a cura di francesco alberti marina visciano
dida
Ad altezza d’uomo Sguardi sulla città
dida
La serie di pubblicazioni scientifiche DIDATesi ospita i risultati delle tesi di laurea condotte all’interno della Scuola di Architettura dell’Università di Firenze che, per l’interesse dei temi trattati, le peculiari modalità di ricerca adottate e l’originalità degli esiti conseguiti nell’ambito del progetto dell’architettura, del territorio, del paesaggio e del design, meritano di essere diffusi al di fuori delle aule universitarie. Le tesi di laurea, che sempre meno si connotano come esercizi accademici, sviluppano in molti casi la continua sperimentazione che unisce ricerca, formazione e progetto nel Dipartimento di Architettura. Spesso le tesi esprimono nel modo più efficace la relazione di cooperazione che il DIDA intrattiene sia con altre Università che con i territori, con le loro Associazioni, ONG, Amministrazioni, Enti ed imprese. Le pubblicazioni scientifiche DIDATesi sono soggette ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari, affidata ad un apposito Comitato Scientifico del Dipartimento, secondo i criteri della comunità scientifica internazionale e dell’editore Firenze University Press. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, per favorire una comunicazione e valutazione più ampia ed effettiva, aperta a tutta la comunità scientifica internazionale.
progetto grafico
didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Silvia Cattiodoro
didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2020 ISBN 978-88-33381-12-1
Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset
a cura di francesco alberti marina visciano
Ad altezza d’uomo Sguardi sulla città
Indice Prefazione Francesco Alberti
7
Il contributo delle politiche settoriali alla sostenibilità urbana
9
Introduzione Marina Visciano
11
Smaltire, trattare, riciclare: la gestione dei rifiuti come prospettiva della città sostenibile Alessia Cacciato
12
Autorecupero a fini residenziali in Italia. Politiche, esperienze e una proposta programmatica per la gestione del disagio abitativo Stella Tortu
20
Vivienda social in Argentina: il barrio popular El Pozo, Santa Fe Elisa Massotti, Simona Rombolà
28
La rivitalizzazione dei centri storici
37
Introduzione Marina Visciano
39
Dalla frammentazione alla connessione: un’ipotesi per Gubbio. Il quadro strategico di valorizzazione nei Centri Storici Umbri. Gaia Biccheri
42
Dal degrado alla rinascita. Linee programmatiche per la riqualificazione del rione Piaggio a Gravina Michele Salvante
50
Sistema dei fossi livornesi: dalla città mercantile all’attuale realtà urbana Jlenia Zaccagna
60
“Forma Urbis” – approcci metodologici alla definizione e rappresentazione della città Introduzione Marina Visciano Gestione del margine urbano. Prospettive e problematiche nell’individuazione del territorio urbanizzato nel caso di Piombino Martina Franco Leggere e produrre rappresentazioni urbane. Appunti per la definizione di un metodo Giulio Mezzetti
69 71 74
84
La rigenerazione urbana delle aree periferiche: esplorazioni progettuali alle diverse scale
91
Introduzione Marina Visciano
93
La rigenerazione urbana dei distretti industriali: proposte progettuali per la Zona Industriale Apuana Davide Bruschi
94
Una cintura verde per Lecce: limite urbano e opportunità di rigenerazione della periferia Federico Caracciolo
106
Un giorno questa terra sarà bellissima Laura Fortuna
114
Un giardino per Lucca: Parco urbano Sant’Anna Denise Franchi
122
Prefazione Secondo volume del dittico che raccoglie gli estratti delle tesi di laurea discusse tra il 2015 e il 2017, con cui si apre la nuova serie di DIDApress dedicata ai lavori finali ritenuti particolarmente significativi dei Corsi di laurea triennale in Pianificazione della Città, del Territorio e del Paesaggio e magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio della Scuola di Architettura di Firenze, con sede a Empoli. Rispetto al primo volume, in cui sono presentati studi ed esplorazioni progettuali che abbracciano ambiti territoriali estesi, caratterizzati da modalità insediative assai diverse per densità e ‘intensità’ nella gradazione fra aree metropolitane, ambiti rurali e zone interne, il punto di osservazione dei contributi selezionati per questa antologia scende di quota, fino a traguardare, ‘ad altezza d’uomo’, problemi e potenzialità riguardanti specificamente la dimensione urbana, in un’articolazione comunque variegata di situazioni (a cui fanno riferimento i casi di studio trattati) che spazia dai tessuti compatti della città storica e dei quartieri residenziali sorti nelle prime fasi di espansione della città industriale, alle periferie sfrangiate tipiche dell’insediamento contemporaneo, alle grandi aree industriale in crisi, ai piccoli agglomerati sparsi nelle nebulose dell’urbanizzazione diffusa. Il primo aspetto che balza agli occhi, nel quale si rispecchia per altro un atteggiamento comune a tutte le tesi ‘empolesi’ riferite a temi urbani, è l’assenza di proposte che prevedano nuovi impegni di suolo, se non in misura minima e al solo fine di aumentare la dotazione di servizi in aree che ne sono carenti, a dimostrazione della consapevolezza, maturata tra i giovani studiosi durante la loro carriera universitaria, che il ruolo - e conseguentemente il lessico - dell’urbanistica, nelle sue declinazioni analitiche e soprattutto progettuali, si gioca oggi in via preminente nel campo semantico definito dal prefisso iterativo ri-. Recuperare, riusare, riciclare (immobili dismessi o sottoutilizzati per nuove funzioni); ricucire (percorsi, tessuti, reti ambientali interrotte da infrastrutture e urbanizzazioni incongrue); rafforzare (relazioni e pratiche sociali ‘dal basso’); ridefinire (i margini fra urbano ed extra-urbano); riqualificare (lo spazio pubblico e il costruito, sia dal punto di vista funzionale che morfologico); rivitalizzare (aree rese marginali da uno sviluppo squilibrato); rigenerare (ambiti degradati, in sofferenza, o a rischio di declino); rinnovare (contenuti e tecniche della pianificazione) sono alcuni dei termini del dibattito disciplinare sul futuro della città che tornano con più frequenza negli undici saggi di questo libro. ‘Rigenerazione urbana’, in particolare, è l’espressione che, racchiudendo in sé i significati e le intenzioni sottese a quasi tutte le altre, identifica meglio il tema conduttore della pubblicazione: l’idea che qualsiasi intervento sulla città esistente, per quanto parziale, debba tener conto delle ricadute spaziali, ambientali, economiche e sociali prodotte anche al di fuori del suo perimetro, interpretando e orientando in senso positivo le interazioni fra le parti e il tutto che la caratterizzano come organismo complesso. In questa prospettiva, la rigenerazione urbana è vista come il principio informatore di una strategia generale a cui
deve essere ricondotta ogni azione sulla città, un concetto trasversale che incrocia e porta a sintesi altri temi e questioni chiave del dibattito odierno, su cui si focalizzano, a seconda dell’oggetto e del ‘taglio’ prescelti, i singoli contributi: • la sostenibilità, che non si esaurisce in un bilancio di indicatori ambientali ottenibile attraverso iniziative settoriali, ma investe direttamente l’organizzazione funzionale, e quindi spaziale, della città; • le infrastrutture blu-verdi e il trattamento delle fasce peri-urbane, che legano la città al territorio circostante, assumendo un ruolo fondamentale nei processi di riorganizzazione sostenibile degli insediamenti sia dal punto di vista della fornitura di servizi ecosistemici che da quello della dotazione di spazio pubblico; • la partecipazione civica, sempre più necessaria, a fronte dei mutamenti socio-economici indotti dalla globalizzazione, come fonte di legittimazione democratica delle trasformazioni urbane; • la questione abitativa, non più riconducibile ai modelli di domanda e offerta del passato; • il rapporto tra luoghi centrali e aree periferiche, che interessano tanto la città storica che l’insediamento contemporaneo, reciprocamente, a ruoli alternati, e nella loro articolazione interna; • la massiccia ‘ritrazione dal territorio’ delle attività produttive e di servizio della città industriale, che ha lasciato e continua a lasciare sul campo in tutte le aree urbane comparti più o meno estesi - in alcuni casi molto estesi, spesso inquinati, per lo più di proprietà privata – che mettono alla prova la capacità degli enti territoriale di guidare e gestire le trasformazioni in funzione del massimo beneficio per la collettività; • la complementarità fra pianificazione territoriale, strumenti di programmazione, politiche e progetti, con le loro finalità e modalità di comunicazione, che occorre assicurare per dare forma e concretezza alle strategie di rigenerazione. Data la giovane età degli autori, i testi, revisionati per la stampa dai relatori delle tesi, presentano inevitabilmente qualche ingenuità, ma anche, nello stesso tempo, molti spunti di riflessione non convenzionali che ne rendono la lettura fonte di arricchimento per tutti, accompagnati da una passione e un senso morale che sono il miglior viatico per chi, al termine del suo percorso universitario, si affaccia al mondo delle professioni o della ricerca nelle discipline del governo del territorio. Francesco Alberti Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze
Il contributo delle politiche settoriali alla sostenibilità urbana 9
Introduzione Marina Visciano Scuola di Architettura Università Degli Studi di Firenze
Bibliografia Dente B. 2011, Le decisioni di policy, Il Mulino, Bologna. Fareri P. 2009, Rallentare. Il disegno delle politiche urbane, FrancoAngeli DIAP, Milano. Magnaghi A. 2010, Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo, Bollati Boringhieri, Torino. Paloscia R. 2010, Cooperazione, in Contesti n. 2/2010. Viale G. 2010, La civiltà del riuso. Riparare, riutilizzare, ridurre, Laterza, Roma-Bari. Di Fidio M. 1990, Economia dei rifiuti e politica ambientale : diritto, pianificazione, sistemi di smaltimento e riciclaggio, Pirola, Milano . Zarate M. 2015, Urbanismo ambiental ermeneutico, una strategia dialogica y socio fisica de conocimiento proyectual para un urbanismo ambiental alternativo Coleccion: Arquitectonics, Mind, Land & Society, Nro. 28; Editorial: Universidad Politecnica de Cataluña, Barcelona.
In questa sezione sono stati riportati tre contributi che, sebbene differenti per le tematiche affrontate (ambientali e abitative) e per il contesto territoriale di riferimento, propongono un approccio integrato alla governance delle politiche di intervento. In tutti e tre i casi infatti, gli aspetti ambientali e spaziali si integrano a quelli sociali, con l’obiettivo di superare gli effetti negativi che la settorialità della pianificazione urbana ha portato nel tempo. Il primo saggio, di Alessia Cacciato, ha come oggetto d’indagine la gestione sostenibile dei rifiuti, vista come leva per ridurre l’impronta ecologica delle aree urbane, intervenendo su due livelli: da un lato, la prevenzione degli sprechi, attraverso politiche di informazione, sensibilizzazione e coinvolgimento della cittadinanza volte ad aumentare la consapevolezza sociale sul tema del riuso e del riciclo; dall’altro, la riduzione della quantità di beni riutilizzabili che attualmente vengono smaltiti in discarica. Lo studio ha una sua ricaduta applicativa nella proposta di realizzare un ‘Centro Civico del Riuso’ nel complesso dell’ex Manifattura Tabacchi a Firenze, con l’obiettivo di integrare i rifiuti nei processi di rigenerazione della città, facendo diventare il loro riciclo uno dei temi intono a cui costruire nuove centralità urbane in un’ottica di sostenibilità urbana. Il secondo contributo, di Stella Tortu, affronta il tema delle politiche abitative e in particolare dell’autorecupero di immobili pubblici inutilizzati o abbandonati. Alla base dello studio è stata effettuata una ricognizione delle principali esperienze legate a questa pratica a livello italiano ed europeo cui ha seguito un’analisi comparativa fra due iniziative di autorecupero portate avanti nel nostro paese: il Programma ERP 2003-2005 - Misura E (Sperimentale) promosso della Regione Toscana e il Programma di autorecupero di alloggi dismessi promosso dal Comune di Bologna. Dopo una prima ricostruzione cronologica dei processi decisionali, l’analisi si è focalizzata sugli attori e le interazioni seguendo l’approccio metodologico elaborato da Bruno Dente e Paolo Fareri sul tema della mitigazione dei conflitti nelle pratiche sociali (Fareri, 2009; Dente 2011). Nel contributo di Elisa Massotti e Simona Rombolà, il tema dell’abitazione è trattato con riferimento al contesto argentino. La ricerca analizza gli effetti che le politiche sulla casa hanno avuto nel corso del tempo sulla città di Santa Fè, approfondendo in particolare quelle che hanno portato alla costruzione dei Barrios Populares. A tal riguardo, vengono sviluppate alcune riflessioni su come una stessa politica abitativa possa dar luogo a diverse interpretazioni applicative. Viene infine riportata una sintesi di una fase più sperimentale effettuata sul Barrio El Pozo, dove, a partire da una analisi interdisciplinare delle componenti spaziali, sociali e simboliche del quartiere è stato possibile individuare gli elementi patrimoniali e le criticità in atto utilizzate nella definizione di strategie progettuali. Aspetto rilevante dello studio è stato quello di integrare le politiche di riqualificazione urbana con politiche volte al coinvolgimento della popola11 zione locale.
Fig. 1 Modello integrato di raccolta dei rifiuti
Smaltire, trattare, riciclare: la gestione dei rifiuti come prospettiva della città sostenibile
Alessia Cacciato
Introduzione Questa tesi di laurea è frutto di un interesse personale per le tematiche ambientali sviluppate nel corso degli ultimi dieci anni. Il tema della raccolta e smaltimento dei rifiuti è d’altra parte sempre più di attualità e rappresenta una urgenza a livello mondiale. La tesi si propone di analizzare il problema cercando di scomporlo nei suoi molteplici aspetti, muovendosi inizialmente dalla tematica generale posta a livello globale, per poi snodarsi lungo il ciclo di vita dei rifiuti, visto attraverso l’analisi di casi studio, ed approdare alla individuazione di possibili modelli di gestione, desunti dall’analisi delle best practice internazionali, replicabili, con i dovuti adattamenti alle specifiche realtà locali, nelle aree urbane europee, distinguendo tra città medio-piccole e grandi sistemi urbani-metropolitani. Il lavoro di indagine si concentra soprattutto sui rifiuti solidi urbani ad uso domestico (R.S.U). Pur non essendo la componente principale in termini quantitativi, i rifiuti solidi urbani rappresentano però la componente più problematica da un punto di vista sociale, per via della sua diffusione capillare su tutto il territorio e della inevitabile vicinanza tra il sistema insediativo e gli impianti di
raccolta, smistamento e gestione. Il complesso tema dei rifiuti è stato affrontato con un’ottica sfaccettata; la necessaria acquisizione di nozioni tecniche che esulano dal dominio tradizionale dell’urbanistica è stata accompagnata dal tentativo di far valere due capacità peculiari della nostra disciplina: quella di far dialogare tra loro diverse competenze e forme di sapere, e quella di leggere, interpretare e proporre scenari per il territorio antropizzato. Storicamente, l’organizzazione e la gestione del ciclo di smaltimento dei rifiuti solidi urbani sono state oggetto di una pianificazione tecnica di settore, mentre la pianificazione generale non ha mai preso in considerazione questa fondamentale funzione come un ambito di propria competenza, ignorandone o sottovalutandone le fortissime implicazioni sul territorio. In realtà, sono almeno tre gli aspetti in cui si possono riscontrare dirette e specifiche ricadute della gestione dei rifiuti solidi urbani nel governo del territorio: • a scala territoriale: nei processi di allocazione degli impianti necessari al trattamento e allo smaltimento (discariche, inceneritori, impianti di compostaggio, ecc.); • a scala urbana: nell’organizzazione
degli spazi fisici funzionali alle pratiche di raccolta e smaltimento (con particolare riguardo alla raccolta differenziata); • a scala locale: nei rapporti con le popolazioni locali, relativamente al profondo cambiamento culturale necessario per un corretto approccio al tema della riduzione, raccolta e differenziazione dei rifiuti. La tesi si conclude con una proposta progettuale finalizzata alla rigenerazione urbana di un ampio complesso industriale dismesso a Firenze, l’ex Manifattura Tabacchi presso Piazza Puccini, come ‘Cittadella della sostenibilità’: un esempio di come un’organizzazione sostenibile del ciclo dei rifiuti possa anche dare origine a nuovi paesaggi urbani qualificati, mediante il riuso di aree in abbandono per la creazione di centri dedicati principalmente al riciclo, ripensati in chiave creativa come luoghi aperti all’utilizzo quotidiano da parte di tutti, invece che come poli monofunzionali isolati. La questione dei rifiuti, un problema globale Il mondo dei rifiuti ci restituisce, in un certo modo, il ritratto della nostra società, del nostro modo di vivere e soprattutto di consumare e
Corso di Laurea Magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio Relatore: Prof. Francesco Alberti Co-relatrice: Dott. Sylvia Labèque Aprile 2016
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Fig. 2 Modello per piccoli e medi bacini d’utenza
utilizzare le risorse. In effetti, la produzione di rifiuti può essere assunta come indicatore del modello di vita o delle abitudini di una data società, dal momento che l’incremento di rifiuti solidi prodotti da ognuno di noi ogni giorno è il risultato delle modificazioni tecnologiche, sociali ed economiche indotte dai meccanismi che sottendono allo sviluppo. Produzione e gestione dei rifiuti sono i due volti di una problematica che dal suo ingresso nell’agenda politica mondiale, risalente a circa venti anni fa, hanno assunto una sempre maggiore importanza, al punto da poter esser considerate alla stregua di priorità ambientali quali la lotta ai cambiamenti climatici e la gestione sostenibile delle acque. Sono diversi i motivi per cui la questione rifiuti sta assumendo un tale rilievo, primo fra tutti l’impatto che essi hanno sull’ambiente e sulla salute umana, dovuto alla grande quantità di emissioni in aria (compresa la produzione di gas serra), acqua e suolo che tutte le principali forme di smaltimento e stoccaggio comportano.
L’ISWA (International Solid Waste Association), associazione mondiale che riunisce gli operatori del settore trattamento e smaltimento rifiuti, ha elaborato numerosi studi relativi alla produzione mondiale di rifiuti. Nell’ultimo rapporto emerge che attualmente nel mondo vengono prodotti circa 4 miliardi di tonnellate di rifiuti ogni anno, circa 10 milioni di tonnellate al giorno, con una netta prevalenza dei paesi occidentali. Di questi quattro miliardi, ne vengono raccolti ogni anno circa 2,74: si tratta di rifiuti urbani (1,7 miliardi), compresi quelli domestici e commerciali, ma anche rifiuti industriali, soprattutto dell’industria manifatturiera. Per quanto riguarda la produzione dei soli rifiuti urbani, questa risulta maggiore nei Paesi che presentano un reddito medio-alto, mentre diminuisce nei Paesi con un reddito basso. Il primo produttore al mondo di rifiuti sono gli Stati Uniti con 760 Kg/anno, i Paesi costituenti l’UE15 con 577 Kg/anno, oltre a Hong Kong e Giappone che producono rispettivamente 461 e 434 Kg/anno. Seguono,
rimanendo comunque tra le posizioni più alte di questa classifica, numerosi Paesi emergenti, come ad esempio i BRIC (Brasile, India, Russia e Cina) e il Messico; risultato dovuto in parte alla concentrazione della popolazione urbana in megalopoli, ed in parte agli alti tassi di crescita registrati nell’ultimo decennio. Ai livelli più bassi, nei paesi economicamente più arretrati, troviamo produzioni molto più contenute, con dati prossimi ai 150 Kg pro capite annui. Bisogna sottolineare inoltre che la natura dei rifiuti prodotti varia molto in relazione al PIL delle diverse nazioni. Nei paesi in via di sviluppo, i rifiuti organici rappresentano dal 50 all’80% della composizione dei rifiuti. Quello che rimane a seguito del ‘setaccio’ che viene effettuato dalla raccolta non convenzionale nelle discariche è abbastanza omogeneo per essere sottoposto a valorizzazione energetica o biologica. Nei paesi ricchi, la percentuale più alta di rifiuti non è da attribuire alla parte organica bensì al cartone, che può arrivare anche al 50%,
a cui bisogna aggiungere materie plastiche, metalli e vetro. Si possono infine osservare forti differenze tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo anche per quanto riguarda i metodi di smaltimento dei rifiuti. I paesi maggiormente virtuosi, anche grazie alle normative imposte dai propri governi, hanno già da anni adottato sistemi di gestione maggiormente sostenibili fondati principalmente sul riciclo e recupero, mentre i paesi emergenti, privi di qualsiasi fondamento legislativo, fanno uso quasi esclusivo dello smaltimento in discariche, che spesso risultano essere abusive e quindi realizzate senza nessuna forma di tutela per il territorio. È la situazione della maggior parte dei paesi in via di sviluppo, ma anche di paesi come la Turchia o il Messico, della maggioranza dei paesi dell’ex blocco dell’Est a economia pianificata (ex URSS, Europa dell’Est) e della Grecia o, in un contesto diverso, dell’Italia meridionale, caso emblematico di un paese avanzato che non riesce a impedire le discariche selvagge.
Fig. 3 Modello per grandi bacini d’utenza
Al netto di tale anomalia, il nostro Paese si colloca a mezza strada rispetto ai dell’UE, con ancora il 37% dei rifiuti urbani conferiti in discarica e una percentuale di raccolta differenziata molto diversa da regione a regione, ma complessivamente ancora piuttosto bassa, pari al 42% (ISPRA, 2012). Modelli di gestione integrata per la gestione e il trattamento dei rifiuti Una parte del lavoro di tesi è stato dedicato alla costruzione di un abaco di modelli di buone pratiche, non solo a livello nazionale ma anche europeo e mondiale, che possa rappresentare una base di conoscenza utile alla definizione delle politiche e alle scelte di pianificazione in relazione al problema; politiche che devono sviluppare strategie di gestione dei rifiuti integrate ed adeguate ai bisogni dei cittadini, non dimenticando che qualsiasi buon modello di gestione va comunque adattato alle condizioni specifiche del territorio. Affrontare l’argomento rifiuti solidi urbani significa infatti affrontare un
problema decisamente aperto, per il quale non esistono soluzioni ottimali applicabili alla universalità dei casi, ma esistono piuttosto soluzioni che in determinate realtà si rivelano migliori di altre. Ai fini della ‘modellizzazione’ delle buone pratiche sono state prese in considerazione le diverse attività relative al flusso dei rifiuti, come strategie finalizzate alla riduzione della produzione di rifiuti, metodi di raccolta, tipologie degli impianti di trattamento, con riferimento alla cosiddetta ‘regola delle 4 R’: Riduzione dei rifiuti all’origine, Riutilizzo dei prodotti come alternativa all’‘usa e getta’, Riciclaggio dei rifiuti differenziati in fase di raccolta, Recupero energetico del residuo non riciclabile. Di seguito sono elencate le caratteristiche base di un modello di gestione integrata dei RSU applicabile in una città di dimensioni medio-piccole. Raccolta Il processo ha inizio con la raccolta differenziata domiciliare, per la quale ogni cittadino smista i propri rifiuti
in contenitori appositi di diversa colorazione, i quali vengono posti fuori dalle abitazioni a giorni alterni in base alla tipologia di materiale prevista dalla raccolta. Gli operatori ritirano dalle singole utenze i rifiuti applicando la tariffazione puntuale (Fig.1). Per poter arrivare all’eliminazione di tutti i cassonetti stradali occorre assicurare, oltre al porta-a-porta, altri metodi di raccolta dei rifiuti, come ad esempio: • l’installazione di reverse vending machine, dispositivi automatici per la gestione dei ‘vuoti’, tramite le quali i consumatori possono portare le loro bottiglie e lattine nei luoghi di acquisto, dove vengono indirizzate al riciclo, ottenendo un buono che viene rimborsato alla cassa; • EcoBus ed EcoStop; nel primo caso si tratta di automezzi che sostano in zone ed orari prestabiliti per un periodo di tempo proporzionale al numero di utenze da servire; nel secondo di cassoni ‘scarrabili’ posizionati, per una
durata di qualche ora, in zone sufficientemente ampie; • isole ecologiche di quartiere, nelle quali l’utenza può conferire anche rifiuti non smaltibili tramite il normale sistema di raccolta, come rifiuti ingombranti o pericolosi; • EcoParchi, centri raccolta a scala territoriale nei quali, oltre al conferimento dei RSU, è possibile trovare servizi come la riparazione di prodotti recuperabili, la vendita di compost, laboratori didattici, punti di scambio di beni tra gli utenti, mercati dell’usato, ecc. Smistamento Dopo la raccolta i rifiuti differenziati vengono trasportati all’interno dei centri di smistamento per lavagliatura e separazione delle componenti anomale inevitabilmente presenti all’interno di ogni tipologia di rifiuto. Si ottiene così la frazione differenziata e quella non differenziata. La frazione differenziata 15 è così composta:
Fig. 4 Progetto Centro servizi del riuso, localizzazione delle funzioni Pagina successiva, Fig. 5 Accessi e localizzazione delle funzioni Fig. 6 Rendering di progetto
• RAEE, indumenti e beni durevoli, i quali vengono recuperati mediante conferimento in centri del riuso o mercatini dell’usato; • frazione organica, trasportata negli impianti di compostaggio dove viene riprodotto su scala industriale il naturale processo di decomposizione. Il compost ottenuto dagli scarti organici selezionati alla fonte è un ottimo fertilizzante che viene utilizzato in agricoltura, orticoltura, frutticoltura, florovivaismo e per la realizzazione di parchi, giardini, aree verdi e di interesse naturalistico. Il compost di qualità inferiore viene invece utilizzato per bonifiche e interventi di recupero ambientale • frazione riciclabile, composta da vetro, carta, plastica ed alluminio, indirizzata verso appositi centri per
il riciclaggio dei suddetti materiali dove questi vengono trasformati in nuova materia prima, o meglio, in una materia prima-seconda che può essere riutilizzata per dare vita a nuovi oggetti La frazione indifferenziata è trasportata nei centri di selezione dove è sottoposta a un’ulteriore fase di vagliatura, da cui si ottengono una frazione secca riciclabile ed una frazione organica che vengono ri-immesse all’interno del ciclo degli impianti di riciclaggio e compostaggio sopra descritti. Smaltimento e trattamento Sia la frazione differenziata che quella indifferenziata contengono scarti che non possono entrare nei normali processi di riciclo, che alla fine del processo di cui sopra vengono avviati o allo smaltimento finale
costituito dalla discarica o negli impianti di trattamento. Per aree urbane medio-piccole si possono prevedere le seguenti tipologie di impianti: • impianti di trattamento che operano per ‘dissociazione molecolare’, ovvero impianti di piccole dimensioni che permettono di trattare i rifiuti con un sistema termochimico in grado di ‘scomporli’ mediante combustione in assenza di ossigeno (pirolisi) a temperature ridotte (400°C circa); il risultato è un gas di risulta, detto syngas, che viene recuperato per generare energia elettrica; • impianti di trattamento meccanico biologico, impiegati sia come pretrattamento, che come modalità di smaltimento finale. Nel primo caso, si ottengono: a)
una componente inorganica, come ad esempio la plastica, che viene inviata al riciclo o, se di caratteristiche non adeguate, a una linea di produzione di combustibile da rifiuto, utilizzabile per produrre energia in impianti quali cementifici, centrali elettriche per il teleriscaldamento e altri impianti; b) una componente organica, inviata negli impianti di compostaggio o sottoposta a processi di digestione anaerobica per la produzione di biogas. In tutti i casi ci sarà sempre un margine di produzione di scarti non trattabili da inviare nelle discariche controllate. La discarica rappresenta, in un modello di gestione di questo tipo, lo smaltimento finale degli scarti non ulteriormente valorizzabili. L’ultimo passaggio consiste nella estrazione,
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da appositi pozzi distribuiti in modo uniforme nell’area della discarica, del biogas risultante dal processo di degradazione della componente organica dei rifiuti stoccati, che viene avviato alla combustione in dispositivi per la produzione di energia. In un’area urbana di grande dimensioni, il modello di gestione integrata proposto, ispirato a buone pratiche internazionali, differisce da quello sopra descritto per i seguenti aspetti (Fig. 3): Raccolta Nel sistema di raccolta dei rifiuti, anziché il porta-a-porta si può ipotizzare un ampio ricorso a sistemi pneumatici (già sperimentati, ad esempio, a Barcellona), integrato all’uso di isole ecologiche interrate, che permettono un risparmio in superficie e un migliore inserimento urbano rispetto ai cassonetti stradali tradizionali. Oltre che per la restituzione dei vuoti, sono da prevedere postazioni automatiche per la distribuzione alla spina di generi alimentari (ma non solo), al fine di ridurre la produzione di imballaggi mono-uso. Una tipologia di aree per il conferimento dei RSU che potrebbe trovare spazio in tutte le maggiori aree urbane è l’EcoTown, in cui le molteplici funzioni (anche a carattere formativo) dell’EcoPark si combinano a quelle di un’area produttiva ecologicamente attrezzata, grazie alla presenza di una combinazione di piccole e medie imprese innovative che cooperano tra di loro per il funzionamento del ciclo dei rifiuti. Smaltimento e trattamento Per il residuo non recuperabile attraverso i vari passaggi precedentemente descritti, nelle aree più urbanizzate è necessario ricorrere a
termovalorizzatori, in grado di smaltire in modo tempestivo ingenti quantità di rifiuti, generando al contempo energia elettrica dalla loro combustione. Va comunque sottolineato che non tutti i rifiuti possono essere inviati alla termovalorizzazione, ma soltanto una particolare miscela pretrattata con processi fisico-chimici. I rischi di inquinamento dell’aria di tale tipologia di impianti sono stati drasticamente ridotti grazie allo sviluppo delle tecnologie di filtraggio dei fumi e possono essere neutralizzati in modo naturale attraverso la piantagione di boschi di adeguate dimensioni nelle dirette vicinanze degli stabilimenti. Una nuova centralità urbana: la Cittadella del riuso La proposta progettuale cui è dedicata l’ultima parte della tesi è volta alla prefigurazione di una ‘Cittadella del riuso’, una sorta di nuovo centro civico al cui interno trovano collocazione molteplici servizi legati alla filiera dei rifiuti solidi urbani. La motivazione principale di un luogo pubblico di questo tipo risiede nella necessità di prevenire lo spreco delle risorse tramite la promozione di un uso consapevole e razionale delle stesse. Perché ciò avvenga è fondamentale il coinvolgimento attivo dei cittadini, attraverso azioni di sensibilizzazione sul tema della riduzione dei rifiuti, del riutilizzo dei beni post-consumo e del riciclo. All’interno della Cittadella è possibile intercettare beni riutilizzabili dal flusso dei rifiuti solidi urbani. Tali beni riutilizzabili, sottoposti a operazioni di preparazione quali controllo, pulizia e riparazione, potranno in seguito essere rimessi in circolazione attraverso canali di vendita o di scambio. L’area prescelta è l’Ex Manifattura Tabacchi di Firenze, un’area anch’essa da ‘riciclare’, ai margini di uno dei più popolosi
quartieri della città. Più specificamente gli obiettivi del progetto sono: 1. sviluppare un sistema di mercato per i prodotti di ‘seconda vita’ che possa essere replicabile anche in altre zone dell’area metropolitana; la realizzazione di una rete di Centri di Riuso urbani permetterà di avviare al riutilizzo significative quantità di beni presenti nel flusso dei rifiuti solidi urbani che, in assenza di una filiera organizzata, sono attualmente destinati perlopiù allo smaltimento; 2. diffondere conoscenze ed informazioni in tema di riduzione dei rifiuti, riuso e riciclo; attraverso le buone pratiche di riutilizzo e di recupero di oggetti/prodotti/materiali si può dimostrare alla cittadinanza come sia possibile limitare in modo significativo la produzione di rifiuti; 3. aumentare la consapevolezza di consumatori, commercianti, produttori ed enti locali riguardo la possibilità di ridurre i rifiuti attraverso il riutilizzo o l’acquisto di prodotti rigenerati, riciclati o prodotti ex novo da materiali di riciclo; 4. creare uno spazio per l’aggregazione e l’innovazione sociale: il centro è inteso infatti come uno spazio aperto, a disposizione degli abitanti, e come polo di aggregazione di cooperative e/o imprese giovanili che operano nel settore del trattamento dei rifiuti, della costruzione di prodotti di eco-design ma anche, ad esempio, nell’ inserimento lavorativo di persone in difficoltà (Fig. 4). A livello d’intervento edilizio, si propone di recuperare una porzione del vasto complesso della Manifattura Tabacchi, costruita negli anni Trenta del secolo scorso e dismessa dal 1999, destinando gli immobili e le corti esistenti a nuove funzioni compatibili,
nel rispetto delle caratteristiche architettoniche, tipologiche e distributive originarie. All’interno della struttura sono previste Zone di conferimento e deposito dei rifiuti non pericolosi, affiancate da una rete di stoccaggio e smistamento dove i rifiuti sono soggetti a varie fasi di controllo per una corretta separazione ed infine sottoposti alla pulizia. Una volta puliti, gli oggetti in buono stato vengono portati alla Casa del riuso e nell’area destinata a Mercato dell’usato, mentre quelli difettosi sono avviati al Centro delle riparazioni, oppure ad un’Officina, dove vengono smontati per recuperare i loro componenti ancora utilizzabili. Nei Laboratori del riuso gli oggetti non vendibili sono trasformati in nuovi prodotti di eco-design: tavoli ricavati da pancali di legno, componenti di librerie da cassette per la frutta, lampade da vecchi vinili, ecc.. All’interno della Cittadella sono inoltre previsti: • laboratori per il fai-da-te dove, con l’assistenza tecnica di personale esperto, gli utenti possono riparare i propri oggetti; • un centro di produzione di compost di qualità, dove potranno essere recapitati, tra l’altro, gli sfalci dell’adiacente Parco delle Cascine e delle aree verdi pubbliche e private del quartiere; • un’area per il coworking; • negozi di prodotti alla spina dove è possibile acquistare articoli sfusi in appositi distributori self-service usando più volte, dopo il primo acquisto, lo stesso contenitore; • aree di ristoro, anch’esse connotate in senso ‘sostenibile’ (prodotti biologici, chilometro 0, ecc.). Il centro civico sopra descritto si inserisce in un’operazione di recupero estesa all’intera ex Manifattura Tabacchi, in cui si ipotizza anche la
realizzazione, ai piani superiori delle ‘stecche’ esistenti, di alloggi sociali, corredati da ampi spazi (coperti e scoperti) destinati all’uso comune secondo la formula del cohousing. Un’area del complesso, sottoposta a vincolo monumentale, può invece essere destinata a centro civico comunale, con un ufficio di relazioni con il pubblico, centro giovani, consultorio, centro anziani, asilo ecc., accessibili dal grande cortile interno: la ‘piazza centrale’ della Cittadella, utilizzabile anche per ospitare mercatini, eventi speciali, ecc.. All’interno del complesso, una fitta rete di spazi e percorsi prioritariamente pedonali fa da connettivo alle varie funzioni (Fig. 5). I lastrici solari degli edifici possono essere trasformati in coperture verdi praticabili, con aree dedicate a urban farming, mediante il ricorso a tecniche idroponiche, in aggiunta ai tradizionali orti urbani, anch’essi previsti nel progetto (Fig. 1). La proposta della Cittadella del Riuso all’interno della ex Manifattura Tabacchi di Firenze è l’esemplificazione di un approccio che può essere esteso a molte aree urbane in stato di abbandono presenti in tutta Italia, per farle rinascere come poli di promozione culturale sui temi della sostenibilità, dell’economia circolare, dell’uso dei rifiuti come risorse secondarie, integrati all’interno di centri di quartiere polifunzionali di nuova concezione.
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Fig. 1 Localizzazione sul territorio toscano dei comuni interessati dal progetto di autorecupero.
Autorecupero a fini residenziali in Italia. Politiche, esperienze e una proposta programmatica per la gestione del disagio abitativo Stella Tortu
La nuova questione abitativa: uno strumento operativo per affrontarla
Corso di Laurea Magistrale in
La ricerca si inserisce nell’ambito del diritto alla casa e alla città (Marcetti, Paba, et. al., 2011) ed è dedicata all’analisi dello strumento delle politiche abitative per l’inclusione sociale denominato Autorecupero. L’autorecupero è una particolare modalità di intervento nella quale la società civile con il supporto di soggetti pubblici si impegna in modo diretto al recupero a fini abitativi di beni pubblici e non; questo strumento, pensato per incrementare l’efficacia dell’intervento pubblico attraverso l’integrazione di politiche urbanistiche con quelle sociali, residenziali ed economiche, incide sui fattori all’origine del degrado urbano, per questo motivo viene applicato a immobili inutilizzati o abbandonati (Ruggero, 2011). All’alba del XXI secolo il modello della casa come diritto sociale mostra segni di crisi; la società reclama nuovi paradigmi metodologici e progettuali con i quali i problemi settoriali possono essere analizzati durante la loro evoluzione; è fondamentale quindi mettere al centro la figura dell’abitante, compiendo un passaggio ideologico dal concetto di ‘abitazione’ a quello di ‘abitare (Vitta, 2010). Anche grazie al nuovo welfare, che propone una risposta articolata di
strumenti per soddisfare la sempre più ‘sofisticata’ domanda di servizi espressi dall’ampia gamma di soggetti coinvolti” (Lodi Rizzini, 2013, p.4), dagli anni ‘90 in Italia la questione abitativa assume connotati diversi: i cambiamenti che hanno interessato da un lato l’offerta di alloggi (come conseguenza delle politiche neo-liberali che si sono imposte a livello europeo accordando una preferenza alla proprietà piuttosto che all’affitto) e dall’altro la domanda (come conseguenza delle trasformazioni sociali, economiche e produttive che hanno interessando le società occidentali) hanno avuto pesanti ricadute sulla crescita della vulnerabilità sociale portando ad una dilatazione dei limiti delle categorie del disagio abitativo (Palvarini, 2006). Pietro Palvarini affianca il concetto di disagio abitativo a quello di ‘povertà abitativa’ per racchiudere tutte quelle situazioni che si allontanano da una condizione di normalità abitativa. Il concetto è stato recepito e declinato in tesi per ricondurre, all’interno del vasto concetto di disagio abitativo, un più ampio range di situazioni che va dallo stress economico derivante dal costo di accesso alla casa, provato dalla ‘fascia grigia’, all’inadeguatezza dello spazio abitativo per
sovraffollamento e all’inidoneità abitativa risultante dal livello di dotazioni fondamentali dell’alloggio, percepita dalle fasce sociali più vulnerabili (Graziani, 2004)1. Per affrontare la nuova questione abitativa agendo sulle diverse dimensioni del disagio la forma di intervento più idonea è quella dell’Edilizia Sociale che differenziandosi dalle politiche tradizionali propone forme di intervento capaci di affrontare “le nuove tipologie di bisogno: di emergenza abitativa assoluta, di alloggio temporaneo, di abitazione stabile attraverso tipologie non tradizionali di edificazione” (Lodi Rizzini C., 2013, p.4) rimettendo al centro dell’interesse pubblico l’abitante. È da ricondurre all’Edilizia Sociale anche l’autorecupero che però, nonostante la direzione intrapresa a livello europeo in campo abitativo (per quanto riguarda la promozione del Partenariato Pubblico-Privato (PPP) in interventi pubblici che la riduzione del consumo di suolo) in Italia ancora fa “parte della lista delle ‘sperimentazioni’ formulate da Regioni e Enti locali per l’accesso alla casa di fasce deboli” (Marcetti, Paba, et. al., 2011, p. 94). Questa evidenza porta a diversi interrogativi: quali sono gli strumenti
Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio Relatore: Prof. Camilla Perrone Co-relatori: Arch. Maurizio De Zordo,
Dott. Marco Gargiulo Aprile 2016
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disponibili per affrontare il problema del disagio abitativo? le tradizionali politiche sono in grado di rispondere ai nuovi bisogni della collettività? lo strumento dell’autorecupero è previsto nel set di politiche a livello europeo? fra gli strumenti sperimentali è quello con le maggiori potenzialità? in Italia c’è una politica a sostegno? Per rispondere a queste domande la ricerca è stata condotta secondo tre dimensioni: 1. analisi dello strumento dell’autorecupero; 2. ricognizione esperienze passate a livello italiano ed europeo (programmi di autorecupero realizzati a Roma, Bologna ma anche in Olanda e America); 3. analisi e comparazione di due Programmi di autorecupero a livello italiano2. Anticipando in parte quelli che saranno i risultati dell’analisi è possibile dichiarare un fatto: l’insufficienza quantitativa e qualitativa delle politiche abitative nazionali ha spinto diversi Enti pubblici locali ad ampliare il proprio ventaglio di opportunità verso modalità sperimentali come l’autorecupero, ma la mancanza di un quadro di riferimento nazionale adeguato dentro il quale collocare questi processi ha consegnato all’incertezza le volontà pubbliche e le relative iniziative (Marcetti, Paba, Pecoriello, Solimano, 2011). Il contesto delle politiche Per analizzare il contesto politico intorno all’autorecupero si è dimostrata utile l’analisi svolta sulle politiche abitative a livello europeo e nazionale. A livello europeo sono state prese in esame le politiche riferite agli ultimi due periodi di Programmazione Operativa (2007-2013 e 2014-2020). L’analisi fa emergere le lacune della programmazione passata sia rispetto alle politiche abitative sociali in generale che alla promozione di strumenti sperimentali
nel tale campo. Salvo alcuni indirizzi previsti dalla politica di coesione 20072014 (Programma URBACT II 20072013), in generale nella programmazione passata non si riscontrano né azioni direttamente legate alla promozione dell’autorecupero né azioni indirettamente legate e inerenti la riqualificazione del territorio o il contrasto al disagio abitativo. Per quanto riguarda l’attuale periodo di programmazione invece sono stati presi in esame i due programmi direttamente collegati alle tematiche abitative e sociali: il PON Inclusione e il PON Città Metropolitane. Il PON Inclusione promuove l’integrazione delle comunità a rischio emarginazione, anche tramite lo sviluppo di modelli di intervento innovativi, ma le azioni che promuove agiscono non tanto sulla povertà dal punto di vista abitativo ma piuttosto dal punto di vista sociale/occupazionale. Con la predisposizione del PON Città Metropolitane invece a livello europeo viene fatto un passo avanti prevedendo diverse azioni che hanno come obiettivo generale quello di ridurre il numero di famiglie sociali ed economiche, anche tramite la promozione di azioni legate alla sperimentazione di modelli innovativi; si evidenzia quindi una evoluzione delle politiche abitative almeno a livello europeo. A livello nazionale a partire dal 2007 con la crisi economica globale si assiste ad una diminuzione del sostegno pubblico ai ceti più bisognosi. Per avviare una inversione di tendenza e incentivare il settore dell’abitare sociale sono stati promossi alcuni strumenti in merito – come il Piano Nazionale di edilizia abitativa (2008) che tramite sei linee di intervento promuove interventi di Edilizia sovvenzionata attraverso la costruzione di nuove abitazioni o il recupero di quelle esistenti per categorie sociali quali nuclei familiari a basso reddito, giovani coppie,
anziani, studenti fuori sede, soggetti con sfratto esecutivo e immigrati regolari, il Piano per il rilancio dell’edilizia finalizzato a fronteggiare la crisi economica mediante il rilancio dell’attività edilizia, o gli Strumenti per le politiche urbane che interpretano l’alloggio sociale come ingrediente fondamentale per le politiche di sviluppo urbano – ma nonostante questi sforzi ancora a livello nazionale manca una politica organica sul tema. L’efficacia dello strumento dell’autorecupero: analisi di due esperienze italiane contemporanee In Italia sono diversi gli Enti pubblici (prevalentemente a livello comunale) che per promuovere nuova Edilizia Sociale hanno avviato strumenti operativi legati al coinvolgimento attivo dei residenti; fra questi quelli più rilevanti sono l’autorecupero, l’autocostruzione
e il cohousing, e tutti sono stati confrontati rispetto a fattori quali la tipologia dei destinatari, la modalità di finanziamento/gestione e la tipologia di contratto stipulato, questo per determinare quello con le maggiori potenzialità rispetto allo sviluppo sostenibile ipotizzato per le città. Lo strumento che si è dimostrato più idoneo è l’autorecupero (Maury, 2007) che più di altri incentiva la riqualificazione edilizia, il PPP e la riduzione del consumo di suolo; inoltre una politica pubblica per la promozione dell’autorecupero, come dimostra anche l’analisi sui casi studio, permette di diversificare la platea dei destinatari agendo sul disagio abitativo di tutti i nuclei familiari con una situazione economica compresa tra 0 e 70.000 € di ISE (soglia di accesso all’Edilizia Agevolata). Il limite inferiore non indicato permette la
pagina precedente, Fig. 2 Particolare dello stato di fatto degli immobili ammessi al finanziamento della Regione Toscana.
