Il Tempietto della Santissima Annunziata | Maddalena Branchi

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maddalena branchi

Il Tempietto della Santissima Annunziata Tesoro di materiale e tecniche studio di un’architettura come oreficeria



tesi | architettura design territorio


Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione. ‘Per il rigore metodologico impiegato nello studio di un monumento complesso per materiali, tecniche esecutive e fasi costruttive, ed esemplare per la completezza degli aspetti affrontati’. Commissione: Proff. F. Capanni, L. Giorgi, S. Caccia Gherardini, P. Matracchi, A. Belluzzi, R. Butini, F. Collotti

Ringraziamenti Per questo lavoro si ringraziano tutti coloro che mi hanno supportato con la loro competenza e appoggiato con la loro disponibilità: Prof. L. Giorgi, relatore di tesi Arch. I. Bastiani e Anrch. P. Gentilini G. Raddi Delle Ruote, capo restauratore dell'Opifiico delle Pietre Dure, correlatore di tesi Padre Gabriele, Priore della Basilica della Santissima Annunziata Dott.ssa A. Giusti, direttrice dell'Opificio delle Pietre Dure Prof.ssa M. Di Benedetto i fotografi: A. Bartolozzi, R. Pietracaprina, G. Pietracaprina Arch. G. Ristori, responsabile di settore MEF Arch. M. Papaleo in copertina Pianta del Tempietto della SS. Annunziata, quota 3.32 m.

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Simone Spellucci

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2021 ISBN 978-88-3338-142-8

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


maddalena branchi

Il Tempietto della Santissima Annunziata Tesoro di materiale e tecniche studio di un'architettura come oreficeria



Presentazione

La tesi di laurea della dottoressa Maddalena Branchi ‘Il Tempietto della Santissima Annunziata di Firenze. Tesoro di materiali e tecniche. Studio di un’architettura come oreficeria’ dimostra profondo interesse nei temi del Restauro Architettonico, svolgendo con passione e competenza le ricerche assegnatele e dimostrando nello studio del Tempietto notevoli capacità nel rilievo architettonico, nell’analisi dei materiali e nell’indagine delle tecniche costruttive. La tesi di Laurea è stata valutata con il massimo dei voti e lode, ottenendo da parte della Commissione Esaminatrice anche la Dignità di Pubblicazione per la elevata qualità della ricerca, originale nello studio della consistenza del monumento, nella ricerca storico-archivistica e nell’individuazione di materiali e tecniche esecutive del manufatto; la tesi ha quindi documentato la produzione nel corso del tempo delle fabbriche medicee, fino ad arrivare agli interventi di quello che oggi è l’Opificio delle Pietre Dure.

Luca Giorgi Dipartimento di Architettura Università degli studi di Firenze

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Il Tempietto della SS. Annunziata

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Vicende storiche e fasi costruttive

pagina precedente Rilievo planimetrico delle strutture edilizie di un settore dell'area nord-orientale della città (1879), Archivio storico del Comune di Firenze

Entrando in chiesa, si vede la famosa cappella da man sinistra, fatta col disegno di Michelozzo Michelozzi; nel muro di cui è dipinto di miracoloso volto la Santissima Nunziata, cotanto in ogni parte del mondo memorabile. (F. Bocchi, 1592) La Piazza della SS. Annunziata L’oggetto di studio della tesi si colloca nella chiesa dei Servi di Maria nella Piazza Santissima Annunziata nel cuore di Firenze. La devozione per l’affresco miracoloso della SS. Annunziata custodito nel Tempietto marmoreo ha determinato lo sviluppo non solo dell'omonima basilica, ma anche di una parte di città che nel XIII secolo si trovava fuori le mura della prima cerchia comunale, in una zona boscosa che si estendeva fino alle pendici di Fiesole. L’afflusso della folla dei fedeli all’immagine della Madonna aveva reso necessaria l’apertura di una strada di collegamento del santuario con la città: l’attuale via dei Servi collegava l’antico oratorio con la Porta della città più vicina, Porta Balla, nel luogo dell’attuale chiesa di S. Michele Visdomini. Con lo sviluppo della chiesa e del convento, vengono effettuate varie operazione di compravendita dei terreni antistanti ad essi da parte dei frati dell’Ordine e delle ricche famiglie fiorentine loro amiche. La

definizione urbanistica della piazza risale alla prima metà del Quattrocento con la realizzazione dello Spedale degli Innocenti (1419). Oggi la Piazza Santissima Annunziata viene considerata la piazza più armoniosa del mondo per le sue proporzioni spaziali e per la presenza dell’elemento della loggia, che assume un’importanza decisiva nella qualificazione del disegno delle facciate. La basilica della SS. Annunziata delimita il lato settentrionale della piazza con un portico a sette arcate su capitelli corinzi, opera di Giovanni Caccini del 1601 e si è armonizzata agli altri due edifici, l’Ospedale degli Innocenti di Brunelleschi (1419-1426) e il loggiato della confraternita dei Servi di Maria, opera di Baccio d’Agnolo e Antonio da Sangallo il vecchio (1516-1525) sul lato opposto della piazza. Sulla piazza si affaccia anche il palazzo Grifoni, realizzato su disegno dell’Ammannati nella seconda metà del Cinquecento. La qualificazione dell’ambiente è caratterizzato anche dal ricco arredo urbano, costituito dalle fontane bronzee e di marmo di Pietro Tacca (1627 – 1629) e della statua equestre del Granduca Ferdinando I, lasciata incompiuta dal Giambologna e conclusa dal Tacca. Le fontane e il monumento sottolineano l’asse visivo verso la Cupola del Brunelleschi. Le due cupole, simboli dei due santuari più importanti della cit-

tà, emergono dal tessuto urbano e disegnano con le loro geometrie l’inconfondibile skyline fiorentino. La Cappella della SS. Annunziata Per accedere al Tempietto della SS. Annunziata si percorre il grande portico seicentesco antistante il Santuario Mariano che si apre sulla piazza, e si attraversa l’incantevole Chiostrino dei Voti. Entrando nella Chiesa, la ricchezza dei paramenti barocchi che ornano l’unica navata centrale e le sue cappelle catturano l’attenzione, ma è la posizione di alcune delle panche, con le spalle all’altare maggiore, che svelano e indicano il vero fulcro della Basilica: il Tempietto della Santissima Annunziata. Il Tempietto occupa nel perimetro della chiesa una posizione non comune, trovandosi addossato alla controfacciata, e impegnando una parte della superficie della navata: la sua posizione anomala è conseguenza dell’affetto e della venerazione del popolo fiorentino all’affresco miracoloso dell’Annunziata e non di una programmazione architettonica. L’architettura monumentale e il sontuoso arredo impongono la loro fisicità nello spazio più ampio della Basilica, divenendo una piccola chiesa nella chiesa, una sorta di microcosmo nel tempio fiorentino dedicato alla SS. Annunziata. Oggi il tabernacolo non si presenta nella purezza delle forme rinasci-

mentali originarie, ma la sua configurazione, risultato dei rifacimenti e delle sovrapposizioni decorative seicentesche, ha assunto parvenza barocca. Il Tempietto è un organismo composito costituito da due ambienti posti in successione spazialmente e funzionalmente diversificati: il Sacello, costruzione marmorea con quattro colonne trabeate, delimita l’area sacra antistante l’affresco, e a destra, sempre addossato alla parete della controfacciata in continuità con il recinto sacro, è il Coretto, dove sono custoditi gli ex-voto. La struttura architettonica è separata dalla navata da una transenna di forme monumentali. Questa tipologia a edicola, dalle forme antichizzanti, è una realizzazione di notevole impegno formale, modellata come un edificio in miniatura, che palesa una precisa porzione di spazio sacro. La tipologia antica del sacello è riletta secondo il gusto rinascimentale quattrocentesco: dal lat. sacellum, diminutivo di sacrum, ovvero recinto sacro, indica e protegge l’Immagine ritenuta miracolosa della Madonna. Il Tempietto risale al secolo XV, durante i grandiosi restauri della chiesa sotto la direzione dei lavori di Michelozzo di Bartolomeo Michelozzi (1396-1472), scultore e architetto noto come Michelozzo, su commissione di Piero di Cosimo dei Medici.


L’ Annunciazione, Pittore fiorentino, Basilica della Santissima Annunziata (foto, M. Branchi, 2015)

Michelozzo riprogetta l’originario nucleo trecentesco sorto intorno all’affresco miracoloso, realizzando un tabernacolo di gusto rinascimentale. La Cappella di Piero di Cosimo de’ Medici, la prima delle cappelle di sinistra, si presenta come il naturale proseguimento del sacello marmoreo per uniformità volumetrica e decorativa. I due ambienti sono legati fin dalle origini: essi testimoniano lo spazio primitivo dell’oratorio eretto dai frati Servi di Maria, Santa Maria di Cafaggio, costruito secondo la disposizione più antica sull’asse est-ovest. L’affresco della Madonna era, infatti, dipinto sul muro laterale meridionale dell’antico oratorio, che è diventato controfacciata nell’ingrandimento tardo-duecentesco della Basilica.

L'affresco miracoloso Quivi non è arte di pennelli, onde sia stato fatto il volto della Vergine, ma cosa divina veramente. (Michelangelo Buonarroti1) Prima di analizzare dal punto di vista storico e architettonico il Tempietto, ritengo necessario raccontare la vicenda all’origine dell’ordine dei Servi di Maria e dello sviluppo della chiesa. Secondo la Legenda de Originis (sec. XIV), nel 1233 Sette fiorentini, legati alla Società maggiore di S.Maria, ispirati dalla Madonna, si ritirano a vivere insieme in povertà, servendo il Signore secondo la regola di S.Agostino, ma con proprie costituzioni. Citazione attribuita a Michelangelo Buonarroti riportata in Francesco Bocchi, L’immagine della SS. Annunziata, Firenze 1592.

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Nel 1250 fondano la chiesa e il convento di Santa Maria di Cafaggio (oggi la SS. Annunziata) e due anni dopo, quando l’oratorio di Cafaggio è già ultimato, i Padri Serviti, dedicandolo alla Madonna, decidono di raffigurarvela nell’episodio evangelico dell’Annunciazione. I Padri affidano al Maestro Bartolommeo il compito di dipingere l'affresco. Il devoto artista, nel delineare il volto della Vergine, sfiduciato nelle sue capacità, dopo diversi tentativi, cade in una strana sonnolenza. Al suo risveglio, il miracolo è compiuto, una mano d'angelo aveva dipinto il volto della Madonna. L’affresco, considerato immagine taumaturgica per l’intervento angelico, misura m. 2,85 x 2,20. All'interno di una cornice di motivi geometrici il dipinto rappresenta l’am-

biente domestico della camera di Maria di Nazaret in spaccato: una cassapanca con schienale su cui siede la Vergine e sul pavimento un tappeto orientale con figure di animali stilizzati. L’angelo è appena entrato e s’inginocchia. All’esterno, nell’angolo in alto a sinistra è rappresentato Dio attraverso un fascio di raggi dorati e una colomba che vola verso la Vergine. La visita improvvisa dell’angelo ha interrotto la lettura di Maria. Il libro è aperto, appoggiato su un cuscino sopra la cassapanca, e nelle pagine bianche si legge il passo di Isaia (VII, 14) "Ecce Virgo concipiet et pariet filium". Lungo la diagonale dei raggi, la risposta "Ecce ancilla Domini". L’antichità leggendaria del dipinto è provata da documenti storici: san Filippo Benizzi, nel 1255, pregando davanti all’affresco, ebbe la visione che lo


convinse a unirsi all’ordine; Giuliana di Chiarissimo Falconieri consacrò la sua verginità all’Annunziata nel 1284; da allora, innumerevoli sono stati i miracoli ricordati nei documenti. Dal punto di vista storico artistico l’affresco, come lo vediamo oggi, secondo alcuni studiosi non può risalire al 1252 e ipotizzano che sia stato manomesso in epoca successiva (Casalini, 1998; Verdon, 2005). Tuttavia, l’Annunciazione non è mai stata oggetto di una valutazione critica approfondita, forse a causa della difficoltà di lettura per i ritocchi subìti nel corso dei secoli, per rimuovere lo sporco di polvere e di fumo depositati sull’affresco, almeno fino a quando non fu coperto da una cortina di stoffa e poi dal vetro. La Cappella dell'Annunziata prima dell'intervento michelozziano Sebbene il racconto popolare non contenga elementi di certezza storica è indubbio che la fama dell’evento mira-

coloso abbia contribuito all'evoluzione della primitiva cellula architettonica ormai inadeguata a contenere il crescente afflusso di fedeli e pellegrini. Il primo ingrandimento significativo, che trasforma l’oratorio nella prima chiesa dell’ordine dei serviti, è quello tardo duecentesco documentato nella decorazione scultorea del monumento funebre Falconieri collocato nel Chiostro Grande. Il falco, simbolo della Famiglia Falconieri, affonda gli artigli sulla chiesa così come si presentava agli inizi del Trecento. L'edificio si sviluppa lungo l’asse nord-sud, come l’attuale, affacciandosi sulla zona incolta che si sarebbe poi trasformata nella futura Piazza Santissima Annunziata. Il documento iconografico mostra la chiesa dei Servi con un tetto a quattro spioventi e un portale d’ingresso ad arco leggermente acuto sotto una tettoia triangolare. Sul lato sinistro della chiesa è rappresentata un’absidiola romanica. La chiesa dei Servi di Cafaggio

dunque aveva il perimetro di un grande rettangolo, con la facciata verso le mura di Firenze. Detta facciata corrisponde al fianco sinistro del primitivo oratorio, di cui si conservava l’antica abside probabilmente come memoria delle origini dell'Ordine. Già nel Trecento, la crescente devozione verso il santuario aveva spinto il convento a costituire l’Opera che curasse la Cappella dell’Annunziata e ne amministrasse le offerte: l’ambiente si trovava vicino all’altare della Madonna, finalizzato a conservare gli ex-voto d’argento, i paramenti e gli arredi destinati quotidianamente al servizio liturgico religioso. Un inventario del 1422 documenta che la chiesa avesse due sagrestie (Casalini, 1971): una maggiore, localizzata pressappoco nell’attuale cappella della nave traversa di sinistra, e una minore riservata alla cappella dell’Annunziata. L’ubicazione della sagrestia minore si presume che dovesse essere adiacente

Dettaglio, Sepolcro in macigno di Chiarissimo Falconieri, fine XIII - inizio XIV secolo, Convento della SS. Annunziata, chiostro dei Morti (foto, M. Branchi, 2015) Pianta del Complesso della Santissima Annunziata, Archivio Storico della Città.

