Bisentinum:otium in ripa. Un nuovo (m)argine costruito per la città di Prato | Matilde Masi

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matilde masi

Bisentinum: otium in ripa Un nuovo (m)argine costruito per la città di Prato



tesi | architettura design territorio


Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione. “Per il profondo rigore metodologico e per la capacità di tradurre i caratteri del paesaggio storico nel progetto architettonico, arricchito anche da un vasto complesso di riferimenti culturali”. Commissione: Proff. A. Lauria, F. Privitera, M. Alpini, E. Agostini, F. Rossi Prodi, E. Romagnoli, A. Donato.

Ringraziamenti Otium in latino significa avere cura del proprio animo. A tutti coloro per i quali questo termine non ha perso il suo significato primo ed offrono ogni giorno del tempo a questa pratica. A Marguerite Yourcenar e alla mia Margherita.

in copertina Il sogno ad occhi aperti. Olio su tela realizzato da John William Godward nel 1920. Collezione privata.

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Simone Spellucci

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2021 ISBN 978-88-3338-147-3

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


matilde masi

Bisentinum: otium in ripa Un nuovo (m)argine costruito per la città di Prato



pagina precedente affresco commissionato dal mecenate e scrittore veneto Alvise Corner al pittore fiammingo Lambert Sustris, 1542-1543 Villa dei Vescovi,Luvigliano,Italia

L'azione formativa del sentimento Colpisce, in questo lavoro, l’eco che lega il Cavalciotto sul Bisenzio alla nuova struttura, l’antico lavoro artigiano alla nuova trasmissione della cultura, l’acqua alla pietra e la storia del luogo all’architettura del nuovo organismo. Vi si coglie una forte capacità di rileggere, tenere insieme e tramandare i valori della cultura inscritti nelle forme del territorio, nelle memorie della tradizione, nei saperi che vengono custoditi e aggiornati. L’architettura, all’occhio poco esperto, può certo apparire arte e tecnica, chiusa nella propria disciplinarità e nei propri circuiti, imperniata su metodiche specifiche e logiche interne. Questo l’allievo apprende, ma l’architettura è più complessa. Essa infatti fiorisce quando si alimenta della vita contemporanea e dei saperi di una cultura più generale. Valicando il proprio tecnicismo e i propri linguaggi – certo da conoscere e possedere - ogni arte trascende la propria tecnica e ambisce, in fondo, ad essere mimesi della realtà, ripetizione della natura ovvero invenzione di un’altra artificiale natura o realtà, quando con le proprie forme e la loro esperienza riflette gioia, felicità, tristezza, preoccupazione o altri sentimenti. Così l’architettura contribuisce all’educazione sentimentale, a plasmare le coscienze, tanto quanto un libro, una scultura o un quadro e favorisce il processo di circolarità dell’arte nella formazione della civiltà. Di solito un lavoro di tesi, poco più di un’esercitazione progettuale di corso, si limita a rimettere a posto le competenze basilari della tecnica progettuale dell’allievo, quanto ha appreso negli anni di studio, ne corregge le incongruenze, colma alcune lacune, fa il punto sulle sue capacità, attuandole in una nuova, più completa esperienza. Di fronte alle vere complessità, che mettono in crisi le conoscenze un po’ elementari acquisite dall’allievo, un lavoro di tesi è spesso rinunciatario, limitandosi a far maturare la consapevolezza delle problematiche stesse, che è solo l’anticamera della loro risoluzione, e accontentandosi di raggiungere una correttezza e una consapevolezza generale nella gestione dei linguaggi compositivi. Quindi dopo aver eliminato le conoscenze errate, aver colmato qualche lacuna, aver messo alla prova le competenze progettuali sotto il profilo linguistico, e aver reso l’allievo giusto consapevole dei problemi irrisolti, il percorso di tesi si arresta, senza un completo livello di maturazione tecnica interdisciplinare, talvolta senza vera espressione culturale, e ancor più senza espressione sentimentale. E’ raro poter parlare di espressione dei sentimenti con l’allievo, che sarebbe il fine ultimo del lavoro di insegnamento, è difficile affrontare come i sentimenti si traducono e si esprimono in linguaggio, sempre con l’accortezza di non dar ricette sui contenuti (sulla scelta dei sentimenti) ma solo sulla correttezza della loro espressione in forme. Questo sarebbe invero il cuore del problema. Torna in mente la vicenda del Lehrbuch di Schinkel, quando il maestro tedesco, dopo aver descritto gli elementi, le parti, la loro combinatoria, si rende conto che questo non è il cuore del problema, che questo artigianato non incide su punto principale: la formazione del sentimento, ottenibile solo attraverso la contemplazione dell’elemento poetico e della tensione incarnata nelle singole opere. Lì sta l’azione formativa dell’idea, che continua a formare all’infinito. E di fronte a questo limite non vorrà più concludere il suo Lehrbuch. Ecco, credo che il valore di questo progetto di tesi consista nell’essere riusciti a lavorare, con le forme e la loro esperienza, proprio su un sentimento di pietas nostalgica verso un paesaggio diacronico, sia fisico che mentale e nella sua trasposizione sul piano degli strumenti, dei linguaggi e della cultura architettonica. Fabrizio Rossi Prodi Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Atmosfere



Spazi emozionali

pagina precedente Il margine del Cavalciotto

Le atmosfere sono sentimenti spazializzati, sono cioè, di volta in volta, la qualità emozionale specifica di uno spazio vissuto. Con questo concetto […] intendiamo qui, in prima approssimazione, lo spazio che esperiamo nel mondo della vita e rispetto al quale la geometria piana si rivela del tutto cieca. (Tonino Griffero, Atmosferologia, Estetica degli spazi emozionali, 2011, pag.40).

La percezione Tante atmosfere compongono un luogo, qualità emotive irradiate dall'ambiente e dalle cose che lo connotano: l'aria che lo circonda, la tonalità emotiva legata al paesaggio, la scenografia, il clima artistico o politico, l'interazione degli attori su quel luogo, la storia di esso. La cosiddetta prima impressione che si ha di un luogo è vitale per la cura e la stesura di una successiva estetica. Il Cavalciotto è stato per me una sorgente di immagini in senso atmosferologico. Trovo in esso la componente immaginaria, non perché io proietti immagini in esso, in quanto è quest'ultimo che le fa sorgere in me. Il luogo mi ha suggerito memorie d'infanzia, architetture massicce e dalla forma chiara, colori rosati, storie di calcoli e di comprensione dell'acqua, tentativi di ricchezza ben riusciti e possibilità di mutarsi in luoghi necessari alla città. Il luogo non è un recinto entro il quale tutto è immutabile, è una realtà ben più complessa che scorre insieme al suo fiume.

