Firenze Architettura 1999-2

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della progettazione induce a non voler pensare al cambiamento, ma erroneamente a pensare che il cambiamento sia dominabile, senza riflettere che non si è più in situazione di linearità di sviluppo, secondo una visione newtoniana di continuità. Forse, in modo indistinto, prima ancora delle rimozioni ideologiche da parte nostra, si rifletteva intorno all’assetto di discipline quali Architettura Sociale e Caratteri Distributivi degli Edifici che, nella facoltà, non erano riuscite indenni da osservazioni estremizzanti, ma che, al contempo, si erano appiattite o rischiavano di appiattirsi in ambiti eminentemente funzionali. Già allora, anche se informalmente, si erano avviate prime collaborazioni con colleghi stranieri sulle tematiche dell’Antropologia dello Spazio; contemporaneamente, il ‘nuovo’ assetto dipartimentale tentava operazioni aggregative di docenti, intorno a metodologie o a temi specifici: si costituì, nell’A.A. 1991-92, l’Unità funzionale “Spazio, architettura e società”. Tale unità faceva capo ai docenti titolari dei Corsi di Architettura Sociale, Caratteri Distributivi degli Edifici, Sociologia Urbana e Rurale e Teoria dei Modelli per la Progettazione, nell’intento di superare la schematicità degli ambiti disciplinari, di dare continuità all’impronta della Scuola Fiorentina, di essere di supporto alla progettazione. Inizialmente il lavoro del gruppo europeo, costituito da antropologi, sociologi, geografi, storici, giuristi ed architetti di scuole politecniche e di scuole di architettura, trovava legittimazione e finanziamenti dall’allora CEE ed era finalizzato alla formazione e definizione dell’impianto scientifico della disciplina che, partendo da caratteri di interdisciplinarità, doveva chiarire strumenti, metodi, finalità. - L’elemento aggregativo iniziale era scaturito da un lavoro scientifico dal titolo “Anthropologie de l’espace”, dovuto a Françoise Paul-Levy e Marionne Segaud, pubblicato a Parigi intorno alla metà degli anni ‘80 che, analizzando situazioni antropologicospaziali di società ‘primitive, storicamente inquadrabili’ rintracciava i primi ‘paradigmi’ di interconnessione tra spazio organizzato / luogo / cultura. La grande tradizione sociologica e antropologica francese tentava qui un approccio alla comprensione dell’architettura e degli insediamenti attraverso interconnessioni disciplinari. Questo volume, divulgatissimo soprattutto negli USA, in Canada ed in qualche paese dell’Europa occidentale, non trovava riscontri nelle scuole antropologiche italiane, forse perché non ancora investite dai problemi spaziali propri dell’architettura.

Certamente l’agilità organizzativa e didattica della facoltà di Firenze, così come si presentava prima del ‘nuovo ordinamento’, ha consentito di lavorare su più tematiche come “Identità spaziali della città mediterranea”, “Mobilità e uso della città”, “Il territorio come bene culturale”, ecc. e da parte nostra, dato che eravamo un esiguo gruppo di docenti, la ricerca e la sperimentazione nei corsi e nei seminari, ha potuto essere estremamente produttiva grazie al contributo di molti colleghi architetti, cooptati in veste di ‘addetti alle esercitazioni’ e alla partecipazione vivace di molti nostri allievi che si sono impegnati, collaborando nella costituzione di mostre, in Italia e all’estero, nella formazione di pubblicazioni e cataloghi. (1)

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