Fig. 3 Particolare dello stato di fatto degli immobili ammessi al finanziamento del Comune di Bologna
partecipazione anche a famiglie in grave disagio abitativo, con un reddito minimo oppure inesistente, ma è importante sottolineare che più alta è la possibilità reddituale di una famiglia e più sarà ‘semplice’ portare a termine una iniziativa legata a pratiche come l’autorecupero. Per affrontare la questione relativa all’efficacia dell’intervento pubblico in iniziative di autorecupero sono state prese in esame due politiche pubbliche riferite a casi contemporanei: il Programma di ERP 2003-2005 Misura E (Sperimentale) promosso della Regione Toscana e il Programma di Autorecupero di alloggi dismessi promosso dal Comune di Bologna. Il processo decisionale alla base delle due esperienze è stato ricostruito grazie alla metodologia di analisi delle politiche pubbliche elaborata da Bruno Dente e Paolo
Fareri che, riferendosi al modello incrementale, si pone sul territorio dell’analisi prendendo in considerazione la lotta di potere che si instaura durante l’interazione tra attori diversi (Fareri, 2009; Dente 2011). Le esperienze sono state studiate con l’utilizzo di diverse fonti, documenti istituzionali, riviste specializzate, articoli di giornale, interviste dirette agli attori, e seguendo tre fasi: 1. ricostruzione della cronologia del processo decisionale; 2. analisi degli attori; 3. analisi delle interazioni; Di seguito è riportata una sintesi della cronologia di entrambi i processi decisionali, mentre gli elementi caratterizzanti i casi studio vengono riportati in seguito in una matrice comparativa; le informazioni utili per l’analisi dei casi prioritariamente sono state desunte
dalle interviste dirette agli attori principali3. Il caso di autorecupero nella Regione Toscana L’esperienza in Toscana prende avvio nel Comune di Firenze a partire degli anni ’80. La sollevazione del problema parte dal basso quando il Movimento di lotta per la casa di Firenze, soggetto legato ai temi del diritto alla casa, tenta di aprire un dialogo con l’amministrazione per favorire la legalizzazione di alcune occupazioni di lunga data su immobili pubblici abbandonati. Tra i due soggetti si apre una fase conflittuale che termina solo nel 2002, durante il Social Forum di Firenze, dove avviene il giro di volta nella vicenda; il caso arriva all’attenzione della Regione Toscana che tramite il Programma regionale di ERP 2003-2005 decide di
promuovere la ‘Sperimentazione di modalità innovative di intervento - Misure atte a promuovere e sperimentare forme auto-organizzate di reperimento e recupero di abitazioni da assegnare in locazione a canone controllato’ con l’obiettivo di ampliare l’offerta pubblica di abitazioni come risposta alle categorie più deboli e svantaggiate (Delib. n. 51 del 26 maggio 2004) agendo su i nuclei familiari aventi un ISEE4 non superiore ai 35.000 €. Il primo bando, a causa del coinvolgimento economico richiesto ai proprietari degli immobili oggetto di autorecupero, fallisce. Solo nel 2012 la regione ci riprova con l’emanazione del secondo bando ‘Misura E (Sperimentale): Progettazione e attuazione di interventi regionali pilota nel campo della bio23 architettura e bioedilizia e
di strutture alloggiative plurifamiliari di natura temporanea’; per la linea di intervento 1.C relativa all’autorecupero vengono ammessi a finanziamento 9 progetti localizzati in 5 comuni toscani: Firenze, Chiusi della Verna (AR), Santa Maria a Monte (PI), Collesalvetti (LI) e Arezzo. Il programma procede fino al 2014 quando i vincoli del Patto di stabilità e del Pareggio di bilancio causano un rallentamento all’iniziativa, che si sblocca solo dopo un anno. Il caso di autorecupero nel Comune di Bologna Nel caso bolognese la sollevazione del problema parte dall’alto, dal Comune di Bologna, che nel 2004 decide di avviare un Programma di autorecupero con l’obiettivo di dare una risposta abitativa alle diverse emergenze abitative di lavoratori precari, migranti e giovani presenti in città, quindi con la volontà di agire sulle fasce sociali più vulnerabili. È con questi presupposti che l’amministrazione scrive il primo bando di attivazione dell’iniziativa5, fissando un l’ISEE dei beneficiari non inferiore a 6.000 € e un ISE non inferiore a 13.000 €, ma dopo l’individuazione dell’Associazione Temporanea di Scopo (ATS) quale Soggetto Gestore del programma e dopo la consultazione con alcuni Istituti bancari potenziali finanziatori del mutuo dalla Cooperativa, l’Ente locale alza il limite fissando l’ISE ad un massimo di 70.000 € (reddito lordo annuo pari a 39.000 €); nel 2010 viene approvato il Programma di autorecupero di 10 immobili di proprietà comunale. Per il programma è stato previsto un coinvolgimento totale della Cooperativa di autorecupero; i lavori sono finanziati da un pool di Istituti di Credito che si impegnano ad erogare mutui ipotecari di medio lungo termine al momento della sottoscrizione del mutuo da parte della Cooperativa, invece il Comune contribuisce in modo indiretto
Pagina precedente , Tab. 1 Una matrice comparativa per mettere in evidenza i principali elementi caratterizzanti i due casi di autorecupero presi in esame
Tab. 2 Ad ogni livello istituzionale vengono affidati degli indirizzi specifici, da programmare e successivamente attivare per promuovere a tutti i livelli di pianificazione strumenti sperimentali come l’autorecupero.
concedendo il diritto di superficie degli immobili alla Cooperativa che dovrà versare un corrispettivo di 1.500.000 € (1/3 del reale valore stimato in ragione del valore sociale dell’intervento). Nel 2013 l’amministrazione approva l’ordinamento definitivo dei soggetti partecipanti al bando e col nome ‘Mattone solidale società cooperativa Edilizia’ si costituiscono in Cooperativa i futuri autorecuperatori. Ha inizio una fase di trattative tra gli attori rispetto a diverse questioni; la più rilevante da affrontare riguarda le obbligazioni che eventualmente dovrebbe accendere con gli Istituti di Credito nel caso in cui, terminati i cantieri, risultino ancora da assegnare degli alloggi. La questione è spinosa: inizialmente la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna si
propone come garante ma all’ultimo recede dall’impegno e al suo posto subentra la stessa amministrazione. Matrice comparativa tra i casi studio Considerazioni sull’analisi dei casi Sono tre gli elementi di differenziazione tra i casi studio: 1. Tipologia dei soggetti proponenti. Al momento della redazione del bando la Regione Toscana decide di incidere sul disagio abitativo più cogente permettendo la partecipazione anche a soggetti cooperativi costituiti tra gli occupanti degli immobili fiorentini. Il Comune di Bologna inizialmente segue la medesima strada ma dopo l’interpellanza ai potenziali finanziatori decide di intraprendere una strada diversa e
rivolgere l’attenzione verso la ‘fascia grigia’6 (Marcetti, Paba, et. al., 2011, p.156) che vive un disagio abitativo per l’onerosità dell’alloggio. L’ISE indicato dal comune bolognese apre una nuova questione ancora da indagare: un nucleo familiare di quattro componenti (due coniugi che guadagnano 1.500 € lordi mensili a testa) con un reddito lordo annuo di 39.000 € e quindi un ISE pari a 69.000 € (la soglia di accesso per l’ottenimento di una casa in locazione permanente a canone agevolato), può essere considerato una famiglia ricca e quindi non avere diritto all’Edilizia Agevolata? 2. Gestione degli interventi. Nel caso toscano l’Ente regionale si indica come diretto soggetto
referente per le Cooperative di autorecupero ammesse al finanziamento, mentre nel caso bolognese il comune decide di dotarsi di un Soggetto gestore come mediatore tra l’Ente pubblico e gli autorecuperatori; 3. Risorse economiche investite. La Regione Toscana prevede l’erogazione di un contributo parziale (40.000 € ad alloggio per spese di intervento, coordinamento e formazione) invece il Comune di Bologna non prevede una partecipazione economica diretta ma piuttosto la concessione degli immobili alla Cooperativa ad un prezzo più basso rispetto al mercato. Dall’analisi delle esperienze è possibile trarre una valutazione rispetto alla domanda di ricerca più rilevante: il programma di autorecupero bolognese si è dimostrato uno strumento operativo efficacie per risponde al problema abitativo della ‘fascia grigia’? Il programma, oggi in fase di realizzazione, sta fornendo una risposta alle istanze abitative dei soci della Cooperativa di autorecupero, ma il punto centrale è l’efficacia e la replicabilità in altre situazioni. L’autorecupero si è dimostrato uno strumento di rilievo a supporto all’Edilizia Sociale per fornire nuovi alloggi alla ‘fascia grigia’ ma non avendo alle spalle una politica pubblica organica che disciplini ed orienti l’attivazione degli interventi ‘non convenzionali’, ci sono voluti diversi anni per avviarlo e questo ha portato solo ad una parziale efficacia dello strumento. Infatti, inizialmente il programma bolognese era destinato alle coppie giovani, ma a causa dei rallentamenti subiti dall’iniziativa, tutte le coppie beneficiare sono state costrette a rinunciare e ad abbandonare l’iniziativa avendo bisogno in tempi brevi e certi di un alloggio. Le analisi svolte sono state 25 messe a sistema e usate per
proporre, come contributo programmatico finale, il disegno di una politica pubblica che agisca sulle carenze di efficacia rilevate nell’analisi promuovendo nuova Edilizia Sociale con metodi innovativi come l’autorecupero. Il disegno di una politica pubblica per l’abitare sociale L’analisi delle politiche abitative a livello comunitario e nazionale e dei casi studio ha dato informazioni utili per il disegno della politica che ha come obiettivo il miglioramento della qualità urbana attraverso l’incentivazione delle pratiche legate all’Autoproduzione abitativa nel set di politiche a tutti i livelli di pianificazione. Questo contributo alle attuali politiche abitative pubbliche (pensato come un vero protocollo operativo) si compone da una strategia principale sostenuta da una serie di indirizzi secondari. A livello comunitario, grazie al PON Metro, sono diverse le azioni che oggi rappresentano una opportunità per le Amministrazioni; quelle che maggiormente si legano all’autorecupero sono l’Azione 3.1.1 Azioni integrate di contrasto alla povertà abitativa, l’Azione 4.1.1. Realizzazione e recupero di alloggi (in questo caso viene espressamente previsto lo strumento dell’autorecupero) e l’Azione 4.2.1. Recupero di immobili inutilizzati e definizione di spazi attrezzati da adibire a servizi di valenza sociale. È anche importante che pratiche come l’autorecupero vengano promosse in modo integrato allo sviluppo territoriale, per questo è importante che nella futura Agenda Urbana Nazionale (per il periodo 2021-2027) venga previsto un driver che promuova le pratiche ‘non convenzionali’ unendo dei temi cari allo sviluppo sostenibile: riqualificazione contenitori urbani degradati; • realizzazione contesti abitativi; • attivazione di modelli abitativi con una forte componente sociale;
• incentivazione dello scorrimento delle graduatorie dell’ERP. A livello statale la politica prevede la definizione delle linee guida per la programmazione delle politiche future, che devono essere poi recepite e tradotte dai livelli sotto-ordinati in obiettivi e indirizzi. A questo livello di pianificazione si ipotizza la predisposizione di un ‘Piano di housing sociale per l’Autoproduzione abitativa’ che punti ad incrementare la disponibilità di alloggi in proprietà o in locazione a canone sostenibile tramite interventi di Edilizia Sociale legati alle pratiche dell’Autoproduzione abitativa. Ma è anche opportuno aggiornare alcune normative esistenti per facilitare a livello locale l’attivazione di iniziative ‘non convenzionali’. In questo senso potrebbe essere aggiornato il D. lgs 81/08 in materia di ‘tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro’ per regolamentare l’attività edilizia nei cantieri di Autorecupero, il Piano di Azione Nazionale per i beni confiscati e la coesione territoriale per prevedere l’autorecupero a fini abitativi nei beni confiscati alle mafie, o il DM 16 marzo 2015 ‘Criteri per la formulazione di un programma di recupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica’ per prevedere la riqualificazione del patrimonio ERP anche tramite l’autorecupero. Il vertice della politica è fissato a livello regionale dato che, grazie all’analisi dell’esperienza toscana, si è dimostrato la scala territoriale più idonea per trattare il disagio abitativo, ma anche per attuare una programmazione coordinata con il livello comunale e orientare le risorse stanziate dall’Europa grazie ai POR. Ogni Regione deve dotarsi di un ‘Programma regionale integrato per l’Autoproduzione abitativa’ e di un Soggetto Gestore, che avendo competenze tecniche, sociali ed economiche, si occupi della mappatura a livello regionale delle situazioni che
possono essere inquadrate nell’ambito di una azione mirata alla riqualificazione di ambiti urbani degradati, dell’organizzazione a livello locale coinvolgendo soggetti pubblici e privati locali e della gestione del cantiere e degli attori coinvolti fino al momento dell’assegnazione degli alloggi. Il programma prevede tre linee di intervento, autorecupero del patrimonio ERP, autorecupero/autocostruzione per l’acquisto in proprietà di una casa, e autorecupero per la locazione, e più canali di finanziamento: • autofinanziamento dell’Ente regionale tramite risorse pubbliche derivanti dagli strumenti di pianificazione ordinari; • co-finanziamento tra pubblico e privato oppure tra pubblico e Unione Europea (in cui l’apporto dell’Ente regionale va a sommarsi con un contributo derivante dalla Programmazione Regionale o dal ricorso a strumenti dell’Ingegneria finanziaria); • supporto dell’Ente regionale tramite incentivi (contributi in conto capitale o in conto interessi, concessione di aree e/o edifici a basso costo, concessione di premialità urbanistiche). Il livello locale è dove emergono con più forza i problemi urbani legati all’abitare, per questo motivo in questo livello di pianificazione deve attestarsi l’attività di programmazione di dettaglio degli interventi, prevedendo una collaborazione tra il Soggetto Gestore e i soggetti pubblici e privati attivi a livello territoriale come cooperative, associazioni e movimenti. Per incidere sull’attività di programmazione a livello regionale, ogni Ente locale può agire: • aggiornando le norme legate al RE e alle NTA del PRG per normare la pratica dell’autoreucpero quale strumenti operativi per il recupero di immobili abbandonati/inutilizzati o la costruzione di nuovi;
• facilitando l’accelerazione dei tempi di rilascio dei permessi di costruire; • ottimizzando gli oneri di urbanizzazione da pagare; • affidando i terreni ad un diritto di superficie a 99 anni con un abbattimento del costo significativo. Il concetto alla base della politica è quindi il seguente: se si vuole che strumenti sperimentali come l’autorecupero entrino a far parte del set di strumenti pubblici ordinari è opportuno che il processo decisionale alla base dell’attivazione di ogni singola iniziativa venga promosso, regolato e normato a livello nazionale, e che poi venga coordinato da soggetti pubblici idonei - in capo al livello regionale - che possano recepire le istanze dal livello locale e applicarle coerentemente. Conclusioni e questioni aperte Lo strumento dell’autorecupero si dimostra idoneo a rispondere in modo efficacie alla pluralità di bisogni abitativi derivanti da un lato dai soggetti con un evidente disagio economico/ sociale e quindi abitativo, e dall’altro dai soggetti che per effetto della crisi o di politiche poco efficaci progressivamente hanno perso la loro capacità di accesso alla casa. L’Edilizia Sociale Partecipata rappresenta quindi una opportunità nelle mani dei soggetti pubblici per agire sulle diverse forme di disagio anche se l’efficacia migliore la dimostra nel trattare le istanze della ‘fascia grigia’ dato che quest’ultima, possedendo una minima disponibilità reddituale, ha la possibilità di partecipare a iniziative promosse con un contributo economico pubblico anche limitato. Dall’analisi emerge anche un’altra questione da affrontare. Nei bandi pubblici per l’Edilizia Sociale il valore ISEE rappresenta il parametro più rilevante per determinare l’accesso o meno di una famiglia alle graduatorie
ERP e ad ogni altra tipologia di bando per l’Edilizia Sociale, inoltre è ogni singola Regione a stabilire in modo autonomo il tetto di accesso all’Edilizia Agevolata (la normativa della Regione Emilia Romagna sull’Edilizia Agevolata stabilisce come requisiti economico di accesso per la locazione permanente il tetto di 70.000 € di ISE e di 35.000 € di ISEE). Allora la domanda sorge spontanea: oggi giorno un nucleo familiare di quattro componenti con un ISE di 70.000 € può essere considerato esposto ad un problema abitativo e quindi avere diritto all’Edilizia Sociale? L’ISEE di 35.000 € indicato da molte regioni italiane7 quale discriminante per l’accesso all’Edilizia Agevolata permette la trattazione delle diverse forme di disagio abitativo? Questi temi oggi presentano aspetti di grande attualità in quanto la questione abitativa si è trasformata in emergenza abitativa che coinvolge sempre nuove fasce di utenza diversificate e diffuse nel Paese; è per questo motivo che risulta importante continuare l’indagine per rendere sempre più i futuri residenti protagonisti dell’azione politica.
Note
Bibliografia
1 L’Autrice considera tre dimensioni del disagio abitativo: disagio grave, si combinano almeno due fattori di media/grave entità; disagio assente, la situazione abitativa risulta soddisfacente; disagio lieve, si combinano due fattori di lieve/nulla entità (anche uno solo dei fattori di disagio lieve determina l’inclusione nella classe); vulnerabilità abitativa, situazione intermedia tra disagio grave e lieve. 2 Tortu S., Autorecupero a fini residenziali in Italia. Politiche, esperienze e una proposta programmatica per la gestione del disagio abitativo, Tesi di laurea Università degli Studi di Firenze, A.A. 2015/2016, non pubblicato. 3 Si rimanda alle interviste in Tortu S., Autorecupero a fini residenziali in Italia. Politiche, esperienze e una proposta programmatica per la gestione del disagio abitativo, Tesi di laurea Università degli Studi di Firenze, A.A. 2015/2016, non pubblicato. 4 Il valore ISEE è l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente di un nucleo familiare e scaturisce dal rapporto tra l’ISE (Indicatore della Situazione Economica di un nucleo familiare) e il numero dei componenti del nucleo familiare in base ad una scala di equivalenza (D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 109). 5 Le informazioni del bando si trovano in Comune di Bologna, Settore Servizi per l’abitare ‘Avviso pubblico per la presentazione della manifestazione di interesse a partecipare al progetto di autorecupero di immobili di proprietà del Comune di Bologna’, 2011. 6 Esiste un rapporto tra ‘fascia grigia’ e disagio abitativo: tutte le situazioni che rientrano in questa fascia rappresentano la ‘normale’ domanda abitativa (la parte di domanda che non ha titolo per accedere all’ERP ma non ha le risorse per accedere al mercato dell’affitto o della proprietà) che oggi in modo inedito porta con sé un disagio abitativo da onerosità dell’alloggio. 7 La Toscana per l’Edilizia Agevolata (promuove la costruzione di alloggi da parte di soggetti privati con il contributo dell’Ente pubblico sottoforma di concessioni di contributi) ha fissato il limite del reddito dei beneficiari ad un ISEE non superiore a 35.000 €.
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Barrio popular Las Flores, città di Santa Fe
Vivienda social in Argentina: il barrio popular El Pozo, Santa Fe
Elisa Massotti Simona Rombolà
Introduzione Lo sviluppo del tema delle politiche abitative in America Latina, con un approfondimento sul caso Argentina, è il prodotto di un’esperienza diretta resa possibile grazie alla collaborazione internazionale tra l’Universidad Nacional del Litoral di Santa Fe e l’Università degli Studi di Firenze. Nella ricerca, incentrata sulla questione della vivienda social, l’analisi dell’evoluzione delle politiche abitative funge da guida alla comprensione delle diverse strategie messe in atto nel corso degli anni; espressione dei principi progettuali che nelle diverse fasi storiche, si ritrovano alla base della costruzione dei Barrios Populares. L’Argentina, nel corso del tempo, non si è contraddistinta per lo sviluppo di politiche urbane e di viviendas che ponevano al centro la città nella sua visione totale, ma le strategie di formulazione di politiche, piani, programmi e progetti di viviendas si sono concentrate sulla risoluzione del problema del deficit quantitativo utilizzando le risorse economiche, umane e materiali per il finanziamento dell’offerta di vivienda attraverso programmi denominati ‘llave en mano’. La crescita vertiginosa delle città ed il riconoscimento dell’accesso alla casa come un diritto costituzionale, ha messo lo Stato davanti all’obbligo di
dare una risposta al problema della vivienda social, intesa come quella “habitación de bajo costo, destinada a sectores sociales medios y que a partir del ’40 se encuentra asociada a la acción del estado” (Ballent, 2004, p.176). Tuttavia, il concetto di vivienda de interés social, risale agli anni ’60 e da un punto di vista storico, riprendendo quanto espresso da Ballent, si riferisce al problema dell’alloggio popolare inteso come un insieme di problemi economici e sociali tipici delle società moderne. Le abitazioni di interesse sociale furono quindi costruite con l’intento di risolvere la questione della carenza abitativa riguardante le famiglie con basso reddito; carenze generate da problemi di affollamento, di accessibilità, abitazioni precarie, deficit o totale assenza di servizi e infrastrutture. In questo contesto la vivienda si definisce come un insieme di elementi che superano la mera concezione architettonica, o meglio riprendendo il concetto esposto da Fernández e Allen (1997), la vivienda potrebbe essere definita come una soluzione sociale di abitabilità intesa come un ‘supporto tecnologico’ inserito in un insediamento dotato di un certo sviluppo storico-culturale. Si deduce quindi, che il concetto di
vivienda va inteso in senso lato, implicando un’appartenenza ad una determinata struttura insediativa e sociale dotata di una propria ‘urbanità’ e tradizione. Evoluzione delle politiche abitative Tra gli anni ‘30 e ‘50 del XX secolo, in un’ottica socialista, si rilancia un nuovo approccio per affrontare la questione, stabilendo che la risoluzione della problematica abitativa doveva passare attraverso la formazione di cooperative, intese come società pubbliche autogestite. Caratteristica di questa politica fu la sostituzione del risparmio volontario per la costruzione di vivienda con il risparmio forzoso dai salari dei lavoratori. Nella metà degli anni ‘40, si avvia la seconda fase all’interno delle politiche, segnando un punto di svolta. Sarà ‘l’alternativa peronista’ quella che modificherà sostanzialmente lo stato della questione. L’impatto di questa politica, sviluppatasi dal 1946 al 1955 costituisce un riferimento obbligato sia in termini di compattezza ed immediatezza della risposta, sia nella concezione della problematica, che da questo momento, viene intesa come un ‘diritto sociale’, il cui esercizio e risoluzione
Corso di Laurea Magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio Relatore: Prof. Raffaele Paloscia Co-relatore: Prof. Marcelo Zàrate
Settembre 2015
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Città di Santa Fe: la città vista dall’alto
dovevano essere responsabilità statali e far parte di una strategia di pianificazione nazionale. Le azioni sulla vivienda furono dirette (costruzione di alloggi unifamiliari e collettivi in tutto il territorio nazionale) e indirette attraverso le linee di credito del Banco Hipotecario Naciónal. Il secondo Piano Quinquennale del Governo di Perón (1953- 1957) prevedeva che lo Stato promuovesse la costruzione di viviendas “que satisficieran de manera digna, funcional, racional, adecuada y económica, las necesidades de las familias de los trabajadores, mientras que la construcción de viviendas de carácter suntuario quedaría librada exclusivamente a la acción privada” (Gaggero, Garro, 1996, p.51). Con il Golpe di stato del 1955 che rovesciò il governo di Perón, il
panorama dell’azione statale intorno al fenomeno della vivienda sociale perse il tradizionale ritmo rispetto agli anni precedenti. Il Plan VEA (Viviendas Económicas Argentinas) introdotto nel 1969 – basato su una politica creditizia per la costruzione di complessi abitativi, destinati principalmente alle classi sociali più vulnerabili – e il PEVE (Plan de Erradicación de Villa de Emegencia) introdotto con la Legge 17605/1968– accompagnato da forti processi di sradicamento e delocalizzazione – vengono introdotti ed attuati come strumenti di intervento. Gli istituti di finanziamento che fecero la loro comparsa nella seconda metà degli anni ’60 (BID, Banco Mondiale) attraverso piani e programmi per la Vivienda di interesse sociale,
consolideranno il loro operato soltanto nel corso degli anni ’70. Dal 1972 il principale asse per gli interventi sugli alloggi passò al Fondo Nacional de la Vivienda – FONAVI, costituito inizialmente dal 5% del salario di tutti i lavoratori in attività e dal 20% di apporti previsionali dei lavoratori autonomi. L’obiettivo generale era quello di poter disporre di risorse sufficienti a contrastare e ridurre il deficit abitativo offrendo la possibilità di una casa ai settori a basso reddito della popolazione. Dalla sua istituzione il FONAVI ha attraversato tre periodi differenti: • Centralizzazione (1972-1991): in questo periodo le decisioni sulla localizzazione, il disegno dei complessi abitativi, furono di competenza federale del Governo. Le
Province attraverso i loro istituti, come Institutos Provinciales de Vivienda (IPV) erano soltanto gli esecutori delle direttive governative; • Decentralizzazione (1992-2004): nel 1992 si introduce una nuova normativa (Legge 24130/1992) con la quale vengono delegate le decisioni di settore della vivienda al livello Regionale. Il Governo nazionale ha sotto controllo l’utilizzo dei fondi, ma l’esercizio avviene tramite uno schema effettivo di ‘premios y castigos’ sottoposto alla Subsecretaría de Desarollo Urbano y Vivienda (SSDV), l’organismo a livello nazionale che si occupa delle politiche abitative; • Perdita di importanza: fino al 2004, il FoNaVi costituì il principale programma della politica abitativa in
Argentina, condizione che si sta perdendo in questi ultimi anni con l’introduzione del Plan Federal de Vivienda (PFV). L’emergere del PFV comporta anche l’inversione parziale del processo di decentralizzazione a favore delle Province. Il Governo centrale definisce il funzionamento e l’uso delle risorse ma è il PFV che gestisce direttamente attraverso i governi provinciali e talvolta municipali. Questi ultimi anni, sono anni in cui sostanzialmente non si realizzano nuovi alloggi, gli interventi si concentrano prevalentemente sull’esistente in cui si agisce attraverso diversi Programmi Federali che puntano a migliorare le condizioni di vivibilità dei quartieri più degradati. Gli anni ’70 e il caso di Santa Fe La strategia abitativa messa in atto durante gli anni ’70, basata sulla costruzione di nuovi complessi edilizi nel minor tempo possibile, con la consegna degli alloggi in modalità ‘chiavi in mano’ e senza la partecipazione dei beneficiari nelle decisioni, ha cercato una soluzione più quantitativa che qualitativa alla problematica. La città di Santa Fe, sperimenta a partire dalla metà di questo decennio, la comparsa di conjuntos habitacionales, ossia grandi complessi impiantati come ‘paradigmi tipologici’ definiti come “pequeñas ciudades autosuficientes, de mayor densidad de población que su entorno, con equipamiento comunitario a gran scala, y de fuerte impacto en la trama y el perfil urbano” (Dunowicz, 2000, p.17). Per il carattere sperimentale ed innovativo che assumeva la progettazione urbana, in questa fase, i nuovi barrios populares vengono realizzati attraverso distinte tipologie edilizie, come la placa, il monoblocco, l’abitazione individuale e la torre o anche la combinazione tra loro, definendo
nuovi tessuti urbani aperti, chiusi o lineari, di forte impatto sulla trama e sul profilo urbano. Dopo circa tre decadi, questa tipologia di costruzioni inizia a mostrare visibilmente numerosi problemi che traggono la loro origine dalla sommatoria di una serie di carenze che si sono materializzate non solo in problemi fisici, funzionali e sociali ma anche in una scarsa integrazione, ovvero in uno scarso grado di connessione con il resto della città. I tre barrios populares - Las Flores, El Centenario ed El Pozo – della città di Santa Fe, si differenziano dal barrio tradizionale per la complessità della composizione architettonica, così come per la configurazione dello spazio urbano che gli conferisce un significato ed una rilevanza specifica all’interno della trama urbana consolidata. I tre conjuntos fanno riferimento alla stessa politica abitativa che prevedeva finanziamenti attraverso il fondo FONAVI per la realizzazione di nuovi alloggi, ma dall’ idea di base comune, ovvero di dare vita a dei quartieri autosufficienti e non puramente residenziali, scaturirono interpretazioni completamente differenti. Las Flores Questo complesso edilizio prende il nome da un terminal ferroviario della Stazione Belgrano chiamato appunto Las Flores. Ubicato nel nord-ovest della città, il complesso fu realizzato in cinque tappe a partire dal 1968 con la costruzione de Las Flores I composta da blocchi e viviendas individuali. Nel 1982 venne completata la seconda parte, chiamata Las Flores II, costituita da 10 torri, 20 blocchi e 120 abitazioni individuali. Attualmente, il quartiere appare incorporato nella maglia urbana consolidata, tanto nell’erogazione dei servizi- energia elettrica, gas naturale, acqua potabile, fognature, strade asfaltate,
trasporto pubblico – quanto nella distribuzione delle attrezzature urbane - scuole, commercio, centri comunitari, biblioteca e polizia. L’impianto urbano segue criteri urbanistici moderni, in cui il complesso definisce un modello di città inedito fino a quel momento, in riferimento soprattutto alla costruzione di torri ad alta densità in periferia e alla moderna idea tipologica di blocchi ripetuti in una pianta sempre ortogonale che però si stacca dal tessuto preesistente. Il quartiere Las Flores costituisce oggi un landmark urbano e un complesso architettonico di grande importanza. Percorrendo il tracciato viario principale che attraversa il quartiere, pensato per connettere due importanti Avenidas, si percepisce immediatamente la differenza nella composizione tipologica rispetto all’intorno; si ha la sensazione di entrare in una realtà urbana a sé, fortemente riconoscibile soprattutto per la presenza delle alte torri colorate. La densità edilizia tende a diminuire man mano che ci si allontana dal percorso centrale lungo il quale, al piano terra dei complessi edilizi, si trovano una serie di servizi e attività commerciali che rispondono all’idea iniziale di voler rendere il barrio, per quanto possibile, autosufficiente. Las Flores mostra oggi i segni di una carente conservazione negli anni, visibile già dai colori delle facciate, resi cupi dal logorio del tempo, dall’indisponibilità di risorse economiche per una manutenzione ordinaria e per la bassa qualità dei materiali costruttivi. Centenario Il barrio popular Centenario, trae il suo nome dall’area in cui è localizzato, a sud della trama urbana della città di Santa Fe, nella confluenza tra il Rio Salado ed il Rio Santa Fe. Il progetto FoNaVi è stato selezionato
in una gara pubblica indetta dalla Dirección Provincial de Vivienda y Urbanismo nel 1978, con il fine di ottenere non solo il progetto architettonico, ma anche la fornitura del terreno, la costruzione delle unità abitative, le infrastrutture e le attrezzature. Il quartiere Centenario, concepito come un’estensione della città, presenta elementi di architettura urbana non utilizzati fino a quel momento, definendo una nuova tipologia di manzana con un patio centrale fruibile. La concezione di manzana fa riferimento alla teoria degli archetipi dell’architetto italiano Aldo Rossi e si presenta come un modulo ripetibile che nella composizione architettonica ritorna come un fattore strutturante dello spazio urbano. La disposizione e composizione delle manzanas che appaiono come blocchi compatti, definendo una struttura semi-aperta, rispecchiano il desiderio di generare complicità e relazioni tra i residenti. Oggi, nel quartiere dotato di servizi di base (una scuola primaria, un asilo nido, una scuola materna e una chiesa), vivono approssimativamente 6.500 persone distribuite in 1.289 viviendas – disposte in dodici isolati quadrati. Due sole strade, pensate come boulevard, sono state tracciate per permettere la circolazione delle automobili, mentre la maggior parte dello spazio rimanente è destinato ai pedoni. Grandi ‘porte’ permettono di accedere all’interno della manzana in uno spazio - corazón de manzana - che oltre a svolgere la funzione di aggregazione sociale, rappresenta l’unico passaggio per raggiungere gli ingressi delle residenze. Colpisce la serialità degli elementi, la simmetria delle strutture, la monotonia dell’ambiente urbano nel quale si evidenzia un diverso grado di cura degli spazi pubblici. 31
Barrio popular El Centenario, città di Santa Fe
Pagina successiva Barrio popular El Pozo, città di Santa Fe
El Pozo Un’altra delle opere paradigmatiche degli anni ‘70 –‘80 fu la costruzione del barrio El Pozo. Lontano dalla trama urbana consolidata della città di Santa Fe, il quartiere si trova in un’area le cui caratteristiche di periferia e di isolamento, ne identificano il carattere. Il complesso appare facilmente riconoscibile per la sua forma, omogeneità e differenza rispetto all’intorno, in un certo modo, può essere considerato come un ‘enclave’ dal momento che possiede un alto grado di autonomia e autosufficienza. Progettato con il fine di essere destinato ai militari, a cui in realtà non è mai stato assegnato, oggi è abitato da una classe sociale mista. Al tempo della realizzazione, fu un intervento molto criticato sia a causa dell’alto costo che si doveva sostenere per il collegamento, in un’area litoranea, delle infrastrutture di base, sia per la posizione ricavata dal
riempimento di una parte del fondale della laguna Setúbal. Nel 1983, durante i lavori si verificò un’alluvione che rallentò la costruzione delle viviendas, iniziate nel 1981 e terminate soltanto nel settembre 1987. La discontinuità del barrio, un rettangolo che si estende su un’area di circa 2900 mq, in relazione al tessuto circostante appare in modo chiaro, grazie all’esistenza di due elementi: la parcella unica di ampie dimensioni e l’aggregato edilizio che si configura come un unico elemento ripetibile. La struttura estremamente rigida è definita da due tipologie edilizie: la placa, di dieci piani, in stretta relazione con lo spazio pubblico e le attrezzature di tipo collettivo e le viviendas di tipo unifamiliari ubicate in lotti individuali attraversati da passaggi pedonali semi-pubblici, che conformano un tessuto di bassa densità. In questo modo, il conjunto appare
facilmente riconoscibile per la sua regola compositiva - tracciato regolare, bassa-alta densità, presenza di aree verdi, spazio aperto, infrastrutture e per la sua differenziazione rispetto all’ intorno. L’organizzazione barriale ruota intorno ad un nucleo centrale in cui si concentrano i servizi e la maggior parte degli spazi pubblici. Questo barrio popular, dotato di tutti i servizi di base appare come una ‘città nella città’ con un alto grado di autosufficienza dimostrato anche dalle abitudini dei residenti che tendono a svolgere la maggior parte delle attività ne El Pozo. L’intento iniziale di questo progetto, di voler favorire lo scambio sociale e la comunicazione tra i residenti, si percepisce dalla relazione instaurata tra spazio costruito e spazio vuoto che cambia a seconda della modalità abitativa, ovvero nel caso delle viviendas individuali si crea un’ottima relazione grazie alla presenza
di piccoli giardini inseriti nei passaggi pedonali semi-pubblici; invece nel caso delle placas il rapporto è complesso in quanto si verificano delle appropriazioni illegali di spazio pubblico - marciapiedi, strade, passaggi pedonali - per fini personali soprattutto per problemi legati al posteggio delle automobili. Tranne per le placas che sovrastano ed identificano il barrio, il resto del paesaggio urbano appare piatto e monotono senza particolari dettagli costruttivi. Metodologia e ipotesi di scenario (Barrio El Pozo) Il lavoro prosegue, approfondendo la conoscenza del barrio El Pozo, ultimo dei tre conjuntos habitacionales citati precedentemente, seguendo l’approccio teorico metodologico dell’Urbanismo Ambiental Hermenéutico1, suggerito dal Prof. Zárate, che legandosi alla visione territorialista, considera il territorio come “risultato di un
intreccio storicamente determinato tra gli elementi costruiti, visibili, frutto dell’intervento dell’uomo, l’ambiente fisico naturale e l’insieme delle relazioni economiche, sociali, culturali espresse nella loro specificità locale” (Magnaghi, 1990, p.21). Secondo questa visione - che sposta la propria attenzione dall’ambiente naturale, propria della visione biocentrica, all’ambiente antropico e urbano - uno strumento strategico è l’attivazione di processi partecipativi per il coinvolgimento delle comunità locali nei progetti che riguardano la trasformazione dei luoghi. L’approccio si basa sulla logica della ‘non separazione’ della sfera interiore con quella esteriore di ciascun individuo: ambiente fisico e sociale, individuo e società, non sono tra di loro estranei, ma rispondono ad alcune regole di ordine e riproduzione vincolate alla costruzione di un luogo. Queste regole, tuttavia non sono fisse, ma
rappresentano il prodotto di un continuo processo di azioni messe in atto dall’ individuo finalizzate all’interazione con l’ambiente in cui vive. La conoscenza dell’identità di un territorio rappresenta una manifestazione visibile della complessità multidimensionale che definisce un luogo e per giungere a questa conoscenza risulta necessario partire dall’applicazione di una strategia che prevede una visione interna, dal punto di vista dei gruppi sociali che determinano quali sono e come si identificano gli elementi che danno forma all’ identità di un territorio o di uno spazio specifico. In questo modo l’identità territoriale assume una connotazione distinta rispetto alle semplici caratteristiche del territorio, per essere contenuta all’interno di un gioco interattivo tra le dimensioni visibili e simboliche del territorio, prodotto dell’elaborazione tra le diverse pratiche
sociali di un determinato gruppo di persone, l’ambiente culturale e semiotico da esse formato e la struttura fisica che costituisce lo scenario. L’approccio aspira ad elaborare scenari futuri e strategie d’azione per il loro raggiungimento, volti ad individuare soluzioni desiderabili e possibili, a partire dal riconoscimento delle risorse patrimoniali disponibili e potenziali del luogo e del suo contesto. Considerando la città come una complessa articolazione di luoghi, si studia quindi, la coordinazione strategica tra le seguenti dimensioni essenziali: le pratiche sociali in riferimento a diversi gruppi; il significato attribuito a queste pratiche dai gruppi che le svolgono e dal resto dei gruppi che abitano un determinato luogo; le caratteristiche fisiche dello scenario che fanno da supporto alle pratiche sociali e al significato che la comunità gli attribuisce. L’ipotesi principale
stabilisce che a seconda della configurazione dello schema socio-fisico-simbolico dei legami sinergici tra corrispondenze socio-simboliche e congruenze socio-fisiche, o a seconda dello schema genetico del luogo, emergeranno le chiavi per comprendere come funzionano le regole di un luogo, così come se ci sono o meno, i presupposti per sviluppare processi partecipativi. Le congruenze socio-fisiche fanno riferimento alla capacità in termini strutturali, di un determinato scenario, di accogliere le attività svolte da uno o più gruppi sociali; mentre le corrispondenze socio-simboliche si formano a partire dall’analisi delle coincidenze dell’attribuzione di significato dei diversi gruppi rispetto a vari elementi indagati: ad un altro gruppo sociale, ad un’attività o ad uno spazio. A partire da questi presupposti, la tesi propone di sviluppare una strategia conoscitiva adatta all’interpretazione della complessa articolazione delle dimensioni socio-fisiche e socio-simboliche che conformano l’ambiente urbano de El Pozo. L’analisi delle componenti della società e dello spazio in cui essa agisce è stata suddivisa in tre ambiti definiti: modello fisico, modello sociale e modello simbolico2. Nel ‘modello fisico’ vengono indagati gli aspetti distintivi dello spazio a partire dalla forma dello stesso, dagli usi e dai flussi che generano le attività. Questo modello interpreta quindi, gli elementi che configurano il barrio, identificandone gli aspetti morfologici. La trama è il pattern che organizza la forma urbana riferita all’articolazione degli spazi. Può essere definita come una combinazione di pieni e di vuoti che possono prendere differenti configurazioni e contribuire alla percezione e al disegno dello spa33 zio pubblico. La manzana
appartiene al tessuto urbano ed è l’unità basica della trama, costituisce una guida, che segue il tipo di tracciato, determina la divisione del suolo ed è l’elemento indispensabile nella strutturazione della città latino-americana. Ne El Pozo le unità abitative si conformano in manzanas e in placas. Le manzanas sono di forma rettangolare di 8,30 x 20 metri, caratterizzate da una bassa densità edilizia e costituite da un pasillo peatonal centrale, mentre le 7 placas di 18 x 30 m, ognuna di 10 piani, rompono l’equilibrio spiccando per la loro imponenza. Le manzanas determinano la struttura del barrio che presenta un centro ben definito dove si trovano la maggior parte degli spazi pubblici e delle istituzioni. Nel bordo nord-ovest, in un’area soggetta a continue inondazioni, è presente un piccolo asentamiento informal sparso, dove vivono precariamente circa 40 famiglie, realtà che ha compromesso l’utilizzo della vicina spiaggia da parte della comunità residente. Per indagare le dinamiche del ‘modello sociale’, è risultato necessario identificare i gruppi sociali rilevanti che compongono la popolazione. Il concetto di gruppo sociale viene interpretato come un sistema di interazione differenziato dotato di un certo grado di organizzazione, all’interno di un contesto sociale. Le pratiche sociali sono in stretta dipendenza dal modo in cui lo spazio si presta allo svolgimento delle attività. Nel barrio si registrano differenti tipi di attività, sia negli spazi pubblici riconoscibili che nei grandi spazi verdi marginali, da quattro gruppi sociali: bambini, adolescenti, adulti e istituzioni. Contando su un’organizzazione comunitaria senza scopo di lucro, che funge da collegamento tra il governo locale e la comunità, la Vecinal, il lavoro di ricerca è stato impostato coinvolgendo i gruppi individuati.
Il ‘modello simbolico’ indaga le percezioni, i significati, i valori impliciti di una popolazione e degli attori privilegiati di una comunità, sperimentando, attraverso alcuni schemi cognitivi, l’interazione sociale e spaziale dei distinti gruppi sociali indagati. È strettamente legato al modello sociale ed alle percezioni e rappresentazioni riferite ai gruppi di persone ed alle attività che gli stessi svolgono in un determinato spazio. Per la definizione del lavoro sono state realizzate interviste, incontri diretti con la popolazione e con gli attori significativi del barrio, utili all’identificazione dei gruppi sociali ritenuti significativi. Nello specifico i gruppi individuati sono stati analizzati e sottoposti a dei questionari semi-strutturati per l’individuazione delle attività svolte da ciascun gruppo all’interno dei propri scenari di riferimento e del simbolismo che il singolo gruppo attribuisce allo spazio fisico. In questo modo il concetto di identità sociale assume rilevanza e si relaziona direttamente con il concetto di spazio simbolico, poiché anche l’identità sociale può derivare da un sentimento d’appartenenza ad un territorio. Analizzati i tre ‘modelli’ sono state definite le corrispondenze socio-simboliche, simbolico-fisiche e le congruenze socio-fisiche derivanti dal tipo di riconoscimento esistente tra i vari gruppi sociali. Tutto ciò ci ha fornito la possibilità di delineare le potenzialità e le criticità del barrio, da cui partire per sviluppare delle ipotesi di scenario. Ipotesi di scenario Il quadro di proposte progettuali è stato delineato con l’intento di migliorare la condizione di vivibilità della popolazione. Per rispondere alle necessità del barrio, l’obiettivo è stato quello di valorizzare le
potenzialità esistenti dando forma ad una rigenerazione urbana e sociale includendo la cittadinanza. L’ idea centrale è quella di creare una rete di spazi pubblici in grado di rispondere alle effettive esigenze della popolazione ed attivare, con l’aiuto delle istituzioni presenti nel barrio, delle iniziative in grado di responsabilizzare i residenti su temi quali l’ambiente, il rispetto e la convivenza, innescando un maggior senso di appartenenza ai luoghi. In questo modo la manutenzione del quartiere, in cui la Vecinal ricopre un ruolo di rappresentanza e di gestione, potrà essere garantita sul lungo periodo. La particolare posizione del barrio rispetto al centro della città di Santa Fe e la presenza di un unico accesso/ uscita, ci ha spinte inoltre ad intervenire sul sistema dei collegamenti. Si prevede infatti, a nord, un nuovo percorso carrabile-pedonale in grado di garantire un’alternativa ai residenti e nel resto del barrio sui tracciati esistenti, il potenziamento delle piste ciclo-pedonali incrementando il sistema di mobilità dolce. Queste proposte vengono avanzate in virtù di una ristrutturazione del sistema viario per attribuire una gerarchizzazione ai tracciati. Si prevede anche l’inserimento di aree specifiche destinate a parcheggio data l’insufficiente dotazione che offre il quartiere e che spinge i residenti ad occupare illegalmente gli spazi pubblici destinati ad altre funzioni. La messa in rete delle aree sportive esistenti con la realizzazione di un nuovo centro sportivo, dotato di campi da calcio, canchas, adeguati alle attività svolte dal Clúb de Fútbol, ha lo scopo di costruire un polo ricreativo per eventi ed attività, legate non soltanto all’ambito sportivo ma anche ad altre iniziative finalizzate al miglioramento della qualità di vita nel barrio.
La presenza dell’asentamiento informal sparso, elemento critico per i residenti del El Pozo, ci ha posto davanti all’esigenza di cercare una possibile soluzione. Data la piccola dimensione dell’asentamiento informal localizzato su aree inondabili, non potevamo non seguire le direttive del Governo della Città di Santa Fe, che ne prevedono la delocalizzazione ed il ricollocamento in un’altra zona. La riqualificazione dell’area prevede quindi la realizzazione di un parco caratterizzato dalla presenza di piccoli percorsi pedonali che condurranno ad una nuova passeggiata prevista lungo la Laguna e la presenza di aree di sosta attrezzate con gli asadores dove poter trascorrere del tempo libero. La vicina spiaggia acquisterebbe in questo modo una connotazione positiva, rappresentando un’attrazione anche grazie alle nuove installazioni stagionali e alla possibilità di svolgervi eventi culturali e sportivi. Conclusioni Indagare la questione della vivienda social per capirne le logiche di produzione, ha evidenziato il problema critico dei grandi conjuntos habitacionales degli anni ’70 che presentandosi come ‘soluzioni’ immediate al problema abitativo non hanno avuto un riscontro positivo sul lungo periodo. In generale, la maggior parte dei complessi realizzati, caratterizzati da un’alta densità edilizia e lontani dai nuclei urbani, non solo non hanno risposto alle reali necessità sociali ma, presentando anche una bassa qualità tecnologica e una carenza infrastrutturale, hanno contribuito alla rapida perdita di valore degli immobili. La riqualificazione dello spazio pubblico agisce come un dispositivo di integrazione e partecipazione sociale, non solo attraverso le politiche convenzionali, come la sistemazione
Uno spazio pubblico nel Barrio El Pozo
dei singoli spazi, ma soprattutto, attraverso un’attenta analisi dello spazio di riferimento, della percezione e delle dinamiche di interazione tra i gruppi. La partecipazione della collettività è stata fondamentale per definire le problematiche più rilevanti e di conseguenza individuare le proposte di progetto da avanzare alla comunità stessa. L’efficacia delle ipotesi progettuali dovrà essere verificata soltanto a seguito di un riscontro da parte della popolazione coinvolta in un successivo processo partecipativo.
Note
Bibliografia
1 Negli articoli “El lugar urbano como estrategia de conocimiento proyectual en urbanismo” e “El lugar urbano deconstruido en correspondencias y congruencias entre mente-territorio-sociedad” di Marcelo Zárate (Universidad del Litoral – Santa Fe) viene spiegata la metodologia per interpretare il concetto di luogo e poter comprendere l’ambiente urbano in cui si interviene, considerando gli abitanti come attori protagonisti. 2 In questo lavoro utilizziamo il termine ‘modello’ - riprendendo la terminologia originale dell’approccio - inteso come ‘ambito’ e non per indicare una realtà ben strutturata.
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La rivitalizzazione dei centri storici 37
Introduzione Marina Visciano Scuola di Architettura Università Degli Studi di Firenze
Il presente capitolo affronta il tema della valorizzazione dell’insediamento storico in diverse realtà italiane attraverso la proposta di strategie integrate d’intervento e la definizione di azioni progettuali coerenti. A dispetto del loro valore patrimoniale, i contesti oggetto d’indagine sono caratterizzati da fenomeni di marginalizzazione, per certi versi analoghi a quelli solitamente riscontrabili nelle periferie urbane, che si manifestano in forme più o meno gravi, dalla perdita di attrattività sociale al degrado fisico e ambientale, dal parziale disuso al totale abbandono delle strutture e degli spazi urbani. Il filo conduttore che lega le esperienze riportate risiede dunque nell’obiettivo di restituire una nuova vitalità ai centri storici attraverso gli interventi proposti di recupero e rifunzionalizzazione del patrimonio esistente. Dal punto di vista metodologico, i tre saggi sono accomunati dal ricorso all’intervista agli stakeholder e ad esperti locali come strumento di approfondimento, in fase di costruzione del quadro conoscitivo propedeutico al progetto, dei punti di forza e di debolezza dell’area di studio. Nel secondo e nel terzo saggio si dà inoltre conto del lavoro di schedatura del patrimonio edilizio, effettuato nell’ambito della tesi di laurea al fine di individuare le funzioni e le modalità d’intervento più idonee al tessuto oggetto di studio. Il primo contributo, di Gaia Biccheri, fa riferimento ad un contesto, l’Umbria, che da tempo ha messo il tema della rivitalizzazione degli insediamenti storici al centro delle politiche regionali promuovendo, con la L.R.12/08, la redazione da parte dei Comuni singoli o associati dei Quadri Strategici di Valorizzazione (QSV), strumenti complessi specificamente finalizzati al coordinamento di politiche, azioni, progetti riguardanti i Centri Storici. L’oggetto dello studio è un’area del quartiere San Bibliografia Caniggia G., Maffei G.L. 2008, Lettura dell’edilizia di base, Alinea Editrice, Firenze. Piano R., Arduino M., Fazio M. 1980, Antico è bello. Il recupero della città, Laterza, Roma-Bari. Turri E. 2002, La conoscenza del territorio: Metodologia per un’analisi storico-geografica, Marsilio Editori, Venezia.
Pietro a Gubbio, che, sebbene dotato di servizi pubblici, soffre della mancanza di un luogo riconoscibile come centrale. Alla luce di questo, il progetto propone otto interventi, di cui alcuni di rifunzionalizzazione ed altri di recupero e trasformazione degli immobili esistenti e degli spazi aperti circostanti. Il secondo saggio, di Michele Salvante, sviluppa il tema della valorizzazione del centro storico di Gravina, in Puglia in un contesto fortemente segnato dal fenomeno dell’abbandono. Lo studio riguarda in particolare il rione Piaggio, oggi disabitato a causa della sua difficile accessibilità viaria, delle condizioni di degrado degli immobili, dell’assenza di servizi e infrastrutture di base, etc.. Il quartiere è stato sottoposto a un censimento degli immobili attraverso una schedatura volta a individuarne la compatibilità rispetto al contesto ed i livelli di alterazione in relazione alle condizioni originarie. Sulla linea degli indirizzi dettati dal piano strategico
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elaborato dall’amministrazione gravinese sono stati avanzati degli scenari progettuali per la rigenerazione del quartiere, nei quali sono state attribuite agli immobili abbandonati destinazioni d’uso compatibili con le caratteristiche emerse dal censimento. Il terzo contributo, di Jlenia Zaccagna, affronta infine la valorizzazione del patrimonio edilizio storico nel cuore di Livorno. Partendo da uno studio sull’evoluzione urbana della città labronica sono state approfondite le dinamiche di trasformazione del centro storico e in particolare della ‘città mercantile’ caratterizzata dal sistema dei fossi, dalle residenze e dalle cantine commerciali. Le relazioni che intercorrono tra queste tre componenti dello spazio urbano hanno permesso di stilare una classificazione di tipi edilizi a cui, attraverso la redazione di un piano strategico di valorizzazione, sono stati definiti in modo puntuale usi compatibili e interventi ammissibili. La valorizzazione del tessuto edilizio è stata inserita infine in un più generale progetto di rifunzionalizzazione e valorizzazione dei fossi anche a fini turistici.