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Scritture

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Locus

pagina precedente Allegoria della città di Prato e veduta di Prato, Giorgio Vasari, sec. XVI ,1558 (ca.) Palazzo Vecchio, sala di Cosimo I, Firenze, Italia

Disegnare Prato Il racconto della città prende le mosse da uno spicchio incorniciato a stucco realizzato da Giorgio Vasari a Palazzo Vecchio, centro della vita istituzionale fiorentina. Sul soffitto del Salone dei Cinquecento (1563-65), la città di Prato è organicamente inserita in un complesso programma dinastico-territoriale volto a rappresentare in tutta la sua estensione il dominio del duca Cosimo I . In tal senso, alle spalle di una figura, scorgiamo una veduta della città, osservata da una vicina altura; l’autore mette in evidenza le mura e le principali emergenze architettoniche, in modo da restituire un’immagine completa e facilmente riconoscibile dell’abitato. Giorgio Vasari racconta delle vicende della città servendosi dell'allegoria.

Per l'interpretazione di quest'ultima è molto utile l'esegesi dei "Ragionamenti" vasariani dai quali sappiamo che Prato e' raffigurato come un giovane, al quale il duca porge una delibera con l' ordine di "racconciare il fiume di Bisenzio", raffigurato in basso come un vecchio che tiene in mano una cornucopia con frutti. Vasari descrive così la natura del fiume. Sebbene identificato come fiume, il Bisenzio può infatti definirsi quasi a regime semi-torrentizio. Il fiume era tristemente noto, in passato, per le frequenti e spesso disastrose esondazioni che hanno conferito alla zona di Santa Lucia, area di progetto, l’appellativo popolare di “ Santa Lucia alle buche”.

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Profili

pagina precedente Schema dell'idrografia pratese con il sistema di gore derivate dal fiume Bisenzio 1. fiume Bisenzio 2. pescaia del Cavalciotto 3. gorone 4. gora del Pero o Bresci 5. gora di Gello o Mazzoni 6. gora Romita o di Grignano 7. gora del Castagno o del Lonco 8. gora del Lupo o Bini 9. torrente Ombrone 10. fiume Arno

Solchi Nel Mille la città di Prato non esisteva così come la conosciamo. Dove adesso sorge la cattedrale vi era una piccola pieve e nei pressi una modesta residenza fortificata chiamata castello. Non c’erano strade trafficate, grandi abitazioni, operose industrie, non c’era una vera città. Ma c’era l’acqua. L’acqua di Prato si chiama Bisenzio, una traccia lineare che solca la valle e si tuffa nella piana in cui si è sviluppata la civiltà e la percorre per alcune decine di km prima di riversarsi nell’Arno. Intorno a questo scorrere il tempo ha costruito non solo case, ma mestieri, l’identità stessa di una comunità. C’è un punto però, che nel corso del fiume diviene essenziale per far sì che tutto questo abbia avuto un inizio. Questo nodo giunto fino a noi dopo secoli di storia, è conosciuto negli anni con il nome di Cavalciotto. Poco prima di toccare la città il letto del fiume si allarga e la sua corsa rallenta, abbandona la sua linearità e, seguendo la naturale pendenza del luogo, con una gran-

de curva, va a lambire le propaggini dei monti della Calvana1 . Il Bisenzio compie un "salto", offre così all'ingegno dell'uomo quanto serve per le sue necessità di vita: energia. L'uomo inizia a disegnare nuove tracce d'acqua, il righello si sostituisce alle regole delle sponde. L'acqua cambia forma, ne derivano segni geometrici di un flusso artificiale che si dipana tra il costruito. Il flusso è così accolto da letti inusuali, pensati, dalla sezione regolare, il primo dei quali prende il nome di Gorone: un canale rettilineo, che pone l’energia dello scorrere al servizio dell'industria. La traccia principale si dirama poi in cinque canali, le Gore, che oltre a irrigare la piana, per renderla fertile, alimentano mulini, cartaie, ed innumerevoli altri opifici idraulici. Il complesso sistema di gore e canali secondari derivati dal Gorone ed originati dal Cavalciotto, già nel 1200 ali-

mentava 48 mulini e 20 gualchiere2 di proprietà di nobili e mercanti fiorentini e pratesi. Da quest’acqua provenivano i panni commercializzati in tutta Europa e redditi grazie ai quali poterono costruirsi famiglie intere e istituti bancari e culturali, che finanziarono a Prato e Firenze lo sviluppo dell’arte rinascimentale.

Nell’industria tessile e conciaria, macchina un tempo utilizzata per battere e pressare i tessuti in modo da renderli più compatti.

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Catena montuosa appartenente al Subappennino toscano, posta tra l'Appennino Pistoiese ed il Mugello.

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Il tempo

pagina precedente La prima rappresentazione del Cavalciotto in una riproduzione pratese della Carta dei Capitani del Popolo di Santa Lucia a Monte Plantario del 1584, c. 475 ASP, Prato, Italia

[…] immenso è il benefizio recato da una gora che prende le acque del Bisenzio allo sbocco della pianura, per l’opera di una solida e imponente pescaja, denominata il Cavalciotto, stata eretta da varj secoli due miglia al di sopra di Prato, ad oggetto d’introdurre una porzione di acque correnti dentro la città, a servigio specialmente delle tintorie, e dei numerosi lanificj di quell’industriosa popolazione. (E. Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, 1833, p. 258.)

Il racconto delle fonti Il sistema degli opifici idraulici della val di Bisenzio, è documentato con una certa precisione a partire dalla fine del Duecento, quando fu redatto lo Statuto dell’Arte dei padroni dei mulini sulla riva destra del fiume Bisenzio (1296). Tale contenuto è stato analizzato e reso fruibile dall’impegno di Renato Piattoli (1936), studioso dell'epoca, a testimonianza dell’esistenza di un sistema idraulico, alimentato dalla pescaia di Santa Lucia.

Si descrive uno sbarramento o chiusa, così come viene definito dalla fine del XIII secolo, od anche "piscina"equivalente volgare di "pescaia", intesa come "sbarramento con steccati e fascine, tale da generare un salto delle acque"1. Dall’analisi dei documenti storici risulta la costituzione di Consorzi fra padroni di mulini, enti religiosi o signori locali, fin dalla seconda metà del XII secolo,

fino al tempo del libero Comune e delle Arti quando abbiamo la stesura di un vero Statuto ( 1296 ). Si parla di una "Chiusa de Sancta Lucia", una struttura rudimentale lignea e si manifesta l’esigenza della realizzazione di una struttura in pietre e calcina "De chiusa de Sancta Lucia muranda"2.

R.Piattoli, Lo Statuto dell'Arte dei padroni dei mulini sulla destra del fiume Bisenzio, 1936, pp. 6465.

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R.Piattoli, Rubrica X dello Statuto dell'Arte dei padroni dei mulini sulla destra del fiume Bisenzio,1936, pp. 74.

