Decarta 29 - Primavera

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TRIMESTRALE

DI

INFORMAZIONE

GUIDA ALLE AMMINI STRATIVE 2018

NON

CONVENZIONALE

Bi sen ti na



sommario

4 - editoriale L’uomo vede ciò che è: l’importanza di una nuova visione per la Tuscia Roberto Pomi

6 - personaggi Il piccolo Armidoro

Direttore editoriale Manuel Gabrielli Photo editor Sabrina Manfredi Responsabile commerciale Dr. Enrico Lentini - 333 4820805 Contributi di Simone Carletti, Michela Di Pietro, Tiziana Mancinelli, Sara Morelli, Donatella De Luca, Daniela Stampatori Immagine di copertina Antonella Salucci Design Massimo Giacci Editore Onda srls Via Monti Cimini, 35 - 01100 VITERBO Tel. 340 7795232 Partita Iva 02282020565 ondacomunicazione@legalmail.it Iscrizione al ROC Pratica n. 1106307 del 12/05/2018 Stampa Union Printing SpA

I contributi, redazionali o fotografici, salvo diversi accordi scritti, devono intendersi a titolo gratuito.

Chiuso in tipografia il 14/05/2018 Tiratura: 30.000 copie

DECARTA PRIMAVERA 2018

A cura di Daniela Stampatori

27 I borghi

8 - verde L’Orto Botanico tra innovazione e tradizione

28 Ville e giardini

10 - tendenze Canapamania

Direttore responsabile Roberto Pomi

itinerari

Enrico Lentini

Sara Morelli

DECARTA Trimestrale di informazione non convenzionale Numero 29 – Primavera 2018 Distribuzione gratuita

24 - viterbo Mappa del centro storico

Manuel Gabrielli

12 - sport Passione e impegno sui pattini a rotelle MIchela Di Pietro

14 - musica Gli inventori del Tufo Rock bisentina 16 “Ecco la Bisentina che stiamo sognando” Roberto Pomi

18 Quei restauri all’isola gomito a gomito con il principe del Drago Roberto Pomi

19 Un’isola in divenire Tiziana Mancinelli

20 La prima storica guida Roberto Pomi

29 Escursioni 30 Mappa della provincia 32 - opinioni Per rilanciare Viterbo è necessario riportare la vita nel centro storico Roberto Pomi

amministrative 34 Un voto nel segno della continuità? Simone Carletti

36 Cosa rimane di cinque anni di Leonardo Michelini Simone Carletti

40 - politica Un’intera generazione sta bussando alla porta, ecco cosa ha in mente Roberto Pomi

43 - civita cinema Incontro con il funambolo Roberto Pomi

44 - persone Ruote rugginose in città

21 - turismo La “pazza” idea di un ticket turistico unico per Viterbo

Manuel Gabrielli

Roberto Pomi

Donatella - San Faustino Viaggi

22 - città Gran Caffè Schernardi, tradizione e modernità nel salotto buono di Viterbo

46 - persone Il “roncionese” che ha aperto un ristorante a Manhattan

MIchela Di Pietro

Roberto Pomi

45 - viaggi Vacanze estive 2018

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primavera

editoriale

L’uomo vede ciò che è: l’importanza di una nuova visione per la Tuscia Storie, volti, opinioni per cambiare il mondo intorno a noi. Roberto Pomi

“L’uomo non vede ciò che vede, vede ciò che è”. Con questa frase di Paul Klee vogliamo aprire questo numero di Decarta – La Fune. Sfogliandolo vi sarà più chiaro il perché. Leggendo le storie e i servizi che contiene, forse, avrete capito. Numero dedicato alla “primavera viterbese”. Concetto poliedrico, o almeno così ci pare.

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a primavera non è altro che la rinascita. E di primavera come rinascita abbiamo voluto raccontare. L’intervista al funambolo Andrea Loreni, che il 19 giugno attraverserà sospeso nel vuoto piazza Cavour a Bagnoregio, ci fa sentire a casa. Noi che di funamboli e funi qualcosa abbiamo imparato a capire. Parlando con lui ci siamo trovati allo specchio e si è rafforzata la convinzione di essere su una buona strada, su una buona fune sospesa nel vuoto. E questo numero vuole portarci tutti i lettori, mettendogli davanti agli occhi diverse storie di funamboli. Così

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abbiamo contattato Ludovica Delfino, sangue pianoscaranese (quello forte del non dimenticabile commendatore Alberto Ciorba) che tracciando segni con i suoi pattini ha portato a casa un oro e un bronzo ai campionati europei. Scomodato anche Giovanni Bartocci, da Ronciglione a New York City. Tanti lo ricorderanno nei panni di barman nel noto locale Da Lucio a San Pellegrino, poi Londra e infine l’apertura di un ristorante a Manhattan. Si chiama Via della Pace e potete trovare seduti ai tavoli personaggi del calibro di Woody Allen.

sto territorio dalle mille potenzialità, che è la Tuscia, parla della sfiga che abbiamo dentro. E su quella ognuno può intervenire, agire, correggere, andare oltre. E qui ritorna il funambolo Andrea Loreni, quello che ci insegna che “siamo molto di più di quello che pensiamo di essere”. L’invito che lanciamo con questo numero è davvero rivolto a tutti, o comunque a tutti quelli che hanno orecchie per intendere. L’invito a mettersi in gioco, a rischiare, come rischia chi attraversa il vuoto, anche a 90 metri di altezza, su una corda tesa.

Siamo andati a trovare Simone Ceccarelli, ragazzo esemplare. Titolare di Ruote Rugginose, una realtà d’eccellenza, per gli appassionati del settore, made in Viterbo.

ome rischiano Lucio e Luca Rovati, che abbiamo avuto modo di contattare per un’intervista straordinaria sul futuro dell’Isola Bisentina. Uomini di grande peso che hanno deciso di investire nel Viterbese e quindi lanciare, a loro modo, un segnale.

Torniamo alla frase di Klee e proviamo a declinarla: l’idea sfigata di que-

La Primavera: quando si pensa a questa stagione viene facilmente in

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mente il dipinto del Botticelli. Volendo far girare un po’ i pistoni del cervello sarà facile arrivare all’altra famosa opera del maestro: la Venere. Due dipinti che incarnano il messaggio politico dei Medici, una famiglia che ha rischiato e ha lasciato un segno indelebile nel destino di una città esemplare come Firenze. Quei due quadri sono il testamento politico dei Medici che, segnando la strada, indicano la fune su cui camminare. La fune della rinascita e la fune della bellezza. Ragionevolmente anche la Tuscia può farlo, se avesse una classe politica in grado di comprendere prima e indicare poi, a tutti, la rotta. Serve una grande consapevolezza, la capacità di vedere qualcosa che ancora non c’è o comunque essere portatori di una nuova visione. E qui ritorna Klee: “l’uomo non vede ciò che vede, vede ciò che è”. ensiamo a Francesco Bigiotti, sindaco di Bagnoregio. Lui non ha visto Civita come sempre era stata vista, l’ha vista con gli occhi dell’entusiasmo. L’ha vista con la fame di un amministratore che vuole far crescere il proprio territorio. Ha tracciato una via nuova, dove nessuno ne vedeva una. Un po’ come quando il funambolo Loreni ci racconta che è possibile camminare dove nessuno camminerebbe, a decine di metri dal suolo. Eppure lì si trova la libertà, il coraggio, la forza che ognuno di noi ha dentro. Che è la forza

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di Ludovica Delfino, la forza di Giovanni Bartocci, dei fratelli Rovati, dell’imprenditore che ha riaperto Schenardi. Uno spazio importante l’abbiamo riservato alle elezioni comunali che attendono Viterbo per il 10 giugno, con un ballottaggio scontato quindici giorni dopo. La speranza è che i viterbesi riescano a comprendere e premiare chi ha le qualità per amministrare, per mediare tra le parti, chi ha visione e riuscirà a indicare la strada. Al tempo stesso il grande augurio che facciamo a Viterbo è che la città riesca a disarcionare chi non merita: gli arroganti, gli incompetenti, i figli della politica di clientela. Tutti quelli insomma sterili dal punto di vista dell’operatività e a cui interessa solo una cosa: la vanagloria del potere e la boria del comando. Fiutateli, stanateli e lasciateli a casa. Con dolcezza, ma lasciateli a casa. Perché il voto possa rappresentare una visione di città e premiare chi ha interesse e intenzione di pensare ai viterbesi. A proposito di politica vi proponiamo un’intervista a giovani che nella politica hanno visto e vedono uno strumento d’intervento sui destini di questo territorio. Non perdetela perché potrete trovare delle visioni interessanti e su cui vale la pena fermarsi un momento. Perché di rinascita e di lungimiranza c’è bisogno. Perché è il momento di seminare, smuovere la terra sotto questo territorio.

Usare come fertilizzante quello che c’è stato ma che è da seppellire e andare avanti. C’è bisogno di credere, di cercare, di sottolineare, di tenere accesa la luce. Di mettere in un lungo cono d’ombra chi non merita, facendo brillare portatori di nuovi e più sani interessi. L’immaginario collettivo va ricolonizzato, ridefinito. Va messa al centro la bellezza, come bene fa la brava Daniela Stampatori in un pezzo dove ci racconta casa nostra. Quando l’ho letto ho preso la macchina e sono andato a rivedere quei luoghi. Li ho visti nuovi, diversi. Eppure sono lì da quando ero nato. A riprova che Klee dice qualcosa di profondamente vero.

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ueste parole che avete appena letto e le storie all’interno del presente numero indisporranno sicuramente qualcuno. Se lo stagno è piatto sono sempre gli stessi ad averne il controllo o, quantomeno, a potersi illudere serenamente di averlo. Quando le acque si muovono potrebbe accadere di tutto e magari le certezze vacillare. Di questo certi soloni potrebbero avere dispiacere. Anche per ciò andiamo avanti con sempre maggiore convinzione e consapevolezza. Chiudiamo con Johann Wolfang von Goethe: “Un uomo vede nel mondo ciò che egli porta nel cuore”. Badate, quindi, sempre a cosa c’è dentro di voi.

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primavera

personaggi

Il piccolo Armidoro Enrico Lentini

arrando le avventure e disavventure del “piccolo” Armidoro inauguriamo la rubrica sui personaggi viterbesi più caratteristici, raccontati da Francesco Morelli, illustre memoria storica di questa città. Di questi personaggi Almidoro Costantini, il suo vero nome, è tra i più noti. Uomo molto basso, deformato da una marcata cifosi, è vissuto nella prima metà del Novecento ma è ancora vivissimo nei ricordi di Morelli, che ce lo racconta a partire da quando ancora bambino, negli anni ’30 e ’40, gli andava a toccare la “gobba” con i suoi amici e si sentiva rispondere “mi prendete in giro perché ho le membra infelici?”. Francesco, però, chiarisce subito come si trattasse di una persona degnissima che “non chiedeva mai la carità” ma anzi grande lavoratore. Era infatti specializzato nella fabbricazione di lampioncini colorati per le processioni, aquiloni, casette per il presepe e soprattutto girandole (gioco all’epoca molto in voga tra i bambini) che andava a vendere la domenica fuori della chiesa di S. Sisto, ad una cifra variabile tra i 4 e i 6 soldi, gridando “bambini piangete così la mamma vi compra una girandola!”.

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“Era amato da tutti i concittadini ma in particolar modo dal Sor Checco Marcucci”, un possidente terriero molto facoltoso, “quasi un Marchese del Grillo” che amava fare scherzi ai suoi amici, ad Armidoro specialmente, ricompensandoli poi lautamente. “Tra questi ne è rimasto famoso uno, quando Marcucci fece costruire un nuovo bacino di irrigazione nel suo podere e invitò per l’inaugurazione: Armidoro, un certo Parri detto dai viterbesi “spilungone” per la sua altezza e il Sor Battista Saveri; alle tre vittime della burla fece trovare una ta-

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vola generosamente imbandita all’interno della vasca vuota, dove, vista la loro difficoltà di reperire pasti così succulenti, i tre si misero subito a mangiare. Alla fine del pranzo il padrone di casa fece ritirare la scala che immetteva nella vasca e fece aprire l’acqua dal contadino, così che questa cominciasse a riempirsi”. Armidoro, il più basso, strillava: «Sor Checco correte che qui moriamo affogati» e Parri gli rispondeva: «tranquillo che prima che l’acqua arrivi a noi tu sei già affogato». “A quel punto Armidoro, disperato, cercò di salire sulle spalle di Parri, nel frattempo il Sor Marcucci, al culmine del divertimento, stava in un angolo senza farsi vedere, poi quando l’acqua stava per sommergere i tre malcapitati venne allo scoperto e disse: «guarda questo contadino, ha aperto l’alveo senza dirmi niente!» e fece mettere una scala per trarre in salvo i tre”. “Un’altra volta, durante la vendemmia, lo stesso gentiluomo burlone invitò l’amico a pranzo nella sua casa alla Palanzana, davanti alle sette cannelle, dove, finito il pasto, gli diede un canestro dicendogli di raccogliere quanti grappoli d’uva volesse nella strada di ritorno lungo il viale della villa. Armidoro, felice, con il cesto pieno di frutta arrivò alla fine del vialetto e trovò due carabinieri (d’accordo con il Marcucci) che gli comunicarono di aver ricevuto l’ordine di arrestare chiunque avesse raccolto in poderi altrui. Il poveretto si difese dicendo di aver avuto il permesso dal proprietario. Quando i militari stavano per mettergli le manette, Armidoro chiese di raggiungere Marcucci per chiarire la situazione, il quale esclamò: «non lo conosco, in galera! In galera! È un ladro!». Essendosi reso conto di

aver portato Armidoro alle lacrime, il sig. Marcucci si fece una risata e lo ricompensò generosamente come suo solito”. rancesco ci racconta poi di come Armidoro avesse quasi una seconda esistenza nel pomeriggio. Vestito di tutto punto, con completo e cravatta, si intratteneva da Schenardi con gli amici “i benestanti della città: Carletti, Micara e Marcucci, il quale, probabilmente, era il misterioso personaggio che gli lasciava il caffè pagato, uno per sera. In una delle sere trascorse da Schenardi, mentre Armidoro si stava vantando di essere un gran fascista, di aver fatto la Marcia su Roma e agitava un frustino di cuoio che portava sempre con sé, dall’altra parte della strada, di fronte al cinema Nazionale, c’era un uomo molto alto e robusto detto per questo “Righettone”. Gli amici buontemponi sfidarono di nuovo Armidoro, questa volta ad andare da quel gigante, a loro detta un pericoloso comunista, a dargli due scudisciate con il suo frustino. Lui armatosi di coraggio riuscì a colpire un paio di volte l’uomo sul sedere, non potendo arrivare più in alto. Fortunatamente Righettone girandosi diede uno sguardo compassionevole ad Armidoro e non reagì. La vicenda ebbe però un seguito, infatti Righettone sapeva che Armidoro aveva ricevuto l’incarico, retribuito non si sa da chi, di accendere un lume ad olio all’imbocco del ponte Tremoli, dove ancora oggi si trova l’edicola del SS. Salvatore, lo aspettò, lo prese per i piedi mettendolo penzoloni fuori dal ponte e minacciando di gettarlo di sotto! Vedendosi spacciato, Armidoro, si difese dicendo: “non dirò più male dei comunisti, non sono più fascista!”. Righettone si impietosì e lo trasse in salvo”.

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primavera

verde

L’Orto Botanico tra innovazione e tradizione

Sara Morelli a primavera marzolina è per natura “arlecchinesca”, con i primi ritagli colorati dell’abito e la maschera nostalgica delle feste invernali, indossati con tipica irrequietezza. Sebbene negli ultimi anni quella nostalgia si sia fatta sentire più a lungo, la “bella stagione” è ufficialmente iniziata e con essa il desiderio di lasciarsi addolcire dal fascino della natura, anche a poca distanza dalle mura cittadine. A Viterbo, l’Orto Botanico “A. Rambelli” dell’Università della Tuscia rappresenta un sito suggestivo e vivace, da conoscere e riscoprire. Il complesso, istituito nel 1985 e inaugurato nel 1991, si estende per una superficie di 6 ettari, a ovest di Viterbo, affacciandosi alla sorgente del Bullicame. Attualmente rappresenta una struttura della Azienda Agraria D/S “Nello Lupori” ed è parte della rete del Sistema Museale di Viterbo e del Sistema Museale d’Ateneo, rispettivamente volti alla valorizzazione del territorio viterbese e del patrimonio architettonico, storico, antropologico e scientifico dell’Università della Tuscia.

