. This might have been the work of the great architect Bernardo Buontalenti (1536-1608) who, as we know, had prepared some studies on the defence system of Arezzo. Much of the initial settlement was in fact demolished to establish the Fortress, although it is impossible to perfectly reconstruct the entire building of the Citadel and the Cassero, or the shape of narrow streets and villages within it. The well-known demolition of the Torre Rossa and the Palazzo del Comune took place in November 1539, but many other towers and buildings also disappeared, including the Tarlati family property and a number of churches.

2 Cfr. Lamberini D. 2007, Il Sanmarino, Giovanni Battista Belluzzi architetto militare e trattatista del Cinquecento, Olschki, Firenze 2007 (see related text) 3 Cfr. ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi, filza 2046, fasc. 20, 1806, Sheets relating to the Fortress of Arezzo.


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Decadence and progressive disarmament of the Fortress The so-called War of the Duchy of Castro (1641-44) was waged between Pope Urban VIII and the Duke of Parma – who was allied with Venice, Modena and Florence – ending in 1649 with the annexation of the feudal estate of Viterbo to the Papal State. Despite the restoration of the Fortress, we know from a 1634 payment note that during the first phase of the war a gradual abandonment of the Fortress had already begun through a conspicuous cut in internal staff, now numbering only one castellan, four bombardiers and 19 soldiers. Subsequently, during the entire eighteenth century the city enjoyed a period of great peace during which, in 1737, the reigning family changed: the grandducal territories passed to Francesco Stefano of Habsburg-Lorraine (as Francis II, from 1708-1765). With the death of Francesco Maria and his nephew and direct heir Ferdinand, the fate of the Medici house passed into the hands of the only male left, Giovanni Gastone (1671-1737) brother of Ferdinand himself and of Anna Maria Luisa, Palatine Electress, who assisted with the handover. The decision on the ownership of the Grand Duchy was taken in Vienna back in 1735: after the end of the War of the Polish Succession Poland was awarded the Duchy of Lorraine and European diplomats allotted the future Tuscan heritage to the reigning but ousted Duke of Lorraine. There are documents produced in the following years on the inspections carried out as well as reports about the condition of the damaged armaments needing replacement and maintenance work. In 1661 the drawbridge was removed from the Porta del Soccorso4 while other accounting documents report an ever greater agricultural use of the entire building, to the detriment of its military purposes. With the rule of the Lorraines, Colonel Odoardo Warren was entrusted with the task of making the fort efficient again, counting it among the fortifications which, referring to Arezzo ‘His Imperial Majesty ordered should be armed [...]’5, as we read in the report by Warren himself alongside the excellent relief of the Arezzo fortifications drawn up in 1749 together with the plans of other cities and fortresses in the Grand Duchy. But the wish didn’t materialise due to the turn of events: the Prato area was leased for the planting and cultivation of mulberry trees and various rooms inside the Fortress were used as deposits and lodgings for a wool factory recently established in the city. Finally in 1782, Grand Duke Peter Leopold decided to shut down the factory and once the military garrison was demolished, the Fortress was put up for sale and bought on 25 October of the following year by the Gamurrini family, who turned the entire site into an agricultural estate. From the destruction by Napoleonic troops to twentieth-century transformations intended ‘for public use’ In 1791 Ferdinand III (1769-1824) succeeded his father Peter Leopold, who had taken the Austrian throne a year earlier. Worried by Napoleon’s expansionist aims, in November 1798, just 15 years after the sale of the Fortress, Ferdinand retook possession of the barracks, and although he never displayed Cfr. Paturzo F. 2006, La Fortezza di Arezzo e il Colle di San Donato dalle origini ad oggi, Letizia, Arezzo 2006, p.108. Cfr. Warren O. 1979, Raccolta di piante delle principali città e fortezze del Gran Ducato di Toscana, 1749, a cura di F. Gurrieri e L. Zangheri, Firenze 1979 Warren 1979, p. 123. 4 5