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in basso Il tratto del Bisenzio a valle del Nuovo Cavalciotto realizzato presso il ponte a Zana su disegno di Gherardo Mechini,1601 ASF, Capitani di Parte Guelfa, Piante, Cart. XXVII, c.11, Firenze,Italia pagina seguente Il tratto del Bisenzio dal Cavalciotto Nuovo al Vecchio in un disegno a colori del 1594 ASP, Comune, 53b, Prato, Italia

Due pescaie Dalla metà del XIV secolo, Prato passa sotto il dominio di Firenze. L'anno 1372 segna la nomina da parte dei Capitani di parte Guelfa di una commissione atta a decidere il tipo e l’entità degli interventi di recupero e manutenzione dei corsi d’acqua e fiumi. A tale proposito, vi furono sommosse fra i mugnai delle due sponde del Bisenzio, che si opponevano alla gestione della Magistratura fiorentina. Alcuni documenti relativi alle controversie emerse sono raccolti dal Piattoli: da questi si evince che all’epoca la struttura del Cavalciotto si componeva di "quatro cateratte"(1427) ed in seguito di "tre bocche della pescaia di Santa Lucia"1 (1462), quindi si presume che 1 R.Piattoli ,Statuto dell'Arte dei padroni dei mulini sulla destra del fiume Bisenzio 1936, pp.101

la struttura fosse da tempo realizzata in muratura, con tre bocche e non con una gora unica. Nel corso del XVI secolo la magistratura dei capitani di Parte Guelfa si rivela un organo molto valido nel vigilare sul sistema gorile del territorio pratese, in particolare avvalendosi dell’apporto di tecnici di grande spessore. Dalla metà del Cinquecento la struttura viene identificata con il termine di Cavalciotto come risulta da una relazione tecnica del 1558 che ha come oggetto il dissesto idrogeologico della piana pratese. Con l’età moderna, le fonti iconografiche della pescaia risultano più minuziose, come la copia (fig. a pagina 16) del Plantario, risalente al 1584, carta del Popolo di Santa Lucia a Monte, dove appare il termine Cavalciotto, che risulta costituito da un


muro d’argine con speroni, nel quale si ravvisano due bocche per il passaggio di altrettante gore, che poi si riuniscono in un solo canale. In alto a destra si possono notare i ruderi del ponte di Zana, andato distrutto a causa di una piena nel 1557, il materiale di questi ruderi sarà utilizzato nel 1592 per la costruzione del Cavalciotto Nuovo. La costruzione del Nuovo Cavalciotto fu affidata all’architetto Gherardo Mechini, capomastro dei Capitani di parte Guelfa. La sequenza degli interventi è ben valutabile analizzando tre diversi disegni datati rispettivamente 1590, 1593 e 1601, si tratta di documenti allegati a relazioni tecniche ad opera del Mechini stesso. Nel disegno del 1590 si vedono ancora i ruderi del ponte a Zana, la strada di Vernio, località a monte, costeggia il

fiume dalla Torricella fino al Cavalciotto, costituito da un muro d’argine con una sola bocca, che dà esito ad un solo canale; la “pescaia vechia” è rappresentata come una doppia fila palificata, il ramo principale del fiume si divide per alimentarne uno più piccolo a destra che si immette nella gora, contenuto da un muro piccolo parallelo al grande muro d’argine con speroni del Cavalciotto. Nel disegno del 1593 i resti del ponte a Zana sono ormai scomparsi, riutilizzati per il Cavalciotto Nuovo, la gora nuova parte da destra e segue il tracciato della strada, che interseca con due ponticelli, quindi si dirige verso il mulinuzzo del plantario. Si perviene quindi al disegno del 1601, con la gora della Torricella alimentata dalla nuova struttura. I lavori sovra descritti apportarono notevoli danni al territo-

rio, come risulta da una lettera di pugno del Cancelliere Taglieschi, indirizzata al Granduca nella quale si richiede l’intervento di: […] fare ò riparare al danno dal momento che le Risaie et le Cascina sono restate asciutte con tutti gli edifitii della terra di Prato2. Notevoli sono stati i danni per i proprietari degli opifici situati sulla riva sinistra del Bisenzio danneggiati dalla chiusura del vecchio impianto, mentre la gora della Torricella, alimentata dalla nuova struttura, fornisce acqua agli opifici della riva destra. Numerosi sono i documenti riguardanti questi contenziosi, con deposizioni di testimoni e ricche di elementi descrittivi del complesso del Cavalciotto. ASP, Comune, 53, c. 75. Lettera di Taglieschi al Granduca del 21 Marzo 1595.

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in basso La dettagliata rappresentazione della struttura del Cavalciotto nel primo trentennio del XVIII secolo ACC, Manoscritti, 342, c. 42, Prato, Italia pagina seguente Il tratto del Bisenzio tra le strutture del Cavalciotto Nuovo e Vecchio in un disegno del XVII secolo ASF, Capitani di Parte Guelfa, Piante, Cart. XIV, 19, Firenze, Italia

Il calcolo dell'acqua Le minacciose piene del Bisenzio furono sempre oggetto di grande attenzione. Nel 1630 Galileo fu invitato dal Granduca Ferdinando II de' Medici, in qualità di suo matematico primario, a partecipare ad un sopralluogo presso il fiume Bisenzio, insieme all'architetto granducale Giulio Parigi. Galileo riteneva che il fiume dovesse mantenere il suo corso naturale, intervenendo con argini di rinforzo nei punti più pericolosi. Troviamo tracce di questa ipotesi in una lettera che Galileo invia all’amico Raffaello Staccoli nel 1631. Si proponeva di liberare il letto del fiume dai depositi che provocavano il rialzamento del livello dell'acqua. Dal 1647 Vincenzo Viviani, allievo di Galileo, lavora ad una lunga, sistematica, serie di interventi e progetti rivolti

anche ai problemi idrografici della valle del Bisenzio, ma è solo alla fine del XVII secolo, che il granduca ordina l’istituzione di un gruppo di lavoro con il compito di risolvere definitivamente il problema del sistema Cavalciotto Vecchio-Cavalciotto Nuovo . Si scelse di abbandonare la nuova struttura che non aveva dato i risultati sperati e di restaurare il vecchio Cavalciotto. In questa occasione si scelse di evitare la costruzione di un imponente e costoso sbarramento attraverso il fiume, ma di puntare su un altro tipo di opera: Mantener l’acqua alla bocca di gorone nel modo praticato fino ad ora con riprese fatte a mano secondo le contingenze delle piene e delle mutazioni del fiume, [...] et ne tempi delle massime straordinarie escrescenze alza-

re il muro del Cavalciotto vecchio un braccio e mezzo [...] con ringrossarlo sopra la risega che vi è, dove è più sottile, e rialzare tutti li sproni fino all’altezza che si darà a detto muro formando la sua parte superiore bistonda [...] Inoltre sarà bene allargare la pescaia o muro che manda l’acque per il gorone per braccia 30 verso il molinuzzo, grosso braccia 5 ragguagliato e fondo braccia 6 più o meno quanto si potrà assicurare il di sopra dalle piene si farà una coverta di lastroni di cava subbiati e ben connessi tanto per br. 30 di nuovo, quanto per l’altre 30 di vecchio, che si attesta al nuovo [...]1.