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all’altare dell’Annunziata, e che quindi occupasse lo spazio della piccola abside dell’oratorio primitivo di Cafaggio. Attraverso la lettura dei documenti, la studiosa Ircani Menichini (2004) ha descritto la Cappella della SS. Annunziata prima dell’intervento di Michelozzo: ‘L’ambiente era più piccolo dell’attuale, munito di porte con serratura, dette reggiole, e illuminato da almeno due lampadari attaccati al soffitto, da torchi e candele. L’immagine della Madonna occupava un’intera parete della cappella. Per salvaguardarla si copriva con dei veli. Uno di questi fu offerto nel 1414 dalla contessa di S.Vilier. Due sono ricordati nell’inventario del 1439 – uno vergato d’oro e un altro schietto. Anche nel 1440 un velo a liste d’oro con una croce doppia sopra fu donato per l’anima di Margherita Gonzaga, moglie di Leonello d’Este. Per la stessa ragione anche la mensa era co-

perta dalle tovaglie. Erano ordinarie o di pregio, ricamate o dipinte. Una lavorata a uccelli rossi e verdi e un’altra con l’Annunziata, entrambe di seta, erano doni del Cardinale Cassino. Un’altra ancora, di sette braccia per uno con un fregio d’oro soppannata di valescio, fu offerta dalla Gonzaga citata. L’altare inoltre era adornato da una tavoletta dipinta con il Volto Santo del Salvatore, oppure, a seconda dei tempi liturgici, da pitture sulla Nunziata o sul Crocifisso nel sepolcro. Due guanciali tenevano aperto il messale per le celebrazioni. Nell’aprile del 1441 una panchetta aveva sopra la reliquia. Altri arredi preziosi decoravano la cappella. Nel 1422 vi si trovava un tabernacolo d’avorio con dentro Nostra Donna dono di un soldato e un piccolo gioiello fatto di perle minutissime. Un secondo tabernacolo fu donato nel luglio del 1440 tramite il card. Cesarini, ancora in

memoria di Margherita. Era d’argento dorato con 12 smalti con la vita di Cristo e della Madonna e con incisi gli stemmi degli Estensi e dei Gonzaga. C’erano poi paliotti e fregi, una teca d’argento donata da Paolo Orsini, vari contenitori per oggetti preziosi e otto uova di struzzo, restaurate nel 1440. I paliotti erano stati donati dalle famiglie fiorentine amiche che vi avevano fatto ricamare il loro stemma e bellissimi disegni a colori: rose, orsi, leoni, uccelli, pappagalli, compassi o spade, l’angelo e l’Annunziata. I fregi erano ugualmente riccamente decorati: a ghirlande, a figure con le storie della Madonna, con il Battesimo di Giovanni Battista, sempre con l’Annunziata, Cristo e la Madonna,e a sparvieri e foglie verdi e pesci, a rose, o con un leone. Nel periodo di cui parliamo l’edificio necessitò di poca manutenzione. Nel 1431 il falegname Ventura costruì una

panca fino all’altare di S.Martino. Nel 1433 Meo muratore sistemò il tetto; nel 1438 il falegname Papi accomodò il vicino tetto della porta di chiesa. Ma non abbiamo altre notizie’ (pp.41-44). Il progetto di Michelozzo A nome di Piero de Medici, col disegno di Michelozzo, Pagno Portigiani condusse a fine tutto quello che da Michelozzo era stato ordinato (F. Bocchi, 1592) Nel secolo XV la Congregazione dell’Osservanza 2, stabilitasi nel convento dell'Annunziata, cerca di riformare la spiritualità servita promuovendo anche lavori all’interno della Chiesa. In

2 Il ramo dell'Ordine dei Servi di Maria nato e cresciuto nel Nord Italia. Con l'appoggio del pontefice Eugenio IV, nel 1441 l'Osservanza servita si stabilisce e prende possesso della chiesa e del convento della SS. Annunziata, allontanando i frati conventuali dei Servi di Maria. (Casalini,1995)


pagina precedente Veduta del Tempietto dalla navata della Basilica della SS. Annunziata, Ed. Alinari, Fototeca Kunsthistorische Institut, Firenze. a destra Veduta della trabeazione e di una delle due colonne composite del tabernacolo marmoreo all'antica, Ed. Alinari, Fototeca Kunsthistorische Institut, Firenze.

questo periodo, la fabbrica riceve moltissimi ingrandimenti e abbellimenti, tra cui la costruzione del tabernacolo marmoreo a protezione dell’affresco, finanziato da Piero di Cosimo Medici3. Esistono dibattiti sulla paternità del progetto a Michelozzo; ciò che è certo è che i documenti4 riporanto il nome di Michelozzo come direttore dei lavori dell’intera fabbrica dal 1444 al 1453.L’architetto-scultore viene ricordato nelle cronache storiche come strettamente legato alla committenza Medici (già architetto di Cosimo il Vecchio) e autore per Piero il Gottoso della Cappella del Crocifisso nella chiesa di San Miniato a Monte; a lui viene attribuito anche il disegno del tabernacolo marmoreo dell’Annunziata, affidando la realizzazione a Pagno di Lapo Portigiani, suo collaboratore fidato e compagno di bottega (Vasari, 1568; Bocchi Cinelli, 1592). Tra i collaboratori del cantiere, spicca il nome di Maso di Bartolomeo, l’artigiano già associato con MiLo sviluppo edilizio della chiesa della SS. Annunziata è legata fin dalle origini alla presenza di famiglie fiorentine, potenti economicamente e politicamente, che hanno sostenuto il convento e la chiesa, seppur nell’autonomia dell’Ordine dei Servi. Dal 1448 in poi, si registrano nei documenti i continui favori da parte dei Medici, in particolare di Piero di Cosimo. La benevolenza medicea nella Basilica della SS. Annunziata, se avrà avuto anche fini politici di accondiscendenza alla pietà popolare- soprattutto in Cosimo I e Lorenzo il Magnifico-, d’altra parte vi era una sincera e personale devozione della famiglia all’immagine dell’Annunciazione nel santuario mariano di Firenze. Alla metà del quattrocento, Orlando di Guccio Medici fondò la cappella Medici di S.Maria Maddalena (1455),e Cosimo di Giovanni, dopo aver appoggiato la politica riformista di Papa Eugenio IV a favore dell’Osservanza, alla morte del pontefice promosse il ritorno dei Servi di Maria al convento. 4 Il Campione Nero, il registro delle entrate e delle uscite del convento dal 1442 al 1454, in parte trascritto e pubblicato in Casalini 1995. 3

chelozzo e Pagno nell’esecuzione del pulpito nel Duomo di Prato. Grande specialista nella lavorazione dei metalli è autore delle graticole in forma di corde intrecciate e dei ‘chandellieri di Piero di Coximo’ (Vasari, 1568) posti probabilmente sul davanzale marmoreo della transenna bronzea. L’anno 1448, la committenza e l'esecuzione per mano di Pagno di Lapo Portigiani sarebbero confermato dalle iscrizioni presenti sul monumento (Zobi, 1837)5. Tali testimonianze indicano la committenza medicea di Piero di Cosimo per il sacello marmoreo ex voto suscepto, cioè per voto fatto: la cappella è un ringraziamento alla Vergine per la nascita del primo figlio maschio, Lorenzo (nato infatti il primo di gennaio del 1449). Verso la fine del 1448 il tabernacolo era in fase di ultimazione.

5 Un’iscrizione si trova dietro il Palliotto o Dossale d’argento dell’altare: "PETRVS MED. COSMI JOANN. FILIVS SACELLVM 17 MARMOREVM VOTO SVSCEPTO, ANIMO LIBENS D. D. ANNO 1448. IDIB. MARTII", ovvero Pietro, figlio di Cosimo di Giovanni (Cosimo il Vecchio) con grato animo a Dio Signore, fece fare il tempietto di marmo, per grazia ricevuta, il 15 marzo dell’anno 1448, cioè dell'anno 1449 secondo il calendario odierno. Sul lato destro all’ingresso della cappella, una seconda iscrizione ribadisce la dedica dell’altare alla Vergine Maria: MAR. GLORIOSS. VIRG. – GVGLIELMVS CARDINALIS ROTOMAGENSIS, CVM SVPERNI IN TERRIS NVNTII MVNERE FVNGERENTVR, LEGATI RATVS OFFICIVM ET INNVMERIS MIRACVLIS, LOCIQVE RELIGIONE MOTVS HANC ANNVNCIATAE ARAM, SVMMA CVM CELEBRITATE AC SOLENNI POMPA SACRAVIT – MCCCCLII. VIII. KALEN. JANUAR. Una terza iscrizione, scolpita nel marmo del cornicione dalla parte interna sopra al soffitto, contribuisce a chiarire gli attori, committenza e artisti: PIERO DI COSIMO DE MEDICI FECE FARE QUESTA HOPERA, ET PAGNO DI LAPO DA FIESOLE FU EL MAESTRO CHE LLA FE’ MCCCCIIL – COSTO’ FIORINI 4000. EL MARMO.

L'architettura del Tempietto: il Sacello "Reggano questa cappella quattro colonne di marmo alte braccia 9 in circa, fatte con canali doppii di lavoro corinto e con la base e capitegli variamente intagliati e doppii di membra; sopra le colonne posano architrave, fregio e cornicione, doppii similmente di membri e d’intagli, e pieni di varie fantasie e particolarmente d’imprese e d’armi de’ Medici e di fogliami’ (G.Vasari, 1568) Il sistema strutturale trilitico recupera i modelli di ornamenta derivati da monumenti antichi,secondo un programmatico ‘rimando alle origini’ promosso dall’Osservanza servita. Le quattro colonne, ai vertici del quadrato di base, tutte di uguale altezza, rispecchia-

no le proporzioni vitruviane per l’ordine corinzio e per il composito. Queste non presentano capitelli identici: due appartengono all’ordine corinzio e due a quello composito (abbinate due a due a chiasma). I due capitelli corinzi, secondo la tipologia canonica, hanno l’elemento a tronco di cono rivestito da due ordini di foglie d’acanto, tra le seconde foglie, dei caulicoli, e al di sopra delle terze foglie, delle volute angolari, delle elici e il fiore dell’abaco, quest’ultimo falcato e impreziosito da intagli ad ovoli sulla cimasa e da acuminate sbaccellature sulla tavoletta. Anche i due capitelli compositi sono redatti secondo la morfologia canonica,

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con due giri di foglie, due grandi anse e con echino ad ovoli e astragalo a fuseruole, su cui poggia un abaco identico a quello corinzio, ad eccezione del fiore sostituito da una spiga di minuscoli datteri. Tra le due anse, su ogni faccia, vi è un motivo a ghirlanda di foglie e frutti pendenti con, al centro, una piccola conchiglia allusiva dell’immacolata concezione. I fusti sono scanalati e rudentati, rivestiti da ventiquattro scanalature, i cui archetti terminali sia all’imoscapo che al sommoscapo sono separati da palmette. Il fusto delle colonne composite, nello spazio piano tra una sbaccellatura e l’altra, presenta un ulteriore bordo, che non è presente in quello delle colonne corinzie. Le basi, tutte appartenenti al genere attico, presentano delle variazioni: le basi delle colonne corinzie hanno il toro superiore e inferiore decorate con un motivo a funi intrecciate; le basi delle colonne composite invece ripropongono nel toro superiore lo stesso motivo di funi, sebbene formino differenti tipi di canapi, e nel toro inferiore il motivo delle

guilloches. La scozia delle colonne corinzie è abbellita con decorazioni come ovoli in negativo, mentre la scozia delle composite presenta degli ovoli canonici; le basi sono composte da modanature scolpite da eleganti motivi (trecce, corde, alveoli). Le colonne sostengono una ricchissima trabeazione con motivi antichizzanti. L’architrave è tripartito, con una fascia liscia, la seconda decorata a ovoli e la terza intagliata con il motivo a conchiglie. Sopra le tre fasce si trova una cimasa a gola rovescia, intagliata a foliae, ad archetti con boccioli e corolle alternati. La sontuosa decorazione all’antica invade l’intradosso dell’architrave, con specchiature allungate con motivi a ghirlande, trecce e spirali; l'architrave ha tutte le superfici ornate, l'intradosso e anche le porzioni rivolte verso l’interno del sacello, tripartite come la superficie esterna. Il fregio è arricchito da tre grandi clipei, ognuno dei quali ha al centro il volto di un cherubino con diadema alato circondato da raggi solari; su ciascun prospetto

si trovano due clipei, in corrispondenza delle colonne angolari, e tra di essi due festonanti ghirlande. Il cornicione presenta infine, nella sottocornice un echino a ovoli, un risalto a dentelli, un astragalo a fuseruole, una gola rovescia a foliae, l’aggetto dell’intradosso sagomato a gola dritta e con una decorazione di foglie di forma ellittica alternate a steli; vi è poi una fascia decorata con sbaccellature rudentate con, al centro, una fogliolina di alloro, e coronato da un echino a ovoli e, nell’ultima fascia, motivi di pesci come festoni tra palmette e vasi ansati. Nel Tempietto dell’Annunziata il gusto per l’antico, per la sovrabbondanza e per la ricchezza si riscontra anche nella preziosa scelta dei materiali di rivestimento: il pavimento6 ‘pieno di porfidi, serpentini, mischi e d’altre pietre rarissime con bell’ordine commesse e compartite’ (Vasari,1568, p.238) e il soffitto piano a cassettoni

6 Il pavimento che vediamo oggi risale all'intervento seicentesco

con formelle quadrate con rosoni policromatici e polimaterici, delimitate da cornici intagliate da modanature e ornate con ovoli; le superfici di separazione tra una formella e l’altra sono decorate con specchiature con germogli vegetali, corolle e tondi. Altrettanto sontuoso è il soffitto dell'edicola, così descritta dal Vasari: Di sotto per il cielo di detta cappella, fra le quattro colonne è uno spartimento di marmo tutto intagliato, e pieno di smalti lavorati a fuoco e di musaico in varie fantasie di colore d’oro e pietre fini (G.Vasari, 1568) Non è la prima volta che Michelozzo utilizza questo tipo di decorazioni per il soffitto: gli stessi rosoni compaiono già nei cieli lignei di Palazzo Medici Riccardi in Firenze nella Cappella dei Magi. Alcuni studiosi (Casalini, 1978) attribuiscono a Luca della Robbia la paternità del soffitto, anche se non vi è alcun documento in merito. Questa ipotesi è


pagina precedente Veduta di una delle due colonne composite del tabernacolo marmoreo della Cappella della SS. Annunziata, Basilica della Santissima Annunziata, Ed. Brogi, Fototeca Kunsthistorische Institut, Firenze. a destra Veduta di una base di una delle due colonne composite del tabernacolo della Cappella della SS. Annunziata, Basilica della Santissima Annunziata, Ed. Brogi, Fototeca Kunsthistorische Institut, Firenze.

però avvalorata dal confronto con altre due opere robbiane: il soffitto della Madonna dell’Impruneta (1450 ca) e la decorazione del soffitto nel tabernacolo del crocifisso a San Miniato al Monte (1448). Le due opere sono contemporanee alla costruzione della Cappella dell’Annunziata e hanno in comune Piero di Cosimo come committente e Michelozzo come progettista. Al centro del tabernacolo, sotto l’affresco, per officiare, era un altare in marmo retto da quattro pilastrini a forma di anfora7, in cui la critica ha riconosciuto la mano di Michelozzo o di Pagno di Lapo. L'altare che vediamo oggi in argento risale al 1600 ed è stato donato da Ferdinando I de' Medici. L’area sacra è sontuosamente delimitata all’antica da transenne, opera di Maso di Bartolomeo. Queste sono decorate con motivi di corde bronzee, fissate ai montanti di marmo con bottoni stilizzati di marmo nero e ottone. Sopra il tabernacolo marmoreo, vi era un grande giglio di rame e ferro battuto posto sulla trabeazione, opera di Pagno di Lapo Portigiani.

7 L'altare è conservato al Museo Bardini. La composizione marmorea consisteva nella mensa, larga 4 braccia e profonda 2 braccia, sostenuta al centro tramite un blocco con la forma di sarcofago a tinozza, a pianta rettangolare con i due lati brevi stondati e con la superficie esterna intagliata sui tre lati a strigliature; sul prospetto verso i fedeli vi è un clipeo con l’immagine tricefala della Trinità. A sostenere la mensa lateralmente vi erano quattro pilastrini a forma di anfora che ora si trovano nelle due cappelle degli organi nella navata centrale della Basilica.