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a hostile attitude towards Napoleon, was nonetheless cautious and at the ready. In May 1799 the rebellion against the French troops occupying the entire region was ignited. Arezzo was the first city to rise with the so-called Viva Maria uprisings6: the Fortress was put into working order and a sudden reorganisation of defences involved all the walls and gates, which were fitted with a moat and cannons. Nevertheless, in October 1800, Napoleon’s troops entered the city from Porta San Lorentino, plundering and devastating the building. As a punitive gesture, on 26 October the Belvedere bastion was mined and literally split into two parts, and subsequently the same happened to the Ponte di Soccorso, where damage brought the interior rooms and church to view, subsequently affecting the walls of San Lorentino and the namesake Porta, the wooden components of which were burned. In November of the same year the French demolished the buildings used as warehouses inside the Fortress, irreparably damaging the old church of S. Donato in Cremona. In 1896, as part of the project drawn up by the chief engineer of the Umberto Tavanti council technical office, the existing ditch was filled by covering the walkway of the movable bridge, which stood on masonry pillars and arches. While moving the soil various archaeological remains came to light but unfortunately were promptly demolished with mines because considered of little value. Furthermore, a straight road was built in line with the entrance to the Fortress along the shorter axis of the Prato oval, and a dense line of plane, lime and maple trees was planted. The twentieth-century chronicles referring to the Fortress of Arezzo testify to a conspicuous silence and indifference of the council, scholars and experts with respect to the fate of the building, which was left to a progressive abandonment. This disenchantment and lack of studies and restoration works are at the origin of the decision to place a reinforced concrete tank in the centre of the Fortress, a square block with sides measuring about 40 meters, partially buried at a depth of around eight metres. To this day, given the difficulty of knowing what previous excavations unearthed, we must remember that the soil was scattered inside the Fortress itself, raising the original height of the parade ground by about four metres. The first restoration phase of the Fortezza The restoration of the Fortezza’s external facings7, carried out between 2008 and 2011, was an extraordinary application of stone restoration criteria and techniques, starting from a careful survey with state-of-the-art technology and diagnostics. The stages, methods and techniques can be summed up as follows8: Cfr. Bacci A. 1999, Viva Maria! Storia in ottava rima dell’insurrezione aretina nel 1799 contro i francesi con una nota introduttiva, Calosci, Cortona 1999. 7 A more detailed report of the restoration carried out in this first phase can be found in M. DE VITA, Il restauro lapideo. Le mura della Fortezza di Arezzo, Firenze 2012. 8 The works described below were conducted following multiple and documented samplings, which were planned and assessed together with the Superintendency. 6


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- During the works preceding the actual restoration and building work unsafe parts were secured and stabilised, and parts that had detached from their support were put back in place. The material that had collapsed and accumulated was cleaned up by removing the vegetation; it was then sorted and the stone and terracotta pieces that could be reused for tiling and refurbishing were stocked in the yard. The grass and shrubs were uprooted, after spraying chemicals on the leaves and letting the plants dry out before removing the roots, while taking special care not to damage the surrounding masonry. - Investigations were conducted on materials and bio-deteriogenic organisms: physical, chemical and petrographic analyses were carried out to identify and test suitable products; various samples of mortars were analysed to identify their exact composition, particle size and colour scheme. Biological analyses were conducted on all the vestments of the towers and connecting buildings to find bio-deteriogenics on stone samples and to identify and classify these organisms in order to establish which actions and disinfection chemicals to use and how to apply the biocidal products. - As a result of the chemical investigations, after sampling and evaluating the results, specific biocidal products were sprayed in cycles to eliminate the lower vegetation colonies consisting of bacteria, algae and lichens. After the sprays had devitalised the organisms, these were removed by hand, with brushes and sponges or with low-pressure water jets. - Cleaning operations were carried out with diversified and selective techniques and only after establishing which method to use by analysing several samples taken from different parts of the vestment. The methods used were: dry cleaning to eliminate particles, dust, dirt and guano deposits, which were removed with brushes, brooms, scrapers and air blasts or vacuum cleaners; cleaning stable stone surfaces with low pressure de-ionised water to remove the patina of smog and surface deposits; mechanically removing the solubilized deposits with flat and sorghum brushes; cleaning stone and brick and mixed stone walls to remove organic and inorganic coatings that had been devitalised; removing deposits treated with basic solvents with water jets with rotating heads; selective cleaning of stone surfaces in the areas where deposits were thicker, more compact and adherent, by washing them down with distilled water and a saturated solution of ammonium carbonate; and finally brushing the deposits off. - The following specific consolidation work was carried out: specific consolidation of fragments and pieces of veneer after pre-consolidating them with ethyl silicate products, re-adhering scales and crumbling fragments with epoxy resin and by inserting fiberglass pins; consolidating cracks and fractures between non-separable parts of stone material by inserting steel straps and injecting epoxy resins; consolidating sprues, fractures and small non-structural lesions by inserting stainless steel pins after preparing the holes, and injecting pressurised fluid epoxy resin; indenting masonry to mend specific lesions or disconnected parts with the same stone as the existing one, filled with a suitable mortar, then plastered externally with lime mortar. - Substantial work was carried out on the stucco, dowels and seals such as: filling in deep cracks by casting or injecting mortars made of natural hydraulic lime and mason sand; dowelling small terracotta