ASF, Capitani di Parte Guelfa, N. neri, 1635, c. 21 e BNF, Mss. Gal, 232, cc. 10-11.

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Il XVIII secolo Di questo periodo storico disponiamo di una documentazione cartografica che ci permette di fare alcune considerazioni sulle fasi evolutive del complesso architettonico. E’ degli inizi del secolo (1705) il disegno del particolare del Cavalciotto dove si vede il muro d’argine con i suoi speroni, la bocca della gora e le fessure del suo sportello, oltre ad un’altra struttura (un altro condotto con le fessure per una chiusa) perpendicolare al muro d’argine, e in direzione della pescaia, nel fiume; da quest’ultima struttura alla parte opposta del fiume (dove si vede un altro muro d’argine con speroni), una “palata",ovvero palificata per pigliar l’acque chiare”. Ci sono dunque tutte le strutture descritte per la fine del secolo XVII, com-

preso il muro d’argine che prosegue oltre il Gorone fino a delineare il gomito interno del fiume nel punto in cui curva. Questa versione è quella successiva agli interventi attuati da Viviani, e quindi risale alla fine del seicento. L’ottima fattura della rappresentazione permette di comprendere tutti i particolari dell’arco sopra la gora che sembra essere costituita da due pilastri sui quali s'incardinano uno, o forse due, sportelli a caduta di legno utilizzati con tutta probabilità per la sghiaiatura e depurazione delle acque. La struttura mantiene questo aspetto fino alla fine del XVIII secolo, come risulta dalla relazione dell’Ing. Franceschi (1786) dove di osserva che: […] nel popolo di S. Lucia ed in luogo detto Cavalciotto vi esiste attraverso il fiume una grandiosa serra di muro cal-

cina fatta ad uso di pescaia, superiormente alla quale nel muraglione che arma detto fiume situato per la parte destra presso detta pescaia vi esiste una cateratta con due sportelli di legno impeciati, che uno in linea di detto muraglio ne per la parte interna del detto fiume, l’altro al di dentro del medesimo“. Tale cateratta serviva infatti per raccogliere le acque dal Bisenzio “ed introdurle nel Gorone il quale à suo principio dalla detta cateratta .2

21 2 ASP ,relazione dell’Ing. Franceschi 1786.



pagina precedente Planimetria del Cavalciotto AGP, Consorzio del Fiume Bisenzio al Cavalciotto e Gore, 118 Piante e perizie 1816-1910, fasc. 6 Perizia. Ingrandimento del locale del Cavalciotto,Prato, Italia

Il XIX secolo Per il territorio pratese questo è un periodo di rinascita e di grande crescita demografica, anche l’economia locale presenta una netta ripresa, con sviluppo dell’industria tessile e privatizzazione dei mulini posti sul sistema gorile del Cavalciotto e del Gorone. Le risorse idriche provenienti dalle gore vengono utilizzate quasi esclusivamente per i nuovi macchinari dell’arte della lana. Durante il Regno d’Italia, nel 1863, l’ente del Cavalciotto prese il nome di “Imposizione del fiume Bisenzio al Cavalciotto e Gore” che mantenne fino all’inizio del secolo successivo. La cartografia rimane invariata fino al 1865 quando compare un piccolo edificio, denominato Casotto dei callonai. Si tratta di disegni relativi ad un progetto di ampliamento dei locali del Cavalciotto, tuttora conservati presso il fondo del Consorzio.

La pianta dell’edificio è perfettamente conforme ai volumi attuali, con aggiunta di due stanze per piano e rappresenta per la prima volta l’edificio così come si conserva ancora oggi fornendoci numerose informazioni riguardo la sua articolazione interna e le strutture adiacenti. Dal Bisenzio, nei periodi estivi, l’acqua veniva incanalata nei calloni dell’edificio oltre che dallo spesso muro di contenimento qui rappresentato senza speroni (probabilmente perché nel progetto vi si addossano gli annessi da realizzare), anche da un setto murario ad esso parallelo che costituiva una sorta di prolungamento del prospetto Nord del Cavalciotto e che permetteva di convogliare le acque al di sotto dell’arco. Da qui le acque attraversavano tre calloni che le rigettavano nel Bisenzio o le deviavano sul Gorone portandole così alla città e al suo contado.

Le tre paratoie sono definite “di sicurezza”, “di scarico in Bisenzio” e “temperatore”, posta a Sud e che immetteva l’acqua nel Gorone. La planimetria del piano terreno mostra inoltre la presenza delle strette scale esterne che permettono l’accesso alla pescaia e di quelle interne confermando di fatto già all’epoca un’ articolazione su due livelli di questo ambiente come si conserva ancora oggi. L’edificio è sostenuto da un pilastro centrale. Il fabbricato che protegge i meccanismi degli sportelli dovrebbe dunque essere stato edificato almeno entro il 1865.

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pagina precedente L'ex opificio Aiazzi-Biagioli

Il XX secolo Agli inizi del 1900 l’industria laniera pratese va incontro ad un grande sviluppo, pertanto si rende necessaria una nuova regolamentazione per la gestione delle acque del Bisenzio, l’ente dell’Imposizione nel 1911 istituisce un Consorzio di utenti e viene approvato un nuovo Statuto, elaborato da una Commissione tecnica. Dallo Statuto si evince che lo scopo principale del Consorzio è quello di di provvedere alla conservazione delle gore e delle opere di derivazione dell’acqua dal fiume Bisenzio e disciplinare e regolamentare l’uso delle acque stesse tra i singoli utenti per i seguenti scopi: forza motrice, irrigazione e usi industriali diversi. Negli anni successivi la situazione delle gore andrà degradandosi, in primis

per la mancanza di fognature adeguate, e , come segnala una relazione del Consorzio del 1970 , saranno utilizzate non più come canali di adduzione delle acque a scopo industriale ed agricolo, ma come canali di raccolta per ogni tipo di scarico industriale. L'opificio Aiazzi Biagioli L’edificio è situato in una fascia di terreno a diretto contatto con il fiume Bisenzio, in prossimità del Cavalciotto, sull'area di progetto. Sul lato a ridosso di Via Bologna, la struttura si restringe notevolmente ricalcando perfettamente la sagoma triangolare del lotto. La fabbrica è stata fondata nel 1873 e in un documento del 1918 viene identificata come “Aiazzi & Biagioli filatura”. L'edificio è stato poi fortemen-

te danneggiato nel corso del secondo conflitto mondiale. Attualmente l’opificio è in disuso. Si tratta di una cardatura per conto terzi, che è stata chiusa nel 1953 per cessazione dell’attività. L’edificio si compone principalmente di un corpo longitudinale e di una torretta, che ospitava una cabina Enel. Al di sotto del fabbricato in origine vi erano due grandi turbine ad acqua per l’alimentazione della fabbrica e della abitazione del guardiano. Nel corso del II° conflitto mondiale fu parzialmente distrutto ed alcune parti murarie, per lo più costituite da sassi di fiume furono reintegrate con laterizio. Attualmente l’edificio è in abbandono. Con questo opificio si chiude la serie di quelli legati al sistema di prelievo e restituzione delle acque del Bisenzio.