Pagno aggiunse un grandissimo giglio di rame, che esce d’un vaso, il quale posa in sull’angolo della cornice di legno dipinta e messa d’or, che tiene le lampade; ma non però regge questa cornice sola così gran peso, perciò che il tutto vien sostenuto da’ due rami del giglio che son di ferro e dipinti di verde, i quali sono impiombati nell’angolo della cornice di marmo, tenendo gl’altri, che son di rame, sospesi in aria (G.Vasari, 1568) All’epoca della sua realizzazione, il sacello doveva apparire un po’ diverso da come si presenta oggi: l'eliminazione del giglio di Pagno e l’aggiunta del coronamento ligneo seicentesco ne altera le proporzioni. Il gusto rinascimentale del Sacello è celato anche dall’abbondanza degli ex-voto, dalle candele e dalle lampade a sospensione d’argento, che adornano la struttura. Il Coretto L’ornamento de’Servi non tacerò. Questo ha fatto fare Piero di Cosimo con voluntà del padre, lui come divoto di Quella che, chi con divozione la priega, e molte volte ancora sanza pregare, al bisogno de’ peccati soccorre, ed esaudisce qualunque grazia è a lei domandata che lecita sia. […] Sì che questi due divotissimi e amatissimi d’essa, per onorare e magnificare il luogo dove è collocata la immagi-

ne sua, non con meno amore e voluntà l’uno che l’altro sia stato di onorare il detto luogo, pure a Piero concesse che lui avesse il pensiero a farla onorare in quel modo che a lui paresse che onorata fusse. […] Emi detto ch’egli ha agiunto presso ad essa una cappella, dove che ha fatto uno degno coro, con certe belle stanze, di sopra da questa cappella atta a stare,quando gli piacesse, per sua divozione, degnissime, con un candelabro dinanzi all’entrata d’essa cappella […]. (Filarete, 1460) Mentre venivano apportate le ultime rifiniture alla Cappella della Madonna della SS. Annunziata, Piero di Cosimo Medici, nel 1449, volle aggiungere alla cappella un coretto, nel quale sarebbe stato costruito l’Armadio degli Argenti per custodire gli ex-voto più preziosi donati al santuario, ma anche per allestire un suo privato spazio di preghiera. La Cappella di Piero di Cosimo cioè l’amblacro o vestibolo o coretto a destra della cappella della Madonna è stata eretta dalle fondamenta al tetto in questa fase dei lavori8. Lo spazio, a pianta quadrata come quella del sacello, è coperto da una cupola su pennacchi sferici originati dalla

sezione di una volta a vela. Detta cappella è collegata al sacello tramite un arco completamente intagliato con ingegnosi arabeschi. Sulla parete di fondo, nel luogo dove nelle altre cappelle laterali si trova il tabernacolo dedicato al santo, è collocato un armadio per conservare gli ex-voto. L’armadio degli argenti, incassato nella parete principale, veniva chiuso a cateratta, da una tavola dipinta con storie della Vita di Cristo, ad opera del Beato Angelico e della sua scuola, e di Alessio Baldovinetti 9. Per il coretto viene realizzato un pavimento marmoreo a tavolette bianche e nere e,sulle tre pareti, degli stalli di noce intarsiati. Pavimento e stalli sono scomparsi, ma sono ancora visibili l'apparato scultoreo delle finestre, le cornici e cardinaletti di macigno e l’arco che divide la cappella dall’oratorio. Il coretto viene ultimato nel novembre del 1451, quando viene ricoperto il tetto (Casalini, 1995). Fra il 1453 e il 1461 si registra una seconda fase costruttiva del coretto, con l'aggiunta di una cella personale di Piero de' Medici, comunicante con la cappella, sull’esempio del padre Cosimo che aveva fatto costruire per sé alcune celle nel convento di San Marco. Parti di questa tavola sono conservate al Museo di S. Marco

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8 Questo è attestato dai lavori di restauro nel Chiostro Grande dopo l’alluvione di Firenze del 1966: durante il restauro, con l’abbattimento del vecchio intonaco, si notò la differenza di materiale e di struttura tra la cappella medicea e le altre cappelle del lato sinistro. (Casalini, 1995)

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In questa fase costruttiva viene intrapresa una consistente ristrutturazione del vano interno: la nuova chiusura dell’armadio degli argenti, la costruzione di una cripta al di sotto del coretto, il rifacimento del pavimento, la suddivisione in due piani e l’innalzamento di un tramezzo parallelo al muro di confine con la cappella adiacente per potervi ricavare il collegamento verticale con le stanze di Piero. A tutte queste diverse opere prendono parte maestri di ogni arte, alcuni a noi sconosciuti ma che si muovevano nella cerchia di nomi importante, come Donatello e Pagno di Lapo Portigiani. Il progetto generale di questa fase è affidato a Giovanni di Bertino. I particolari decorativi a lui attribuiti sono l’arco di marmo arabescato di passaggio fra la cappella della Madonna e quella di Piero di Cosimo, e le finestre

di macigno. Nei documenti si legge anche il nome del maestro Bernardo dal Proconsolo, il Rossellino, che si occupa dell'esecuzione degli stipiti di marmo delle porte (Casalini, 1995). La parte muraria è affidata a Nencio di Lapo e a Zanobi d’Antonio, già presenti nei registri per alcuni lavori al convento; Francesco di Nanni, detto il Francione, ha l’incarico dei lavori in legname: il coro, il banco delle candele, le stanze di Piero e l’armadio; le tarsie invece sono eseguite da Domenico da Prato e Niccolò, legnaiolo a Santa Trinita. Nel libro di fabbrica si legge anche il nome di Donatello, pagato dal fattore dei Medici, Nofri di Marco scalpellatore, ma non si può con certezza stabilire per quale scopo sia stato ingaggiato. Gli abbellimenti seicenteschi Per tutto il Cinquecento, la cappella e il

coretto non subiscono particolari modifiche. Nel XVII secolo, con il ritorno al potere della famiglia Medici, vi è un completo rinnovamento che investe tutto il complesso basilicale. Con l'inizio del secolo XVII l'ingresso della chiesa viene arricchito del sontuoso loggiato, finanziato dalla famiglia Pucci, e anche l'interno della chiesa viene aggiornato al gusto del tempo. Il barocco invade tutte le superfici e anche se l'assetto architettonico viene minimamente alterato, oggi la Basilica dell'Annunziata si presenta come una tipica chiesa della Controriforma. In questo contesto di rinnovamento decorativo, anche il Tempietto viene coinvolto nei grandi lavori di abbellimento. Nel 1600 Ferdinando I, per ringraziare la Vergine della guarigione del figlio Cosimo, dona alla cappella dell’Annunziata un palliotto d’argento, opera

dell’orafo Egidio Leggi. Il palliotto celebra la famiglia, raffigurando il Principe Cosimo inginocchiato davanti alla Vergine. Il futuro granduca costituisce così il tramite visivo tra la Vergine e i devoti. L’importanza politica della rappresentazione fa sì che questa iconografia sia ripresa nel palliotto d’oro commissionato da Cosimo II nel 1617 e destinato all’altare di San Carlo Borromeo a Milano e nel 1695 richiesto da Cosimo III al Foggini in quello di Santa Maria dell'Impruneta. Nel primo decennio del Seicento, Ferdinando I commissiona il rinnovamento del pavimento del coretto, eseguito in porfidi, diaspri e altri marmi preziosi, su disegno di Matteo Nigetti e completato nel 1613 a spese di Cosimo II. Nel 1618, Don Lorenzo, fratello di Cosimo II, in ringraziamento per la guarigione da una grave malattia, dona all’altare del-


pagina precedente Veduta dell'arco di separazione tra il coretto e il tabernacolo della Cappella della SS. Annunziata, Basilica della Santissima Annunziata, Fototeca Kunsthistorische Institut, Firenze. Finestra bifora del coretto della Cappella della SS. Annunziata, Basilica della Santissima Annunziata, Fototeca Kunsthistorische Institut, Firenze.

Veduta dell'arco di separazione tra la navata e la tribuna, interno della Basilica (foto: M. Papaleo, 2015)

la Vergine i due gradini d’argento sbalzati e cesellati appoggiati alla mensa, disegnati anch’essi da Matteo Nigetti, e un dipinto di Andrea del Sarto raffigurante il Salvator Mundi (1515 ca). Nel 1624 lo stesso don Lorenzo dona la cornice per l’affresco della Madonna, cesellata con simboli riguardanti i privilegi della Madonna, e il padiglione sagomato a cortina, complesso argenteo che corona ed enfatizza l’importanza del dipinto. Tutta l'opera di oreficeria è eseguita da Cosimo Merlini su disegno di Giulio Parigi. L'apparato decorativo aumenta nei decenni successivi, foderando la cappella di drappi argentei e opere di oreficeria. Tra le opere di abbellimento più importanti ci sono i pannelli in marmo e pietre dure a commesso, che II Granduca

Ferdinando II commissiona come spalliera per il coretto e che sostituiscono gli stalli di noce del 1450. Con la morte di Ferdinando II (1670), il lavoro viene completato nel 1671 per volontà del figlio Cosimo III, divenuto Granduca. Il disegno è di Giovan Battista Balatri, nipote di Matteo Nigetti, e suo allievo e collaboratore, e l’opera è stata eseguita dall’Opificio Statale delle pietre dure. La spalliera è composta da cinque pannelli, intarsiati di lapislazzuli, calcedoni e pietre dure con simboli allusivi della Madonna e iscrizioni dai sacri cantici. Nel pannello centrale si scorge un Sole intagliato in alabastro orientale, raffigurato con le nuvole intorno. Nel fregio tra la cornice e l’architrave è scritto a lettere gialle, arabescate di fio-

ri e fogliami Electa ut Sol. Alla destra vi è la luna in madreperla, incastrata in una lastra di bardiglio, circondata da macchie bianche che evocano le nuvole nell’oscurità della notte; nella parte bassa vi sono alcuni fiori. Sopra, il suo motto: Pulchra ut Luna. Alla sinistra una luminosissima stella con i suoi raggi; sono raffigurate le onde del mare che rappresentano l’oceano, col motto Stella maris. Nei pannelli laterali, in mezzo alle quattro porte (due per lato), ci sono gli altri due pannelli: dal lato della controfacciata, su un fondo di alabastro è raffigurata la rosa, con lo stelo, tra foglie, rami e boccioli, circondata da api, farfalle e altri animaletti, con l’iscrizione Rosa mystica. Tra le altre due porte, che si aprono sull’andito che conduce alla chiesa e al

chiostro Grande, vi è un pannello con rappresentato il giglio, con il verde gambo pieno di fronde, coronato con sei palle dorate, e con intorno vari uccelletti; il suo motto è Sicut lilium inter spinas. L’ultimo intervento di gusto barocco è il coronamento della cappella: il primo progetto prevedeva un coronamento in marmo e rame dorato su disegno di Giovan Battista Balatri e commissione del Principe Mattias dei Medici. I lavori iniziano nel 1667 ma con la morte del Principe, avvenuta l’anno successivo, vengono a mancare i finanziamenti. Nel 1674 il nobile Raffaello Guicciar-

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Schema ricostruttivo delle relazioni tra la Cappella dell'Annunziata e i suoi potenti committenti

dini incarica il Volterrano di concludere il lavoro, preparando un disegno che si armonizzasse con la struttura barocca del soffitto. L’intagliatore Luca Boncinelli esegue la grande corona che costituisce la copertura della cupola a cipolla, insieme agli angeli alla base, che sorreggono a coppie dei cartigli. Il tabernacolo assume così il deciso aspetto barocco che ha tutt'oggi. Il coronamento ligneo risponde a una precisa necessità estetica: rendere il Tempietto più proporzionato sulla verticale interna della chiesa, occupando circa un terzo di tutta l’altezza della cappella. In origine, nel progetto di Michelozzo, questa necessità non esisteva perché le capriate a vista del tetto poggiavano là dove si trova oggi il cornicione. Dopo il rialzamento dell’altezza della chiesa nel 1480 per adeguarla all’altezza della tribuna (1477), il Tempietto dell’Annunziata sembrò sproporzionato rispetto all’alto vuoto soprastante.

Con la salita al potere dei Lorena, si conferma la devozione ormai tradizionale fra i regnanti della Toscana e l’Annunziata: Leopoldo II dona nel 1839 i due bracci d’argento posti alle colonne e insieme alla consorte Maria Antonietta, in occasione della nascita del primogenito, offre la cateratta d’argento che serve a chiudere l’affresco. Nel 1817 vengono eseguiti dall’argentiere Vincenzo Scheggi su disegno dello scultore Stefano Ricci i due angeli che reggono la corona sopra l’affresco, e tre anni dopo, eseguiti da Vincenzo Scheggi su disegno di Luigi Sabatelli, i due candelieri ai lati dell’altare sono donati dal marchese Vincenzo Niccolini; i vasi alternati ai candelieri che ornano la balaustra, disegnati da Aristodemo Costoli e fusi e cesellati da Giuseppe Gherardi e Giovanni Stranghi, risalgono al 1852. La Cateratta per l'armadio degli argenti L’opera pittorica,composta da trenta-

sei scomparti quadrati attribuiti al Beato Angelico e alla sua Scuola – per un totale di trentacinque episodi - in origine decorava le ante esterne dell’armadio ligneo, custodia delle offerte votive destinate alla cappella dell’Annunziata. L’armadio si trovava all'interno del coretto, sulla parete di fondo adiacente al chiostro Grande. I dati a disposizione non forniscono il nome del committente dell’opera pittorica; probabilmente l’iniziativa partì dai conventuali, poiché la costruzione dell’armadio era una necessità reale degli stessi. L’analisi dei documenti e l'osservazione dell’opera consentono di ricostruire due fasi per la realizzazione dell'armadio: il primo sistema di apertura ad ante risale agli anni Cinquanta del Quattrocento; negli anni 1461-1463 il sistema ad ante viene sostituito da un meccanismo ‘a cateratta’, cioè a saracinesca azionata da una carrucola. La prima fase dei lavori è registrata

nel Campione Nero, quando Lorenzo di Marochi fornisce per l'oratorio "cardinaletti intachati in faccia […] e una finestra a mezzo tondo e colle cimase in su gli stipiti da mettersi sopra detto armario nel muro grosso" (Casalini, 1971, p.28). Questa ipotesi avvalora l'ipotesi attributiva al Beato Angelico dei primi nove episodi della parte dipinta dell’armadio, eseguiti negli anni Cinquanta del Quattrocento; nel 1453 infatti il pittore lascia Firenze. Il nuovo progetto di sistemazione dell’armadio risale agli anni Sessanta durante i lavori al coretto per la realizzazione delle stanze private di Piero di Cosimo de' Medici. Alle due stanze, una camera e una sala, vi si accedeva da un percorso che in parte ancora esiste: da una porta in via Cesare Battisti, a lato dell’ingresso del convento, si saliva per una scala fino al livello supe-

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pagina precedente Cappella della Santissima Annunziata, Basilica della Santissima Annunziata (foto, M. Papaleo, 2015) Veduta interna del coronamento ligneo della Cappella della SS. Annunziata, Basilica della Santissima Annunziata (foto: M. Papaleo, 2015)

riore dell’antiporto, lo si attraversava sul lato sinistro10 fino a giungere alle stanze soprastanti il coretto. Da queste stanze, attraverso una stretta scala, Piero poteva raggiungere il coretto in segretezza. Il coretto è destinato fin dal 1453 all’armadio degli argenti. Su volontà di Piero di Cosimo, il coretto viene diviso in due piani; al piano superiore viene allestita un’altra stanza, confinante con la sua abitazione, necessaria sia per il collegamento con la cappella dell’Annunziata, sia a stanza di ricetto per la tavola a cateratta, ogni volta che l’armadio veniva aperto. E’ in questa fase dei lavori che viene tamponata la finestra monofora e ne viene aperta una rettangolare a lato, sulla scala creata nello spazio dell’organo per raggiungere il coretto dall’appartamento di Piero. I lavori delle stanze e dell’armadio si svolgono contemporaneamente,tutti a spese di Piero di Cosimo; viene aperta anche una nuova porta sulla facciata della chiesa, si restaura il banco delle candele, si scava un sotterraneo sotto la cappella della Madonna. Nel 1461 per la realizzazione della cateratta si rende necessario adattare la parte pittorica, che non era ancora terminata, al disegno stabilito per l’arma10 A questa fase dei lavori risale la chiusura del registro superiore del Chiostro dei Voti; su questo lato, al registro superiore, le finestre sono tamponate, così da creare un corridoio di passaggio senza possibilità di introspezione dall'esterno.

dio: una grande tavola a scorrere decorata con pannelli dipinti. Per l’adeguamento del vecchio progetto al nuovo, un documento della sagrestia registra il nome di Piero del Massaio, il quale era venuto a "insegnare dipignere l’armario" (A.SS.A.FI., Sagrestia, vol.67, f.28r, 30 gennaio 1461). La critica più recente individua nei 35 riquadri dipinti 11 diversi autori: i nove episodi del primo pannello al Beato Angelico, i tre episodi del secondo pannello ad Alessio Baldovinetti e i ventitré episodi restanti alla scuola angelicana. La lettura degli episodi scorre da sinistra a destra. Ogni riquadro, fatta eccezione per il primo e l’ultimo, è introdotto da una citazione del Vecchio Testamento e termina con una del Nuovo Testamento. I quattro pannelli con i vari episodi risultano chiusi da una introduzione, la Ruota Mistica, e una conclusione, Lex Amoris. La critica ha cercato di ricomporre il disegno originale degli sportelli dell’armadio e come questi siano stati adattati alla cateratta. Un indizio per la riAl Museo di San Marco sono conservati otto pannelli dipinti dell’armadio. La critica comunemente divide l’insieme in quattro gruppi: I gruppo: Ruota mistica, l’Annunciazione, la Natività. (3 elementi, 9 episodi – 1 pannello) II gruppo: Nozze di Cana (1 elemento, 3 episodi – 1 pannello) III gruppo: Resurrezione di Lazzaro, Entrata di Gesù in Gerusalemme-Ultima Cena, Vendita di Gesù. (2 elementi, 12 episodi – 1 pannello) IV gruppo: la Salita al Calvario, la Spogliazione di Gesù– Crocifissione, Deposizione. (2 elementi, 11 episodi : uno con spazio doppio: il Giudizio Universale – 1 pannello).