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parts into the facings that had deteriorated and were in danger of collapsing by using recycled ancient stone or terracotta elements similar in shape and colour to the existing components, fitted with a hydraulic lime mortar, sand and pozzolanic ash; sealing and grouting the joints; filling in the alveolised bricks, the deeper bumps and dips with lime mortar, executed with the original technique. - Works on the summit of the covering stonework, such as: restoring, filling and sealing the ridges and contours, and the uneven stone elements of the walls by scarfing the links; cleaning, washing, applying hydraulic mortar, smoothing the surfaces with slats of iron and modelling the joints to encourage the flow of water. - To consolidate the overall surface of the wall, two coats of ethyl silicate were applied with a brush, while monitoring how the stone absorbed the product; the entire surface was protected by applying water repellent spray made of alcoholic silane solution. - As for consolidating and securing parts of the walls that had collapsed, and eliminating the conditions that made them unstable, works were conducted on the disruptions caused in 1800 by mines detonated in the Bastione del Belvedere, the Bastione della Chiesa and the Bastione del Soccorso. Consolidation work was carried out on the projecting elements of the walls and conglomerates that were dislocated to the point that large building masses were no longer connected to each other, although apparently stable. Following specific pre-consolidation and consolidation operations, cores were made to allow the insertion of stainless steel bars on the entire length of the ramparts, placed horizontally and at a regular distance, and stainless steel rods grouted into the masonry obliquely to ensure structural continuity. The reinforcement straps of the steel bars were positioned on the outer layer of the walls, as the corresponding outer plates were brittle and relatively thick. As the reinforcement straps below the tiles are invisible to the eye, they were therefore marked by processing the overlying dressed stone as well as by clearly indicating their exact location on the plan and images that are kept by the local council. The second phase of the restoration – open spaces and bastions in the Fortezza Following the restoration work initially carried out by means of specialized works on the curtain walls and multiple, complex and delicate conservative operations conducted on the ramparts as well as the open spaces inside the Fortress, the building has now become a permanent place for an unexpected nemesis – a physical and mental space handed down to history, to help understand the city and finally do the Fortress justice, albeit partially. The second phase of the restorations9 started in 2012 and was recently concluded with the restoration of the Belvedere bastion10, making it possible to reopen the inner open areas of the Fortress, the walkways and all the spaces inside the ramparts.11 From the commissioner’s point of view, namely the Council of Arezzo – who have been committed to Cfr. De Vita M. 2012, Il restauro lapideo. Le mura della Fortezza di Arezzo, Edifir, Firenze 2012. Cfr. De Vita M. 2017, La fortezza di Arezzo: le trasformazioni di un ‘colle fortificato’ ed i recenti restauri, in RICerca REStauro, Sezione 2B: Conoscenza dell’edificio: casi-studio, Roma 2017. 11 The restoration of the Fortress of Arezzo is directed by M. De Vita with Ulrike Schulze, Studio De Vita & Schulze Architetti (with SPIRA srl, Consilium srl, SERTEC sas; consolidation project of the Belvedere bastion: engineer G. Clerissi). 9