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Materia


in basso Maquette di progetto pagina seguente First Unitarian church and School Louis Isadore kahn,1959-1967 Rochester, New York


Mura parlanti

Il castello scozzese. Muri molto, molto spessi. Poche aperture per il nemico. Aperto all'interno ai suoi occupanti. Un luoco per leggere, per cucire [...]. Luoghi per il letto, per la scala [...]. Luce solare, una fiaba. (Louis Isadore Kahn, 1973) Protezione ed esclusione Segno evidente sulla carta è stato sin dall’inizio il muro che traccia il confine dell’ansa, dotato di forte geometria e stereotomia. Un elemento solido, poderoso, argine costruito che serviva a proteggere la città dalla rovinosa acqua ed accompagnare quest’ultima verso il salto. La natura di questo manufatto è senz’altro massiccia e difensiva ad attestare l'atavica paura della forza dell'acqua. Un elemento difensivo, come un limite costruito, di per sè delinea una realtà esclusiva, protetta ma anche isolata dall’elemento protettore. In tal senso mi è stato utile approfondire il concetto di muro abitato, in particolare gli studi svolti in merito da Louis Kahn ed Aires Mateus.

Kanh: il recinto murario e la declinazione dello spessore Louis kahn in un ragionamento sulla finestra e sulla luce afferma:" Ho avvertito un bisogno di profondità". Tale affermazione rivela quali siano per l'architetto le costanti espressive dei caratteri dell'architettura muraria: la scoperta dello spessore insieme al disvelamento della forma costruttiva. Ancor di più si ricerca l'esplicitazione della possente struttura tettonica e una concezione dello spazio inteso come "ricavato", "interno". Alla continuità dell'involucro, tipica della recinzione muraria, si associa la ricerca sull'articolazione di elementi costitutivi la profondità dello spessore. L'autore scava nella poderosità ricavando spazi interstiziali, fino a sezionare l'edificio, tanto fino a farlo sembrare quasi privo di una propria finitezza. In tal senso il vuoto, l'apertura, risultano integrati nella sezione muraria, non assumono quindi le forme che tradizionalmente li connotano. Il concetto di facciata muta, deriva anch'esso dal principio inclusivo del li-

mite murario e dalla sequenza di spazi gerarchicamente ordinati attorno ad uno centrale. Il muro in alcuni casi diventa diaframma costituito da ritmi di principi differenziati, muro abitato o abitabile, intercapedine spaziale che ospita i rapporti tra luce e silenzio. In altri casi la poderosità si deforma fino ad ospitare spazi secondo l’originale idea della colonna che si dilata. Colonna, sequenza di colonne, muro appartengono infatti per Kahn allo stesso principio compositivo. Nella First Unitarian Church and School (Rochester, New York, 1959/67), la scuola diventa il muro che circonda l’aula cen-

trale; a esso è affidato il ruolo di recinto dell’edificio. “Ho fatto del muro un contenitore invece di un solido”, scrive Kahn descrivendo la natura tettonica dell’edificio scolastico. La struttura muraria, concepita come cavità abitata, individua nella materialità e nello spessore, i mezzi espressivi idonei a rappresentare il carattere di internità dello spazio. Il muro cavo consente di conseguire un carattere massivo per la costruzione.

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in basso Maquette di progetto pagina seguente Casa di riposo per anziani Francisco Aire Mateus Manuel Aire Mateus 2010 Alcácer do Sal, Portogallo

Aires Mateus: abitare il limite I fratelli Manuel e Francisco Aires Mateus si inseriscono in quella corrente di pensiero che va sotto il nome di nuovo realismo. Questo termine si associa alla tendenza di trasformare il proprio ambiente calandosi nella complessità del reale, per tessere nuove relazioni e ricercare nuovi orizzonti di senso servendosi delle tecniche di scrittura, disegno e costruzione. Espressione poetica, rigore formale, stereotomia: questi sono i termini che si associano alle loro architetture, perennemente sospese tra realtà e astrazione. Architetture dal pregio di non essere compromesse da posizioni intellettualistiche di scelte date a priori, ma fortemente radicate nel presente e legate a un proprio specifico luogo. Architetture scritte e poi realizzate,

che trattano il tema dell'abitare fino a ricondurci alle origini dei processi di costruzione degli spazi. L'intento diventa quello di delineare le qualità dello spazio nella sua interezza, attraverso le sue componenti costitutive. In linea con il pensiero promulgnato da Peter Zumthor e ancor prima da Louis Isadore Kahn, si rintraccia nella loro logica compostiva un interesse verso il poderoso. Se si prendono in esame alcune delle case progettate dai Mateus è possibile rintracciare i passi fondamentali di un iter progettuale che rifiuta il concetto di composizione inteso come giustapposizione di parti in sé concluse, per abbracciare quello opposto di modellazione dei vuoti secondo un principio che agisce per sottrazione di materia. I fratelli Mateus individuano nello spa-


zio in negativo, ovvero in ciò che risulta dall’articolazione dei pieni, l’obiettivo finale, il significato stesso del processo. Il muro segna un confine, delimitazione fisica dei luoghi adibiti alle diverse attività svolte dall’uomo, la luce come rivelatrice dell’essenza dello spazio, il percorso come sistema di relazioni significative tra i luoghi, tra il dentro e il fuori dell’architettura, sono gli elementi base di una poetica raffinata, mai autoreferenziale e autentica perché sempre intimamente legata a quel substrato della memoria collettiva che la profonda conoscenza della storia e le condizioni materiali di un luogo sono in grado di richiamare. Questo approccio è particolarmente evidente nella residenza per anziani ad Alcácer doSal, un volume, un margine scavato da profonde mancanze che,

secondo le direttrici di una linea spezzata, segue l’orografia del terreno modellando il vuoto di una semicorte destinata alla vita comunitaria. Da un lato la funzione specifica con tutti gli accorgimenti e le qualità spaziali che il tema della residenza per anziani richiede, dall’altro il ruolo che la costruzione assume come elemento di margine tra tessuto urbanizzato e campagna, come traccia insediativa in un territorio non del tutto antropizzato. In questo doppio significato risiede la forza di questa architettura, astratta nelle sue forme minimali e rigorose e al tempo stesso profondamente radicata al suolo e alla realtà locale a cui appartiene. L’astrazione che connota la produzione dei due architetti portoghesi non è quindi tensione verso una condizione trascendente e distacca-

ta, ma è , come l'avrebbe definita intendeva l'architetto Giuseppe Pagano , tutta costituita da materia solida, concreta e coerente. L’astrazione dei Mateus è dunque quel limite di ordine geometrico che l’uomo si è imposto al di là della natura come volontà di raggiungere una forma di espressione coerente, liberata da tutto ciò che è superfluo e non motivato dalle leggi variabili e contingenti della vita.

