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Galleria dell’architettura italiana Casa della finestra Altana di piazza Tasso Firenze Nel corso di un dialogo con Giovanni Michelucci, nel 1987, parlando di Firenze, descriveva, ad uno di coloro che scrivono questa nota, la sua idea di modernità applicandola ad alcuni esempi, che trovavano intensi, rapidi, incessanti riferimenti alle botteghe artigiane della città, ai suoi quartieri, tra cui S. Croce, in cui si ripetevano i riti sempre nuovi dell’esperienza. Le sue mani disegnavano, più ancora delle parole, immagini di luoghi di lavoro e di trasformazione accessibili, che vivevano sulla strada e nutrivano un tessuto di pietre, di metalli, di legnami immediatamente capace di trasformarsi, di fondersi, di addizionarsi in edifici, case, architetture, mura accessibili. Una lunga, infinita e atemporale processione di figure, artefici, materiali che idealmente costruiva e ricostruiva, dal basso, la città che più di ogni altra era stata concepita per essere vista dall’alto. Dall’alto: Michelucci non trascurava questo elemento, che aveva ripetutamente evocato nei documentari girati in tempi diversi su Firenze, come bene ci ha mostrato Riccardo Butini, ove parlava delle mura come sistema per un itinerario di scoperta e rivelazione. Progettando, dieci anni fa, con la collaborazione di alcuni amici, l’addizione all’antico convento di S. Salvatore in Piazza Tasso, sul sedime del Bastione di Cosimo, a qualche metro dalle mura, la scelta di inserire una intensa fenditura nel paramento murario dell’edificio, che è esplicita continuità con il marciapiede, il cui materiale di pavimentazione continua indistinto nell’interno del piano terra per accedere alla scala in ferro, abbiamo ricordato quella sequenza interminabile, ma ogni volta precisa, quella processione di artefici, immaginata, diretta idealmente, nel suo muoversi, alla rappresentazione di un concetto intenso e senza tempo: la città.
L’idea che una architettura contemporanea potesse portare in sé e fissare per qualche istante o per qualcuno quella sintesi, ci guidò a concepire una scala dotata di soste che non dovevano essere soltanto pianerottoli, ma luoghi per osservare vedute precise di Firenze, intervallata da accessi ai piccoli appartamenti delle classi popolari, fino ad arrivare alla grande finestra e a rimettere in circolo l’altana esistente, all’altezza delle mura, queste ultime ritrovate e liberate, a terra, dalla cartella di muro novecentesca che le soffocava. Il percorso, lassù, si poteva ritenere temporaneamente compiuto, perché, oltre alla Cupola e al campanile del Duomo, consentiva di traguardare Bellosguardo, il luogo da cui Firenze era stata osservata, per secoli, da artisti e architetti. Un frammento senza tempo era stato cercato. Da oggi nell’Altana troverà posto la “Galleria dell’architettura italiana”, sublimando temporaneamente, in un certo senso, quel difficile discorso sulla modernità che abbiamo intrapreso in questi anni di scuola e accompagnato con i convegni annuali dedicati alla Identità dell’architettura italiana, come una difficile e non evasiva ricerca della misura. Nel cuore della Firenze popolare, il rito di che la “Casa della finestra” ha recitato ogni giorno in questi anni nel proprio colloquio con la vita vera dei suoi abitanti e con la strada (mentre in basso qualcuno ha già provveduto a richiudere lo spazio da noi riaperto verso le mura con una cancellata e portalino in pietra addossate al sedime del bastione di Cosimo), si arricchirà lassù di testimonianze della ricerca, della riflessione, della discussione contemporanea, coscienti del concetto semplice che è veramente moderno soltanto ciò che è degno di diventare antico. Paolo Zermani e Fabio Capanni