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costruzione è celato nel terzo e il quarto gruppo dei pannelli (il lato sinistro del pannello con la Resurrezione di Lazzaro, e il lato destro di quello con la Deposizione e la Lex Amoris), in cui la superficie dipinta mostra segni di attrito con un corpo solido. Questi dovevano essere collocati a contatto con le intaccature di pietra dei cardinaletti dell’armadio. Casalini (1971, pp. 46-47) immagina la cateratta come un’unica tavola con arco ribassato, in cui la superficie, completamente intarsiata, incorniciava la parte pittorica. Il primo e il secondo gruppo dei pannelli, già dipinti dall’Angelico e dal Baldovinetti, sono ipotizzati collocati a destra e a sinistra, mantenendo l’aspetto di ‘sportelli’. Il terzo e il quarto gruppo invece, separati da uno stretto listello occupano tut-

ta la lunghezza della cateratta. Ipotizzando il primo progetto formato da sportelli della stessa dimensione, per adattare la cateratta si è reso necessaria l'aggiunta di sei episodi totali per il terzo e il quarto gruppo, rimaneggiando necessariamente la disposizione di quelle del progetto originario. I sei episodi aggiunti sono proprio quelli dove si rinvengono le tracce dell’attrito. Altre problematiche d’interpretazione riguardano il secondo pannello attribuito al Baldovinetti. Le tre scene sono state oggetto di discussione, sia per quanto riguarda la datazione, sia l’ordine invertito tra le Nozze di Cana e il Battesimo, sia perché si è creduto che

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pagina precedente Beato Angelico, I gruppo della cateratta dipinta del'armadio degli argenti, Museo di San Marco, Firenze (foto, John Pope-Hennessy, 1981)


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Grafico della ricostruzione della cateratta dipinta dell’armadio degli argenti.

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in origine gli episodi fossero di più: nel progetto dell’Angelico, come in quello di Piero del Massaio, il racconto della vita di Gesù era stato suddiviso in quattro cicli (Fanciullezza, Vita Pubblica di Gesù, Passione, Morte e Resurrezione). Gli studiosi (Casalini, Baldini, Bartalini, Del Popolo) ipotizzano che anche il secondo ciclo fosse ideato e dipinto con nove episodi e non tre come è giunto fino a noi. Infatti il secondo pannello è l’unico che impone una lettura dall’alto verso il basso. Casalini ipotizza che sei storie del Baldovinetti siano state sacrificate nel momento dell’adattamento nella tavola-cateratta per poter inserire al loro posto uno sportello reale a forma di gelosia. A destra della gelosia, rimangono dunque intatte le ultime tre storie del Baldovinetti per salvaguardare la continuità tra gli episodi del primo e del terzo pannello. Altri studiosi, come Gilbert, ricostruiscono la cateratta secondo tre moduli quadrati sovrapposti, appoggiando l’ipotesi di un’operazione di selezione tra gli episodi della vita adulta di Gesù per questione di spazio: le dimensioni della tavola dell’armadio non avrebbe potuto ospitare sei scene supplementari. La selezione dava risalto al Battesimo, in quanto sacramento; altrettanto si verifica nell’Eucarestia, simboleggiata in più episodi, e l’enfasi sacramentale è ribadita dall’elencazione di tutti i sacramenti nel pannello

I - 1.Ruota mistica, 2. Annunciazione, 3. Natività, 4. Circoncisione, 5. Adorazione dei magi, 6. Presentazione al tempio, 7. Fuga in Egitto, 8. Strage degli innocenti, 9. Gesù tra i dottori. II - A. Sportello mobile a forma di gelosia, 10. Nozze di Cana, 11. Battesimo di Gesù, 12. Trasfigurazione.

III - 13. Resurrezione di Lazzaro, 14. Entrata in Gerusalemme, 15. Ultima Cena, 16. Ven dita di Gesù, 17. Lavanda dei piedi, 18. Istituzione dell’Eucarestia, 19. Orazione nell’orto degli ulivi, 20. Cattura di Gesù, 21. Ferimento di Malco, 22. Gesù davanti a Caifa, 23. Gesù deriso, 24. Gesù alla colonna.

IV - 25. Salita al Calvaio, 26. Gesù denudato, 27. Crocifissione, 28. Deposizione della croce, 29. Gesù al Limbo, 30. le pie donne al sepolcro, 31. Ascensione al cielo, 32. Pentecoste, 33. Giudizio finale, 34. Incoronazione, 35.Lex Amoris.

conclusivo della Lex Amoris. Ciò che è certo è che la parte pittorica nella configurazione del secondo progetto è giunta fino a noi per intero; un testimone oculare presente nel 1782 alla scomposizione della tavola (cateratta) scrive ‘Era questa dipinta in 35 spartimenti rappresentanti i fatti più insigni del Nuovo Testamento, onde poteva segarsi in tante tavole minori senza pregiudizio della pitture; e poiché si trovava disadatta per la sua grande mole, essendo alta circa 5 braccia e larga altrettanto […] fu divisa in 8 minori tavole’ (Casalini, 1971). Nell’oratorio la cateratta, comprese le intaccature di scorrimento, ha una base di 3,04 m, con l’altezza di 3,55 m fino al colmo dell’arco. La tavola a cateratta misurava m.3 x 2.95 (m.3,55 con l’arco).

tavolette dipinte e altri tipi di oggetti all’universo degli ex voto. Il dono ex voto, quale espressione della preghiera, appartiene alla virtù della religione, perché sta a indicare un legame di dipendenza tra l’uomo e il divino. L’espressione di questa devozione della città di Firenze e dei fiorentini nei confronti del Santuario mariano e della sua immagine ritenuta miracolosa si riscontra già nel Trecento: la più antica memoria di donazione di lampade, e dell’olio necessario, davanti all’altare della Madonna è quella di Vinta del Tignoso, tessitore che, prima di morire, nel 1341 lascia per iscritto a sua moglie Margherita, che per venti anni, ogni mese, porti l’olio alla Madonna, per alimentare le sue lampade. Con il tempo le lampade crescono di numero, così come le offerte di olio per tenerle accese. Le lampade donate sono di varia fattura, in materiale prezioso, d’argento, donate da famiglie nobili, Papi e principi, o di comuni, di taglia media o piccola. Nell’inventario del 1468 si contano dodici lampade d’argento e agli inizi del Cinquecento aumentano ancora. Solo Piero di Cosimo de Medici ne offre trenta alla Madonna, finemente cesellate da Tommaso, padre di Domenico del Ghirlandaio, e provvede all’olio tramite l’Arte della Mercanzia di Firenze. Come riporta Taucci (1976, pp.83-86), con l’intervento michelozziano a spese

di Piero di Cosimo, la cappella della Madonna diviene patronato dei Medici e a nessun altro è concesso di appendervi lampade votive. Nel 1518 le lampade della Cappella vengono tolte e distrutte per sovvenire ai bisogni dei Padri Serviti e per provvedere alle imposizioni della terza Repubblica fiorentina che, per necessità, confisca l’argento per la fusione della Zecca: nell’inventario del 1527 è ricordata la distruzione di sedici lampadari di varia grandezza12. In tempi di rinnovata devozione non mancano altri benefattori: la granduchessa Eleonora dona una lampada come ex-voto su cui aveva inciso il suo stemma (1571), altre lampade vengono offerte da parte del duca di Joyeuse di Francia (1583), altre da Giovanni de’ Medici (1606) e da alcuni nobili, come quella donata da Piero di Alessandro Capponi nel 1607. Tra Seicento e Settecento la lista dei nomi di devoti che offrono in dono lampadari allungano le liste degli inventari 13.

Le lampade votive L’uso di collocare lampade davanti agli altari è antichissimo: la lampada è simbolo della preghiera, di cui il fedele doveva prendersi cura, specialmente prima dell’elettrificazione, premurandosi che non si spegnesse; la devozione, la continua vigilanza verso il lume portava il pensiero a stare sempre vicino al destinatario del dono. Le lampade che gremiscono l’altare della cappella della Santissima Annunziata, come quelle delle prime chiese cristiane che adornavano le volte o le cornici, appartengono insieme alle

La confisca non si limitò alle lampade ma a tutti quegli oggetti preziosi che costituivano il tesoro dell’Annunziata. 13 In un inventario del 1799 erano segnate 50 lampade che stavano comunemente dentro e fuori la cappella, e altre 23 in deposito nella 12

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Il 25 maggio del 1799 i francesi assediano Firenze e per le necessità dello stato sono espropriate nuovamente le lampade dell’Annunziata. La pietà dei fiorentini ne supplisce le mancanze e ne ricompongono il numero. La maggior parte delle lampade però non viene offerta ma concessa in uso, per riprenderla al bisogno ed evitarne un terzo esproprio. Tra i donatori si leggono tanti nomi di famiglie fiorentine, già devote alla Madonna, che ne rinnovano la casata (Capponi, Riccardi, Bardi, Strozzi), come di persone devote anonime, e società di artigiani (Nastrai, Servitori, Scrivani, Fruttaioli, Mercanti, Merciai, Pizzicagnoli). Così il 5 ottobre 1800, con il nuovo assedio francese, i donaSagrestia Nuova: in tutto erano 73.

tori si riprendono le lampade che, una volta scampato il pericolo, vengono restituite, quasi tutte, ai Padri. Durante l’Ottocento, restaurato il Granducato, nuove lampade d’argento sono offerte alla cappella: tra queste i Borboni di Napoli nel 1821 e un comitato anonimo per la lampada della Restaurazione del Principato di Toscana nel 1849. Nel 1896 giunge la pregevolissima lampada del Terremoto, offerta dalla Città per ringraziamento dello scampato pericolo del sisma del 15 maggio 1895, eseguita dall’argentiere Giuseppe Gherardi di Firenze. Tra il 1872 e il 1914 viene compilato da parte del Municipio di Firenze l’inventario dei beni della Basilica e tra gli oggetti preziosi,

vengono catalogate 39 lampade. Oggi le lampade appese alla Cappella della Madonna sono diciannove, e di quindici ne è stata ricostruita l’identità14, grazie allo studio descritto nel saggio ‘Le lampade votive d’argento della cappella della SS. Annunziata di Firenze’ di p. Eugenio M. Casalini, osm e di Paola Ircani Menichini. Le lampade di cui gli studiosi hanno accertato l’identità sono quelle donate dalle Società dei Natrai, dei Servitori, dei Fruttaioli, dei Mercanti, dei Pizzicagnoli, dei Merciai, dalle famiglie Riccardi, Covoni, Ranieri, Capponi e Del Vivo tra 1799 e 1803. Accanto a queste vi sono le preziose lampade dei Borboni di 14 le restanti quattro non presentano iscrizioni o particolari da poter confrontare con i documenti.

Napoli, della Restaurazione del Principato, del Terremoto e del VII centenario del 1952.


pagina precedente Veduta dell'affresco dell'Annunciazione custodito nell'edicola marmorea, Basilica della Santissima Annunziata (foto: M. Papaleo, 2015) Veduta in scorcio della trabeazione dell'edicola marmorea e delle lampade votive in argento, Basilica della Santissima Annunziata (foto: M. Papaleo, 2015)

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Il dibattito sulla paternità

Disegno del tabernacolo di Michelozzo, Basilica della Santissima Annunziata, Fototeca Kunsthistorische Institut, Firenze.

[…]Piero de’ Medici far la cappella della Nunziata tutta di marmo nella chiesa de’Servi, volle che Michelozzo, già vecchio, intorno a ciò gli dicesse il parer suo, sì perché molto amava la virtù di quell’uomo, sì perché sapeva quanto fedel amico e servitor fusse stato a Cosimo suo padre. Il che avendo fatto Michelozzo, fu dato cura di lavorarla a Pagno di Lapo Portigiani scultore da Fiesole[…] (G.Vasari,1568,p.238) Nei documenti è registrato il nome di Michelozzo che, capomastro della cupola e della lanterna del Duomo, si occupa di ordinare materiale per la recinzione marmorea del Sacello (1448-1449). Una cronaca cinquecentesca conferma, in accordo con la memoria vasariana, la paternità del disegno a Michelozzo e la collaborazione di Pagno di Lapo Portigiani per l’esecuzione e per la progettazione di alcuni particolari decorativi: ‘Michelozzo Michelozzi scultore fiorentino e architetto – Piero di Cosimo de Medici volendo fare la cappella della Nunziata pregò Michelozzi che facesse el disegno, lo fece e la cura di lavorarla fu data a Pagno di Lapo Portigiani scultore da Fiesole. Reggano la cappella 4 colonne di marmo di braccia 9 luna. D Pagno fece el disegno dell’ingraticolato fu ancora [incaricato] del giglio di rame ch’ è sopra il cornicione fece accanto el coro in detta cappel-

la e di quei lumi in tutto questo modo fece quel giglio che serve per luminarlo che alto braccia cinque’(A.S.F. Conv. Sopp. 119, fz 59, fs V, a c 23 pubblicato in M.Ferrara F.Quinterio Michelozzo di Bartolomeo, Firenze 1984, pag.231). Dell’esecuzione del graticolato se ne occupa Maso di Bartolomeo, già collaboratore di Michelozzo e Pagno nel pulpito pratese: nei Libri dei Ricordi di Maso sono annotate le spese della realizzazione della transenna bronzea, del cancelletto a doppio battente che si apre nella recinzione e dei candelieri di Piero di Cosimo. Questi nomi compaiono spesso associati nei cantieri del tempo: con il contratto stipulato il 28 febbraio 1445 con l’Opera del Duomo di Firenze per l’esecuzione della porta della sagrestia nord, il nome di Michelozzo è associato con quelli di Luca Della Robbia e Maso di Bartolomeo; gli stessi sono presenti anche in altri interventi: la porta, la graticola bronzea per l’altare del Sacramento nella cappella di S. Stefano e la lanterna della cupola; il nome di Pagno di Lapo Portigiani è ricordato tra i fornitori di bronzo di Michelozzo. Pare possibile che Michelozzo e Maso si fossero in qualche modo associati: la cura dell’esecuzione delle porte bronzee fu affidata a Maso e a Michelozzo restava la gestione del lavoro. Negli anni quaranta del Quattrocento

Michelozzo con gli artisti della sua cerchia, da Maso di Bartolomeo a Pagno di Lapo Portigiani, si trovavano a lavorare nei cantieri medicei di Palazzo Vecchio, della Santissima Annunziata e di San Lorenzo. Per i lavori dell’Opera del Duomo, Maso è ricordato come ‘socio’ e nei Libri dei Ricordi di Maso, lo stesso dichiara una sorta di sodalizio fra i tre artisti, «fumo compagni». A Michelozzo, Maso e Pagno sono attribuiti anche i tabernacoli di San Miniato e della chiesa dell’Impruneta. Secondo la datazione e l’attribuzione della tradizione, quando Michelozzo compra il marmo per la graticola della cappella dell’Annunziata, il tabernacolo è in fase di ultimazione. Con la conclusione dei lavori del Sacello marmoreo termina il primo momento costruttivo del Tempietto. In questo periodo si ipotizzano realizzati il Tabernacolo marmoreo, la transenna bronzea, l’altare marmoreo e i candelieri che illuminavano il Sacello e che erano probabilmente collocati sul davanzale della transenna, di cui uno, ricordato nella cronaca cinquecentesca, monumentale «luminario […]alto braccia cinque», posizionato «accanto el coro in detta cappella», oggi andato perduto (ASF, Corp. Sopp. 119, f. 59, fasc.V, c. 23r. in Morolli, 1998, pag. 153). Il secondo momento costruttivo riguarda gli interventi del coretto. Nel