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Otium

pagina precedente Endimione, olio su tela John William Godward, 1893 Collezione privata Londra,UK

La tecnica moderna consente che il tempo libero, entro certi limiti, non sia una prerogativa di piccole classi privilegiate, ma possa essere equamente distribuito tra tutti i membri di una comunità. L'etica del lavoro è l'etica degli schiavi, e il mondo moderno non ha bisogno di schiavi. (Bertrand Russell, Elogio dell’ozio,1935)

Scholé Con il termine greco scholé si indicava il tempo che scorreva senza alcun legame con gli oneri del quotidiano e gli impegni sociali, un tempo di vita collegato all’agio e all’indugio dell’ozio, alla lentezza. La parola era sinonimo di applicazione mentale, di studio e, quindi, di scuola come luogo in cui non si lavora né si fanno affari, ma piuttosto ci si dedica al perfezionamento di se stessi. Tali attività di cura di sé, quelle che i romani avrebbero raccolto sotto il termine di otium, corrispondevano alla realizzazione di un’etica non fondata su

leggi morali o sull’obbedienza a credenze religiose, ma tendente alla realizzazione delle potenzialità dell'essere umano. Parte decisiva di una tale ricerca era il raggiungimento dell’equilibrio nella "mesòtes", soddisfazione dei piaceri e al conseguimento della "atarassìa", ovvero l'imperturbabilità nell’esperienza delle passioni. Il fine ultimo di tale processo si indica con il godimento della felicità personale,"eudaimonìa" secondo Aristototele, e della serenità dello spirito ,"euthymìa" secondo Democrito ed Epicuro.

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in basso La siesta, olio su tela John William Godward, 1895 Collezione privata Londra,UK pagina seguente La dolce siesta di un giorno d'estate John William Godward, 1891 Collezione privata Londra,UK

Otium per gli antichi Il concetto di otium per i latini ci riconduce al pensiero di Lucio Anneo Seneca, che ritiratosi dalla vita attiva, difendeva la scelta di una vita in solitudine e lontano dagli impegni politici del tempo. Di questo tratta il dialogo-discorso dal titolo "De Otio", del 62 d.C., un’esaltazione del vivere e dell’agire in cui l’otium si pone come scelta centrale, come l’unica alternativa ad una situazione politica irrimediabilmente compromessa. La scelta per l’ozio, cioè per la vita contemplativa, di studio e di riflessione, rimane una scelta consapevole del filosofo di fronte all’incalzare delle scadenze della vita. E non sono soltanto scadenze esterne, ma anche dalla trasformazione dello stato fisico e interiore del filosofo.

Lo scivolamento del significato Nell’antica Roma "otium" e "negotium" erano due realtà antitetiche. Come si vede dalla stessa struttura morfologica delle due parole latine, la seconda deriva dalla prima: il negotium è, infatti, la negazione dell’otium, in quanto anche nella forma (nec-otium) è un non- ozio. L’otium è l’attività dello spirito: riflettere, studiare, scrivere opere letterarie. Mentre il negotium è l’attività pratica, la politica ,per la classe dei senatori); gli affari ,per quella dei cavalieri. Le parole "otium" e "negotium" pur essendosi conservate, nei più di duemila anni trascorsi, quasi identiche alla forma originaria, il loro significato oggi non corrisponde esattamente a quello che esse avevano per i Romani;


potremmo dire che il significato è opposto a quello delle corrispondenti parole antiche. Questo è l’effetto di quel fenomeno semantico, dovuto al comportamento dei parlanti e all’uso delle parole, che si chiama scivolamento di significato. Nell'accezione moderna l'ozio assume un significato negativo, riassunto dall'espressione "l’ozio è il padre dei vizi". Al contrario i latini avrebbero detto "L’ozio è il padre della virtù ". Infatti l’otium un tempo permetteva all'uomo di esprimere le più alte qualità morali, insieme al prodotto dell’intelletto. Eppure otium e ozio nelle rispettive lingue significano essenzialmente la stessa cosa, cioè “non fare niente”. Tutt’altra cosa è l’ozio dell’uomo moderno che ha perduto ogni significato

positivo per divenire sinonimo di noia, perdita di tempo , pigrizia e astensione dalle occupazioni utili. A meno che non si intenda parlare del poeta e del filosofo: in questo caso si ritornerebbe proprio all’otium, degli antichi. L'arte dell'ozio Nella società moderna l'ozio viene contrapposto all'efficientismo frenetico che impervia e non vi è posto per la riflessione e l'analisi interiore. Hermann Hesse auspica che nella nostra quotidianità si possa trovare del tempo da dedicare all' "Arte dell'ozio". Un'arte di matrice orientale, cara in particolare agli artisti e ai filosofi, secondo la quale le pause rilessive sono necessarie allo sviluppo della creatività. L'ozio è la matrice di un fervo-

re utile a chiunque voglia impedire alla razionalità di prendere il sopravvento sulla spontaneità.

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Esegesi



In ripa

pagina precendente Locus: l'ansa di Santa Lucia. Planimetria dell'area di progetto

Decifrare La prima cosa da fare è stata quella di leggere le carte, antiche e nuove e provare a comprenderne i tracciati. Si doveva lavorare su un'area protetta dalle montagne, solcata da un fiume. Un'ansa dalla curva improvvisa ma dolce ed un corso che si dirama sempre di più fino a confodersi nel costruito. Un tessuto interessante, sembrava l'inizio della città, anzi lo era e quel principio coincideva esattamente con una forte preesistenza architettonica: il Cavalciotto. L'acqua di Prato, che si chiama Bisenzio, insieme alla sua pescaia, divide perfettamente la carta in tre quadran-

ti. A questi corrispondono tre diverse trame del terreno: i solchi rettilinei e paralleli delle colture di olivo, i segni del costruito del borgo di Santa Lucia e il bosco ancora intatto della montagna, che non sembra mai essere stato interessato da alcun evento. Ancor prima di ripassare a matita le carte però mi sono recata sul luogo : il primo approccio quindi è stato senza dubbio legato alla contemplazione tanto amata dai latini.