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Il progetto: San Pietro, la Casa della Cultura. (Sviluppo progettuale di un’azione del QSV)
Dalla frammentazione alla connessione: un’ipotesi per Gubbio. Il quadro strategico di valorizzazione nei Centri Storici Umbri Gaia Biccheri
Introduzione In Italia i centri storici sono ormai da anni oggetto di attenzioni particolari da parte di amministrazioni pubbliche e privati, non solo per gli aspetti culturali e storici che ricoprono ma per la forte incidenza, in positivo o in negativo, nell’economia di un ente locale. Talvolta hanno difficoltà a mantenere la loro posizione perché le innovative fonti economiche e sociali si spostano all’esterno delle mura lasciando i tessuti storici spopolati e con carenza di servizi. La Regione Umbria si è indirizzata su questo argomento con la Legge Regionale n.12 del 12/07/08 Norme per i centri storici per promuovere azioni integrate volte alla valorizzazione degli insediamenti storici. La legge riconosce come strumento cardine il Quadro Strategico di Valorizzazione: atto di programmazione nel quale confluiscono in maniera coordinata ed organica interventi ed iniziative; con lo scopo comune di rivitalizzare, riqualificare e valorizzare i centri storici Umbri. La struttura insediativa dell’Umbria denota una costellazione di piccoli o medi centri e la quasi assenza di grandi città. Questa conformazione porta da un lato al mantenimento dei caratteri identitari e dall’altro genera uno stato di isolamento che si rispecchia
poi in vari aspetti economici e sociali. Per perseguire gli obiettivi e gli scopi prefissati la Regione ha tradotto l’essenza della pianificazione strategica, ovvero quel processo di pianificazione con il quale si fissano obiettivi di un sistema e si indicano mezzi, strumenti e le azioni per raggiungerli in una prospettiva futura in cui si definiscono criticità, opportunità e identità di un territorio. La pianificazione strategica è un concetto mutuato essenzialmente dall’economia aziendale, quando diviene prioritaria la necessità di allocare correttamente le risorse economiche al fine di incentivare la ripresa e la ricostruzione evitando ulteriori perdite. Il primo tentativo regionale individua il Programma Urbano Complesso come strumento redatto da una pluralità di soggetti che collaborano alla riorganizzazione di parti della città. Ad oggi possiamo definire i PUC propedeutici al rinnovo dei processi tradizionali. Il Quadro Strategico di Valorizzazione come rete Nel 2008 la L.R. 12/08 ha introdotto il Quadro Strategico di Valorizzazione come contenitore e strumento di indirizzo delle scelte e degli interventi, sovra-ordinandolo al PUC.
Il soggetto principale del QSV è il centro storico concepito come organismo integrato e relazionato alla sua periferia, relazione imprescindibile. La legge regionale 10 luglio 2008, n. 12, Norme per i centri storici, “detta norme per la rivitalizzazione, riqualificazione e valorizzazione dei centri storici, nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, della disciplina per la tutela dell’ambiente, dei beni culturali e del paesaggio e dei principi fondamentali stabiliti dalla normativa statale in materia di governo del territorio” (L.R. 10/07/2008, n.12, art.1, c.1). Lo strumento che la Regione Umbria ha ideato per perseguire tali obiettivi è il QSV, “programma di valorizzazione dei centri storici, compresi gli ambiti di rivitalizzazione prioritaria […], che delinea le politiche generali che il Comune intende attuare per conseguire gli obiettivi” (Ivi, Art. 2). Il QSV si configura come processo, discostandosi fortemente dalla concezione tradizionale italiana di pianificazione urbanistica. Perché costruire un ‘processo’? “Processo: […] ogni successione di fenomeni che presenti una certa unità, e in genere ogni
Corso di Laurea Triennale in Pianificazione della Città, del Territorio e del Paesaggio Relatore: Prof. Fabio Lucchesi Co-relatore: Prof. Francesco Berni Luglio 2015
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aspetto della realtà in quanto sia l’espressione di un divenire” (Enciclopedia Treccani). Analizzando l’art. 1 della citata L.R., possiamo comprendere che l’intento della norma sia proprio quello di rendere il QSV espressione di un divenire, dando una meta, assolutamente trasversale rispetto a tutte le azioni della Pubblica Amministrazione. E quindi il QSV viene definito come “percorso circolare e reiterativo che non termina con la formulazione del documento, ma resta attivo come ‘tavolo’ di confronto, di aggiornamento e di successiva elaborazione di politiche di valorizzazione, […] centrato sul ‘tavolo dei portatori d’interesse’ che ne segue l’attuazione. […] Il percorso partecipativo alimenta, implementa e re-indirizza (ove necessario) il documento” (Regione Umbria, 2010, p.2) All’art. 3 si elencano gli obiettivi generali per il raggiungimento delle finalità. Questi obiettivi si delineano in idee forza condivise, grazie alle quali si attivano azioni di tipo urbanistico, economico e sociale. Nel Titolo II - POLITICHE DI SVILUPPO, si viene alla definizione dei contenuti del QSV, ed al metodo di attuazione. È infatti dall’interazione pubblico-privato e dalla partecipazione attiva che il piano strategico, una volta definiti gli scenari auspicabili, trae i contenuti specifici ed operativi. Sono presenti gli aspetti economici nella loro sostanza e viene esposta la necessità di definire in quale modo gli obiettivi economici saranno perseguiti, con quali strumenti di legge, con quali metodologie formative, ed inoltre come ne saranno controllati i risultati. Ed ecco che si entra nel cuore del processo: il QSV si mostra come rete, che tiene insieme la trama, costituita dalle singole azioni-obiettivi, e l’ordito, costituito dai singoli strumenti necessari ad effettuarle. Il tessuto che
ne scaturisce nel tempo raffigura il centro storico, nel ruolo per esso disegnato dal QSV. Il Titolo III - INTERVENTI NEI CENTRI STORICI, costituisce regolamento, snellisce le procedure attuative urbanistiche ed edilizie, definisce le premialità per incentivare gli interventi di riqualificazione. Il processo di formazione del QSV Nel 2010, la Regione Umbria approva le Linee guida per la definizione del QSV dei centri storici. In esse si possono rintracciare tutti i passaggi e contenuti che la letteratura specializzata attribuisce alla metodologia della pianificazione strategica. L’articolazione del processo formativo è la seguente: 1. La fase preparatoria e propositiva: l’attivazione del processo. La prima fase costituisce l’avvio del processo, consiste nell’attivare tutti i soggetti cointeressati alla rivitalizzazione dell’area. Il prodotto finale è il Dossier Preliminare, quest’ultimo avvia il processo partecipativo vero e proprio e quindi le fasi successive; 2. La concertazione della visione e degli obiettivi strategici. Attraverso il documento preliminare si avvia la partecipazione, parallelamente avviene la concertazione con i soggetti cointeressati che esporranno, qualora ci fossero, divergenze e interessi. Il prodotto di questa fase è il Documento Strategico che conterrà la vision strategica della città; 3. Negoziazione e programmazione degli interventi. Nella terza fase si ha il documento definitivo, le decisioni prese nella fase precedente si conformano in questa costituendo assi strategici con conseguenti azioni e interventi. L’esito della fase produce il Piano di Azione del QSV, questo documento non sarà il punto di arrivo definitivo
Fasi del processo di costruzione del QSV (Linee guida per la definizione del quadro strategico di valorizzazione dei centri storici, Regione Umbria, 2010)
ma è grazie ad esso che partirà il vero processo di valorizzazione; 4. Gestione e monitoraggio del QSV. Nell’ultima fase il soggetto decisionale opera su due linee parallele: Da una parte garantisce e gestisce il regolare svolgimento degli interventi e dall’altra controlla e verifica gli obiettivi prefissati con i risultati ottenuti e reindirizza lo strumento se necessario. Periodicamente verrà prodotto, dopo aver effettuato il monitoraggio, un Dossier di Monitoraggio che descrive lo stato di avanzamento degli interventi, dal punto di vista della quantità e della qualità. I Quadri Strategici di Valorizzazione in Umbria La seguente parte descrive tre QSV, redatti in Umbria a seguito della L.R.12/08, per comprendere come operativamente le amministrazioni hanno accolto la prescrizione di legge. Ogni comune ha improntato e assimilato le linee guida per adeguarle al proprio tessuto insediativo,
costruendosi un programma ‘ad hoc’ in grado di recepire la personale storia e identità. Il processo che si attiva fa perno su una visione integrata e multisettoriale e l’elasticità dello strumento, inoltre, permette modificazioni successive alla stesura finale e il sistema di monitoraggio in itinere, ne consente l’individuazione. I comuni analizzati sono il Comune di Spello, il Comune di Castiglione del Lago ed infine il Comune di Gubbio, oggetto specifico di un’ipotesi progettuale. Premesso che le tre realtà sono notevolmente diverse le motivazioni per le quali sono state scelte possono essere individuate nelle caratteristiche innovative e peculiari dei programmi strategici svolti, interpretazione concreta della duttilità dello strumento. Spello 3A: Attrattività, Accessibilità, Accoglienza Il comune di Spello è un comune umbro di circa 8.600 abitanti, si ricorda che per la L.R. 12/08 i comuni inferiori a 10.000 abitanti non erano obbligati
Stato di fatto (Evoluzione degli strumenti urbanistici dal Piano Astengo del 1964 ad oggi)
pagine successive, a sinistra Valore architettonico (Classificazione del grado di alterazione del patrimonio edilizio) a destra Le piazze (Classificazione degli spazi pubblici carrabili e pedonali)
a redigere il quadro strategico. L’amministrazione pubblica di Spello tuttavia ha visto il QSV come una possibilità a vantaggio dell’intera comunità e del territorio, redigendo il dossier preliminare nel 2008 e il documento strategico nel 2011. Innovativo in questo caso è l’utilizzo dello strumento che delimita il territorio del QSV inglobando al centro storico le aree di notevole valenza storica-ambientale limitrofe. Il fulcro del documento è costituito da tre indicazioni che insieme costituiscono le ‘Tre Anime’ che porteranno alla rigenerazione del centro storico. Il comune di Spello si prefigge un centro storico maggiormente attrattivo, accessibile e accogliente.
«Sicuramente abbiamo un territorio agricolo limitrofo al centro storico di elevato valore paesaggistico ed economico sul versante orientale e collinare. Nella parte montana del territorio comunale ci sono anche dei siti di interesse comunitario che hanno valore naturalistico decisamente importante, sul versante nord-occidentale abbiamo un’emergenza architettonica di grande valore storico rappresentata da villa Fidelia e dal suo parco che è quasi in continuità al centro storico. Noi come amministrazione abbiamo cercato di dare importanza e risalto a tutto quello che per noi è di grande valore storico, architettonico ed ambientale, ed è giusto che gli si riconosca».
Intervista al referente della redazione del QSV L’incontro con l’Ing. Spoletini, incaricato alla redazione del documento ha delineato i punti forza e le azioni svolte da questo QSV. Alla domanda: «Perché avete scelto di integrare il territorio?» egli ha risposto:
Castiglione del Lago: La bellezza diffusa Nel 2013 il comune di Castiglione del Lago ha redatto il dossier preliminare, termine della prima fase preparatoria e propositiva; successivamente nel 2015 ha concluso il documento strategico. Castiglione del Lago è
un comune umbro di circa 16.000 abitanti e sorge su un promontorio situato sulla riva del Lago Trasimeno. Il comune ha subito descritto l’area amministrativa come un sistema insediativo di tipo ‘policentrico’ e su questo punto ha creato le basi e il cardine fondamentale del proprio QSV. Questa caratterizzazione introduce una forte identità collettiva che mira ad una visione strategica a lungo termine. Si punta alla riaffermazione dell’intera struttura policentrica in grado di rivitalizzare, direttamente e indirettamente, l’intero territorio. Intervista al referente della redazione del QSV Per comprendere meglio gli aspetti positivi e negativi, quelli che hanno funzionato e i progetti avviati è stata svolta un’intervista all’Arch. Marinelli che si è occupato della redazione della parte urbanistica del QSV. Alla domanda: «Nel QSV svolto quali sono gli aspetti qualitativi che emergono?» egli ha risposto: «Sono sostanzialmente la conferma dell’indicazione
e degli indirizzi della prima fase del QSV, sia per il centro storico sia per le altre unità minime con carattere particolare. Per tutti abbiamo cercato, sempre in sintonia con la strumentazione urbanistica, di confermarne il ruolo. Ruolo legato all’immagine, ad un uso, una frequentazione. Abbiamo immaginato che queste attività da inserire o potenziare avessero una facilità di ubicazione e localizzazione nel centro storico. Gli indirizzi dell’amministrazione privilegiavano alcuni luoghi da rivitalizzare come piazze e strade, per quanto riguarda il capoluogo, e invece i luoghi centrali che rappresentano il palcoscenico sociale nelle frazioni. Piazze dove pochi anni fa si trovava la bottega, il macellaio e tutti quei servizi di vicinato ormai scomparsi adesso dovrebbero riconvertirsi e rivitalizzarsi. Sul centro storico del capoluogo in particolare ci siamo estesi al di fuori del limite urbano, le grandi attenzioni riposte di45 ventano quindi elementi
di approfondimento e redazione incentrati sul rapporto tra centro storico e il lago. Per citare un esempio ricordo il progetto riguardante i percorsi definite ‘scese’, la riqualificazione di antichi tracciati di rapporto e di discesa verso il lago vengono richiamati come elementi connettori di qualità tra centro e il lago, alcuni anche in chiave, dove possibile, meccanizzata ma non è l’obiettivo cardine. Il nodo principale è che queste radici tornino a funzionare». Gubbio Caposaldo della civiltà Umbra Il Comune di Gubbio ha ritardato la redazione del quadro prescritto dalla LR 12/08, concludendo il dossier preliminare nel 2014 e il documento strategico nel 2015. Rispetto ai comuni precedentemente analizzati il territorio Eugubino presenta elementi strutturali ed insediativi differenti, dovuti sia all’importanza storica che Gubbio ha rivestito negli anni sia alla popolazione residente di circa 33.000 abitanti. Ricordiamo anche che la superficie del territorio comunale è la prima della Regione e la settima a livello nazionale, ciò si traduce in un territorio fortemente caratterizzato da insediamenti sparsi e quindi di difficile pianificazione messa a sistema. La delimitazione del QSV ripropone l’area che già nel 2008 il PRG aveva riconosciuto come ‘centro storico’. La volontà che emerge dall’idea forza di questo strumento consiste in una serie di azioni che coordinate daranno nuova vita al centro storico, l’obiettivo principale quindi è costituire attraverso la manutenzione urbana una città da vivere e visitare, ricca di servizi e opportunità. Per la sua notorietà e il ruolo centrale nelle dinamiche e vicende urbanistiche, Gubbio è stata la sede della fondazione ANCSA nel 1961 che per
rinnovare il suo legame con la città ha contribuito alla stesura di alcune analisi preliminari al QSV. Intervista al referente della redazione del QSV L’intervista può facilitare la lettura e l’evidenziazione della struttura e del processo degli strumenti strategici rispetto a quelli tradizionali. Per quanto riguarda il QSV di Gubbio è stata svolta un’intervista all’Ing. Casagrande, referente dello strumento. Alla domanda: «Nel QSV svolto quali sono gli aspetti qualitativi che emergono?» egli ha risposto: «Abbiamo inserito per settori i vari interventi, l’aspetto che emerge è la chiara volontà di uniformare questa città e puntare sulla sua unicità e identità, senza aggiungere un surplus
inutile che non la arricchirebbe. Grazie a questi interventi Gubbio riprenderà l’identità di caposaldo della civiltà Umbra, per la sua storia, i suoi reperti e le sue caratteristiche. Una visione cosi strutturata potrà offrire un ‘pacchetto’ completo al turista in visita, ma anche al residente che deve aver voglia di vivere la città e godere dei suoi servizi.» Gubbio Gubbio, città Umbra antichissima, conserva all’interno del suo centro una stratificazione storica complessa. Possiamo riassumere in tre grandi periodi la sua struttura e ad ognuno di essi attribuire vicende e impianti urbanistici differenti. Le Tavole Eugubine, sette tavole in bronzo scritte in umbro e latino nel quale vengono
illustrati riti e cerimonie della città, definiscono il primo periodo. Il secondo periodo della strutturazione urbanistica di Gubbio è riconducibile alle dinamiche storiche ed urbanistiche della città medievale, profondamente mutata, ma contenente le tracce della città umbra. Con il controllo di Gubbio da parte dello Stato Pontifico termina la seconda fase di caratterizzazione urbanistica del centro storico. Il periodo post-unitario, infine, stabilisce la sua terza ed ultima composizione. Se fino a questo momento le iniziative avvenivamo all’interno delle mura urbiche all’inizio del Novecento c’è un sostanziale reindirizzamento dell’espansione verso la periferia.
c. Quadro strategico di Valorizzazione Già ampliamente descritto, il QSV si interpone tra il PRG e gli strumenti attuativi di dettaglio. Questo strumento garantisce una programmazione a breve-medio-lungo termine e garantisce strategie condivise dalla società grazie agli eventi partecipativi e ai vari soggetti interessati.
Analisi del contesto a. Il Piano Astengo Il piano Astengo, redatto tra il 1956 e il 1960, fu per Gubbio una tappa fondamentale che ne sancisce l’ingresso nella modernità. Astengo disegna la città partendo dalla tutela della parte storica. Per limitare l’espansione nella piana agricola il piano prevede delle direttrici di espansione laterali. La forma dell’insediamento moderno, disposto a corona rispetto il tessuto storico, si delinea in due forme e funzioni diverse: la parte orientale predilige la ‘residenza qualificata’; la parte occidentale invece, ospita un tessuto misto che mantiene predominante la zona di lavoro. Nella parte centrale del capoluogo limita la crescita edilizia preservando la visione della città storica da ogni punto.
Astengo prevede inoltre un collegamento di scorrimento veloce che congiungesse i punti estremi dell’espansioni, interviene nel rafforzamento delle molteplici frazioni Eugubine e nella tutela del tessuto agricolo. b. Il Piano Regolatore Vigente Dopo molteplici varianti al piano il comune di Gubbio nel 2005 prende la decisione di redigere un piano innovativo e adatto alle nuove esigenze storiche. La parte strutturale definisce: • Le aree di conservazione e le aree di trasformazione; • Il sistema delle infrastrutture predisponendo salvaguardie e vincoli; • Il sistema delle invarianti: vale a dire le scelte di lungo termine, ovvero
le condizioni per la tenuta in equilibrio dell’ecosistema territoriale. Il piano operativo agisce più specificatamente nella trasformazione dell’assetto del territorio, attraverso obiettivi e prescrizioni previsti dal piano strutturale. Il PRG, parte operativa prevede: • Norme di uso e attuazione sui vari tessuti della città; • Disciplina il sistema della viabilità e dei servizi; • Individua le parti della città oggetto di trasformazione; • Individua le parti della città da riqualificare; Piano strutturale e piano operativo si richiamano e si integrano costituendo la vera essenza del piano di Gubbio.
d. Programma Urbano Complesso Se il QSV riguarda la visione organica dell’intero tessuto storico ciò non avviene per il PUC incentrato nella parte est della città, in quanto notevolmente sofferente. Nel 2003 partono gli interventi a nord dell’area fino ad arrivare nel 2007 alla fase esecutiva del parcheggio multipiano e della relativa stecca commerciale. Questo intervento ha portato una dilatazione temporale e dei costi a carico del privato. Successivamente al fallimento della ditta il comune ha ripreso in mano l’intervento, modificando l’assetto della copertura e lasciando a secondo stralcio il nuovo edificio. Quest’ultimo ad oggi non è ancora concluso ma il QSV ha predisposto destinazioni che permetteranno di riqualificarlo. Sviluppo Progettuale di un’azione delineata dal QSV Questo excursus dell’evoluzione degli strumenti urbanistici motiva la scelta di intervenire sviluppando un’azione del quadro riguardante la parte est del centro storico. Si prevede quindi una nuova attrattività nel quartiere di San Pietro in grado di restituirgli la giusta posizione. Lo stato attuale dell’area in esame vede ubicate aree residenziali, attività commerciali, il complesso monumentale di San Pietro e la ex palestra di epoca fascista, tutti legati dalle anti47 che mura urbiche.
Gli strumenti urbanistici destinano quest’area ad interventi di valorizzazione e il QSV inserisce due funzioni, una culturale e l’altra di tipo commerciale. Il centro storico di Gubbio vede nella sua parte orientale delle forti carenze a livello urbanistico, gestionale, sociale e di dotazione di servizi commerciali e di somministrazione. Proprio per questo l’ipotesi progettuale è stata prevista nel quartiere di San Pietro, attuando le linee guida anticipate dal quadro strategico. Analisi conoscitiva Le tavole di analisi permettono in fase progettuale l’elaborazione propositiva e migliorativa dell’area scelta e sono in grado di comprenderne potenzialità e criticità. Gli elaborati prodotti esaminano: 1. Valore architettonico; 2. Accessibilità; 3. Stato delle pavimentazioni; 4. Piazze e larghi; 5. Parcheggi; 6. Vegetazione. Per ragioni di sintesi verranno trattati solamente due degli aspetti che compongono il quadro conoscitivo, ritenuti fondamentali per la conoscenza ed interpretazione del luogo in fase analitica ed una corretta consapevolezza in quella progettuale. 1. Valore architettonico La tavola riconosce il valore degli edifici storici suddividendoli in 4 categorie che vanno dagli edifici più rilevanti a quelli giudicati fuori contesto, sia per le trasformazioni subite sia per le caratteristiche moderne che non corrispondono alla tradizione. Nell’area d’intervento notiamo come edifici di bassa qualità architettonica circondano il complesso monumentale e altre residenze tipiche. In fase progettuale al riguardo si è pertanto posta particolare attenzione con adeguate considerazioni.
4. Piazze e larghi Tipici luoghi della socialità dei residenti e dei turisti, la collocazione delle piazze e dei larghi nel centro storico è omogenea. Per una più accurata analisi sono stati classificati gli spazi in carrabili e pedonali, distinguendo così il grado di fruibilità di ogni piazza. Nella zona di San Pietro troviamo una carenza di socialità, infatti l’unico spazio riconducibile alle categorie descritte è la piazza antistante la chiesa, che non offre comunque opportunità di stazionamento ma è definibile come luogo di transito necessario per raggiungere servizi e parcheggi. La ‘casa della cultura’ nel Quartiere di San Pietro Progettare all’interno di un’area storica può diventare complesso in quanto ci si può imbattere in pensieri conservativi che portano alla ‘mummificazione’ della città. Bisogna invece pensare ad interventi che diano nuovo respiro senza intaccare i valori e l’identità storica. È importante comprendere la complessità insita nel luogo, ponendosi l’obiettivo di esaltarla piuttosto che diventarne schiavi. L’obiettivo del progetto è quello di riqualificare quest’area mettendo in connessione ed integrando le parti attualmente disgregate e degradate. Grazie a questo metodo si è in grado di far comunicare molteplici tasselli, anche se progettati singolarmente. In partenza si sono localizzate le connessioni esistenti, implementandole nel progetto; queste sono in grado di dare permeabilità, visiva o concettuale, tra i vari spazi e le rispettive funzioni. A seguire sono state costituite le zone e i temi a cui inspirarsi. Nel complesso di San Pietro sono già esistenti alcune funzioni culturali, come la biblioteca e la scuola di liuteria. Proprio per questo si è reso necessario uno studio ricognitivo per
introdurre funzioni non ridondanti e utili all’obiettivo di San Pietro ‘Casa’ della Cultura. Nel planivolumetrico generale si prevedono otto interventi, alcuni di rifunzionalizzazione ed altri di recupero e trasformazione. 1. Il percorso delle arti e dei mestieri 2. Signum, il largo del creare. Questi due spazi sono stati immaginati come fronte (le mura) e retro (il largo) di una bottega artigianale. Lungo il fronte prende vita la parte espositiva quando, ultimato idealmente il prodotto, l’artigiano lo presenta alla comunità. Questo è possibile in quanto il progetto riporta alla luce le mura, demolendo tutti gli edifici che le ostruivano e lasciando completamente libera la loro vista grazie al posizionamento di un tappeto erboso che ospiterà esposizioni temporanee artistiche, indirizzati a materiali adatti all’esterno. Si prevede lo spostamento della fermata dell’autobus adiacente al nuovo impianto di risalita pedonale che permette la connessione tra i due spazi e quindi una maggiore fruibilità ed attrattività. L’impianto porta al parcheggio pavimentato, attualmente Largo degli Alberaioli, il quale sarà riqualificato attraverso la ripavimentazione e la distribuzione formale di sedute e illuminazioni. Negli edifici attualmente vuoti è previsto l’inserimento di attività di artigianato di qualità, in continuità con le funzioni in precedenza descritte. La pavimentazione nuova sfrutta i tracciati e i coni visuali esistenti e diventerà uno spazio sociale di pertinenza delle attività e dei servizi. 3. Lo spazio del ristoro sociale Il progetto si propone di eliminare il dislivello giocando su due piani differenti. Viene lasciata una parte a verde, rialzata rispetto alla piazza,
ed invece viene pavimentata la restante abbassandola. Il dislivello non eccessivo ha consentito l’inserimento, lungo il cordolo, di un muretto con funzione di seduta. Di fronte questo spazio attualmente c’è un affollamento di veicoli ed è il luogo dove settimanalmente si posizionano bancarelle mobili perciò creare una zona pavimentata migliora la fruibilità di tutta l’area. La funzione collocata in questo spazio è di tipo ricreativo, dove l’utente può fermarsi e godersi la vista prospettica della porta storica, socializzare e eventualmente usufruire di un servizio di somministrazione ormai da decenni non più presente e quindi ripristinabile; 4. Il luogo della pausa Lo stato di degrado attuale dello spazio porta alla decisione di rimuovere il parcheggio sterrato e inserire uno spazio parzialmente pavimentato. Questo luogo, storicamente associato alla tradizionale Festa dei Ceri, verrà riqualificato inserendo una nuova pavimentazione divisa in tre settori a ricordo di tale festività. Al centro verrà posizionato un lastricato sopraelevato che, in chiave moderna, ha l’intento di mostrarsi punto di ‘gravità’, elemento che appoggia al terreno. L’intervento destina la funzione del riposo e della pausa, idea alimentata grazie alla conformazione dello spazio, chiuso su tre lati. La vista della parete destra della chiesa, di notevole carattere architettonico, verrà ripristinata attraverso la realizzazione di uno spazio verde. 5. Scuola comunale di musica ‘Oderisi da Gubbio’ Il QSV prevede la riorganizzazione degli uffici comunali. Il settore finanziario sarà dunque trasferito e si verranno a creare locali nel complesso monumentale di San Pietro. Dato che fino al terremoto del 1997 era
presente la scuola di musica, che i locali sono idonei ad ospitare questo tipo di attività e che la musica rientra perfettamente nell’accezione di polo culturale, si è convenuto il ripristino che ridarà una sede dignitosa alla scuola. Per suggellare la ricollocazione si è intitolata la scuola all’eugubino miniatore Oderisi che lavorò sui corali della chiesa di San Pietro. 6. Il centro di bookcrossing L’area che ospita attualmente la stecca commerciale, nel progetto viene completamente trasformata. Dell’edificio rimane solo la parte in cui è ubicato l’ascensore e le scale del parcheggio multipiano, definendo una struttura di piccole dimensioni ad una falda. La copertura viene effettuata con Acciaio Corten, che permette una contestualizzazione e al contempo non rende finto l’intervento. Per eliminare il dislivello di 1.5m sono stati progettati tre gradoni pavimentati, che restituiranno la connessione tra il complesso e la palestra. La funzione di bookcrossing prevista diventa un’appendice della biblioteca, grazie al quale sarà possibile seguire gli spostamenti dei libri distribuiti gratuitamente. 7. La pavimentazione identitaria È predisposta una ripavimentazione completa di tutta l’area con pietra locale, detta ‘Gengone’, data la presenza continua di asfalto gravemente compromesso. Il disegno si distingue in tre parti principali: c’è un prolungamento del cono pavimentato di Piazza San Pietro, la disposizione a ‘spina di pesce’ delle vie in pendenza e in maniera regolare delle vie piane. La nuova configurazione migliora il Quartiere di San Pietro, incidendo positivamente su tutto il centro storico.
8. Il mercato coperto La palestra accoglierà al suo interno varie funzioni commerciali, a loro volta inserite nel centro commerciale naturale. La pertinenza inerbita non permette l’insediamento di vegetazione in quanto la copertura di un parcheggio non presenta le necessarie caratteristiche. All’interno di quest’area, inoltre si trovano due connessioni, una presente già nel progetto del PUC1 riguardante un impianto di risalita che permetta di arrivare al vicolo trasversale a Corso Garibaldi e una nuova connessione progettata, che dalla parte est dell’area porta in Via Cavarello.
Bibliografia
Conclusioni Connessioni mentali e connessioni reali creano una rete di sostegno al progetto che, fondato in uno strumento come il QSV, va a modificare l’assetto di un quartiere che negli ultimi decenni ha visto una progressiva marginalizzazione. Nonostante oggi sia sede di vari servizi, non riesce ad avere attrattività o identità e convogliare flussi turistici. Per concludere la pianificazione strategica diventa quindi una procedura utile alla composizione di cronoprogrammi per la visione delle prospettive del territorio che ovviamente non deve solo aggiungersi ai molteplici strumenti esistenti. Affinché la pianificazione strategica, ed in questo caso il quadro strategico di valorizzazione, produca effetti nel centro si deve passare all’operatività reale e al confronto con la forma e la materialità della città.
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Panoramica del rione Piaggio
Dal degrado alla rinascita. Linee programmatiche per la riqualificazione del rione Piaggio a Gravina
Cenni storici e sviluppo urbano della città di Gravina in Puglia Con un’altitudine media di 360 mt sul livello del mare, la città di Gravina in Puglia è situata nella parte centro occidentale della Puglia ed al confine con la Basilicata. Il territorio comunale si estende per circa 385 km2 e attualmente fa parte della città metropolitana di Bari. Parte della città si sviluppa sulle sponde di un crepaccio profondo simile ad un canyon scavato nella roccia calcarea dal torrente Gravina, da cui prendono il nome le famose gravine della murgia in un territorio caratterizzato dalla presenza di numerose cavità carsiche. La storia di Gravina ha un’origine antica. La comparsa dell’uomo nel territorio gravinese è accertata già dall’epoca quaternaria d’età paleolitica. I ritrovamenti archeologici risalenti al VI-V secolo a.C., sulla collina di Petramagna1, confermano l’esistenza di un’importante città d’origine greca denominata Greca Sidion o Sidies. Con l’invasione da parte dei vandali di Genserico, Silvium fu rasa al suolo e i suoi superstiti non poterono far altro che rifugiarsi nelle grotte di tufo della Gravina sottostanti il colle di Petramagna e nei rioni Piaggio e Fondovico. Con il dominio bizantino nell’Italia Meridionale, la popolazione scelse come località più opportuna per
Michele Salvante l’impianto di nuove case, la pianura adiacente dove il sottosuolo offriva un ottimo materiale per la costruzione: il tufo granulare. Nacque così la civiltà rupestre. Sorsero in questa località, nuove case e nuove edifici, che con quelli esistenti nei rioni Piaggio e Fondovico, vennero a formare un solo insieme chiamato Borgo Vecchio. Nel 1069, la città divenne feudo dei Normanni, che la resero contea. Durante la dominazione normanna, Gravina apparve riorganizzata entro una solida cerchia di mura. Al possesso del feudo di Gravina giunsero nel 1380 la famiglia Orsini del ramo di Taranto che domineranno per quattro secoli la scena di Gravina. Nel 1865, con la redazione del primo PRG, la città fu impegnata nella ricostruzione urbanistica secondo gli schemi murattiani. La città storica, nel corso di un secolo e mezzo, ovvero dalla creazione della città ottocentesca perse progressivamente ogni funzione di centralità: gli abitanti dei rioni antichi abbandonarono gli antichi quartieri, che subirono una progressiva ‘periferizzazione’. Alla fine del ’900, l’espansione unicamente residenziale si realizzò lungo le nuove strade (via Bari, via Ragni). Nacquero spontaneamente i
quartieri di via Fazzatoia, San Domenico, Cappuccini e Giulianello, senza alcuna dotazione di infrastrutture. Nel 1972, il prof. Arch. Achille Petrignani, presentò un nuovo piano regolatore generale, imperniato alla formazione di un sistema urbano in grado di affrontare l’imperterrito isolamento della città. L’ambizioso programma prevedeva un notevolissimo ampliamento del perimetro urbano e la realizzazione di grandi infrastrutture pubbliche, ma la regione Puglia lo considerò troppo vasto e lo approvò in parte. Nel 1989 si ha la redazione e l’adozione del nuovo P.R.G. che fu approvata solo nel 1994. Con uno sguardo attuale possiamo constatare che il piano del 1994, privilegiando un’impostazione di tipo razionalista presenta delle evidenti criticità e incongruità soprattutto nel rapporto tra il contesto storico-morfologico-ambientale e le destinazioni d’uso e gli indici urbanistici assegnati. La struttura urbana che caratterizza oggi Gravina è l’esito dell’evoluzione urbana sinteticamente descritta, questa può essere definita a semi-stella in quanto si è sviluppata solo da un lato a causa dell’impedimento fisico costituito dalla presenza della barriera naturale/Gravina.
Corso di Laurea Triennale in Pianificazione della Città, del Territorio e del Paesaggio Relatore: Prof. Giuseppe De Luca Co-relatore: Arch. Luca di Figlia Aprile 2016
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Ruderi all'interno del rione
Il rione Piaggio Il rione Piaggio, ubicato in un’insenatura del torrente burrone ‘La Gravina’, è il quartiere di fondazione della città di Gravina in Puglia. È sorto intorno al X secolo a.C. e viene indicato con il nome latino ‘Pagus’2. Esso si presenta come il frutto di un’evoluzione storica che si è strutturata nel tempo, dando vita ad un tessuto misto di stratificazioni che si sovrappongono. La stratificazione delle varie epoche (medievale, rinascimentale e in parte anche quella
più moderna) si articola dando vita ad un unicum misto, ma equilibrato. Il Piaggio è sempre stato un rione composto da edifici di modesto rilievo architettonico (case grotta3e case terranee4), in quanto la sua popolazione, costituita da operai, contadini e gente umile, non aveva sufficienti capacità economiche per migliorare il proprio tenore di vita. A partire dagli anni ’60 fino al 1980, il quartiere è andato con gli anni spopolandosi anche a causa di un violento sisma, del 1980, che ha
provocato il crollo di diversi manufatti. Altri motivi hanno indotto la popolazione ad abbandonare un quartiere così antico e ricco di storia: il miglioramento del tenore di vita ha portato la popolazione a spostarsi verso nuovi quartieri adeguati alle esigenze del progresso; il rione ha vissuto in maniera più consistente il fenomeno migratorio dei giovani e dei senza lavoro verso i paesi del nord e all’estero; le varie amministrazioni e le associazioni culturali sono state disinteressate e assenti
nel porre attenzione con gli anni alla sua graduale agonia ed a recepirne il valore storico e ambientale. Attualmente il quartiere risulta inagibile (e di conseguenza invivibile) per le precarie condizioni in cui versano i fabbricati dovute al l’assenza di interventi di consolidamento statico sulle strutture e di manutenzione sui fabbricati, per la carenza di impianti idrici e fognari, per inagibilità viaria e per la mancanza di spazi pubblici, parcheggi e servizi. Pertanto, ha interrotto il suo status di organismo
vivente e da cuore pulsante è divenuto luogo dell’abbandono, completamente privo di abitanti. I luoghi abbandonati, lasciati dall’uomo, rappresentano quella parte di città che ha perso di significato, di valore, di vita e non vengono più considerati facente parte di una città, ma hanno un’entità diversa (Di Figlia, 2008). In merito a tali luoghi Vito Teti, antropologo che ha indagato a fondo la realtà dei paesi abbandonati in Calabria, afferma che: «[…] i luoghi abbandonati non muoiono mai. Si solidificano nella dimensione della memoria di coloro che vi abitavano, fino a costituire un irriducibile elemento di identità. Vivono di una loro fisicità, di una loro corposa e materiale consistenza. Si alimentano di uno spessore doppio e riflesso. Pretendono non la fissità, ma al contrario il movimento, il percorso fisico e mentale di una loro continua riconquista» (Teti, 2004, quarta di copertina). Nel rione Piaggio di Gravina sembrerebbe che sia accaduto quanto appena citato; una parte vitale del centro storico è divenuta marginale rispetto al resto della città divenendo così un luogo della memoria. Ciò nonostante, le possibilità di una sua rivitalizzazione sono elevate, considerando le potenzialità del territorio, ricco di valori storici e paesaggistici. Per le condizioni attuali il rione può presumibilmente aspirare ad attrarre l’interesse di una molteplicità di soggetti, in quanto è collocato in una posizione molto prossima alle principali vie del centro storico; ha un territorio morfologicamente attraente, data la presenza della gravina; ha un patrimonio immobiliare in stato di abbandono ma in condizioni no elevate di degrado e, ciò consente, un riuso a costi contenuti.
La vocazione turistica può trovare nuovi impulsi nella valorizzazione dell’intera area, dove si addensano i valori identitari, architettonici e ambientali, delle memorie del passato, la cui immagine può rappresentare il volano di sviluppo dell’intero centro storico. Considerando il valore storico ed estetico dell’abitato del Piaggio e, interpretando il desiderio della comunità di restituire il borgo a nuova vita, bisognerebbe puntare ad attività che: • promuovono la conoscenza dell’area; • sostengono iniziative finalizzate ad un rispetto etico, conforme alla bellezza del rione e del paesaggio nel suo insieme; • impediscono azioni che possono alterare le caratteristiche identitarie dei singoli immobili, del tessuto urbano e dell’ambiente naturale. Due attori a confronto per la valorizzazione del rione Piaggio Lo stato di degrado del rione è uno dei maggiori problemi che attanaglia la comunità gravinese. Per la sua valorizzazione, affinché non diventi oggetto di studio dei soli archeologi, negli ultimi anni il Piaggio è stato al centro dell’attenzione dell’amministrazione, di associazioni e di fondazioni. In particolar modo, mediante delle interviste, sono state confrontate le proposte di rivitalizzazione da parte del Comune (il piano strategico della ‘città murgiana della qualità e del benessere’) e del laboratorio di pianificazione partecipativa ‘Siamo Tutti Tufi’ (i piani di rigenerazione urbana). Il piano strategico della ‘città murgiana della qualità e del benessere’ Lo strumento di azione messo in atto dall’amministrazione gravinese è il piano strategico.
Il piano strategico ‘città murgiana della qualità del benessere’ è uno dei dieci piani strategici comunali di recupero e valorizzazione dell’identità storica, promossi dalla Regione Puglia. Fanno parte di questa iniziativa regionale quattro comuni storici dell’altopiano della Murgia5: Gravina in Puglia, Altamura, Santeramo e Poggiorsini, caratterizzati dalla presenza di un unico prestigioso sistema territoriale integrato. Il piano strategico nasce per dare risposta ai cambiamenti, intrinseci ed estrinsechi, che hanno interessato e mutato in modo significativo il territorio negli ultimi anni. Dall’analisi sul territorio è emerso che questi cambiamenti sono stati dettati dalla globalizzazione e dal mercato dell’economia, che, orientandosi verso una produzione industriale moderna, non ha prestato la dovuta attenzione alla sostenibilità ambientale. Infatti, il territorio, che affonda le sue origini sullo sviluppo agricolo, ha subito a partire dagli anni ’80 un processo di industrializzazione, che è risultato privo di un’adeguata trasformazione sociale e culturale.Il processo di industrializzazione ha interessato maggiormente il settore del mobile imbottito e dell’edilizia. Il primo ha causato un sensibile ridimensionamento del comparto agricolo, nessuna crescita nel settore terziario e soprattutto, essendo a conduzione familiare, nessuna crescita di capitale sociale. Il secondo ha provocato una trasformazione sociale e spaziale sui contesti urbani e rurali. Pertanto, le città, che prima si sviluppavano attorno ad un unico centro avente un’identità territoriale, si sono ampliate senza regole e soprattutto senza un’adeguata pianificazione territoriale; le qualità ambientali, culturali, di capitale sociale sono state consumate modificando le specificità territoriali.
Visto ciò, il piano strategico ‘città murgiana della qualità del benessere’ tenta di valorizzare gli elementi identitari, qualitativi e di competitività di un’area tramite la pianificazione strategica intesa come la costruzione di una visione condivisa del futuro di un dato territorio, attraverso prospezioni qualitative, interazione ed inclusione; come un patto tra amministratori, attori, cittadini e partner, per l’individuazione di assi strategici e con una serie di progetti integrati. Nel processo di pianificazione strategica è importante la partecipazione civica e il dibattito politico per adattare i progetti e le strategie di sviluppo. La partecipazione deve estendersi sui temi di sensibilizzazione collettiva e sulla coesione sociale, poiché può portare a una nuova razionalità comunicativa. Guardando il futuro, il piano si pone come fine quello di valorizzare il contesto ambientale assieme ai settori produttivi, affiancando a questi ultimi la risorsa ambientale. Il piano è basato sostanzialmente su 5 assi, ciascuno con obbiettivi specifici, linee di intervento ed azioni: • asse 1: abilità e vivibilità urbana; • asse 2: cooperazione comunale; • asse 3: valorizzazione del patrimonio storico, culturale ambientale ed archeologico del territorio; • asse 4: sistemi produttivi; • asse 5: Reti e mobilità. Intervista all’Arch. Michele Mastrodonato Per comprendere meglio le proposte progettuali in atto che, potrebbero risolvere i problemi di degrado del rione Piaggio, è stata svolta un’intervista all’Architetto Michele 53 Mastrodonato, respon-
sabile unico del procedimento del piano strategico della città murgiana. D. Esistono problematiche a livello burocratico (anche in merito al rapporto tra pubblico e privato) che ne impediscono il recupero del patrimonio immobiliare del rione Piaggio? R. Per quanto riguarda la burocrazia non sussiste nessun problema di questo genere. Uno degli elementi, che potrebbe essere inteso come cavillo burocratico, è la forte parcellizzazione delle singole proprietà. All’interno dell’area sono presenti 286 unità immobiliari e quasi 130 particelle catastali, ognuna delle quali suddivisa in più subalterni. Questo numero elevato di proprietari non è d’aiuto, dato che molto spesso rallenta i processi e le modifiche che potrebbero essere messi in atto sulle singole proprietà. Detto ciò, mi sembra ovvio che non si tratti di nessun problema burocratico: il rapporto tra pubblico e privato dovrebbe essere regolato da una visione condivisa che miri soprattutto alla salvaguardia dei beni storici privati e non. D. Ci sono azioni (progetti, proposte progettuali) in atto, che potrebbero risolvere i problemi di degrado dell’area? R. Non esiste alcun progetto che preveda la rigenerazione o il recupero del Piaggio. La situazione attuale è di stallo in quanto la pubblica amministrazione non possiede una liquidità per poter intervenire immediatamente. Come molto spesso accade, il comune di Gravina in Puglia ha chiesto alla Regione Puglia dei finanziamenti, ma quest’ultima ha avuto attenzioni particolari solo per la salvaguardia delle coste baresi e non dell’entroterra murgiano. Il quartiere è al centro di numerosi studi, oltre alle diverse tesi, e nel
2004 è stato oggetto di uno studio di fattibilità per la realizzazione di una Società di Trasformazione Urbana, che però non ha avuto seguito. Attualmente la pubblica amministrazione, attraverso il piano strategico della ‘città murgiana della qualità e del benessere’, ha candidato la rigenerazione del rione Piaggio assieme al rione Fondovico6 per un importo di circa 30.000.000 €7. In particolar modo propone di rivalutare l’area mediante albergo diffuso, operazione già avviata in alcuni edifici storici da alcuni lungimiranti albergatori della città con pieno successo. Poiché i fondi sono stati ammessi solo in parte, si prevedono tempi lunghissimi e, i crolli, che continuano a verificarsi, lanciano un grido d’allarme di un centro storico bisticciato dall’uomo e dalla politica. ‘Siamo Tutti Tufi’ e i piani di rigenerazione urbana ‘Siamo Tutti Tufi’ è un laboratorio di pianificazione partecipata da sempre sensibile al tema della riqualificazione e della valorizzazione del centro storico di Gravina, oltre ai problemi sociali, economici e di sviluppo che attanagliano l’intero territorio. Il nome ‘Siamo Tutti Tufi’, abbreviato anche con STT, prende spunto dal tufo (materiale di base utilizzato nelle costruzioni locali), ma soprattutto dal significato traslato dal dialetto ‘Essere di Tufo’ che significa alludere ad una certa durezza di comprendonio. Il suddetto movimento nasce nel 2011 con l’obbiettivo di risvegliare gli animi dei cittadini, coinvolgendoli prima con la conoscenza del territorio e poi con la partecipazione nella pianificazione. La conoscenza del territorio sottintende che si sappia dare significato agli oggetti territoriali, riconoscere le valenze storiche, culturali, fisiche
ed ambientali, in modo tale che ogni azione o nuovo intervento si saldino perfettamente con il contesto preesistente (Turri, 2002). È importante conoscere il territorio e i suoi valori culturali per difendere il concetto di identità locale, che è stato perso a causa delle tensioni globalizzanti dell'economia e della comunicazione mediatica. Obbiettivo fondamentale quindi per la conoscenza del territorio è acquisire la capacità di relazionarsi col patrimonio da tutelare e conservare al fine di recuperare le radici storiche e culturali di chi lo vive. Alla conoscenza del territorio segue la partecipazione nella pianificazione. La pianificazione partecipata è lo strumento che offre la possibilità per i cittadini, singoli o associati, di pronunciarsi sulle ipotesi di assetto e trasformazione territoriale previste dai piani e programmi urbanistici. Per la buona riuscita del processo partecipativo si deve svolgere un’attività informativa ed educativa finalizzata a perseguire una maggiore simmetria tra esperto ed abitante. Gli strumenti proposti da ‘Siamo Tutti Tufi’, volti a promuovere la riqualificazione del Piaggio e del centro storico, sono i piani di rigenerazione urbana (PRU). I PRU sono strumenti volti a promuovere la riqualificazione di parti significative di città e sistemi urbani mediante interventi organici di interesse pubblico. Essi comportano un insieme coordinato di interventi in grado di affrontare in modo integrato problemi di degrado fisico e disagio socioeconomico ed assumono gli effetti di strumenti urbanistici esecutivi di iniziativa pubblica o privata. I principali ambiti d’intervento di rigenerazione sono: i contesti urbani periferici e marginali interessati da carenza di attrezzature e servizi, degrado degli edifici e degli
spazi aperti; i contesti urbani storici interessati da degrado del patrimonio edilizio e degli spazi pubblici e da disagio sociale; le aree dismesse, parzialmente utilizzate e degradate. Intervista al Dott. Marcello Benevento Per mostrare il dibattito sull’area, in alternativa alla proposta avanzata dalla pubblica amministrazione, è stata svolta un’intervista al responsabile e fondatore di ‘Siamo Tutti Tufi’, Dott. Marcello Benevento. D. Esistono delle proposte avanzate da associazione ‘siamo tutti tufi’ per ridare vita al Piaggio? Se si, sono state prese in considerazione dall’amministrazione comunale? R. La nostra associazione non ha avanzato delle vere e proprie proposte progettuali mirate al rione in sé. Abbiamo proposto la rivitalizzazione del margine della gravina e all’interno di esso ricade lo stesso rione. Due idee, ossia recuperare il Piaggio con i paradigmi del riciclo e creare una sorta di parco dei ruderi, di cui siamo in pieno accordo, sono state lanciate da Maurizio Carta8 e Francesco Careri9, durante un workshop. Il riciclo, a differenza della rigenerazione, lavora necessariamente sullo scarto e sul residuo. Riciclare vuol dire, in altri termini, creare nuovo valore e nuovo senso. Un altro ciclo è un’altra vita. In questo risiede il contenuto propulsivo del riciclaggio: un’azione ecologica che spinge l’esistente dentro il futuro trasformando gli scarti in figure di spicco. Riciclare è oggi uno dei più ricorrenti pensieri per le trasformazioni urbanistiche delle città che vogliono percorrere la strada della sostenibilità, della qualità e della creatività. Il riciclo urbano – nuova e potente forza creativa – deve riguardare i numerosi materiali in disuso o in dismissione, sia abitativi, sia produttivi, sia
logistici che militari. Riciclare la città significa quindi generare una città più sostenibile, più responsabile, ma anche più creativa, capace di ripensare modelli di comunità urbana per reinventare le forme dell’insediamento a partire dalla riattivazione dei capitali urbani in dismissione, in mutamento, in crisi. In sintesi, una città regolata e guidata da un nuovo ‘sistema operativo’ generato dall’uso creativo delle tre R: riduci, riusa, ricicla. Per quanto concerne il parco dei ruderi, l’idea centrale è quella di mantenere la sacralità dei luoghi non modificandone la consistenza. L’edificato pericolante dovrà essere messo in sicurezza, senza apportare modifiche allo stato originario. Il rudere deve presentare i segni tragici del tempo e della natura, così come le abitazioni scoperchiate e inondate dalle spine e dagli alberi devono diventare veri e propri mausolei. L’edificato nel suo insieme, carico d’inquietudine, deve riappacificarsi con ciò che lo circonda. Purtroppo, queste idee non sono state prese in considerazione dalla pubblica amministrazione in quanto non hanno avuto un prosieguo progettuale e sono rimaste solo un’utopia. Nonostante questo, vorrei sottolineare l’azione dell’associazione ‘Vola’ che si è impegnata nel mese di Gennaio del 2013 nella rimozione delle erbacce e dei rifiuti; e poi vorrei ricordare l’evento organizzato dall’associazione ‘Mondo Beat’: l’11 Maggio 2013 il rione è stato riaperto e c’erano mercatini, gruppi musicali e dj set. Una splendida serata dove musica e arte hanno creato un connubio perfetto. D. I cittadini sono partecipi? Sarebbe importante per loro rivitalizzare questi luoghi?