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Da oltre vent’anni, quindi, l’Orto Botanico svolge il fondamentale ruolo di conservazione della biodiversità, di ricerca, di educazione ambientale e di divulgazione delle conoscenze scientifiche, organizzando numerosi corsi di formazione ed eventi che vengono accolti ogni anno con entusiasmo e partecipazione. Proprio in questi mesi primaverili continuano ad essere proposte alcune tra le attività più apprezzate: il corso di “Erborando...”, interamente dedicato al riconoscimento delle piante selvatiche della Tuscia e al loro utilizzo alimentare, ideale per coloro che intendono soddisfare curiosità botaniche e far proprie nuove prospettive culinarie tradizionali e genuine; “Erbe fra le mani”, un laboratorio di erboristeria, strutturato in incontri teorici volti al riconoscimento e allo studio delle proprietà

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delle piante officinali, seguiti da attività pratiche per la loro lavorazione e la realizzazione di ricette erboristiche popolari. Inoltre, nell'ultimo week-end di maggio, si attende la nuova edizione di “Verdi e contenti”, una mostra mercato florovivaistica di piante e fiori dell’artigianato green, ideata per gli appassionati del giardinaggio.

Orto Botanico e le collezioni di piante ospitate. Le stesse azioni sono state orientate anche verso il Parco del Bagnaccio, nell’ambito di un progetto iniziato nel 2015. In quest’ultimo caso, va sottolineata l’importante opera di conservazione e reintroduzione delle orchidee, che nel Lazio crescono in modo spontaneo unicamente in questo sito.

Oltre alle diverse proposte rivolte al pubblico, l’Orto Botanico di Viterbo rappresenta una stimata istituzione per il suo legame con i luoghi più simbolici della città e del territorio della Tuscia: le aree termali. Per la sua posizione, condivide con le antiche sorgenti sulfuree il terreno prettamente calcareo, mentre dove l’acqua che defluiva dal Bullicame formava canalette e pozze, oggi sono presenti ruscelli e laghetti che ospitano ecosistemi acquatici. Ed è proprio con l’intenzione di valorizzare l’appartenenza al territorio e alle sue tradizioni, che alcuni dei progetti più impegnativi e coordinati dall’Orto si concentrano nell’area termale.

a realtà tradizionale delle sorgenti termali e quella nuova dell’Orto Botanico, costruito sulle sue fondamenta, continuano, quindi, a sostenersi e rinnovarsi a vicenda, stando al passo con i tempi e rievocandoli. Un ultimo significativo esempio, riguarda l’uso storico dell’area. Nel XIII secolo, la lavorazione del lino e della canapa avveniva presso il Piano dei Bagni, nelle cui acque, le fibre erano poste a macerazione. Allora, la produzione delle due fibre impostò l’assetto colturale delle campagne viterbesi, rivelandosi una proficua e fondamentale risorsa economica. Oggi, la canapa viene nuovamente reintrodotta nel territorio, con la sua semina presso una delle parcelle dell’Orto Botanico di Viterbo. Tale iniziativa completa il quadro di un interessante percorso di studio universitario alla ricerca di piante dai principi psicoattivi tra le numerose collezioni presenti. Ma ancora, altri originali studi sono stati condotti su differenti categorie di specie vegetali conservati presso l’Orto, dalle piante tintorie, alle piante a rischio di estinzione, dalla pubblicazione dell’Atlante dei principali pollini allergenici dell’Alto Lazio, alla stesura di un volume dedicato alla conservazione delle orchidee italiane.

el 2011, è stato attivato un piano di riqualificazione del Parco del Bullicame, progettato e realizzato dall’Orto Botanico in collaborazione con il Comune di Viterbo e la Fondazione Carivit. L’intervento era finalizzato alla tutela dell’ambiente naturale dei travertini, prezioso non solo per la ricca vegetazione xerofila (piante grasse) che lo abita, ma anche per le testimonianze storicoarchitettoniche e geo-vulcaniche di genesi che custodisce. Inoltre, il progetto ha consentito il ripristino di aree umide, attraverso la piantumazione di vegetazione palustre, per favorire la sopravvivenza delle popolazioni di rospo smeraldino, una specie di Bufo tutelata dalla Convenzione di Berna. Un lavoro di tale portata nel Piano dei Bagni mira alla conservazione e alla conoscenza della vegetazione autoctona del luogo e, sicuramente, stimola anche un certo interesse proprio per l’attiguo

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Nel suo ruolo istituzionale affrontato con passione e dedizione, l’Orto Botanico “A. Rambelli” si presenta come un sito di formazione e di incontro, tra innovazione e tradizione, ma soprattutto tra quei profumi e quegli ambienti che ci inteneriscono i pensieri. DECARTA PRIMAVERA 2018



primavera

tendenze

Canapamania Manuel Gabrielli

all’inizio di quest’anno è balzato agli onori della cronaca un fatto che prima ha visto protagonista la Svizzera e subito dopo l’Italia: la Cannabis Light. Da pochi mesi in molte città del suolo italiano, e tra queste anche Viterbo, hanno aperto negozi dove vengono commercializzati numerosi prodotti a base di canapa e, cosa veramente mai vista prima, infiorescenze di cannabis. Ci siamo fatti spiegare questo nuovo fenomeno da Daniele Sciarra, titolare di Mondo Canapa, negozio specializzato aperto da poche settimane in Via Tommaso Carletti.

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Daniele, raccontaci, cosa sta succedendo? Tutto è in gran parte frutto del movimento antiproibizionista che si sta muovendo a livello globale. Alcuni stati degli USA hanno da poco legalizzato l’uso ricreativo della cannabis, molti altri quello terapeutico e anche in Europa sta avvenendo un costante cambiamento. La situazione italiana però riguarda la coltivazione industriale di canapa, quindi non psicoattiva, da cui possono derivare molti prodotti di tipo tecnico, come materiali tessili per l’edilizia, oppure alimentare e cosmetico. Al centro di tutto la legge n. 242 del 2 dicembre 2016 riguardante la filiera agroindustriale della canapa. Con tale legge è possibile, per gli agricoltori, coltivare la varietà Cannabis Sativa L. senza autorizzazione, a patto però di conservare i cartellini della semente acquistata. Questo in quanto le sementi autorizzate sono state appositamente selezionate per garantire la nascita di piante a basso contenuto di THC, il principio psicoattivo della canapa. Quest’ultimo è fissato ad un

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massimo del 0,6% entro il quale la piantagione è legittima e oltre il quale, se rispettate tutte le norme indicate dalla legge, l’agricoltore non viene riconosciuto come responsabile. THC e CBD, cercando su internet e leggendo i cartellini dei prodotti nel tuo negozio è facile incappare in queste due sigle, di cosa si tratta? Il rapporto tra cannabis e uomo, indipendentemente dall’uso che se ne voglia fare, è strettamente legato ai fitocannabinoidi, sostanze chimiche presenti all’interno della pianta che, essendo molto simili agli endocannabinoidi prodotti dal nostro corpo autonomamente, hanno la capacità di interagire con i recettori cannabinoidi dei nostri neuroni. Di tutti i fitocannabinoidi i più “famosi”, ma ce ne sono altre decine meno note e in corso di studio, sono il THC (delta-9-tetraidrocannabinolo) e CBD (cannabidiolo). Il primo è un cannabinoide spiccatamente psicoattivo, responsabile quindi degli effetti inebrianti di alcune varietà di Cannabis e in Italia sostanza controllata in quanto considerata stupefacente. Il secondo è un altro cannabinoide bioattivo, ma non psicoattivo, e attualmente non schedato. Molti dei prodotti presenti nel tuo negozio sottolineano la presenza di CBD, quali sono gli effetti di questa sostanza? Il CBD può avere effetti benefici su ansia, nausea, dolore cronico, alcune forme di epilessia, artrite reumatoide, spasticità dovuta alla sclerosi multipla e tante altre cose, tra cui addirittura l’abuso di alcol. Poi basta una breve ricerca su internet e troverete

più informazioni di quante ne possiate leggere. Si tratta di una sostanza sicura? Allo stato attuale CBD e THC sono sostanze molto studiate e, riguardo il consumo di CBD, oltre alla totale assenza di effetti psicoattivi, non sono stati riscontrati effetti avversi eclatanti. Cosa che invece non si può dire anche per una “semplice” aspirina. Tutto legale giusto? Sì tutto legale, addirittura il CBD è stato rimosso dalla WADA, l’agenzia mondiale antidoping, dalla lista delle sostanze proibite. Ma non solo, Gianpaolo Grassi, ricercatore del CREA di Rovigo, unico centro italiano autorizzato alla coltivazione della cannabis terapeutica, ha affermato (in un’intervista apparsa su La Stampa) che, secondo alcuni studi, l’aumento del consumo di cannabis light comporta l’erosione di circa un terzo del mercato in mano alle narcomafie. Ma, in conclusione, si può fumare o no? Viviamo in Italia, il paese del paradosso. Sulle confezioni di tutte le infiorescenze di cannabis light in vendita in Italia manca la destinazione d’uso e sopra c’è solo scritto “materiale per uso tecnico”, che vuol dire tutto e non vuol dire nulla. Di fatto è il cliente che decide cosa farci. Noi però vendiamo anche gocce sublinguali al CBD, liquidi per sigarette elettroniche, pasta, indumenti di canapa e cosmetici. Insomma la canapa è una pianta straordinaria, si usa tutta e non si butta niente!

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primavera

sport

Passione e impegno sui pattini a rotelle MIchela Di Pietro

udovica Delfino è una ragazza come molte altre: bellissima, solare, studia all’Università per diventare un’insegnante, esce con gli amici, va in discoteca il sabato sera. Ludovica però ha una marcia in più, una spinta che arriva dalla forza dei suoi pattini a rotelle, che l’hanno portata a diventare una campionessa a livello agonistico e che, a ottobre, la porteranno ai mondiali. Fresca di vittoria, ci ha raccontato la sua esperienza, cosa significa diventare una campionessa e, soprattutto, quanto è importante impegnarsi in qualcosa che ti aiuta a diventare grande.

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Ludovica Delfino campionessa. In questi giorni è così che sentiamo molto parlare di te. Come è invece Ludovica Delfino ragazza? Sono una ragazza semplice, solare, timida e determinata, cerco di mettere impegno e passione in tutto quello che faccio. Oltre allo sport, che occupa la maggior parte delle mie giornate allenandomi a Viterbo e Roma, frequento Scienze della formazione primaria a Roma Tre, dove studio per diventare maestra. Da quanto pratichi questo sport? Raccontaci come è iniziata la tua avventura sui pattini. Ho iniziato a pattinare da piccolina, all’età di quattro anni seguendo le mie amichette a scuola. Non ho un ricordo molto nitido del mio primo giorno sui pattini ma, senza dubbio, le prime due settimane furono un po’ deludenti… nel momento in cui si inizia a pattinare si devono prima imparare delle figure base con le ruote dei pattini praticamente ferme, per poi piano piano imparare ad andare in velocità. Però avevamo un bel gruppo di amicizie e abbiamo continuato. Beh, direi che ne è valsa la pena! Quando hai indossato i pattini per la prima volta? Cosa hai provato? Da bambina ero una fifona! Ero sempre dietro tutte le mie amichette, nelle ultime file, ma non c’è stato

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mai un giorno in cui mi sia passato per la mente di smettere. Neanche durante l’adolescenza, che è il momento più critico per tutti. Ho sempre lavorato in silenzio e a testa bassa, raccogliendo di tanto in tanto qualche piccola soddisfazione. Ma il lavoro ripaga sempre e, soprattutto negli ultimi anni, ho iniziato a raccogliere successi. Cosa vuol dire fare sport a questo livello? Dedicarsi completamente ad uno sport, qualsiasi esso sia, a livello agonistico significa sacrificio, rinunce e sudore: significa allenarsi estati intere sotto al sole, significa rinunciare talvolta anche al divertimento. Ma quando hai intorno le persone giuste, che credono in te e che ti impediscono di mollare, e quando hai la consapevolezza che nonostante il sudore e la fatica quello che guadagni alla fine di ogni allenamento è un grande sorriso e una grande soddisfazione, puoi essere assolutamente certo che quella è la tua strada. E così è stato. I successi che sono arrivati hanno fatto provare emozioni uniche a me e alle persone che mi circondano. Ma il lavoro continua sempre. Il primo grande traguardo è arrivato nel 2009 quando ho vinto il campionato italiano. Puoi raccontarci il tuo percorso e la vittoria per te più bella? Negli anni poi ho partecipato a due trofei internazionali e alla coppa Europa in Portogallo nel 2014, nella quale mi sono classificata in seconda posizione. Mi sono sempre dedicata alla disciplina individuale della Solo Dance, che continuo a praticare. Questo anno ho iniziato la specialità del Piccolo Gruppo e del Quartetto, che mi ha permesso di raggiungere questi risultati e di incontrare persone fantastiche, che si dedicano allo sport con una dedizione e un’energia pazzesca. Al campionato italiano (Conegliano Veneto 17/18 marzo) con la vittoria abbiamo guadagnato la classificazione al campionato europeo, appena svoltosi, e al campionato mondiale che si svolgerà in Francia ad ottobre.

Il campionato europeo si è svolto a Lleida in Spagna. Con il piccolo gruppo abbiamo raggiunto il 27 aprile la terza posizione, ma la gioia più grande è arrivata con il quartetto il 28 aprile. Insieme a Alessandro Spigai, pluricampione del mondo, Daniele Tessaro e Francesca Carella abbiamo lottato contro avversari di spessore, conquistando il gradino più alto del podio. Un’emozione unica e indescrivibile. Adesso non mi fermo, a luglio parteciperò al campionato italiano della Solo Dance e ad ottobre ai Mondiali. Cosa ti ha regalato raggiungere questi obiettivi e passare tanto tempo con le tue compagne di squadra? Lo sport ti regala anche grandi amicizie. Oltre a tutte le mie compagne, con le quali condivido sacrifici, adrenalina, paura, tremolio, a volte delusioni ma anche grandi sorrisi, il rapporto magico e speciale è quello che si crea con l’allenatore. Vite che si intrecciano e personalità che si influenzano e si plasmano insieme. Un allenatore conosce tutto di te, ha il magico potere di vedere qualcosa in te prima di tutti gli altri, sa di cosa hai bisogno. Si crea un legame e un’intimità pazzesca… le parole d’ordine sono condivisione e fiducia totale. E tutte le persone che ti circondano in pista diventano la tua seconda famiglia. I giovani e lo sport: puoi affidarci un tuo pensiero? Pensando ai giovani e allo sport, pensando anche alla mia esperienza, posso solo dire di non arrendersi mai, si può fare tutto basta volerlo… a piccoli passi si raggiungono grandi risultati. Bisogna sempre essere positivi, perché l’importante non è vincere ma dare sempre il meglio di se stessi e, anche quando le cose non vanno proprio come ci si aspettava, c’è sempre qualcosa di positivo da raccogliere o da imparare da ogni esperienza. Mai arrendersi se è quello che vogliamo!

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musica

Gli inventori del Tufo Rock A distanza di 4 anni sulle nostre pagine una delle prime band che abbiamo intervistato.

Ciao Maurice e ben tornato su Decarta! Cominciamo introducendo i Gorilla Pulp, per chi non li conoscesse ancora. Salve a tutti e grazie ancora per lo spazio che ci dedicate. Siamo usciti su Decarta nel 2014, in occasione del nostro EP Hell In A Can, e siete stati il primo giornale locale (e non) ad averci intervistato. Era l’edizione di Santa Rosa e devo ammettere che è stato molto dissacrante vedere l’accoppiata primate-santità nello stesso numero! Ad ogni modo continuiamo il nostro percorso e, pochi giorni fa, abbiamo festeggiato il nostro quarto compleanno al MAT di Viterbo, nostra città natale. Il nostro genere musicale è chiamato “Tufo Rock”, ed è una soluzione solfurea di Rock psichedelico anni ’70, Blues Rock e Stoner dei tempi più recenti. Le ispirazioni sono di chiara matrice Zeppeliniana e Sabbathiana, con chiari accenni al Blues degli ZZTop e il nostro tocco personale. Nasciamo come una live band in continua evoluzione e moriremo come tale, senza dubbio alcuno. Parlaci del nuovo album Heavy Lips che, se non sbaglio, è uscito sempre per la Retro Vox Records ed ha appena ricevuto una grande onorificenza da parte di Artist Vinyl Italia. Esattamente. Siamo ormai molto legati alla nostra

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etichetta parmigiana con base anche a Dublino, in Irlanda. Ci siamo conosciuti con il secondo album Peyote Queen e da lì si è instaurato un rapporto di totale fiducia e stima, tanto che abbiamo deciso di firmare con loro anche per il successivo, il già nominato Heavy Lips. Uscito ad ottobre 2017 presenta la particolarità di esser stato registrato interamente live in presa diretta con master su nastro analogico. Ci riteniamo molto fortunati ad avere un produttore che crede così tanto in noi e che ci ha dato la possibilità di registrare come si faceva negli anni ’70, in maniera totalmente vintage. L’album ha già fatto sold out della prima tiratura limitata in vinile colore viola e stiamo aspettando di festeggiare anche quella per vinili neri, appena li finiremo. Al momento ci troviamo invece a celebrare un grande riconoscimento, ossia quello di essere arrivati terzi sul podio di Artist Vinyl Italia. Per noi è una grande vittoria, visto che siamo tra i primi delle migliori copertine in vinile dell’anno, dopo essere stati selezionati tra i migliori quaranta. Ringraziamo tantissimo Andrea Cara di Inkline Design, l’artista sardo che fa ormai parte del nostro team ed ha realizzato, interamente a mano, la copertina del disco vincente.

a livello internazionale. Dai anticipatela a tutti i lettori di Decarta! Siamo estremamente emozionati e contenti di aver firmato un contratto con Playstation e Xbox per la cessione dei diritti di un nostro pezzo presente in Heavy Lips. La traccia in questione è la numero 2 del disco, In Your Waters, e sarà presente nella colonna sonora ufficiale di un videogame in uscita per fine 2018. Il nome del gioco è “Wreckfest” e sarà un autoscontro degli stessi produttori dello storico Destruction Derby dei primi anni 2000. Mai avremmo pensato di uscire su un gioco e soprattutto di questo tipo… la cosa ci fa onore e ci rende immensamente contenti. Speriamo bene! Che notizia stupenda! Non vediamo l’ora di giocarci insieme. Salutiamoci con un anticipo di qualche data prossima. Grazie per il tempo e lo spazio che ci avete dedicato. Saremo impegnati il 26 maggio con il Rock’n’Roll Summer Camp Festival a Piacenza, in un minitour in Romania a giugno e diverse date in festival locali che aspettiamo ad anticiparvi! Per restare sempre aggiornati basterà controllare i nostri social, sempre sul pezzo. Augh, TufoRock!