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pagina precedente Desuper visum: Il rapporto tra margine esistente e di progetto. Planivolumetrico e sezione ambientale

Plasmare Se si prendono in esame i miei primi disegni è possibile rintracciare i passi fondamentali di un iter progettuale che rifiuta il concetto di composizione inteso come giustapposizione di parti in sé concluse, per abbracciare quello opposto di modellazione dei vuoti secondo un principio che agisce per sottrazione di materia e che individua nello spazio in negativo, ovvero in ciò che risulta dall’articolazione dei pieni, l’obiettivo finale, il significato stesso del processo. L’idea progettuale è incentrata sul tema del (m)argine costruito, in memoria della preesistenza medievale costituita dal sistema limite muro-Cavalciotto. Il progetto si pone quindi come un continuo ed un’integrazione di tale segno, e ne ripropone le caratteristiche morfologiche ed architettoniche. L’impianto vuole fornire quindi un percor-

so progettuale dove l’opera dell’uomo, l’abitato e l’ambiente naturale siano in simbiosi. La memoria della preesistenza storica, gli eventi e la natura del locus hanno guidato le scelte progettuali modellate tuttavia su alcuni punti fermi, quali l’idea di limite costruito, di esondazione dell’acqua e di otium per gli antichi. Il nuovo segno, la cui forma è definita da quella dell’ansa del fiume, costituisce un continuo del sistema muro-Cavalciotto sull’argine di progetto, zona un tempo interessata da frequenti esondazioni del fiume Bisenzio. Tale evento, che un tempo plasmava e demoliva la riva e l’abitato, diventa un tema determinante per la stereotomia di progetto. L’acqua, immaginata come una forza demolitrice intacca il volume puro e lo rende organico.

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pagina precedente Expositum: decomporre per conoscere

L'erosione modella lo spazio pubblico al piano terra, un grande vuoto che diventa un lungofiume coperto, luogo di eventi e di otium. L’attacco a terra dell’edificio ritrova anch’esso il tema dell’erosione configurandosi come una piastra che si piega verso l’acqua, con pendenza minima da permettere il naturale deflusso delle acque meteoriche e ricordando il segno artificiale del salto. Le funzioni all'interno del nuovo margine hanno il proposito di ritrovare una serie di attività che potremmo identificare con il termine otium.

L'edificio è pensato su tre livelli: il piano terreno è ad uso pubblico, in modo da offrire ricezione e sosta a chiunque voglia usufruire del lungofiume; il primo e secondo piano sono invece ad uso esclusivo degli utenti della biblioteca, dove si registrano varie possibilità di arredo in funzione delle diverse modalità di studio e di lettura.

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pagina precedente Propositum: il limite di progetto raccontato in pianta e sezione. Attacco a terra e sezione longitudinale

1. spazio pubblico 2. hall 3. deposito 4. servizi 5. locale tecnico 6. parcheggio

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pagina precedente Propositum: il limite di progetto raccontato in pianta e prospetto. Piano primo e affaccio sul fiume

1. auditorium 2. guardaroba 3. spazio per la lettura individuale 4. spazio per la lettura collettiva 5. area comune 6. servizi

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3 2 2

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2 1


pagina precedente Propositum: il limite di progetto raccontato in pianta e prospetto. Piano del mezzanino e affaccio sul borgo antico

1. auditorium 2. aula studio 3. spazio per eventi minori 4. area comune 5. servizi

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pagina precedente In ripa: la struttura dell'impianto tettonico

COPERTURA • pannello sandwich con rivestimento in cls e anima isolante (80 mm) • profili di ancoraggio in acciaio • travi orditura primaria IPE200 • travi orditura secondaria IPE140 • pannello sandwich con rivestimento in cls e anima isolante (80mm) • gronda di rame incassata nel manto di copertura CHIUSURA VERTICALE ESTERNA • pannello sandwich con rivestimento in cls e anima isolante (80mm) • profili di ancoraggio in acciaio • travi orditura primaria IPE200 • travi orditura secondaria IPE140 • piastre di rinforzo • profili di ancoraggio in acciaio • pannello sandwich con rivestimento in cls e anima isolante (80mm) CHIUSURA ORIZZONTALE INTERNA • pavimento in cls stampato effetto legno (80mm) • guaina impermeabile (2mm) • isolante (40mm) • getto in cls (60mm) • lamiera grecata SP 8/10 • travi orditura primaria IPE200 • travi orditura secondaria IPE140 • pannelli per controsoffitto in cls fibrorinforzato • parapetto in acciaio corten (3mm) CHIUSURA ORIZZONTALE ESTERNA • pavimento in cls stampato (80mm) • guaina impermeabile (2mm) • isolante (40mm) • getto in cls (60mm) • lamiera grecata SP 8/10 • travi orditura primaria IPE400 • travi orditura secondaria IPE200 • tiranti in acciaio • pannello sandwich con rivestimento in cls e anima isolante (80mm)

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pagina precedente In protecto: un lungofiume si ricava dal muro abitato, spazio per la contemplazione

Ricavare Immaginando di fruire del percorso ciclo-pedonale che giunge fino alla terrazza prospiciente la zona di sghiaiatura del Cavalciotto, il progetto prevede un passaggio che permette di attraversare il Gorone e accedere al cortile fra il muraglione d’argine a speroni e un nuovo edificio abitato. Sul muro antico s’innesta un percorso, che ne ricalca la direzione e permette di accedere al nuovo argine. La natura di tale segno è molteplice: a terra una scala massiccia, poderosa la cui natura richiama quella del manufatto seicentesco e fa da contrafforte al-

la struttura leggera in metallo, la quale ricorda gli argani all’interno del Cavalciotto stesso. L’attacco tra l’edificio e l’acqua si configura come una scalinata, trovando corrispondenza nel salto del Cavalciotto, offrendo varie possibilità di seduta e di contemplazione della natura. Il deck sul lungofiume, proprio come il salto della pescaia, è fatto da pieghe di pietra toccando l’acqua fino a rarefarsi e permettendo alla natura di contaminarlo.

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pagina precedente Lectura: il muro rivela il suo spessore, contenitore di libri e affacci

Leggere La natura e l'identità dei luoghi di lettura sono senz'altro cambiati negli ulti decenni. Da luoghi di introspezione e silenzio, le biblioteche sono oggi sinonimo di interazione, eventi, scambio e coesione sociale. Una tipologia architettonica caratterizzata da una configurazione storicamente molto rigida sta diventando ibrida, trasformandosi in ambiente flessibile, multifunzionale, accessibile. In due parole: salotto urbano. In questo modo insieme allo spazio si evolve il concetto di studio e di lettura, diventanto da individuale a collettiva, in modo da consentire e agevolare lo scambio dinamico delle conoscenze.

Allo spessore del muro è affidata l’intera espressività della costruzione. Il muro si declina come oggetto cavo, intercapedine di libri, contenitore di pagine destinate ai piaceri dell’otium individuale e collettivo. La parete di libri presenta talvolta una mancanza, il vuoto della finestra, che con intervalli ed altezze varibili, rivela al visitatore il paesaggio circostante.