R. Certamente! Gli eventi che sono stati organizzati hanno avuto una grande partecipazione popolare. In particolar modo, la popolazione è stata protagonista di una pulizia dei rifiuti effettuata nell’area. Inoltre, uno degli eventi da noi organizzati, è stato quello in Fiera dove abbiamo intervistato uomini e donne, di tutte le età, sulle questioni del centro storico e sulla sua importanza. Dai risultati ottenuti abbiamo potuto riscontrare che per la comunità è importante rivitalizzare questi luoghi non solo a livello urbanistico, ma per motivi affettivi. Azioni e strumenti L’elemento centrale del rione è costituito dagli edifici, i quali costituendo la parte preponderante dell’urbano, definiscono le forme e nei contenuti quella citata espressione di continua ed allo stesso tempo di ricorrente congruità. Il Piaggio si presenta come il frutto di coevoluzione tra natura ed edificato. Il tessuto edilizio formato soprattutto da case grotta e case terranee costituisce quello che si potrebbe definire soggetto della memoria storica. Ai fini di incoraggiare un processo di recupero dei simboli della memoria storica, si è messo a punto una schedatura dell’edificato esistente. La scheda prende in considerazione, con le diverse voci divisi per gruppi, gli aspetti architettonici e tipologici dell’edificato (caratteri fisici, caratteri architettonici, etc., ma anche quelli che servono a descrivere il contesto paesaggistico in cui questo è situato (caratteristiche spazi esterni pertinenziali, infrastrutture e accessibilità viaria) ed infine gli aspetti normativi (tipo di intervento ammesso e norma). Fase decisiva del lavoro è stata l’analisi e la comparazione con una
relazione tecnica del rilievo della consistenza e dello stato dei luoghi del rione Piaggio eseguita dal Comune di Gravina in Puglia nell’anno 2001. L’obbiettivo della scheda è la messa in luce e definizione, attraverso l’opportunità offerta dal rilevamento diretto, di quelli che sono gli elementi che determinano gli alti valori formali di un paesaggio fortemente storicizzato. Per il rione Piaggio sono state elaborate 47 schede. A seguire è stato inserito un esempio della schedatura. Questa operazione ha consentito di elaborare la lettura della compatibilità degli edifici rispetto al contesto tenendo presente lo stato di fatto dell’edificato e il livello di alterazione rispetto allo stato originario. Considerando lo stato di fatto dell’edificato, gli edifici si possono suddividere in edifici integri (ossia quegli edifici che mantengono la loro struttura senza aver subito alcuna modifica alle strutture portanti), edifici crollati parzialmente (ossia quegli edifici che non conservano parti delle murature esterne e della copertura) e ruderi. Mentre il livello di alterazione è stato classificato in nullo (ossia gli edifici conservano prospetti e finiture esterne allo stato originario), minimo (ossia gli edifici hanno subito modifiche non sostanziali come ad esempio apertura di vani e finestre, aggiunta di balconi) e consistente (ossia gli edifici hanno subito modifiche considerevoli rispetto allo stato originario come ad esempio aumento di volumetria e aggiunta di sopraelevazioni). Dalle schedature degli edifici è emerso che, gran parte degli immobili, ha subito considerevoli mutamenti allo status originario. Perciò per giungere alla definizione di un piano complesso d’interventi atti alla rigenerazione del rione Piaggio e alla preservazione della sua integrità e l’autenticità, è
stato ritenuto opportuno tracciare delle linee programmatiche al fine di descrivere modalità di azioni integrate, delineare un percorso coordinato di progettualità e orientare scelte volte alla sostenibilità ambientale ed economica. Le linee programmatiche suggeriscono interventi che, partendo dalla conoscenza della cultura materiale e delle tecniche costruttive premoderne, conducono ad azioni che pongono l’attenzione non solo al manufatto edilizio in quanto tale, ma in quanto elemento costitutivo del contesto entro cui tale edificio si colloca. Le linee programmatiche perciò tentano di applicare criteri d’ intervento che sono congrui con il principio di tutela del patrimonio storico e antico, modulando gli interventi per i vari ambiti. Essi mirano alla definizione di: • interventi sull’organismo edilizio. L’edificio e le aree di pertinenza sono oggetto di tutela e devono essere liberate a favore della riqualificazione dell’ambiente originario. Gli interventi devono riguardare la conservazione degli elementi qualificanti l’edificio e la rimozione delle superfetazioni, ossia di tutti quegli interventi avvenuti in epoca posteriore alla costruzione originaria e che non rivestono interesse ai fini della storia degli edifici. Pertanto, sono state suggerite azioni di tutela e valorizzazione del materiale locale, ossia il ‘tufo di Gravina’; esse riguardano i componenti dell’organismo edilizio (murature, coperture), le finiture esterne e prospetti (aperture, coronamenti balconcini, tinteggiature, infissi, canali di gronda e pluviali, linee e impianti elettrici), gli edifici crollati in parte e i ruderi; 55
Esempio di una scheda relativa al patrimonio edilizio esistente
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interventi sullo spazio pubblico. Ciascun spazio pubblico ha proprie caratteristiche spaziali, storiche, ambientali, sociali ed economiche. Esso è elemento chiave del benessere individuale e sociale, i luoghi della vita collettiva delle comunità, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale. L’obbiettivo degli interventi è quello di valorizzare e riscoprire i segni urbani storici strutturali, ossia gli elementi caratterizzanti che complessivamente qualificano il lessico urbano (pavimentazione, illuminazione, elementi di arredo urbano, verde, punti panoramici). Ad esempio, le pavimentazioni dovranno essere ripristinate utilizzando il basolato tradizionale realizzato con grossi elementi di pietra calcarea lavorati su una sola faccia (chianche); l’illuminazione dovrà essere a risparmio energetico utilizzando corpi illuminanti a braccio, a scarica e a led (già presenti nel centro storico); recupero degli edifici abbandonati. Le scelte per il recupero degli edifici abbandonati dovranno rispondere essenzialmente all’esigenza di ricostituire l’identità del manufatto dal punto di vista funzionale, attraverso interventi mirati al recupero del patrimonio storico e della sua conservazione e collocando attività che favoriscano la socializzazione.
Vision progettuale Partendo dalle linee programmatiche è stata elaborata una ‘vision progettuale’ che punta al recupero e alla valorizzazione dell’area secondo specifici indirizzi progettuali. Il progetto è intitolato il ‘Parco dei Ruderi’ in quanto i ruderi, elemento
identitario dell’area, dovranno essere conservati nel tempo eludendo lo stato di degrado e abbandono. Il ‘Parco dei Ruderi’ è il punto di arrivo di uno studio che ha portato ad una equilibrata e attenta distribuzione delle destinazioni d’uso dei fabbricati, tenendo conto di aspetti fondamentali quali i caratteri ambientali, le realtà produttive presenti, i bisogni della popolazione locale e le esigenze economiche. L’idea è la creazione di spazi di qualità urbana dove i cittadini possono riconoscersi e identificarsi. Le possibili destinazioni d’uso prevedono: costruzione di piccole botteghe di artigiani: riscoprire gli antichi mestieri, ridando visibilità all’artigianato inteso come prodotto di cultura, come testimonianza di un modo di essere, di lavorare e di ‘fare’ oggetti, legato a determinate localizzazioni geografiche e a precise tradizioni storiche (lavorazioni del tufo e dei tipici fischietti locali conosciuti come ‘cola cola’); • spazio vendita e promozione prodotti tipici: promuovere e valorizzare i prodotti tipici locali; accrescere la diffusione dei prodotti enogastronomici del territorio e facilitare la nascita di una catena di commercializzazione breve, in cui gli operatori dell’accoglienza e della ristorazione acquistano e favoriscono la vendita dei prodotti lavorati dai piccoli produttori locali; • spazi per la civiltà contadina: ricostruire il mondo affascinante della vita rurale che un tempo gli abitanti del rione svolgevano quotidianamente, il più fedele alla realtà e quindi, sale vive, accoglienti e curate nei minimi dettagli. Le varie strutture abitative ospiteranno al loro interno oggetti di uso quotidiano e attrezzi di vari mestieri. Esse saranno lo
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strumento attraverso il quale la comunità riuscirà a recuperare le proprie radici e la propria identità. Le abitazioni riusciranno a porsi come anello di congiunzione tra la cultura degli avi con le generazioni giovani; strutture per residenza artistica: ridare qualità agli immobili abbandonati attraverso la pittura e la scultura, adibendo parte dell’immobile alla mostra e parte come laboratorio artistico. L’incontro con l’arte potrebbe divenire uno strumento di rinnovamento del tessuto urbano; strutture ricettive alberghiere (albergo diffuso): dare vita ad un modello di sviluppo del territorio che non crea impatto ambientale, mettendo in rete quello che esiste già. A differenza di altre forme ricettive, questa rappresenta anche una filosofia dell’ospitalità e dello sviluppo turistico dei territori. Essa è adatta per valorizzare borghi e paesi con centri storici di interesse artistico od architettonico che in tal modo possono recuperare e valorizzare, vecchi edifici chiusi e non utilizzati ed al tempo stesso possono evitare di risolvere i problemi della ricettività turistica con nuove costruzioni. Le sue componenti sono dislocate in immobili diversi, che si trovano all’interno dello stesso nucleo urbano. L’aggettivo ‘diffuso’, denota dunque una struttura orizzontale e non verticale come quella degli alberghi tradizionali, che spesso assomigliano ai condomini. L’albergo diffuso è anche un modello di sviluppo sostenibile attento alla cultura dei luoghi nella valorizzazione dei materiali locali, ossia il ‘tufo di Gravina’.
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spazi per le associazioni culturali: creare poli di valenza culturale, che combinano attività divulgative ed educative. Il rapporto diretto con il territorio urbano in cui nascono, definisce target, azioni e potenziali risorse, riuscendo a lavorare per aggregazione di bisogni sociali e servizi; temporary shop: è una strategia di marketing per lanciare un nuovo prodotto, far conoscere le proprie collezioni o promuoversi nel settore dei servizi; i temporary shop sono ‘esercizi temporanei’ la cui durata può variare da pochi giorni ad un mese. Essi rappresentano la nuova frontiera del commercio, in quanto sono in grado di attirare l’attenzione dei consumatori e hanno successo soprattutto perché trasformano lo shopping in un vero e proprio evento esclusivo; residenze: ricondurre la popolazione a rivivere l’area, riappropriandosi dei luoghi e rendendo abitabili gli immobili recuperabili. Attuare degli interventi di risanamento conservativo, riportando gli spazi in luoghi antropologici per eccellenza; infopoint: rispondere a qualsiasi richiesta di informazioni su attrattive, eventi e manifestazioni in programma per far conoscere le bellezze del rione Piaggio ai residenti ed ai visitatori. Per poter consentire al visitatore di avere informazioni utili immediatamente è importante che l’infopoint si trovi vicino agli ingressi del rione.
Nel ‘Parco dei Ruderi’ assume un valore di grande rilievo il verde, inteso come elemento di completamento dell’area e come vitalità dello spazio. 57
Il verde si caratterizza per una forte continuità con il paesaggio circostante e pertanto deve essere considerato un valore importante da preservare. Al fine di creare un corretto connubio tra insediamento e ambiente è necessario attuare particolari interventi di tutela e salvaguardia degli orti urbani, dei giardini e del verde urbano, valorizzando anche il verde panoramico (creazione di piattaforme in legno). Quello che si propone è un possibile esito progettuale, ma non l’unico. I molteplici esiti progettuali però non mutano la vision che rimane immutata, cioè il recupero e la valorizzazione dell’area secondo specifici indirizzi progettuali definiti tramite le linee guida. I due scenari di progetto, che sono scenari mutevoli, che si basano su step sequenziali, che sono definiti tramite destinazioni d’uso ponderate sulle caratteristiche degli immobili censiti, ambiscono a far rinascere, restituendo a nuova vita, l’intera area Piaggio. Il rione Piaggio non è solo un ‘quartiere di tufo’, ma un quartiere delle relazioni e dell’uomo: qualcosa di vivo, con una propria storia che deve essere fatta riemergere e rivitalizzata. Affinché esso ritorni ad essere un elemento urbano vitale e propulsivo sia dal punto di vista culturale/sociale sia da quello economico, è necessario intraprendere un percorso di riqualificazione dell’area interessata dal degrado del patrimonio edilizio e degli spazi pubblici modulando gli interventi secondo scelte mutevoli: il piano di interventi, definito difatti vision progettuale, risponde all’esigenza di adeguarsi facilmente al cambiamento delle situazioni di contesto e dei fattori d’influenza con cui inevitabilmente un progetto di lunga durata deve confrontarsi ma al
contempo, mediante le linee guida, il grado di flessibilità che assume rimane vincolato ai principi fondamentali d’ispirazione progettuale, cioè i principi di riqualificazione sostenibile del territorio.
Riqualificare significa ‘dare qualità agli spazi’ attuando scelte strategiche più oculate che prestino maggiore attenzione agli aspetti architettonici e conservino un intrinseco valore storico-culturale.
In tale ottica appare rilevante pertanto la necessità di compiere accurate analisi e attente valutazioni circa la reale possibilità di beneficiare del ‘riuso edilizio’.
Note 1 La denominazione Petra-Magna, fu data al colle posteriormente alla distruzione della città che su di esso ebbe sede, e va riferita alla sua mole rispetto agli altri colli che circondano Gravina. 2 Fa parte del lessico amministrativo romano e sta ad indicare una circoscrizione territoriale rurale. 3 Hanno ambienti di dimensioni limitate, realizzate attraverso lo scavo e la regolarizzazione di grotte naturali. 4 Hanno ambienti di dimensioni limitate (20-25 mt) e sono costituite da un piano fuori terra. 5 La Murgia è un’area vasta situata tra la Puglia e la Basilicata, costituita da una estesa sub-steppa fatta di altopiani e colline di roccia calcarea, anfratti naturali ed inghiottitoi carsici. 6 Dal latino ‘Vicus’, quartiere piccolo; assieme al Piaggio sono i quartieri originari della città. 7 La Regione Puglia ha ammesso, ai fondi per i programmi di rigenerazione urbana, solo il rione Fondovico. 8 Urbanista, architetto e docente italiano. Professore ordinario di urbanistica del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo, Autore di: Governare l’evoluzione: Principi metodi e progetti per una urbanistica in azione, FrancoAngeli, Milano 2009. 9 Architetto e Ricercatore Universitario presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Roma Tre, Autore di: Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Einaudi, Torino, 2006.
Bibliografia Di Figlia L. 2008, Luoghi nella memoria Paesi abbandonati come risorsa identitaria e possibili scenari di rivitalizzazione, tesi di laurea in Architettura, Università di Firenze, non pubblicato.
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Teti V. 2004, Il senso dei luoghi. Memoria e storia dei paesi abbandonati, Donzelli editore, Roma. Turri E. 2002, La conoscenza del territorio: Metodologia per un’analisi storico-geografica, Marsilio Editori, Venezia.
Dalla città mercantile a industriale: individuazione delle quattro zone
Sistema dei fossi livornesi: dalla città mercantile all’attuale realtà urbana
Jlenia Zaccagna
Introduzione Questo studio di massima presenta alcune indicazioni di lavoro per la realizzazione futura, di progetti che mirano alla valorizzazione del circuito dei fossi e di tutto il patrimonio annesso, intendendo in questo senso tutte quelle strutture e infrastrutture che segnano marcatamente e in molti casi, valorizzano la città di Livorno. Nel corso dello studio si è cercato di considerare l’intero sistema dei fossi come un unico ‘monumento lineare’ che nel suo insieme necessita, specialmente per alcuni suoi tratti, di una globale riqualificazione. Grazie allo studio della storia urbana, abbiamo potuto vedere che le vie d’acqua hanno avuto sempre primaria importanza fin dall’epoca della fondazione della città, sia nel corso delle vicende urbanistiche che nei progetti di pianificazione che l’hanno interessata; questi programmi si sono, seppur diversamente, sempre confrontati con la conformazione idraulica che la città aveva ormai assunto. Purtroppo, però, ultimamente il ruolo, le potenzialità e il valore storico-artistico dei fossi, hanno perso la loro importanza, quale memoria di una città come Livorno che sembra sempre più soffrire di una sorta di crisi di identità dovuta proprio, a una perdita di memoria. Per questo diventa ancor più
significativo il tentativo di far avvicinare al punto fondamentale, ovvero dove si presenta maggior concentrazione storica e quindi vitale per la città, l’interesse pubblico, condizione fondamentale per arrivare ad un programma qualificante. Il nostro lavoro, si è quindi articolato nell’individuazione delle principali tappe delle vicende storico- urbanistica di Livorno, ponendo particolare attenzione ai fossi e alle varie trasformazioni e progetti di pianificazione che li hanno interessati; è stato attribuito questo metodo perché risulta imprescindibile una impostazione di tipo storico, per qualsiasi progetto e indicazione operativa che abbia come fine la valorizzazione o riqualificazione di una città. In questa prima fase abbiamo ripercorso l’evoluzione che ha subito il sistema dei fossi, individuando tutti i tracciati di trasformazione. Abbiamo anche analizzato lo stato attuale del sistema, cioè tutte le caratteristiche che riguardano i fossi (come l’altezza delle sponde, gli spazi utilizzati, le attività presenti) e ci siamo accorti che le trasformazioni avvenute nel corso del tempo, hanno caratterizzato completamente l’intera città, fino ad arrivare ad avere la situazione che si presenta oggi giorno.
Il lavoro si sposta successivamente sull’analisi delle zone, classificate a seconda delle loro caratteristiche, ovvero abbiamo individuato quattro zone: la prima riguarda il secolo XVIXVII, la seconda si avvicina al secolo XVII- XVIII, la terza fa riferimento al secolo XIX e la quarta al secolo XIXXX. Queste zone hanno caratteristiche e tipologie completamente diverse, che hanno caratterizzato l’intera area, e che ci è sembrato opportuno analizzare profondamente, vista la loro stretta relazione con il sistema cosi da chiarire la vera identità della città. Di seguito si procede allo studio di quelle particolari componenti che fortemente segnano e caratterizzano il sistema stesso. Si tratta degli scantinati che si aprono a livello dell’acqua, un tempo utilizzati come spazi per il deposito merci, in particolare nel quartiere Venezia, e adesso utilizzati per scopi diversificati e per molti non adeguati. Specialmente nel quartiere Venezia, queste cantine non vengono sfruttate al meglio, infatti dalla nostra indagine emerge che la maggior parte di esse non sono utilizzate, o meglio, sono abbandonate. Questi magnifici spazi sotterranei sono stati completamente lasciati a morire, senza interessarsi
Corso di Laurea Triennale in Pianificazione della Città, del Territorio e del Paesaggio Relatore: Prof. Carlo Natali Co-relatrice: Arch.Marina Visciano Aprile 2016
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più della loro importanza e della loro pregiata caratteristica storico- patrimoniale. La parte successiva del progetto affronta la questione attuale delle cantine, ovvero si cerca di fornire più dati possibili per intraprendere la strada migliore per un futuro intervento. Abbiamo così analizzato, a seconda delle zone individuate precedentemente, le caratteristiche e le strutture tipologiche, le proprietà e gli usi. Infine, grazie a quest’analisi, si procede alla redazione di norme strategiche per le suddette particolari componenti del sistema infrastrutturale dei fossi, e a una possibile progettazione futura dell’uso delle acque. A seconda delle diverse tipologie delle cantine, abbiamo individuato delle strategie pensate a lungo tempo; le schede di strategie che abbiamo redatto sono tre e riportano al loro interno le seguenti indicazioni: tipologia della cantina, stato attuale, obiettivi, usi compatibili e infine gli interventi possibili. Queste schede, risultano molto utili per un qualsiasi progetto futuro che vada a interessare questo patrimonio storico, così da riuscire a valorizzarlo e tutelarlo nel modo giusto. Evoluzione storica dei fossi livornesi e l’individuazione del sistema Grazie all’approfondimento dell’evoluzione subita nel corso dei secoli dai fossi livornesi, possiamo notare, che subiscono continui cambiamenti a causa delle esigenze della città, delle trasformazioni urbanistiche e delle trasformazioni che subisce il territorio. Analizzandoli nel loro complesso possiamo già notare il rapporto tra la città e i fossi, e anche le caratteristiche dello stesso sistema: 1. i fossi, nel loro complesso, definiscono un sottosistema specialistico del sistema portuale, necessario al trasporto delle merci e alla loro
distribuzione all’interno della città; in tal senso essi rappresentano una infrastruttura logistica “finalizzata allo svolgimento dell’attività di porto di deposito e ai bisogni di una popolazione che ha raggiunto al principio del Settecento le 18.000 unità” (Matteoni, 1993, p. 102); 2. un principio insediativo organico e completo, in grado di conformare unitariamente lo spazio privato e lo spazio pubblico, le funzioni distributive, quelle commerciali e quelle residenziali o di rappresentanza, che viene definito dai fossi della Venezia Nuova1, dagli scalandroni, dalle cantine voltate, dalle botteghe al piano strada e dai locali di abitazione ai piani superiori, che in tal senso essi costituiscono un sistema urbanistico eterogeneo ed integrato; 3. i fossi circondari, che possiedono un’identità propria e una propria spazialità, dai quali, per la presenza degli alti diaframmi delle mura di difesa, la città è appena percepibile; essi intagliano il piano della città scavando in alcuni tratti uno spazio molto ribassato dal carattere autonomo, un volume al negativo rispetto a quello positivo definito dagli isolati urbani sovrastanti; infatti essi costituiscono un sistema spaziale autonomo, differente da quello della Venezia Nuova dove, invece, il fosso è parte integrante dello spazio urbano; 4. la forma della città settecentesca, che viene definita dal sistema dei bacini portuali, dai fossi urbani e dalle opere di difesa militare, e che la disegnano come un ‘edificio unitario’, un unico organismo rispondente all’idea di città mercantile sicura; in tal senso il sistema dei fossi costituisce una componente essenziale della forma urbana. Risulta così molto interessante ripercorrere, fin dalla nascita del
piccolo borgo, tutte le fasi di trasformazione che hanno subito i fossi, visto la loro importanza all’interno della città, con dei cenni storici: nel secolo XVI-XVII la funzione dei fossi era puramente difensiva, come sostiene Matteoni quando conferma che era possibile vedere un fossato difensivo, situato tra il primo e il secondo baluardo; nel secolo XVIII-XIX ci avviciniamo verso la funzione commerciale, c’è da notare però che in un primo momento, perlomeno fino al primo decennio del Seicento, l’estrazione sociale degli immigrati sarà genericamente popolare andando a connotarsi come mercantile e cosmopolita alla metà del secolo; alla fine del secolo XIX fino alla situazione attuale la funzione si avvicina verso una realtà economica differente, ovvero la funzione economica- produttiva. Risulta così un unico grande complesso costituito da canali e infrastrutture che nasce, si sviluppa e si adatta alle necessità della città, “primo esempio di felice inserimento di un quartiere ottocentesco nel coerente sistema sei-settecentesco” (Bortolotti, 1959, p.42). Dalla città mercantile alla città industriale Si procede di seguito all’analisi dettagliata della parte del sistema dei fossi che in questo studio è stata oggetto di un’indagine più specifica, cioè delle strutture che caratterizzano in modo originale il tessuto urbano adiacente ai fossi, che costituisce gli scantinati che si aprono direttamente sul fosso e sulle banchine di attracco, al di sotto del piano stradale. Le più antiche sono proprio quelle del quartiere Venezia, ed è proprio in questa zona che la tipologia edilizia urbanistica concorre alle esigenze dell’attività economica e produttiva dominante, che porterà la città ad affermarsi come uno dei principali porti di deposito del
Mediterraneo. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, le cantine costituiscono uno dei livelli in cui si articola la tipologia edilizia e che consente un pieno sfruttamento dello spazio e di organizzazione attraverso i canali che permettono un agile sistema di trasporto e deposito delle merci. Questi spazi sotterranei, posti al livello del canale vengono utilizzati come magazzini per il deposito che in alcuni casi esiste anche uno stretto contatto con l’edificio soprastante, grazie al collegamento interno con il piano terra del palazzo, anch’esso area di deposito o adibita a bottega per la vendita diretta della merce. Le cantine che troviamo nelle altre zone presenti lungo il circuito dei fossi, non sono riconducibili a questa tipologia edilizia e presentano tuttavia alcune analogie. Abbiamo così preso in considerazione le aree, che presentano caratteristiche morfologiche omogenee per l’intero circuito dei fossi, grazie anche alla complessità e diversità che si presentano al loro interno. Lo sviluppo edilizio non avviene con caratteri omogenei, né per forma urbanistica né per uso del suolo; questo accade perché l’originario piano di lottizzazione (redatto dal generale Dal Borro), non interviene sulla destinazione d’uso dei lotti e non vincola le iniziative degli acquirenti. Viene data facoltà ai privati di prolungare la proprietà sotto il livello della strada pubblica, realizzando cantine voltate aperte direttamente sui fossi, dando origine a un modello urbanistico originale, basato sul rapporto strettissimo tra la via d’acqua e la strada, per la propria funzionalità e vitalità. L’uso delle cantine sotto il livello stradale costituisce una pragmatica risposta all’esigenza di ottimizzare i sistemi di trasporto e stoccaggio delle merci, trasportate via mare e distribuite via terra. Nel corso degli anni successivi, questo uso va
La città nascosta
a perdersi piano piano, a causa delle diverse esigenze dei cittadini visto che la tendenza economica della città si sposta, sempre di più, verso uno sviluppo industriale; le cantine però, rimarranno ugualmente l’elemento caratterizzante dell’intero circuito dei fossi. Per questo abbiamo individuato quattro zone, dove presentano tutte uno stretto rapporto con il fosso, ma le tipologie delle cantine al loro interno cambiano. Il criterio seguito per tale suddivisione è scaturito dal
confronto tra i dati storici e quelli attuali che ci hanno permesso di ricostruire le fasi dell’insediamento urbano relativo a seconda dei secoli, riscontrando così delle nette e interessanti diversità del sistema stesso. Grazie a questo, siamo arrivati ad individuare tipologie architettoniche distinte che si qualificano per la loro corrispondenza cronologica, funzionale e di adeguamento al sito. Le zone individuate sono quattro e restituiscono nel loro insieme l’intero circuito dei fossi.
Patrimonio edilizio esistente Le cantine Grazie a questa analisi dettagliata delle quattro aree individuate, abbiamo visto che nella prima zona, le cantine al livello del fosso non esistono e non sono mai esistite; esse si trovavano direttamente al piano terra, visto il mancato spazio sotterraneo. Perciò ci focalizzeremo solo sulle zone 2, 3 e 4, visto che al loro interno riscontriamo caratteristiche consone al nostro studio e alla analisi che vogliamo fare da ora in poi. Cantine della zona 2: • si trovano sotto la Venezia nuova; • spazi molto ampi; • locali votati a crociera sostenuti da grandi pilastri interconnessi tra loro a formare vasti magazzini protesi fin sotto gli edifici contermini e a esse collegati; • materiale usato è il laterzio; • dimensioni che misurano 4,30x 4,90 mt Ca. per un’altezza di 2,40 mt. Cantine della zona 3: • si trovano sotto gli attuali scali delle cantine zona Pontino; • non collegate con gli edifici; • locali con volte a botte; • dimensioni che misurano 4,50x 9 mt. Ca. per un’altezza di 2,10 e 3,00 mt. Ca. Cantine della zona 4: • si trovano nella zona della rettifica del fosso circondario; • forma allungata; • prima tipologia: volta a botte, dimensioni rettangolari di 3,40x 6,90 mt. ca. per un’altezza di 2,50 mt. Ca. • seconda tipologia: volta a crociera, dimensione allungata che misura 13x 9 mt. ca. per un’altezza di 4,50 mt. Ca. • terza tipologia: volta a crociera, dimensione allungata che misura 13x 9 mt. ca. per un’altezza di 2,30 e 2,70 mt. Ca.
La città nascosta Fondamentale per questo studio, risulta interessante analizzare e confrontare la reale superficie di origine delle cantine, con quella attuale. Abbiamo potuto vedere che nella zona 2, ovvero la zona più antica, la superficie delle cantine non viene più sfruttata totalmente, al contrario delle altre zone, la cui nascita risale ad un momento in cui la città si stava avvicinando sempre di più allo stato attuale, ovvero a una realtà economica-industriale in cui ci troviamo tutt’oggi. Analizzando in maniera più approfondita la zona più antica, possiamo vedere che si viene a perdere il principale sistema originario, ovvero il sistema che collegava direttamente la cantina con il fosso, la strada e l’edificio; tutto questo accade perché viene murato il passaggio tra la cantina e l’edificio, rimanendo accessibile solo dal fosso e dalla strada. La superficie attuale, accessibile e utilizzabile, arriva fino all’altezza della strada, rimanendo così inutilizzata gran parte della restante superficie. Un’altra problematica riscontrata, non condivisibile, è l’abbandono delle stesse cantine, infatti vediamo una netta maggioranza di spazi abbandonati da troppo tempo e quindi ormai inagibili. Grazie a questa analisi possiamo supporre che tutta questa superficie inutilizzata potrebbe diventare luogo di interesse per il nostro caso di studio, cercando di valorizzare tutta l’area e di far rinascere la città sotterranea abbandonata, viste le sue pregiate caratteristiche. La planimetria attuale della zona 2, ovvero la zona dove è presente la città nascosta e quella che necessita di maggior attenzione e valorizzazione. Vedremo che le cantine che troviamo in questa zona hanno la possibilità 63 di incrementare all’area,
che ritroviamo oggi, anche lo spazio sotterraneo non utilizzato, per capire così le opportunità ricavabili da tutto questo spazio. Cantine utilizzate e non utilizzate Come già visto nell’analisi precedente, passiamo ora ad individuare le cantine che ad oggi sono utilizzate e quelle che ad oggi non sono utilizzate. Il ruolo commerciale della cantina è andato sempre più marginalizzandosi durante il XX secolo, essendo venuto meno il ruolo di via d’acqua commerciale dei fossi per gli effetti della modernizzazione della logistica legata alle attività portuali. Solo nella seconda metà del XX secolo, con lo sviluppo della nautica da diporto e delle attività sportive popolari, le cantine hanno trovato un nuovo ruolo, nei migliori dei casi rappresentato da sedi e strutture per gli sport nautici, da circoli per la pesca sportiva o da laboratori artistici. Possiamo allora notare, grazie anche alla cartografia elaborata e grazie anche a sopralluoghi effettuati sul posto che nella zona più antica si presentano cantine abbandonate, in vendita da anni o addirittura utilizzate in via occasionale. Deduciamo quindi che questa area sia la più identitaria della città e che proprio per questo necessita di una valorizzazione, non potendo farla così morire, essendo già dalla sua nascita la zona più funzionale e caratteristica del luogo. Progetto strategico Possiamo notare come non si valorizzino le risorse locali della città o del territorio, perché manca un contesto di qualità strumentale, gestionale e comunicativa. Inoltre, siamo convinti che nessun investimento sul territorio possa essere innescato in assenza anche solo di uno dei seguenti fattori: il riconoscimento dell’autenticità
Superficie totale delle cantine utilizzate e non utilizzate
delle risorse locali, la coerenza degli obiettivi perseguibili in un contesto relazionale di carattere transcalare e la concezione di programmi di trasformazione efficaci ed efficienti. Come primo fattore fa capo il valore del sistema riconducibile agli elementi architettonici, sociali, paesaggistici e di cultura materiale caratterizzanti il sistema; il sistema dei fossi e delle cantine di Livorno è proprio uno di questi. Come secondo fattore invece, abbiamo la rappresentazione della
coerenza degli obiettivi di valorizzazione, derivabile dall’analisi delle potenzialità ancora inespresse, nell’ambito di un quadro di riferimento a scala locale, ma tenendo sempre di conto anche l’area vasta. Il terzo fattore attiene all’individuazione di contenuti di interesse strategico per lo sviluppo della comunità livornese e di strategie di trasformazione per le quali sia possibile determinare con chiarezza il grado di efficacia nel perseguimento degli obiettivi preposti.
Grazie a questi fattori possiamo impostare il nostro progetto di strategia, basato sulla redazione di norme, associate a zone che al loro interno riscontrano elementi in comune, così da garantire la valorizzazione dell’intera area, nel rispetto di ogni singolo elemento all’interno di essa. La qualità dell’area: verso il piano strategico Possiamo dire che un bene culturale così congegnato costituisce un dispositivo di strutturazione spaziale
che possiede sia un valore intrinseco, in quanto bene, sia un valore relazionale in quanto nodo attuale o potenziale di un sistema di rete. Questo consente di attribuirgli un nuovo ruolo, coerente con il contesto socioeconomico di riferimento oltre che con quello architettonico urbano e rispettando così tutto l’impianto storico. Il piano strategico di valorizzazione ha la funzione essenziale di cercare di attribuire all’ area locale del nostro studio una reinterpretazione del ruolo, cioè riconoscere il sistema dei fossi e delle cantine come una capacità connettiva all’interno di una rete di relazioni interconnesse tra loro dell’intera città; il suo valore sarà così molto più forte e avrà la qualità di svolgere un ruolo condiviso e riconosciuto all’interno della città che porterà ad attivare collegamenti funzionali, socioculturali ed economici. Il quadro relazionale che si genera, introduce nuove funzioni coerenti con il ruolo dei singoli elementi presenti nel circuito e consente di individuare i contenuti specifici di ciascun di essi. Perché promuovere le risorse del Sistema? Due azioni importanti da considerare, per utilizzare questo ‘bene’ in modo da incrementare lo sviluppo economico e il benessere della comunità insediata, sono sia dettare delle norme strategiche per le aree in esame, che progettare nel miglior modo possibile un nuovo sistema di gestione delle acque, considerando tutti gli elementi che fanno parte del Sistema dei fossi, al fine di tutelarlo, recuperarlo e valorizzarlo. Il processo stesso di formazione della reinterpretazione dell’area, e quindi di strategie e dell’uso delle acque, porterà alla massima valorizzazione della città nascosta e ad una corretta progettazione, aumentando la domanda di nuovi servizi, che prima era
solo latente o potenziale, fornendo un quadro chiaro di riferimento per le successive valutazioni sulla fattibilità e sostenibilità degli interventi previsti. Le nuove opportunità di investimento generate con l’attivazione del piano strategico di valorizzazione consentono all’amministrazione pubblica di impostare operazioni di marketing sul territorio per attrarre gli investimenti; infatti questa azione dovrebbe mirare al promuovere tutte le risorse, anche quelle in difetto di destinazione d’uso perché declassate o poco conosciute. La scoperta di nuove opportunità da un lato avvicina gli investimenti imprenditoriali ai temi della tutela della risorsa e dell’innovazione di processo e dall’altro consente alla pubblica amministrazione di assumere un atteggiamento ‘culturale’ nell’approccio alla gestione del patrimonio collettivo. Proposta strategica Nel corso di questo studio ci siamo chiesti quale ruolo può essere riservato alla risorsa ‘fossi’ se considerata come componente urbana strettamente correlata alle testimonianze di valore storico-culturale e alle componenti naturali della fascia costiera, alle strutture di connessione alla scala urbana e territoriale e alle dinamiche dell’economia del settore turistico e del trasporto croceristico. La valorizzazione dei fossi urbani si rileva uno strumento importante per connettere profondamente le principali risorse storico-culturali e ambientali della città labronica ai nodi strategici, compartecipando alla connotazione di un paesaggio culturale della pianura costiera di altissimo valore e pregio ambientale. Ci siamo anche chiesti il perché bisognerebbe investire sul centro storico e sui fossi in particolare e la risposta che ci siamo dati appare molto chiara. Il sistema di connessioni
evidenziato consente di accrescere l’accessibilità alternativa e cioè le vie d’acqua, ai luoghi d’interesse culturale e ambientale presenti nel territorio, generando nuove opportunità di conoscenza che possono diventare nuove mete da inserire nel mercato croceristico, producendo maggior presenza turistica e maggior ricchezza sul territorio. In questa ottica le risorse ‘fossi’ e la risorsa ‘cantine’, assumono maggior forza e senso, essendo il patrimonio storico-culturale e ambientale di livello locale; diviene così prevedibile che la messa a sistema dei fossi e delle cantine, possa innescare un effetto di trascinamento positivo per tutto il patrimonio urbano connesso alle vie d’acqua, indirizzando su questo gli investimenti economici e le conseguenti azioni di riqualificazione e recupero urbano. La valorizzazione del sistema necessita però di un avvio in grado di creare un immediato interesse commerciale e culturale, possibile grazie alle tabelle strategiche che abbiamo elaborato ai fini di migliorare la situazione attuale e futura di tutto il sistema dei fossi e alla nuova progettazione dell’uso delle acque. La realizzazione di nuove strategie di progetto che si prospettano a lungo tempo grazie proprio alla qualità architettonica e per le relazioni con il contesto, sono utili per poter generare flusso turistico, attrarre ulteriori investimenti, generare a sua volta servizi per la città e per il territorio. Queste strategie esaltano anche una doppia tradizione livornese: una è quella legata alla navigazione lungo i fossi per diporto, attività sportive, di promozione turistica e circoli nautici; l’altra è quella storico-culturale e del particolare sistema annesso, cioè le cantine, identitario della città. Queste norme strategiche permetterebbero anche un rilancio
dell’immagine di Livorno e consentirebbero di dare più significato alla tradizione del ‘giro dei fossi’, attività di promozione turistica già in essere; infatti le nuove attività in programma da queste norme, per le cantine abbandonate o mal utilizzate, prevedono l’accesso privilegiato, direttamente dalla via d’acqua proprio per veicolare i flussi turistici. È proprio nell›interconnessione spaziale tra piano della città e piano d›acqua, che risiede l›anima della città, infatti l’auspicio è che tali strategie possano innescare un effetto di trascinamento e riallocazione delle funzioni, che consenta di valorizzare le attività commerciali e culturali presenti nella zona, e di far conoscere a tutti la città nascosta. Progetto finale: le tabelle strategiche e la progettazione dell’uso delle acque Tenendo sempre in considerazione la suddivisione precedente delle zone, abbiamo deciso di attuare delle strategie per il patrimonio edilizio esistente, nelle zone 2, 3 e 4 (nella prima zona non esistono cantine al livello del fosso, e quindi la valorizzazione di quel sistema non sussiste). La divisione è stata fatta in base all’individuazione della localizzazione, della tipologia, dello stato attuale, degli obiettivi, degli usi compatibili e degli interventi. Questo permetterà la valorizzazione del sistema, incentivando il miglioramento della qualità delle acque e all’eliminazione dei fattori inquinanti, visto che negli orari del passaggio del battello si limita il traffico dei natanti. Un’altra novità è l’inserimento di pontili dove si collocano le cantine con il solo accesso dal fosso, per facilitare il percorso d’ingresso e per limitare così le fermate del battello. Molto utile per la progettazione dell’uso del65 le acque è stata l’analisi
preliminare che abbiamo effettuato precedentemente. In questa, il fattore significante è la profondità dei fossi; grazie ai rilievi effettuati dall’autorità portuale forniscono per il fosso reale una misura che oscilla tra i 3,0 mt. e 3,5 mt. Per i fossi della Venezia una misura che ha valori tra 0,70 mt. E 1,50 mt. e per i fossi che circondano la Fortezza Nuova la misura varia tra i 2,00 mt. e 4,20 mt. Per quanto riguarda i fossi della Venezia, visto la loro ampiezza minore, rendono la navigazione meno sicura, a causa anche delle mancate restrizioni delle direzioni di percorrenza. Esse mancano in tutto il circuito dei fossi, quindi ci è sembrato opportuno darle così da prevenire l’incidentalità tra i natanti. Nell’area del quartiere relativa ai Bottini dell’olio, il tratto di fosso presente risulta essere non transitabile perché chiuso. Nel nostro progetto si prevede quindi la sua riapertura con direzione di percorrenza a senso unico, visto che le ridotte dimensioni del fosso in esame non permettono il transito a doppio senso. Le sponde hanno un’altezza di 1,00 mt. Ca. e una piccola rampa. In questo tratto si troveranno anche due ponti che erano già presenti nella progettazione storica, e che oggi come allora, agevolavano il passaggio da una parte all’altra. Conclusioni Il risultato più importante di questo studio è l’aver individuato un’area, il sistema dei fossi, attorno a cui gravita la storia della città. Un’area che per quanto sia un segno forte nella città, paradossalmente non è oggi valorizzata per quelle che sono realmente le sue potenzialità. Analizzando anche l’ultimo piano regolatore, ci siamo accorti che hanno posto poca attenzione alla tematica del recupero del sistema dei fossi. Pur avendo aree di pianificazione
urbana attuata in periodi diversi, teniamo ancora una volta a sottolineare che esso è un unico sistema, in quanto trova un comune denominatore nella presenza del fosso e nel fatto di essersi venuto a determinare in rapporto diretto con le vie d’acqua. Troviamo un rapporto principalmente nel quartiere Venezia, attraverso la realizzazione della particolare tipologia edilizia a tre livelli di cui abbiamo parlato nel corso dello studio e in senso più celebrativo nella parte dove la tipologia veneziana non riesce a radicarsi nel sistema economico cittadino, ormai avviato verso una impostazione di tipo industriale. Il Sistema dei fossi necessita di urgenti interventi per una sua riqualificazione, visto che si presenta come una zona fortemente riconoscibile e caratterizzante. Risulta infatti evidente il particolare degrado in cui versano alcune sue parti, che necessitano di interventi di risanamento conservativo, manutenzione ordinario e straordinario, programmi di riconversione d’uso e di una corretta progettazione dell’uso delle acque. Oggi il rapporto della città con i fossi e con tutto il suo patrimonio annesso, quali le cantine, risulta in moltissimi casi ‘estraneo’. Per quanto riguarda il circuito dei fossi, possiamo affermare che esiste un’utenza da salvaguardare ed eventualmente potenziare, perché in sintonia con il significato di ‘sistema’. Un sistema che comprende sia gli edifici lungo gli scali, sia gli scalandroni le banchine e le cantine a livello delle acque, nonché le ‘isole’ della Fortezza nuova, della Fortezza vecchia e le piazze- ponti. A margine di quanto detto non resta che ripetere che l’obiettivo finale verso il quale far convergere tutti i progetti esecutivi dovrà essere quello di riuscire a ritrovare e a far affiorare di
nuovo il significato e il valore del sistema dei fossi e quindi anche il rapporto dell’intera città con gli scali, gli scalandroni, le cantine, i palazzi, le piazze, e le isole che concorrono a definire questo sistema.
Bibliografia Bortolotti L. 1959, Aspetti urbanistici del turismo a Livorno, in Rivista di Livorno, Livorno. Ciurli D., Idà R., Pagni S. a.a. 1974-1975, Contributo al Piano Particolareggiato del quartiere Venezia di Livorno, Firenze, Università degli studi di Firenze, Facoltà di Architettura, Tesi di laurea. Conforto M.L. 1980, Livorno: progetto e storia di una città, Nistri Lischi, Pisa. Fasano Guarini E. 2004, Livorno: progetto e storia di una città, Laterza, Livorno.
Note 1 Grazie a un documento della Compagnia dei facchini bergamaschi e valtellini (A.S.L., Sanità Marittima, c.14 r).
Galluzzi R. 1755, Storia del granducato di Toscana, Firenze, 1755. Magri N. 1647, Origine di Livorno in toscana, Forni, Napoli. Massa M. 2015, Livorno: un porto e la sua città, Debatte, Livorno. Matteoni D. 1985, Livorno, Laterza, Bari.
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Matteoni D. 1993, Livorno: le città nella storia d’Italia, Books & Company, Livorno. Pierotti P. 1978, Le non città della ragione, le città di fondazione, Martinelli R., Nuti L., Venezia. Santini A. 1755, La Toscana illustrata nella sua storia, Giunti Editore, Livorno. Spini G. 1976, Architettura e politica da Cosimo I a Ferdinando I, Olschki Ed, Firenze . Zobi A. 1850, Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848, Tomo Primo, Firenze.
A.C.L. Prot. Delib. 362, n. 50. A.S.L. “Comunità di Livorno”, f. 1844 Deliberazioni, vol. 71 P. 50r, Lettere 22 dicembre 1844. A.S.L. “Comunità di Livorno” f. 289 prot. Delib. V. 72 P.P. 288, 20 maggio 1844. Lavori per la costruzione del Voltone. A.S.L. “Comunità di Livorno” f. 1846, progetto sulla sistemazione dell’area del Pontino. A.S.L. “ Camera di Commercio” documenti delle proprietà degli edifici adiacenti ai fossi, 1800 al 1900.