Voci certe ci parlano anche di una grande news

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Nel tondo, foto Š Bruno Pagnanelli

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“Ecco la Bisentina che stiamo sognando” Come i nuovi proprietari dell’isola l’hanno conosciuta, acquistata e cosa hanno in mente di realizzare per la crescita turistica del Viterbese. Roberto Pomi

anno immaginato di rimettere al centro dell’intero Viterbese un luogo unico, magico: l’Isola Bisentina. Sono impegnati a Milano in un progetto straordinario sugli Etruschi, probabilmente destinato a colonizzare l’immaginario collettivo internazionale con questo popolo enigmatico. Abbiamo contattato la Famiglia Rovati e parlato con Luca Rovati, per capire qualcosa di più su cosa sta accadendo nel cuore del lago di Bolsena e cosa arriverà nel futuro prossimo in terra di Tuscia grazie anche alla loro azione.

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Foto tratte da Antonella Salucci, Osservazioni sull’immagine di un sistema complesso. Il parco monumentale dell’isola Bisentina / Brief observations on a complex system. The monumental park on the island of Bisentina, Disegnare idee immagini, 2008, vol. 37, p. 80-90, ISSN 1123-9247.

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Come l’isola Bisentina è entrata nelle vostre vite? Ho sentito parlare dell’Isola Bisentina intorno alla metà degli anni ’90, quando conobbi la principessa Erica del Drago, all’epoca dama di compagnia della principessa Elvi Pallavicini, della cui famiglia sono buon amico. Il mio fraterno amico Sigieri Diaz della Vittoria Pallavicini mi parlava, favoleggiando, di un posto meraviglioso nel lago di Bolsena, di proprietà appunto di Donna Erica. Io sbirciavo dai finestrini degli aerei quando erano prossimi al finale sull’aeroporto di Fiumicino, per cercare di capire quale fosse la Bisentina e cosa ci fosse sopra. Finché, sul finire del 2016, l’amico Sigieri mi disse che Donna Erica aveva deciso di vendere l’Isola e che erano interessati dei compratori americani e russi. Mi chiese: “Ma perché non la compri tu, almeno rimane in famiglia!”. Francamente considerai la cosa un po’ una pazzia. Andai su internet, lessi le cose che si dicono dell’isola, vidi le foto e decisi di venire a visitarla. Non l’avessi mai fatto!

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Può raccontarci la prima volta che ci avete messo piede? Quando, cosa avete provato, quali idee avete immaginato? Quello che vidi non era una semplice meraviglia ma un sogno, un magico sogno. Il convento, la chiesa, gli oratori sparsi per l’isola, il bosco, l’uliveto, la Malta dei Papi! Pazzesco… Tutto era semplicemente pazzesco. In condizioni pietose, devo ammetterlo, ma pazzesco! Chiamai l’amico Sigieri. Gli chiesi quanto offrissero gli altri pretendenti all’acquisto. Mi consultai con Lucio e, nel giro di 30 minuti, definii le condizioni di acquisto con l’avvocato della Principessa. Che destino attende l’isola? Qual è il vostro progetto? L’isola, non mi stancherò mai di ripeterlo, è un prezioso gioiello. Per prima cosa vorrei che la mia famiglia non fosse l’unica a godere di tali bellezze. L’isola pertanto sarà senz’altro aperta al pubblico. Ancora dobbiamo stabilire le modalità attraverso cui la fruizione da parte del pubblico avverrà, ma sicuramente avverrà. Apriremo dei percorsi nei giardini e nel bosco che dalla darsena condurranno ai vari oratori per arrivare alla Malta dei Papi, passando sotto alberi che abbiamo già chiesto di classificare quali Piante Monumentali. Vorrei che fosse l’Isola degli artisti e in particolare dei musicisti. Cercheremo di fare della Bisentina una tappa delle maggiori orchestre sinfoniche che vengono a esibirsi nel nostro Paese. Immaginatevi di ascoltare delle esecuzioni musicali di alta classe con alle spalle la facciata della chiesa illuminata, con a sinistra il Getsemani (proprio così i frati Francescani che hanno risieduto sull’Isola chiamavano l’uliveto) e a destra lo sciacquio delle onde del lago, anch’essi illuminati da luci di calda tonalità. Avremmo già fatto metà dello spettacolo. Ed ancora concerti di musica jazz o contemporanea. Vorrei fosse una artist residency, dove pittori, scultori, poeti fossero di volta in volta accolti, potendo soggiornare, e alla fine lasciare un’opera sull’Isola, un po’ come avviene in certi castelli e tenute del Sud della Francia. Ci sarà un percorso subacqueo studiato con gli archeologi della Sovrintendenza e con i gruppi di appassionati subacquei della zona e dove si potranno visitare le antichità ancora sommerse. Sarà una residenza privata, dove sarà un piacere invitare amici vecchi e nuovi e assieme goderne le bellezze”. A Milano siete al lavoro su un importante iniziativa sugli Etruschi. Perché avete deciso di puntare su questo popolo enigmatico? Gli Etruschi sono la prima vera e propria civiltà italica, che così tanto ha influenzato le altre che a essa sono seguite, a cominciare da quella romana che li ha immediatamente succeduti. Era inesorabile che nel nostro viaggio alla scoperta della storia e dell’arte italiana, con particolare riferimento al suo patrimonio archeologico, rimanessimo folgorati dalla cultura etrusca. Lavorerete sullo sviluppo turistico della Tuscia anche partendo dal fascino degli Etruschi? Sicuramente metteremo in evidenza la storia della Bisentina, a partire dalla sua connessione con la storia e la cultura etrusca. Che messaggio porta con sé la famiglia Rovati nel lavoro che state immaginando nel Viterbese? Un invito al territorio e alle sue comunità a collaborare. Serve la spinta da parte di coloro che qui abitano e che sentono, giustamente, l’isola come parte della loro storia e del loro vissuto per farla rivivere. Cosa vi aspettate di trovare nel rapporto con le comunità del posto? Ci aspettiamo che le autorità locali si uniscano per supportare tutte assieme il rilancio turistico della Tuscia, agevolando gli investimenti degli operatori locali e lavorando con la Regione Lazio per inserire la Tuscia negli itinerari regionali da visitare. Ciò impone che siano accantonati i particolarismi di ciascun Comune e che si lavori per un progetto condiviso per il quale vanno ben definiti obiettivi, mezzi e percorsi di attuazione. Un ruolo guida potrebbe essere svolto ad esempio dall’Amministrazione di Bagnoregio, che ha dato prova di saper gestire i flussi turistici e il rilancio di una cittadina storica.

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Quei restauri all’isola gomito a gomito con il principe del Drago Maria Giuseppina Gimma: “Sulla Bisentina hanno lavorato grandi artisti”. Roberto Pomi

aria Giuseppina Gimma è l’architetto che dai primi anni Novanta e fino a dodici anni fa si è occupata di una serie di interventi di restauro sull’isola Bisentina. Un legame profondo con un luogo magico, nato grazie all’amicizia con il principe Giovanni del Drago. L’abbiamo incontrata.

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Isola Bisentina, come l’ha conosciuta? Tutto è iniziato quando con mio marito siamo venuti a vivere a Viterbo e dopo poco abbiamo incontrato il principe del Drago, diventatandone amici. Era la fine degli anni Ottanta. Con don Giovanni siamo stati tante volte all’isola e ci siamo occupati di alcuni interventi di restauro. Di quali interventi si è occupata? Abbiamo lavorato, con mio marito e il principe, a diversi restauri dai primi anni Ottanta e fino al 2004 circa. Poi mio marito ha continuato altri interventi anche quando la Bisentina è passata di mano alla principessa. Quindi le opere principali di restauro architettonico furono fatte in quegli anni. Poi non so cosa è accaduto, non ho più messo piede sull’isola. In che senso ha partecipato anche il principe? Don Giovanni era sempre presente ai restauri. Era un bravo restauratore anche lui. Aveva una forma-

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zione da architetto, per la quale aveva potuto frequentare negli Stati Uniti lo studio di Wright. Di cosa si è occupata in particolare? Della sistemazione della parte absidale della chiesa e di tutte le coperture sulle stanze dell’attiguo convento. Si è cercato sempre di dare la massima sicurezza alle persone che arrivavano e quindi si è lavorato in maniera tale da scongiurare pericoli, a cominciare dall’attracco. Abbiamo tenuto a questo aspetto fondamentale. La prima volta sull’isola? “Visitarla è stata un’emozione. Lì non è solo l’isola in sé ma è tutto il contorno: flora, fauna, il bagno della Duchessa, la cappella del Sangallo. Poi c’è una magia unica perché non è solo un’isola grande ma anche dove hanno lavorato i grandi. Questo significa molto. Non è la solita isola, ha tanta storia. Vista nei periodi in cui tutto è in fiore è poi qualcosa di magnifico. Un ricordo particolare? Lì è sempre stato tutto molto vivo. Ricordo un quindici agosto che eravamo all’isola poi, a un certo punto, a Capodimonte hanno iniziato a fare i fuochi. Siamo partiti dall’isola con il motoscafo e siamo andati verso i fuochi, vivendo un’esperienza unica. Chi è stato don Giovanni per il territorio?

Una persona molto presente sia a Bolsena che a Capodimonte. Il principe era amico di tutti, l’hanno conosciuto tutti. Sempre con grande eleganza, cultura e il suo modo di fare gentile. Sempre disponibile, lui è stato l’anima dell’isola. Lui dal castello di Bolsena si affacciava e guardava la sua isola e quando è passata alla sorella ha vissuto un grande dispiacere. Dal punto di vista delle bellezze storico-artistiche cosa troviamo là sopra? Tante strutture interessanti, la chiesa ma anche le cappelle. Per non parlare dei dipinti, non si tratta di cose da poco ma molto significative e importanti. Questo era il sacrario dei Farnese. Cosa pensa di tutto il sistema del lago? Le due isole del lago di Bolsena, Bisentina e Martana, indubbiamente sono piene di fascino. I paesi intorno al lago con le due isole sono ricchi di storia dell’arte, dovrebbero capirlo i Comuni. Dovrebbero essere uniti, anche nel presentarsi all’esterno, per catturare flussi turistici. Parliamo di luoghi con caratteristiche specifiche diverse e di valore. In questa zona c’è troppo e non c’è consapevolezza di averlo. Quando uno ha tanto non si rende conto dell’importanza delle cose che ha. È un grande lago. Il dottor Rovati ha fatto un’ottima scelta nell’acquistare l’isola, effettivamente merita. Vale la pena valorizzarla, promuoverla. Sono convinta che ci riuscirà.

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Un’isola in divenire Un moderno sapere per riscoprire un’antica conoscenza. Testo e foto Tiziana Mancinelli Articolo tratto da www.quintaepoca.it

n complesso progetto di recupero con tecnologie all’avanguardia riporterà l’Isola Bisentina indietro nel tempo, per restituirle il suo aspetto originario, smarrito in seguito ad anni di abbandono e degrado. Ne abbiamo parlato con l’architetto Francesco D’Asaro, incaricato dalla famiglia Rovati di dirigere il recupero di questo angolo di paradiso nel Comune di Capodimonte.

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Su quali fronti si sta procedendo per il restauro dell’Isola? Abbiamo riunito un insieme di diverse professionalità. L’aspetto prioritario è quello di mantenere l’ecosistema e restaurarlo nella sua integrità, considerando gli aspetti vegetazionali, archeologici, architettonici, con quest’ultimi che fungono da coordinamento degli altri, in un mosaico di progetti. Provvederemo anche all’adeguamento sismico in modo da mantenere queste cose straordinarie per secoli. Quali interventi sono già stati messi in atto? Abbiamo iniziato dal recupero vegetazionale, con una manutenzione ordinaria d’urgenza per evitare, a fine lavori, l’effetto desolazione che si ha quando si parte dall’interno. Abbiamo riscoperto due alberi monumento, che segnalavano anticamente la darsena prima di qualsiasi sistema di illuminazione o di identificazione dell’approdo all’isola. Ancora visibile anche la colonnina di fine Ottocento che costi-

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tuiva una delle due luci di via della darsena. Tutte queste stratificazioni inerenti i diversi aspetti della riqualificazione dell’isola si possono comprendere solo con un progetto che usa un approccio aperto e integrato, considerandola un sistema. Il progetto definisce un perimetro dell’isola che comprende anche la parte sommersa dall’acqua. Secoli fa la porzione emersa era quasi il doppio di quella attuale. Sappiamo che ci sono resti di villaggi palafitticoli e c’è una piroga. Quali tempistiche sono previste? Cerchiamo di affrontare tutti questi temi in maniera moderna. Per il recupero si stimano un paio d’anni e cifre importanti. Saranno usati mezzi all’avanguardia, sia per quello che riguarda le indagini geologiche e geotecniche, sia per l’organizzazione del cantiere, che su un’isola presenta caratteristiche e difficoltà particolari. I lavori partiranno appena avremo tutte le autorizzazioni principali della Sovrintendenza e della Regione Lazio. Lavorare sull’isola presenta aspetti logistici di particolare difficoltà? La tecnologia ha un ruolo importante. Dato che è impossibile alimentare energeticamente l’isola attraverso un cavo subacqueo, pensiamo di renderla

autonoma con una centrale di cogenerazione a biomassa che dovrà essere integrata con altre fonti. Cercheremo di far rientrare la biomassa che la Bisentina produrrà ogni anno, come le potature per esempio, nel bilancio energetico complessivo dell’isola che, a regime, si autoalimenterebbe da sola. Non abbiamo portato un solo grammo di rifiuti fuori dall’isola e anche i crolli vengono riutilizzati. Le macerie saranno impiegate per fare intonaci e i laterizi per ottenere coccio pesto, cioè finiture consone all’età e al livello delle architetture di questo luogo. Oltre il recupero architettonico, quali altri interventi sono previsti? La parte storica da restaurare è il risultato di una stratificazione che va dalla protostoria, al periodo etrusco, romano e medioevale, fino alla rinascita, iniziata a metà del ’400 con il suo apogeo di splendore intorno al ’600. Il restauro si fonda su una fortissima base archivistica, in modo da riscoprire tutto quello che c’era. Nel corso di un convegno, per esempio, è stato identificato il frate camaldolese che ha affrescato il refettorio del convento. Oggi questi affreschi sono ricoperti da una patina di biacca.

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La prima storica guida della Bisentina L'isola è buona parte della mia vita e la cosa più bella sono i suoi tramonti. Roberto Pomi aria Pace Guidotti, della serie nomen omen, è la prima guida dell’Isola Bisentina. Dopo quindici anni ci ha rimesso piede per raccontare questo posto magico ai Lions di Viterbo, ospiti della famiglia Rovati per un incontro sul futuro dell’isola, tenutosi nel mese di aprile a Montefiascone. Un’avventura la sua, iniziata grazie all’amicizia con il principe Giovanni del Drago e poi diventata la grande passione della sua vita.