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pagina precedente Eventum: l'architettura diviene protezione

Ascoltare Il primo aspetto di cui si è tenuto conto in fase progettuale per garantire una buona qualità acustica è la geometria dello spazio. Un errato dimensionamento del volume può condurre ad una pessima acustica della sala. In tal senso la scelta della forma da attribuire all’auditorium è ricaduta su una pianta trapezoidale e di piccole dimensioni, in grado di ospitare piccoli eventi di natura musicale, conferenze o spettacoli teatrali. Il trapezio si situa in punta dell’area progettuale, ricalcando la morfologia dell’argine naturale. Elemento a sè stante,l'auditorium è un vuoto in-

castonato nell’edificio, in cui si perde il segno del solaio e si trova quello di una gradonata di panche orientate verso la scena. Il tema del muro interessa anche le pareti dell’auditorium declinandosi in forme spezzate e pieghe non regolari. L’intento è quello di fornire, per chi fruisce di questo spazio, la percezione di trovarsi all’interno di una “shoe box”, ambiente protetto da un guscio rigido, semi rigido e corrugato dalle buone prestazoni acustiche.

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Punti limite

Le dighe, i ponti, le centrali elettriche, gli acquedotti, le fortificazioni mostrano, scrive Massimo Scolari, come la tecnica giunga all’architettura nel modo più convincente. Essi, continua l’architetto, sono “i punti limite dove il mondo dei millimetri e dei decimali disegna quei valori che portano con esattezza ai grandi effetti” (Scolari, 1979). Ed è proprio al complesso sistema idrico costituito dalla pescaia del Cavalciotto e dalle gore che Matilde Masi guarda fin dai primi passi della propria tesi di laurea, attraverso un’approfondita ricerca storica che alla fine si trasforma, in realtà, in una vera e propria lezione di progettazione. Il Cavalciotto sembra indicare la via di un progetto architettonico che ambisca all’essenzialità e alla precisione di una costruzione tecnica, che aspiri a stabilire quel legame inscindibile di necessità tra funzione, forma e topografia proprio di queste costruzioni. L’antica pescaia orienta l’autrice verso una accurata definizione formale del progetto, guida verso il controllo meticoloso di ogni gesto, di ogni misura, di ogni dettaglio, accompagna alla paziente ricerca di quei punti limite evocati da Scolari. È così che l’edificio progettato da Matilde sonda e prova a forzare il limite tra organismo architettonico e costruzione tecnica. Esso, pur nella sua complessità funzionale - un luogo destinato all’otium nell’accezione latina – si sostanzia in un muro che argina, contiene, media e muove un ricco sistema di relazioni paesaggistiche, architettoniche e umane. L’autrice, con grande cura e sensibilità, intraprende un lavoro di limatura del proprio progetto nel quale nulla sfugge al tentativo di essere ricondotto ad una logica di stringente necessità: calibra, orienta, deforma, scava, erode la volumetria al fine di stabilire legami e risonanze fisiche, visive e mnemoniche tra funzione forma e luogo. Dentro a questa sorta di muro abitato, memore di esempi antichi e moderni, sono scavati gli spazi dedicati al ‘nutrimento‘ dello spirito: una biblioteca dove leggere e studiare, un auditorium dove ascoltare un concerto, affacci dai quali poter contemplare la natura ed il paesaggio, mentre un’erosione del basamento dell’edificio accoglie un percorso ombreggiato per passeggiare lungo l’argine del Bisenzio e una gradinata per avvicinarsi alle sue acque. Infine una nota per i bei disegni a mano libera tratteggiati con la matita seppia che condensano il percorso progettuale intrapreso, e che testimoniano sia la moltitudine di riferimenti che hanno arricchito e supportato il progetto sia la dedizione e la passione che ha costantemente alimentato questo percorso di tesi.

Francesca Privitera Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Abbreviazioni di archivi

Stay Still, directed by Elisa Mishto, 2020, Germania. Gli ultimi giorni di Pompei, directed by Paolo Moffa, 1950, Archivio Storico del Cinema/AFE. L‘amore attraverso i secoli– ep. Notti Romane, directed by Mauro Bolognini, 1967, G.B. Poletto/Archivio Storico del Cinema/AFE. Cleopatra, directed by Joseph L. Mankiewicz, 1963, USA.

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Indice

L'azione formativa del sentimento Fabrizio Rossi Prodi

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Atmosfere 7 Spazi emozionali 9 Scritture 11 Locus 13 Profili 15 Il tempo 17 Materia 27 Mura parlanti 29 Otium 33 Esegesi 37 In ripa 39

Punti limite Francesca Privitera

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Bibliografia 60


Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Luglio 2021



In queste scritture si parla di pietra e con essa di tattilità, di acqua e di calcoli. Si racconta della storia di una pescaia, chiamata Cavalciotto, che ha segnato l’inizio della città di Prato prima come borgo e poi come città tessile. Un antico margine costruito, limite che ha protetto le case dall’acqua e ne ha sfruttato la resa. Le regole del Cavalciotto sono state nelle menti di Galileo Galilei e del suo allievo Vincenzo Viviani, che ne hanno trascritto i caratteri e compreso la natura. Ma un luogo non si caratterizza solo per la sua storia, bensì si connota di risonanze emotive legate al paesaggio, di memoria collettiva e del singolo, di tutto ciò che ne costituisce l’identità. Il Cavalciotto è stato per me una fonte di elementi in senso atmosferologico, trovo in esso una forte componente immaginaria. E’ stato il luogo a suggerirmi architetture massicce che quasi sfociano nell’astrazione, nella dubbia finitezza, atmosfere di colori rosati e necessità di dare alla città una funzione perduta: quella dell’otium. Questo luogo predispone all’esercizio dell’otium nel suo significato primo, quello che i latini identificavano come cura del proprio animo. Ecco che mi sono immaginata un nuovo margine costruito in cui leggere e contemplare la natura. Progettare oggi architetture poderose significa attingere da un’idea di architettura fortemente legata alla qualità della tradizione costruttiva, all’arcaicità del significato di stabilità come spessore, alla concretezza d’espressione e cercare di tradurre tutto ciò attraverso le forme e le tecniche del nostro tempo. Una costruzione moderna assume la materialità della sua antenata, ma vuole arricchirsi di una rinnovata tradizione, ricercando una mimesis dei caratteri piuttosto che una riproposizione delle forme storiche, rinnovando il rapporto tra struttura formale e tettonica del sistema murario.

Matilde Masi, Prato, 1993, architetto. Ha conseguito il diploma di maturità scientifica presso il Liceo Carlo Livi di Prato e la laurea in Architettura, seguendo il corso di laurea magistrale a ciclo unico, presso il dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, discutendo la tesi presentata in questo volume nell’A.A. 2018-2019.

ISBN 978-88-3338-147-3


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