Sitografia http//: www.comune.livorno.it http//: www.web.rete.toscana.it/castore http:/www.maps1.ldpgis.it/livornosit/ http://www.urbanisticainformazioni.it
Progetto finale
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“Forma Urbis” approcci metodologici alla definizione e rappresentazione della città 69
Introduzione Marina Visciano Scuola di Architettura Università Degli Studi di Firenze
Una tematica ampiamente trattata nel dibattito scientifico internazionale con un esteso ventaglio di approcci e filoni di ricerca anche molto distanti tra loro è quello della figurabilità della città, proprietà definita come “la qualità che conferisce ad un oggetto fisico una elevata probabilità di evocare in ogni osservatore un immagine vigorosa” (Lynch, 2006, p.9). L’aggettivo ‘figurabile’ è quindi attribuibile ad una città capace di trasmettere una forte immagine di sé. Storicamente l’identità figurativa delle città era data anche dalla forma urbana definita dal perimetro dell’insediamento, quelli che Raymond Unwin definiva “piacevoli confini” (Unwin, 1971, p.138). Con la forte espansione urbana avvenuta prevalentemente in età contemporanea, i margini urbani nella maggior parte dei casi hanno perso la loro definizione e con essa la loro leggibilità. A questo fenomeno si lega un altro aspetto che riguarda la propensione o meno di una città ad essere ‘rappresentata’, che rimanda ad un altro filone di ricerca, finalizzato all’individuazione delle igliori tecniche grafiche atte a trasmettere un’immagine ‘vigorosa’ della città. In questo capitolo vengono riportati due contributi che, seppure con finalità differenti, risultano accomunati da una forte attenzione agli aspetti metodologici della ricerca sulla rappresentazione Bibliografia
delle città e dei territori urbanizzati.
Cantile A. (a cura di) 2007, La cartografia in Italia: nuovi metodi e nuovi strumenti dal Settecento ad oggi, Istituto Geografico Militare, Firenze.
Il primo saggio, di Martina Franco, si focalizza sulla questione della definizione del perimetro
De Santis F. (a cura di) 2015, Il governo del territorio in toscana. Profili costituzionali, legislativi e di responsabilità, Giuffrè, Milano. De Seta C. Marin B. (a cura di) 2008, Le città dei cartografi: studi e ricerche di storia urbana, Electa, Napoli. Lynch K. 2006 (ed. or. 1960), L’immagine della città, Marsilio, Venezia. Scamporrino M., Di Figlia L., De Luca G. 2015, Fonti, criteri e modalità per l’individuazione del perimetro urbano ai sensi della 65/2014, XIX Conferenza Nazionale ASITA, Lecco. Unwin R. 1971, La pratica della progettazione urbana, Il Saggiatore, Milano.
del territorio urbanizzato nel contesto regionale toscano. Il lavoro ha inizio da una lettura critica dell’apparato normativo regionale riguardante il tema d’indagine, con particolare riferimento alla L.R. Toscana 65/2014 e al Piano di Indirizzo Territoriale con valenza di Piano Paesaggistico, che assegnano alla individuazione di tale perimetro un ruolo particolarmente rilevante nella pianificazione comunale. Segue una sperimentazione sul Comune di Piombino, basata sull’applicazione di quattro diverse metodologie di perimetrazione dell’area urbana: quelle utilizzate, rispettivamente, per la redazione della Carta Tecnica Regionale e del Regolamento Urbanistico; il “principio della soglia” di Giovanni Astengo ed infine quella basata sulle disposizioni citate nell’art. 4 della L.R. 65/2014. Questa fase sperimentale è stata determinante per fare una valutazione critica delle suddette metodologie e per individuare le principali problematiche che si possono riscontrare nell’applicazione della norma. Il secondo saggio, di Giulio Mezzetti, affronta in particolar modo il tema della rappresentazione della città con l’obiettivo di dare un contributo alla ricerca di forme di restituzione grafica degli ambienti urbani sempre più efficaci, sia dal punto di vista scientifico che comunicativo. Lo studio prende avvio dalla ricognizione di cinque forme “emblematiche” di
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rappresentazione della città, dalle più antiche iconografie fino alle più recenti forme di modellazione 3D. Tale ricognizione si è avvalsa di una matrice comparativa delle regole grafiche adottate, con lo scopo di individuarne e di confrontarne i principali elementi tecnici-visuali, informativi e simbolici. Alla luce di quanto emerso da questa fase di lettura analitica, è stato infine proposto un metodo sperimentale per la costruzione di un modello di rappresentazione tridimensionale del centro storico di Firenze, mediante l’utilizzo del software Esri CityEngine.
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Fig. 1 Francesco Rosselli – Veduta della Catena (1472 circa)
Leggere e produrre rappresentazioni urbane Appunti per la definizione di un metodo Giulio Mezzetti
Introduzione L’efficacia di una rappresentazione urbana dipende in gran parte dalle tecniche utilizzate per la sua realizzazione. Per ottenere un livello qualitativo adeguato è necessario scegliere una opportuna impostazione del lavoro, che metta anche in conto una riflessione non superficiale sui metodi e gli strumenti grafici da utilizzare. Per questi motivi il lavoro presentato nelle pagine che seguono, finalizzato alla creazione di vedute urbane efficaci sia da un punto di vista scientifico che espressivo, tenta preliminarmente di definire un metodo; Tale metodo si basa su principi espressivi e regole grafiche individuate, e poi inserite in una tabella riassuntiva (Fig. 1), attraverso lo studio di cinque carte che hanno cambiato il modo di raffigurare la città. Allo scopo di sperimentarne la validità, il metodo proposto è stato utilizzato per produrre alcune rappresentazioni del centro storico di Firenze attraverso il software di modellazione procedurale Esri CityEngine, scelto sulla base di una valutazione delle potenzialità delle tecniche digitali applicate alla rappresentazione urbana.
Cinque carte che hanno cambiato il modo di rappresentare la città L’iconografia urbana dal Medioevo ad oggi Nel corso dei secoli il metodo per rappresentare le città è variato notevolmente, cambiando in base alle tecniche conosciute per il rilievo, per il disegno ed alle esigenze del momento storico. Inizialmente, le città nelle carte geografiche venivano localizzate solamente con il nome. Successivamente vennero rappresentate attraverso il disegno delle mura, utilizzando sempre la forma ottagonale o esagonale (non quella reale), al cui interno venivano disposti, in maniera casuale, gli edifici più importanti. In alcuni casi, le città venivano raffigurate all’interno di vere e proprie opere d’arte (affreschi, dipinti, quadri) con scene di vita quotidiana inerenti alla situazione socio-cultuale del luogo. Risulta evidente come, in questo periodo, lo scopo dell’iconografia urbana sia quello di dare una rappresentazione ideale della città e non una sua descrizione precisa e reale attraverso il disegno degli elementi più simbolici e conosciuti. Successivamente si passa alla nascita della tecnica di rappresentazione
del ‘profilo urbano’, che avvenne nel nord Europa per merito dei naviganti, i quali cominciarono a disegnare l’immagine della città da loro percepita mentre si avvicinavano alla costa. Si trattava, quindi, di un vero e proprio skyline del primo piano dell’insediamento. Anche questo tipo di rappresentazione veniva realizzata senza alcun rilievo diventando, così, solamente una raffigurazione pittorica ed indicativa della città. Col trascorrere degli anni, per permettere una visione più globale e veritiera della città, venne alzato il punto di vista adottato per le immagini che, inizialmente reale (come Monte Oliveto nella ‘veduta in prospettiva’ della Catena), diventò successivamente immaginario ed ipotetico (‘a volo d’uccello’), creando così la ‘pianta prospettica’. Questo avvenne poiché: “i modi osservati fino ad allora conosciuti e praticati si dimostrano carenti. L’adesione a un modello precostituito compromette la globalità del vero; la mappa e la pianta sono confinate nella bidimensionalità, il profilo nell’evidenza del primo piano” (Nuti, 1996). Nel corso del Settecento, a causa delle nuove esigenze di organizzazione e gestione delle città, avvenne il
Corso di Laurea Triennale in Pianificazione della Città, del Territorio e del Paesaggio Relatore: Prof. Fabio Lucchesi; Co-relatore: Prof. Matteo Scamporrino Settembre 2015
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Fig. 2 Louis Brètez – Plan de Turgot (1739)
passaggio dalla ‘pianta prospettica’ (considerata, oramai, solo come un’opera d’arte) alla ‘pianta icnografica a proiezione verticale’, con lo scopo di fornire un vero e proprio documento scientifico ed amministrativo (Tab. 1). Veduta della Catena di Francesco Rosselli, 1472 circa L’opera fu attribuita in un primo momento all’autore veneziano Jacopo de’ Barbari; attualmente, la paternità dell’elaborato è stata riconosciuta a Francesco Rosselli, pittore
e cartografo fiorentino. Dalla veduta originale fu ricavata, pochi anni più tardi, la xilografia incisa su legno in sei fogli (per una dimensione totale di 58 x 134 cm) da Lucantonio degli Uberti. Fu in questo momento che la veduta prese il nome ‘della Catena’ (Fig. 2), denominazione dovuta alla cornice raffigurante una catena chiusa da un lucchetto posizionato vicino all’angolo sinistro della carta. Oltre che il contorno, sembra che l’incisore abbia anche aggiunto la figura del disegnatore nell’angolo basso a
destra. Quest’ultimo, fornito di matita e foglio bianco, è ritratto mentre si accinge a disegnare la veduta stessa (si vede lo schizzo della cinta muraria). Questa caratteristica era tipica delle rappresentazioni nordiche e in particolar modo fiamminghe, dove si pensava che la presenza di un disegnatore sulla carta (spesso raffigurante l’autore stesso) potesse essere d’aiuto per individuare ed accentuare il punto di vista principale (campanile della chiesa di Monte Oliveto). Poiché è stato adottato un punto di
vista reale, viene considerata una ‘veduta in prospettiva’ e non una ‘pianta prospettica’. All’interno del disegno è interessante notare alcuni particolari risultati determinanti per la datazione della veduta come, per esempio: • la fortificazione di forma quadrata (demolita a seguito del Piano Poggi per l’ammodernamento della città del 1865) di Porta San Niccolò; • la facciata, non ancora in stile rinascimentale (terminata nel 1863)
Tab. 1 Tabella riassuntiva delle regole grafiche di rappresentazione individuate
della Basilica di Santa Croce; • l’antica facciata, smantellata nel 1589, della Cattedrale di Santa Maria del Fiore; • Palazzo Pitti, ancora nella sua forma originaria con i tre portoni d’entrata al piano terra e le sette finestre nei due piani superiori; • la colonna della statua della Dovizia di Donatello, realizzata nel 1431 e crollata nel 1721, che svetta in mezzo alla città; • la palla e la croce posizionate nel 1471 sopra la cupola del Duomo;
• la facciata, completata nel 1470, della Basilica di Santa Maria Novella; • l’assenza della cupola della Basilica di Santo Spirito e di Palazzo Strozzi (terminati rispettivamente nel 1482 e nel 1489). Tutti questi elementi, in particolar modo gli ultimi tre, hanno permesso di datare l’opera in un periodo compreso tra il 1470 e il 1482 (presumibilmente il 1472). Analizzando l’elaborato da un punto di vista tecnico-grafico, si possono
notare una serie di peculiarità e tratti tipici tra cui, ad esempio, la rappresentazione (solo al di fuori delle mura) di scene di vita quotidiana (barcaioli, pescatori, un mulattiere, ecc) e l’ombreggiatura realizzata mediante tratti fini e paralleli (hatchings) di sempre maggior frequenza nelle zone più in ombra (fonte di luce proveniente dalla sinistra nella carta). Inoltre, le colline e le zone pianeggianti sono rappresentate tramite linee curve parallele (zona collinare) o linee più rettilinee
perpendicolari (pianura) alle forme del terreno (rolling) mentre il fiume Arno viene evidenziato attraverso piccole linee ondulate parallele alle rive in modo da evidenziare la direzione del corso d’acqua. Le pieghe dei vestiti e degli alberi sono rappresentate, come studiato da P.O. Kristeller, in stile fiorentino mentre il già menzionato tratteggio è realizzato in stile veneziano per mezzo di un lungo tratto fine ed incurvato (que77 sta caratteristica, insieme
Fig. 3 Veduta della Cattedrale di Santa Maria del Fiore nella carta di Stefano Bonsignori e nel modello 3D
alla toponomastica, fu uno dei motivi per cui si è pensato per lungo tempo che l’autore fosse il veneziano de’ Barbari). Sono evidenziate, inoltre, le mura cittadine semplificate nella forma perimetrale con tutte le torri e le porte e la toponomastica di quest’ultime, dei quattro ponti (alla Carraia, Santa Trinità, Vecchio, alle Grazie), di alcune piccole zone (come, per esempio, la Sardigna, destinata al deposito dei rifiuti) e dei conventi, degli ospedali, delle chiese e palazzi di maggiore importanza sia
fuori che dentro le mura. Infine, gli edifici privati sono rappresentati come “[…] inarticolati agglomerati di case stilizzate, simili a piccoli cubi” (Schulz, 1990). Alcuni muri di questi edifici sono punteggiati con punti e/o linee molto corte, mostrando così un tratto tipico delle raffigurazioni fiorentine. L’orditura dei tetti è evidenziata attraverso linee parallele continue, mentre gli edifici di maggiore importanza sono fuori scala, maggiormente dettagliati e, in alcuni casi,
ruotati rispetto al circostante tessuto urbano, in modo da essere visibili frontalmente. Venetie MD di Jacopo de’ Barbari, 1500 La prima città rappresentata, utilizzando il metodo della ‘pianta prospettica’, è stata Venezia, che venne raffigurata nella sua totalità (isole comprese) nella carta Venetie MD, realizzata dal pittore Jacopo de’ Barbari nel 1500. Inizialmente pensata come carta da parete, venne infine
incisa su sei legni di pero, di circa 66 x 99 cm l’uno, per una dimensione totale di 135 x 282 cm. La veduta di de’ Barbari fu probabilmente la prima carta commissionata da un imprenditore privato, l’editore tedesco Anton Kolb. All’interno del disegno risaltano le figure, posizionate sull’asse principale della città, delle divinità Mercurio (Dio del commercio) e Nettuno (Dio del mare). Il primo, che tiene in mano un caduceo (presente in altri dipinti del de’
Barbari che, per questo, veniva chiamato ‘Maestro del Caduceo’), è circondato da delle nuvole e dalla scritta Mercurius pre ceteris huic fauste emporiis illustro (Io, Mercurio, rifulgo propizio su questo emporio che sopravanza tutti gli altri), mentre il secondo, a cavallo di un tritone, ha un’inscrizione, all’interno di un cartello attaccato al suo tridente, che recita Aequora tuens portu resideo hic Neptunus (Io, Nettuno, vivo qui mantenendo calme le acque in questo porto). Lo scopo della stampa, quindi, sembrerebbe proprio un’esaltazione della Repubblica veneziana, soprattutto della sua vocazione marittima e commerciale. Il punto di osservazione immaginario che fu adottato dall’artista si trova sopra l’isola di San Clemente. Analizzando l’elaborato da un punto di vista tecnico-grafico, si possono notare una serie di peculiarità e tratti tipici tra cui la rappresentazione nelle zone costiere, nei canali e nel mare di scene di vita quotidiana e l’ombreggiatura rappresentata mediante tratti fini e paralleli (hatchings) di sempre maggior frequenza nelle zone più in ombra (fonte di luce proveniente, all’incirca, dall’angolo in basso a destra nella carta). Inoltre, Le montagne (Alpi) sono rappresentate “[…] come un’unica e ininterrotta catena montuosa, unificata dal punto di vista morfologico e pittorico” (Schulz, 1990). Nelle sottostanti zone pianeggianti, invece, viene accennata mediante leggere ombreggiature la morfologia del terreno e della costa. Sono raffigurate, in maniera sommaria e poco dettagliata, le varie città (Mestre, Treviso, ecc.). I canali e il mare sono rappresentati mediante tratti lunghi e fini o con piccoli simboli a semicerchio. della toponomastica, in lingua veneziana, di tutte le isole, dei venti, delle altre cittadine e di tutte le chiese. I percorsi pedonali
principali sono enfatizzati e resi visibili, anche se non lo erano nella realtà, dal punto di vista adottato. In Piazza San Marco viene anche riportato il disegno della pavimentazione. Sono anche evidenziati gli alberi, la morfologia dei campi (sempre per mezzo di ombreggiature) con il relativo tipo di uso del suolo ed i principali elementi di arredo urbano. Forme e volumi reali della quasi totalità degli edifici privati sono reali con, però, la rappresentazione delle facciate abbastanza standardizzata. L’orditura dei tetti è appena evidenziata con una leggera e discontinua ombreggiatura direzionata in base alla pendenza della copertura. Sono minuziosamente dettagliati e, in alcuni casi, enfatizzati, gli edifici di maggiore importanza. Infine, all’interno della carta sono presenti figure allegoriche dal forte significato figurativo, quali i già citati Mercurio e Nettuno e le otto teste di putti simboleggianti i venti principali. Nova pulcherrimae civitatis Florentiae topographia accuratissime delineata di Stefano Bonsignori, 1584 Per la realizzazione della sua carta, il monaco olivetano Stefano Bonsignori adoperò la pianta della Catena come riferimento. Per la sua rappresentazione, infatti, l’autore decise di adottare come luogo di osservazione proprio Monte Oliveto, ovvero: “[…] l’ormai tradizionale punto di vista della tradizione iconografica fiorentina, innalzandolo però decisamente lungo la verticale: in questo modo si ottiene una rappresentazione assonometrica della città, integrata, mano a mano che ci si allontana dalla scacchiera centrale, da una serie di correzioni prospettiche” (De Seta, 2011). Altra analogia con l’opera precedente è la presenza, all’interno del disegno, della figura dell’autore, seduto
su una roccia e con lo strumento di misura (groma) in mano. Sul piccolo monte alla sinistra di quello dove è posizionata la figura raffigurante il monaco, è possibile scorgere l’arme dell’Ordine Olivetano, ovvero una croce con due rami d’ulivo, uno dei quali intrecciato a formare una S ed un B (Stefano Bonsignori). La Nova pulcherrimae civitatis Florentiae topographia accuratissime delineata, composta da 9 fogli per una dimensione totale di 125 x 138 cm, venne incisa in rame dall’orefice fiorentino Bonaventura Billocardi. La carta fu dedicata a Francesco de’ Medici, col fine di mettere in evidenza e permettergli così di osservare tutte le opere e abbellimenti effettuati dal padre Cosimo I negli anni precedenti. Analizzando l’elaborato da un punto di vista tecnico-grafico, si possono notare una serie di peculiarità e tratti tipici tra cui la rappresentazione dell’ombreggiatura mediante tratti fini e paralleli (hatchings) di sempre maggior frequenza nelle zone più in ombra (fonte di luce proveniente dalla sinistra nella carta) e la presenza della rosa dei venti, posta nell’angolo in alto a sinistra, indicante il Nord geografico. Inoltre, la zona collinare è raffigurata mediante leggere ombreggiature per metterne in risalto la morfologia e sinuosità del terreno mentre la pianura è evidenziata attraverso l’assenza di ombreggiature (base totalmente bianca) e con la raffigurazione dettagliata dell’orditura della maglia agricola. Il fiume Arno è rappresentato attraverso piccole linee ondulate parallele alle rive, con frequenza maggiore nei punti in cui l’alveo si restringe, in modo da evidenziare la direzione e la pressione del corso d’acqua. All’interno della carta sono raffigurate le mura cittadine con tutte le torri, le porte e la Fortezza
da Basso, quest’ultima corredata da un indice di 17 richiami numerici indicante le sue varie parti e luoghi. Inoltre, è presente un indice numerico di ben 225 voci diviso in cinque colonne, posto nell’angolo in basso a destra, di tutti i ‘luoghi notabili’ di Firenze. Questo è correlato agli edifici posti nella veduta per mezzo dei corrispettivi numeri sparsi nella carta dei principali elementi di arredo urbano. Infine, il tessuto urbano privato è rappresentato attraverso un disegno degli edifici omogeneo e senza caratterizzazioni e particolari dettagli. L’orditura dei tetti è evidenziata con un’ombreggiatura direzionata in base alla pendenza della copertura; Gli edifici di maggiore importanza: fuori scala, maggiormente dettagliati e, in alcuni casi, ruotati rispetto al circostante tessuto urbano, in modo da essere visibili frontalmente. Esempio lampante ne è il Duomo, visibilmente disegnato fuori scala e in proiezione assonometrica modificata per consentirne una veduta generale e completa. Plan de Turgot di Louis Brètez, 1739 La rappresentazione più famosa di Parigi è, probabilmente, il Plan de Paris, veduta ‘a vol d’oiseau’ realizzata da Louis Brétez (Fig. 3). Il Marchese Michel-Etienne Turgot, capo della municipalità di Parigi, si rese conto che la capitale francese non possedeva mappe e vedute urbane complete e qualitativamente soddisfacenti, come invece altre importanti città europee. Per questo motivo il funzionario parigino decise di commissionare un ‘ritratto di città’ con lo scopo di celebrarne ed esaltarne le bellezze e la potenza. Non un elaborato con carattere geometrico e scientifico, bensì una rappresentazione teatrale e propagandisti79 ca di Parigi. Nel gennaio
Fig. 4 Vedute del modello 3D del centro storico di Firenze
del 1734 Turgot commissionò al disegnatore Louis Brètez la realizzazione della veduta. A causa della morte di Brètez (1738), la veduta fu terminata nel 1739 dall’incisore Claude Lucas, che aggiunse al disegno originale le decorazioni e le iscrizioni. Il titolo dell’opera è scritto in un riquadro, contornato da una piccola allegoria della città di Parigi, situato in basso al centro della carta. L’opera completa, considerata da molti esperti come l’ultima vera ‘pianta prospettica’ urbana, fu incisa su 20 planches
di rame (di circa 50 x 80 cm l’una), in scala 1:400 circa, per una dimensione totale di 250,5 x 322,5 cm. Successivamente, la cartografia divenne famosa non con la sua denominazione originaria, bensì con il nome ‘Plan de Turgot’, derivato proprio dal committente dell’opera. Analizzando l’elaborato da un punto di vista tecnico-grafico, si possono notare una serie di peculiarità e tratti tipici tra cui la rappresentazione dell’ombreggiatura mediante tratti verticali molto fini e paralleli
(hatchings) di sempre maggior frequenza nelle zone più in ombra (fonte di luce proveniente dalla destra nella carta) e la presenza della rosa dei venti, posta vicino all’angolo in alto a destra. Sono raffigurati, inoltre, tutti i principali mulini presenti sul territorio. Inoltre, la pianura all’esterno della città è rappresentata attraverso l’assenza di ombreggiature e mediante il disegno dettagliato dell’orditura della maglia agricola (cercando di evidenziarne i vari tipi di coltura), oltre che quello dei giardini, dei parchi e delle
altre colture. Il fiume Senna è raffigurato attraverso linee ondulate parallele alle rive, con tonalità più scure in prossimità della riva. Viene riportata la toponomastica di tutte le vie, le piazze, i ponti, del fiume Senna e delle sue isole e porti fluviali, dei palazzi e monumenti rilevanti, delle chiese e dei sobborghi. Sono raffigurati, inoltre, tutti i principali mulini presenti sul territorio ed i principali elementi di arredo urbano. Il tessuto urbano privato è rappresentato attraverso un disegno degli edifici omogeneo e
standardizzato, senza particolari caratterizzazioni. L’orditura dei tetti è evidenziata attraverso linee parallele continue, mentre gli edifici di maggiore importanza sono restituiti graficamente attraverso un elevato livello di dettaglio. Nuova pianta di Roma di Giovanni Battista Nolli, 1748 A Giovanni Battista Nolli venne commissionata nel 1736 la realizzazione di una nuova pianta di Roma, che potesse essere utilizzata per comprendere e analizzare sia la città attuale che quella antica. L’opera comprende la ‘pianta grande’ (stampata su 12 fogli in scala 1:2.910 circa per una dimensione totale di 176 x 208,5 cm) con relativi 4 fogli di indici, la pianta piccola (scala 1:10950), la ‘pianta di Roma antica’ (rielaborazione della pianta di Leonardo Bufalini del 1551), il ‘frontespizio’ e un ‘Avviso al lettore’. L’autore riuscì ad ottenere tutte le piante delle chiese e dei palazzi grazie all’intervento del bolognese Prospero Lambertini, ovvero Papa Benedetto XIV (detto anche il ‘papa degli intellettuali’), che fu infatti poi menzionato nelle dediche presenti nelle varie piante dell’opera. All’interno della cornice allegorica in basso nella ‘pianta grande’ sono rappresentate e confrontate la Roma antica (o profana) e la Roma moderna (o sacra). Da un punto di vista prettamente grafico, nella carta sono raffigurati gli edifici privati attraverso una campitura (tratteggio orizzontale) grigio scura e le chiese, i palazzi e i loro spazi interni in pianta, mettendo in risalto così le relazioni spaziali tra pubblico e privato. Con questo tipo di rappresentazione urbana in ‘chiaro/scuro’, Nolli diverrà un precursore della tecnica analitica e interpretativa del ‘figure/ground’ (‘pieni/vuoti’ in Italia). Questa tecnica prevede
la riproduzione grafica della città disegnando in bianco e nero i suoi spazi chiusi o pieni (aree edificate e/o private) e quelli aperti o vuoti (aree pubbliche e/o aperte) e viceversa. Analizzando l’elaborato da un punto di vista tecnico-grafico, si possono notare una serie di peculiarità e tratti tipici tra cui la rappresentazione dell’ombreggiatura mediante tratti fini e paralleli (hatchings) di frequenza omogenea (fonte di luce proveniente dall’alto) e la presenza della rosa dei venti, all’interno della cinta muraria, indicante il Nord Magnetico. Inoltre, la pianura all’esterno della città è rappresentata attraverso l’assenza di ombreggiature e mediante il disegno dettagliato dell’orditura della maglia agricola (differenziando i vigneti dalle altre colture), oltre che quello dei giardini, dei vigneti e delle altre colture. Il fiume Tevere è raffigurato attraverso linee ondulate parallele alle rive, con maggiore frequenza in prossimità della riva. Viene riportata la toponomastica di tutte le strade e piazze principali, del Tevere con le sue isole, delle colline, delle ville con relativi giardini, delle vigne, degli edifici e delle opere pubbliche, della cinta muraria con le sue Porte e dei quattordici rioni. Sono evidenziati, inoltre, di tutti gli elementi di arredo urbano (in maniera puntuale) e dei monumenti antichi parzialmente scomparsi. Gli edifici privati, infine, sono rappresentati attraverso una fitta campitura realizzata in senso orizzontale mentre gli edifici e spazi pubblici vengono messi in risalto attraverso il disegno planimetrico, con un livello di dettaglio in base all’importanza. Tecniche moderne di rappresentazione urbana Modellazione 3D Con il termine modellazione 3D si indica quel processo informatico finalizzato a definire e creare
tridimensionalmente, in uno spazio virtuale, una qualsiasi forma geometrica. I modelli 3D, al fine di rendere il risultato finale più gradevole e reale, richiedono solitamente di essere integrati con alcune operazioni aggiuntive, come l’assegnazione dei materiali o l’inserimento di effetti di illuminazione, ovvero vere e proprie ‘tecniche di simulazione’ (‘renderizzazione’). In linea generale si può riassumere il processo di modellazione 3D in tre fasi, cioè: • pianificazione: la selezione e preparazione degli elementi e dati essenziali per la creazione del modello 3D, come disegni bidimensionali, shapefile, schizzi preparatori, fotografie; • modellazione: la vera e propria generazione del modello, attraverso vari steps; • rifinitura: assegnazione delle texturing (materiali) e lightining (luci), per effettuare la ‘renderizzazione’ del prodotto finale. In base al genere del prodotto finale sono previste due diverse tipologie di modellazione. La prima è la modellazione organica, che viene utilizzata per riprodurre le ‘creature viventi’ (esseri umani, animali) o i soggetti ‘naturali’ (piante, alberi, rocce, ecc.). La seconda, invece, è la modellazione geometrica, utilizzata per la realizzazione di oggetti ‘artificiali’ (edifici, strade, pezzi meccanici, ecc.), ovvero oggetti di forma più rigida. Diversamente, secondo le caratteristiche del prodotto finale è possibile scegliere fra tre diverse metodologie di modellazione. La modellazione manuale o interattiva crea modelli 3D attraverso una serie di comandi che possono essere dati solo dall’utente stesso mentre la modellazione da dati provenienti da
modelli reali realizza modelli tridimensionali acquisendo dati e informazioni (generalmente forme e colori) direttamente dagli oggetti da riprodurre digitalmente mediante numerosi metodi e strumenti. La modellazione procedurale, infine, genera modelli 3D in maniera automatica o semi-automatica basandosi su parametri modificabili sia dall’utente che da processi probabilistici preimpostati. Modellazione Procedurale Per modellazione procedurale si intende quel processo al termine del quale, basandosi su algoritmi contenenti regole grafiche e geometriche, il software genera automaticamente il modello tridimensionale. Con questa metodologia, rispetto a quella manuale, è possibile abbassare notevolmente il tempo necessario per la realizzazione del prodotto finale, mantenendo comunque una buona verosimiglianza e precisione. Risulta particolarmente indicata, quindi, per generare modelli complessi e di grandi dimensioni, composti da elementi auto-similari ripetuti, solitamente in modo casuale, più volte nello spazio. Esri CityEngine Questo programma nasce dal CityEngine System, ideato da Pascal Mueller e Yoav I. H. Parish, che lo presentarono nel loro documento ‘Procedural modeling of the cities’ del 2001. In questo testo vengono descritte le varie fasi e procedure da eseguire per creare una città virtuale generica. Oltre che per creare città ipotetiche, questo software, ultimamente, viene adoperato soprattutto per l’entertainment e l’archeologia virtuale (ricostruzioni storiche di città). Nell’Interfaccia Grafica Utente di CityEngine so81 no presenti un Navigator
(dove sono reperibili tutti i file necessari alla modellazione), un Inspector (in cui è possibile visualizzare e modificare le informazioni ed i parametri degli oggetti), un Viewport (all’interno del quale è visibile il modello in lavorazione), le finestre di esplorazione Scene (in cui sono elencati e selezionabili tutti i vari layers all’interno della scena) e Rule (dove sono presenti, sotto forma di linguaggio alfanumerico e di diagrammi rispettivamente visibili nelle schermate textual e visual, le regole di costruzione geometrica dei modelli). Il Software si basa su un linguaggio informatico chiamato CGA shape (in cui CGA significa Computer Generated Architecture), che consiste in una serie di istruzioni alfanumeriche che il programma utilizzerà per generare automaticamente i modelli. Rappresentazione procedurale del centro storico di Firenze Processo costruttivo per la modellazione 3D del centro storico di Firenze Per effettuare una precisa e corretta modellazione 3D della città di Firenze è stato necessario adoperare file cartografici (scala 1:2000) dotati di attributi utili alla modellazione. La modellazione tridimensionale degli edifici e delle strade è stata effettuata per il solo centro storico, individuato come l’area all’interno dei viali fiorentini. Per rappresentare la morfologia del terreno è stato deciso, invece di utilizzare l’ombreggiatura come nelle carte storiche, di usufruire della capacità del software di elaborare un modello tridimensionale del terreno uguale alla realtà, in quanto basato sui punti quotati e sulle curve di livello. Per raffigurare le aree esterne al centro cittadino (maglia agricola e altri edifici), il disegno dei parchi e dei giardini e l’Arno, è stata assegnata l’ortofoto al DTM (Digital Terrain Model).
Gli alberi sono stati rappresentati in maniera standardizzata, come da regola, scegliendo una delle tipologie arboree più comune nel capoluogo toscano, ovvero il Platanus occidentalis. Alle strade è stato deciso di assegnare come tonalità di colore la stessa adoperata in tutte le carte analizzate in cui erano visibili, ovvero il bianco. Gli elementi di arredo urbano (ad eccezione delle tre statue in Piazza Santissima Annunziata), così come la toponomastica, per motivi di tempo e tecnici, non sono stati riportati nel modello 3D. Nella rappresentazione degli edifici del tessuto urbano ‘minore’ è stato seguito il principio delle cinque carte, per cui tutti gli edifici venivano restituiti graficamente in maniera standardizzata con solo alcuni elementi caratteristici architettonici delle facciate riportati. Per far questo, sono state selezionate due facciate tipiche nel centro di Firenze da cui sono state ricavate le texture poi assegnate in maniera ripetitiva e casuale alle facce dei solidi. Per i tetti è stata utilizzata un’unica tipologia di copertura ed un’unica texture, che evidenziasse l’orditura dei tetti. L’altezza risulta essere quella reale, poiché per l’estrusione sono stati utilizzate le informazioni presenti nella tabella attributi degli shapefile. Per gli edifici pubblici e di maggiore importanza sono stati utilizzati modelli dettagliati già pronti, scaricati dal sito www.3dwarehouse.com, in modo da distinguerli dal restante tessuto urbano. A differenza delle carte analizzate, però, non sono stati né ruotati né variati di scala. Considerazioni sulla restituzione grafica del modello 3D Dal modello tridimensionale realizzato sono state ricavate alcune immagini messe poi qualitativamente a raffronto con le carte analizzate.
Ad esempio, confrontando la veduta del Duomo del Bonsignori con quella ricavata dal modello 3D si può affermare che, nonostante la seconda immagine sia più realistica e geometricamente corretta, la prima risulta comunque una rappresentazione più ‘reale’ della città in quanto, probabilmente per la maggiore soggettività nella sua realizzazione, riesce a raffigurare la percezione umana dello spazio (Fig. 4). Tenendo sempre in considerazione il fattore soggettivo, si può quindi affermare che l’elaborato 3D non sia tanto potente e d’impatto come le cartografie prese in considerazione. Questo è dovuto anche ad alcuni limiti tecnici dei software utilizzati e, soprattutto, del tempo e risorse a disposizione. I risultati eccellenti ottenuti dagli autori delle vedute studiate, sono dovuti ad anni di lavoro ed investimenti importanti per l’epoca, spesso e volentieri con il supporto di persone specializzate nelle varie fasi di lavoro (documentazione, rilievo, incisione, ecc.). Il modello prodotto, considerando il breve tempo impiegato, risulta comunque interessante per la precisione di molte delle sue informazioni e per l’effetto visivo ottenuto (Fig. 5). Il software, inoltre, offre ulteriori potenzialità che consentirebbero un notevole miglioramento del risultato finale. Per esempio, CityEngine permetterebbe la modellazione procedurale delle facciate, attraverso un sistema a griglia, inserendo regole costruttive tipiche di Firenze. Considerando, quindi, il modello creato non come prodotto finale ma come punto di partenza, con tempi e strumenti adeguati, sarà possibile realizzare elaborati di qualità equivalente alle cinque carte storiche, dimostrando così che il metodo
definito, con cui è possibile rielaborare in chiave moderna le regole grafiche di rappresentazione del passato, è un metodo valido.
Note
Bibliografia
1 I dati sopracitati fanno parte della Relazione dell’Assessore all’urbanistica, pianificazione del territorio e del paesaggio Anna Marson, tenuta in occasione del convegno Uso vs. consumo del territorio rurale, Firenze, 20 novembre 2012. 2 Per i dettagli del metodo si rimanda a Astengo G., Nucci C. (a cura di) 1990, IT. URB. 80. Rapporto sullo stato dell’urbanizzazione in Italia, Quaderni di urbanistica informazione, n. 8, p. 14.
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Applicazione di quattro diverse metodologie di individuazione del perimetro del territorio urbanizzato nel caso del comune di Piombino
Gestione del margine urbano Prospettive e problematiche nell’individuazione del territorio urbanizzato nel caso di Piombino Martina Franco Introduzione L’espansione caotica delle città, avvenuta all’inizio del secolo, è stata una delle principali cause dei cambiamenti registrati nelle aree marginali dei centri urbani. Gli effetti provocati dall’aumento del territorio urbanizzato hanno prodotto la perdita del limite urbano andando così a modificare la forma della città e il suo rapporto con la campagna. Il seguente lavoro ha come obiettivo quello di definire il perimetro del territorio urbanizzato e dettare delle linee guida per la gestione delle aree di frangia, viste come un’opportunità per la creazione di nuovi spazi. Partendo dalla definizione del concetto di margine urbano, non più inteso come un limite di separazione delle parti, ma piuttosto come una superficie di connessione tra due zone, si è passati all’analisi della sua evoluzione storica. Tale area, infatti, ha subito numerose trasformazioni nel corso dei secoli, una delle più importanti è avvenuta nell’Ottocento, a seguito dell’abbattimento delle mura difensive che ha portato alla necessità di gestione di questi nuovi spazi aperti. Da questo momento in poi la città ha iniziato una progressiva trasformazione degli spazi rurali in aree edificate.
La problematica riguardante la gestione del margine urbano è stata affrontata nel corso degli anni a più riprese. Varie soluzioni sono state cercate per l’individuazione della conclusione della città, la cintura verde è stata sicuramente una delle più importanti; nata con il solo scopo di contenere l’urbanizzazione oggi può essere utilizzata e integrata con altri modelli progettuali, quali green wedges e greenway. Ad oggi l’utilizzo di questi tre modelli progettuali non deve avere come unica finalità la limitazione dei centri urbani, ma bensì essi devono riuscire a creare un sistema di riequilibrio, transizione e compenetrazione tra la parte urbana e la parte naturale. Successivamente è stato analizzato l’aspetto normativo corrispondente alla tematica studiata. Di grande importanza sono stati i contenuti della legge regionale n. 65 del 2014 e del Piano di Indirizzo Territoriale con valenza di piano paesaggistico che hanno contribuito, con contenuti differenti, a dettare una metodologia per la definizione del margine urbano in funzione di una riqualificazione, cercando di evitare così nuovo consumo di suolo. Nella parte conclusiva del lavoro, sono state affrontate sia a livello teorico
che a livello applicativo quattro diverse metodologie di perimetrazione dei centri abitati (Carta Tecnica Regionale, Regolamento Urbanistico, metodo della soglia, legge regionale n. 65/2014), tutte applicate al territorio comunale di Piombino. Nell’ultimo capitolo sono state approfondite le problematiche emerse durante l’applicazione della perimetrazione dell’area urbanizzata. Attraverso degli approfondimenti sono state esaminate tutte le criticità riscontrate e per ognuna di esse è stata elaborata una possibile ipotesi di gestione dell’area. Definizione legislativa del margine urbano: approfondimento della L.R. n. 65/2014 La toscana è una delle regioni italiane più all’avanguardia in materia ambientale, ciò viene anche dimostrato dalla nuova legge regionale n. 65 del 2014 in materia di ‘Norme per il governo del territorio’. Attraverso questa legge la Regione Toscana si adegua appieno alla posizione delineata dall’Unione europea in tema di consumo di suolo, infatti quest’ultima si è posta come obiettivo per il 2050 un consumo di suolo pari a zero, attraverso la definizione di obiettivi utili al risollevamento
Corso di Laurea Triennale in Pianificazione della Città, del Territorio e del Paesaggio Relatore: Prof. Giuseppe De Luca; Co-relatore: Arch. Luca Di Figlia Febbraio 2016
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dell’attuale crisi economica ed edilizia mediante l’affermazione di modelli di crescita sostenibile. La necessità di creare una legge idonea al contenimento del fenomeno del consumo di suolo è sicuramente dovuta alla situazione attuale del territorio toscano dato che esso è costituito da una forte presenza di urbanizzazione, in quanto la superficie cementificata è il 9,11% dell’intero territorio regionale, dunque un ettaro ogni dieci è urbanizzato1. Dunque attraverso questa nuova legge l’amministrazione cerca di porre un freno al consumo di suolo da parte delle nuove urbanizzazioni, in quanto è concesso l’utilizzo di nuove porzioni di suolo solo nel caso in cui non c’è la possibilità di riutilizzo di insediamenti e infrastrutture già esistenti. In questo tipo di approccio la nuova legge regionale introduce la perimetrazione del territorio urbanizzato, quest’ultimo deve essere individuato in modo da poter differenziare le procedure d’intervento, interne o esterne al centro abitato, in modo da poter avere un limite chiaro per l’individuazione delle aree da recuperare e per lo sviluppo di nuove edificazioni. I principali obiettivi di questo tipo gestione sono finalizzati alla tutela del patrimonio territoriale, ma anche alla salvaguardia delle aree agricole periurbane e alla promozione della riqualificazione di aree urbane dismesse o degradate. La legge esplicita quanto sopra descritto nel seguente modo. Nell’art. 4 c. 2 viene spiegato che il territorio urbanizzato deve essere individuato in riferimento ai c.3 e 4 e alle indicazioni definite dal Piano di Indirizzo Territoriale, in quest’ultimo sono definiti i criteri che i comuni devono seguire per la perimetrazione del centro abitato. Nel c. 3 la legge definisce il territorio urbanizzato:
“Il territorio urbanizzato è costituito dai centri storici, le aree edificate con continuità dei lotti a destinazione residenziale, industriale e artigianale, commerciale, direzionale, di servizio, turistico-ricettiva, le attrezzature e i servizi, i parchi urbani, gli impianti tecnologici, i lotti e gli spazi inedificati interclusi dotati di opere di urbanizzazione primaria” (L. R. toscana del 20 novembre 2014 n. 65 art. 4, c. 3). Al comma 4 invece vengono spiegati i criteri di cui bisogna tener conto nella definizione del perimetro dei centri abitati, ovvero tenendo conto delle strategie di riqualificazione e rigenerazione urbana, non dimenticando il soddisfacimento dell’edilizia residenziale pubblica; tutto questo sempre per poter attuare un progetto di miglioramento dei margini urbani. La legge, oltre a definire ciò che fa parte del territorio urbanizzato, esplicita nel comma 5 anche ciò che non ne fa parte: “Non costituiscono territorio urbanizzato: a) le aree rurali intercluse, che qualificano il contesto paesaggistico degli insediamenti di valore storico e artistico, o che presentano potenziale continuità ambientale e paesaggistica con le aree rurali periurbane, così come individuate dagli strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica dei comuni, nel rispetto delle disposizioni del PIT; b) l’edificato sparso o discontinuo e le relative aree di pertinenza” (L. R. toscana del 20 novembre 2014 n. 65 art. 4, c. 5). Piano di Indirizzo Territoriale con valenza di piano paesaggistico Attraverso il Piano di Indirizzo Territoriale con valenza di piano paesaggistico la regione Toscana detta gli indirizzi, che i comuni sono tenuti a seguire, per la perimetrazione del territorio urbanizzato.
Inquadramento territoriale delle questioni legate al tessuto urbano che presenta delle problematiche inerenti la continuità dei lotti
Avvalendosi delle disposizioni definite nella legge regionale n. 65/2014, all’interno del PIT con valenza di Piano Paesaggistico, vengono elaborate delle cartografie adeguate per l’individuazione dei morfotipi urbani e alla perimetrazione del territorio urbanizzato. Come richiesto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio il Piano Paesaggistico deve occuparsi di tutto il territorio regionale affrontando così vari aspetti di esso. Il Piano deve superare la mera funzione di tutela dei beni, in modo da poter definire delle regole per la gestione delle trasformazioni del paesaggio e dei singoli progetti. Dunque il Piano Paesaggistico non deve più occuparsi solo della tutela e della conservazione dei paesaggi di pregio ma anche delle aree rurali limitrofe ai centri abitati, delle campagne urbanizzate, spazi dismessi, zone industriali degradate, aree in stato di abbandono e così via. La trattazione delle invarianti strutturali non deve essere finalizzata all’apposizione di un vincolo, ma alla definizione di regole utili
per la gestione delle trasformazioni del territorio. Il PIT con valenza paesaggistica è composto dagli Abachi regionali delle invarianti, ogni analisi sulle invarianti è composta da un abaco specifico in cui vengono spiegati i metodi di individuazione, le caratteristiche di ogni tipologia studiata e i vari elementi presi studiati. Un punto fondamentale di questo tipo di analisi è la definizione delle prospettive progettuali, quindi delle opportunità che queste invarianti rappresentano per il territorio. Dunque lo scopo è quello di definire degli obiettivi di qualità raggiungibili attraverso delle buone pratiche progettuali. Nella sezione delle invarianti III si trova l’abaco dei morfotipi delle urbanizzazioni contemporanee. L’analisi sui morfotipi contemporanei deve servire alle amministrazioni per poter capire meglio come agire progettualmente sulle aree di margine della città, in relazione con le diverse tipologie di tessuto individuate, sia quelle di tipo residenziale che quelle di tipo produttivo e specialistico,
Inquadramento territoriale delle questioni legate alla viabilità di margine
partendo da quanto definito dagli obiettivi di qualità. Sempre mantenendo come obiettivo la riqualificazione dei margini urbani della città nel PIT è stata elaborata la Carta del Territorio Urbanizzato. In base a quanto richiesto dalla L.R. 65/2014 i comuni sono tenuti all’interno del loro piano strutturale all’individuazione del perimetro del territorio urbanizzato. L’individuazione del territorio urbanizzato è molto importante in quanto permetterà di aver chiaro cosa ricade al suo interno e cosa invece no. La definizione di tale perimetro risulta essere di più semplice individuazione nella città compatta, al contrario nella città dispersa si hanno innumerevoli problematiche nel cercare di delimitare le aree delle urbanizzazioni contemporanee. Basandosi su degli indicatori di continuità e di densità dell’aree urbanizzate la regione Toscana ha elaborato una cartografia in scala 1:50.000 che individua il territorio urbanizzato continuo. La definizione di una metodologia di perimetrazione chiara
è anche resa necessaria dalla scala adottata per l’elaborazione della cartografia, in quanto le singole amministrazioni comunali dovranno definire nuovamente il perimetro a una scala adeguata al piano strutturale e potranno avvalersi della cartografia della regione solo come quadro indicativo da reinterpretare e da puntualizzare. Infatti tale perimetrazione non ha valore normativo, poiché non è georeferenziata a livello catastale. In questo modo al di fuori del territorio urbanizzato rimangono delle aree agricole che possono essere considerate a servizio di quelle urbane, attraverso un utilizzo di esse come orti urbani, giardini periurbani, aree con funzioni paesaggistiche didattiche oppure parchi agricoli e così via. Un ulteriore strumento che la regione Toscana dà alle amministrazioni comunali sono le Linee Guida, attraverso questo allegato l’ente regionale tenta di fornire delle ipotesi progettuali specifiche, riferite ad ogni morfotipo individuato nell’abaco. Tale elaborato ha lo scopo di impostare in linea di massima i principi
di una corretta riqualificazione paesaggistica delle aree di frangia, andando così a rivolgersi agli strumenti di pianificazione comunale quali piano strutturale e regolamento urbanistico. Lo strumento sopra citato nonostante il suo carattere innovativo risulta avere una difficile applicazione concreta nei centri abitati toscani. L’obiettivo ultimo di questo tipo di analisi, nonostante i limiti di applicazione, è sicuramente quello di fornire alle amministrazioni comunali gli strumenti su sui poter riqualificare i territori di frangia andando così ad intervenire all’interno del territorio urbanizzato in modo da poter assecondare le politiche di riduzione del consumo di suolo. Così facendo è possibile progettare una vera e propria riqualificazione paesaggistica dei margini urbani, attraverso il sapiente utilizzo delle campagne periurbane come risorse, mediante l’uso di fasce alberate, orti, giardini pubblici, frutteti e green belt. Perimetrazione dell’area urbanizzata La definizione del territorio urbanizzato può presentare notevoli difficoltà a causa dell’elevata dispersione insediativa delle urbanizzazioni contemporanee. Queste modalità di espansione hanno creato delle zone di margine non definite, sfrangiate che spesso prendono la forma di aloni o filamenti; in questi territori le aree edificate inglobano le aree rurali andando così a perdere l’equilibrio tra i due sistemi. Dalla situazione sopra descritta nasce la necessità dell’individuazione del confine urbano, per quelle aree che risultano avere una composizione spaziale e strutturale estremamente variabile. Non esiste una metodologia scientifica in grado di perimetrare il territorio urbanizzato. Infatti i metodi per
la determinazione del perimetro della città sono molteplici proprio perché molteplici possono essere i criteri da prendere in considerazione, come anche gli scopi e la scala di applicazione. La Regione Toscana individua l’area urbanizzata nella propria cartografia tecnica regionale e lo fa attraverso una fotointerpretazione. Il risultato di questa procedura ci porta ad avere una copertura areale poligonale. Tale metodologia comporta non poche imprecisioni, in quanto il risultato finale è fondato su un’interpretazione di ci esegue il lavoro. Dunque tale perimetro può variare ogni volta che viene definito e proprio per questo motivo non può essere preso come un dato scientifico. Oltre a queste incertezze si aggiunge anche quella legata alla data di realizzazione dei file, in fatti non sempre essi sono aggiornati. Nello specifico del comune di Piombino la C.T.R. risale al 1993 dunque non rappresenta lo stato attuale di urbanizzazione ed è per questo che non può essere considerato come un dato valido. Anche all’interno del regolamento urbanistico viene definita l’area dei centri abitati: “Ai sensi dell’art. 55, comma 2, lettera b) della Lr. 1/05, sono stati individuati con apposito segno grafico sulle tavole in scala 1:2000, i perimetri aggiornati dei centri abitati costituenti delimitazioni continue che comprendono tutte le aree edificate e i lotti interclusi. Il territorio rurale e aperto è tutto il territorio non incluso nel perimetro dei centri abitati” (Comune di Piombino, 2014, p.102). Tali aree fanno parte del sistema insediativo attuale definito nella relazione generale del piano strutturale d’area “Nello specifico sono state considerate afferenti al sistema 87 insediativo tutte le aree
riconducibili alle zone omogenee A, B, C, D e G, gli spazi pubblici (Sp) e il verde privato (vp); inoltre sono stati contabilizzati all’interno del sistema insediativo gli orti urbani (U.O.), le zone F” (Comune di Piombino, 2007, p.109). Le problematiche relative alle considerazioni di tali zone sono date dall’inclusione di aree in cui sono previste nuove edificazioni, cioè vengono incluse delle aree non ancora effettivamente urbanizzate. Un importante riferimento metodologico per la perimetrazione dei centri abitati è stato sicuramente quello fornito da Giovanni Astengo in una ricerca sullo stato di urbanizzazione del territorio italiano. Per questo studio Astengo ha elaborato una metodologia scientifica che ha permesso una precisa definizione del territorio urbanizzato andando così a dettare dei criteri pratici per la perimetrazione delle aree edificate2. L’unica problematica riscontrata nella metodologia sopra riportata riguarda le strade esterne al nucleo insediativo poiché non viene specificato il modo in cui devono essere trattate. Un modo per ovviare al problema potrebbe essere quello di tener conto delle reti fognarie che in alcuni casi potrebbero coincidere con la superficie della viabilità, in quanto per risparmiare sui costi di realizzazione spesso vengono costruite nello stesso momento, ciò permette di dedurre lo stato di antropizzazione dell’area. Come è già stato detto in precedenza anche la regione toscana all’interno della nuova legge regionale delinea una metodologia per la perimetrazione del territorio urbanizzato. Per l’applicazione del metodo citato si è fatto riferimento all’articolo 4 comma 3, 4 e 5, ma anche all’articolo 64 comma1. Le problematiche riscontrate sono di varia natura in quanto la legge risulta essere troppo restrittiva in certi casi e non troppo
chiara in altri. In base a quanto definito dal comma 4 nell’elaborazione del perimetro bisogna tener conto delle strategie di riqualificazione e rigenerazione urbana e dunque per attuare tale prescrizione all’interno della seguente ricerca si è deciso di includere nel perimetro i piani attuativi e le aree di trasformazione previste negli strumenti urbanistici. Tali aree sono attualmente non edificate oppure lo sono solo in parte. Prospettive e problematiche nell’individuazione del territorio urbanizzato di Piombino Per poter definire in modo puntuale il perimetro del territorio urbanizzato è stato necessario andare ad analizzare e risolvere le singole problematiche emerse nell’applicazione della perimetrazione sul comune di Piombino. In questo modo si è cercato di definire una metodologia univoca per la risoluzione delle questioni dubbie riguardanti la delimitazione dell’area urbanizzata, così facendo si è potuto delineare l’area del territorio urbanizzato con più chiarezza. Questione legata al tessuto urbano che presenta delle problematiche inerenti la continuità dei lotti. All’interno dell’articolo 4 comma 3 non viene specificata la definizione di continuità dei lotti. Non vi è un parametro da seguire per stabilire la continuità anche se tale concetto può essere interpretato come una continuità spaziale o percepita. Proprio per questo motivo ogni caso in cui l’applicazione del concetto di continuità dei lotti risultava dubbio è stato analizzato singolarmente attraverso l’analisi della cartografia tecnica regionale, delle foto aeree fornite dalla regione, delle mappe catastali e degli strumenti di mappe online come Google maps Street view e Bing maps.