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Che cosa è l’isola Bisentina secondo lei? L’isola è buona parte della mia vita. Ho lavorato lì per tanto tempo, un lavoro emozionante. Tutto è cresciuto piano piano, come accade con le grandi passioni. All’inizio abbiamo sperimentato questa cosa delle visite alla Bisentina, ne è venuto fuori un lavoro. Bello, però come un gioco. Per venti anni ho fatto la guida all’isola, dall’inizio degli anni Ottanta al 2002. La definiscono “la guida della Bisentina”. Ci spieghi questa cosa. Non sono l’unica guida ma sicuramente sono stata la prima. Sono stata io a ideare l’itinerario per farla scoprire ai visitatori, ho scelto le soste e sviluppato la ricerca storica. Ho messo insieme tutte le notizie e ho reso disponibili i miei appunti alle altre guide. Per me tutto è iniziato grazie all’amicizia con il principe Giovanni del Drago, che conosco da quando avevo cinque anni. Gli ho visto fare cose straordinarie. Il Palazzo di Bolsena e l’isola erano in rovina quando le ha prese lui. Aveva questa capacità di rendere splendenti cose semidistrutte. Poi un giorno mi disse: “Vogliamo fare le visite guidate alla Bisentina?”. Dissi di sì. Qual è la cosa che più le piace dell’isola? L’isola stessa, tutto. Una cosa in particolare forse c’è: i tramonti. È possibile vedere l’acqua cambiare a ogni secondo, nel colore. Come diceva Plinio il Vecchio le isole sembrano ora quadrate ora rotonde, è la magia dell’acqua. Parliamo di un luogo pieno di bellezza. Può il lago diventare un'area turistica forte? Certo, già lo è. Mi capita di accompagnare gruppi provenienti da posti lontanissimi: Finlandia, Norvegia… Voglio però lanciare un appello per la tutela del lago, tutti abbiamo il dovere di pensarci. Soprattutto per non rubare alle generazioni future uno spettacolo straordinario. Tutti, in primis chi opera nel turismo, dobbiamo metterci in testa che se quello di Bolsena diventa un lago di fango il danno è enorme. Non quantificabile. Cosa pensa di questo acquisto da parte della famiglia Rovati? Penso tanto bene. Saputo dell’acquisto da parte loro mi sono permessa di scrivergli una lettera, con parole di ringraziamento. Una lettera per dire che ero felice che l’avevano presa. Il loro rapporto con il nostro territorio, in realtà, inizia con l’idea di realizzare un museo etrusco a Milano. I pezzi che saranno esposti vengono da queste zone. Per i Rovati l’acquisto dell’isola è la conclusione della loro avventura etrusca. Incontrandoli ho capito che sono persone di fatti e non di sole parole. Sono molto fiduciosa.

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La “pazza” idea di un ticket turistico unico per Viterbo Incontro con Francesco Aliperti, uno degli inventori di Archeoares: “Bisogna lavorare sulle tre anime del capoluogo”. Roberto Pomi

possibile uno sviluppo turistico per la Tuscia? E il suo capoluogo può giocare un ruolo in questa partita? Sono queste domande centrali per il futuro del Viterbese, siamo andati a parlarne con Francesco Aliperti, uno dei fondatori di Archeoares. Realtà che ha dato un serio contributo alla costruzione di un servizio turistico a Viterbo.

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Cosa è oggi Archeoares? Come ci siete arrivati? Potrei raccontare che è una società fatta di persone e che tiene al centro le persone e tante belle parole da sito aziendale. Ma certe cose te le risparmio perché sono ovvietà, almeno da noi. È palese che siamo persone normali e offriamo servizi ad altre persone, che scelgono di visitare i siti dove lavoriamo, per fargli vivere una bella esperienza. Per questo abbiamo scelto il migliore personale possibile e cerchiamo di farlo lavorare e crescere nelle migliori condizioni. Contestualmente noi soci lavoriamo per diffondere i nostri servizi, cercare partner con cui costruire solide relazioni, capire dove va il mercato e cosa conviene fare per permettere a noi e ai nostri collaboratori di costruirsi una casa, una famiglia e un futuro. Ticket turistico unico, come te lo immagini per Viterbo? Raccontacelo nei dettagli, magari qualcuno ci riflette... Beh questo è un tema che mi è caro. Archeoares fa proposte a riguardo dal 2008. Abbiamo provato anche ultimamente ma è dura. Il biglietto unico sarebbero intanto i “biglietti”. Perché, se vuoi, puoi scegliere un percorso intra moenia, oppure uno veloce o uno bigiornaliero. E, infine, in prospettiva uno solo archeologico.

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Il ticket andrebbe poi completato con una convenzione con una ditta di trasporti perché se vuoi andare a Villa Lante o Ferento, San Martino o Roccalvecce devi necessariamente avere una circolare che permetta a chi risiede nel capoluogo di non riprendere la macchina. Questa navetta, poi, sarebbe bene toccasse anche i principali alberghi cittadini e le stazioni termali che sono quasi tutti fuori le mura. Inoltre, in accordo con le reti di imprese create da operatori e commercianti, si potrebbero trovare ulteriori possibilità di sviluppo: ad esempio sconti o promozioni come facevamo con la tourist card al museo. In più il biglietto potrebbe dare luogo a benefit in situazioni particolari, eventi, manifestazioni. E, contestualmente, ne informerebbe il turista dell’esistenza stessa. Una quota dell’utile derivante, poi, andrebbe dedicata alla promozione della città per rafforzare il brand “Viterbo” e provare ad aumentare il flusso turistico in centro. Se prendesse piede, il capoluogo potrebbe guardare oltre confine e trovare sponde nei monumenti principali del territorio. Ma ci stiamo spingendo troppo oltre con la fantasia. C’è già stato un tentativo in questa direzione, cosa non ha funzionato? Di tentativi ce ne sono stati e ce ne sono. Io considero quel progetto sempre aperto. Pensa che, nonostante ancora non si sia realizzato, ho continuato a premere per la realizzazione e ho aggiornato il progetto continuamente. Sono stati fatti passi in avanti importanti, tuttavia non sono poche le difficoltà: le differenti proprietà, i differenti gestori, i direttori che cambiano, le riforme del settore che vanno assorbite.

Cosa manca ai turisti che arrivano a Viterbo, in cosa è importante intervenire? Viterbo secondo me è cresciuta molto. Il riassetto di Valle Faul ha cambiato veramente il volto della città e i tanti privati che hanno aperto ristoranti e locali nella zona medievale offrono servizi importanti. Anche fuori le mura mi sembra che qualcosa si muova e un grande lavoro lo stanno facendo anche i principali partner della rete ELT (Terme Salus, Terme dei Papi e Balletti) che, insieme ad Archeoares, hanno anche investito molto nella promozione della città. Ora credo che serva continuare nella promozione della città e del territorio, anche con investimenti pubblici, e poi migliorare il decoro urbano. Strade senza buche e pulite invitano al rispetto ed ad un comportamento più civile da parte di tutti, residenti e ospiti. Che tipo di città turistica può essere Viterbo? Viterbo ha come minimo tre anime che devono dialogare tra loro. Quella che più conosco e sento mia è quella a vocazione culturale, intesa nel senso della scoperta della storia della città, dei suoi monumenti, delle sue tradizioni e feste sia religiose che laiche. Turismo classico della città d’arte potenziato dalla vicinanza con il grande bacino romano. Poi c’è la città termale e un pubblico parzialmente diverso. Infine, quello naturalistico che vuole scoprire il territorio ma che si spinge anche nella città, magari la scopre in modo differente. Stiamo cercando di lavorare su tutte e tre le tipologie di pubblico con la creazione di partenariati ad hoc. Certo la componente culturale da noi resta dominante.

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città

Gran Caffè Schernardi, tradizione e modernità nel salotto buono di Viterbo Michela Di Pietro - Foto di Manuel Gabrielli

Carissimi e Onorevoli Signori Avendo a cuore che le antiche usanze Forti restino, e salde e che di fuori Fatali non ci piovan costumanze, È stato decretato dai latori Sottoscritti, che previe le speranze Comuni, … i splendidissimi avventori Hanno a saper le nuove risultanze E difeso augurar la bonne année Noti bene s’intende per quest’anno, Avendo riportato il s’il vous plait. Rimane fermo il resto, ed ha valore Di legge senza pregiudizio e danno… In questo mondo chi non mangia muore

osì, nel Natale del 1865, un sonetto acrostico presentava alla città il Gran Caffè Schenardi. Da allora, al civico 11/13 di Corso Italia si sono avvicendati personaggi illustri, grandi nomi della cultura e della politica per “sorseggiare un caffè nel salotto buono di Viterbo”. La vita dello storico caffè viterbese è strettamente legata all’edificio dove sorge ora e segna, con tratti indelebili, la storia di Viterbo e di coloro che hanno reso celebre quel punto d’incontro. L’edificio risale al XV secolo e fu di proprietà di Girolamo da Carbognano, segretario comunale di fine Quattrocento. Dal 1493 fu Banco dei Chigi che chiuse verso la prima metà del XVI secolo. Già dai primi anni, la storia del luogo diviene complicata e il passaggio di mano in mano, una consuetudine: a metà ’500, divenne proprietario Antonio Boninsegni, già cassiere dei Chigi, che ebbe come socio Domenico Bonelli, delle cui famiglie è rimasto sulla facciata lo stemma. In alto, come un trofeo vinto sulla pelle dei rivali, troneggia la testa di un ariete avvolta da gigli e foglie di quercia come a voler simboleggiare la forza e la determinazione che Schernardi ha, negli anni, dimostrato di avere.

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La prima trasformazione in luogo conviviale e aperto al pubblico arriva solo alla fine del 1700 quando, per mano di un noto imprenditore romano, Schernardi diviene Albergo Reale restando con questa funzione fino ai primi anni dell’800, quando compare nell’elenco delle tasse sulle strade lastricate e, di nuovo, sotto il nome di un altro proprietario che appalta la gestione ad una terza persona che ne conserva la destinazione d’uso. «Nel dì 30 di marzo giunse in Viterbo il Principe di Sassonia colla moglie e figli, pernottò all’Albergo reale, ascoltò la mattina seguente la Messa al Suffragio, e partì per Roma». Scrivevano così in città per l’arrivo del Principe di Sassonia in visita a Viterbo a sottolineare il prestigio dell’albergo che diviene, da qui in poi, il rifugio di illustri coppie coronate in viaggio verso Roma. Da questo momento in poi, al comando passa Raffaele Schenardi di Napoli che donerà al luogo, per sempre, il nome che tutti oggi conosciamo. Schenardi, nell’800, diviene il luogo culturale d’eccellenza in antagonismo con un circolo che aveva sede a Palazzo Bussi. Nel 1848 si riuniva nel caffè il Circolo Popolare di Viterbo, importante polo di diffusione della cultura attraverso la lettura dei giornali e dei libri anche per tutti coloro che non sapevano leggere e scrivere. Col Governo Pontificio, il caffè fu scelto quale sede preferita dagli ufficiali della guarnigione francese e divenne il luogo di maggiore scambio di informazioni, soprattutto per le notizie provenienti da Roma. ’architetto Virginio Vespignani, lo stesso che progettò la facciata del Teatro dell’Unione, prese in mano l’appalto per l’arredo di quello che era, senza concorrenti ormai, il luogo più elegante e di moda del periodo: specchi, stoffe, complementi di arredo e cornici dorate, tutto comprato dai migliori commercianti di Parigi. E poi la prima grande novità: primo locale a Viterbo ad avere

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l’illuminazione a gas, leggere da Schernardi era sempre di più un piacere. “Fratelli Schenardi pasticceri, confettieri e liquoristi” era la definizione sui manifesti affissi per le vie della città, gli stessi manifesti che invogliavano turisti e ricchi uomini d’affari, provenienti da tutta Italia, a entrare nello storico luogo per poter mangiare o per poter dire di aver frequentato, anche solo per poco, il bar più elegante di Viterbo. Un sorta di Caffè Florian veneziano, un luogo di incontri e baci fugaci dietro le belle statue di marmo che scrutavano silenziose i commensali del locale. Al costo di cinquanta lire, per diversi anni alla fine dell’800, Schenardi prepara e serve il ricco buffet per la sera del 3 settembre, la storica giornata che culmina con il tanto atteso Trasporto della Macchina di Santa Rosa. Nessun’altro avrebbe potuto competere in una serata così importante come è quella per ogni viterbese. l Novecento arriva veloce e con esso le guerre mondiali, i cambiamenti al vertice e gli incontri politici che, tra quelle mura, decidono la vita politica viterbese. Chiuso alla fine del 1925, l’anno dopo, sventata la possibilità di acquisto da parte della Banca Regionale che proprio lì dentro voleva aprire uno sportello bancario apponendo sopra i due accessi una targa pubblicitaria lunga sei metri, fu nuovamente aperto nel 1927, anno in cui Teodolina Schenardi in Bianchini dava in gestione il caffè ai fratelli Antimo e Pietro Javarone. Arriva, nel 1938, il duce Benito Mussolini e poi il regista attore Orson Welles, che a Viterbo ha girato il film Otello, il giornalista scrittore Orio Vergani, lo scrittore Bonaventura Tecchi, nominato cittadino onorario del capoluogo nel 1964, Gustavo VI Adolfo re di Svezia con le principesse Cristina e Margaretha, Alberto Sordi e Federico Fellini per girare il film I vitelloni che consacra Viterbo città di cinema.

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Schenardi cambia volto e fisionomia, conserva poco di quello che era originariamente, si piega, senza spezzarsi mai, sotto le mani di personalità diverse che vogliono quel luogo a loro immagine e somiglianza. Le sue vicissitudini sembrano non avere mai fine. Negli anni ’70, diventa il luogo di esposizione di importanti trofei sportivi locali, il luogo di incontro di fragili associazioni culturali che lì dentro si sentono parte di un tessuto urbano che non ne riconosce l’identità, luogo di matrimoni, nascite, cerimonie religiose che fanno parte della storia di una città, di un’identità culturale che arriva fino ai giorni nostri. on decreto del Ministero dei beni culturali, del 31 dicembre 1980, il Gran Caffè Schenardi è stato dichiarato di particolare interesse storico e artistico. Il suo celebre “giardino d’inverno” è riconosciuto, a livello nazionale, come un tesoro da preservare, custodire e proteggere. Gli anni ’90 sono, storicamente, gli anni del fast food, della globalizzazione, della velocità e del poco tempo libero, ed è proprio in questi anni che il locale viene scelto per far parte dalla catena mondiale McDonald’s. La grande azienda ha conservato l’antica denominazione e l’esercizio di caffè, pur non rientrando nella politica commerciale della multinazionale. Gli anni 2000 sono un avvicendarsi di nuovi proprietari: nel 2004 il gruppo Segafredo prova a rilevare il locale lasciando la gestione all’imprenditore locale Primo Panaccia che resisterà fino al 2010 quando comparirà un’altra società pronta a risollevare le sorti dello sfortunato caffè viterbese. Nel 2017 si abbassano ancora una volta le saracinesche. Sembra finita un’epoca, la stessa che voleva resistere nonostante i tempi moderni, ma che sembra si debba arrendere. E invece no. A marzo 2018, quelle saracinesche tornano ad alzarsi e a far entrare luce nelle belle sale decorate del Caffè Schenardi. Gli arredi cambiano, si rinnovano. Dopo anni passati sotto la polvere, i colori e gli stucchi riprendono vita per mano di un imprenditore romano che porta la sua scommessa a Viterbo e riapre i battenti ridonando alla città un pezzo della sua storia.

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“Vorrei che Schenardi tornasse ad essere quello che era in passato ovvero il ‘salotto buono’ della città di Viterbo, dove avvengono eventi di vario tipo, con l’obiettivo di mantenere sempre alta l’attenzione, sia sul locale che sul centro storico”, queste le parole di Urbano Salvatori che gestisce ora il locale. Modernità, tradizione, apericene, pranzi veloci, appuntamenti culturali. Tutto può coesistere all’interno del Gran Caffè Schenardi. Lo sguardo e lo stupore dei turisti che affollano la città in questo ultimo periodo ne sono la conferma.

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centro storico

FONTANE Piazza della Rocca Piazza San Faustino Piazza dei Caduti Piazza delle Erbe Cortile di Palazzo dei Priori Piazza del Gesù Piazza della Morte Fontana del Piano Fontana Grande Piazza Dante Piazza della Crocetta

MUSEI Museo Nazionale Etrusco Museo Civico Colle del Duomo Museo della Ceramica Sodalizio Facchini di S. Rosa Casa di S. Rosa

PORTE Porta Fiorentina Porta Faul Porta del Carmine Porta San Pietro Porta Romana Porta della Verità Porta San Marco Porta Murata

TEATRI Teatro Unione Teatro Caffeina (S. Leonardo)

CHIESE San Francesco Santa Rosa San Marco Santa Maria della Verità Santa Maria del Suffragio San Giovanni in Zoccoli Sant’Angelo in Spatha San Silvestro Santa Maria Nuova San Lorenzo (Duomo) Sant’Andrea San Sisto Santissima Trinità

PALAZZI STORICI Palazzo dei Priori Palazzo Chigi Palazzo Farnese Palazzo Papale Palazzo Gatti Palazzo degli Alessandri Palazzo Mazzatosta Palazzo Poscia Palazzo Santoro Palazzo Pamphili

La lista che segue è parziale, intesa a segnalare i principali luoghi storici e culturali di prevalente interesse turistico.