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recovering the Fortress since 2007 – the reasons for the restoration were mainly based on the wish to overcome this abandonment once and for all: faced with the distance, not to say to the refusal of the city towards a physically and socially deteriorated space, in fact, the Fortress had the potential to offer ancient but persistent traces of past dominations, destructions and attempts at denying identity values. The work was aimed at returning an extraordinary monument to the community, but also at creating a new cultural centre that could house art exhibitions, shows, educational activities, learning spaces and knowledge sharing. This forgotten place had to become the cultural, temporal and physical nexus to reconnect the city with its citizens, to link its controversial past with a shared future and Arezzo with the land surrounding it and the world. There were other problems though: first of all potential hazards due to the impossibility of constantly monitoring people entering the building as well as preventing further alterations and disruptions to the site; this required an objective responsibility to be shouldered by the Council which was mainly committed to the cultural dimension of the project. The decision to set up the organisational and decision-making body needed to channel resources and experts arose from the strong wish to reduce the above-mentioned distance and spoilage by transforming the site into a place of belonging, and using the Fortress for the most disparate forms of sharing, socialisation, and collective discovery. It should be noted that when the works were scheduled to start, there was no intention of turning the Fortress of Arezzo into a venue for contemporary art and sculpture exhibitions. The general plan developed during the design phase and pursued during restoration referred broadly to exhibition spaces, educational activities and rooms equipped for temporary exhibitions suitable for hosting works of art but also typical local products that would showcase the activities carried out in the Arezzo area. Before this project started there was no specific research on the Fortress, nor were there surveys or an indepth analysis. After some preliminary historical and archival research a direct analysis of the Fortress and its parts was conducted with a survey of reliefs both of the external curtain walls and of the interior spaces, and with the study of material and diagnostic analyses. This enabled the reconstruction of the past building stages, which led to an informative basis for the planning concept. Regarding the intervention methods and repurposing of the Fortress, right from the beginning of the planning a network of paths was established among the spaces inside the ramparts and the interior open areas. The restored Bastions develop into a cultural mission On the one hand, therefore, the Fortress rooms inside the visible and measurable bastions had to be preserved in all their components, operating the necessary albeit rare structural reinforcement operations, and maintaining each integral part in the single rooms as evidence of a building style and concept of fortified spaces, as well as stopping the degradation without making renovations. The planned use required designing easily reversible and low-maintenance technological equipment. Functional

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needs, regulatory and comfort requirements that would let people enter and spend time inside the Fortress highlighted the need forinteraction between pre-existing parts and new additions, thereby justifying the restoration procedures as well as the specialised work carried out on ancient materials. These requirements led to the addition of custom-made mechanised connections, by inventing glass skylights to cover large smoke vents; arranging metal walkways to connect rooms on different levels; inserting reversible technological totems; setting up the electric circuit board; arranging multi-directional and multi-purpose luminous tubes and lighting fixtures suitable for various events; as well as fitting underfloor heating with pipes and fanned coil units located where the flooring was missing, and arranged so as not to conflict with future fittings. The works planned and carried out inside the ramparts took account of various cultural events to be held across the different rooms, based on the requirement for multi-purposing and the consequent need for fittings that could later be changed. In fact, the restoration works were completed in 2015 and conducted inside the Spina, Diacciaia and Soccorso bastions, in both familiar and rediscovered spaces, and in the additional areas found after the excavations, known as ‘former shelter’ – visible and used as such during WW2. This allowed us to recognize the historical and archival value of these places, while setting them up for cultural and educational activities in a broad sense which, only starting from 2016 would result in a clear long-term project dedicated primarily to sculpture and contemporary art. Regarding the work carried out on the ramparts, the spatial system that typifies the cultural use of the Fortress of Arezzo finds a particularly significant example in the Soccorso bastion on how to reorganize entrances and exits as well as the use of the building and its dedicated areas. This functional and architectural addition establishes an unprecedented dialogue between ancient and recent architecture through the contemporary language of newly built heart-shaped portion of the bastion, which collapsed under Napoleonic mines in 1800. It writes a new and unpublished page on the identity of this place as a meeting point of cultural opportunities, formal and functional research as well as the expression of the complex relationship between monuments and modernity. The Soccorso bastion is also a new entrance to the Fortress; the figurative recomposition of its geometry, without concealing the original loss of continuity, bridges the gap from a formal point of view and reverses the sense of traditional impenetrability that is typical of defensive buildings: the new curtain wall allows for controlled transparency at night as well as in daytime Recent restoration work on the Belvedere bastion included an additional entrance to the Fortress, with the aim of allowing large crowds of people to exit; stopping and consolidating the materials and masses shattered over the course of two centuries; linking internal paths with walkways, stairs and aerial bridges; and reconstituting the walkway. The monument has therefore become accessible to thousands of people who are attracted to the place and attend various cultural events, from the exhibitions mentioned above to upcoming open air performances.