1452 si costruisce il tetto e alla Vigilia di Natale dello stesso anno viene consacrata la nuova cappella. Nei Libri dei Ricordi del convento servita è riportato il pagamento dell’organaro Matteo di Paolo da Prato e Salvi di Lorenzo Marochi forniva nel 1453 «br.11 e ¾ di cardinaletti intachati in faccia per l’armadio della Nunziata dove a’ stare l’ariento» 1. Tra il 1461 e il 1463 si ha la terza fase degli interventi che riguardano di nuovo il coretto. I lavori sono considerevoli: viene raddoppiato il volume al di sopra della cappella dell’Armadio degli Argenti con la realizzazione degli spazi ‘segreti’ destinati all’esclusivo uso di Piero di Cosimo e del secondo progetto per la chiusura dell’armadio. E' nominato per tutta l’opera Giovanni di Bertino, intagliatore al quale si attribuisce anche l’esecuzione della facciata della chiesa Santa Maria Novella e del Sacello per i Rucellai in San Pancrazio. Nel 1454 Giovanni di Bertino aveva anche collaborato con Michelozzo al cantiere pistoiese dell’ospedale del Ceppo come disegnatore e al cantiere di San Lorenzo a rifinire i capitelli della navata. Bernardo Rossellino in questo periodo è capomastro dell’Opera del Duomo ed è il principale fornitore di marmi dei laSi tratta del primo progetto dell’armadio degli argenti, chiuso ad ante decorato con pannelli dipinti dal Beato Angelico

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vori alla cappella; a dirigere e a sovrintendere i lavori si trova il nome di Pagno di Lapo Portigiani. Poiché non è chiara la datazione dell’opera, la scelta in questo studio è stata di assumere quella riportata nei documenti del convento della Santissima Annunziata e sostenuta dal più noto studioso della Cappella dell’Annunziata e dell’intero complesso dei Servi, padre E.M. Casalini. Vi sono però più ipotesi: gli studi di Ferrara e Quinterio e di Morolli. Nella monografia di Michelozzo degli studiosi Ferrara e Quinterio viene confermata la paternità del disegno del Sacello marmoreo a Michelozzo, ma la sua realizzazione viene datata non nel 1448-1449, ma negli anni Sessanta del Quattrocento. Il documento principe di quest’ipotesi sarebbe quello conservato agli archivi dell’Opera di Santa Maria del Fiore, in cui Michelozzo, capomastro dell’Opera del Duomo, menziona solo il conto del marmo per la gratichola. In un primo momento sarebbe stato realizzato solo il recinto, la delimitazione dello spazio sacro antistante l’affresco miracoloso. Il Sacello marmoreo secondo questa ipotesi risalirebbe agli anni Sessanta: Michelozzo in quel periodo era occupato a Ragusa e, come involontariamen-

te dice Vasari, già vecchio; si propone quindi convincente l’ipotesi dell’esecuzione del tabernacolo in questa data su disegno di Michelozzo e sovrinteso da Pagno e aiuti; in una lista di pagamenti dell’ottobre del 1461 sono nominati ben 15 scalpellatori, troppi per curare la pavimentazione e la decorazione del solo Coretto[…] (Ferrara Quinterio, 1984, p.234) Lo studio di Morolli invece mette in dubbio la paternità stessa di Michelozzo, partendo dall’analisi dei documenti e dall’assenza del nome di Michelozzo nei lavori specifici che riguardano la Cappella dell’Annunziata (mentre sono riportati i nomi di Pagno di Lapo Portigiani e di Maso di Bartolomeo). L'autore ipotizza l’estraneità sostanziale di Michelozzo all’impresa; il fatto che la cronaca cinquecentesca attribuisca a Michelozzo la paternità del disegno del Sacello marmoreo, è dovuto al ruolo dello stesso nel cantiere dell’Annunziata dal 1444, il quale, in quanto capomastro dei Servi, "era facile attribuirgli in toto la responsabilità di ogni intervento che si fosse verificato nel secolo precedente all’interno tanto della Basilica […]".(Morolli, 1998, p.150). Inoltre, prosegue Morolli, l’ipotesi sarebbe avvalorata dalla facile confusione derivante dalla somiglianza dei nomi di due ambienti diversi: cappel-

la grande della Nunziata il nuovo Coro ottagono, e cappella della Santissima Annunziata, il Sacello marmoreo. Lo studioso si lancia in un’affermazione più radicale rispetto ai due autori Ferrara e Quinterio: nella fase tra il 1449 e il 1453 i lavori realizzati sarebbero stati solo quelli riguardanti le transenne bronzee, l’altare marmoreo, lampade e candelabri, inserti marmorei policromi, membrature lapidee intagliate, il desco delle candele, organi e armadi ma non l’edicola marmorea. Nei documenti dei lavori di questi anni non appare mai ricordato il Sacello, e inoltre, alla consacrazione della nuova cappella di Piero di Cosimo del 1452 alla presenza del Cardinale D’Estrouteville, la meraviglia degli spettatori si concentra sull’Armadio degli Argenti e non sul Sacello, che secondo questa ipotesi non era stato ancora realizzato. Il numero di "quindici scarpellatori" (AAVV, Il Santuario della SS. Annunziata,pp.88, 293-295) si giustifica quindi con un cantiere ben più impegnativo rispetto alla ristrutturazione della cappella dell’armadio: quando sono realizzate le finestre bifore, l’intradosso dell’arcata verso la chiesa, la calottina ribassata e poco altro. Poiché il Tabernacolo sarebbe stato eseguito negli anni Sessanta del Quattrocento, non poteva essere stato realizzato su disegno di Michelozzo, il

quale dal 1455 non figura più nella documentazione di cantiere e nel 1461 si allontana da Firenze per raggiungere Ragusa (l’odierna Dubrovnik), chiamato dalle autorità cittadine per sovrintendere ai lavori di potenziamento della cinta difensiva. Morolli propone quindi la tesi che l’edicola marmorea sia conseguenza di un suggerimento di Alberti donato al sofisticato gusto antiquario di Piero de’ Medici: le proporzioni e le forme antichizzanti del Sacello dimostrerebbero la coerenza con le norme albertiane esemplate sul ‘vero modo degli Antichi’ del De re aedificatoria. L'analisi del rilievo geometrico del manufatto rivela che il Tempietto non è un manifesto del De re aedificatoria di Alberti, come sostiene Morolli. Esiste un modulo di base pari a un braccio fiorentino, generatore dei rapporti tra le parti e strumento di controllo sulla progettazione dell’opera, ma non nella proporzione delle singole parti degli elementi architettonici. La teoria dell’intellettuale-architetto Alberti sulla ricerca dell’armonia attraverso l’adozione del modulo sembra non essere applicata. Il Sacello non appare citato nei documenti che riguardano i lavori del primo momento costruttivo, ma non esiste nessuna fonte che dimostri che la costruzione risalga agli anni Sessanta del Quattrocen-


to. E mentre la cronaca cinquecentesca indica il nome di Michelozzo come autore progettuale dell’opera, il nome dell’Alberti è ricordato solo per i lavori della Tribuna. Dall’analisi dell’architettura emergono i caratteri della tradizione fiorentina e del gusto antiquario dei primi Medici: la ricchezza decorativa dei dettagli degli elementi architettonici, delle colonne dai capitelli corinzi e compositi e del fregio dai chiaroscuri nitidi sono caratteristiche tipiche della stagione del Quattrocento. Riconducibile alla tradizione rinascimentale sono anche gli apparati decorativi, come per esempio il soffitto a lacunari del Tabernacolo. Gli anni Quaranta del Quattrocento vedono il consolidamento e l’inizio della diffusione di un nuovo linguaggio: una più accentuata aderenza a specifici modelli antichi, specialmente nella fedeltà agli ordini architettonici e una più consapevole rielaborazione dell’attività di artisti fiorentini, come Michelozzo scultore-architetto in collaborazione con altri maestri, Maso di Bartolomeo, Luca della Robbia, Pagno di Lapo Portigiani. L’identificazione dell’autore del Tempietto è un’operazione molto complicata: da una parte perché molte opere eseguite a Firenze nel Quattrocento furono attribuite a Michelozzo, anche da parte dal biografo del Le Vite,

Vasari, dall’altra per la difficoltà generale a individuare il nome dell’architetto nelle fonti dell’epoca. L’incertezza attributiva nasce anche dal carattere evanescente della definizione di architetto nel secolo XV: chi esegue il modello? Chi fa il disegno? Chi supervisiona i lavori di cantiere? Chi è l’esecutore dell’opera? Chi firma le opere nel Rinascimento sono i committenti: per esempio sulla facciata di Santa Maria Novella, sul frontone superiore della basilica si legge il nome di Giovanni Rucellai, committente dell’opera, e l’anno di realizzazione 1470 e non l’architetto che l’ha disegnata. L’architetto del Rinascimento è in rapporto di subordinazione al committente e in particolare in una città come Firenze, in cui il potere si stava sempre più concentrando nelle mani di una famiglia, i Medici. In questo contesto l’architettura diventa un potente strumento di potere, di affermazione politica dei Signori della città. Stemmi ed emblemi medicei si ritrovano sulle ricche superfici del Tempietto, collocate in momenti e da personaggi diversi nei secoli e mostrano lo stretto legame tra la famiglia fiorentina e il culto dell’Annunziata. Tra le ‘firme’ dei committenti si possono individuare le insegne quattrocentesche di Piero di Cosimo, lo stem-

ma di Ferdinando I Granduca risalente al secolo XVII e quello del matrimonio con la moglie Maria Cristina di Lorena, fino a quelli degli Asburgo Lorena, sulla cateratta dell’affresco, di Leopoldo II e della consorte Maria Antonietta del secolo XIX. I ripetuti donativi alla Cappella la resero specchio dell’acquisita potenza politica ed economica. Questo processo iniziò nel momento di massima affermazione del potere Medici ed è significativo che nel luogo dove è protetto l’affresco miracoloso, per volontà di Piero di Cosimo, furono realizzate le sue stanze: si privatizza uno spazio fino ad allora luogo di devozione popolare, si rafforza il primato della famiglia Medici e si ribadisce il loro potere su Firenze. Ed è proprio l’analisi delle insegne medicee che può dare un suggerimento sulla datazione dell’opera, o almeno un’indicazione su prima e dopo. L’osservazione dei due ambienti rivela che gli emblemi medicei quattrocenteschi sono presenti nel coretto e completamente assenti nel tabernacolo marmoreo. Si rilevano tre imprese medicee nell’intradosso dell’arco che separa i due ambienti (al centro l’arme medicea con sette bisanti; sui due fianchi dell’arco, collocati simmetricamente, si trovano due rilievi con le tre piume, divisa medicea per eccellenza) e nelle

decorazioni dei vetri, ripetuti nei rosoni delle due finestre bifore, lo stemma mediceo a fondo oro con sette bisanti rossi inserito in una composizione con le tre piume. L’intervento commissionato da Piero di Cosimo durante la fase dei lavori degli anni Sessanta è strumento di affermazione della famiglia Medici. La data di questi lavori coincide con l’asserzione della figura di Piero all’interno della famiglia e nei confronti della città, dopo che fu eletto gonfaloniere nel 1461. La completa assenza di insegne medicee sul Sacello dimostra una differenza di fase e fa supporre la realizzazione del Tabernacolo marmoreo precedente agli anni Sessanta del Quattrocento.

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Il modulo

pagina precedente Tempietto dalla navata centrale, Basilica della Santissima Annunziata (foto, M. Papaleo, 2015)

Di questi numeri si servono gli architetti non confusamente e alla mescolata, ma in modo che corrispondano e consentano da ogni banda all’armonia (L.B. Alberti) Per ‘modulo’ si intende la matrice geometrica definita e ripetuta, principio generatore delle proporzioni tra le parti e compositore del progetto. Il modulo nasce nell’architettura antica per dimensionare e progettare l’oggetto architettonico secondo regole geometriche e, mentre sopperiva alla mancanza del disegno, la sua ripetizione ne garantiva il controllo. Nel primo Rinascimento gli artisti riscoprono il senso del Bello, l’armonia delle proporzioni e il gusto della perfezione formale: recuperano il concetto di Bellezza come espressione stessa della perfezione. Si riscoprono le forme antiche e la filosofia sottesa della cultura greca: la bellezza è sinonimo di perfezione e si fonda su precisi rapporti matematici. Le riflessioni sulla Bellezza degli artisti Rinascimentali si inseriscono e si spiegano all’interno di un determinato contesto culturale e filosofico, il neoplatonismo. Secondo questa filosofia ciò che è bello è anche buono, e ciò che è buono e anche bello, e quindi la conseguente asserzione di una corrispondenza di valori tra sfera etica ed esteti-

ca. Questo assioma permise di risolvere un conflitto che nel Medioevo aveva estraniato il Bello dall’Arte, e di riproporre nel corso del Quattrocento il tema della Bellezza. In questo periodo, caratterizzato dalla passione per l’Antico e dalla ricerca della Bellezza, si riscopre il trattato di Vitruvio, De Architectura (15 a.C.), che aveva codificato il modo di costruire de gli antichi. Si riscoprono gli ordini architettonici, un sistema di norme stilistiche e proporzionali per regolare la composizione di elementi che interagiscono tra loro in un intero organico e armonico. Nel secondo Quattrocento Alberti apre una nuova stagione di trattati, con il suo De re aedificatoria (1485), che avrà seguito e maggior successo nel Cinquecento con i maggiori trattatisti, Serlio, Vignola e Palladio. Ma già le opere degli artisti quattrocenteschi, e in particolare fiorentini, rielaborano la forma antica proponendo tipologie nuove: studiano, modificano la fonte e sono in grado di rinnovare profondamente le sagome e le strutture architettoniche, facendo di Firenze la città della sperimentazione artistica del tempo. Così, nella città dei Medici prolificano le nuove architetture rinascimentali, palazzi pubblici o privati, civili o religiosi, realizzazioni pratiche della teo-

ria dell’armonia che regola il cosmo e le opere dell’uomo: edifici le cui parti costituenti sono progettate su rapporti definiti ‘armoniosi’ di 1:2, 2:3 o 1:3. Nelle architetture di Brunelleschi i rapporti armonici ritmano le partiture costruttive e il reticolo è basato sul braccio fiorentino. In San Lorenzo le scansioni delle membrature architettoniche sono legate da rapporti proporzionati tra le singole parti e la totalità dell’opera. L’unità di misura è il braccio fiorentino (58,3 cm) la cui modularità è leggibile sia in pianta che in alzato e delinea una griglia che inscrive sia le strutture principali che la dimensione delle singole parti. Non stupisce dunque, che il più grande esempio di eurythmia classica del Rinascimento si trovi a Firenze: la facciata di Santa Maria Novella. Tutti gli elementi architettonici della facciata sono in relazione l’uno con gli altri, tenuti insieme da un unico sistema proporzionale basato sul quadrato. Dal progressivo dimezzamento del quadrato di base in quadrati minori è definito il disegno della facciata, in cui si rintracciano i rapporti di 1:1, 1:2, 1:3, 2:3, 3:4, che stanno alla base dell’armonia musicale e della costituzione degli edifici classici. L’architettura del tabernacolo del Tempietto, corrispondente al primo impianto quattrocentesco, si presenta

come un prototipo di architettura fiorentina del primo Rinascimento e si distingue per gli elementi formali in cui si possono ritrovare i principi basilari della ricerca degli artisti del secolo XV che recuperano l’antico, ricompongono, studiano e modificano modelli simili a quelli già realizzati dai greci e dai romani. Questo splendido manufatto si annovera tra le opere architettoniche patrocinate da Piero di Cosimo in cui si materializza la cultura antiquaria dei primi Medici. Il rilievo del manufatto ha reso possibile la valutazione della corrispondenza tra la teoria della storia dell’architettura e la realtà dell’opera monumentale. La verifica della presenza di un modulo, come principio generatore del fare architettura degli artisti del primo Quattrocento, è cominciata dallo studio e dal confronto con le fonti. Il Vasari, nella cronaca cinquecentesca de Le Vite, descrivendo la figura e l’opera di Michelozzo, fornisce un’informazione dimensionale sulle misure del tabernacolo: Reggano questa cappella quattro colonne di marmo alte braccia 9 in circa, fatte con canali doppii di lavoro corinto e con le base e capitegli variamen-

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Schemi grafici per la ricerca del modulo nel Tempietto della Santissima Annunziata in Ferrara e Quinterio, Michelozzo di Bartolomeo (1984). Schemi grafici per la ricerca del modulo nel Tempietto della Santissima Annunziata in G. Morolli, Michelozzo scultore e architetto (1998). pagina successiva Schemi grafici del modulo sull'architettura, eseguite sulle dimensioni reali del Tempietto della Santissima Annunziata.

te intagliati e doppii di membra; sopra le colonne posano architrave, fregio e cornicione, doppii similmente di membri e d’intagli, e pieni di varie fantasie, e particolarmente d’imprese e d’arme de’ Medici, e di fogliami. La letteratura ha affrontato le relazioni modulari del Sacello giungendo a risultati diversi. Nella monografia di Ferrara e Quinterio, Michelozzo di Bartolomeo (1984), il modulo è identificato nel raggio della colonna; la distanza tra le colonne risulta così di otto moduli, l’altezza delle colonne di sedici moduli e la trabeazione di sei moduli, tripartita secondo le fasce di architrave fregio e cornice. Le colonne, secondo questa trattazione, rispettano i rappor ti proporzionali vitruviani (1 diametro = 2 raggi = 2 moduli) nel dimensionamento del capitello (1 diametro) ma non dell’altezza delle colonne. […]quello corinzio [il capitello] misura quanto l’intero diametro della colon-

na […] stabilendo che l’altezza delle colonne ioniche [la stessa proporzione si ha nel corinzio] fosse di nove volte il loro diametro. Le proporzioni del capitello devono essere tali per cui la sua altezza, compreso l’abaco, corrisponda al diametro inferiore della colonna. (Vitruvio, De Architectura, Libro X) Nel testo di G. Morolli, Michelozzo scultore e architetto (1998), il rapporto modulare è invece individuato nel diametro del fusto della colonna all’imoscapo, secondo le regole vitruviane, e corrisponde a un braccio fiorentino (un modulo =1 M = 58,3 cm). Il tabernacolo marmoreo ha pianta quadrata, di lato 6 e ½ M (distanza tra le colonne 4 e ½ M). Le quattro colonne si trovano ai vertici del quadrato di base. L’altezza totale del Sacello misura dodici moduli, di cui tre la trabeazione, tripartita in architrave ¾ M, fregio 5/6 M e cornice 1+1/3 M. La colonna, nella trattazione di Morolli, è alta 9 M, il capitello 1 +1/6 M, la base 2/3 M.