LEGENDA

viterbo DECARTA PRIMAVERA 2018



La Tuscia è un angolo di paradiso dove il turismo è ancora sostenibile, non ci sono lunghe file per entrare nei musei o nei monumenti e nei ristoranti si possono ancora gustare piatti dai mille sapori della tradizione senza spendere una fortuna. Qui tutto è autentico, vero, genuino ed è ancora godibile con tranquillità e lentezza. Nella bella stagione ogni territorio dà il meglio di sé, ma per viverlo appieno e rendere il vostro soggiorno ancora più piacevole, potete seguire i miei consigli da guida turistica.

foto © Massimo Giacci

La primavera quest’anno si è fatta attendere e desiderare, ma alla fine eccola qua con la sua esplosione di colori e profumi, i borghi si rianimano e le città tornano a popolarsi di visitatori.


itinerari

i borghi

Tutte le bellezze della Tuscia in primavera Una guida per turisti e residenti. Daniela Stampatori

Civita

iterbo è una tappa imprescindibile per chi desidera venire a scoprire la Tuscia per la prima volta. La posizione geografica è strategica per raggiungere tutti i siti più importanti del territorio: dalla Maremma al paesaggio della campagna romana, dai confini con l’Umbria fino alla costa tirrenica, Viterbo è al centro di un territorio che racchiude secoli di storia e gioielli inaspettati. È il cuore dell’antica Etruria. Qui troverete un’ampia offerta di strutture ricettive dove pernottare: non solo alberghi, ma anche b&b e case vacanza a portata di tutte le tasche e per ogni esigenza. Molti di questi si sono consorziati in una rete chiamata Stay in Tuscia, una sorta di albergo diffuso che abbraccia l’intera città. Visitare tutta Viterbo può essere un’impresa di più giorni ma, se non avete molto tempo, le tappe consigliate sono: il Polo Monumentale del Colle del Duomo, la parte più antica della città, dove sorgono la Cattedrale di San Lorenzo e il celebre Palazzo dei Papi, sede del primo e più lungo conclave della storia; il Museo Nazionale Etrusco, con reperti straordinari come la biga di Castro e le importanti ricostruzioni di abitazioni etrusche; il Museo Civico con i due capolavori di Sebastiano del Piombo, la Flagellazione e la Pietà . Se il sole splende e non avete voglia di stare al chiuso, optate per una bella passeggiata nei quartieri medievali di San Pellegrino , il più esteso d’Europa, e di Pianoscarano, meno famoso ma molto caratteristico. E poi perdetevi nel dedalo di antichi vicoli alla ricerca di scorci suggestivi e fioriti, tutti da fotografare. E a proposito di fiori, ogni anno dal 28 aprile al primo maggio, parte del centro storico è protagonista di San Pellegrino in Fiore: coloratissime installazioni floreali impreziosiscono le architetture medievali della città, uno spettacolo unico che innalza Viterbo al massimo del suo splendore.

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Anche il borgo di Vitorchiano da qualche anno DECARTA PRIMAVERA 2018

segue l’esempio viterbese e organizza, dall’1 al 3 giugno per l’edizione 2018, Peperino in Fiore: scalinate, archi, piazzette e balconi si colorano di primavera ed inebriano di profumi un piccolo centro storico medievale arroccato su un alto sperone di pietra. Poco distante, a proteggere con sguardo rassicurante questo ciuffo di case racchiuso da mura merlate, si trova un moai. Sì, proprio una di quelle statue caratteristiche dell’Isola di Pasqua, realizzato a Vitorchiano sul finire degli anni Ottanta da un gruppo di artigiani provenienti dalla celebre Rapa Nui. Sfido chiunque a resistere alla tentazione di farsi un selfie col gigante di pietra per mandarlo agli amici facendo finta di essere oltreoceano. Risplendono ancora di più a primavera tutti i borghi che si affacciano sul Lago di Bolsena. Il paese omonimo è sicuramente anche quello più conosciuto, tappa fondamentale lungo la Via Francigena, ha come poli d’attrazione principali il Castello Monaldeschi della Cervara, sede tra l’altro di un interessantissimo museo territoriale, e il Santuario di Santa Cristina, scrigno di arte e fede. A Bolsena c’è anche un’ottima offerta turistica per quanto riguarda hotel e ristoranti, se volete approfittare di un po’ di relax con affaccio sul lago, e al tramonto si assiste allo spettacolo più bello. Da Bolsena e da Capodimonte, sulla sponda opposta del lago, è possibile imbarcarsi per escursioni in battello che circumnavigano le due isole, la Martana e la Bisentina. A mio avviso tra le esperienze più entusiasmanti da fare nella Tuscia durante la bella stagione. Nel biglietto è inclusa anche la spiegazione a bordo per conoscere aspetti storici, leggendari e naturalistici del lago vulcanico più grande d’Europa. Capodimonte ha anche uno splendido borgo, dominato dalla Rocca Farnese, con affaccio mozzafiato sul lago e un’interessante presenza di ottimi ristoranti di specialità di pesce.

A dominio del lago e del territorio circostante si erge anche Montefiascone: la cupola della Concattedrale di Santa Margherita caratterizza il profilo di questo borgo al punto da renderlo il più riconoscibile tra tutti gli skyline della Tuscia. La Rocca dei Papi ci regala forse il punto panoramico più suggestivo e la visita, di recente, è stata arricchita da un nuovo servizio di audioguide che si estende anche all’interessantissimo Museo dell’Architettura di Antonio da Sangallo il Giovane. Ma Montefiascone è celebre soprattutto per il vino Est! Est!! Est!!! Nato dalla leggenda di Defuk e del suo servo Martino: diventa quindi obbligata qualche tappa alle cantine storiche per conoscere (e assaggiare!) anche gli altri vini locali, come l’Aleatico di Gradoli o la Cannaiola di Marta, altri due graziosi borghi che s’affacciano sul lago. Un discorso a parte merita l’ormai famosissima Civita di Bagnoregio , la città che muore. È divenuta in pochi anni l’attrazione principale del nostro territorio, la sua immagine inconfondibile appare sempre più spesso in tv, su giornali e riviste. È stata scelta come location cinematografica e come ambientazione per diversi spot pubblicitari (quello della celebre marca di confetture se lo ricordano tutti) ed è quindi quotidianamente presa d’assalto da una gran folla di turisti. Il consiglio che vi do è di andare possibilmente nei giorni infrasettimanali per godervi in maggiore tranquillità il fascino poetico di un posto unico al mondo. Un altro buon motivo per scegliere i giorni dal lunedì al venerdì è che il biglietto d’ingresso costa 3 euro anziché 5 come nei festivi e prefestivi. Nel prezzo dei biglietti è compreso anche l’ingresso al Museo Geologico e delle Frane, in cui si spiegano le vicende che hanno portato Civita a diventare “la città che muore”. Se volete evitare le file, meglio acquistare il biglietto on line.

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ville e giardini

orprendenti in ogni stagione, a primavera esplodono dei mille colori dei fiori. La visita ai giardini storici della Tuscia è sempre una delle esperienze più fotografate, ma dietro ad un accattivante aspetto ameno, si celano significati filosofici, celebrazioni dinastiche, idee religiose e politiche. La visita ai giardini del nostro territorio è in realtà un viaggio nella storia del Cinquecento europeo.

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Il re di questi giardini è quello di Villa Lante a Bagnaia, a circa 6 chilometri da Viterbo. Fu voluta dal cardinal Giovan Francesco de Gambara nella seconda metà del Cinquecento e appare come un tripudio di labirinti e fontane, alberi secolari e aiuole fiorite. Circondato da un bosco rigoglioso, il giardino all’italiana è simbolo di un ideale cammino di ascesa verso la purificazione spirituale, espressione del clima di Controriforma di cui il cardinal de Gambara si fa portavoce. Al polo ideologicamente opposto a Villa Lante, c’è il Sacro Bosco , più conosciuto come Parco dei Mostri di Bomarzo. Passato alla storia come un’idea bizzarra di Vicino Orsini, nasce in realtà da un complesso disegno intellettuale, uno schema dell’Universo secondo principi neoplatonici ed ermetici. Se volete districarvi nei meandri simbolici del parco e comprendere il significato delle enigmatiche sculture, è consigliata la lettura del testo di Antonio Rocca Sacro Bosco. Il giardino ermetico di Bomarzo (ed. Settecittà) oppure affidarvi alla pratica mappa disegnata da Studiovagante ad esso ispirata.

foto © Sabrina Manfredi

A mediare tra le due posizioni contrapposte di Giovan Francesco de Gambara e Vicino Orsini, c’è il progetto del cardinal Alessandro Farnese junior: il Palazzo Farnese di Caprarola celebra, infatti, le imprese che hanno reso grande la sua casata e, coi suoi affreschi, racconta le vicende di un periodo storico in cui la famiglia Farnese costituisce il perno di equilibri politici e religiosi assai precari. I giardini all’italiana del palazzo si arricchiscono di un parco monumentale dominato dalla Palazzina del Piacere, a sua volta circondata da altri giardini all’italiana (il parco è chiuso la domenica e nei festivi). Uno scrigno infinito di meraviglie!

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Le tracce degli intrecci familiari tra Farnese ed Orsini si trovano anche in altri castelli della Tuscia. Aperti al pubblico, sebbene di proprietà privata, sono il Castello Orsini di Vasanello e il Castello Ruspoli di Vignanello. Poiché entrambi ancora oggi sono utilizzati dai rispettivi proprietari come residenze o come location esclusive per eventi, è fortemente consigliabile contattare la gestione per concordare la visita, che è sempre guidata dal personale interno.

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escursioni

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a Tuscia non offre solo città, paesi e monumenti, ma anche tanti percorsi suggestivi in mezzo alla natura, tra necropoli rupestri di epoca etrusca e ruderi medievali. Non affrontateli mai da soli, ma affidatevi sempre a delle guide ambientali escursionistiche professioniste perché può essere molto rischioso avventurarsi per sentieri che non conoscete.

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Vi sono varie associazioni che propongono percorsi di diversa difficoltà, per tutte le esigenze e per tutti i gusti. Nella zona nord della provincia, per esempio, le esperte guide di Percorsi Etruschi conducono alla scoperta di luoghi in cui l’elemento storico si fonde armoniosamente con l’ambiente naturale. Come nel Parco di Vulci , dove le vestigia della ricchissima metropoli etrusca oggi sono visitabili con una passeggiata tra praterie e pascoli, fino alle rive del Fiora e al celebre lago Pellicone, set di numerosi film. Le rive del Fiora celano anche altre sorprese, come l’incredibile eremo di Poggio Conte, una piccola chiesa rupestre che conserva ancora affreschi

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medievali, interamente scavata nella parete tufacea a picco su una cascatella gorgogliante, ideale per rinfrescarsi d’estate, quando la temperatura delle acque del fiume diventa perfetta per un bagno (ovviamente con i giubbotti salvagente, sempre un occhio alla sicurezza). Ai confini con l’Umbria, si estende il Bosco del Sasseto , ribattezzato dal National Geographic “il bosco di Biancaneve”. Qui la natura ha seguito il suo corso per millenni: alberi, rocce, muschi, felci creano un panorama degno di una fiaba, attraversato da sentieri tortuosi che ci accompagnano a scoprire gli scorci più pittoreschi. Purtroppo, al momento, le visite sono state regolamentate. L’associazione Antico Presente, invece, concentra le sue escursioni in natura principalmente nella parte più a sud della provincia di Viterbo, come nella meravigliosa e ancora poco conosciuta area dell’Agro Falisco. La passeggiata sulla Via Amerina è un viaggio nella storia: il sentiero ricalca, infatti, l’antico tracciato scandito da tappe importanti, come le rovine della città romana di Falerii Novi

e l’abbazia cistercense di Santa Maria in Falleri. Il perno di questo percorso di straordinaria bellezza è il complesso del Cavo degli Zucchi, dove il basolato della strada romana è costeggiato da centinaia di antiche sepolture. Se invece volete inoltrarvi nelle forre, tra alte pareti di roccia forgiate dai vulcani, corsi d’acqua, cascatelle e intricate liane, il Parco di Marturanum è ciò che fa al caso vostro. È uno dei parchi più ricchi del Lazio e racchiude, in poco più di 1.000 ettari, tre diversi quanto incredibili ambienti: le gole del Biedano, forse la parte più selvaggia del Lazio; il Quarto, un ambiente adibito al pascolo degli animali allo stato brado; la necropoli di San Giuliano che, come Castel d’Asso e la vicina Norchia, ha guadagnato l’appellativo della “Petra d’Etruria”. Gli amanti del mistero possono farsi guidare fino alla Piramide di Bomarzo 9 , un monumentale manufatto ricavato da uno dei numerosi massi staccatisi dalla sovrastante rupe di peperino e rotolato lungo il fianco della valle. La sua funzione non è stata compresa appieno, ma ancora oggi, dall’alto di questo monolite, si respira la sacralità di un luogo circondato dal verde del bosco e dal silenzio.

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primavera

itinerari

ACQUAPENDENTE

GRADOLI

BOLSENA

CAPODIMONTE MARTA

TUSCANIA

VULCI

TARQUINIA

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CIVITA DI BAGNOREGIO

MONTEFIASCONE

BOMARZO

BAGNAIA SORIANO NEL CIMINO

VITERBO CASTEL D’ASSO

VIGNANELLO

CAPRAROLA

VETRALLA

RONCIGLIONE

FALERII NOVI

CIVITA CASTELLANA

CALCATA CAPRANICA SUTRI

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primavera

opinioni

Per rilanciare Viterbo è necessario riportare la vita nel centro storico Il direttore di Confartigianato scatta una fotografia della situazione, indicando strade virtuose da percorrere per una rinascita del capoluogo. Roberto Pomi

ndrea De Simone, classe 1974, direttore di Confartigianato Viterbo. Un osservatorio privilegiato il suo, da dove è possibile avere un quadro sulla situazione della provincia e del capoluogo in un settore strategico come quello delle piccole e medie imprese. Lo abbiamo incontrato.

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Viterbo può immaginare una sua rinascita? Sono nato e cresciuto a Viterbo, mi sono laureato all’Università della Tuscia. Ho un rapporto viscerale con la mia città. Da qualche anno guido la Confartigianato, tenendo quotidianamente il polso di tante piccole attività produttive che insistono sul capoluogo. Sì, rinascerà proprio grazie alla tenacia della classe imprenditoriale e con un’amministrazione che ami la città come fanno i suoi cittadini e suoi imprenditori, con una classe politica seria che sappia lavorare lontano dai flash dei fotografi e dai selfie. I cittadini non vogliono un sindaco e una giunta che raccolgono la plastica e puliscono il verde ma amministratori capaci. La pulizia e il decoro devono essere l’ordinarietà non l’evento straordinario. Capoluogo e provincia, che rapporti ci sono? Come bisognerebbe intervenire su questa relazione? La nostra è una provincia dai tanti volti, aree più depresse e che soffrono, alternate ad aree più dinamiche. Da quelle più vicine a Roma in termini di infrastrutture veloci, e mi riferisco alla zona di Orte e alla zona di Sutri Monterosi che hanno avuto negli ultimi anni un forte sviluppo demografico ed economico, e all’area costiera. Il fattore comune per lo sviluppo sono quindi le infrastrutture, che storicamente sono sempre state l’anello debole della Tuscia, ad iniziare dalla trasversale per Civitavecchia, non ancora completata ma ormai finalmente finanziata per intero. Uno sviluppo reale aiuterebbe

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anche Viterbo a riappropriarsi del ruolo di guida del territorio. Quanto è importante un centro storico per una città? Il centro storico è la nostra storia, e per decenni – nel caso di Viterbo – ne è stato anche il cuore economico, poi si è inceppato qualcosa. Scatti una fotografia del centro di Viterbo per farci capire le criticità… Il centro di Viterbo sembra prigioniero di un incantesimo nefasto. Oggi dentro le mura risiede meno di un terzo della popolazione viterbese rispetto agli anni ’80. Ci sono intere aree lasciate all’incuria e all’abbandono. Hanno chiuso nel contempo tante botteghe artigiane e commerciali, scuole e perfino sportelli bancari. Sopravvive in termini di attività economiche la zona da via San Lorenzo, Palazzo dei Papi e quartieri medioevali, per l’evidente appeal turistico e per le tante attività a iniziativa privata che vengono organizzate: dal recente San Pellegrino in Fiore al fitto cartellone dell’estate viterbese, da Caffeina al Tuscia Film Fest passando per Ludika e chiudendo con il Caffeina Christmas Village nel periodo invernale. Cosa è necessario fare per invertire la tendenza attuale? Rendere l’intero centro storico attraente e attrattivo. Per farlo rivivere bisogna riportarci “la vita”. Per lo stato di incuria, scarsa pulizia, scarsa fruibilità in termini di parcheggi, fasce orarie della ztl troppo rigide - che non tengono conto delle diverse necessità delle vie interessate - pochi controlli in termini di sicurezza, sfido a trovare famiglie che decidano di andare o tornare ad abitarci. I flussi turistici, anche importanti in alcuni pe-

riodi dell’anno, sono concentrati soprattutto nei fine settimana. Un’attività economica, di qualunque tipo, per stare in piedi ha bisogno di avere un giro d’affari anche nel quotidiano, quindi se non tornano a viverci le persone è difficile immaginare la sopravvivenza di molte attività. Cosa serve? Da subito via in tutto o in parte le tasse comunali per chi torna ad abitare in centro, per chi affitta immobili abitativi e commerciali. Agevolazioni in termini di contributi in conto interesse “mutui a tasso zero” (magari facendo accordi con Confidi e banche del territorio) per chi ristruttura immobili (daremmo una mano all’edilizia che non guasterebbe), e da ultimo investire in un importante piano di marketing territoriale. Cosa avete fatto con Confartigianato in questi anni e cosa avete in mente di fare? La nostra base associativa è dislocata in tutta la città, dal centro storico alle periferie fino ovviamente alla zona artigianale del Poggino. Ogni zona ha le sue necessità. Il ruolo di un’associazione come la nostra è duplice, deve essere da un lato un volano delle necessità e delle proposte delle aziende, rivendicando a favore delle stesse regole semplici e chiare, un fisco leggero (anche quello locale) e un credito orientato all’innovazione, e dall'altro lato occorre sviluppare servizi competitivi verso la piccola impresa. Che ruolo possono giocare i cittadini per la rinascita della città? I cittadini si avvicinano a un’importante competizione elettorale che cambierà il governo della città dopo un’esperienza non certo positiva. Innanzitutto devono andare a votare in massa. La politica a volte sembra far di tutto per allontanarci ma il voto resta uno straordinario strumento di democrazia.