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Open areas inside the Fortress connect places and time The original floor level was raised in the past to reach four metres in height, altering the initial layout of the open spaces. This was due to a number of factors: the considerable alterations suffered by the Fortress with the destruction of all the buildings by the Napoleonic troops in October 1800; the subsequent transformation of the interior into a shapeless and meaningless area; changes to the original internal level by obstructing the excavated lands; and the construction of the water tank. As for future activities, research on the potential uses of these spaces was outlined in the planning phase, dedicating these areas to walking, entertainment and socialising purposes some adjustments became necessary as previous inner landscapes were discovered. On the one hand, the cleaning and excavation of the ground confirmed some planning forecasts that had been made during the building phase, while on the other hand as work on the site and excavation progressed the reading of archival and quantitative data was constantly updated and new spaces were found for re-purposing. More than the initial project, the site itself has therefore determined the programme and a continuous update of a specific cultural vision within a framework that was general and partially undefined, yet compensated by the information coming from the extraordinary discoveries made visible and accessible to the community. The restoration project aimed at reaching new widespread recognition of the historical and architectural values of the Fortress. Excavations and additions, functional consolidation and extensions, theoretical studies and checks were conducted while removing from the original spaces the strata of soil that for about 50 years had distorted the perception and understanding of the site, concealing whole areas and preventing the unveiling of a context that was much larger than what was apparent. Restoration works and findings link the past to the present Excavations were then carried out until the original altitude was identified, assuming it to be about four metres lower than the height of the ground at the beginning of the operations, a quota that was to be reached wherever possible, but obviously not around the water tank, which was considered fixed at the centre of the Fortress. Many areas and passages recorded in the historical cartography were found and, thanks to further tests and a few fortuitous findings, important artefacts belonging to post-ancient and ancient times that predated the sixteenth-century defence building came to light. In the area between the Diacciaia and Soccorso bastions the remains of a building from the Augustan age were found, with extensive stretches of mosaic pavement in good condition and elevated parts of walls with plaster and colours still preserved – an area currently under study and awaiting further excavation and a potential repurposing. In the space between the Chiesa and Soccorso bastions, an underground area was unearthed – probably a church built in the late medieval period and used as a crypt in the sixteenth-century church destroyed by the Napoleonic mines. And finally, many findings belong

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to the remains of medieval buildings and fortifications and also to works that were probably carried out according to the first plan of the Medici Fortress by Antonio da Sangallo the Elder and his brother Giuliano, then covered up and modified by the project of Antonio da Sangallo the Younger. As yet unfinished, the open spaces inside the Fortress have been redesigned and create a sequence of paths at different levels, connected to a gentle slope accessible at the lower levels, with a high central area corresponding to a height of about one metres above the upper surface of the tank floor. Viewpoints onlooking the archaeological sites have been set up and designed in perspective as starting points to reach the excavations and their final arrangement. The patrol walkway - redefined and completed with metal bridges to compensate for collapsed or unusable parts – once a place for sighting and controlling over the land and the conquered city, is now providing new perceptions and views of urban and territorial landscape. At the centre of the Fortress, above and next to the tank that is still in use, a space dedicated to exhibitions offers and reignites the comparison of this place with contemporary culture thanks to open-air seating, a stage and a sub-stage equipped with dressing rooms, technical rooms, toilets and warehouses. Many of the restored areas are also comparable thanks in particular to contemporary sculpture exhibitions. The arrangement of contemporary works of art involves part of the open spaces in the Fortress and the interiors of the ramparts; the appeal it has exerted on the public has exceeded all expectations, evidently tickling the intellectual curiosity of anyone who finds themselves reinterpreting these new opportunities by experiencing them inside the ancient defensive garrison, and who perceives them as a critical potential, which seems in some ways to exalt a sense of eternity. Contemporary art bursts into rediscovered places with an unexpected welcome As already mentioned at the beginning, a long-term strategic choice by the local council included temporarily housing new sculptures in the Fortress, with the aim of creating a cultivated dialogue among: symbolic values; the dense language of present-day art with this place, or rather, places; and the highest artistic and architectural expressions of the city and land of Arezzo. The centre of this dialogue should house art’s timeless time; stories vis-à-vis history; linguistic research as the ultimate expression of intense poetic values; the reciprocal, ever-new revelations about the history of the defensive building and of the city that, each time, should have been made to visitors by the Fortress and other iconic areas of the city of Arezzo on the one hand and art installations on the other. Setting these conditions meant suggesting complex dialogues, far from research and exhibitions about contrasting and dissonant diversities, even when they became potential vehicles for strongly poetic or provocative cultural messages, but now sought out and offered to make up authentic spatial symphonies that can generate entirely unexpected cultural sounds which have always been here, but haven’t yet materialised. This ever-changing encounter involves areas and rooms in the Fortress that didn’t necessarily coincide with the exhibition destinations planned in the project; this way an unprecedented assonance emerged