Inquadramento territoriale della questione legata alla difficoltà di identificazione dei lotti su mappe catastali
I due casi individuati durante l’esecuzione della perimetrazione sono composti da dei singoli lotti o da gruppi di lotti edificati, dunque in entrambi i casi sono presenti delle aree separate dal territorio urbanizzato compatto mediante delle aree verdi. Per decidere l’inclusione o meno all’interno del perimetro, sono state eseguite delle valutazioni basate sulla misurazione della loro distanza dal territorio urbanizzato, in modo da poter valutare se i casi specifici fossero idonei per poter parlare di continuità spaziale e percepita. Il punto fondamentale di questo tipo di problematica sta nella necessità di stabilire un parametro preciso per riuscire ad applicare il concetto di continuità dei lotti, inoltre tale parametro dovrebbe essere individuato rispetto alle caratteristiche del luogo di applicazione. Questione legata alla viabilità di margine La criticità riscontrata riguardante la viabilità deriva dall’assenza di una definizione precisa da parte della
legge. All’interno della LR n. 65/2014 non viene definito alcun dettaglio sul comportamento da adottare sia sulla viabilità di margine che su quella extraurbana. Dunque per questo motivo la scelta da adottare può essere basata su parametri discrezionali o su scelte supportate da obiettivi di riqualificazione e rigenerazione urbana. Nel caso specifico di Piombino durante la perimetrazione è stato possibile riscontrare che in varie parti della città il nucleo compatto del territorio urbanizzato risulta essere delimitato dalla viabilità, che può essere considerata un’area antropizzata. Poiché all’interno dell’art. 4 non viene specificato nulla in merito al comportamento da tenere nei confronti di queste aree, la scelta di inclusione deve essere basata su delle valutazioni specifiche. La scelta effettuata in questa ricerca è stata quella di includere entrambi i casi all’interno del perimetro del territorio urbanizzato, non solo perché tali aree sono delle zone antropizzate, ma anche perché attraverso un intervento progettuale di
Inquadramento territoriale della questione legata agli agglomerati isolati extraurbani
riqualificazione diventerebbe possibile definire il margine urbano in modo più organico. Attraverso una riqualificazione della viabilità, di margine e interna, mediante la creazione di vere e proprie green ways si renderebbe possibile la creazione di un sistema di viabilità dolce idoneo a collegare i vari poli della città, ma che permetta anche un’integrazione tra le aree verdi urbane e le aree agricole extraurbane. Questione legata alla difficoltà di identificazione dei lotti su mappe catastali La criticità riscontrata è legata alla difficoltà di individuazione del lotto attraverso le mappe catastali, tale problematica è stata riscontrata nell’individuazione del perimetro delle aree industriali. La difficoltà risiede nell’individuare in maniera precisa l’area appartenente alla pertinenza dell’industria basandosi sui dati delle mappe catastali, sia su quelle fornite dalla Regione Toscana ma anche su quelle del sistema informativo territoriale del comune.
In base alla lettura che è stato possibile fare delle mappe catastali, il fabbricato produttivo è legato a una particella di piccole dimensioni rispetto a quella che è effettivamente riconducibile all’attività attraverso l’analisi delle foto aree. Tale problematica è dunque connessa principalmente ad un’incompletezza dei dati di base, utilizzati per l’elaborazione di questo studio, relativi alle mappe catastali. È per queste motivazioni che si è deciso di includere nel territorio urbanizzato solo le aree su cui vi era un’univoca interpretazione sulla relazione tra la pertinenza e l’attività produttiva. L’inclusione di queste ampie aree potrebbe essere finalizzata ad una riqualificazione urbanistica e ambientale, prevedendo un risanamento ecologico ed anche dei cambi di destinazione d’uso. Questione legata agli agglomerati isolati extraurbani Durante la perimetrazione del territorio comunale di Piombino sono state individuate svariate zone urbanizzate localizzate all’interno del
territorio rurale. In base all’articolo 64 queste aree non sono parte del territorio urbanizzato e vengono definite come ‘nuclei rurali’. Per una più corretta definizione la denominazione della problematica riscontrata, agglomerati isolati extraurbani, è stata ripresa dalla classificazione fatta nel Piano di Indirizzo Territoriale con valenza di piano paesaggistico all’interno degli Abachi dei morfotipi delle urbanizzazioni contemporanee. Le aree individuate sono degli agglomerati urbanizzati isolati all’interno del territorio rurale, esse presentano caratteristiche simili, in quanto sono delle zone principalmente residenziali in cui viene praticata agricoltura amatoriale, risultano essere prive di spazi pubblici e di servizi e questo le fa diventare totalmente dipendenti dai centri abitati limitrofi. Queste tipologie di aree urbanizzate sono prive di una forma compiuta e di un disegno urbano ben strutturato. In base alle disposizioni della legge queste aree non sono parte del territorio urbanizzato in quanto non presentano un carattere di continuità e perché sono inserite all’interno di un contesto rurale, dunque vengono classificate come ‘nuclei rurali’. Per tali aree risulta essere necessario prevedere degli interventi in modo da dotarle di servizi, spazi pubblici per avere una riduzione degli spostamenti, ma anche una riqualificazione dei margini cercando di integrare le caratteristiche rurali con quelle urbane. Inoltre è evidente la necessità di impedire nuove espansioni di questa natura, in modo da contribuire all’arresto di consumo di nuovo suolo agricolo. Questioni aperte L’espansione avvenuta tra gli anni ‘50 e ‘60 in Italia ha creato delle periferie porose e indefinite. Così
facendo le aree urbanizzate a bassa densità hanno invaso i territori periurbani andando a sottrarre aree agricole. Questo tipo di problematiche hanno portato alla necessita di intervenire sulle modalità di espansione della città cercando di fermare il consumo di suolo. La regione toscana fa della limitazione del consumo di suolo l’obiettivo principale su cui basare la nuova legge regionale, ed è proprio su queste basi che viene definita una metodologia netta per la perimetrazione dei territori. All’interno di questo studio sono state individuate differenti metodologie utili a delineare il perimetro dei centri abitati, partendo da quelle acquisite come l’area urbanizzata della cartografia tecnica regionale e del regolamento urbanistico ne sono state applicate altre due, ovvero la perimetrazione proposta da Giovanni Astengo e quella della nuova legge regionale toscana. I quattro metodi sono stati applicati al territorio di Piombino, con lo scopo di definirne una perimetrazione puntuale e precisa. La metodologia di perimetrazione basata sulle disposizioni della legge regionale toscana ha portato alla luce alcune problematiche relative alla sua applicazione, tali criticità hanno messo in evidenza delle aree di frangia in cui l’applicazione della legge risultava dubbia. Le problematiche sono emerse poiché è stato complesso riuscire ad associare le definizioni della legge alla complessità della struttura urbana. In seguito all’analisi effettuata sulle singole problematiche è stato possibile concludere il percorso della ricerca affermando che: • per una precisa applicazione delle disposizioni della legge si rende necessaria la definizione di un 89 criterio per stabilire un
parametro idoneo all’applicazione del concetto di continuità dei lotti, tale parametro dovrà essere individuato in base al luogo di applicazione; • infine, per quanto riguarda gli agglomerati isolati extraurbani si rende necessario definire un criterio utile a stabilire un parametro univoco per l’applicazione del concetto di continuità dei lotti in aree che presentano superfici differenti da quelle del nucleo urbanizzato principale. Tale parametro servirà a definire la dimensione minima dell’agglomerato isolato per poterlo considerare come territorio urbanizzato. Inoltre, devono essere previsti degli interventi progettuali al fine di aumentare i servizi e di ridisegnare a livello paesaggistico il margine.
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Valentini A. 2005, Progettare paesaggi di limite, Firenze University Press, Firenze.
La rigenerazione urbana delle aree periferiche: esplorazioni progettuali alle diverse scale 91
La periferia è una fabbrica di idee, è la città del futuro. R. Piano
Introduzione Marina Visciano Scuola di Architettura Università Degli Studi di Firenze
Nel corso del tempo il concetto di sviluppo urbano è divenuto sempre più complesso, passando da un’idea di crescita ed espansione urbana ad una di evoluzione. In questa nuova chiave di lettura, le città non mutano necessariamente per la loro dimensione, piuttosto sono soggette ad un processo di metamorfosi interna che non è chiaro e facilmente interpretabile come lo è il fenomeno della crescita urbana: “dalla ghianda sai che verrà fuori una quercia” (Marshall, 2009, p.3). Il processo evolutivo è qualcosa di più complesso, di imprevedibile, in cui le città devono essere pronte a sopravvivere, adattarsi ed innovarsi (Batty, Marshall, 2009). In quest’ottica, la metamorfosi urbana comprende la rilettura delle aree periferiche, che in un’ottica di rinnovamento devono necessariamente essere reinterpretate e rimesse in circolo nel metabolismo urbano. Il presente capitolo propone dei possibili scenari di rigenerazione ambientale, sociale e funzionale di contesti urbani periferici italiani, con l’obiettivo di rendere i luoghi della marginalità un terreno fertile di sperimentazione progettuale. Il primo contributo, di Davide Bruschi, avanza delle proposte di rigenerazione urbana per la Zona Industriale Apuana di Massa-Carrara, in un contesto che si presenta attualmente fortemente critico sia dal punto di vista funzionale che Bibliografia Batty M., Marshall S. 2009, From Darwinism to Planning - Through Geddes and Back, Town &Country Planning, London (UK). Clément G. 2005, Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata. Galdini R. 2008, Reinventare la città. Strategie di rigenerazione urbana in Italia e in Germania, Editore Franco Angeli, Milano. Marshall S. 2009, Cities Design and Evolution, Routledge, London and New York. Peraboni C. 2011, Progetto di connessione tra rurale ed urbano nei territori fragili. I paesaggi periurbani, Firenze. Sitte C. 2007, L’arte di costruire le città, Jaca Book, Milano. Valentini A. 2005, Progettare paesaggi di limite, Firenze University Press, Firenze.
ambientale. Il progetto mette in atto delle scelte volte principalmente alla riconversione delle aree dismesse e inutilizzate attraverso interventi di riqualificazione e riuso, con l’obiettivo di creare nuovi capisaldi funzionali che possano contribuire al rilancio urbanistico ed economico dell’area. Il secondo saggio, di Federico Caracciolo, propone uno scenario per la città di Lecce, volto alla riconnessione tra la città e la campagna attraverso interventi di riqualificazione degli spazi pubblici periferici. In particolare, il progetto prevede la realizzazione di una cintura verde che andrà a costituire il nuovo limite urbano attraverso la composizione di un sistema articolato di spazi multifunzionali aventi una forte connotazione ambientale. Il terzo contributo, di Laura Fortuna, si muove invece nella realtà dei beni confiscati alla criminalità organizzata siciliana, in una porzione di territorio di Marina di Cinisi. L’area oggetto di trasformazione si presenta in un contesto periferico di edilizia residenziale sparsa, in cui mancano le funzioni pubbliche necessarie all’autosufficienza minima dell’insediamento. Il progetto avanza delle proposte ricucitura e ridisegno dello spazio pubblico con l’inserimento di nuovi servizi ed esercizi pubblici, nell’ottica di creare una nuova centralità urbana. Infine, l’ultimo saggio di Denise Franchi propone un progetto per una zona della periferia ovest della città di Lucca. A partire dai principi ispiratori dei giardini delle ville gentilizie lucchesi e dei parchi contemporanei francesi, viene proposto un progetto di riconversione di alcuni spazi aperti con l’obiettivo di dare alla città un nuovo parco urbano. Quest’ultimo, si prefigura infatti come una composizione delle diverse aree verdi che, una volta ridisegnate e riconnesse, si presenteranno come dei veri e propri ‘salotti verdi’ urbani.
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Zona Industriale Apuana dall’alto (fonte: Elaborazione dell’autore)
La rigenerazione urbana dei distretti industriali: proposte progettuali per la Zona Industriale Apuana Davide Bruschi
Introduzione Le proposte di rigenerazione urbana in un distretto industriale secondo principi di sviluppo sostenibile sono alla base di una riflessione su come utilizzare le risorse disponibili per conseguire effetti positivi di ricaduta dagli interventi sul territorio, con riferimento ai concetti di riqualificazione e riuso urbano. Questi principi vengono interpretati nel progetto di rigenerazione urbana per la Zona Industriale Apuana di Massa-Carrara, un’area estremamente complessa e degradata sotto il profilo urbanistico ed ambientale, attraverso un
sistema di azioni coordinate, facendo leva in prima istanza sulle aree dismesse e inutilizzate, con l’obiettivo di farne un punto di forza per il rilancio socio-economico ed ambientale del comprensorio apuano. Storia e sviluppo della Zona Industriale Apuana Il distretto industriale nasce nel 1938 1 su iniziativa del regime fascista in relazione ad alcune problematiche quali l’influenza della crisi mondiale del 1929, le difficoltà legate all’aumento demografico e al
tasso di disoccupazione, la necessità di creare delle alternative a settori economici all’epoca in crisi come il lapideo, l’artigianato e l’agricoltura. La nuova grande zona industriale viene localizzata in un’area di 822 Ettari, ricadente in parte nel Comune di Massa e in parte in quello di Carrara: Comuni che avevano avuto fino ai primi del Novecento uno sviluppo urbano legato ad attività economiche diverse: agricoltura e terziario per Massa e industria marmifera per Carrara. L’insediamento produttivo, realizzato su una pianura utilizzata dal
Corso di Laurea Magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio Relatore: Prof. Francesco Alberti Aprile 2017
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Planimetria della Zona Industriale Apuana con l’ubicazione degli stabilimenti e la tipologia di industrie nel 1943-’45 (fonte: rielaborazione della planimetria dell’Archivio del Consorzio Z.I.A.)
XVI secolo a fini agricoli, è delimitato dalla strada Aurelia, dai corsi d’acqua del Carrione (a Carrara) e del Frigido e Lavello (a Massa), dalla fascia litoranea a sud della strada di collegamento Massa-Avenza, che nei decenni successivi sarà interessata dalla costruzione di abitazioni e strutture ricettive legate al turismo balneare. La scelta di collocare l’area industriale nel territorio apuano è favorita dai seguenti fattori: • disponibilità di aree pianeggianti libere, espropriabili a bassi costi; • condizioni climatiche favorevoli; • vicinanza a importanti vie di comunicazione stradali e ferroviarie e al porto di Marina di Carrara • presenza di corsi d’acqua e sistemi fognari; • possibilità di approvvigionamento di energia elettrica;
• presenza di una miniera di ferro nel retroterra montano (la cosiddetta “Buca della Vena”); • vicinanza alla base militare di La Spezia; • presenza della società Montecatini, attiva nel settore marmifero con interesse ad espandersi in altri rami produttivi; • disponibilità di mano d’opera a basso costo – con l’opportunità di ridurre l’alto tasso di disoccupazione locale; • peso politico degli esponenti locali all’interno del regime fascista. Individuati la posizione e i confini per la Zona Industriale Apuana (Z.I.A.), le prime opere di urbanizzazione riguardano la realizzazione della rete stradale2, ferroviaria e fognaria, la sistemazione dei terreni e la regimazione dei corsi d’acqua.
I primi settori produttivi a insediarsi nel polo sono la metallurgia, la produzione di derivati chimici destinati principalmente all’agricoltura, le attività legate alla lavorazione del carbone, la produzione di materiale bellico. Nel dicembre del 1938 viene istituito il Comune di Apuania, derivato dall’unione dei Comuni di Carrara, Massa e Montignoso, a cui fa seguito l’elaborazione nel 1941 del P.R.G.. L’obiettivo primario del piano è lo sviluppo del distretto industriale e l’aumento delle zone edificabili volto a unificare le aree urbane di Massa e di Carrara. Il piano resta inattuato per lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, per poi decadere, nel Dopoguerra, a seguito del ripristino dei tre Comuni. I primi dati ufficiali riguardanti il numero degli stabilimenti insediati
nella Z.I.A. si riferiscono al 1943, quando gli impianti attivi3 risultano 44, per un totale di 7.902 occupati (Consorzio Z.I.A., 1949). I settori della meccanica e metalmeccanica si sviluppano nella parte orientale del distretto industriale, con diverse aziende come Breda, R.I.V., Innocenti-Dalmine; il settore chimico nella parte occidentale, con la Montecatini e la Rumianca, specializzate in prodotti chimici per l’agricoltura, e la Coke Apuana specializzata nel trattamento del carbone. Altri settori, quantitativamente meno rilevanti, riguardano l’abbigliamento, l’edilizia, la falegnameria e l’industria alimentare. Nel distretto troviamo anche due industrie importanti nel campo dell’edilizia: La Cementeria Apuana e la Fibronit, quest’ultima specializzata
in prodotti in amianto. Altre aziende di rilievo nazionale si localizzeranno nell’area in tempi successivi4. La volontà di arrivare ad un rapido sviluppo economico della Z.I.A. consentendo l’insediamento del maggior numero di aziende possibili sono all’origine di una distribuzione interna priva di criteri, risultante dall’accostamento di settori produttivi e lavorazioni con esigenze talvolta in contrasto fra loro (Petri, 1990). Altri problemi che emergono fin dalle fasi di avvio sono l’impiego di manodopera non qualificata nelle aziende l’insufficienza della rete infrastrutturale e le difficoltà degli enti pubblici ad assicurarne la manutenzione; carenze nella rete di fornitura elettrica. Durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1944, la zona industriale è sottoposta a bombardamenti5 e saccheggiata di macchinari ed attrezzature da parte delle truppe tedesche. Per fronteggiare le esigenze della ricostruzione e della realizzazione di una rete infrastrutturale adeguata, nel Dopoguerra viene istituito il Consorzio Zona Industriale Apuana (1948). Il nuovo ente ha il compito di coordinare gli investimenti, redigere piani urbanistici e stimolare l’iniziativa delle aziende; inoltre ha la facoltà di espropriare aree e stabilimenti inutilizzati o inattivi per evitare il blocco o la stagnazione delle attività industriali. Nonostante i poteri del Consorzio Z.I.A., le opere di ricostruzione si rivelano lente e difficoltose. Per favorire la ripresa industriale, alle aziende non vengono imposte limitazioni di sorta alle tipologie, alle distribuzioni degli stabilimenti e neppure al loro regime produttivo. Ciò permette alle grandi aziende di ricostruire gli impianti secondo i propri criteri (Falqui, 1988) ma dimostra anche la debolezza nella gestione della zona industriale sotto il profilo
politico ed urbanistico da parte del Consorzio Z.I.A. e degli enti locali. Negli anni ’60 esplode il fenomeno dell’abusivismo edilizio, con tutti i problemi di convivenza che derivano dalla costruzione di abitazioni sparse all’interno del polo industriale. Per frenare l’espansione abusiva, il P.R.G. della Z.I.A. nel 1963 impone alcuni vincoli, tra cui la destinazione a verde pubblico di un’area in località Alteta, al centro della zona industriale, dove erano già presenti alcune residenze. Negli anni ‘70 la produzione industriale registra una crescita, cui corrispondono maggiori livelli di occupazione: l’anno di massimo storico dell’occupazione è il 1979, con una struttura produttiva fortemente polarizzata: 9.797 addetti, di cui i due terzi sono concentrati in appena il 6% dei 239 stabilimenti presenti6. Nel decennio del 1970-’80 il settore chimico ha una trasformazione della produzione indirizzandosi alla chimica “fine”7. Da questo momento si apre una questione ambientale legata alle produzioni nocive degli impianti chimici che vede le amministrazioni locali al centro di un conflitto sempre più acceso tra la popolazione e le aziende. I timori trovano eco anche tra gli operatori del settore turistico di Marina di Massa che chiedono trasparenza d’informazione e azioni efficaci di contrasto all’inquinamento industriale. Negli anni ’80, una serie di incidenti negli stabilimenti chimici determinano incertezze e preoccupazioni per il futuro della zona industriale. Il 17 luglio del 1988 avviene uno degli incidenti più famosi nella storia dell’industria italiana: l’esplosione di un impianto dell’azienda Farmoplant con la fuoriuscita di una nube tossica che andò a coprire parte delle due città; ciò portò alla sospensione delle attività e in seguito alla chiusura dell’azienda.
Nel 1991, con la promulgazione della Legge n. 195, la Z.I.A. è dichiarata area gravemente inquinata, da bonificare. Dai dati statistici dell’ISTAT e da diverse inchieste e studi fatti dal Ministero della Salute (Pirastu et.al., 2010), nei Comuni apuani si manifesta una mortalità superiore alla media toscana e italiana per diverse patologie tumorali, in buona parte da attribuirsi alle produzioni chimiche della zona industriale (Marra et.al., 1995). Tra gli anni ‘80 ai primi anni ’90, con la crisi della grande industria, cessano l’attività i maggiori complessi chimici e metalmeccanici, i cui siti vanno ad aumentare le aree da bonificare e riqualificare per la futura reindustrializzazione. Nello stesso periodo le nuove disposizioni del Consorzio Z.I.A. e delle amministrazioni locali vietano nel distretto ulteriori attività produttive nel settore chimico o comunque insalubri o nocive per la salute umana, mentre viene ammesso definitivamente l’inserimento di stabilimenti del settore lapideo del marmo8. Dalla metà degli anni ’90 ad oggi il Consorzio Z.I.A. ha perso la facoltà di redigere piani urbanistici e deve adeguarsi agli strumenti urbanistici comunali; sono quindi stati elaborati diversi Piani di Lottizzazione Convenzionata e Piani Attuativi per la bonifica e il recupero delle aree industriali dismesse, avviando la ricostruzione del tessuto produttivo basato sulle piccole e medie imprese e sul terziario. Stato attuale della Zona Industriale Apuana Negli ultimi decenni, la parte della Z.I.A. ricadente nel Comune di Carrara è stata oggetto di numerosi Piani Attuativi, che ne hanno modificato l’assetto. In particolare: • già dalla fine degli anni ’80 l’area dell’ex I.R.I.-Apuana Coke9 è stata
destinata a più funzioni ed occupata da un deposito merci portuale, da una sede del Nuovo Pignone e da piccole e medie imprese metalmeccaniche; • con il progetto A.S.I. negli anni ’90 è iniziata la bonifica ambientale dell’ex Apuana Coke, ancora da completare, all’interno della quale nei primi anni 2000 vengono realizzati capannoni per le piccole e medie imprese di vari settori, tra cui marmo e cantieristica navale; • l’ex Montecatini-D.I.C.A. viene bonificata e recuperata negli anni ’90 con la creazione di stabilimenti per la lavorazione di granulati di marmo; • l’ex Italcementi e parte dell’ex Ferroleghe vengono bonificate e riqualificate tra gli anni ’90 e gli anni 2000 con l’inserimento di laboratori marmiferi, terziario e attività di trasporto merci; • tra il 2002 e il 2006 è stata bonificata l’ex Fibronit e vengono realizzati vari capannoni per piccole e medie imprese di diversi settori. Ad oggi rimangono le seguenti aree industriali dismesse: • l’ex Enichem, la cui bonifica ambientale è ancora da avviare e priva di piano attuativo; • l’ex Manifattura Tabacchi con bonifica ambientale avviata e per la quale vige un Piano Attuativo di recupero edilizio dal 2011 non ancora attuato; • la rimanente parte dell’ex Ferroleghe, con bonifica ambientale non ancora avviata; • l’ex Cementeria Apuana, in stato di abbandono senza progetti di recupero; • alcuni laboratori marmiferi in prossimità del torrente Carrione, anch’essi in stato di abbandono. Nella parte della Z.I.A. di Massa sono state riqualificate mediante 97 Piani di Lottizzazione
Estratto tav. n.10 – Aree industriali dismesse o inutilizzate al 2016 (fonte: elaborazione dell’autore)
Convenzionata le seguenti aree: • l’ex R.I.V., in cui negli anni ‘90 vengono insediati laboratori marmiferi e aziende meccaniche e metalmeccaniche10; • l’ex Refrattari, riqualificata verso la fine degli anni ’90 con la costruzione di un grande centro commerciale; • parte dell’ex Dalmine, in cui dal 1995 al 2002 vengono realizzati nuovi impianti per il settore marmifero e terziario; i vecchi stabilimenti sono stati invece recuperati e destinati alla cantieristica navale e alla metalmeccanica; • parte delle aree ex Montedison-Farmoplant (ex Montecatini Azoto e Resine), in cui dal 2002-2003 sono stati realizzati stabilimenti specializzati nella cantieristica navale e di tipo manifatturiero, mentre alcuni lotti sono ancora in attesa di bonifica; Sono invece ad oggi inutilizzati: • l’area ex Olivetti-Synthesis, in cui è presente ancora il vecchio stabilimento; • diversi terreni ancora da boinificare e i fabbricati costruiti di recente nelle aree ex Azoto e Resine; • i terreni inedificati e in stato di abbandono all’interno dell’area ex Dalmine. Dal 1999 La Z.I.A. rientra all’interno del Sito di bonifica di Interesse Nazionale (S.I.N.), comprendente, oltre all’area del Consorzio, il porto di Marina di Carrara e parte della marina. Dal 2013 il S.I.N. di Massa-Carrara diventa Sito di bonifica di Interesse Regionale (S.I.R.)11 ad eccezione delle aree ex Enichem, ex Ferroleghe, ex Montedison-Farmoplant e dell’industria Solvay Bario-Derivati S.p.a. che restano classificate come S.I.N.. Durante gli ultimi anni il Consorzio Z.I.A. e i vari enti locali e regionali competenti hanno avviato una serie
di programmi di sviluppo industriale per riportare un buon livello occupazionale, ma a causa della risi economica iniziata nel 2008 molte imprese versano in difficoltà. Oggi i piani e strumenti di governo del territorio che interessano la Zona Industriale Apuana hanno tutti come obiettivo principale la bonifica dei siti inquinati ed il mantenimento della vocazione produttiva in un’ottica di sviluppo sostenibile. Tra questi, il P.I.T. della Regione Toscana12 ha introdotto prescrizioni e direttive volte alla realizzazione di aree produttive ecologicamente attrezzate, che non prevedono di norma destinazioni d’uso diverse da quelle produttive o di tipo commerciale e direzionale. A livello comunale, il Piano Strutturale e il Regolamento Urbanistico di Carrara13 nella parte di competenza del Consorzio Z.I.A. prevedono la bonifica dei siti inquinati e destinazioni d’uso produttive e artigianali; nella parte di Massa il Piano Strutturale e il Regolamento Urbanistico14, oltre al completamento delle bonifiche e al riutilizzo dell’edificato esistente prevedono non solo destinazioni ad uso produttivo, ma anche di tipo direzionale e commerciale lungo le strade principali come la via Aurelia, la salvaguardia delle zone residenziali all’interno della Z.I.A. ed il mantenimento delle aree agricole esistenti. La rigenerazione urbana della Zona Industriale Apuana La rigenerazione delle aree industriali dismesse Uno dei temi più rilevanti nel campo della pianificazione urbana e territoriale riguarda la rigenerazione urbana delle aree industriali dismesse15. Il significato di rigenerazione urbana in Italia non ha ancora una definizione univoca. secondo l’Enciclopedia Treccani la rigenerazione urbana “designa i programmi di recupero e
riqualificazione del patrimonio immobiliare alla scala urbana che puntano a garantire qualità e sicurezza dell’abitare sia dal punto di vista sociale sia ambientale, in particolare nelle periferie più degradate. Si tratta di interventi che, rivolgendosi al patrimonio edilizio preesistente, limitano il consumo di territorio salvaguardando il paesaggio e l’ambiente; attenti alla sostenibilità, […] I quartieri o le parti di città oggetto di interventi di r. u. vengono pertanto sottoposti a una serie di miglioramenti tali da renderne l’edificato compatibile dal punto di vista ambientale, con l’impiego di materiali ecologici, e il più possibile autonomo dal punto di vista energetico, con il progressivo ricorso alle fonti rinnovabili; ma anche tali da limitare l’inquinamento acustico e raggiungere standard adeguati […] in modo da ottenere un complessivo innalzamento della qualità della vita degli abitanti” 16. Gli interventi di rigenerazione di aree industriali dismesse sono sempre più frequenti in tutto il mondo. Tra le buone pratiche che possono essere prese in considerazione, in quanto presentano aspetti per certi versi simili all’area apuana, possono essere citati la bonifica e riqualificazione della valle dell’Emscher Park nella regione della Ruhr in Germania e il progetto “Confluence” di Lione in Francia. Nel primo caso si tratta di una vasta area territoriale caratterizzata dalla presenza di stabilimenti siderurgici dismessi nel bacino del fiume Emscher, la cui rigenerazione è stata attuata dal 1989 al 2010 mediante programmi e progetti coordinati che hanno riguardato ben 17 Comuni. Per avviare il progetto è stata necessaria una vasta operazione di bonifica ambientale, a seguito della quale le aree dismesse sono state
recuperate con l’inserimento di nuove funzioni, prevalentemente a carattere socio-culturale; le strutture industriali sono state in gran parte restaurate per il loro valore patrimoniale, di archeologico industriale, e collegate tra loro da parchi e percorsi di mobilità dolce (Marchigiani, 2005). Il progetto “Confluence” di Lione, avviato negli anni 2000 e tutt’ora in corso, riguarda un’area situata nella confluenza dei fiumi Rodano e Saône, che in passato ha avuto uno sviluppo legato alle infrastrutture ferroviarie. Il programma di rigenerazione, parte integrante del progetto strategico denominato Grand Lion, comprende la bonifica dei siti inquinati e la loro riconversione in distretti urbani multifunzionali a partire dalla divisione dell’area in due sottozone, per ciascuna delle quali è stato redatto uno specifico Masterplan. Gli interventi, in gran parte già realizzati, ridisegnano il sistema della mobilità, con l’inserimento di linee tramviarie e percorsi per la mobilità dolce, e comprendono sia la costruzione ex novo di spazi commerciali e ricreativi, che il riuso di edifici esistenti per l’inserimento di sedi universitarie, la creazione di nuove residenze ad alte prestazioni di risparmio energetico, di cui una parte dedicata al social housing17. In Italia, un’area industriale paragonabile per estensione alla Z.I.A., è l’ex Italsider di Bagnoli, situata lungo la fascia costiera napoletana, che in passato ha avuto uno sviluppo industriale legato al settore siderurgico. Il progetto di recupero, attualmente in fase di stallo (avrebbe dovuto concludersi nel 2021), prevede un parco per lo sport, la valorizzazione degli edifici di archeologia industriale mediante l’inseri99 mento di nuove funzioni
Estratto tavola n.17.1: Schema Direttore di progetto (fonte: elaborazione dell’autore)
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Estratto tavola n.18: Masterplan di progetto ( fonte: elaborazione dell’autore)
ricreative e culturali, una zona ricettiva connessa alla rinaturalizzazione della spiaggia e alla creazione di un porto turistico, la creazione di un polo per l’high-tech e per la ricerca universitaria, la realizzazione di una zona artigianale ed infine un sistema di trasporto pubblico con nuove fermate della metropolitana e percorsi per la mobilità dolce immersi nel verde18. A differenza dei casi di studio sopradescritti, la cui trasformazione ha portato alla realizzazione di nuovi contesti urbani con funzioni diverse da quelle produttive, il progetto di rigenerazione della Zona Industriale Apuana proposto nella tesi si basa sul mantenimento e la riorganizzazione spaziale di funzioni produttive compatibili. Analisi territoriali nella Zona Industriale Apuana Per definire una proposta di rigenerazione urbana della Z.I.A., sono state effettuate in via preventiva una serie di indagini, attraverso sopralluoghi ed elaborazioni su base GIS, per conoscere le attuali funzioni degli edifici e l’esatta consistenza e caratterizzazione delle aree in abbandono o sottoutilizzate, sopperendo alla mancanza di mappature aggiornate sullo stato di fatto. Dagli approfondimenti analitici è emerso che all’interno del perimetro del Consorzio Z.I.A., la superficie coperta dagli edifici assomma a 194 Ettari, pari al 24% del totale, a fronte del 76% di superficie scoperta non edificata (pari a 608 ettari). Della superficie coperta dell’edificato il 79% riguarda funzioni produttive, commerciali, direzionali, attrezzature sportive e pubbliche, mentre il 21% corrisponde a funzioni residenziali19. La superficie territoriale delle aree industriali dismesse comprende per il 28% aree non ancora sottoposte
a bonifica ambientale, per il 5% aree sottoposte a bonifiche ambientali ancora da completare, per il 31% in cui le bonifiche ambientali sono state ultimate e per il restante 36% terreni in aree industriali dismesse liberi da edificazione o in abbandono. La superficie coperta corrispondente ad usi non residenziali è così ripartita: 21% di attività artigianali, 19% attività miste produttive e commerciali, 12% attività produttive nei settori meccanica e metalmeccanica, 11% nel settore lapideo, 7% nella cantieristica navale, 2,5% nel settore chimico e farmaceutico; sia attestano ciascuno intorno al 2% i settori metallurgico, tessile e abbigliamento; le attività non produttive comprendono per il 9% attività di tipo commerciale e per il 2% direzionali20. Dai sopralluoghi effettuati è stata riscontrata la presenza di 205 fabbricati a fini produttivi, commerciali e direzionali dismessi o inutilizzati per un totale di 582˙365 m². I dati elaborati in percentuale di superficie coperta mostrano in particolare un 75% di fabbricati con unità immobiliari sfitte o in vendita, un 20% di edifici dismessi o abbandonati, un 4% di edifici in costruzione e un 1% di fabbricati abusivi inutilizzati21. Dai risultati emersi appare evidente la grande quantità di edifici in disuso e di aree dismesse nella Z.I.A.: aspetto cruciale, a partire dal quale è stata sviluppata la proposta di rigenerazione urbana del distretto apuano sotto descritta. Proposte progettuali per la rigenerazione urbana della Z.I.A. Gli obiettivi del progetto di rigenerazione urbana sostenibile della Z.I.A. puntano ad un riassetto dei siti industriali all’interno del perimetro del Consorzio, riqualificando le aree dismesse e mantenendo la vocazione produttiva del distretto.
Gli obiettivi principali sono: • il ripristino della continuità ecologica e fruitiva del sistema idrografico come struttura ambientale integrata ai collegamenti trasversali mare-collina, con connessione di percorsi e spazi aperti residuali; • il mantenimento e la messa in valore degli spazi agricoli esistenti, favorendo le connessioni con aree verdi e corsi d’acqua; • il recupero e la riqualificazione delle aree industriali dismesse o inutilizzate; • l’inserimento di altre destinazioni d’uso, diverse da quelle produttive, così da creare un mix di funzioni ai fini di una maggiore qualificazione del luogo; • la razionalizzazione del sistema viario e la creazione di una rete di mobilità sostenibile per migliorare l’accessibilità della Zona Industriale Apuana rispetto al suo contesto territoriale. Da tali obiettivi è stato sviluppato uno Schema Direttore per l’intera area di progetto che fornisce il quadro d’insieme della strategia di rigenerazione urbana sostenibile da perseguire attraverso un insieme coordinato di interventi, quali: • la ricostruzione della rete ecologica tra il mare e le colline, tramite la rinaturalizzazione dei 4 corsi d’acqua che attraversano o lambiscono l’area (Carrione, Lavello, Ricortola, Frigido) e la loro riconnessione alle aree agricole esistenti e agli spazi verdi disponibili o recuperabili grazie alla delocalizzazione di alcune attività produttive e commerciali ; • una parziale riorganizzazione delle attività produttive, commerciali e a servizi abbinata alla riqualificazione di aree industriali dismesse, finalizzata alla formazione di
nuove centralità urbane di rilevanza non solo locale; • la riorganizzazione e ristrutturazione delle reti della mobilità, comprendente la riqualificazione delle sedi stradali lungo i tre assi principali esistenti, ripensati come viali urbani, la ricucitura della maglia viaria, il ridisegno delle aree di sosta, la realizzazione di un servizio di trasporto pubblico in sede propria sulla direttrice Carrara-Zona Industriale-Massa ottenuta recuperando tracciati ferroviari dismessi o inutilizzati, la formazione di percorsi ciclabili e pedonali. Per i primi due interventi sopra elencati è prevista la delocalizzazione di alcune attività produttive tramite l’applicazione di tecniche di perequazione urbanistica; lo scopo è duplice: da un lato, liberare le aree necessarie alla ricostituzione della rete ecologica, favorendo, anche con il ricorso a meccanismi premiali, il trasferimento di funzioni e superfici edificate in altre aree dismesse o sottoutilizzate all’interno del distretto; dall’altro, riqualificare queste ultime, dando luogo a siti produttivi e commerciali più razionali e contenendo la dispersione industriale. La riorganizzazione delle funzioni e della viabilità hanno come esito un disegno della Zona Industriale Apuana che rispecchia una suddivisione in settori relativamente specializzati residenziali, produttivi-commerciali e direzionali, turistico-ricettivi – in modo da separare attività e flussi di traffico tra loro incompatibili. In alcune aree inedificate all’interno dei settori a destinazione industriale è ammesso l’inserimento di nuove attività o servizi pubblici (comparti della ex Montecatini, della ex Coca Apuana e della ex Dalmine). Nello Schema Direttore sono inoltre individua103 te 10 aree dismesse da
riqualificare come nuove centralità urbane, con l’inserimento di servizi pubblici e/o ad uso pubblico. Tra queste, nel Comune di Carrara, le aree ex Enichem, ex Cementeria Apuana, l’ex Manifattura Tabacchi, parte dell’ex Fibronit; nel Comune di Massa, parte dei complessi ex Dalmine e ex Montecatini, l’area ex Olivetti-Synthesis e l’area ex Bogazzi-Cargo. Altri interventi individuati come strategici sono la realizzazione di una nuova fermata per il trasporto pubblico in sede propria tra Massa e Avenza e la creazione di un polo di servizi ecologici avanzati mediante la ristrutturazione dell’impianto di smaltimento rifiuti C.E.R.M.E.C.. Nello Schema di progetto le nuove aree a verde attrezzato sono localizzate in fregio ai corsi d’acqua in modo da contribuire alla formazione di parchi multifunzionali lungo i corridoi blu-verdi ricalcanti il sistema idrografico. Le indicazioni strategiche dello Schema Direttore sono state successivamente sviluppate in un Masterplan, che oltre a far emergere la matrice ambientale del sistema, data dalla valorizzazione delle aree agricole, dall’aumento dei parchi e del verde attrezzato, dagli spazi pubblici interni e dalle alberature continue poste a mitigazione delle infrastrutture viarie e degli stabilimenti industriali, fornisce, per ogni area oggetto d’intervento, la prefigurazione di un possibile assetto finale, nell’ottica di una rigenerazione integrata, rispettosa dell’identità dei luoghi e al tempo stesso orientata all’innovazione. In particolare, il Masterplan mette in evidenza il ruolo assunto nel ridisegno complessivo della Z.I.A. da alcuni capisaldi e assi funzionali, sistemi verdi e interventi puntuali: • una ‘cittadella del riciclo (Apuanrecycling)’ ubicata nell’area dell’ex
Cementeria Apuana, in prossimità del polo dei servizi ambientali. Il progetto suggerisce il riutilizzo di una parte dell’edificio e degli spazi aperti esistenti per ospitare startup, laboratori, sale espositive e di formazione per i cittadini intorno ai temi del riuso dei materiali riciclabili, dell’economia circolare e della sostenibilità; • l’area ex Manifattura Tabacchi, riconvertita per attività di co-working, imprese giovanili nel campo dell’artigianato avanzato, e un museo dedicato alla Z.I.A.. Il disegno suggerisce il recupero della parte storica dell’edificio e la demolizione delle restanti parti per disporre di spazi aperti ad uso pubblico e a supporto delle nuove attività; • un nuovo centro di formazione professionale e/o universitaria nell’area ex Olivetti. Le attività, da organizzare in collaborazione con le imprese della Provincia di Massa-Carrara e istituzioni universitarie, troverebbero spazio nell’edificio originario, “ripulito” dalle superfetazioni sul lato di via Catagnina; • un “asse del marmo”, ovvero il riuso dei siti dismessi dell’ex Enichem e dell’ex Ferroleghe per lo spostamento, da attuare mediante perequazione urbanistica, degli stabilimenti di lavorazione del marmo attualmente ubicati in prossimità del torrente Carrione, lungo via Argine Destro, a fronte del recupero di aree funzionali alla rinaturalizzazione delle fasce fluviali. Le aree destinate a ospitare le attività marmifere sono progettate prevedendo fasce di rispetto a verde per migliorarne l’inserimento paesaggistico e qualificare la viabilità di accesso; • la nuova Stazione del trasporto pubblico su ferro ‘Zona Industriale
Apuana’, collocata in posizione centrale in un’area sottoutilizzata; • il parco di Villa Ceci, la cui riqualificazione è associata al recupero delle aree agricole circostanti; • i parchi fluviali del torrente Carrione e del canale di Ricortola; Le destinazioni previste negli altri edifici in disuso, diffusi all’interno del comparto, comprendono attività commerciali al dettaglio per la vendita di prodotti locali, attività di tipo espositivo o direzionale, servizi innovativi di supporto alle imprese o attività produttive innovative e tecnologiche. In conclusione, l’ipotesi di rigenerazione urbana proposta per la Z.I.A. mostra un distretto industriale ridimensionato e razionalizzato, con un notevole aumento delle aree verdi e la presenza di diversi spazi pubblici e funzioni non solo di tipo produttivo, organizzata per ambiti produttivi-commerciali e residenziali separati, in cui le diverse funzioni sono fra loro complementari e non più in conflitto, collegato al resto del territorio grazie ad rete efficiente di infrastrutture stradali, ferro-tramviarie e di mobilità elementare, che si trasforma da elemento critico a punto di forza del sistema insediativo, migliorando la qualità della vita della popolazione locale.
Bibliografia
Note 1 Con la procedura di istituzione tramite R.D.L. n.1266 del 24/07/1938 i cui contenuti sono richiamati e ribaditi nel successivo D.Lgs. C.P.S. 3 aprile 1947, n. 372, istitutivo del Consorzio per la Zona Industriale Apuana e convertito in legge n. 343 il 5 Gennaio del 1939. 2 La prima opera è un asse stradale che attraversa tutta la zona industriale e prende il nome di via Dorsale. La nuova arteria diventa un collegamento tra le città di Massa e di Carrara in alternativa al tracciato dell’Aurelia e a quello sul litorale. 3 Fonte: Consorzio Z.I.A. <URL: http://www.consorzio.zia.ms.it/>. 4 Nella Z.I.A. soprattutto nel Dopoguerra sorgono aziende come Nuovo Pignone e Olivetti. 5 Tra le industrie distrutte troviamo: Marelli, Pignone, R.I.V., Tubificio Innocenti, Pirelli, Fibronit, Cementeria Apuana (Marchini, 2011). 6 Fonte: Consorzio Z.I.A. <URL: http://www.consorzio.zia.ms.it/laz-i-a/cenni-storici/>. 7 Vengono ammodernati gli impianti degli stabilimenti della Montecatini e della Rumianca. 8 Viene così superata la L. n.1266/1938 e l’insediamento del settore lapideo, già concesso in deroga dal Consorzio Z.I.A. alla fine degli anni ’70, viene ammesso in modo definitivo nella Z.I.A. con un progetto dell’Agenzia Sviluppo Industriale (A.S.I.) nell’area ex Coke (1989-90). 9 Si tratta di un’area lato mare dell’Autostrada A12 di proprietà dell’ex I.R.I. e dell’ex Apuana Coke. 10 Tra le aziende metalmeccaniche troviamo la Eaton che nel 2008 ha chiuso lo stabilimento a causa della crisi economica. Ad oggi l’immobile è stato comprato in parte dalla Iglom, mentre la rimanente parte è dismessa. 11 Il Sito di bonifica di Interesse Nazionale (S.I.N.) di Massa-Carrara viene nuovamente perimetrato con il D.M. n. 312/2013 e il restante territorio che rientrava nella precedente perimetrazione del S.I.N. diventa Sito di bonifica di Interesse Regionale (S.I.R.). 12 Si veda il P.I.T. con valenza di piano paesaggistico ai sensi della L.R. n.65/2014 approvato con D.C.R. n.37/2015. 13 Si veda il P.S. di Carrara approvato con D.C.C. n.113/2009 ed il R.U. approvato con D.C.C. n.69/2005.