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primavera

elezioni

Un voto nel segno della continuità? Simone Carletti

eno di 30 giorni per decidere il destino della città: se lo contendono 8 candidati a Sindaco, 18 liste e circa 600 candidati al Consiglio. Sono poche però le novità di questa campagna elettorale, almeno “sopra la scocca”, che vede in campo nomi noti della scena politica e sindacale cittadina, e sicuramente nessuna sorpresa, se l’unità del Centrodestra non vogliamo farla rientrare tra queste. Sicuramente non lo è la spaccatura del PD, anche se il fatto che abbia due candidati a sindaco è sicuramente una notizia che fa strabuzzare gli occhi. Si va dall’estrema destra alla sinistra radicale, con tre candidati puramente civici oltre al Movimento 5 Stelle; tre donne e cinque uomini. I candidati sono Giovanni Arena, Paola Celletti, Luisa Ciambella, Massimo Erbetti, Chiara Frontini, Filippo Rossi, Francesco Serra e Claudio Taglia.

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GLI SCENARI Sono stati anni difficili, che ricordano per certi versi gli ultimi dell’amministrazione di Giulio Marini. Marini qualcosa lo ha lasciato (le opere del Plus), Leonardo Michelini lo lascerà (il piano Periferie). Ora però c’è da riprogrammare il futuro e si parte dell’eredità del voto regionale e politico del 4 marzo, che ha consegnato al Centrodestra il ruolo del grande favorito. Lo scenario più plausibile sembra, dunque, quello che vede il Centrodestra accedere facilmente al ballottaggio del 24 giugno (ma con la speranza di vincere subito, per evitare rischi) insieme ad una delle altre forze principali in campo. Se infatti si parte dal 40% ottenuto dal Centrodestra alle elezioni politiche del 4 marzo, rimane il 60% da spartirsi per tutti gli altri. Un bel gruzzoletto di voti che,

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visto lo sparpaglio, potrebbe portare al secondo turno un candidato che abbia collezionato anche meno del 20% delle preferenze. Tra i papabili Luisa Ciambella (PD e Centrosinistra), Francesco Serra (l’altra metà del PD), Massimo Erbetti (Movimento 5 Stelle) e i civici Chiara Frontini e Filippo Rossi. Si accontenterebbero volentieri dell’ingresso in Consiglio comunale Claudio Taglia di Casapound e Paola Celletti di Lavoro e Beni Comuni. L’impressione è, comunque, quella che il voto sarà nel segno della continuità, a meno che l’andamento delle elezioni non sia deciso dalla spaccatura all’interno del Partito Democratico. Serra e Ciambella si divideranno i voti di un partito in crisi nera dopo le elezioni politiche dello scorso 4 marzo e rischiano di rimanere fuori dal ballottaggio lasciando spazio a qualche outsider. La forza dei “vecchi” è comunque significativa: 23 dei 32 consiglieri si ricandideranno, con larga preferenza per Giovanni Arena, sostenuto da 10 di loro (Marini, Sberna, Micci, Moltoni, Buzzi, Grancini, Ubertini, Galati, Santucci e Insogna); poi per Luisa Ciambella 7 (Minchella, Fabbrini, Scorsi, Bizzarri, Ciorba, Moricoli e Ciambella); per Serra 4 (Quintarelli, Frittelli, Cappetti e Serra); 2 per Filippo Rossi (De Alexandris e Rossi); e Chiara Frontini per sé stessa. Degli assessori uscenti si rimetteranno in gioco solo Luisa Ciambella e a suo sostegno Alvaro Ricci e Sonia Perà. I CANDIDATI Il Centrodestra e Giovanni Arena Il ruolo di “spaccaelezioni” sembra essere di Giovanni Arena leader di una coalizione che mette insieme Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e FondAzione.

Un ruolo che gli assegniamo anche se la sua candidatura è rimasta in gioco a lungo, a causa delle lunghe ed estenuanti riunioni per individuare il nome unico che facesse contenti tutti, in primis la Lega, che, per settimane, ha sostenuto che non lo avrebbe mai votato. Uno scenario che poi si è materializzato: la Lega e il suo neo senatore Umberto Fusco hanno dovuto mandare giù il boccone amaro in seguito a fitte e tese riunioni romane. Soluzione che non rende tutti felici, evidentemente, nonostante sia stato già designato un ruolo di primo ordine per la Lega con la carica di Vicesindaco pronta. Giovanni Arena, uomo di grande esperienza, nonostante queste divisioni è l’unico quasi certo di andare al ballottaggio, grazie al sostegno di tutti i partiti di Centrodestra più la lista civica di FondAzione di Gianmaria Santucci. L’obiettivo che si pone Arena è quello di vincere, ovviamente. Meglio al primo turno, anche se è difficile. Le 4 liste: Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e FondAzione. Il Centrosinistra parte 1 Luisa Ciambella. Il Centrosinistra arriva drammaticamente spaccato a questa tornata elettorale con un Partito Democratico diviso in due tronconi: da un lato Luisa Ciambella, dall’altro Francesco Serra. È difficile spiegare in poche righe cosa è successo al PD e come si possa essere arrivati a questo appuntamento senza un candidato unitario: un fatto dovuto a cinque anni di liti, minacce di dimissioni di massa, cambiamenti di fronte, litigi interni e violenti congressi che hanno reso impossibile trovare la via della coesione. La candidatura del vicesindaco è apparsa “di parte” all’altra metà del PD a causa della sua estrema vicinanza all’on. Fioroni, tanto che le grosse crepe all’interno del partito si

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sono allargate drasticamente, spaccandolo. Il PD avrà così due candidati, uno ufficiale (Luisa Ciambella) e uno no (Francesco Serra). Si parte dalle circa 2.000 preferenze di ciascuna componente prese nel Capoluogo alle scorse elezioni regionali: un dato importante per Luisa Ciambella che però è rimasta scottata rimanendo esclusa dagli eletti. Il primo obiettivo per lei è arrivare al ballottaggio (e poi si vedrà), il secondo è fare meglio di Francesco Serra. Le 3 liste: PD, Orizzonte Comune e La voce dei giovani viterbesi. Il Centrosinistra parte 2 Francesco Serra. Il Centrosinistra, come detto, arriva drammaticamente spaccato a questa tornata elettorale. Serra, che aveva più volte sostenuto di non volersi ricandidare, alla fine, pressato dalle anime che fanno capo ad Enrico Panunzi, ha scelto di farlo, a capo di due liste antagoniste al PD. Serra capitalizza così il lavoro fatto in questi anni da spina nel fianco di Michelini e della Giunta comunale. Quello strappo che tanti si attendavano ai tempi della grande crisi del Comune, è arrivato in queste settimane, anche se ora rischia di tenere fuori il Partito Democratico, anche dal ballottaggio. Serra e i suoi sono stati vicini, negli ultimi giorni prima della presentazione delle liste, ad una alleanza con Viva Viterbo e Filippo Rossi, ma alla fine correranno da soli anche perché la loro richiesta di far ritirare Rossi per imporre Serra, non ha portato i frutti sperati. Il primo obiettivo per questa forza è arrivare al ballottaggio, il secondo è fare meglio di Luisa Ciambella. Due partite difficili. Le 2 liste: Viterbo dei Cittadini e Impegno Comune Viva Viterbo e Area Civica La spaccatura del PD apre a scenari impensabili, anche per una città conservatrice come Viterbo, e così Filippo Rossi, il candidato di Viva Viterbo, si gioca la partita della vita. È in campagna elettorale da ormai un anno, da quando cioè la sua forza politica ha tolto il sostegno a Leonardo Michelini. In queste settimane ha considerato la possibilità di accogliere le due liste che sostengono Francesco Serra, ma poi la trattativa è saltata per la volontà di questi ultimi di cambiare il nome del candidato sindaco. Il fondatore di Caffeina e Viva Viterbo

si candida per la seconda volta a sindaco dopo quattro anni spesi a sostegno di Leonardo Michelini. Nel 2018 Rossi si è candidato in Regione a sostegno di Nicola Zingaretti, ottenendo un buon risultato e ha dalla sua parte la lista civica vicina al vicepresidente Massimiliano Smeriglio. In questo scenario Viva Viterbo e Area Civica puntano al ballottaggio partendo da un circa 12% ottenuto da Rossi nel 2013. Le 2 liste: Viva Viterbo e Area Civica.

Viterbo 2020 e Viterbo Cambia Era sentore comune che Chiara Frontini fosse una leader sostanzialmente sola, circondata da una squadra di pochi elementi a dispetto di quanto si sforzasse di far vedere. In realtà la fondatrice di Viterbo 2020 è riuscita a raccogliere intorno a sé una grande quantità di persone, slegate da legami ideologici e che provengono dai mondi più disparati. Ha ottenuto il consenso di qualche “dissidente” del Movimento 5 Stelle viterbese, di Alfonso Antoniozzi e di personalità riconosciute come Carlo Cozzi. Nel 2013 Chiara Frontini aveva già stupito prima candidandosi a sindaco con le liste Viterbo2020 e Rotta Comune, poi centrando l’entrata in Consiglio comunale che nessuno immaginava potesse ottenere in seguito alla fine del suo mandato di assessore nella Giunta Marini. Chiara Frontini vuole e può ottenere il ballottaggio ed ha tutte le carte in regola per centrarlo. Sembra pronta per la grande battaglia finale favorita dalla spaccatura del PD. Parte da circa il 6% dei consensi ottenuto alle scorse elezioni del 2013. Le 2 liste: Viterbo 2020 e Viterbo Cambia. Movimento 5 Stelle Il Movimento 5 Stelle locale non sembra essere riuscito a creare intorno a sé quel clima di grande attesa che hanno saputo creare negli anni Filippo Rossi e Chiara Frontini. Gli ottimi risultati ottenuti alle elezioni politiche del 4 marzo rischiano di infrangersi, ancora una volta, in un voto amministrativo molto più difficile da affrontare. La lista è pronta da tempo e il programma è chiaro. Massimo Erbetti è un commerciante che dal 2013 fa parte del gruppo bilancio e della comunicazione del Movimento 5 Stelle locale; è considerato uno degli elementi che si è impegnato di più in

questi 5 anni a sostegno del lavoro del consigliere comunale Gianluca De Dominicis, ma non è molto conosciuto in città. Per accedere al ballottaggio, primo obiettivo, i 5 Stelle devono quasi triplicare i voti del 2013 (circa il 7%) o riuscire a non dimezzare quelli ottenuti alle scorse elezioni politiche (circa il 32%). La lista: Movimento 5 Stelle. Lavoro e Beni Comuni La sindacalista Paola Celletti e la sua lista Lavoro e Beni Comuni, al contrario delle candidature di altre campagne elettorali di forze di sinistra, sembra più solida essendo costruita su una base più larga (che ha unito Rifondazione Comunista, Solidarietà Cittadina e tanti attivisti) ed essendo arrivata al termine di un lavoro costruito nei mesi passati sul territorio. Celletti è conosciuta anche per aver fatto parte del Comitato cittadino per l’acqua “Noi non ce la beviamo” con Chiara Frontini e Gianluca De Dominicis. La sindacalista dell’USB è l’unico candidato che arriva da Sinistra e può approfittare delle difficoltà del Partito Democratico per drenare voti e levarsi qualche soddisfazione. Per entrare in Consiglio comunale serve almeno il 3% dei voti per la lista. È questo l’obiettivo che si pone. La lista: Lavoro e Beni comuni. CasaPound e Viterbo in Musica CasaPound Viterbo tenta di entrare in Consiglio comunale per la prima volta. Questo sembra essere l’anno buono per la forza di estrema destra che, però, deve fare i conti con un risultato poco soddisfacente ottenuto nel recente passato alle elezioni politiche e regionali, dove aveva lo stesso obiettivo: entrare nel Palazzo. A Viterbo però i risultati sono stati migliori rispetto a quelli registrati altrove. Il cavallo di battaglia per CasaPound è Claudio Taglia che ha grande esperienza essendo stato anche assessore in epoca Marini ed essendosi candidato più volte nella sua vita (l’ultima volta con CasaPound al Senato e alle Regionali del 2018). Per entrare in Consiglio comunale occorrerà superare la soglia del 3% e poi sperare nei complicati calcoli del metodo d’Hondt. Si parte dal 3,9% dello scorso 4 marzo. Le 2 liste: CasaPound Italia e Viterbo in Musica.

Di programmi se ne riparlerà Nel momento in cui si scrive (14 maggio) di temi se ne è parlato poco. L’attenzione mediatica è stata letteralmente drenata dalle spaccature del Partito Democratico e del Centrodestra. Le altre forze hanno provato a puntare sulle argomentazioni, ma con scarsa presa a livello mediatico. L’impressione è che il voto si giochi più sulla fiducia che i cittadini hanno sui singoli candidati, che sulle loro idee per Viterbo. Di cose da fare ce ne sarebbero tante, ma l’importante è che chi vinca abbia la forza di farle. L’impressione è che la spaccatura del Partito Democratico possa aprire a degli scenari nuovi: alcune forze “di protesta” hanno una occasione storica, ma rischiano di mangiarsi voti a vicenda. Così Chiara Frontini, Filippo Rossi e Massimo Erbetti (come è successo nel 2013 quando la spaccatura del Centrodestra non ha aperto ad alcun rinnovamento concreto) potrebbero rimanere vittime del fatto che non siano riusciti a fare un percorso comune, riconsegnando la città alla solita dicotomia centrodestra-centrosinistra.

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Cosa rimane di cinque anni di Leonardo Michelini Simone Carletti

orreva l’anno 2013, Obama era il presidente degli Stati Uniti d’America, Giorgio Napolitano diventava il primo Presidente della Repubblica in Italia ad ottenere un secondo mandato, Enrico Letta era da poco diventato il presidente del Consiglio e Papa Benedetto XVI aveva sconvolto la Chiesa con le sue dimissioni da Pontefice che avevano poi aperto la porta di San Pietro a Francesco Bergoglio. Silvio Berlusconi veniva condannato in via definitiva per frode fiscale e interdetto ai pubblici uffici e scomparivano Lou Reed, Enzo Jannacci, Little Tony, Franco Califano, Margherita Hack, Giulio Andreotti, Margareth Thatcher, Hugo Chavez e Nelson Mandela.

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È in questo contesto che si inquadrava la campagna elettorale del 2013 per l’elezione del sindaco di Viterbo, dopo i cinque anni tumultuosi di Giulio Marini a Palazzo dei Priori, e che si vivevano i primi mesi dell’amministrazione Michelini. Una amministrazione che si preannunciava come quella del cambiamento e che si contrapponeva alla proposta del sindaco uscente, che perse il ballottaggio con il motto “per cambiare, non cambiare”. Se in questi cinque anni sembra essere cambiato tutto, non sembra così nella Città dei Papi. I protagonisti della vita politica locale sembrano sempre gli stessi,ma non sembra essersi rinnovato più di tanto nemmeno nella classe dirigente cittadina, in tutti i settori: sindacati, associazioni di categoria, festival, realtà culturali. La città in cinque anni sembra essere rimasta più o meno la stessa. Quel che è cambiata decisamente è la percezione della cosa pubblica che, complice la nascita di gruppi civici e del boom dei social network, è diventata oggetto di attenzioni quotidiane da parte dei cittadini. Un fatto nuovo che ha contraddistinto gli ultimi mesi del governo di Giulio Marini e che ha travolto Leonardo Michelini, trovatosi completamente impreparato ad affrontare una sfida comunicativa di tale portata. In questo quadro si sono aperti i cinque anni di governo del candidato di Oltre Le Mura a Palazzo dei Priori, il primo sindaco di centrosinistra eletto direttamente a Viterbo, anche grazie a molti candidati fuoriusciti dal centrodestra che gli hanno dato forza e voti. Cinque anni difficili contraddistinti dalle continue crisi di maggioranza, dai logoramenti interni, dai rimpasti e dalle liti tra le componenti del Partito Democratico, tra Peppe Fioroni ed Enrico Panunzi, e tra Partito Democratico e alleati. Cinque anni che comunque, seppure nelle grandi difficoltà, hanno lasciato qualcosa a Viterbo. Abbiamo quindi ripercorso le cronache di questi 1.800 giorni e abbiamo scelto 5 cose da dimenticare e 5 da ricordare. Perché sbagliando si impara, si dice. Ma anche perché vivendo sempre nell’istantaneismo, a volte è necessario fermarsi e fare il punto della situazione analizzando con più distacco ciò che è successo. Michelini in questo 2018 non si ricandida e chiude così il suo ciclo di amministratore di Viterbo. Ecco cosa ricorderemo di lui, più o meno volentieri.