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between unique and unpredictable contemporary artistic research and an unrepeatable restoration, by establishing intense agreements and harmonies, which were definitely sought out and wished for by the artist, the exhibition and set-up curators, but certainly became greatly amplified and more powerful than expected. Visitors’ perceptions are solicited on multiple levels, transforming ancient spaces into timeless scenarios, with the rare symbolic and material strength of pre-existing art enhancing the historical narrative and the way the building is shared and/or used by the public today. The rooms in the Spina and the Diacciaia bastions have hosted many works by the above-mentioned artists but every time the combination of works, the feelings of the artists and the rooms in the Fortress have determined a sort of cultural sharing, derived perhaps from a common cultural heritage. The long narrative of the spaces and rooms in the fortress, enhanced by the restoration project, embraces works of art which in turn recount time and history and yet include classical art themes. Such a choice provides a far greater sensory effect and a more intense dialogue than could be offered by displays of contemporary art heavily contrasting ancient surroundings which tend to produce a preconceived form of otherness. The exhibition in 2016 by12 Czech, naturalised French sculptor Ivan Theimer – who has also worked in Pietrasanta – was divided into paths populated by small and large bronzes arranged along the connecting tracts between the ramparts, on the walkways in the open areas of the Fortress and inside the bastions themselves. The mythological characters and sketches of works created for great European town squares were thus assembled. These include the bronze obelisks for the Elysée Palace, the commemorative monument for the Declaration of Human and Citizen Rights for the bicentennial of the French Revolution, and the sculpture to commemorate the victims of the Holocaust. Hercules holding an obelisk and located in the central area was identified during the restoration and redesigned in the interstices between the medieval and sixteenth-century walls. The same applies to the other pieces, and perhaps more than for any other work, its displacement has made it a powerful and hypnotic reference to the eternal comparison of stories with History. In the interview for the exhibition catalogue Ivan Theimer speaks explicitly of his conversation with Arezzo and classicism, thus describing his journey, “... my life is full of destinies, just like the history of the classical world. I discovered Arezzo and of course Piero when I was a student at the Academy of Fine Arts in Paris ... I often admired the Pala di Brera in Milan, the Baptism of London and the San Antonio polyptich in Perugia, and the Maddalena del Parto of Monterchi. Sansepolcro’s Pala della Misericordia and its protective mantle inspired me for the monument I created in Dieulefit in Provence, a memorial dedicated to Pity that can overcome War. The frescoes of the True Cross and the stones of Arezzo, which slope down from the Etruscan hill towards the plain, awoke me to ancient dreams and underground memories. This is a true story of rebirth for someone who has experienced 12

Exhibition curated by Vittorio Sgarbi, set-up by Roberto Barbetti, Francesca Sacchi Tommasi and Andrea Sbardellati.

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migration, the search for a new identity, but has also encountered hospitality, and the feelings of places and people ...”13 Equally clarifying are the thoughts with which exhibition curator Vittorio Sgarbi opens the catalogue. “One day in Arezzo, Theimer found the mirror of his vision, first in the Chimera and then in the History of the True Cross by Piero della Francesca. Measuring himself against Piero, Ivan crowned a dream, and his laborious training now belongs to history, not to a delusion. The integral need to retrace Myths finds a precursor in some of Piero’s rare works on non-religious subjects. I’m thinking of Hercules (fig. 3) torn away from Borgo Sansepolcro and now at the Stewart Gardner Museum in Boston as a true resuscitation of the ancient, a reconstruction of a lost world. In that Hercules, Piero literally represents what rebirth is, namely feeling the old and modern world as one. And when Theimer conceived his Hercules supporting an obelisk, he retraced Piero’s journey. This is clear in the majestic area of the Fortress populated by Theimer’s warriors and trophies, a space that is ideal to reconstruct Myths and a world of heroes that today have disappeared. Upon entering the Fortress of Arezzo we don’t feel, as in other contemporary art exhibitions held in a historical space, the chasm between ancient and modern worlds. The sculptures exhibited in the Fortress seem to have been born there, as part of an ideal and material continuity. The distance between two worlds and two ways of thinking is imperceptible. There is no abstraction”14. Even before recent restorations, during excavation and investigation works carried out in the 1990s, one of the entry gates to the medieval citadel was found. It had reappeared and been incorporated into the sixteenth-century building and then destroyed to build the Medici Fortress. It was called the Angel Gate because a bas-relief depicting Saint Michael the Archangel – now at the Museum of Medieval and Modern Art in Arezzo – was found above the entrance archway. The exhibition on Ugo Riva’s works (fig. 4,5 and 6) was held in the Fortress from June to January 201715 and appropriately titled The Angel’s Gate, as the Fortress was populated with angels, which were imagined and materialiseed with the same unpredictability wherever a dialogue took place in an unknown language, both old and new, making angels talk with matter and space. This dialogue explains the eternity of matter itself, its infinite mutability, the only apparent boundaries imposed on terracotta, bronze and stone by figures and architecture, whose belonging to the classics unleashes matter itself into the present-day imaginary and sensory world. Here too it is worthwhile to talk about the main characters of the exhibition, which indicate the union, dialogue and revelation of the encounter between restored space and contemporary artistic expression. Ugo Riva describes his encounter with the Fortress as such, “... While the magic of the place took hold of me, the works necessary to inhabit it spontaneously appeared in my mind. The exhibition took shape 13 14 15