Nel testo dello studioso, l’architettura nel suo insieme è determinata da rapporti in braccia fiorentine e gli elementi architettonici sono proporzionati secondo i precetti dell’Alberti nel suo De re aedificatoria. Il testo di Vasari suggerisce una ricostruzione matematica della composizione del Tempietto, che il rilievo geometrico avvalora. Infatti le nove braccia in circa fiorentine di cui parla il Vasari si ritrovano nell’altezza delle colonne, dalla base all’imposta dell’architrave. La stessa misura del braccio fiorentino, che si assume come modulo, è osservabile anche in pianta e definisce l’interasse tra le colonne di 6 M. In alzato: colonna 9 M, trabeazione 3 M. Si ritrovano quindi nel dimensionamento delle membrature architettoniche i rapporti armonici di 1:2 (altezza trabeazione: interasse colonna), 1:3 (altezza trabeazione: altezza colonna), 2:3 (interasse colonna : altezza colonna). La geometria del sacello è definita nelle re-

lazioni proporzionali fra le parti costituenti e quindi nel suo insieme secondo il modulo del braccio fiorentino; la partizione modulare non regola invece la dimensione dei singoli elementi (colonna, capitello, base, trabeazione), non rispetta né le prescrizioni di Vitruvio né quelle dei trattatisti quattrocenteschi. La metodologia di utilizzo del modulo nella progettazione del sacello fa supporre un’applicazione strumentale al fare architettura, un sistema di controllo nel processo di composizione e la creazione di una matrice geometrica generatrice della totalità. Le affermazioni quindi di Ferrara-Quinterio e del Morolli sembrano smentite dalla ricostruzione della consistenza fisica del Tempietto eseguita dopo il rilievo, che permette di confrontare i postulati teorici con le dimensioni reali.


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Analisi dell'oggetto



pagina precedente Modello tridimensionale della nuvola dei punti del Tempietto della SS. Annunziata Analisi dei pezzi che compongono il soffitto e della trabeazione del sacello marmoreo del Tempietto della SS. Annunziata: pianta del soffitto e particolare del prospetto della trabeazione del sacello.

Metodologie di rilievo Per il rilievo del Tempietto sono stati utilizzati due tipi di metodologie di misurazione: il rilievo con il Laser Scanner, detto indiretto, ha consentito di ricostruire le principali geometrie del manufatto, mentre il rilievo diretto è stato di ausilio per la verifica delle misure e lo studio del dettaglio. La struttura del sacello Durante la fase di rilievo sono state valutate le caratteristiche della struttura architettonica. Il Sacello marmoreo si allinea da un lato alla controfacciata della Basilica, dall’altro al setto divisorio tra le cappelle della navata di sinistra e quella centrale. Le colonne sono l’ossatura portante del Tabernacolo, sostengono l’architrave, su cui poggiano il fregio, la cornice e la copertura piana a cui è stata sovrapposta l’aggiunta seicentesca del coronamento ligneo. L’osservazione attenta, l’analisi e la valutazione del manufatto hanno suggerito che la trabeazione e il coronamento del Sacello non siano composti da blocchi di marmo massicci, ma che la struttura sia rivestita da lastre marmoree magistralmente decorate. La volontà di realizzare un’architettura imponente e monumentale per celebrare l’affresco miracoloso dell’Annunziata si scontrava con le limitazioni

Rilievo geometrico architettonico analisi dei materiali e dello stato di conservazione

tecnologiche e materiche degli elementi architettonici. Infatti il progetto rinascimentale ha previsto la composizione di elementi da incastrare l’uno con l’altro per costruire una struttura in marmo tanto imponente e altrimenti irrealizzabile: la trabeazione e il coronamento hanno un’altezza complessiva di 1.89 m. Sebbene apparentemente invisibili, sono stati individuati i giunti tra gli elementi ed è stato possibile ricostruire i pezzi che rivestono la struttura del fregio e della cornice. Si evince che il controsoffitto cassettonato del sacello è costituito da otto travi, larghe ognuna 40 cm circa. Una volta poste in opera, le travi sono state decorate e su di esse siano stati giustapposti gli elementi scultorei, così da nascondere i giunti strutturali: infatti la dimensione delle travi in marmo non coincide con i lacunari di forma quadrata, ma la loro larghezza è scandita dalla distanza tra gli appoggi. L’ipotesi è avvalorata da calcoli analitici effettuati sulla struttura e sulle caratteristiche dei materiali. Calcolo altezza minima delle travi del soffitto del Sacello marmoreo Ricavati i dati del marmo, si è ipotizzato l’altezza della sezione delle travi; una volta conosciuta la geometria della trave, si calcola il carico q(x) che insi-

ste sulla sezione. Nel calcolo del carico è stato considerato solo il peso proprio della trave in marmo, valutando le decorazioni sull’intradosso irrilevanti. Si calcola poi il Momento massimo, per x=l/2 e la tensione massima, che viene confrontata con la resistenza del materiale. I materiali lapidei, come il marmo, hanno una resistenza a compressione molto elevata e una resistenza a trazione compresa tra 1/20 e 1/50 di quella a compressione. Una sezione inflessa presenta fibre tese e fibre compresse: nel caso dei materiali lapidei sarà sufficiente verificare la resistenza a trazione per verificare l’intera sezione. Con le caratteristiche della sezione ipotizzata (h= 10 cm [grandezza ipotizzata]; b=40 cm [misure reali]; l=347 cm [misure reali]); la tensione massima è poco minore della resistenza del materiale. Si può quindi affermare che l'altezza delle travi sia maggiore di 10 cm.

Dati: Materiale: Marmo Bianco di Carrara; Peso specifico: g = 2730 daN/(m)3; Resistenza a trazione: ftk trazione = 25 daN/(cm)2; Res. a compressione: ftk compressione = 1300 daN/(cm)2 Hp: Caratteristiche della sezione: Geometria della sezione rettangolare: h = 10 cm; b = 40 cm; l = 347 cm Momento d’inerzia: I =(bx(h)3)/12 I= (40 cm x (10 cm)3) /12 = 3.333,333 cm4 Modulo di resistenza elastico: W = 2I/h W = 2(3.333,333 cm4) / 10 cm = 666.667 cm3 Calcolo del carico: q(x) = 2730 daNm3 x 0.4 m x 0.1 m = 109.2 daN(m)-1 = 1.1 daN (cm)-1 Calcolo del Momento massimo: Mmax = q(l)2 /8 Mmax = (1.1 daNcm-1 x (347 cm)2)/8 =16556.24 daNcm Calcolo tensione massima: tmax = Mmax / W tmax =16 556.24 daNcm/666.667cm3 = 24.83 daN/cm



pagina precedente Pianta del Tempietto della SS. Annunziata, quota 3.32 m Pianta del soffitto del Tempietto della SS. Annunziata, quota 3.32 m Sezione Aa della nuvola dei punti e restituzione con fotopiano del Tempietto della SS. Annunziata Sezione Bb della nuvola dei punti e restituzione con fotopiano del Tempietto della SS. Annunziata

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pagina precedente Sezione Ee della nuvola dei punti e restituzione con fotopiano del Tempietto della SS. Annunziata Sezione Ff della nuvola dei punti e restituzione con fotopiano del Tempietto della SS. Annunziata Prospetto principale verso la navata della chiesa della nuvola dei punti e restituzione con fotopiano del Tempietto della SS. Annunziata

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Analisi dei materiali L'analisi materica del Tempietto ha permesso di individuare una grande varietà di materiali, in particolare di marmi e pietre utilizzati per le decorazioni del pavimento e della spalliera. Per arricchire la cappella sono stati anche utilizzati materiali come legno e vetro impreziositi da particolari tecniche di lavorazione. Per avere un quadro completo delle modalità con cui il Tempietto è stato realizzato, nella sua articolazione di decorazioni e raffinata selezione dei materiali, è stato necessario rivolgere l’attenzione ai materiali e alle tecniche di posa e di lavorazione.

Marmo e Pietra La pietra e i marmi sono sempre stati materiali prediletti dagli scultori di tutte le epoche e sono stati usati per realizzare costruzioni, decorazioni architettoniche, monumenti, statue e oggetti per l’arredo. I materiali lapidei sono classifcati in base alla loro ricettività alla lavorazione, e quindi alla loro maggiore o minore durezza, nonché in base alle caratteristiche di superficie, lucentezza e colore. Si distinguono generalmente tre grandi categorie: le pietre tenere, i calcari duri (tra cui il marmo) e infine le pietre più dure (es. granito). Il primo gruppo, calcari teneri e arenarie, si caratterizza

per la capacità di essere lavorato in ogni direzione e di trattenere le decorazioni a dettaglio ma non si presta a lucidatura. Il secondo gruppo, per quanto abbastanza impegnativo nel ricavo delle forme dal blocco, consente di giocare con varie lavorazioni di superficie, dalla ruvidezza delle parti non finite e segnate dallo scalpello, fino alla politezza delle lucidature. Gli strumenti per lavorare la pietra si dividono essenzialmente in due grandi classi, strumenti percussivi e abrasivi. I primi modellano la pietra colpendola e frantumandola, i secondi sfregandola. Tra gli strumenti da taglio si ricordano il cuneo (in legno o in metallo),

utensile elementare che viene spinto dal martello o dalla più massiccia bocciarda in un taglio della pietra, provocandone così la frattura. Per le sculture dirette viene impiegata la subbia, un’asta in metallo dalla punta piramidale, che è colpita con il martello. Simile alla subbia, ma dal bordo dentellato e affilato, è la gradina, adatta in modo particolare alla scultura su marmo. Questo strumento vien colpito sulla superficie tenendolo obliqua, per creare una sorta di prima levigatura a scanalature più o meno fitte. Le rifiniture delle forme sono infine assicurate dal gruppo degli scalpelli, dal bordo piatto e affilato capace di liscia-


pagina precedente Legenda dei materiali Sezione Aa del Tempietto della SS. Annunziata, analisi dei materiali Sezione Bb del Tempietto della SS. Annunziata, analisi dei materiali

re la superficie producendo effetti di ombreggiature che dipendono essenzialmente dall’angolo con cui lo strumento è tenuto sulla pietra e dall’intensità con cui viene colpito. Per scavare scanalature piatte e a sezione quadrata è utilizzato anche un particolare tipo di scalpello detto unghietto: sottile, ma robusto, permette di giungere ad intagli fini ma in profondità. Gli strumenti ad abrasione sono impiegati sia per il taglio che per la lucidatura di superficie. La sega, nelle sue varianti, è uno strumento da estrazione ad abrasione e si utilizza infatti facendola scorrere nel solco con l’aiuto di sabbie miste ad acqua: si ottenevano in questo modo ampie specchiature lapidee, senza grossi sprechi di materiale. Importante strumento ad abrasione è la raspa: da un manico centrale partono due estremità a punte affilate e ruvide come lime, che possono essere di varia forma; utilizzata generalmente sul marmo per le rifiniture della superficie, che risulta così segnata da una trama di graffi sovrapposti, la sua forma affusolata ne permise l’impiego anche per la definizione di minuti dettagli. Infine, per ottenere una particolare politezza di superficie, s’impiegano abrasivi sotto forma di polveri finissime, quali lo smeriglio, la pomice, le arenarie dure, la sabbia, sempre miscelate ad acqua.

Uno stretto rapporto lega il tipo di materiale alla scelta degli strumenti. Per il primo gruppo di pietre tenere, ad esempio, molti utensili sono quelli comunemente usati per la scultura su legno, vale a dire sgorbie e raschietti. Per il gruppo dei marmi si impiegano generalmente scalpelli e raspe, nonché vari tipi di gradine. Pittura e doratura su pietra e su marmo La decorazione policroma del marmo è documentata fino dall’antichità classica. Sul sacello la coloritura si limita al fondo del bassorilievo, in modo da far risaltare le zone lasciate in vista con la tinta propria del materiale lapideo nella trabeazione marmorea; sul coretto sono dipinti e decorati i costoloni in pietra decorati, per sottolineare la geometria dell’architettura. La pittura su pietra e marmo impiega tinte oleo-resinoso con leganti che producono uno strato molto aderente alle superfici. Intonaci, Pittura murale Questa tecnica di decorazione parietale consiste nello stendere il colore su superfici asciutte e già indurite realizzando le varie figurazioni. Nelle decorazioni prospettiche, come nel caso della volta del coretto, per far risaltare gli elementi da dipingere e dirigere il lavoro, si ricorre sovente a una

punta metallica che, con l’ausilio di regoli, incide sull’intonaco le linee e i contorni principali della struttura. Vetro, Vetro lavorato a corona Tecnica già nota in diverse regioni dell’Impero Romano,consiste nel soffiare inizialmente in una bolla di vetro con la canna sino a far prendere a questa la forma di campana; dalla parte piatta, opposta alla canna da soffio, si inserisce un puntello, togliendo dalla parte opposta alla canna,con le apposite forbici, un pezzo di pasta vitrea in prossimità dell’attacco della canna stessa. Quindi con l’aiuto di un altro operatore che maneggia una grossa spatola, si apre la parte piatta divaricandola sino a farle assumere una larga svasatura simile a quella di un grosso piatto. Con operazioni alterne del puntello e di riscaldamento del vetro si ottiene un disco che può raggiungere anche 1.50 m di diametro. Successivamente il vetro veniva tagliato. Una sua caratteristica è lo spessore sottile accompagnato da una elevata brillantezza e il procedimento si riconosce perché le lastre presentano il segno dell’attacco del pontello, chiamato occhio di bue, che forma un ispessimento al centro del pannello. Questa tecnica è stata utilizzata per decorare i vetri delle bifore del Coretto.

Vetro colorato La colorazione del vetro si ottiene aggiungendo alle miscele da fondere un certo tenore di ossidi metallici. Gli ossidi metallici reagiscono con i diversi tipi di vetro dando, dopo il raffreddamento, tinte di svariate tonalità a seconda dei silicati complessi che si formano: il protossido di rame per ottenere il rosso, ossidi di rame per il verde, di cobalto o di rame per l’azzurro, di ferro per il giallo, di manganese per il porpora. I disegni delle vetrate venivano tracciati su tavole di legno, di carta, pergamene e successivamente cartone. I pezzi vitrei erano sistemati sulle aree predisposte, e il disegno era poi trasportato per trasparenza sul vetro attraverso il gesso. I vetri erano tagliati con un ferro incandescente e i bordi erano quindi livellati. Le parti sagomate venivano poi collegate tramite un telaio in piombo. L’operazione di impiombatura aveva la funzione di congiungere e tenere insieme le varie parti di vetro e servendo anche come elemento di sottolineatura dei contorni. I listelli di piombo avevano sezione a forma della lettera H; i vetri venivano introdotti nelle due gole della H e successivamente ribattuti sul vetro con martelli di legno.