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Cinque cose da ricordare

uando si analizza l’attività di chi fa cose, è sempre più facile criticare che apprezzare. È sempre più facile dire “si poteva fare meglio”, che accogliere positivamente quanto fatto. Abbiamo fatto questo sforzo, ed ecco cosa proveremo a portarci dietro di questi anni.

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Il Teatro dell’Unione Dopo la lunghissima chiusura per lavori, la difficile gestione del processo di assegnazione “definitiva” della struttura ancora in sospeso, la paura di aver pregiudicato l’abitudine al Teatro di molti viterbesi, ha trovato spazio l’entusiasmo per una gestione, quella di ATCL, che ha riportato in massa i viterbesi in platea. La riapertura del Teatro avvenuta anche grazie agli sforzi dell’amministrazione precedente e grazie al contributo fondamentale della Regione Lazio, non è stata ottenuta senza polemiche e senza criticità. È però un punto fondamentale per costruire la Viterbo del domani e gli anni di dibattiti in tema culturale lasciano lo spiraglio per tenere questo tema al centro della vicenda politica anche nei prossimi mesi. Santa Rosa Negli anni di Michelini il trasporto della Macchina di Santa Rosa sembra aver fatto un salto di qualità. Anche in questo caso, l’ex dirigente della Coldiretti ha saputo capitalizzare al meglio il lavoro fatto da chi lo ha preceduto, aggiungendo un plus non indifferente valorizzando la collaborazione con il Sodalizio, nonostante qualche momento di difficoltà. È proprio nel 2013 che si conclude il percorso per il titolo Unesco, che ha dato il là alla volontà di ridisegnare i tratti dei festeggiamenti del 3 settem-

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bre, che è riuscito ad aggiungere qualcosa al proprio fascino con l’allungamento del percorso, portato a compimento in più di una occasione, ma non solo. Dal titolo Unesco si è arrivati infatti anche all’esposizione della Macchina di Santa Rosa all’Expo di Milano. E si è arrivati anche alla nuova Macchina, Gloria, che ha entusiasmato i viterbesi. Riuscire a progettarne una nuova non è mai un fatto banale. Farlo portando così tante novità, non è sicuramente da poco. Poggino e piano periferie Non è di certo uno di quei risultati che possono già iscriversi nell’elenco delle cose fatte. Ma così come il Piano Plus fu un vanto dell’amministrazione Marini, anche se portato a compimento dall’amministrazione Michelini, così sarà (speriamo) per il Piano Periferie. Nella città dei Papi il progetto, di oltre 20 milioni di euro (17 dal Governo e 5 di cofinanziamento), riguarda in particolare il Poggino e Santa Barbara. Previsti, tra le altre cose, una pista ciclabile, la riqualificazione di parcheggi e strade, il trasferimento di Francigena da San Biele, il collegamento tra Poggino ed ex Fiera per alleggerire il traffico sulla Cassia Nord. Unioni civili e testamento biologico Il coraggio è una di quelle caratteristiche che difficilmente potremmo associare all’amministrazione Michelini, che è sembrata spesso incapace di gettare il cuore oltre l’ostacolo e di prendere delle decisioni. Ha tentennato parecchio risultando spesso poco concreta. Non fu così per la questione delle unioni civili. Nonostante una maggioranza ad ampio

spettro popolare e nonostante la dura battaglia portata avanti dall’associazionismo cattolico e dall’opposizione di gran parte della destra cittadina, Michelini e i suoi (tra tutti Melissa Mongiardo che si è fatta portabandiera della battaglia) sono riusciti a far approvare il Registro per le unioni civili. Stessa cosa per il testamento biologico, approvato da una parte della maggioranza, sempre su proposta di Melissa Mongiardo, con il voto favorevole anche di quasi tutto il centrodestra e del Movimento 5 Stelle. Decisioni che portano Viterbo vicina alle città più avanzate in Italia in tema di diritti civili. La capacità (di pochi) di confrontarsi L’amministrazione comunale di Michelini non ha certo brillato per la capacità di dialogare con la società civile viterbese. Si tratta forse della peggiore pecca strategica da parte del centrosinistra, rimasto sempre troppo impegnato a litigare e riposizionarsi al proprio interno per concentrarsi sul costruire una struttura più efficace. In questo grigiore in cui sono finiti tutti gli assessori e il Sindaco stesso, spiccano i tentativi di Raffaella Saraconi e Sonia Perà che hanno lavorato, in maniera diversa, per il rilancio del Centro storico. Di risultati ancora non se ne possono registrare in maniera significativa, ma un tentativo di confronto con le realtà cittadine c’è stato. Un atteggiamento condiviso anche dalla Consulta del volontariato, che ha portato Viterbo ad un passo dal titolo di Capitale europea del volontariato. È da qui che bisogna ripartire per dare continuità, anche nei prossimi anni, a ciò che di buono porta sempre il coinvolgimento consapevole della cittadinanza.

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Cinque cose da dimenticare

cco invece cosa vorremmo che non si ripetesse. In questi cinque anni di errori se ne sono fatti tanti, è inutile negarlo. L’amministrazione Michelini è una di quelle più travagliate che si possano ricordare.

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Il Festival delle Luci Il primo grande evento della giunta Michelini, fortemente voluto da Viva Viterbo, è il Festival delle Luci. Una manifestazione che doveva ricordare quelle storiche di Lione ed Amsterdam, finendo invece per ricordare la meno organizzata delle sagre di paese. Un festival iniziato male, tra mille proteste; realizzato male, con una proposta di basso livello; finito ancora peggio, con l’indagine della Guardia di Finanza e gli avvisi di garanzia per abuso di ufficio a tre dipendenti degli uffici comunali. Questa manifestazione è un po’ l’emblema delle politiche culturali cittadine, confuse con quelle per il turismo, realizzate senza alcuna capacità di confronto con gli operatori del territorio. Una esperienza, nei metodi e nella realizzazione, sicuramente da non ripetere. Le bocciature per la Capitale della cultura Se il Festival delle Luci è il simbolo dell’incapacità di dialogare e realizzare qualcosa di incisivo, la partecipazione ai bandi per la Capitale della cultura è da considerarsi il simbolo dell’autoesaltazione e della miopia dell’amministrazione viterbese. Dal bando, che chiedeva espressamente per

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due anni consecutivi partecipazione e percorsi di coinvolgimento dei cittadini, Viterbo è stata esclusa per due volte perché finita fuori tema: un errore da principianti. Prima ancora dell’incapacità di progettare un percorso di condivisione, l’amministrazione ha dimostrato di non sapere nemmeno cosa volesse dire coinvolgere la cittadinanza per realizzare progetti culturali a medio termine, cascando nel tranello dell’eventismo e nell’accrocco di quanto esiste già spontaneamente in città. L’accanimento contro Francesco Moltoni Il surreale accanimento contro Francesco Moltoni per portarlo alla decadenza a causa di una vicenda che lo ha visto più vittima che carnefice. Francesco Moltoni era stato condannato dalla Corte dei conti al pagamento di circa 80mila euro, come l’assessore Maurizio Tofani ed altri della giunta Gabbianelli, per una decisione avallata dai tecnici e coperta da una assicurazione. Un debito non saldato, a causa di alcune vicende non dovute a sue scelte, che lo aveva portato a essere incompatibile (secondo la maggioranza e il Movimento 5 Stelle) con il suo ruolo da consigliere. Il voto del Consiglio comunale, dopo circa un anno di discussioni e liti, diede ragione a Moltoni, ma la discussione imbrigliò l’attività amministrativa per dodici mesi, facendo perdere tanto tempo utile per realizzare qualcosa di costruttivo per la città. Fu un accanimento eccessivo, dettato solamente dalla voglia di vendicare il passaggio all’opposizione del consigliere.

L’immobilismo e la mancanza di coraggio Cinque anni per rilanciare il Termalismo. Un punto che è presente nelle campagne elettorali da sempre e che, da sempre, nessuno riesce a portare a compimento. Le ex Terme Inps sono ancora ferme, a niente sono serviti a riguardo i cinque anni di Leonardo Michelini e di Antonio Delli Iaconi. Ma non è solo questo il problema Il termalismo viterbese, che può contare su una quantità d’acqua impressionante se paragonata a quella delle capitali del settore in Italia, non è ancora partito. Ci voleva forse più coraggio e più forza. Al di là delle strutture è mancato ancora una volta un piano organico per pensare Viterbo al centro del mercato del turismo termale. L’abdicazione di Michelini, il non-sindaco Leonardo Michelini ha trasformato quella che può essere considerata una qualità, in un terribile difetto. La sua volontà di non fare del personalismo la sua principale caratteristica, è finita per trasformarsi in una sorta di abdicazione che ha nuociuto all’amministrazione e al ruolo che ha ricoperto per questi 5 anni. A Michelini è sfuggita la differenza tra personalismo e capacità di metterci la faccia e quindi di farsi carico della responsabilità di essere il rappresentante dei cittadini viterbesi. Pur di non essere un Renzi o un Berlusconi, a volte (come nel caso del “ghetto” all’ex Fiera imposto dalla Prefettura o quando la neve ha paralizzato la città), Michelini avrebbe dovuto aver la capacità di parlare direttamente con i cittadini, mettendoci la faccia.

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politica

Un’intera generazione sta bussando alla porta, ecco cosa ha in mente Roberto Pomi

Quattro giovani impegnati in politica e un territorio. La loro visione sugli errori del passato e del presente, la questione generazionale e la voglia di farcela. Ne abbiamo scelti quattro e realizzato un’intervista quadrupla. LE DOMANDE 1 – Descriviti in quattro righe… 2 – La tua generazione come è posizionata nel territorio? Che ruolo ha? Cosa dovrebbe fare? 3 – Il tuo sogno per il Viterbese? 4 – Esiste, secondo te, una questione generazionale? 5 – Saluta i nostri lettori.

PIERGIORGIO MEDORI - MONTEFIASCONE 1 – Folle sognatore con piedi ben ancorati a terra e libero pensatore. Sono uno di quei ragazzi che ha la fortuna di avere un lavoro, dipendente di un primario istituto bancario, compagno di Laura e papà del piccolo Niccolò. Oltre a questo, appassionato di politica (intesa come l’arte che attiene alla città) e del nostro territorio. Sostenitore delle idee riformatrici e progressiste di Matteo Renzi. Dirigente provinciale PD.

l’idea di politica che hanno i vecchi dirigenti con quella dei giovani. Le due visioni dovrebbero contaminarsi per uscirne entrambe arricchite invece c’è una guerra su fronti opposti. È uno scontro che nasce da una non volontà di scontro, perché le generazioni non vogliono contrapporsi le une con le altre, non siamo nel ’68 dove davvero c’erano i temi per potersi scontrare. Qui l’opposizione è di mentalità. C’è stata un’accelerazione del tempo negli ultimi 7/8 anni, dall’ingresso di queste tecnologie, che sono state subito immagazzinate dalla nostra generazione, a differenza delle generazioni che fino ad adesso ne hanno fatto a meno, creando così anche un divario di prospettive, di capacità di analisi della realtà che si paga nel quotidiano e soprattutto le vecchie generazioni non hanno ben compreso quanto si possa investire su quelle che sono le nuove attività, le nuove possibilità. Internet e il web ne sono la riprova. Fatemi inviare un grande saluto ai lettori di Decarta - La Fune e al direttore. Approfitto per lanciare una proposta che spero il giornale possa cogliere. Sulla scia di queste interviste, La Fune potrebbe farsi promotrice di due giornate all’anno con tavoli di lavoro dove sono previsti solo giovani. Giovani imprenditori, commercianti, politici, amministratori, scambiare opinioni, visioni e perché no, elaborare un piano di sviluppo per il nostro meraviglioso territorio, il “Sistema Tuscia”.

2 – La mia generazione ha purtroppo ancora un ruolo molto marginale. Ci sono delle sporadiche eccellenze che però basano il successo sul proprio talento e non su un sistema di crescita che li coinvolga. La soluzione che vedo e che ribadisco è la creazione di una comunità, una comunità di giovani che, solo nell'interesse del territorio elabori e proponga una visione diversa del nostro territorio. 3 – Il mio sogno è quello di valorizzare la competenza, è il momento di innovare la politica. È arrivato veramente il momento. E questa volta tocca soltanto a noi: i giovani. Gli unici che possano rilanciare la partecipazione civica e politica necessaria per la realizzazione di un progetto di sviluppo territoriale. Con la forza di idee ed energie nuove. Con questo spirito dovremmo pensare a un percorso per promuovere il rinnovamento politico, partendo dal protagonismo generazionale. 4 – È evidente che esiste una questione generazionale, anzi, più che questione, la chiamerei scontro generazionale perché credo che niente o quasi accomuna

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LUCA PROFILI - BAGNOREGIO 1 – Non è mai facile descrivere se stessi, quindi mi fido delle persone che ho vicino. Sincero, leale, premuroso, solare e carismatico. Io aggiungo soltanto ambizioso, perché credo che qualsiasi cosa faccia uno nella vita, debba avere sempre la voglia di arrivare in fondo e raggiungere gli obiettivi che si pone davanti.

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L’ambizione accompagnata dall’umiltà, unica via per fare grandi cose. Da quattro anni vicesindaco di Bagnoregio. 2 – Quando nel 2014 diventai vicesindaco di Bagnoregio, partecipai spesso a riunioni, dove potevo essere tranquillamente il nipote degli amministratori che sedevano allo stesso tavolo. Ora credo che la situazione sia un po’ migliorata, vedo qualche ragazzo in più. Sono polemico ma non con la generazione che ci ha preceduti, piuttosto con la mia, perché lo spazio uno deve andarselo a prendere, con coraggio, nessuno regala niente. Non ci si può lamentare e basta. Fare politica richiede anche sacrificio, responsabilità e passione. 3 – Il mio sogno per questo territorio è che possa collaborare, uscire dalle vecchie logiche che tendono a curare soltanto il proprio orticello. Mi piacerebbe un territorio amministrato in modo ambizioso, che non abbia paura di mettersi in mostra, che inizi a correre e crederci davvero. 4 – Come ho detto in precedenza, la questione generazionale esiste ma va analizzata in modo approfondito. Noi giovani siamo stati spesso abituati a dare colpe alla generazione che ci ha preceduto, io però la vedo in modo differente, e questi quattro anni in amministrazione comunale mi hanno insegnato molto. È vero, sicuramente, che lasciare una poltrona non è mai facile ma è pur vero che spesso e volentieri sono i giovani a non avere il coraggio di mettersi in gioco. Essere soggetti al giudizio delle persone non è facile, fare politica significa anche sacrificare molto della propria vita privata ed è la cosa che ho sempre sofferto e continuo a soffrire spesso, mi mancano le giornate in cui non mi cerca nessuno. Non nego che ci sono giorni in cui mi chiedo chi me l’ha fatto fare, in cui i tempi della burocrazia sembrano infiniti, in cui i problemi sembrano irrisolvibili, poi però giro gli occhi verso l’immagine dei giudici Falcone e Borsellino che ho sulla scrivania e mi convinco che è giusto andare avanti, soprattutto per chi come loro, per lasciare un’Italia migliore, ha sacrificato la vita. Come diceva proprio Borsellino “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”.

facce e penso che in troppi si sono accontentati. Forse è questo quello che dovrebbe fare la politica: mettere nella condizione le aziende, le società sportive o le persone in generale di non dover abbandonare i loro sogni solo perché qualcuno non li ha messi nella condizione di continuare a sognare. 3 – Il mio sogno per il Viterbese è che si crei una sorta di grande Comune che possa valorizzare ogni singolo angolo della nostra bellissima provincia. Un grande Comune capace di dettare delle regole e fissare dei paletti per rendere ogni paese riconoscibile e riconducibile alla Tuscia. Sogno che lo stupore del tedesco che si scorge dal belvedere di Civita di Bagnoregio possa essere lo stesso affacciandosi sulla valle del Biedano o camminando tra i sentieri del Parco Marturanum. Bevendo un caffè nelle vie di Tuscania o leggendo un libro nella piazza del Castello a Civitella Cesi. 4 – Più che una questione generazionale credo che ci sia un problema di comunicazione nella mia generazione. In tanti si presentano come il nuovo che avanza ma il loro modus operandi è lo stesso, se non più vecchio, di quello di 50 anni fa. In troppi si mettono una giacca e una cravatta o un vestitino elegante e pensano che la loro posizione sia chiara e ben definita. Chi vuole presentarsi davvero come la novità deve saper parlare a tutti. Sporcandosi anche le mani se dovesse servire e soprattutto dovrebbe imparare a sorridere perché in certi ambienti la situazione è diventata troppo pesante.