14 Si veda il P.S. di Massa approvato con D.C.C. n.66/2010 ed il R.U. adottato con D.C.C. n.58/2015. 15 Per aree industriali dismesse si intendono parti di territorio occupate in passato da diverse attività e funzioni produttive che allo stato attuale risultano abbandonati o non utilizzati, con diverse criticità tra cui ad esempio la contaminazione dovuta ad agenti inquinanti. Per approfondimenti si veda Spaziante A., Ciocchetti A. (a cura di), La riconversione delle aree dismesse, Editore Franco Angeli, Milano 2006. 16 Cit. dal sito web: <URL: http:// www.treccani.it/enciclopedia/ rigenerazione-urbana_(Lessico-del-XXI-Secolo)>. 17 Cfr. Ibidem oppure il sito web: <URL: www.domusweb.it/it/architettura/2015/02/16/il_nuovo_centro_di_lione.html>. 18 Vedi il sito web: <URL: http:// www.invitalia.it/site/new/home/ cosa-facciamo/rilanciamo-le-aree-di-crisi-industriale/rilancio-bagnoli/documenti.html>. 19 Dati ed elaborazioni derivati da sopralluoghi effettuati tra il 2015 e il 2016 nel distretto apuano. 20 Ibidem. 21 Ibidem.
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Fig. 1 Piano Regolatore e di Ampliamento della città di Lecce (1934)
Una cintura verde per Lecce: limite urbano e opportunità di rigenerazione della periferia
Federico Caracciolo
Introduzione La dispersione urbana è un fenomeno dovuto a una crescita rapida e disordinata della città che si manifesta nelle periferie delle medie e grandi città. Questo fenomeno genera un tessuto urbano molto poroso producendo effetti negativi sul territorio quali consumo di suolo, carenza di servizi di prossimità, difficile gestione di un sistema di mobilità inefficace. Le problematiche correlate alla dispersione urbana hanno interessato anche la periferia della città di Lecce, oggetto di questo lavoro di tesi. Per comprendere quali siano stati i processi che hanno portato alla formazione di una corona urbana periferica a Lecce, è necessario ripercorrere le fasi storico-evolutive della città. Lecce ha origine da un antico insediamento fondato nel III millennio a.C da popolazioni provenienti dall’Illiria1 che le attribuiscono il nome Sybaris (Palumbo 1910, Paladini 1932). Costituito da nuclei sparsi di capanne, questo insediamento è abitato nell’VIII secolo a.C. dai popoli Iapigi e in seguito, tra il IV e il III secolo a.C., dai Messapi, i quali costruiscono la prima città dotata di mura (Giardino 1980, Mariano 1982). Nel III secolo a.C. Roma conquista tutto il Salento, inclusa la ‘Lecce messapica’ che, a seguito di trasformazioni
urbanistiche iniziate dalla metà del I secolo a.C., prende il nome di Lupiae. Gli elementi di continuità tra l’antico insediamento e Lupiae sono da ricercare nel tracciato della cinta muraria e nella sostanziale coincidenza tra l’abitato messapico e quello romano (D’Andria 1999, Rossi 2003). Dagli anni della caduta dell’impero romano sino agli ultimi anni del XIX secolo la forma urbana di Lecce, pur subendo rilevanti trasformazioni interne, rimane definita all’interno delle mura e solo in concomitanza con una rilevante crescita demografica, avvenuta a partire dalla fine dell’‘800, la città inizia a espandersi al di fuori di esse (M. Fagiolo 1984, Cazzato 1994). Caratterizzata come altre città italiane dalla logica del quartiere, lo sviluppo di Lecce, a livello topografico, avviene inizialmente in corrispondenza delle antiche porte cittadine, con nuovi borghi progettati secondo precise regole urbane e edilizie su terreni privati sottoposti a lottizzazione (Cazzato, 1994); poi si estende secondo fasce avvolgenti l’area trapezoidale del centro antico, con propaggini lungo le vie principali e con una successiva saturazione delle aree comprese fra tali direttrici. Negli anni antecedenti la prima guerra mondiale cresce, dunque,
l’esigenza di un Piano Regolatore in grado di indirizzare lo sviluppo urbano secondo un disegno organico, rispondente alle nuove esigenze. Dopo alcuni tentativi fallimentari, il 21 maggio 1933 viene infine approvato il primo Piano Regolatore e di Ampliamento della città (Fig. 1). Il piano, concepito secondo canoni ancora di stampo ottocentesco sancisce la tendenza ad un’espansione centripeta della città, prevedendo l’urbanizzazione di nuove aree in direzione est, la ricucitura e l’ampliamento dei rioni già sorti ai margini delle mura e la realizzazione di un semianello di circonvallazione che avrebbe dovuto costituire il nuovo limite della città. L’attuazione di tali interventi è rinviata a specifici Piani Particolareggiati che, in conseguenza allo scoppio del secondo conflitto mondiale, non verranno portati avanti (Cazzato, 1994). Negli anni successivi alla fine della guerra, si assiste ad un ulteriore, rapido sviluppo della città, dettato dalla necessità di rispondere all’afflusso di nuova popolazione. Tale espansione avviene in particolare in direzione est e nord-est data la presenza di cave a sud e del cimitero a ovest. Da questo momento fino alla fine degli anni Settanta vengono edificati
Corso di Laurea Magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio Relatore: Prof. Francesco Alberti Aprile 2017
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quasi tutti i quartieri che costituiscono ancor oggi la periferia leccese, sulla base di disegni urbani incoerenti improntati a un principio di concentrazione in altezza degli edifici e di riduzione delle superfici coperte, e utilizzando materiali scadenti: aspetti che conferiscono a tali insediamenti il carattere anonimo e squalificato comune a molte periferie urbane del periodo. Tali trasformazioni avvengono ancora una volta in assenza di strumenti di pianificazione efficaci (Trono, 1996). Infatti, nel 1967 Il Piano Regolatore e di Ampliamento è sostituito dal Programma di Fabbricazione, che, limitandosi alla descrizione dello stato di fatto sul territorio comunale e fissando sommariamente le direttrici di espansione urbana, non ha stabilito regole per l’uso del suolo né criteri di edificabilità. Occorre attendere il 1990 perché Lecce si doti di un Piano Regolatore Generale moderno, costruito secondo il modello ‘razional-comprensivo’ proprio della Legge Urbanistica del ’42, integrata dal DM 1444 del 1967 sugli standard, basato su una previsione di crescita in linea con quella registrata nel decennio 1971-1981. Tuttavia, dato il forte calo demografico2 avuto tra gli anni ‘90 e 2000, tale incremento è risultato ampiamente sovradimensionato, e così, di conseguenza, il dimensionamento delle aree a standard. Tale circostanza, sommata all’abusivismo edilizio che ha continuato a imperversare negli ultimi trent’anni, è all’origine di un paesaggio urbano sfrangiato, caratterizzato da vaste porzioni indefinite inframmezzate ad un’urbanizzazione dispersa nel territorio. Il quadro conoscitivo A partire dagli anni 2000, il quadro generale della pianificazione pugliese muta profondamente: la Legge Regionale 20 del 2001 introduce infatti
nuovi strumenti per la pianificazione territoriale a livello regionale, provinciale e comunale. Con l’attuazione di questi nuovi strumenti, il governo regionale intende perseguire ambiziosi obiettivi per lo sviluppo del territorio, riqualificandolo e tutelandone i valori ambientali, storici e culturali. Su scala regionale la pianificazione territoriale fa riferimento al Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (PPTR), redatto con il coordinamento di Alberto Magnaghi, approvato nel febbraio 2015 e attualmente vigente. Il Piano punta al raggiungimento di uno sviluppo auto-sostenibile mettendo in valore le risorse locali e, a tal fine, articola la sua componente strategica in cinque progetti territoriali: • la rete ecologica regionale; • il ‘patto città-campagna’; • il sistema infrastrutturale della mobilità dolce; • la valorizzazione integrata dei paesaggi costieri; • i sistemi territoriali per la fruizione dei beni patrimoniali. Tra questi, il progetto territoriale che meglio delinea strategie progettuali perseguibili per il superamento della dispersione urbana è il ‘patto città-campagna’. Mettendo in risalto i processi disordinati di urbanizzazione contemporanea a scapito dei paesaggi della campagna, questo progetto si pone l’obiettivo di elevare la qualità dell’abitare, sia urbana che rurale, con una strategia integrata fra politiche insediative e agrosilvopastorali tramite la riqualificazione dei paesaggi periferici e delle urbanizzazioni diffuse, la ricostruzione dei margini urbani, la progettazione di cinture verdi periurbane e di parchi agricoli multifunzionali, interventi di riforestazione urbana. A livello provinciale il Piano Territoriale di Coordinamento, elaborato dallo studio associato Secchi-Viganò e
fig. 2 Il patrimonio territoriale
approvato nell’ottobre 2008, descrive il Salento come luogo sia di dispersione insediativa che di concentrazione abitativa, formato da nuclei rurali scarsamente popolati e nuclei urbani densi, interconnessi da una fitta rete viaria di tipo agricolo. Per rivitalizzare gli ambienti rurali, il Piano delinea una visione strategica per il Salento interpretandolo come un ‘parco diffuso’ dalle elevate prestazioni funzionali e con una qualità ambientale molto alta. Il parco è inteso come nuova forma insediativa, dove i contesti urbani e rurali partecipano alla composizione di un ecosistema fruibile attraverso ‘itinerari narrativi’ che, sostituendo la ristretta logica funzionale della strada, favoriscono l’interazione tra città e campagna. Su scala comunale, invece, è in corso di formazione un nuovo Piano Urbanistico Generale di Lecce, introdotto dalla legge regionale citata in precedenza. A oggi è consultabile il Documento Programmatico Preliminare al piano, avviato nel 2005 e adottato nel 20123. Per superare i problemi
generati dall’abusivismo edilizio e dalle carenze della pianificazione del 1990, il PUG favorisce modelli insediativi e di gestione del territorio ecologicamente equilibrati che garantiscano la tutela e la valorizzazione delle risorse locali; a tale scopo sono individuati cinque temi fondativi da cui far partire il nuovo progetto di territorio. Il primo tema, ‘Mura di Lecce’, riguarda la città murata, luogo di eccellenze artistiche e architettoniche da valorizzare. Il tema ‘Università e città’ riconosce all’ateneo leccese - le cui sedi principali sono collocate, per l’area umanistica, nelle vicinanze del centro storico e, per l’area scientifica, all’interno del Campus Ecotekne, ubicato a circa 7 Km a sud-ovest dal centro - un sistema che se opportunamente integrato al tessuto economico e sociale può costituire un importante fattore di sviluppo. Il tema ‘Isole dell’Abitare’ definisce gli ambiti periferici posti ai margini della città come comparti da rigenerare attraverso la costruzione di una nuova identità di quartiere. ‘Città
fig. 3 Il progetto di cintura verde per Lecce
Rurale’ identifica quella porzione di campagna che, avendo subito una forte urbanizzazione, ha perso i caratteri tipici del paesaggio agrario locale; l’obiettivo perseguito dal Piano è dunque quello di ricercare nuove forme di abitare tale territorio, in modo ecologico e sostenibile. Infine, il tema ‘Parco delle Marine’ rimarca la necessità di una riconnessione e di una riqualificazione degli insediamenti costieri cresciuti disordinatamente negli ultimi trent’anni. Il tema sviluppato all’interno della tesi fa specifico riferimento alle ‘Isole dell’abitare’, nelle quali si concentra un’alta percentuale della popolazione leccese; tema affrontato in un’ottica d’integrazione territoriale che rimanda direttamente alla strategia del Piano paesaggistico relativa al ‘Patto città-campagna’. La prima parte del lavoro ha riguardato la costruzione di un quadro conoscitivo aggiornato, portata avanti a diverse scale territoriali. Su area vasta, le analisi territoriali hanno interessato i temi:
• dell’espansione urbana che, attraverso la periodizzazione dell’edificato e della viabilità, dà risalto al processo di ‘crescita disordinata’ iniziato dal secondo dopoguerra; • dei morfotipi territoriali, censiti con riferimento alla tavola del PPTR inerente questo tema e, successivamente, di quelli urbani ripresi dalla classificazione del Piano di Indirizzo Territoriale della regione Toscana, affine per impostazione a quello pugliese; da queste letture si nota come, allontanandosi radialmente dalla città, il tessuto urbano diviene poroso, assumendo morfologie sfrangiate e diffuse verso la campagna, senza definire un confine con essa; • dell’uso del suolo, il cui mosaico di tessere afferenti al territorio urbanizzato e a quello agricolo appare disordinato nella fascia periferica; • delle funzioni urbane principali, che risultano addensate nel centro della città e carenti nei settori urbani periferici; • della mobilità che, a fronte di una
rete stradale molto articolata, presenta un servizio di trasporto pubblico poco ramificato nella periferia, percorsi ciclabili brevi e discontinui, tre parcheggi scambiatori inefficienti concentrati intorno alle mura urbiche; • del sistema delle tutele e dei vincoli conformativi, che definiscono i termini entro i quali è possibile operare sul territorio. Da queste analisi derivano due sintesi interpretative: • la ‘struttura territoriale’, che descrive l’ossatura portante di un territorio: nel caso di Lecce, questa consiste in un corpo urbano centrale di densità decrescente nelle fasce periferiche dal quale, radialmente, si diramano assi stradali che, attraversando lo spazio agricolo, collegano la città con i centri minori; • il ‘patrimonio territoriale’, inteso come summa dei processi di territorializzazione che si concretizzano in sedimenti materiali e immateriali. Nel contesto urbano leccese, l’ambito della città storica murata e dei borghi suburbani sorti nei primi anni del ‘900 è un sistema dall’alto valore patrimoniale i cui sedimenti materiali sono rintracciabili nelle tipologie del tessuto urbano e dell’edilizia suburbana (ville e villini), nei luoghi sacri (ad esempio le innumerevoli chiese barocche) e della cultura, come teatri, biblioteche, musei; nelle piazze e nei giardini pubblici, nei viali storici e nelle strade fondative a carattere territoriale. Fuori dall’abitato, il paesaggio agricolo conserva colture di pregio come seminativi, oliveti e vigneti, numerosi manufatti legati alla vita contadina come masserie, torri colombaie, muretti in pietra a secco e ‘pagghiare’4, due borghi rurali (Borgo San Nicola a nord-ovest di Lecce e Borgo San Ligorio a
nord-est) e una vasta rete di strade poderali (Fig. 2). Un ulteriore livello di analisi ha poi riguardato i sette ambiti periferici individuati dal PUG come ‘isole dell’abitare’, la cui disposizione radiale intorno alla città compatta è sostenuta da una forte intelaiatura infrastrutturale, costituita dagli assi stradali che collegano la città ai centri minori e da una fitta rete di viabilità penetrante che assicura un’elevata accessibilità veicolare a ciascun settore. A dispetto di ciò, questi si presentano, da un punto di vista morfologico, con margini urbani indefiniti, in cui aree agricole e manufatti storici rurali si inseriscono in spazi divenuti residuali e circondati da edilizia disordinata, spesso alta. L’analisi di dettaglio di ciascuno dei sette ambiti è articolata in schede, in cui sono stati approfonditi i seguenti temi, in modo da poterne trarre indicazioni per il progetto: • le funzioni urbane, come le dotazioni pubbliche e le attività commerciali, che costituiscono i capisaldi funzionali da mettere a sistema per riorganizzare la periferia; • il sistema della mobilità, per individuare gli assi stradali di collegamento da valorizzare, i comparti residenziali inaccessibili con percorsi ciclabili, le zone lasciate ‘scoperte’ dal trasporto pubblico, ecc.; • la struttura urbana, per definire l’intelaiatura del quartiere e ‘pesarne’ gli elementi costitutivi; • gli elementi di criticità e degrado, quali edifici diroccati, percorsi ciclabili scollegati, aree di risulta, ecc., da trasformare, riconnettere, recuperare; • il territorio non edificato, occupato da aree agricole e naturali ma anche da lotti lasciati in abban109 dono, potenzialmente
disponibili ai fini della riqualificazione dello spazio pubblico; • il territorio edificato, che restituisce un quadro delle tipologie edilizie e delle relative altezze. A completamento del quadro analitico di dettaglio, per ogni ambito è stato rilevato il numero dei residenti5 ed eseguito il calcolo della superficie territoriale, della superficie coperta, delle superfici a standard, e, sulla base dei comparti edificatori di iniziativa pubblica e privata inseriti nel PRG vigente, dei volumi residenziali e non residenziali residui. Le cinture verdi in Europa: modelli ed esempi Da una lettura d’insieme degli elaborati del quadro conoscitivo appare con chiarezza come nel territorio oggetto di studio il margine urbano sia fluido e diluito nella campagna, generando paesaggi periferici. La necessità di ridefinire un confine tra città e campagna e di riqualificare lo spazio pubblico periferico è direttamente richiamata dagli obiettivi della nuova pianificazione. In risposta sia alle criticità riscontrate nell’attuale assetto del territorio che alle linee strategiche proposte nei piani, il lavoro si è focalizzato sulla proposta di una ‘cintura verde’ per Lecce, in una duplice prospettiva: come nuovo limite urbano e come opportunità per la rigenerazione interna degli spazi periurbani (Fig. 3). Quello delle ‘cinture verdi’ è un tema ricorrente nell’urbanistica moderna e contemporanea. Come noto, il primo esempio di cintura verde fu inserito nel 1944 da Patrick Abercrombie all’interno del Greater London Plan, come soluzione per indirizzare lo sviluppo urbano che avrebbe investito la capitale britannica dopo la fine del conflitto mondiale, in modo da evitare un’espansione illimitata a macchia d’olio (Valentini, 2005). Il piano
individuava quattro anelli concentrici, caratterizzati da una diversa densità insediativa. Il primo anello, coincidente con il limite amministrativo della Contea di Londra, racchiudeva il denso corpo urbano centrale della città oltre il quale gli insediamenti suburbani ricadenti nel secondo anello erano caratterizzati da un’edilizia estensiva e discontinua, a bassa densità. Ancora più esternamente il terzo anello disegnava i contorni della cintura verde e includeva la maggior parte dei terreni acquisiti grazie al Green Belt Act del 19386. Nell’anello di cintura verde ricadevano molte superfici aperte e abbandonate, pubbliche e private, che venivano assoggettate a vincolo di inedificabilità; superfici nelle quali, in seguito, è stato possibile inserire nuovi spazi pubblici aperti, luoghi per praticare attività organizzate su larga scala, parchi, boschi, reti di sentieri. Nel quarto anello era ricompresa la zona esterna, ossia la campagna (Roosmalen 1997, Palazzo 2010). Il Greater London Plan resta ad oggi un modello ineguagliato che, nonostante le ingenti trasformazioni subite dalla città nei decenni successivi, è riuscito a preservare la leggibilità del limite fra urbano e rurale proprio grazie alla cintura verde, sistema che svolge anche un ruolo fondamentale per l’equilibrio ambientale dell’area metropolitana. In tempi recenti, il modello è stato ripreso, in particolare, nella pianificazione di alcuni Comuni tedeschi, come Francoforte sul Meno e Colonia. Il Piano della cintura verde (Gruenguertel) di Francoforte, approvato nel 1991, ha come obiettivo quello di arrestare l’espansione urbana, attraverso la formazione di un sistema di spazi di prossimità destinati ad attività ricreative, inframmezzati ad aree agricole interessate da interventi di recupero ambientale e paesaggistico. Per fare ciò, il Comune ha provveduto
a espropriare o permutare terreni privati, diventando il proprietario dell’intera area di cintura, pari a circa 10.000 ettari. I proprietari che hanno ceduto i loro terreni al Comune possono prenderli in affitto a un prezzo simbolico, per coltivarli con modalità conformi al regolamento del Gruenguertel; il Comune, da parte sua, realizza opere di miglioramento ambientale quali alberature, sistemazioni idrauliche, sentieristica. Il progetto della cintura verde di Colonia, è stato promosso nell’ambito del Programma regionale 2010 del Land della Renania Settentrionale-Vestfalia. Questa cintura, ideata a scopi ricreativi, è formata in realtà da due anelli verdi concentrici, uno all’interno della città costituito principalmente da parchi urbani, e un altro nella fascia periurbana comprendente orti scolastici, aree sportive, giardini con coltivati a fiori, specchi d’acqua e aree boscate. Nel panorama italiano, la progettazione di cinture è un’acquisizione abbastanza recente. Un primo esempio viene dalla città di Ravenna, dove il Piano del verde urbano (piano di settore del PRG datato 1993) sviluppa indirizzi progettuali per la realizzazione di un sistema di cintura ai margini urbani. Le finalità del progetto sono: la costituzione di un sistema di spazi verdi pubblici per soddisfare le esigenze ricreative della popolazione; la riqualificazione delle aree edificate comprese all’interno del perimetro della città consolidata; la ridefinizione fisica dell’organismo urbano e del suo limite con la campagna (Valentini, 2005). Un secondo esempio è il progetto Corona Verde di Torino, promosso dalla Regione Piemonte e attualmente in via di realizzazione. Gli obiettivi perseguiti dalla Corona Verde sono la tutela delle aree naturalistiche negli immediati dintorni della città, la salvaguardia dei valori
storico-architettonici del paesaggio, il potenziamento del verde urbano, la promozione turistica. Riprende il tema delle cinture verdi anche il progetto Raggi Verdi, ideato dallo studio LAND diretto dall’architetto A. Kipar e promosso dal Comune di Milano all’interno del Piano del Verde del 2007. Elemento caratterizzante di questo progetto è la definizione di percorsi di mobilità lenta, concepiti come greenways che innervano l’intero tessuto urbano. Questi ‘raggi’ partono dal centro e si sviluppano verso l’esterno, confluendo in un anello formato dalla ricucitura di parchi periferici riconnessi da un percorso ciclo-pedonale lungo circa 72 km. Una cintura verde per Lecce: finalità e caratteristiche La proposta di una cintura verde per Lecce riprende alcuni aspetti caratteristici dei modelli sopra menzionati, adattandoli alla realtà locale in modo da valorizzare al meglio le risorse patrimoniali presenti sul territorio. Il principio adottato per determinare lo spazio da assegnare alla cintura verde è simile a quello degli ‘anelli’ del Greater London Plan: nel caso leccese, il primo anello corrisponde alla città storica murata, il secondo ricomprende la città storica extramurale ed il terzo la città moderna. Al di fuori di questi anelli sono state identificate le frange periurbane che saranno inglobate nella cintura verde (quarto anello), oltre la quale si estende il territorio rurale. Una volta identificata la fascia di territorio da destinare alla cintura, questa è stata progettata, nelle sue linee generali, come un sistema ambientale multifunzionale composto sia da aree già esistenti, quali piccoli parchi, aree sportive, zone agricole, boschi di conifere, sia da aree e percorsi da realizzare ex novo per dare continuità e leggibilità al sistema.
Più specificamente, gli elementi che compongono la cintura verde sono: 1. le attrezzature sportive ad uso pubblico come campi da calcetto, pallavolo, basket, tennis e spazi attrezzati per la corsa, oggi spesso praticata dagli abitanti lungo le strade a causa della mancanza di percorsi adatti; 2. i parchi urbani e periurbani esistenti (da riqualificare) e di progetto; l’importanza dei parchi attiene sia alla loro funzione sociale, come luoghi per il relax, l’incontro e la pratica dello sport, sia a quella ecologica; 3. gli orti urbani, inseriti nei tasselli mancanti ai fini della ricostruzione del margine. In questi orti, a cavallo tra il territorio rurale e l’area urbana, l’attività agricola, tipica del primo, si combina allo sviluppo di relazioni sociali proprie degli spazi pubblici cittadini. Questo carattere ambivalente trova riscontro anche nella progettazione degli orti, che prevede un’alternanza tra lotti coltivabili e spazi in condivisione; 4. le aree di produzione agricola, determinanti per la ricomposizione del mosaico rurale, attualmente disomogeneo; 5. i parchi per la raccolta di verdure selvatiche, previsti su superfici incolte, perlopiù caratterizzati dalla presenza di rocce affioranti, dove tali verdure crescono spontaneamente. La raccolta e il consumo di verdure selvatiche costituiscono d’altra parte una tradizione fortemente radicata a livello locale; in passato esse erano alla base di una dieta povera, molto diffusa nelle fasce meno abbienti, mentre oggi sono molto ricercate nel Salento soprattutto da turisti che vogliono sperimentare nuovi sapori (Medagli, 2005). L’accesso e la fruibilità di questi parchi sono assicurati da reti di sentieri rurali e dalla
presenza di aree alberate in cui poter sostare all’ombra; 6. le aree di ri-forestazione volte ad aumentare le poche superfici boscate presenti sul territorio. In particolare, il progetto prevede la realizzazione, intorno alla città di circa 1000 ha di leccete. La scelta del leccio ha una duplice motivazione, storica ed ecologica. Una testimonianza di leccete in Terra d’Otranto è riportata dall’esperto di bibliografia salentina Amilcare Foscarini, il quale riferisce che “tra la città di Otranto e di Brindisi si estendeva una grande foresta piena di elci o lecci (donde il nome di Lecce) ed attraversata, come affermano le vecchie carte, da quantità di lupi. Da quella foresta e da quegli animali la città trasse i suoi simboli” (Foscarini, 2002, pag.31). Una seconda testimonianza della presenza di questi boschi è in una lettera del 1870 rivolta al Sindaco di Lecce dal Commissario Luigi De Simone, il quale scriveva: “come la Peucetia era la terra dei Pini, così la terra d’Otranto era quella dell’elci, delle quercie degli olivastri e degli olivi” (Polo, 1987, pag. 13). Oggi, a Lecce, questi alberi si attestano lungo alcuni dei viali principali della città, mentre è rimasta solo una traccia dei boschi originari nel Parco Regionale di Rauccio, vicino alla marina di San Cataldo. Oltre alla valenza storica, questa pianta ha caratteristiche ecologiche di grande rilevanza. Secondo CONALPA7, il leccio è uno fra i principali alberi in grado di contrastare l’inquinamento urbano, attraverso l’abbattimento delle polveri sottili generate dalle attività industriali e dal traffico veicolare, e quindi di favorire un significativo innalzamento della qualità dell’aria. Da una diversa prospettiva, una cintura verde costituita da ampie zone
boscate può essere anche vista come un ricco serbatoio di energia rinnovabile da biomasse. Da qui la proposta di legare l’intervento alla costituzione di una filiera locale per il riutilizzo della biomassa vegetale come biocombustibile, per alimentare un moderno impianto di riscaldamento che potrebbe garantire la piena autonomia all’Ospedale di Lecce, ubicato a sud della città. La filiera comprende la raccolta della biomassa, lo stoccaggio e la cippatura (da eseguirsi in un edificio in disuso, individuato in un vecchio inceneritore, che verrebbe recuperato allo scopo) e il il trasporto in centrale per la produzione di energia termica. Elaborando i dati relativi alla volumetria e alle caratteristiche fisiche dell’ospedale mediante la piattaforma di calcolo iBioNet8, sono stati ricavati i requisiti necessari a far funzionare l’impianto. I calcoli effettuati confermano che, qualora il progetto di green belt fosse realizzato, il materiale vegetale ricavabile dalle leccete sarebbe più che sufficiente per le esigenze di riscaldamento dell’Ospedale. Nell’ambito del progetto di cintura verde un aspetto rilevante è quello riguardante l’accessibilità e la fruizione delle aree verdi. Sulla falsa riga del progetto milanese Raggi Verdi, per permettere la percorribilità della cintura - e con essa la riconnessione dei quartieri periferici - è stato messo a punto uno schema per la mobilità ciclabile (Fig. 4) che prevede percorsi di collegamento radiali fra il centro della città e il territorio rurale e un percorso ad anello, all’interno della cintura verde, della lunghezza complessiva di circa 30 Km, congiungente tutte le Isole dell’abitare. Nell’ottica del ‘patto città-campagna’ delineato dal Piano Paesaggistico, un aspetto rilevante della proposta, che riguarda sia la fascia destinata alla cintura verde che il territorio
agricolo, è quello relativo al recupero delle masserie, in una prospettiva di sviluppo economico sostenibile. Oggi, solamente una parte delle numerose masserie ubicate negli immediati dintorni di Lecce svolge le funzioni originarie, legate all’agricoltura e alla pastorizia; alcune sono state riconvertite in lussuosi resort; molte versano in condizioni di abbandono e di queste la maggior parte è diroccata. Per quelle ricadenti nelle fasce più prossime alla cintura verde si propone il recupero come strutture agrituristiche, legate quindi al mantenimento o alla ripresa delle attività agricole: un’azione orientata sia a consolidare l’occupazione in agricoltura, sia alla conservazione del paesaggio rurale e, conseguentemente, alla valorizzazione dei prodotti tipici del territorio. La collocazione di mercati rionali per i prodotti a km 0 in aree appositamente allestite lungo il percorso di cintura è anch’essa una proposta coerente a una strategia di sviluppo locale, volta a riqualificare le attività dei piccoli commercianti agricoli oggi svolte in maniera inadeguata in camioncini posteggiati lungo strada. Tutti gli interventi ipotizzati, riguardanti lo sviluppo di reti di mobilità dolce, il rimboschimento, la produzione di energia pulita, la promozione delle filiere corte, ecc., sono riconducibili a linee d’azione finanziate con i fondi strutturali dell’Unione Europea presenti all’interno del Programma di Sviluppo Rurale 2014/2020 e del Programma Operativo 2014/2020 della Regione Puglia. Un progetto pilota per la riqualificazione delle ‘Isole dell’abitare’ La cintura verde di Lecce definisce il limite urbano e apre nuove prospettive per la rigenerazione dei settori periferi111 ci che si trovano compresi
tra la cintura stessa e il centro città. Nell’ultima parte del lavoro di tesi è stato quindi sviluppato, a titolo esemplificativo, un master plan per la riqualificazione di uno dei settori indicati dal PUG in itinere come ‘Isole dell’abitare’, di cui di seguito si fornisce una sintetica descrizione. Il rione Stadio – Borgo San Ligorio, si trova nel quadrante nord-est della città; procedendo dal centro urbano verso la campagna, esso si compone di due comparti di edilizia popolare, di un quartiere residenziale sorto a seguito di lottizzazione privata e di un antico borgo rurale: un’area interessante sia per la sua eterogeneità, sia perché, con i suoi 7500 abitanti, è la più popolosa delle sette “isole dell’abitare” individuate nel Piano. Gli interventi proposti sono riconducibili a quattro azioni, distinte ma fortemente correlate le une con le altre: 1) la creazione di un sistema lineare di spazi pubblici per collegare i principali servizi esistenti connesso alla rigenerazione delle aree PEEP; 2) la definizione di uno spazio pubblico
centrale per il quartiere residenziale; 3) il recupero dell’antico borgo rurale di San Ligorio ai margini della cintura verde; 4) l’inserimento puntuale di piccole aree a verde in prossimità delle zone residenziali (Fig. 5). 1. Le due aree PEEP, denominate ‘167 B’ (o ‘le Vele’) e ‘167 C’, nascono con l’approvazione nel 1964 di un piano particolareggiato redatto ai sensi della legge nazionale n. 167 del 1962. Si tratta di due comparti limitrofi, con una buona dotazione di servizi pubblici che, tuttavia, risultano del tutto scollegati fra loro: tre scuole superiori, una scuola media e due primarie, un palazzetto dello sport, lo stadio comunale, campi da calcetto, un parco, due chiese e un piccolo polo ambulatoriale. L’intervento su questi comparti prevede principalmente la riconfigurazione degli spazi aperti esistenti, con la formazione di un percorso centrale che diventa l’elemento strutturante del sistema dei servizi e l’inserimento di nuove funzioni all’interno dei vuoti urbani presenti lungo la strada. Il
percorso centrale - concepito come il nuovo “corso” del quartiere - ricalca un asse esistente di 900 mt, compreso fra due spazi di testata: a nord, un piccolo piazzale alberato cinto da un edificio a ‘crescent’ e a sud il parco urbano posto tra l’area delle Vele e la strada provinciale che collega Lecce con la marina di San Cataldo. Lungo l’asse è collocata la maggior parte delle funzioni urbane sopra menzionate; le azioni proposte hanno quindi lo scopo di rafforzare il suo ruolo di ‘spina centrale’, andando a intervenire sia sulla sede stradale – riorganizzata in forma di boulevard – sia sugli spazi ed edifici inutilizzati adiacenti. Più specificamente, le azioni progettuali prevedono: un lotto destinato a orti urbani corredati di una piccola area giochi in prossimità della cintura verde; il completamento del lotto su cui insiste il polo ambulatoriale tramite il recupero di un edificio in disuso da destinare ad asilo e l’inserimento di una mediateca; la realizzazione di un centro di aggregazione sociale con spazi per il co-working e
laboratori per l’insegnamento della lavorazione della cartapesta leccese; l’ampliamento del parco urbano esistente e la sua riorganizzazione interna così da realizzare uno spazio pubblico di collegamento tra il polo delle scuole superiori e il vicino stadio comunale. 2. L’area residenziale privata, denominata “Lottizzazione Perrone”, si presenta come un agglomerato di residenze con giardino disposte attorno ad un lotto abbandonato, che il PRG del 1990 classifica come zona F. Al suo interno è presente una vecchia masseria diroccata. Gli interventi previsti sono in questo caso il recupero e la riattivazione della masseria a scopi didattici e la creazione di un parco pubblico di circa 32.000 mq. 3. Le origini del borgo San Ligorio sono rintracciabili in un casale risalente al X sec., anche se le prime testimonianze scritte risalgono solo al 1464. Fortunatamente gli interventi edilizi di epoca recente non hanno cancellato il disegno planimetrico dell’antico feudo il cui nucleo originario rimane
pagina precedente, fig. 4 Percorso ciclabile di cintura (in rosso) e percorsi ciclabili di collegamento radiale (in verde).
Bibliografia
fig.. 5 La rigenerazione interna dell’isola “Stadio – Borgo San Ligorio”: a sinistra la rigenerazione delle aree PEEP; in alto a destra il parco pubblico centrale alla Lottizzazione Perrone; in basso a destra il recupero del borgo rurale San Ligorio.
Cazzato V. 1994, La riforma di Lecce barocca: trasformazioni della città fra '800 e '900, Conte, Lecce . D’Andria F. 1999, Lecce romana e il suo teatro, Mario Congedo, Galatina. Daquino C. 1994, Masserie del Salento, Capone, Cavallino. Foscarini A. 2002, Guida storico-artistica di Lecce, Edizioni Vincenzo Conte, Lecce. Giardino L. 1980, Per una definizione delle trasformazioni urbanistiche di un centro antico attraverso lo studio delle necropoli: il caso di Lupiae, Congedo, Galatina, in Studi di antichità: pag. 137-206. M. Fagiolo V. C. 1984, Le città nella storia d’Italia: Lecce, Laterza, Roma. Mariano L. 1982, Sintesi storica di Lecce dalle origini e nel tempo, F.lli Palumbo, Aradeo.
ancora intatto. Questo si articola intorno a una corte centrale dove affacciano la chiesa, l’antico palazzo baronale della famiglia Palmieri, le unità abitative dei contadini, i trappeti9 e i molini (Daquino, 1994). Gli interventi di riqualificazione prevedono la pedonalizzazione e risistemazione della corte; la realizzazione in un’area adiacente di un piccolo parco da poter utilizzare, insieme alla corte, come luogo per sagre o eventi culturali; il recupero e il riutilizzo di uno degli edifici storici come struttura ricettiva; l’inserimento di un’area a parcheggio ai margini del borgo. 4. All’interno dell’‘isola’ Stadio- Borgo San Ligorio vi sono anche piccoli comparti di edilizia residenziale sparsa e agglomerati di edilizia abusiva. In questi casi si prevede, ovunque possibile, la realizzazione di piccole aree verdi e l’inserimento di filari alberati a formare una rete, seppur minuta, di riconnessione ecologica che, attraverso l’abitato, riconnette le principali aree verdi del quartiere con il territorio rurale.
Medagli P. 2005, Mappa botanica delle principali specie mangerecce del Salento, Moscara Associati, San Cesario di Lecce.
Note 1 Antica regione corrispondente alla parte occidentale della penisola balcanica. 2 La popolazione leccese passa da 100.884 abitanti censiti nel 1991 a 83.303 censiti nel 2001 (Dati ISTAT), rispetto a un dimensionamento del piano per 107.407 abitanti al 1997. 3 A seguito dell’adozione del DPP da parte del Consiglio Comunale, i lavori sul PUG, condotti insieme all’Università di Genova, subiscono continue modifiche e rinvii. Nel 2014 la Giunta fissa la scadenza della convenzione con l’università genovese all’ottobre 2016 ma, a quella data, la Giunta Comunale sposta tutto di un anno, necessario per verifiche di coerenza tra obiettivi delle trasformazioni e elementi di innovazione della normativa regionale in materia di PUG. Nel febbraio 2017 la Giunta Comunale propone l’adozione del Piano al Consiglio Comunale che la rigetta per la mancanza del parere dell’Autorità di Bacino. Nel giugno 2017, a seguito delle elezioni comunali, il governo della città di Lecce passa dal centrodestra al centrosinistra e il nuovo Sindaco, già membro del Consiglio Comunale, annulla in autotutela la delibera di adozione del PUG. 4 Struttura rurale trulliforme costruita con muratura a secco. 5 In totale il numero di residenti nella
corona urbana periferica di Lecce è di 26.924 unità, pari a circa il 30% della popolazione residente sul territorio comunale. Questo dato evidenzia come un elevato numero di abitanti risieda in periferia e dunque l’importanza dell’attivazione di processi rigenerativi per questi ambiti urbani. 6 Il Green Belt Act del 1938 è un atto che consente alle autorità inglesi di acquisire terreni da mantenere liberi per la creazione di una cintura verde. L’atto prevede che il proprietario terriero dichiari che la sua terra sarà considerata parte della cintura verde e che lo stesso terreno non possa essere venduto senza il consenso del Segretario di Stato. 7 Coordinamento nazionale per gli alberi e il paesaggio, associazione che si occupa della promozione e della valorizzazione del paesaggio italiano, della restaurazione dei giardini, della lotta al consumo di suolo. 8 http://www.ibionet.eu/index.php 9 Il trappeto (dal latino trappētum) è il termine utilizzato nella tradizione salentina per indicare un frantoio ipogeo per la produzione di olio d’oliva.
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Inquadramento territoriale dell’area di studio
Un giorno questa terra sarà bellissima
Laura Fortuna
Introduzione La seguente tesi prende avvio in seguito ad un’esperienza di volontariato svolta su un bene confiscato alla criminalità organizzata a Marina di Cinisi, che le cooperative sociali dell’associazione Libera hanno trasformato nell’eco-villaggio solidale Fiori di Campo. Il bene in questione non è l’unico bene confiscato presente nell’area: l’eco-villaggio confina, infatti, con altri beni non ancora assegnati e lasciati in disuso. Fiori di Campo rappresenta la parte centrale di un agglomerato di residenze che per qualsiasi esigenza necessita di fare affidamento ai vicini centri urbani. Lo scopo di questo lavoro è quello di definire delle linee progettuali in grado di conferire forma e funzionalità ad un luogo segnato dalle grandi mancanze che la prepotente presenza del fenomeno mafioso ha inevitabilmente generato, utilizzando così i beni confiscati alla criminalità organizzata “a fini istituzionali, sociali o di interesse pubblico” (Legge 109/96, art.2, c.1) e come strumento di sviluppo e di riscatto del proprio territorio. Il lavoro vuole essere frutto di un’indagine volta non alla denuncia quanto a una riflessione sul fatto che non è sbagliato pensare che gli urbanisti, specialisti
dell’organizzazione sociale dello spazio, possano portare il proprio contributo su una questione oggi trattata in così tanti ambiti. Quadro informativo Il comune di Cinisi Cinisi è un comune italiano di 12.418 abitanti1, facente parte della città metropolitana di Palermo, dalla quale dista 34 km. È situato in un’amena pianura, circondata da monti che la chiudono come un ferro di cavallo, mentre da Tramontana a Ponente ha la vista del mare, distante dal centro urbano poco più di un chilometro. Il territorio presenta un andamento variabile da quota 0 a quota 986 s.l.m. e si estende per una superficie di circa 3.316 ha, di cui 36 ha di centro abitato, 2260 ha agrari e forestali, 100 ha improduttivi, 86 ha zone periferiche, 8 ha abitato limitrofo a Terrasini e 430 ha occupati dalla zona aereoportuale. Le principali vie di comunicazione sono: • l’autostrada A29 Palermo-Trapani-Mazara del Vallo; • la S.S.113 in direzione Trapani; • l’Aeroporto internazionale Falcone e Borsellino di Palermo che, ubicato a Punta Raisi, ricade nel territorio comunale di Cinisi.
Marina di Cinisi e Fiori di Campo: la parabola perfetta del bene confiscato Marina di Cinisi, nota anche come località Pozzillo, è, insieme a Orsa, Piano Cavoli, Punta Raisi e Siino Orsa, una delle cinque frazioni appartenenti al comune di Cinisi. Sorge a 9 metri sul livello del mare e dista 3.73 km dal paese, raggiungibile in 10 minuti attraverso la S.S. 113 o tramite la strada comunale Via P. Borsellino. Ma a caratterizzare l’area è la presenza di una realtà unica nel suo genere, l’eco-villaggio solidale Fiori di Campo gestito dalla cooperativa sociale LiberaMente Onlus, che in questo progetto si appoggia a Libera2. Il complesso sorge su un bene confiscato alla mafia che LiberaMente gestisce dal 2012, a seguito dell’assegnazione attraverso bando pubblico indetto dal Comune di Cinisi. Il bene fa parte della maxi-confisca del 1993 a Vincenzo Piazza. La Calcestruzzi Piazza ha costruito palazzi, scuole, edifici pubblici, tra gli anni 70 e 80 in Sicilia e Toscana (come l’Azienda agricola Suvignano nel senese con più di 700 ettari) e si stima che ‘l’impero’ dei Piazza ammontasse a più di 2000 miliardi delle vecchie lire. L’eco-villaggio è formato da quattro villette che permettono l’accoglienza
Corso di Laurea Triennale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio Relatore: Prof. Carlo Natali Co-relatrice: arch. Marina Visciano
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Individuazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata presenti all’interno dell’area su base cartografica in scala 1:2000.
di circa trenta volontari per campo, campo della durata di una settimana. I lavori della struttura ricettiva sono stati eseguiti grazie alla vincita del Premio Edison Start 2014 per la categoria ‘Sviluppo sociale e culturale’. Edison ha anche messo all’opera i propri tecnici per rendere la struttura di Fiori di Campo sostenibile da un punto di vista energetico e ambientale. Il villaggio, infatti, è dotato di pannelli solari per la produzione di acqua calda e le pompe di calore e l’uso di combustibile biodegradabile, insieme alla nuova coibentazione termica, garantiscono il riscaldamento a basse emissioni e comfort ambientale. L’impianto fognario è stato rispristinato con fosse biologiche, mentre
quello idrico è stato migliorato, riducendo i consumi di acqua potabile. L’illuminazione è, ovviamente, tutta a led. L’arredamento degli ambienti interni ed esterni è stato realizzato con l’uso di materiale di scarto riutilizzabile. I campi si rivolgono a persone interessate a un soggiorno alternativo al turismo di massa, legato a temi di sostenibilità ambientale e d’impegno sociale. Le attività da svolgere sono varie: lavoro agricolo, risistemazione degli spazi, pulizia delle spiagge, valorizzazione delle aree verdi abbandonate, laboratori di riuso e riciclo dei materiali di scarto e anche attività culturali di formazione sui temi della legalità, con incontri con persone che ogni giorno cercano di contrastare,
con il loro operato, l’ingiustizia e l’illegalità prodotta dall’ancora diffusa mentalità mafiosa che si respira in questa terra. Aldilà del lavoro fisico, ciò che dà un valore aggiunto a quest’esperienza è senz’altro, infatti, sentire la voce di personaggi quali Giovanni Impastato, fratello di Peppino, Giacomo Randazzo, uno degli attivisti all’interno del circolo Musica e Cultura creato da Peppino, Giovanni Paparcuri, sopravvissuto alla strage di mafia in cui perse la vita il giudice Rocco Chinnici, e Santi Palazzolo, il pasticcere che ha avuto il coraggio di denunciare il Vice Presidente della Camera di Commercio di Palermo che aveva cercato di estorcergli € 150.000 per la proroga di una concessione di un punto vendita all’aeroporto di Punta Raisi.