Cfr. Sgarbi (a cura di) 2016, Il Sogno di Theimer, Maggioli Musei, Santarcangelo di Romagna, 2016, p. 212. Ibid., p. 14. Cfr. Sgarbi (a cura di) 2017, La Porta dell’Angelo, Arezzo 2017, p. 15.


historical notes: sixteenth-century events and notes on pre-existing buildings

on its own ... I would have much liked to find myself face to face with this new creature that spoke to me of itself, of its history, of the souls who had lived through it, perceived its energy ... When I went back to the Fortress, to look at the space once more, I felt that a strong and meaningful understanding could be born between the Fortress and my work, revealing itself as a necessity before becoming a certainty”.16 Likewise, the intense and unexpected confrontation between the historical sedimentation of the Fortress narrated through the restoration and Ugo Riva’s works – which were born antique – lives ‘out of corrosion’, says the exhibition’s curator: “... Here the tormented creations by Ugo Riva have found peace, refuge. After the Sassi of Matera ... it is now the turn of this powerful and defensive architecture. Fate establishes a specific identity and vocation for places. Here it is: this happened for Arezzo and for its Medici Fortress. And I am sure that the future of this space will be to house sculptures and a dialogue between modern and ancient art”17. Mexican artist Gustavo Aceves exhibited his work just after, in the second half of 2018, with the title Lapidarium: on the side of the vanquished, a travelling project that the artist has been working at since 2014, logistically extending the comparison between modern-day thinking and classical spaces, and involving the Fortress, the Church of Saint Francis, the Duomo churchyard and the Vasari square, to include over 200 works made of stone, bronze, resin, wood and other materials that have become travelling equestrian symbols of escape, abandonment and migration, like scattered fragments of pain and hope. His horses (fig. 7 and 8), formed by intensely evocative fragments of human trails, are galloping to tell stories of losers and anti-heroes. Horses – the heraldic symbol of Arezzo – belong to an iconography that inspired Aceves starting from the wanderings of the Quadriga of Saint Marc, the same that Francesco Petrarca reported in 1364 as transferred to the Republic of Venice. The work of the Mexican master transforms the Quadriga into a tale of wanderings, interpreted by solitary, restless horses, standing between the Spina and the Diacciaia bastions, and other galloping foals gathered in a herd between the second and first body of guard of the Fortress (fig. 9), giving rise to the noisiest and most lacerating silences ever felt for centuries. One of the most renown contemporary artists meets one of his Masters: this is the meaning of The rule of Piero – the great solo exhibition to be held in Arezzo from 15 June 2019 to 31 January 2020 and that will showcase Mimmo Paladino’s tribute to the great fifteenth-century painter Piero della Francesca. Paladino’s art is rooted in the great Italian figurative and philosophical tradition. This passion has often led him to rediscover the most diverse cultures, in search of a comparison with archetypes, iconic matrices and founding traditions which, from pre-Roman civilisations to the Renaissance, have studded the thinking of people around the Mediterranean. The Arezzo exhibition18 explores the relationship Ibid., p. 13. The exhibition was commissioned by the Guido d’Arezzo Foundation and the Council of Arezzo and curated by Luigi Maria Di Corato. 18 The exhibition was commissioned by the Guido d’Arezzo Foundation and the Council of Arezzo, and curated by Luigi Maria Di Corato. 16 17