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La saldatura dei vari listelli di legno assicurava la tenuta dell’intera composizione. Con questa tecnica sono realizzati le decorazioni e lo stemma in vetro della bifora del Coretto. Tessere in vetro colorate Le tessere vitree per mosaici sono costituite da vetro in pasta unito nella fusione a composti metallici. Tale materiale nella tecnologia del mosaico è detto smalto. Le tessere possono essere anche in altri materiali (rocce e marmi, pietre dure), ma la predilezio-

ne per questo materiale è dovuta alla possibilità di ottenere con facili procedimenti tessere più leggere di quelle lapidee, dotate di una superficie brillante e colorate con una vasta gamma di sfumature. Per la fabbricazione dello smalto si procede, dopo aver affinato la pasta di vetro ad alta temperatura e aver atteso che l’abbassamento del calore fino ad ottenere una massa abbastanza viscosa, con una cucchiaia dal lungo manico si estrae dal crogiolo una certa quantità di vetro che viene versa-

ta su un piano di marmo o di ferro; con un’altra tavola dello stesso materiale si schiaccia fino a ridurre la colata in altezza ottenendo una piastra circolare di 5-6 mm di spessore. Il raffreddamento lento completa la formatura e la piastra passa al taglio, dove, con un martello a penna tagliente o con una tranciatrice a due lame azionata manualmente, viene ridotta dapprima in listelli e quindi in tessere quadrate di circa un centimetro per lato. Le tessere da mosaico realizzate con smalto vetrosi sono collegate alle

pareti con una malta a base di calce aerea con sabbia o pozzolana per rendere idraulico l’impasto. Negli interni è preferibile ricorrere a uno stucco oleoso composto con povere di marmo, grassello di calce e olio di lino crudo a cui viene aggiunto al momento dell’impiego una certa quantità di olio di lino cotto. Questo legante oleoso viene utilizzato sia nel Rinascimento che nell’Ottocento.


pagina precedente (da sinistra a destra) Sezione Cc del Tempietto della SS. Annunziata, analisi dei materiali Sezione Ff del Tempietto della SS. Annunziata, analisi dei materiali Sezione Dd del Tempietto della SS. Annunziata, analisi dei materiali Sezione Ee del Tempietto della SS. Annunziata, analisi dei materiali Prospetto principale del Tempietto della SS. Annunziata, analisi dei materiali Prospetto laterale del Tempietto della SS. Annunziata, analisi dei materiali

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Analisi del degrado Dall’analisi del degrado è emerso che il manufatto si conserva in buone condizioni strutturali e delle componenti materiche. La tipologia di degrado che colpisce maggiormente è una patina che ha coperto indistintamente tutte le superficie, che si è ispessita incamerando anche deposito superficiale, composto da polveri e frammenti vari. L’analisi porta a individuare altri tipi di degrado che si limitano comunque a un intervento sulle superfici. Pulitura della patina Prima di intraprendere qualsiasi intervento di pulitura di una qualsiasi superficie conviene analizzare la patina che la ricopre, per comprenderne pertinenza, efficacia e composizione. Le

patine hanno anche funzione di protezione e valorizzazione estetica. Fatta questa analisi, spesso visiva, ed identificato il tipo e lo stato della patina,si procede alla sua rimozione. Vi sono varie metodologie che possono essere adottate: • Spolveratura con pennelli e spazzole morbide, prestando attenzione al non asportare parti di pellicole o strati superficiali. • Pulitura con solventi: si inizia provando il solvente più blando, l’acqua, con compresse di cotone idrofilo, spazzole morbide, paglietta metallica fine, passando in successione a solventi più aggressivi per individuare quello più efficace nella soluzione della patina impropria, mantenendo inalterata la superficie sottostante.

• Pulitura mediante impacco di solventi: una volta individuato il solvente consono, si può applicare con impacco. Il supporto migliore per applicarlo è costituito dalla polpa di cellulosa: si impasta con acqua e si aggiunge ad essa il solvente utilizzato, nella diluizione ritenuta opportuna. Si può ricorrere all'eventuale uso del bisturi, in caso di incrostazioni localizzate e persistenti. E' sempre consigliata la verifica a ogni fase della lavorazione così da poter calibrare l'intervento. Secondo la filosofia di un restauro di pura conservazione, si propone la rigorosa conservazione del manufatto nella completezza delle sue stratificazioni e la conservazione della patina, come segno della trasformazione della materia nel tempo.

Il Minimo intervento Il fondamentale criterio del minimo intervento è l’insieme di operazioni volte ad intervenire criticamente sul manufatto architettonico, moderando e controllando quantitativamente e qualitativamente le attività di restauro. Il restauro ispirato al principio del minimo intervento agisce con cura sul manufatto architettonico. Per aver cura di una architettura bisogna in primo luogo conoscere la sua forma e la sua sostanza, le sue tecniche costruttive, annotare in modo scientifico le problematiche che richiedono un intervento. L'approfondimento delle indagini preliminari consente di comprendere il manufatto nella sua consistenza fisica, e quindi nella sua stabilità residua, permettendo così di ridurre no-


pagina precedente Dettaglio del fregio del Tempietto della Santissima Annunziata (foto, M. Papaleo, 2015) Dettaglio del coronamento del Tempietto della Santissima Annunziata (foto, M. Papaleo, 2015) Dettaglio del coronamento del Tempietto della Santissima Annunziata (foto, M. Papaleo, 2015)

tevolmente le azioni da eseguire, fino ad arrivare, non di rado, alla conclusione che esse non siano affatto necessarie. Questa scelta progettuale spesso risulta ottimale per la conservazione del monumento, della sua immagine e della sua materialità, considerando che ciascun azione è pur sempre un atto traumatico che modifica aspetto e contenuti. I progetti devono inoltre essere regolati in relazione alle effettive necessità funzionali, estetiche ma anche in relazione alle legittime aspettative culturali e sociali che si hanno rispetto all’azione restaurativa. L’intervento è valutabile e programmabile solo avendo raggiunto, una profonda conoscenza di interventi similari che consentono considerazioni comparative su strutture analoghe.

Nel progetto di restauro del Tempietto della SS. Annunziata la proposta progettuale si definisce dopo un‘attenta indagine preliminare: storica, di conoscenza dei progettisti, di rilievo della manufatto, di ricostruzione strutturale, di identificazione dei materiali, delle tecniche costruttive storiche e tradizionali del periodo di realizzazione dell’opera architettonica. Le patologie di degrado individuate, insieme all'analisi dei materiali, distinti secondo le loro connotati e peculiarità, e le conseguenti caratteristiche di decadimento fisico, consentono di prevedere interventi puntuali, votati prevalentemente al consolidamento più che alla reintegrazione. La filosofia del minimo intervento, è una scelta progettuale che guida soprattutto il programma sulla patina.

La sua rimozione parziale risulta indispensabile, per assicurare l’integrità del materiale e per permettere un migliore apprezzamento dell’opera architettonica, ma allo stesso tempo deve essere eseguita asportando esclusivamente la parte più superficiale, senza addentrarsi sulla struttura materiale, senza rischiare d’impoverire i supporti e osare il ritrovamento di cromie ormai perdute e comunque sconosciute ai fruitori contemporanei.

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Lavori in pietre dure e tenere: un’arte fiorentina

pagina precedente Complesso di San Lorenzo e cupola della cappella dei principi, esterno (foto, wikipedia.org, 2005)

Con la lettera patente del 3 settembre 1588 di Ferdinando I de’ Medici, Granduca di Toscana, viene sancita ufficialmente l’organizzazione delle botteghe artistiche, già da tempo attive nella corte fiorentina1, in forma di istituzione di stato. La nascita e la fioritura di questo istituto così importante e fondamento della fama internazionale della manifattura di corte si colloca nel clima culturale e artistico del tardo manierismo fiorentino: la corte medicea offriva le condizioni ideali per l’affermazione di questa raffinata tecnica. Già nel quattrocento, Piero e Lorenzo de’ Medici avevano impegnato intagliatori di gemme per restaurare i pezzi della loro collezione di cammei e vasi in pietra dura. L’interesse dei Medici per quest’arte squisitamente all’antica deriva dalla passione per i rari materiali lapidei della Roma imperiale. Per tutto il Cinquecento infatti, Roma fu il centro catalizzatore della cultura antiquaria e artistica del tempo. Cosimo I, al ritorno da un viaggio a Roma nel 1560, incarica Vasari di un pavimento in porfidi e pietre fine; con il principe ereditario Francesco I si conferma l’ascesa della passione medicea per i manufatti di pietre semipreziose: le inclinazioni alchemico-scientifiche e il sofisticato gusto artistico di France-

sco de’ Medici lo spingono a prediligere ai marmi policromi antichi le pietre dure, ‘magico’ luogo di connessione di Natura, Arte e Scienza a cui si ispirava la cultura del tardo Manierismo. Mentre Francesco I de’ Medici riserva le pietre dure alla creazione di opere coerenti alla sua vocazione di raffinato collezionista2, il fratello Ferdinando le destina a una politica artistica di grandi opere pubbliche. In quest’ottica, Ferdinando trasforma le botteghe artistiche formatisi sotto il granducato di Francesco in una organizzata manifattura di Stato, rivolta a divulgare il prestigio mediceo. Obiettivo principale della complessa organizzazione artistica voluta da Ferdinando è la realizzazione di un monumentale mausoleo mediceo in San Lorenzo. Per far fronte alle realizzazioni e ai programmi ambiziosi del Granduca, affluiscono a Firenze le pietre dure più rare e variate, tali da alimentare per secoli l'attività della Galleria, costituendo una riserva inimitabile, tutt’oggi ancora inesaurita. In questi anni si verifica il passaggio del commesso fiorentino di pietre dure, dalla decorazione astratta antica a quella figurale, soggetto preferito delle ‘pitture di pietra’.

Negli anni in cui si stava promuovendo l’impresa della Cappella dei Principi, Ferdinando I de’ Medici commissiona varie trasformazioni alla Cappella dell’Annunziata. Il Granduca caratterizza la Cappella con i simboli e gli emblemi della famiglia, confermando il patronato Medici assicurato dalla commissione di Piero di Cosimo. Per volontà di Ferdinando, il pavimento riceve un rivestimento di marmi lapidei pregiati. La Cappella dell’Annunziata rientra dunque in un programma di promozione della famiglia granducale, in cui operano gli attori e le tecniche che hanno caratterizzato il XVII secolo fiorentino. Il luogo più importante della devozione cittadina assumeva in modo inequivocabile la firma della famiglia più potente della città. La pavimentazione in opus sectile La pavimentazione, commissionata da Ferdinando I nel 1607, viene completata nel 1613 a spese di Cosimo II ed è eseguita in porfidi, diaspri e altri marmi preziosi, su disegno di Matteo Nigetti3. La stesura seicentesca sostituisce quella voluta da Piero di Cosimo de' Medici (1449), in marmo a tavolette bianche e nere.

Il pavimento richiesto da Ferdinando è realizzato con la tecnica decorativa dell’opus sectile4. Le forme geometriche del pavimento del Tempietto risaltano per le tante sfumature di colore e sono inserite in un’intelaiatura in granito di Corsica, formando un tappeto policromo. Disposto in lastre rettangolari, il disegno pavimentale è un fulgido campionario di diaspri gialli e fioriti di Sicilia e diaspro verde di Corsica. Le lastre di marmo colorate sono tagliate in varie

Matteo Nigetti (Firenze, 1560 ca - 1648), allievo di Buontalenti, architetto della corte granducale, nello stesso periodo lavorava alla realizzazione della Cappella dei Principi in San Lorenzo (1604).

4 Questa tecnica, utilizzata fin dal primo periodo imperiale dell'antica Roma, consiste in un mosaico, pavimentale o parietale, a tema decorativo figurale composto con sezioni irregolari di pietre policrome.

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Gli artisti operavano già all’epoca nella Galleria dei Lavori agli Uffizi al tempo di Francesco I.

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in particolare i vasi in pietra dura, che incrementarono la già ricca raccolta di Piero e Lorenzo

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Mosaico in pietre dure, dalla collezione del Museo dell'Opificio delle PIetre dure di Firenze


a sinistra Museo dell'Opificio delle Pietre dure di Firenze, esposizione delle pietre dure presenti nella galleria del museo (foto, dal sito del Museo dell'Opificio) sopra Logo del Museo dell'Opificio delle Pietre dure di Firenze, stemma granducale (foto, dal sito del Museo dell'Opificio)

forme, secondo il disegno di progetto, e di spessore costante; i pezzi sono sagomati con i bordi laterali inclinati, così che una volta accostati su un letto di malta, composta con calce e cariche idrauliche, i giunti diventano quasi invisibili, e dopo la lucidatura il pavimento sembra essere realizzato in un solo pezzo. Le forme geometriche assunte dalla pavimentazione nell’ambiente del sacello sono disposte in modo regolare e simmetrico intorno agli elementi architettonici e segnano un percorso dall’esterno verso l’interno, dalla navata della chiesa all’altare della Madonna, attraverso l’uso del porfido rosso: questo si mostra nell’ovale del gradino di ingresso, nel cerchio intermedio, e nel rettangolo del gradino dell’altare. Il porfido è uno dei materiali prediletti dai Granduchi, pietra per eccellenza nobile e duratura, assunta ad emblema della dignità regale sin dall’epoca ellenistica. Ai lati di questa direttrice, segnata dal materiale tipico degli imperatori antichi, sono collocati due stemmi di Ferdinando I con il nome del

Granduca iscritto nel cartiglio (1612), realizzato a mosaico accostando sezioni piuttosto grandi di diaspri di Corsica e di Sicilia, di lapislazzuli e di calcedonio traslucido dalle tonalità lillacee5. Nel 1613, completata la pavimentazione nel sacello, il cantiere si sposta sulla superficie del coretto e i lavori proseguono fino al 1620. Anche se realizzati nel corso di molti anni, il progetto per la pavimentazione dei due ambienti attigui si presenta unitario nel disegno e nei materiali. Il pavimento del Coretto sottolinea la geometria quadrata del vano e disegna al centro una composizione di trapezi e ottagoni in corrispondenza della cupola. Nel corridoio che conduce al Chiostro dei Morti, il pavimento si ripresenta nelle forme e nei materiali della navata della chiesa, a scacchiera, in marmo bianco e bardiglio, realizzato verso la metà del Settecento.

5 Interessante notare che lo stemma decorato nel pavimento del Tempietto della SS. Annunziata è lo stesso utilizzato come logo del Museo dell'Opificio delle Pietre dure di Firenze.

pagina successiva Legenda dei materiali dello stemma mediceo e della pavimentazione Fotopiano della pavimentazione del Tempietto, sacello e coretto. Pianta a quota 1.12 m

Particolare dello stemma granducale di Ferdinando I dei Medici nel pavimento del Tempietto della SS. Annunziata, analisi materica

Analisi materica della pavimentazione del Tempietto, sacello e coretto. Pianta a quota 1.12 m

Analisi dei materiali L’analisi materica del pavimento è stata effettuata attraverso un’attenta indagine delle tipologie litoidi, tramite sopralluoghi in loco. La distinzione delle pietre è stata possibile attraverso un’analisi visiva della cromia e della composizione e verificandone la durezza con una punta metallica e un bisturi. Le pietre sono state confrontate con i campioni esposti al museo dell’Opificio delle Pietre dure di Firenze. Per ogni tipo litoide è stata compilata una scheda che ne riassume le caratteristiche principali ed è stata realizzata la mappatura del pavimento. Per quanto riguarda i fenomeni di degrado, le pietre della pavimentazione risultano complessivamente ben conservate; la maggiore causa di degrado deriva dall’uso: vi sono fenomeni di corrosione superficiale e fratture, specialmente in corrispondenza dei percorsi più battuti. Si registra anche un degrado legato alla composizione chimico-fisica delle lastre in diaspro di Barga, che presentano fenomeni di corrosione localizzata.

