Firenze Architettura 2006-2

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sembra in bilico tra il passato ed il futuro: tentativo di una nuova cooperazione tra persone, alleanza con i luoghi e con le cose, ricerca di sensazioni e di senso. Di qui, laggiù in basso, anche se lontano, distinguo il mio balcone. In bici ora scendo dalla collina, attraverso il parco e quelle vallette verdi che, quasi tentacoli, prolungano bizzarramente la geometria della “foglia” per insinuarsi e lambire le case. Così, arrivando, mi pare di portare con me il parco e le sue suggestioni fin dentro il soggiorno. Vado subito sul balcone quasi a riprendere un discorso appena interrotto. Non so bene perché mi piace attraversare, guardare, vivere queste schegge di “natura”. (È perché poi mettiamo sempre natura tra virgolette? per tenerla stretta quando sempre ci sfugge? ne abbiamo ancora paura?) che ci portiamo nel ricordo o nel desiderio. Certo, oggi siamo gente di città, questa mia è sempre una casa di Reggio, queste strade e piazze continuano le strade e le piazze del centro. Ma qui le strade diventano corti allungate dove i bambini, vicino ai vecchi giocano tranquilli. Posso vederli se mi allontano dalla finestra che dà sul verde e mi affaccio verso l’interno di questo “fiordo”. Sto quindi tra due nature, quella vegetale che in qualche modo mi arriva dal grande parco e quella minerale, dei selciati, della pietra, dei mattoni, delle luci che portano fin qui la città. Abito l’incrocio tra due mondi che si toccano, si osservano senza fondersi, si mescolano solo nei miei pensieri. Ma forse questo luogo è una rete di illusioni, una trappola nella quale mi sono infilato, ma nella quale stasera mi piace distendermi - addormentarmi nel dolce rumore della vita -. Livorno, “Il Porto Mediceo” Quando mi hanno detto che il nostro alloggio era sistemato sopra ai negozi, ai ristoranti, agli uffici, sopra ai porticati non ero affatto contenta. Speravo in un giardino tutto mio, con nessuno sotto ai piedi o sulla testa. Ora però mi distendo su questo spazio verde alto sopra il mare, come su di uno scoglio, ma che è invece il giardino sul quale si affacciano il nostro salotto e la cucina.

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Alle volte qui credo di essere sulle mura, su bastioni sicuri che tengano lontana e mi difendono dalla folla brulicante, che, al di sotto, ci circonda e si muove, come formiche, tra il mare, i fossati, la terra. Ora mi alzo per affacciarmi giù dallo spalto e guardo il canale tra i due mari – segno nuovo di antiche “vestigia”, tracce ritrovate – poi la banchina con i dehors che prolungano i portici verso il canale: un po’ Venezia ed un po’ quella Venezia che attraversa Livorno. Poi ancora i lunghi muri di mattoni ocra, rossi, terra bruciata, i grandi arconi dei porticati segnati dal marmo bianco. Quando avrò finito di fantasticare, quando il nemico – come per fortuna sempre accade, diventerà amico – scenderò giù sulla via, richiamata da chi mi sta già facendo segno di raggiungerlo. Lo farò aspettare. Mi fermerò ancora, un po’, quassù ad ascoltare la brezza della sera che tocca il mio corpo, lo riconosce e lo unisce a questo prato di ginestre, di cisti, di oleandri che sovrasta gli spalti e incontra l’azzurro del mare e quello del cielo. Quei velieri laggiù, all’orizzonte, non sono più quelli dei miei antenati - che da queste parti erano pirati, esploratori, marinai, pescatori – ma forse sono già quelli dei miei amici lontani che vorrei, questa sera, facessero ritorno da me. Ora mi consolo pensando di abitare una città, un porto munito e disteso lungo la costa, ma anche disteso nella memoria o proteso nel desiderio di un improbabile viaggio: viaggio con biglietto di andata e ritorno ad Itaca/Livorno, viaggio di sola andata di chi passa fra le bellissime gambe di Ercole? Così non so più se la mia casa stia ruotando nel cerchio dell’eterno viaggiare, dove si arriva per subito ripartire (per riprodurre se stessi e gli altri) o se sia l’origine o la méta mai raggiunta. O ancora: stare a casa è mettere per qualche istante, il divenire e, nel quotidiano, ristare, essere? Allora in questa casa, in questo “immobile” nel tempo e nello spazio, sembrano precipitare, come in un imbuto, i tempi della Storia, quelli delle mie tante “storie”, insieme a quelli delle memorie dei luoghi che qui si conservano: quelle dei valorosissimi cantieri Orlando, dei bacini di carenaggio dell’immensa grù, delle

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