Firenze Architettura 2005-1&2

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Maria Grazia Eccheli e Riccardo Campagnola con Michelangelo Pivetta

Giardini Riccardo Campagnola

Nella città antica – per usare la sintetica, ma precisa ed evocativa definizione di M. Poëte - la presenza della natura, suo antipolo e modello antagonista ad un tempo, costituiva, artificiale o meno, l’elemento fondamentale del suo variegato e multiforme volto. I vasti spazi liberi custoditi all’interno dell’esatto circuito delle mura ne erano componente non solo necessaria – così da costituire categoria analitica decisiva per la ricostruzione della storia della città e dell’intricata genealogia dei suoi tipi edilizi – ma anche il dato caratterizzante, al punto da divenire talvolta il principium individuationis di ogni singola città. Il sito naturale - la conformazione geologica e altimetrica del luogo, il fiume che l’attraversa o lambisce, il colle che la domina, ecc – si trasformava immediatamente, da dato razionale, nell’elemento dialettico delle scelte di configurazione formale della città. Quale città sarebbe comprensibile senza quel rapporto piano/natura che ne delinea la disposizione spaziale e ne sostanzia, nel corso del tempo, ogni singola invenzione? Verona, di cui forse le osservazioni precedenti sono fin troppo scopertamente una generalizzazione dei caratteri, costituisce un exemplum paradigmatico. Elogio di un catasto I giardini, che per il catasto austriaco di Verona nella versione del 1847, non sembrano già più un oggetto degno di nota se non meramente quantitativa, costituivano invece per il precedente catasto napoleonico uno dei criteri privilegiati di descrizione, se non d’interpretazione, della città.

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Restituiti, forse per l’ultima volta, con una rappresentazione che - fedele o meramente simbolica che fosse - ne preservava l’integro significato, i giardini di Verona vi figurano con tal evidenza da stridere sia con le ben note motivazioni amministrative che con gli stessi obiettivi “scientifici” di una mappa catastale. All’edificato, rappresentato mediante la sola e canonica occupazione del suolo, il disegno dei giardini aggiunge, infatti, norme sconosciute e certo non pertinenti: - si veda l’evocazione di stagioni storiche della città attraverso l’enumerazione dei suoi capisaldi verdi (il Broilum Magnum attinente ai Palazzi Scaligeri e il giardino degli Esposti già di Taddea di Carrara nei pressi del Duomo, i rinascimentali giardini di Palazzo Giusti, di palazzo Murari Bocca Trezza ecc); - oppure il ruolo rivelatore della geometria segreta della città che assumevano gli allineamenti, gli assi di simmetria e le inspiegabili partizioni che informavano i disegni dei giardini in una sorta di araldica naturale, esibendo al contempo la loro vera natura di continuazione all’aperto delle omesse planimetrie. Per spiegare la puntigliosa ed inspiegabile presenza di tali raffigurazioni in documenti che, legati ad una nuova politica d’imposizione, avrebbero richiesto il censimento della mera quantità, si è ricorso alla presenza di maestranze di ascendenza pittorica. Una spiegazione attendibile ma che tuttavia non tiene conto di quanto quei disegni additano: in un passaggio epocale della storia, un’idea di città più comprensiva e complessa di quanto l’incipiente e astratta città ottocentesca avrebbe in seguito inverato.

Progetto: Maria Grazia Eccheli Riccardo Campagnola Michelangelo Pivetta 2004


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