La Cappella dell'Annunziata e la Cappella dei Principi Ferdinando I, Matteo Nigetti architetto e l’Opificio delle Pietre Dure sono i protagonisti di un altro episodio importantissimo fiorentino: la Cappella dei Principi. Il Granduca Ferdinando I, tre anni prima di commissionare il rivestimento pavimentale della Cappella dell’Annunziata, incarica l’architetto Matteo Nigetti, su disegno di Don Giovanni de’ Medici, fratello dello stesso granduca, della realizzazione del mausoleo mediceo, simbolo del potere della dinastia (1604). La costruzione viene diretta dal 1605 al 1640 dallo stesso Nigetti. Successivamente i lavori subiscono un forte rallentamento, fino a quando, nel 1740, l’ultima rappresentante di casa Medici, Anna Maria Luisa, l’Elettrice Palatina, si impegna a completare l’imponente mausoleo. I fratelli Ferdinando e Giuseppe Ruggieri si occupano di proseguire i lavori, apportando notevoli cambiamenti


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alla fabbrica già realizzata dal Nigetti, realizzando su ogni lato della Cappella un’apertura che ampliava le preesistenti finestre centinate, tamponando gli oculi disposti all’imposta della volta. Alla morte dell’Elettrice Palatina nel 1743 il progetto dei Ruggieri non è

terminato; i lavori di completamento della fabbrica procedono con lentezza per quasi due secoli: nel 1821 la chiusura della cupola con un lanternino a vetri compiuto da Cacialli, successivamente la decorazione a fresco delle otto vele realizzata da Piero Benve-

nuti, direttore dell’Accademia di Belle Arti, e infine la pavimentazione in marmi policromi, iniziata nel 1874 da Machionni e conclusa negli anni ‘60 del Novecento da Bartoli. Entrando nella Cappella dei Principi, il visitatore è pervaso dal trionfo del-

la manifattura fiorentina delle Pietre Dure per la ricchezza e il fulgore del suo interno. Sulle pareti gli stemmi delle città del Granducato sedi di diocesi realizzati in pietre dure e materiali pregiati fanno da cornice ai cenotafi dei granduchi posti nelle edicole perime-


Cappella dei principi, interno (foto, artiespettacolo. it, 2020).

trali. Tra le lesene che incorniciano i cenotafi, vi sono specchiature che ricordano per materiali, forme e accostamenti cromatici quelli della Cappella dell’Annunziata: diaspro di Corsica, di Barga e una gran varietà di coloratissimi diaspri di Sicilia. Il pavimento della Cappella è riccamente decorato da una composizione in pietre dure. Dall’analisi del pavimento si trovano altre analogie con quello della Cappella dell’Annunziata (1607-1620): sebbene nel Tempietto il disegno sia nel complesso più semplice, la decorazione riproduce la geometria dell’ambiente (quadrato Tempietto, ottagono Cappella dei Principi) secondo una composizione centripeta che si sviluppa dal centro verso l’esterno; si riconosce anche la comunità di materiali, in particolare diaspro di Corsica, di Sicilia e porfido, materiale molto amato da Ferdinando I per il suo significato di dignità imperiale e longevità dinastica. In porfido è infatti il tondo centrale del pavimento anche nella Cappella dei Principi. Le analogie dei materiali e del disegno svelano una familiarità e discendenza tra la Cappella dei Principi e la piccola e intima Cappella dell’Annunziata: si potrebbe ipotizzare che nella volontà di realizzare il grande mausoleo medi-

ceo, il Granduca, entusiasta della nuova tecnica, ispirata agli Antichi ma tipicamente fiorentina, abbia voluto mettere alla prova le maestranze dell’Opificio e sperimentare le tecniche e i materiali. Si giustificherebbe così il nuovo allestimento pavimentale e decorativo della Cappella che era già completata e definita nelle sue forme. Si legge quindi il progetto per l’Annunziata come una ‘prova generale’ prima del grande allestimento progettato per la Cappella dei Principi. Pannellature in pietre dure e tenere Havendo gloriosa memoria del Ser.mo Ferdinando secondo, nostro Gran Duca ordinato che si facesse un’incrostatura di marrmi duri, ma preziosi e fini, entro la cappela della SS. Annunziata;ma sono passati più di 40 anni che non si effettuò questo devoto pensiero, onde morto che egli fu, ed entrato al governo il Ser.mo Cosimo terzo oggi felicemente regnante, il Padre Maestro Evangelista Tedaldi Provinciale, umilmente lo supplicò a voler compiacersi di mandare ad esecuzione così nobil pensiero, come veramente seguì, e si vede oggi con meraviglia di tutti, sì per ricchezza e vaghezza dell’opera, come per la divota invenzione nello spiegare con graziosi geroglifici le grandezze

della Madre di Dio, a cui piaccia di conservare e prosperare sempre la Ser.ma Casa de' Medici nostra padrona onorevole, e particolarmente il Ser.mo Cosimo regnante, tanto divoto di questa sacra immagine. Cronaca del convento, 1671 A un periodo successivo appartengono i cinque pannelli di rivestimento alle tre pareti dell’oratorio, decorati con emblemi delle virtù della Madonna. L’opera progettata da Giovan Battista Balatri e voluta da Ferdinando II sostituisce gli stalli lignei quattrocenteschi intarsiati da Domenico da Prato. A Giovan Battista Balatri, architetto e nipote di Matteo Nigetti, viene attribuito il disegno di insieme, la composizione ritmicamente scandita da pilastrini e specchiature, mentre il modello per gli ornati dei pannelli di marmo bianco a intarsi policromi è probabilmente forniti da uno o più pittori. Tale suddivisione dei compiti era consuetudine, data la rigorosa specializzazione dei lavori, nella Galleria. Ogni pannello è diviso dal contiguo da un pilastrino, e nominato con iscrizioni dedicate alla Madonna: (da sinistra) Rosa mystica, Pulchra ut Luna, Electa ut Sol, Sicut lilium inter spinas. La composizione presenta un esagono centrale, cir-

condato da incorniciature floreali policromi, che risaltano per contrasto sulla bicromia di base in marmo bianco e il marmo nero di Fiandra. Pietre Dure Sono definite pietre dure quelle pietre o minerali traslucidi od opachi che, per le loro particolari proprietà di colore, attributi grafici e cromatici, durezza, e in generale, qualità estetica, vengono impiegati come ornamento o per lavori artistici di gran pregio. Le pietre dure sono state ampiamente impiegate nel passato per adornare gli spazi interni, religiosi e civili. In genere, sono considerate pietre dure i litotipi o i minerali di durezza <5.5 della scala di Mohs. Si tratta quasi sempre di materiali silicei che, per il loro valore, talvolta sono considerati gemme ornamentali o sostanze gemmologiche. Le principali si ritrovano per la maggior parte inserite nei rivestimenti della Cappella, quali quarzi, calcedoni, diaspri, legni pietrificati, lapislazzuli, malachite, giadeite, alcuni feldspati come plagioclas, rocce eruttive come alcuni graniti e alcuni profidi. Le grandi aree di pro-

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venienza delle pietre preziose e delle gemme ornamentali sono l’Asia meridionale, il Sudafrica, le Americhe, l’Australia e la Russia. Tecniche Per realizzare le pannellature sono state utilizzate varie tecniche: in commesso o mosaico fiorentino (lavoro a traforo) sono realizzate le specchiature interne; a tarsìa (lavoro a scalpello) è realizzata la base in marmo bianco decorata; a glittica (o intaglio di pietre dure) i disegni a basso rilievo delle specchiature centrali, la Stella sul fondo di Bardiglio, il Sole, la Rosa e il Giglio. Il commesso fiorentino La procedura tradizionale commesso o mosaico fiorentino prevede di trasportare il modello pittorico6 sul supporto tramite lucido a penna o a matita, su cui si operava anche per suddividere la

6 in antico il modello pittorico era realizzato quasi sempre su carta, dal ‘700 prevale invece l’olio su tela.

composizione nelle varie sezioni costitutive del mosaico. Dopo aver selezionato le pietre per comporre cromaticamente l'opera, si procede al taglio della sezione: il taglio della pietra è guidato dal disegno su carta, incollato sulla porzione di pietra selezionata e già piana per la faccia vista; la pietra viene bloccata in posizione verticale entro una morsa, applicata al banco per il mosaico fiorentino. Nel taglio non si procede normalmente alla faccia della porzione, ma secondo un piano leggermente inclinato verso la parte posteriore per far combaciare meglio gli spigoli vivi nella faccia vista del commesso, che venivano ulteriormente aggiustati con lime sottili. Il taglio inclinato consente una supficie maggiore su cui stendere il collante, e quindi una maggiore aderenza, nella fase di incollaggio dei pezzi sul supporto. Ritagliati i contorni di ogni elemento, composta la figurazione pittorica e controllata la perfetta aderenza delle parti singole, si dispongono le varie porzioni di pietre su un piano indeformabile. La par-

te che compone il disegno si trova adagiata al rovescio su una lastra chiamata di comodo; tale lastra viene utilizzata come piano d'appoggio e può essere in marmo, travertino o materiali simili. Il fissaggio è limitato al contorno esterno di tutta la composizione con gesso da formare. Si procede poi alla spianatura della parte retrostante, con abrasivo a grana grossa, badando bene che entrambe le facce, anteriore e posteriore, risultino parallele. Quando l’intero mosaico è compiuto, viene capovolto, spianato da tergo e foderato con una lastra di lavagna che serve da supporto. Il collante, lo stesso che veniva impiegato per far aderire le sezioni, è la colofonia, un adesivo naturale misto di cera e resina, che viene liquefatto con un saldatoio metallico alla fiamma di un fornello. La fase finale è la lucidatura con polveri abrasive trascinate sulla superficie delle pietre con un ciottolo lapideo; la granulometria delle polveri è scelta in modo da essere via via decrescente, così da saturare gradualmente le microporosità delle superfici.

Tarsìa La tecnica della tarsia consiste nell’inserire il commesso all’interno di un alloggio scavato su un supporto, in questo caso marmoreo. Il marmo viene scavato della grandezza della pietra o del commesso, misurandone i contorni e la profondità e controllando la perfetta aderenza tra le parti decorate e il supporto. Le parti decorative, una volta alloggiate vengono incollate e lucidate. Glittica La glittica o l’intaglio delle pietre dure è una tecnica che consente la realizzazione di basso rilievi, relizzati per graduale consunzione del ciottolo lapideo, prodotta dalla lenta azione di abrasivi combinata a quella di elementi ruotan-

sopra Rilievo della pannellatura centrale del coretto della SS. Annunziata pagina successiva Fotopiano, analisi materica e del degrado della pannellatura centrale del coretto della SS. Annunziata


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ti mossi manualmente. In primo luogo, la procedura prevede la realizzazione del modello plastico, in cera (e solo in epoca ottocentesca in gesso) e la selezione della pietra da intagliare; si procede poi alla sbozzatura dell’oggetto al banco di lavoro, fino alla graduale finitura del modellato e lucidatura finale. Analisi dei pezzi Dall’analisi delle tecniche e dei pezzi si ipotizza che il lavoro sia stato eseguito in parte in laboratorio e in parte in loco: realizzate e costruite in laboratorio le specchiature centrali e trasportate separatamente alla Cappella; qui sono stati montati i pezzi e alcuni realizzati ‘a misura’ in cantiere. Si ipotizza inoltre che i pezzi siano stati collegati tra loro tramite una lastra di pietra (pietra serena o ardesia) e con graffe. Analisi materica L’analisi delle pietre è stata effettuata attraverso sopralluoghi in loco. La distinzione delle pietre è stata possibile attraverso un’analisi vi-

siva della cromia e della composizione, e verificandone la durezza con una punta metallica e un bisturi. Le pietre sono state inoltre confrontate con i campioni esposti al museo dell’Opificio delle Pietre dure di Firenze. Per ogni tipo litoide è stata compilata una scheda che riassume le caratteristiche principali ed è stata realizzata una mappatura delle pannellature con l’ausilio dei fotopiani. Analisi dello stato di conservazione I pannelli decorati si presentano in buono stato di conservazione, grazie alla vocazione privata della cappella, che non è mai stata aperta al pubblico. La superficie delle pannellature risulta annerita dall’accumulo di polvere e fumo delle candele; in certi punti sono presenti anche tracce di cera solidificata sulla superficie. Le lesioni più importanti sono dovute ai movimenti statici della struttura e interessano le lastre di maggiori dimensioni o lastre che hanno subito lavorazione, come l’alabastro del pannello del Sole, lavorato con la tecnica

della glittica. Fuori dai riquadri dedicati alla Madonna (Sole, Luna, Stella) il materiale si presenta più integro. La proposta di restauro prevede una pulitura della superficie che elimini le sostanze nocive per la conservazione dei materiali e che restituisca il colore della materia. Il processo di pulitura dovrà essere graduale e selettivo: non dovrà produrre materiali dannosi per la conservazione delle superfici, ne modificazioni o microfratture. La pulitura non dovrà essere profonda ma mantenere la naturale patina del tempo dei materiali. Si propone quindi di preparare la superficie da pulire, passando sul supporto etanolo, prestando attenzione al tempo di posa. Si procederà poi alla pulitura con impacchi sepiolite e cellulosa fine, minerali argillosi (silicati di magnesio) con notevole capacità assorbente (110-130%). Infine si applicherà una cera neutra microcristallina che crea uno strato protettivo alle superfici e li dona un aspetto lucido.

Rilievo della pannellatura di sinistra del coretto della SS. Annunziata pagina successiva Fotopiano, analisi materica e del degrado della pannellatura di sinistra del coretto della SS. Annunziata


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Rilievo della pannellatura di destra del coretto della SS. Annunziata pagina successiva Fotopiano, analisi materica e del degrado della pannellatura di destra del coretto della SS. Annunziata

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Indice

Presentazione Luca Giorgi

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Il Tempietto della SS. Annunziata Vicende storiche e fasi costruttive Il dibattito sulla paternità Il modulo

7 9 27 31

Analisi dell'oggetto Rilievo geometrico architettonico, analisi dei materiali e dello stato di conservazione Lavori in pietre dure e tenere: un'arte fiorentina

35 37 49

Bibliografia

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Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Giugno 2021


L’oggetto di studio è il Tempietto della Santissima Annunziata, all’interno della Basilica omonima sulla controfacciata. L’architettura originaria del tabernacolo, costruito nel secolo XV per custodire l’affresco ritenuto miracoloso dell’Annunciazione su commissione di Piero di Cosimo de’ Medici, è attribuito a Michelozzo e rivela gli stilemi dell’architettura del primo rinascimento fiorentino. Il Tempietto nel corso del secolo XVII ha modificato in parte le sue forme per interventi voluti dal Granduca Ferdinando I e poi da Ferdinando II e Cosimo III, che attestano lo stretto legame tra il culto della Madonna e la famiglia Medici. La bellezza di questa piccola architettura, impreziosita dalle opere artistiche che racchiude, risulta in parte offuscata da una patina che si è distesa su tutte le superfici e che non consente il pieno apprezzamento dell’opera. Questa forma di degrado ha creato un filtro che appiattisce i profili, le sagome e i chiaroscuri delle lavorazioni, nascondendo la vera natura dei materiali e attenuandone i contrasti cromatici. Lo studio ricostruisce la storia del Tempietto e ne individua i protagonisti, progettisti e finanziatori che lo hanno realizzato, analizza le caratteristiche architettoniche, i materiali e le tecniche, nella convinzione che per aver cura di un monumento si debba in primo luogo conoscere la sua forma e la sua sostanza, annotare in modo scientifico le problematiche che richiedono un intervento per poter poi proporre operazioni volte ad intervenire criticamente sul monumento architettonico, moderando e controllando quantitativamente e qualitativamente le attività di restauro.

Maddalena Branchi, Firenze, 1989. Ha conseguito la laurea in Architettura presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, discutendo la tesi presentata in questa pubblicazione nel 2015. Nel 2016 la tesi ha ottenuto la menzione speciale (5° premio) nel concorso Premio SIRA GIOVANI 2016 per le migliori Tesi di Laurea in Restauro Architettonico. Nel 2019 ha conseguito il titolo di specialista in Beni architettonici e del Paesaggio presso la Scuola di Specializzazione in Beni architettonici e del Paesaggio dell’Università degli Studi di Firenze. Attualmente partecipa al programma di Dottorato in Architettura presso il DIDA (XXXIV ciclo, curriculum Strutture e restauro dell’Architettura e del patrimonio culturale) e svolge attività di cultrice della materia nel Laboratorio di Restauro (Prof. M. De Vita, DIDA, Unifi).

ISBN 978-88-3338-142-8


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