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la fortezza di arezzo: restauro e rivelazioni di un monumento • a cura di maurizio de vita

between Paladino and a figure of the past who most influenced his training and with whom he maintained a constant dialogue throughout his artistic research: Piero della Francesca. Their relationship is summed up in the title of the exhibition, The Rule of Piero, confirming how the Sansepolcro fifteenth-century painter and mathematician was a decisive source of inspiration not only on an aesthetic level, but also on a methodological and theoretical level. A gracious homage that unravels throughout the city and never directly calls into question the master on a formal level, but is reflected in manifest shared values, such as the encounter between tradition and modernity, between rationality and emotion, between light, form and colour and between idealisation, abstraction, symbols and reality. Over 50 works by Paladino are displayed in a travelling itinerary at six different exhibition sites. The two central points of the exhibition – which puts painting centre-of-stage and presents three-dimensional works in their natural pictorial vocation – are the Galleria comunale d’Arte Contemporanea, once more presenting great masterpieces to the public, and the Medicean Fortress, a recent stage for art exhibitions. The Fortress will showcase a core of monumental works, selected for their ability to trigger an uncommonly dramatic tension with the rough nature of these spaces. The path begins once more with a piece from the 80s, Senza titolo – untitled, a bronze chariot from 1988 bearing 20 heads as precious trophies of an apotropaic procession leading into the fortification. Among the other monumental pictorial sculptures presented, the nine elements of Vento d’acque – wind of waters, also in bronze, was made in 2005 and already exhibited at the Capodimonte Museum in Naples, and the gigantic Specchi ustori – burning mirrors, was made in 2017 specifically for the Brescia exhibition.



Finito di stampare da Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli s. p. a. | Napoli per conto di didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Settembre 2020



La Fortezza di Arezzo, nata sulle spoglie della cittadella medioevale per volere dei Medici ed affidata ad Antonio da Sangallo “il Vecchio” ed al fratello Giuliano nei primi anni del cinquecento ed ad Antonio da Sangallo “il Giovane” nel terzo decennio dello stesso secolo, attaccata ed in parte distrutta nell’ottobre del 1800 dalle truppe napoleoniche, fu alterata nelle quote e disposizioni interne negli anni sessanta del novecento per realizzarvi un grande serbatoio per l’acqua potabile. Abbandonata poi e quasi sottratta alla frequentazione dei cittadini di Arezzo e a quella dei visitatori è stata restaurata fra il 2007 ed il 2019. La prima fase delle attività che il libro illustra (2007-2011) si riferisce a studi, progetti ed interventi di restauro specialistici sulle cortine murarie perimetrali della fortezza. Le indagini, i rilievi, i criteri e le tecniche restaurative sono riportate ed illustrate in dettaglio. La seconda fase, avviata nel 2012 e conclusasi nel 2019 è stata quella del restauro degli spazi aperti interni della fortezza, degli ambienti posti all’interno dei bastioni, dei camminamenti. Un intervento finalizzato quindi alla restituzione alla collettività di uno straordinario monumento ma anche alla creazione di un nuovo polo culturale, sede di mostre d’arte, spettacoli, attività didattiche, spazi per la conoscenza e lo scambio culturale.

Maurizio De Vita è Professore Ordinario di Restauro e Direttore della Scuola di specializzazione in Beni architettonici e del Paesaggio nel Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. Fa parte del Comitato scientifico nazionale dell’Istituto Italiano dei Castelli e dell’ ICOMOS International Committee on Fortifications and Military Heritage ICOFORT. Ha insegnato presso la Columbia University di New York, la Syracuse University, la facoltà di Architettura IUAV di Venezia ed attualmente svolge corsi e seminari alla Beijin University of Civil Engineering and Architecture di Pechino ed alla South-East University di Nanchino. Co-titolare dello Studio De Vita & Schulze Architetti con sede a Firenze e a Pechino ha progettato e diretto numerosi interventi di restauro su edifici di interesse storico artistico, complessi monumentali, mura urbane, parchi e giardini storici in Italia ed all’estero fra cui gli interventi principali del restauro della fortezza di Arezzo.

ISBN 978-88-3338-115-5

9 788833

381145

€ 35,00


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