Firenze Architettura 2013-2

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Colle delle Muse e roccia dell’Acropoli, due elementi naturali che già esistono, vengono coinvolti in un disegno unitario che complessivamente li bilancia otticamente. Attraverso il sentiero che porta alla tomba dell’ultimo dei Seleucidi, il progetto riattribuisce significato ad una parte di paesaggio dimenticato, ma soprattutto ridimensiona il ruolo della massa dell’Acropoli rendendola elemento di una scena più ampia segnata da rimandi continui e nuovi punti di osservazione sul territorio. Il visitatore viene guidato in un percorso per quadri visuali attraverso tappe obbligate, l’antica chiesa bizantina di San Dimitri Loumbardiaris significativamente posta all’incrocio di ciò che rimaneva delle mura, ampliata e arricchita da due padiglioni di accoglienza, offre l’occasione per studiare una composizione cineastica che lega il complesso alla strada e che di fatto è metonimia dell’intero sistema. Gli assi visivi territoriali che puntano all’Acropoli, al Partenone e alla Pnice, sono ossatura dell’intera composizione; a partire da questi orientamenti, elementi vari tra cui: alberi, frammenti di colonna, stele conficcate nel terreno, identificano punti di osservazione posti in successione come sassi gettati nello stagno, le cui curve di influenza si intersecano generandone a sua volta altri, con geometrie radiali nascoste definite secondo le leggi armoniche dei tracée régulateurs. I quadri di paesaggio sono tenuti assieme da un gioco di masse minute mosse come pedine. Proseguendo, a metà percorso si incontrerà un secondo avamposto panorami-

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co, un belvedere in cui sono posizionati oggetti apparentemente sconnessi. I resti dell’antica tomba di Demetrio Poliorcete atteggiati a sedute giacciono qua e là, senza ordine apparente, ma anche in questo caso scattano i meccanismi della visione. “Pikionis ha localizzato le sedute dove si trovava un’apertura tra le fronde per catturare i raggi del sole e la vista dell’Acropoli. Il Belvedere di Filopappo assicura un angolo di visuale attraverso il Partenone di trenta gradi. Un percorso secondario che porta al belvedere rivela il muro antico del “Diatichisma” nascosto tra le dense fronde degli alberi.”13 Come un grande affresco Sarebbe tuttavia riduttivo ricondursi ad una logica tutta interna alla visualità; il progetto oltre ad essere esempio unico di rilettura archeologica di antichi tracciati e di restauro territoriale è anche forma, ritmo, conosce quell’alternanza di “rottura e ricomposizione” che l’autore rimanda al cammino dei bambini,14 conosce il materiale e il frammento della forma. Lo stesso percorrere “quel qualcosa di solido” come in seguito scriverà Kurokawa,15 produce l’emozione tattile di camminare sulla storia. Il progetto territoriale infatti si fa sul luogo, agli schizzi generali segue il tracciamento e come per un grande affresco, o un’antica cattedrale, l’autorialità lascia spazio a un’opera collettiva dove progetto, sito, realizzazione di fatto si sovrappongono. Pikionis scriverà in Topografia Estetica: “Non esiste nulla di isolato, ma tutto è parte di un’universale Armonia. Tutte le

cose si compenetrano, l’una nell’altra, e l’un l’altra patiscono, e l’una nell’altra si trasformano. E non è possibile comprenderne una, se non attraverso le altre…”.16 Il ritmo non è solo dato dalla composizione di geometrie o di masse, ma in esso il colore gioca un ruolo chiave: la giustapposizione cromatica equivale a un’eco musicale, è la reazione dovuta alla sintassi materica dei marmi, dei laterizi, delle pietre, in ciò sta la continuità tra modernità e tradizione. I frammenti decontestualizzati vengono ricomposti acquistando nuovi significati che danno luogo a micropaesaggi. Se si osserva il muro di S. Dimitris, alcuni elementi (sime, cornici, dentelli), sono riconoscibili ancora pur nella frammentarietà come presenze, intrusioni fossili; altrove sono semplicemente parti di un tutto o nel caso delle pavimentazioni, vengono ricomposti creando forme nuove (un sole, un tempio, una immaginaria lastra tombale) nella consapevolezza dell’impossibilità di ritornare all’originaria unità irrimediabilmente perduta. Ma il muro della chiesa è la tela in cui la tessitura acquista valenza artistica: gli orientamenti orizzontali, le fasce di colore che derivano dall’alternanza ritmica dei ricorsi di mattoni e pietre non sono forse una materializzazione dei dipinti di Klee?17 Qui vi si legge inoltre chiaramente una coerenza a proposito del principio espresso dallo stesso Pikionis nel saggio sul Problema della forma: “Sia che venga imbiancato o tinto con un colore, oppure no, il muro non intonacato restituisce la percezione del tessuto del


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