Altra esperienza interessante è l’iniziativa nata dalla collaborazione con Emmaus Italia. Per tutta l’estate i volontari del campo ‘Passione Civile’ raccolgono gratuitamente nelle case dei palermitani mobili, vestiti e oggetti di ogni tipo per un grande mercato dell’usato al padiglione 16 della Fiera del Mediterraneo3. In quest’occasione il referente del campo, Nicola Teresi, si occupa anche di un momento formativo riguardante l’ecomafia. Il termine ecomafia è un neologismo coniato dall’associazione ambientalista italiana Legambiente, che indica quei settori della criminalità organizzata che hanno scelto l’abusivismo edilizio, il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti e le attività di escavazione come nuovo grande business, in cui sta
acquistando sempre maggiore peso anche il traffico clandestino di opere d’arte rubate e di animali esotici. L’importanza del riutilizzo sociale dei beni confiscati: alcuni esempi “Basta essere incriminati per il 416bis e automaticamente scatta il sequestro dei beni. Cosa più brutta della confisca dei beni non c’è. Quindi la cosa migliore è quella di andarsene” (Frigerio, 2009). Sono parole di Francesco Inzerillo, esponente di uno dei clan più importanti di Palermo, che bene sintetizzano il pensiero di Cosa Nostra circa la confisca dei beni, considerata la peggior sciagura in cui possano incorrere gli appartenenti a un’associazione mafiosa. “È meglio finire in galera, meglio essere uccisi che perdere la roba”4. E tanto grande è la paura di chi quei beni li perde quanto importante il riuso cui il bene deve essere destinato, in quanto portatore di benefici a livello di impatto socio-culturale e di riqualificazione urbana e ambientale. “In questi vent’anni molte di queste realtà sono diventate palestre di democrazia, occasioni di lavoro pulito, vero, di accoglienza per le persone fragili e in difficoltà, di formazione e impegno per migliaia di giovani che volontariamente, ogni anno, vi passano parte dell’estate. Segni di speranza in territori che la speranza avevano perso, dimostrazioni che la ribellione alle mafie è possibile se tutti – cittadini e amministratori, associazioni e istituzioni, politica ed economia, mondo laico e cattolico – ci assumiamo le responsabilità del bene comune” (Don Ciotti, in occasione del ventennale della Legge 109/96). Riprogettare aree confiscate alla criminalità organizzata, infatti, significa: • mettere ordine in un tessuto urbano spesso embrionale e rarefatto, come nel caso di Marina di Cinisi; • compenetrare un nuovo uso con i
colori, le forme, i materiali del paesaggio presente, in modo che questo sia in grado di manifestare la propria identità; • creare nuova occupazione e un’opportunità di sviluppo e aggregazione per le comunità locali; • aprirsi alla ‘mixofilia’, poiché renderebbe spazi prima ‘mixofobici’, che spingono a lottare per il bene individuale, luoghi in cui è possibile riconoscere il valore creativo della diversità; • favorire l’identificazione nelle istituzioni come simboli comunitari, perché non porterebbe a credere che le amministrazioni pubbliche tradiscano gli scopi per cui sono nate, incoraggiando slealtà e sfiducia. Tuttavia, dal 1982 a oggi, sono stati sequestrati e confiscati 27.000 beni e di questi solo 11.000 sono stati riconsegnati alla comunità. Il motivo per cui solo meno della metà dei beni sia stata riconsegnata alla collettività è che le procedure giudiziarie e amministrative attraverso le quali il bene giunge all’uso sociale sono lunghe e complesse. Negli ultimi tempi l’‘Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata’ ha cercato quanto più possibile di velocizzare l’assegnazione di tali beni, pur lamentando una situazione tuttora irrisolta di scarsità sia di personale che di sedi operative secondarie su tutto il territorio nazionale. Tra l’altro non dobbiamo tralasciare il fatto che, essendo in gioco rilevanti interessi economici, più forti e agguerrite sono le difese messe in campo dalle mafie per mantenere i beni. Esistono tuttavia dei casi esemplari di conversione ad uso sociale del bene che, come Fiori di Campo, rappresentano sfide riuscite. Il Parco Lilliput di contrada Spanò a Lamezia Terme,
ad esempio, pur sembrando apparentemente un normale parco giochi, è stato costruito volutamente dalla Comunità Progetto Sud, fondata da Don Giacomo Panizza, su un terreno confiscato di confine tra famiglie che proprio durante la progettazione del parco avevano una sanguinosa faida in corso.5 L’esperimento ha dato ottimi risultati: i ragazzini che prima compivano atti vandalici contro il parco, ne sono diventati i custodi. La localizzazione dei beni confiscati nel territorio di Marina di Cinisi L’art.48, comma 3, lett. c), del D. Lgs. n. 159 del 06.09.2011 prevede la formazione di un apposito elenco dei beni confiscati trasferiti agli enti territoriali, aggiornato periodicamente, che deve essere reso pubblico con adeguate forme e in modo permanente e che deve contenere i dati concernenti la consistenza, la destinazione e l’utilizzazione dei beni nonché, in caso di assegnazione a terzi, i dati identificativi del concessionario e gli estremi, l’oggetto e la durata dell’atto di concessione. Di seguito è riportato uno schema con l’elenco dei beni presenti nell’area di studio, Marina di Cinisi. Quadro analitico Marina di Cinisi: l’evoluzione storica dall’analisi cartografica I lavori dell’autostrada A29 ebbero inizio con la realizzazione del tratto Palermo-Aereoporto Falcone Borsellino, che era già presente nel 1963 (nonostante sia stato completato soltanto nel giugno del 1972) come si evince dalla carta dell’Istituto Geografico Militare risalente a quell’anno. Oltre a questo tratto di autostrada, nel 1963, era presente anche la strada locale Via Gaspare Cusumano che collega la costa alla Strada Statale 113. Ed è proprio lungo quest’asse che sorgono i primi edifici, distribuiti
in maniera piuttosto rada, formando il germe originario di Marina di Cinisi. Nel 1973 iniziano i lavori del tratto autostradale che collega Villagrazia di Carini a Mazzara del Vallo, e, nell’arco dei 15 anni successivi, l’agglomerato urbano assume la forma che ancora oggi presenta. Le successive edificazioni, infatti, hanno interessato solamente pochi lotti. I tracciati di permanenza e conformazione Il territorio è una grande eredità civile, un patrimonio nel quale sono iscritte le scelte e le trasformazioni operate da chi quel luogo l’ha vissuto. Esso può essere inteso come uno spessore che trattiene lo scorrere del tempo e questo grazie alle permanenze, ovvero a quelle caratteristiche fisiche che impediscono il mutarsi delle cose. Queste determinano tracciati, segni e ritmi che permangono alle mutazioni del tempo e che proprio per questo rappresentano gli elementi più significativi del luogo in cui sorgono. Solo cercando di reinterpretare queste “regole generatrici” si potrà ottenere poi un progetto che pur conservando la propria identità, entra in risonanza col contesto nel quale è inserito. L’intero territorio di Cinisi presenta una matrice agricola molto frazionata, matrice che ha successivamente determinato un processo di edificazione caratterizzato da una geometria particellare ben definita. Per quanto riguarda, però, più specificatamente l’area studio più urbanizzata, non possiamo parlare di tracciati regolari e schematici. Ciò è dovuto molto probabilmente alla pressione del sistema autostradale, che ha fatto sì che il disegno agricolo precedente all’edificazione non venisse rispettato in pieno. 117
Applicazione delle linee guida progettuali
Analisi morfologica urbana Per uno studio in toto dell’area, l’analisi urbana svolta ha tenuto conto sia della forma che della funzione delle varie componenti di Marina di Cinisi. Con l’analisi della morfologia urbana si è cercato di capire come si presentano gli elementi del tessuto urbano, soggiacenti al caos apparente da cui si possono astrarre. Sono state esaminate le varie tipologie edilizie riscontrabili nel luogo, notando una cospicua presenza di villette, e si è poi proseguito con l’analisi dell’impianto viario, constatando l’alto livello di degrado dei marciapiedi che fiancheggiano Via Falcone. In seguito, l’analisi ha interessato il sistema del verde, sottolineando l’incisiva presenza di terreni incolti. Per quanto riguarda i beni confiscati alla criminalità organizzata: gli edifici sono tutte villette, a eccezione dell’edificio posto più a sud che risulta essere una villa di dimensioni piuttosto ampie, mentre i terreni si presentano come terreni incolti. La considerazione finale cui inevitabilmente porta il quadro completo
dell’analisi è la netta distinzione dell’area in tre parti: una a nord-ovest prevalentemente agricola, un’altra, in basso, caratterizzata da una struttura urbana più definita e compatta (pur rimanendo comunque un tessuto a bassa densità) e un’altra, la costa, la cui presenza è fondamentalmente il motivo per cui Marina di Cinisi è venuta a crearsi. Analisi funzionale Successivamente l’indagine è proseguita con lo studio delle funzioni dei singoli elementi che consentisse di capire come, dal punto di vista organizzativo, Marina di Cinisi funziona. Gli edifici sono per la maggior parte residenze stabili, essendo abitate tutto l’anno, tranne quelli più a est e più vicini al mare, che, da sopralluoghi svolti in tempi diversi, risultano essere residenze estive. La presenza di servizi è pressoché nulla: un hotel, un ristorante e una pizzeria sono le uniche attività presenti sul territorio.
Le emergenze storiche non hanno più alcun tipo di funzione e vertono in uno stato di forte degrado e abbandono. Sono assenti elementi che forniscono una dimensione urbana, come la piazza o altri luoghi di aggregazione. Per quanto riguarda l’impianto viario, oltre che all’autostrada, che a sud delimita e a nord attraversa, fiancheggiando la costa, l’area di studio, grande rilevanza è data alla strada di penetrazione del centro abitato. Quest’ultima, da un lato, dopo aver proseguito per cinque chilometri lungo il confine aeroportuale, raggiunge il centro urbano di Cinisi, dall’altro confluisce nella Strada Statale 113, che si snoda lungo tutta la costa settentrionale della Sicilia. Riguardo ai beni confiscati, a eccezion fatta per le quattro villette gestite da LiberaMente, come già ripetutamente puntualizzato, a vincere è l’incuria. Tracciati e geometrie invarianti Il grado di conoscenza del luogo acquisito ha permesso di stabilire quali elementi possano essere definiti
tracciati e geometrie invarianti. Sono da considerarsi invarianti “elementi fisici o parti del territorio che esprimono un carattere permanente e sono connotate da una specifica identità, ed in quanto tali la loro tutela e salvaguardia risulta indispensabile al mantenimento dei caratteri fondamentali e delle risorse essenziali del territorio” (Giudice, Minucci, 2017, p. 116) Vi sono ovviamente diverse ragioni per cui un elemento possa essere definito invariante. Per quanto riguarda le invarianti rilevanti per il passato storico dell’area, elementi di grande forza sono rappresentati, senz’altro, dall’ex tonnara dell’Orsa e Torre Pozzillo. Si tratta, infatti, di torri di difesa costiera del XIV secolo che facevano parte del sistema difensivo di avvistamento dei navigli saraceni. Sono beni strategici per il territorio da un punto di vista turistico, economico e culturale, attualmente non curati dalle amministrazioni competenti e lasciati in uno stato totale di abbandono.
La condizione essenziale, perché si possa parlare di piazze è la chiusura del loro spazio. C. Sitte
Schema delle nuove funzioni dei beni confiscati
Soffermando ulteriormente l’attenzione sul sistema costiero, è da considerare invariante la presenza, seppur minima, di strutture turistiche che rappresentano gli unici punti di attrazione ‘funzionanti’ al momento per Marina di Cinisi. Sono da intendersi invarianti infrastrutturali, invece, l’autostrada che permette di raggiungere il luogo dai centri più importanti della zona, la strada di penetrazione del centro abitato, in quanto strada matrice dell’agglomerato urbano, e Via della Tonnara, per la sua valenza paesaggistica, poiché costeggia tutta la riva collegando le due torri. Si è inoltre ritenuto opportuno evidenziare da un lato la presenza dell’area agricola e dall’altro la presenza della zona residenziale. Ciò che non deve mutare è la presenza delle due zone esistenti dal carattere differente e non i singoli elementi che le compongono: l’intento progettuale non sarà quello di espandere, ma quello di riorganizzare l’area al suo interno, di dargli quello che le manca, di
collegare e ricucire le varie parti, partendo dai beni confiscati che vogliono essere in qualche modo rappresentativi di un posto, come tanti, che nasconde del marcio ma che può essere ripulito. È per questo motivo che viene intesa invariante funzionale la presenza di Fiori di Campo, con il suo scopo di risanare il territorio. Infine, a rappresentare un’invariante strutturale sono quei segni principali del disegno dell’impianto agrario che si sono conservati anche con l’edificazione dell’area, poiché fanno parte dell’ossatura del territorio. Quadro progettuale L’intento progettuale non è in linea con un’espansione dell’area. Riqualificare non significa andare oltre, aggiungere, ma piuttosto completare, ricucire. Gli interventi sono finalizzati a una riorganizzazione dell’area e mirano a mettere in relazione le varie componenti, sfruttando la presenza dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Per quanto riguarda la viabilità l’attenzione va innanzitutto alla
riqualificazione di Via della Tonnara, lungo la costa, con l’aggiunta di una pista ciclopedonale. Tale pista si andrebbe a collegare, attraversando il sottopassaggio del ramo dell’autostrada che porta all’aeroporto, alla pista ciclopedonale dell’asse di penetrazione del centro abitato, trasformato in viale alberato. Inoltre, la strada centrale che divide le piazze e arriva a Fiori di Campo, trovandosi in una posizione centrale strategica, potrebbe diventare una zona 30, per permettere una migliore convivenza tra auto, bici e pedoni. La Tonnara dell’Orsa e Torre Pozzillo necessitano di diventare da luoghi abbandonati e vandalizzati a punti di grande forza per Marina di Cinisi. I beni recuperati potrebbero fungere da suggestiva location per una serie di eventi pronti a dare vita ad un’estate cinisense che di fatto non esiste. Mostre e concerti darebbero nuovo splendore agli angoli più belli della costa, come accadde circa dieci anni fa grazie ad un gruppo di ragazzi cinisensi che si autotassò di
cento euro per ripristinare l’impianto elettrico, riverniciare le porte e abbellire con piante l’atrio della Tonnara. Cercarono sponsor e autorizzazioni e contattarono artisti e artigiani. Misero su da niente trenta giorni di eventi e i compaesani presenti alle serate furono moltissimi. Si tratta d’iniziative che con l’appoggio delle amministrazioni e con l’aiuto dei volontari che si recano ogni estate a Fiori di Campo, offrendosi anche per attività di animazione territoriale, non sarebbe difficile organizzare. Nel caso di Torre Pozzillo, inoltre, si è pensato al recupero e al riuso del rudere abusivo da cui dista pochi metri, che potrebbe diventare un’area di ristoro. I terreni incolti a ovest rappresentano una potenziale area verde, che, rispristinate le alberature locali, potrebbe essere utilizzata per aree picnic e aree giochi. L’offerta turistica lungo la costa potrebbe essere incentivata con uno stabilimento balneare che permetta 119 di praticare anche sport,
quali kit surf e vela, visti i forti venti che spesso spirano nella zona, e di organizzare escursioni sul Monte Pecoraro, che senza una guida qualificata risulta inagibile. Nel progetto vi è spazio anche per un completamento dell’insediamento residenziale, con l’aggiunta, dove è possibile, di ‘pezzi’ mancanti o di piccole aree che non allarghino il perimetro generale, ma contribuiscano piuttosto a ridisegnarne limiti e bordi. In una vista d’insieme dell’area, le strade, i parcheggi, le alberature, le aree verdi non devono più essere intese come spazi residuali, ma come aree ‘cuscinetto’ che consentano una sapiente integrazione fra le parti. Il nuovo ruolo dei beni confiscati: il polo centrale di Marina di Cinisi Gli interventi di maggiore forza sono quelli che riguardano l’area occupata dai beni confiscati, che andranno a costituire il polo centrale di Marina di Cinisi, ora del tutto assente. A definire questo nuovo centro saranno fondamentalmente questi interventi: • i due terreni più a nord sembrano avere la posizione perfetta per due potenziali piazze; • dalle analisi svolte è emerso che esistono 15 edifici dismessi all’interno dell’area di studio. Una soluzione potrebbe essere quella dell’albergo diffuso, un modello di sviluppo turistico del territorio originale perché non crea impatto ambientale (dal momento che ci si limita a recuperare/ristrutturare). Fungerebbe da presidio sociale, coinvolgendo i residenti e i produttori locali, considerati componente chiave dell’offerta. È un concetto che può essere vincente e avere una perfetta collocazione forse soprattutto nel sud Italia, per il tipo di relazioni umane che lo contraddistingue. I locali per la gestione unitaria
del sistema potrebbero essere le due villette confiscate, che fungerebbero quindi da reception, ambiente comune, area ristoro, sede di un servizio bike-sharing. • la villa confiscata, confinante con altri terreni confiscati, potrebbe fungere da palazzetto dello sport multifunzionale in grado di ospitare anche spettacoli al coperto, mostre, eventi di sensibilizzazione alla promozione della cultura della legalità. Rappresenterebbe un elemento di forza capace in qualche modo di far parlare e vivere, d’inverno come d’estate, Marina di Cinisi, grazie agli abitanti del territorio comunale di appartenenza, che sono privi al momento di una struttura di questo tipo. La villa esistente fungerebbe da punto per l’accoglienza, ospitando uffici e reception. • l’ultimo bene confiscato, confinante con l’eco-villaggio, potrebbe essere consegnato sempre alla cooperativa Liberamente come ampliamento di Fiori di Campo. Le varie parti dovrebbero essere collegate tra loro da percorsi che non vogliono essere troppo invasivi e aggressivi con l’esistente, ma che piuttosto riescano a completare una rete di relazioni che, inserite le nuove funzioni, risulterebbe insufficiente e inefficace. Le due piazze • la piazza a ovest della strada che diventerà una zona 30 per favorire l’unione del sistema, potrebbe ospitare una scuola per l’infanzia, di cui un paese di più di 2000 abitanti necessita, e una biblioteca con spazi polivalenti. In quest’ultima, com’è pratica di alcune piccole realtà, potrebbe recarsi una volta a settimana del personale incaricato dal comune per far sì che i residenti (soprattutto gli anziani) possano sbrigare pratiche
burocratiche senza il bisogno di spostarsi a Cinisi. Gli altri edifici che si affacceranno sulla piazza saranno edifici destinati al commercio e al ‘pubblico esercizio’, di cui, ai sensi della L. 287/91, fanno parte le attività addette alla vendita per il consumo di alimenti e bevande; • la piazza più a est, invece, potrebbe essere fornita di attrezzature urbane utili per il mercato di prodotti tipici che andrebbe ad ospitare ed essere delimitata da edifici destinati al commercio e al ‘pubblico esercizio’. Tra le varie ipotesi di composizione delle piazze si è scelta quella che, sulla base dei segni del territorio circostante, si lega in maniera più armonica con il contesto in cui sono inserite. È notte. Le strade sono deserte. Il pazzo del paese irrompe nella piazza vuota, gridando: “La piazza è mia”. È una delle scene più belle del film Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. Che la piazza (il paese, la città) sia dei suoi abitanti è una bugia. Quasi sempre la piazza (il paese, la città) è dei politici, dei tecnici, dei burocrati, degli imprenditori. A volte ci prova anche la mafia a prendersi la piazza; a volte ci riesce (A. Bazzi, 2007). Altre volte, invece, accade l’opposto.
Note 1 Dato Istat – Popolazione residente al 13 dicembre 2015. 2 Libera Associazioni, nomi e numeri contro le mafie’ è nata il 25 marzo 1995 con l’intento di sollecitare la società civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia. Attualmente ‘Libera Associazioni, nomi e numeri contro le mafie’ è un coordinamento di oltre 1500 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, territorialmente impegnate per costruire sinergie politico-culturali e organizzative capaci di diffondere la cultura della legalità. La legge sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie, l’educazione alla legalità democratica, l’impegno contro la corruzione, i campi di formazione antimafia, i progetti sul lavoro e lo sviluppo, le attività antiusura, sono alcuni dei concreti impegni di ‘Libera Associazioni, nomi e numeri contro le mafie’. È riconosciuta come associazione di promozione sociale dal Ministero della Solidarietà Sociale. Nel 2008 è stata inserita dall’Eurispes tra le eccellenze italiane. 3 La Fiera Campionaria del Mediterraneo si sviluppa su una superficie di 83.000 metri quadrati. Quest’anno, dopo sette anni di degrado e d’incuria, hanno ripreso vita dodici padiglioni e tutte le terrazze accanto all’ex Bar Mazzara. I due terzi della Fiera sono finalmente nuovamente calpestabili e utilizzati. 4 Ibidem. 5 Il parco è nato nel 1994 come tentativo di aggregazione attraverso la cultura del gioco, per far incontrare in maniera spontanea i bambini del quartiere e quelli dei clan in particolare, coinvolgendoli in attività di animazione e socializzazione, e rompendo così l’atmosfera in cui crescevano.
Planivolumetrico delle piazze di progetto.
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Fig. 1 Sistema insediativo delle Corti, scala nominale 1:2000
Un giardino per Lucca Parco urbano Sant’Anna
Denise Franchi
L’ispirazione: Ville Gentilizie Lucchesi e Parchi Contemporanei Francesi Il progetto Parco urbano Sant’Anna per la città di Lucca, illustrato in questo lavoro, trae ispirazione dai giardini delle Ville Gentilizie Lucchesi e dai Parchi Contemporanei Francesi. Attraverso lo studio di questi due elementi ispiratori e dei connotati che li caratterizzano, è stato possibile creare per Lucca un’area verde che risultasse un parco fruibile per i cittadini basato sui princìpi dedotti dallo studio dei Parchi Contemporanei Francesi, ma impreziosito dallo stile dei giardini delle Ville Gentilizie Lucchesi. A oggi possiamo dire che il parco contemporaneo è una evoluzione del giardino appartenente alle ville delle famiglie più agiate nel periodo tra il XV e il XVIII secolo. Grazie agli studi di Mariella Zoppi è possibile affermare che con il susseguirsi dei secoli si sono succeduti diversi tipi di stili e diversi tipi di giardini. Con la fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento la società è alla ricerca di nuovi modelli di vita e le famiglie mercantili desiderano mostrare la propria ricchezza attraverso la costruzione dei palazzi di città e delle ville suburbane. La Villa Medicea di Cafaggiolo è un esempio della trasformazione da edificio fortificato a villa rinascimentale, e da hortus conclu-
sus, cioè giardino recintato, a giardino aperto verso il paesaggio. Con la riscoperta del mondo classico nel Cinquecento, e il testo De re aedificatoria di Alberti, si ha la diffusione del modello del ‘giardino all’italiana’. Il giardino veniva suddiviso da figure geometriche e presentava la villa cui era legato. Alla fine del Rinascimento fa la sua comparsa il manierismo, uno stile che si basa sul superamento del rigore e delle proporzioni dello stile classico, tramite l’introduzione di elementi mostruosi (giganti, sfingi, mostri ecc) ed elementi illusori e perturbanti (gigantismo delle strutture, prospettive distorte, ecc). Con la fine del rinascimento, l’instaurarsi dell’assolutismo monarchico francese e la nascita del barocco, il giardino si carica di elementi di sorpresa, di stupore e di spazi infiniti, andando ad assumere le caratteristiche di un ‘parco’. La maestosità del giardino doveva rappresentare non solo il re, ma anche il suo potere divino. Alla fine del Settecento il tardo barocco si evolve nello stile rococò. Il rococò rappresenta la vita aristocratica libera da preoccupazioni che nell’arte del giardino si esprime con l’inserimento di elementi eleganti e sfarzosi, come le ondulazioni ramificate
in riccioli e gli arabeschi floreali. Oltre allo stile rococò in questo periodo si diffonde il ‘fenomeno-reggia’, originato dalla realizzazione della reggia di Versailles e perfettamente osservabile nel progetto di Vanvitelli per la reggia di Caserta. Nell’Inghilterra del Settecento nasce il giardino romantico. Dal rifiuto per l’aristocratico stile barocco-rococò si passa ad uno stile in cui la natura cresce e si evolve incontrastata, libera da costrizioni e limitazioni geometriche. Con la rivoluzione industriale ottocentesca in Europa cresce la concentrazione urbana e nascono nuovi problemi, come il sovraffollamento e l’invivibilità delle città industriali. Per far fronte a queste problematiche nascono le grandi realizzazioni urbanistiche e il parco pubblico. Il Regent’s Park è il primo esempio di parco pubblico moderno per il popolo e non per i pochi. Segue il Birkenhead Park con l’impianto innovativo che verrà ripreso da Olmsted in Central Park, ovvero un parco connesso alla città circostante attraverso la maglia viaria e la separazione tra il percorso destinato ai veicoli da quello dei pedoni. Sempre nell’Ottocento, sul fronte francese, con il programma di grandi opere messo in atto da Napoleone III a ga-
Corso di Laurea Triennale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio Relatore: Prof. Carlo Natali Co-relatore: arch. Marina Visciano
Settembre 2016
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ranzia del sostegno popolare, spicca la figura dell’ingegnere Alphand. Per Alphand il parco non è una imitazione della natura, ma un’opera d’arte, e come tale è un insieme di ambienti e paesaggi artificiali che deve soddisfare l’estetica. L’Europa del Novecento verrà influenzata dall’idea di naturalizzare le città per contrastare l’artificiale, secondo il pensiero di Olmsted e i successivi paesaggisti americani. Per Olmsted il parco è il tempio della natura, si deve integrare con la città e deve essere accessibile a tutti. Il parco contemporaneo André-Citroën è un esempio concreto di naturalizzazione della città. In opposizione a questa visione si pone La Villette, esempio di antinaturalismo. In parallelo all’analisi dell’evoluzione del giardino in Europa si è susseguita l’analisi dei giardini delle ville gentilizie lucchesi. Nel territorio lucchese le ville si collocano maggiormente nell’area pedecollinare a nord-est dei Monti di Brancoli, nell’area pedecollinare del sistema collinare a nord-ovest e nelle aree pedecollinari o collinari dei Monti Pisani, a sud della piana. Il progetto si ispira a tre giardini appartenenti a tre diverse ville: Villa Reale a Marlia, Villa Paolina in località Monte San Quirico e Villa Nardi a Massa Pisana. Il giardino di Villa Nardi è un esempio di giardino all’italiana, caratterizzato da uno stile geometrico. La costruzione del giardino è iniziata intorno al ‘500 e si dispone su tre terrazze a tre diversi livelli: sulla terrazza inferiore si colloca l’orto, sulla terrazza intermedia il giardino è suddiviso in sei aiuole con al centro l’albero di Camelia, mentre sulla terrazza superiore si collocano il bosco e il labirinto. La villa Reale di Marlia fu acquistata e ristrutturata nel seicento dalle famiglie Olivieri e Orsetti che commissionarono anche la costruzione della Palazzina dell’Orologio.
Nell’Ottocento fu acquistata da Elisa Bonaparte che ne crebbe la proprietà andando ad acquistare la confinante Villa del Vescovo. A oggi il giardino della villa è diviso in due parti. La parte a nord è in stile barocco mentre la parte a sud è all’inglese, diversità dovuto ai passaggi di proprietà di differenti famiglie in diverse epoche. Il giardino barocco si è mantenuto fedele all’originario e presenta diversi elementi tipici: il viale rettilineo di lecci che incornicia la Palazzina dell’Orologio; il teatro di rocce, acqua e statue; il giardino dei limoni con la peschiera e il teatro di verzura. Il giardino romantico è una distesa di erba che dal palazzo giunge fino al laghetto naturale a sud. Sulla distesa d’erba sono state collocate masse arboree e arbustive in maniera irregolare e un percorso sinuoso che dal palazzo scende in direzione del laghetto. Villa Paolina fu acquistata nell’800 da Paolina Bonaparte. Il giardino della villa, progettato da un paesaggista inglese, è un giardino romantico. È una distesa d’erba ondulata coperta da masse arboree collocate in modo irregolare e da sentieri sinuosi. A nord è stato collocato un boschetto di Camelie alte fino a 12 metri. Si deducono così dai tre esempi, quattro caratteristiche di sintesi dei giardini delle Ville Gentilizie Lucchesi: spazi limitati, disegno geometrico o sinuoso, il giardino come elemento di connessione tra edificio padronale e paesaggio, e l’uso dei viali e vialetti per la creazione di viste prospettiche. Come i giardini delle Ville Gentilizie Lucchesi, racchiudono importanti elementi d’analisi e di spunto anche i Parchi Contemporanei Francesi, di cui presentiamo una breve analisi. Quelli presi in considerazione sono accomunati da tre princìpi: impronta storica, temi funzionali e connessioni. Tre dei cinque
parchi studiati sono collocati a Parigi, un quarto parco si trova tra Villepinte e Aulnay-sois-bois, e un quinto a Lille. Il Parco Départemental du Sausset, che si trova tra Villepinte e Aulnay-sois-bois, recupera il paesaggio rurale preesistente, mantenendo l’ortogonalità delle trame agrarie e i bocage, ovvero aree agricole dell’epoca preindustriale. Il parco è suddiviso in quattro temi: la foresta, la scena agri-horticole con il recupero delle trame agrarie preesistenti, la scena bocagère con il recupero dei bocage, e in fine la scena de parc plus urbain con il lago di Savigny e la palude. Il parco fa da connessione tra la città di Villepinte e Aulnay-sous-bois, mentre le aree suddivise dalla RER sono connesse da sottopassaggi o da ponti ciclopedonali. Il Parco André-Citroën si trova nel quartiere Javel a Parigi ed è organizzato su un asse perpendicolare alla Senna, riprendendo l’organizzazione dei parchi storici parigini come: Champs-de-Mars e Esplande des Invalides. Il parco è suddiviso in più temi. In prossimità della Senna vi sono collocati il Giardino del Vento, il Giardino delle Rocce, il Giardino delle Metamorfosi e il Giardino in Movimento. Sono giardini in cui il protagonista è la natura selvaggia. A ovest si trova un’area di transizione tra natura e artificiale, ovvero il Giardino delle Trasmutazioni suddiviso in giardini seriali. Al centro si trova un’area neutrale composta da un parterre d’erba circondato da un corso d’acqua e da un canale con le ninfee. Infine, in prossimità del quartiere, vi sono le aree che rappresentano l’artificiale: le due serre con la piazza delle fontane, i peristili vegetali, il giardino bianco e il giardino nero. Quest’ultimi giardini rappresentano l’artificiale. Il parco si connette al quartiere Javel attraverso una progressione dalla natura all’artificiale, data dal sus-
seguirsi delle aree a diverso tema. Il Parco di Bercy si trova nel quartiere Bercy di Parigi ed è detto Parco della Memoria. Tale nome è dato dal fatto che i viali, i vialetti e le varie aree sono state progettate riprendendo il tracciato viario storico, e sono stati mantenuti alcuni edifici preesistenti, come la Maison du Lac, in riferimento alla storia del quartiere (ex scalo commerciale di vini). Il parco è suddiviso in tre temi: • la prateria, un’area aperta dedicata al riposo, alla passeggiata e al gioco, ed è collocata davanti al palazzo Omnisport, all’interno è anche presente la terrazza panoramica che si affaccia sulla Senna; • i giardini tematici, aree verdi che riprendono i temi del giardino aristocratico francese, come l’orto e il roseto; • il giardino romantico, una zona del parco organizzata attorno a un canale con al centro un’isola su cui vi è collocata la Maison du Lac. Grazie alla terrazza, collocata nell’area della prateria e la sua continuazione al di sopra del muro di recinzione del parco, dalla sfera intima del parco si passa alla sfera monumentale con una connessione visiva su tutto il quartiere e sulla Senna. Le aree del parco suddivise dalla strada in trincea Joseph Kassel sono connesse da tre ponti. È possibile raggiungere l’altra sponda della Senna mediante il ponte Simone de Beauvoir direttamente dalla terrazza panoramica. Il Parco Henry Matisse, che si trova a Lille, ingloba la storica Porta de Roubaix con il ponte e le antiche fortificazioni. Il passaggio nella porta fa da ingresso al centro storico di Lille. Il parco è suddiviso in tre temi: • Derborence, un’isola vegetale rialzata, artificiale e non accessibile. Al di sopra dell’isola è stata collocata una foresta ideale; tale fo-
Fig. 2 Carta “Città da tutelare”, scala nominale 1:2000 Fig. 3 Carta “Città da trasformare”, scala nominale 1:2000
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resta vive seguendo i cicli vegetali delle piante senza la manutenzione da parte dell’uomo; • Boulingrin, una distesa d’erba che collega la Porta de Roubaix all’ingresso della stazione Lille-Europe; • Il bosco accessibile, all’interno del quale vi sono collocati quattro giardini, radure createsi naturalmente, come ad esempio: la radura delle Lande, una brughiera formata da un suolo arido e da rocce; la radura di Chablis, dove sono alberi caduti dai tronchi intrecciati. L’intero parco ha la funzione di connettere il centro storico di Lille all’ingresso della stazione Lille-Europe, due punti importanti e stilisticamente differenti della città. Infine, arriviamo al Futur jardin des Halles che si trova nel quartiere Les Halles di Parigi. Nel 2002 il comune di Parigi ha deciso di ristrutturare Le Jardin des Halles di fine ‘900, per far sì che possa accogliere un grande flusso giornaliero di persone e per rinnovare la vegetazione che presentava parassiti e malattie. Il nuovo progetto mette in risalto gli edifici storici che circondano il giardino, come la Borsa di Commercio e la chiesa di Saint-Eustache. La vegetazione preesistente meno colpita dai parassiti o dalle malattie sarà mantenuta, mentre la restante verrà sostituita. Il parco è suddiviso in grandi aree per accogliere un maggior afflusso di persone, troviamo infatti: la prateria, una grande distesa d’erba in cui si collocano gli attols, una serie di boschetti; una grande area gioco; il Giardino d’Acqua con le fontane e il Giardino della Musica. Il giardino ha i ‘limiti porosi’, ovvero due masse boscose che facilitano l’accesso e la connessione con il quartiere. Per facilitare l’accesso al giardino, il transito di molte persone al giorno, la connessione al quartiere e una visione globale sugli edifici che si affacciano sul
giardino stesso, il giardino è stato disposto su un unico livello ed è stato strutturato su una maglia squadrata di viali e vialetti. Dallo studio dei cinque esempi di Parchi Contemporanei Francesi è stato possibile individuare cinque caratteristiche che li accomunano: spazi illimitati, impronta storica, temi funzionali, connessioni interne del parco o con i poli esterni. La piana lucchese e il quartiere Sant’Anna Prese in considerazione tutti gli elementi da cui trarre ispirazione per la progettazione del parco, e per comprendere come tale progetto possa inserirsi nel territorio della piana lucchese è risultato doveroso studiar gli specifici caratteri di questo contesto. La pianura alluvionale lucchese ha la forma ‘a cappello di carabiniere’. Tale forma è stata data dall’antico alveo dell’Auser e dai suoi rami minori. Prima della colonizzazione dell’uomo la pianura era ricca d’acqua e caratterizzata dalla presenza di boschi igrofili, mesoigrofili e da aree paludose. Sotto l’Impero Romano la città di Lucca e la piana erano legate dalla centuriazione. Le prime bonifiche della pianura e le prime regimazioni dell’Auser furono effettuate dai romani. Essi costruirono il canale Ozzeri e il porto della Formica per agevolare il commercio navale. Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e le invasioni barbariche, cessarono i miglioramenti e le manutenzioni al fiume Auser e ai canali, cosicché le acque iniziarono ad uscire dagli argini minacciando la popolazione. Nel VI secolo San Frediano, vescovo di Lucca, assunse cariche amministrative. Dopo anni di dura fatica da parte dei lucchesi nel tentare di deviare il corso dell’Auserculus, che correva vicino alla città e con le inondazioni causava danni continui, vi fu una svolta detta il Miracolo di San Frediano. La
leggenda narra che San Frediano si recò sul percorso dell’attuale Serchio, e tracciando un solco con il rastrello le acque lo seguirono. In realtà San Frediano fece aprire una nuova bocca del Serchio a Migliarino, per farlo sfociare in mare e non più nell’’Arno a valle di Pisa. In epoca medievale nasce il sistema delle corti, costruite in prossimità della trama combinata della centuriazione e del sistema viario a raggiera. Per tutto il rinascimento la città di Lucca rimase legata alla struttura insediativa, intensificata nell’ottocento, costituita da corti, strade a raggiera, proprietà terriera frammentata e trame agrarie strette e lunghe (Fig. 1). Fino agli anni ‘50 la crescita insediativa è ancora legata all’impianto storico. Dopo gli anni ‘50 si infit-
tisce il tessuto edilizio intorno alla circonvallazione e si intensifica lungo le strade radiali di matrice storica. La struttura insediativa attuale proviene da una massiccia trasformazione rispetto a quella ottocentesca. Il tessuto edilizio, che fino agli anni Cinquanta si è concentrato lungo le strade radiali di impianto storico, è arrivato ad occupare gli spicchi di terreno agricolo compresi tra le strade radiali, andando a deformare la struttura insediativa a ‘ruota’ della città. Attraverso lo studio degli strumenti di pianificazione vigenti nel Comune di Lucca è stato possibile realizzare due carte di sintesi. La prima s’intitola Città da tutelare (Fig. 2) e mette a fuoco tutti gli elementi e le strutture da conservare. Con questa car-
pagina precedente, Fig. 4 Masterplan del parco, scala nominale 1:2000 Fig. 5 Rendering 3D della vista prospettica dell’area est del parco
ta si individuano: la struttura insediativa storica, gli edifici di carattere identitario (edifici liberty, architettura razionalista e industria di impianto storico), le aree agricole ed infine le aree di tipo naturalistico con l’idrografia principale. La seconda carta s’intitola Città da trasformare (Fig. 3). Su tale carta si individuano le aree che necessitano di un intervento ristrutturativo o un cambiamento di funzione. Oltre a queste due carte è stato opportuno leggere la Carta dell’uso del suolo, da dove trapela una pianura fortemente urbanizzata e vocata all’agricoltura. Per la progettazione di un parco identitario per la piana di Lucca è stato necessario individuare la vegetazione autoctona del territorio. Dall’analisi del Piano Struttu-
rale è emerso che la vegetazione autoctona, che caratterizzava la pianura prima della colonizzazione dell’uomo, è contraddistinta da specie vegetali che vivono in ambienti ricchi d’acqua, e che lo stesso Piano Strutturale suddivide in ambienti a componente vegetale propria del bosco igrofilo, del bosco mesoigrofilo, e delle aree paludose. Attraverso l’analisi dei piani del comune di Lucca sono giunta all’individuazione dell’area di studio. La mia scelta è ricaduta sul quartiere Sant’Anna per quattro motivi: 1. il regolamento urbanistico vi prevede la realizzazione di un parco; 2. sono presenti altri spazi in stato di degrado (come aree verdi o per lo sport, abbandonate) o che neces-
sitano di un intervento ristrutturativo (come il complesso terziario in via Luporini); 3. la realizzazione di un parco in questa zona può andare a contrastare l’espansione edilizia tra Via Sarzanese Valdera e Via Pisana, andando a evitare l’alterazione del modello urbano a forma di ‘ruota’; 4. è facilmente possibile creare una connessione con il Parco del Serchio e con il Parco dell›Ozzeri e tra i parchi stessi. Il quartiere Sant’Anna nasce lungo Via Sarzanese Valdera e Via Pisana, a ovest della città di Lucca. L’insediamento urbano d’impianto storico si è creato sulla struttura: corti, strade a raggiera, proprietà terriera frammentata e trame agrarie strette e lunghe. Il quartiere, a oggi, ri-
sulta fortemente urbanizzato e caratterizzato dalla presenza di seminativi e orti dove si coltivano perlopiù cereali e legumi. Su tutta la zona si distendono per lo più strade locali urbane, e tra queste si evidenziano le seguenti per la concentrazione dei servizi: Viale Puccini, Via Pisana, Via Luporini e Via Buonamici. Analizzando gli edifici del quartiere è possibile osservare che la continua espansione del tessuto edilizio, mancante di una pianificazione dettagliata, è andata a creare un quartiere composto da edifici che presentano difformità nelle altezze e nei volumi. Lo studio effettuato sui giardini delle Ville Gentilizie Lucchesi e sui Parchi Contemporanei Francesi, unito all’a127 nalisi del territorio luc-
chese, in particolare del quartiere Sant’Anna, sono stati strumenti conoscitivi fondamentali alla realizzazione del progetto del Parco urbano Sant’Anna. Il progetto: Parco urbano Sant’Anna I principi sui quali si struttura il parco (Fig. 4 e 5) sono: l’impronta storica, i temi funzionali, i poli e le connessioni. 1. L’ impronta storica L’area su cui si colloca il parco fino agli anni Cinquanta era ricoperta da campi. La particolare fisionomia della piana di Lucca era costituita da proprietà terriera frammentata, caratterizzata da tanti piccoli appezzamenti lunghi e stretti, delimitati da scoli e filari alberati con viti e gelsi. Questa composizione, unita all’uso agricolo del suolo, ha modellato l’insediamento urbano del quartiere di Sant’Anna e del resto della piana fino agli anni Cinquanta. Il progetto prevede il recupero delle trame agrarie ottocentesche in riferimento alla storia del quartiere e alla cultura dei cittadini. Infatti, il segno delle trame agrarie è stato utilizzato per scandire le varie aree suddivise in temi funzionali, per modellare i viali e la vegetazione. Il verde scolastico, ovvero la sistemazione a verde di pertinenza del polo scolastico, riprende la forma della struttura dell’ippodromo (di forma ellittica e in legno) che era collocato fino agli inizi del Novecento nell’attuale Piazzale Verdi. Infine, opposto al bosco e in prossimità della città compatta si colloca il giardino architettonico. Il giardino riprende la struttura del teatro di verzura, che si trova nella Villa Reale di Marlia. 2. I temi funzionali Il parco non è un mondo isolato e protetto dalla città, ma ne è parte integrante. La progettazione del parco
non riguarda esclusivamente le aree verdi, ma riguarda tutto il contesto urbano all’interno del quale si vogliono inserire le sue nuove funzioni. Il Parco urbano Sant’Anna è suddivido in aree con funzioni diverse: • Bosco Selvaggio: è composto da vegetazione autoctona e segue l’ordine biologico delle piante (logica della natura), minimizzando la manutenzione da parte dell’uomo. Con l’inserimento del Bosco Selvaggio e lo stagno ho voluto rievocare i boschi mesoigrofili e le aree umide che un tempo ricoprivano l’intera pianura. All’interno del parco il Bosco Selvaggio occupa due aree: una a nord-ovest e l’altra a sud-ovest. La sua collocazione non è causale, infatti le due aree citate sono situate in prossimità del paesaggio agricolo, distanti dal centro urbano. • Bosco Architettato: si distingue dal Bosco Selvaggio in quanto la collocazione della vegetazione è ben progettata e segue un disegno geometrico ben definito. Anche se è costituito da vegetazione autoctona, la sua composizione necessita di una maggiore manutenzione rispetto al bosco selvaggio. All’interno del parco il Bosco Architettato occupa due aree: una a nord-ovest, adiacente al Bosco Selvaggio, l’altra a sud, lungo la ferrovia Viareggio-Firenze. La sua collocazione non è causale: è situato nelle aree a est del bosco selvaggio, frapponendosi così tra questo ed il centro urbano, sulla base del concetto di progressione tra natura e artificio, a cui si ispira il progetto. • Gli orti urbani: piccoli appezzamenti che dal paesaggio rurale s’introducono nel parco, andando a creare una connessione visiva tra il paesaggio agricolo e le due aree del parco suddivise da via Einaudi.
Gli orti urbani svolgono principalmente la funzione sociale-ricreativa e rappresentano un luogo di svago per i cittadini, favorendone le relazioni. • Il mercato ortofrutticolo e il frutteto: il progetto prevede l’inserimento di un mercato ortofrutticolo che si affacci sul Viale Luporini (zona del quartiere dove si concentrano i servizi). La struttura del mercato è formata da una serie di gazebo in legno e da un’area di sosta a servizio della stessa struttura. All’interno del mercato si possono acquistare prodotti a km 0 provenienti dagli orti urbani e dai frutteti circostanti, e con i prodotti scartati è possibile realizzare il compost organico per la concimazione. • Il giardino del polo scolastico: l’area scolastica si colloca a est degli orti urbani. La disposizione della vegetazione è ispirata alla struttura dell’antico ippodromo che era collocato nell’attuale Piazzale Verdi. La forma è stata scelta per il senso di protezione e l’aspetto ludico che dona all’area scolastica. All’interno, nella parte ovest, si colloca un’area adibita agli orti scolastici. • Il parco urbano: si colloca tra il giardino del polo scolastico e il Giardino Architettonico. I viali e la vegetazione che lo compongono si basano su un disegno geometrico che ricalca la griglia delle trame agrarie ottocentesche. Tale riferimento viene accentuato dalla diversa tipologia di erba utilizzata nelle varie aree. Il parco urbano, oltre alla zona centrale, occupa altri spazi sparsi nel quartiere. Queste aree verdi, collegate dalla pista ciclo-pedonale, creano una connessione sia tra le parti del Parco urbano Sant’Anna, sia con il vicino Parco del Serchio. Il parco urbano offre al pubblico svago, sosta, ricreazio-
ne e spazi in cui è possibile socializzare. In prossimità del parco urbano e del Viale Puccini il progetto prevede la realizzazione di quattro nuovi edifici residenziali, che vanno a sostituire quello che attualmente si affaccia su Via Palmiro Togliatti. I quattro edifici di nuova costruzione si allineano con gli edifici storici circostanti e riprendono la tipologia edilizia casa a schiera delle corti. Su viale Luporini, in prossimità di un’area del parco urbano, il progetto prevede la costruzione del nuovo edificio dell’anagrafe. Attualmente l’anagrafe si trova in Via Einaudi, ma per far spazio alla sistemazione a verde del parco, il progetto prevede perciò la demolizione dell’edificio. • Il Giardino Botanico: svolge principalmente la funzione culturale-didattica, in quanto all’interno i bambini possono svolgere attività di educazione ambientale. L’obiettivo delle attività, che si possono svolgere nel Giardino Botanico, è il favorire un atteggiamento rispettoso nei riguardi dell’ambiente. • Il Giardino Architettonico: è collocato a est, nell’area più interna alla città. È un giardino puramente estetico in quanto la sua installazione rappresenta l’artificiale, ovvero l’oppressione che l’uomo esercita sulla natura. Le siepi incorniciano la scena, mentre sullo sfondo si colloca un muro in pietra a vista. Le siepi e il muro rappresentano l’artificiale, mentre l’albero centrale (un pioppo, simbolo dei boschi mesoigrofili che ricoprivano la piana di Lucca) rappresenta la natura ormai oppressa. • Il Giardino del Benessere: il progetto prevede il recupero del campo da calcio San Donato con sistemazione a verde in connessione alla struttura Centro Sport le Vele. È un’area dedicata allo sport all’a-
perto, all’interno può essere prevista la collocazione di strumenti per la ginnastica dolce, ovvero strumenti adatti a esercizi semplici. • Il Nastro Verde: rappresenta il verde di arredo urbano che come un nastro collega e avvolge la città. Comprende il verde appartenente agli edifici, le aiuole, i parcheggi e le strade alberate. Il verde di arredo dei parcheggi e delle strade fa da schermo agli inquinanti, termoregola l’ambiente e mitiga l’impatto visivo. Le aiuole sono aree di ridotte dimensioni con lo scopo di organizzare il traffico urbano e di mitigare l’impatto visivo. 3. Poli e connessioni Uno degli obbiettivi principali della progettazione di un parco è la continuità. Il verde all’interno di un centro abitato deve creare una rete che possa collegare il centro urbano al paesaggio aperto e consentire agli abitanti di raggiungere in sicurezza e senza l’uso di veicoli motorizzati diverse zone della città. Il progetto del parco prevede una continuità con i diversi poli della pianura lucchese: • Connessione del parco con la città antica e novecentesca: il parco si connette alla città antica e novecentesca attraverso la sistemazione a verde di Piazzale Italia e le piste ciclo-pedonali lungo diverse strade. • Connessione del parco con il Parco del Serchio: il parco si connette al Parco del Serchio attraverso due parti del parco urbano, una parte collocata tra Viale Puccini e Via Vecchi Pardini, l’altra collocata tra Via Don Minzoni e Via Vecchi Pardini. Oltre a queste due aree il parco in progetto si connette al Parco del Serchio attra-
verso piste ciclo-pedonali alberate che scorrono su diverse strade. • Connessione del parco con il Parco dell’Ozzeri: il parco si connette al Parco dell’Ozzeri attraverso una pista ciclo-pedonale alberata che da Via San Donato s’immette in Via di Ponte Salissimo. • Connessione del parco con il paesaggio rurale: il paesaggio rurale è formato da corti, proprietà terriera frammentata e trame agrarie strette e lunghe ed è possibile ammirarlo lungo il percorso ciclo-pedonale che parte dal Viale del Bozzo e arriva in Via Vecchia II, lungo Via Ponte Salissimo o lungo la pista ciclo-pedonale alberata che dal Giardino del Benessere va in direzione centro urbano. Conclusioni Il parco risulta quindi un insieme di diverse aree connesse tra loro grazie all’inserimento di vialetti ed un lungo viale che collega il bosco selvaggio al giardino architettonico. Per unire le due aree suddivise da Via Einaudi ho inserito tre ponti e due trincee, che scorrono ai due lati della strada. Infine, le due aree del parco, divise dalla ferrovia Viareggio-Firenze, sono state collegate da una passerella ciclo-pedonale corredata di scale e ascensore. Il parco, integrato nel territorio urbano della città, risulta una composizione di spazi all’aperto fruibili ed una risorsa preziosa per il mantenimento dell’equilibrio tra naturale e artificiale. Il progetto è espressione della volontà di preservare le aree verdi e assicurare la piena connessione con tessuto urbano. Le aree verdi s’identificano come ‘polmone’ della città e garantiscono la salubrità dell’aria. Lo studio urbanistico e sociologico ha portato a considerare infatti il verde urbano come elemento d’importanza sempre crescente nel-
lo sviluppo delle città, come mitigatore della cementificazione, dell’isolamento individuale e del disagio derivante dalla pericolosità dalle strade, congestionate dal traffico e dalle autovetture. Le aree di espansione delle città, spesso pianificate senza tenere conto degli equilibri necessari tra tessuto edilizio e verde urbano, hanno assistito a un progressivo impoverimento dei beni relazionali, dovuto alla perdita, da parte della collettività, di quelli che in precedenza sono sempre stati luoghi comuni, come piazze e strade pedonali. Il parco si dimostra un luogo polifunzionale, adatto a soddisfare il tempo libero di chi ne fruisce e capace di calamitare le persone per la vivibilità e il contatto con la natura che offre. Per queste sue caratteristiche attrattive risulta un luogo d’incontro e di arricchimento relazionale.
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Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Luglio 2020