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Pagine precedenti: 15 La hall con i pilastri, preesistenti all’intervento, nobilitati dal rivestimento in pietra o in legno. Fondo Detti, inv. 6192 16 Vista delle scale. Fotografia Archivio Detti. Fondo Detti, inv. 6178 17 Le rampe discoste dal muro; il rivestimento lapideo dell’alzata sporge lateralmente rispetto a quello dell’alzata. Fondo Detti, inv. 6175 18 Vista di una parte della sala da pranzo al piano terra. Fondo Detti, inv. 6404 19 La sala da pranzo al piano terra con le vetrate, sulla destra, che guardano la corte-giardino. Fondo Detti, inv. 6417 20 Pianta del piano terra prima dell’intervento con annotazioni di Detti. Fondo Detti, rotolo n. 414 21 Studio del controsoffitto della sala di rappresentanza al primo piano, disegno di Carlo Scarpa. Fondo Detti, rotolo n. 556 22 La piscina sul tetto con Santa Maria Novella sullo sfondo. Fondo Detti, diapositiva non inventariata
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mica sul tetto, nell’ala estrema meridionale del complesso, in origine una sobria vasca rettangolare di muratura, intonacata di rosso mattone e rivestita internamente da piccole tessere bianche, ha perso l’eleganza di un tempo. Rimane la vista della città che, da Santa Maria Novella a Palazzo Vecchio, sfiora la superficie dell’acqua ed offre pareti ideali a questa stanza a cielo aperto. Così volle Detti che suggellò il compimento dell’opera con un tuffo rimasto famoso.
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Afferma a tale proposito E. Detti: “Chi scrive lo ha avuto per oltre venticinque anni come amico e in questa vicinanza ha fruito, insieme con altri più giovani amici, di uno scambio e di un ammaestramento che in particolare si sono concretati nella collaborazione in alcuni lavori di architettura, nei quali occorrerà ritrovare il suo apporto”. Vedi E. Detti, Carlo Scarpa, in “A.M.C.”, n. 50, 1979. 2 C. L. Ragghianti, Edoardo Detti urbanista e architetto, convegno, Palazzo Vecchio, Firenze, 27 aprile 1985, in “Atti dell’Istituto di ricerca territoriale e urbana”, 1985. 3 E. Detti, Urbanistica medievale minore, in “Critica d’arte”, n.4, 1957. 4 Cfr. F. Rossi Prodi, Carattere dell’architettura toscana, Roma, 2003. 5 La definizione è di M. Tafuri che scrive: “Sarà allora forse più corretto parlare - per evitare gli equivoci non di una poetica del “frammento”, per Scarpa, bensì di una poetica fatta di “figure”. Figure, non immagini né spezzoni nostalgici di totalità, sono le
“icone ermetiche” che abbiamo potuto riconoscere nell’architettura scarpina”. Vedi M. Tafuri, Il frammento, la “figura”, il gioco. Carlo Scarpa e la cultura architettonica italiana, in “Carlo Scarpa”, a cura di F. Dal Co e G. Mazzariol, Milano 1984. 6 M. Tafuri, op. cit. 7 E. Detti, Carlo Scarpa, in “A.M.C.”, n. 50, 1979. 8 Racconta E. Luporini: “Non è stato un lavoro di fagocitanti escavatrici o di convulsi inesorabili martelli pneumatici, ma un intelligente disfacimento, manuale, strato per strato, nodo per nodo, condotto con paziente perseveranza e penetrazione veramente radioscopica, di tutti gli accumuli di false strutture e di diaframmi ispessiti, succresciuti in cinque secoli di riordini, di adattamenti […]. Ma la oculatezza di questo procedere per il Detti aveva un suo fine preciso. Quello di ritrovare, rileggere il più a nudo possibile le anchilosate strutture della originaria lottizzazione e del montaggio medievali. In sostanza appunto quell’unico, autentico discorso, del quale voleva rendersi ben conto, che tra la seconda metà del Duecento e i primi decenni del Trecento, nel corso di una intensa quanto perfetta attività di urbanizzazione della zona, aveva creato quella che ancora è l’ossatura stabile della piazza, con i suoi cinque paramenti e spessori, e la razionalissima trama sulla quale fu ordito nel tempo il grandioso sistema della chiesa e dei chiostri” E. Luporini, Un albergo a Firenze, in “Zodiac”, n. 7. 9 F. Rossi Prodi così definisce l’opera di Detti: “Le sue architetture esprimono un metodo e una mente razionale, sono scandite da grandi masse poste in un rapporto dialettico ma pacato da superfici serene e aggettivate dagli elementi della tradizione fiorentina”, vedi F. Rossi Prodi, op. cit. E. Luporini parla invece di: “metodologia dell’autocontrollo, dell’atto onesto dello scartare l’irrelativo, dell’andare cioè incontro al problema senza l’egoismo dell’assoluto creare”, vedi E. Luporini, op. cit. 10 G. F. Di Pietro, Il lavoro di architetto, in “Quaderni di Urbanistica informazioni”, n.1, 1986.