STEFANO BIGIOTTI - VALENTANO 1 – Sono un architetto di 31 anni, dopo un’esperienza studio in Spagna e in seguito al conseguimento della laurea ho intrapreso una fitta collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Progetto di Roma, partecipando ad attività di ricerca nazionale e internazionale, fino ad essere tra i progettisti firmatari del Masterplan per il Centro storico di Viterbo. Oggi esercito l’attività di architetto in modo autonomo nel Viterbese. Candidato sindaco a Valentano.

GIUSEPPE IACOMINI - BLERA 1 – Giuseppe Iacomini, per la maggior parte delle persone Peppe. 37 anni, sono di Blera, dove sono consigliere di minoranza, ma abito a Cura di Vetralla. Sposato con Emanuela, ho una bambina di quasi 6 anni che si chiama Sveva. Assistente di Polizia Penitenziaria e gioco a calcio praticamente da sempre. Il calcio mi ha insegnato tante cose e credo fortemente che sia ancora la palestra più bella per imparare a muoversi nelle mille difficoltà della vita. Condividere lo spogliatoio con persone di carattere diverso e di età diversa. Il saper prendere spunto dalle sconfitte o il non esaltarsi troppo dalle vittorie. Ogni giorno per me è stato sempre vissuto come i 90 minuti. 2 – La mia generazione vive un momento delicato. Ci sono quelli che si sono creati una posizione ma ci sono anche quelli che sono ancora alla ricerca di quello che potrebbe essere il loro futuro. Vedo troppa insoddisfazione. Ascolto la domanda e intanto penso a tanti dei miei amici. Scorro nella mente le loro

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2 – Credo che la mia generazione si stia impegnando alacremente, forse in modo più umile e silenzioso rispetto alle generazioni passate, ma non con meno passione o energia. Penso ai tanti giovani amministratori locali che coraggiosamente decidono di scendere nell’agone politico, penso ai giovani professionisti, ai creatori di start up, agli innumerevoli “bamboccioni” (anche così ci hanno chiamato, ahimè!) che tanta energia e innovazione riescono comunque a portare all’interno di situazioni altrimenti aride. È necessario avere speranza. 3 – Sogno una provincia capace di ascoltare le istanze dei cittadini, verso la quale si possa provare un senso di orgoglio e appartenenza; una provincia lontana dall’essere una mera periferia romana, capace di trasmettere all’esterno i propri valori e la propria identità. 4 – Non credo esista una questione generazionale in sé. Oggi non si comprende più neanche chi siano i giovani e chi no: le problematiche che incontra un professionista a trent’anni sono le stesse che incontra un altro professionista a cinquanta. I problemi più grandi che le nostre comunità incontrano, come quello del lavoro per l’appunto, non sono appannaggio di una generazione o di un’altra”.

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cinema

Civita Cinema 2018 A Bagnoregio il meglio della magia del grande schermo.

ivita Cinema, tutti a Bagnoregio dal 19 al 24 giugno. Una settimana che trasformerà, per il secondo anno, il piccolo borgo della Tuscia nel set di un festival innovativo. Una realtà internazionale capace di mettere in vetrina la caratteristica più importante del cinema, ovvero la capacità di unire insieme ogni tipo di arte: fotografia, immagine, regia, recitazione, doppiaggio, montaggio, sceneggiatura, scenografia e molto altro.

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Un meeting di addetti ai lavori e appassionati, che troveranno un palcoscenico ideale proprio nell'evento, che diventerà per loro un vero e proprio riferimento. Saranno proposti incontri, proiezioni, eventi speciali, presentazioni, anteprime, incontri con le star. In una sola settimana tanti eventi, dalla mattina alla notte, dislocati in ogni luogo principale del borgo di Civita e della città di Bagnoregio. Alla guida del Festival i due direttori Vaniel Maestosi e Glauco Almonte. Lo scorso settembre un’anteprima di Civita Cinema ha visto la presenza di Ficarra e Picone ed Edoardo Leo. L’evento è uno dei momenti di massima valorizzazione del territorio di Bagnoregio, una delle più significative realtà turistiche del Centro Italia. Circa un milione di turisti ogni anno raggiungono il paese sospeso nella Valle dei Calanchi. Una bellezza unica, candidata a Patrimonio dell’Umanità. Gli organizzatori tengono blindato il programma 2018, su cui stanno apportando le ultime modifiche. Il giorno dell’apertura sarà tutto dedicato a Federico Fellini e al film La Strada, girato proprio a Bagnoregio nel 1956. Per l’occasione tutte le iniziative in programma si svolgeranno proprio nella piazza scelta dal maestro per le riprese della scena dello spettacolo del funambolo: piazza Cavour. Gli organizzatori del Festival e l’amministrazione comunale hanno voluto far rivivere le emozioni del film felliniano invitando il funambolo Andrea Loreni ad attraversare la piazza sospeso nel vuoto. Attesi grandi nomi del cinema italiano e diverse sorprese. Tutte le info su www.civitacinema.it e sulla pagina Facebook Civita Cinema.

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Incontro con il funambolo Andrea Loreni, l'uomo che trova strade dove altri vedono il vuoto. Roberto Pomi

Andrea Loreni è un funambolo e recordman torinese, l’unico in Italia specializzato in traversate a grandi altezze. Nato a Torino nel 1975, si laurea in Filosofia Teoretica all’Università degli Studi di Torino nel 1999 con una tesi dal titolo Il solipsismo di Adolfo Levi. Nel 1997 si avvicina alle arti di strada e approfondisce le tecniche di circo contemporaneo alla Scuola Flic e al Circus Space di Londra (2002-2003). Nel 2005 riceve il premio “Torototela” della Regione Piemonte per l’innovazione e la valorizzazione del teatro di strada. Dal 2006 si dedica alla ricerca della verità artistica camminando sui cavi a grandi altezze.

a sfidato altezze di 160 metri, sospeso tra i monti, e ha stupito il pubblico di Vasco Rossi nel tour LIVEKOM011. Il 19 giugno a Bagnoregio arriva il funambolo Andrea Loreni. Attraverserà il vuoto sulle teste del pubblico raccolto in piazza Cavour per la giornata di apertura di Civita Cinema. Un omaggio a Federico Fellini e al film premio Oscar La Strada. Lo abbiamo intervistato per capire qualcosa in più su questo momento di forte emozione che sta per arrivare.

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Cosa si vive lassù, sospeso sul cavo? Cosa si vive? I sentimenti più forti. C’è la paura, sempre presente, e la forte solitudine. In quel momento conti solo su te stesso, anche se per arrivare lassù c’è il lavoro di un’intera squadra. Poi però sta a me. Se volete sapere cosa mi accade posso raccontarlo così: vivo il superamento di me stesso e l’accesso a forze che vanno necessariamente oltre al mio piccolo io. Quando sono sospeso sul cavo entro in contatto con il vuoto. Nello stesso momento si incontrano la parte critica e la soluzione, e vivo un forte senso di libertà. Libertà che arriva quando supero la paura e la solitudine ed entro in contatto con il vuoto. A che altezza si realizzano le sue traversate? Ci può fare un elenco dalla più alta alla “minore”? La più alta per me è stata tra i picchi montani di Rocca Sbarua, vicino Pinerolo, a 160 metri. La più grande, per un mix di fattori, nel cielo di Pennabilli: 250 metri di lunghezza ad un’altezza di 90 metri da terra. Poi tante altre… Ma al di là dei numeri quelle che ho più sentito, che maggiormente porto in qualche modo dentro, sono la prima, nel 2006 sul Po vicino Chivasso, e una “nuova prima” che ho vissuto a Pennabilli e che per me ha rappresentato un’evoluzione importante sul piano tecnico. Cosa è il funambolismo per l’uomo? Cosa è per Andrea Loreni? È una ricerca. Una sorta di situazione e luogo dove uno si mette in crisi per scoprirsi autenticamente. Alla fine ti rendi conto di una cosa importante, tanto elementare quanto sofisticata: l’equilibro sul cavo arriva grazie alla gestione del disequilibrio. Se ci

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pensate bene la stessa cosa ci accade nella vita. Se siamo concentrati, sul cavo è necessario, riusciamo a vivere, a sentire davvero, questo equilibrio. Questo è il funambolismo per me. Per l’uomo in generale è ancora questa stessa cosa. È il mettersi alla ricerca del proprio essere più autentico. È una cosa molto importante: cercare una strada anche dove non te l’aspetti. È invitare a sorprendersi delle cose. Che messaggio intende dare con le sue esibizioni? Invitare ognuno a cercare la propria strada, mettendosi a rischio. Il messaggio che lancio ogni volta è che siamo, ogni essere umano lo è, molto più di quello che crediamo. Se osiamo, se siamo disposti a metterci in gioco e a perdere. Chi vorrebbe portare tanto sul filo con lei? L’artista Marina Abramovic. Solo lei, e il mio grande sogno sarebbe portare mia moglie e mia figlia. Mi piacerebbe provassero una grande altezza, fino a oggi hanno camminato sul cavo basso. A Bagnoregio farà rivivere le emozioni del film La Strada. Come ha accolto questa richiesta? Mi hanno chiamato per l’apertura di Civita Cinema, per un omaggio al grande Federico Fellini. Sarà bello ripetere davvero l’emozione della scena del film dove il funambolo attraversa l’aria sopra piazza Cavour. Una scena che farà vibrare belle emozioni tra il pubblico. Perché un conto è vedere la scena su schermo e altra essere lì. La stessa differenza che passa nella musica tra ascoltare una canzone in cd o viverla al concerto. La sfida bagnorese mi emoziona molto, ha messo in circolo nel mio pensiero nuovi significati. Vedremo cosa mi passerà per la mente, cosa proverò, quando sarò lì. Come si sta preparando? Un lungo lavoro tecnico, con attenzione massima alla parte artistica. Mi sto preparando fisicamente e con la meditazione. La meditazione mi aiuta ad arrivare al momento con la mente vergine. È importante per essere pienamente nel momento, quando entri in contatto col vuoto.

L’intuizione dell’assoluto avuta sul cavo lo spinge alla meditazione Zen, pratica che approfondisce sotto la guida di Shodo Harada Roshi al monastero di Sogen-ji a Okayama, in Giappone, di cui traduce in italiano il libro Come fare zazen. Nel 2011 Andrea stabilisce il record italiano di camminata su cavo, teso tra i colli di Penna e Billi, nel cielo di Pennabilli: 250 metri di lunghezza, ad un’altezza di 90 metri da terra. A seguito di questa spettacolare impresa, Vasco Rossi lo chiama ad esibirsi lo stesso anno nel suo tour LIVEKOM011. Del 2011 è anche la sua traversata più inclinata, 26° di inclinazione da 0 a 30 metri a Lodi dove, due anni dopo, compie la traversata su acqua più lunga, 220 metri sul fiume Adda. Nel 2013 affronta anche la traversata più alta, tra i picchi montani di Rocca Sbarua (TO) con un’altezza massima di 160 metri. Ospite di diverse trasmissioni televisive, tra cui Vertigo gli abissi dell’anima, Super Quark Speciale Equilibrio e ITTEQ! per Nippon Tv, è protagonista del video musicale di Niccolò Fabi per la canzone Solo un uomo e funambolo su cavo infuocato nella scena finale del film di Matteo Garrone, Il racconto dei racconti. È relatore in seminari, conferenze ed incontri su tutto il territorio italiano. Andrea ha camminato sopra l’acqua o immerso nel verde delle montagne, per il cinema e la televisione, in piano e in pendenza, in silenzio o accompagnato da suoni che hanno vibrato insieme alla corda. Ha percorso chilometri su cavo teso nei cieli di numerose località e città italiane, tra cui Torino, Bologna, Roma, Venezia, Firenze, Genova, Brescia, Trieste, e all’estero camminando nei cieli della Svizzera, della Serbia e in Israele.

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Ruote rugginose in città In un momento in cui quasi nessuno vuole più dedicarsi ai lavori manuali, Simone Ceccarelli ci racconta la sua storia di meccanico di successo. Manuel Gabrielli

Quando è iniziato il tuo rapporto con i motori? Da ragazzino, da sempre, giochi con i modellini di macchine e motociclette, è un qualcosa che alla fine ce l’hai dentro. La passione è nata anche perché mio zio, che era motociclista e purtroppo è morto sulla moto, stava sempre a trafficare in garage, ero piccolo e guardavo sempre quello che faceva lui. A 13 anni, cominciai a smontare la Vespa, il Guzzi Trotter di mio nonno e lì è iniziato tutto. A 15 anni compravo 3-4 riviste di moto al mese, ero goloso di informazioni. A 18 anni ho fatto il primo restauro completo, una Vespa PX, a 20 anni la mia prima moto, Yamaha TT 600, a cui ho rifatto tutto. Ho cominciato con la roba mia, non so quante moto posso aver avuto prima di aprire l’officina. Tante. Come sei arrivato a trasformare la tua passione in lavoro? A un certo punto lavoravo in un concessionario, compravo moto e le rimettevo a posto, poi quando sono stato messo in cassa integrazione mi sono ritrovato ad avere un sacco di tempo libero e mi sono buttato nel garage. In quel periodo ho fatto Esordio, la mia prima special e con il ricavato ho comprato altre due motociclette che ho restaurato e venduto. Poi gli amici mi hanno cominciato a chiedere di fare tagliandi e altri lavori. Quando ho visto che con le moto riuscivo a guadagnare quanto al concessionario, ho cominciato a crederci. Tra un lavoro e un altro mi dedicavo a Minerva, la mia seconda special, ci ho messo un anno e mezzo e ci ho investito quei quattro spicci che

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avevo. Dopo che The Bike Shed, una rivista specializzata, ha realizzato un articolo su Minerva, sono stato contattato dalla casa d’aste Bonhams e mi sono proposto per l’asta di Parigi. A quel punto mi sono detto “se vendo la moto reinvesto tutti i soldi e apro un’officina”, se invece non avessi venduto la moto mi sarei tenuto Minerva e avrei trovato un altro lavoro. Invece ho venduto la moto a un Belga e ho reinvestito tutto aprendo la partita IVA. Dopo quattro mesi nel garage dove avevo iniziato, a ottobre 2015 ho aperto a via Richiello la sede attuale della mia officina, Ruote Rugginose. Qual è la tua filosofia di lavoro? Cerco sempre di accontentare al massimo i clienti. La mia più grande soddisfazione è vederli uscire felici, mandando messaggi e dicendomi che la moto è una bomba. Se un cliente non capisce la mole di lavoro mi dispiace. Fondamentalmente mi interessa più quello che i soldi. Magari dovremmo riuscire a farci pagare di più, perché il lavoro è tanto, ma è impossibile. Purtroppo la maggior parte degli artigiani è legato a questa catena. Lavori sempre con belle moto d’epoca? Hai fatto una selezione? È avvenuta da sola e se ogni tanto mi entrassero alcuni motorini, che sono la cosa più remunerativa in assoluto, forse non mi dispiacerebbe perché è un compito semplice, con pochi problemi. Però quando entro in officina e vedo 30 moto d’epoca mi si apre il cuore, perché capisco che sono riuscito a fare quello che mi ero prefissato. L’obbiettivo è sì una selezione ma da parte del cliente, perché vuol dire

che quello che fai lo fai bene e ti cercano per questo motivo. Di fondo vogliamo sempre dare qualcosa di più al cliente e lo facciamo trattando le moto come se fossero le nostre. Come ti trovi a Viterbo, ti sarebbe piaciuto lavorare in un altro posto? Spesso me lo sono chiesto, chissà. Non ho mai avuto problemi con chi è venuto qua tramite il passaparola o perché aveva appena comprato una moto d’epoca. Ma quasi nessuno dei vecchi appassionati è venuto con l’entusiasmo di scoprire che aveva aperto un nuovo posto per le moto d’epoca in città. Anzi, da alcuni di questi ho ricevuto pure qualche critica. A Viterbo sono convinto di starci perché ci sono nato ed è la mia città ma in un altro posto, con un’altra clientela, forse avrei potuto lavorare diversamente. Nelle grandi città c’è un altro giro. Roma per esempio è una città che ti permette di lavorare tantissimo e non avere questo tipo di dinamiche. Ma la clientela di Viterbo è solo il 50% del totale perché qua lavoriamo con Umbria, Bassa Toscana, Roma e provincia. Se invece parlassimo di estero ti direi di no perché secondo me per fare bene questo lavoro hai bisogno dei contatti giusti e di tanti artigiani capaci di lavorare con le mani. Muovendoti fuori dall’Italia dovresti prendere baracca e burattini e ricostruirti interamente la tua rete. Insomma non sono un fautore dell’andiamo tutti all’estero perché guadagniamo di più. A livello burocratico però sarebbe sicuramente meglio.

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Vacanze estive 2018 Donatella - San Faustino Viaggi

a meta più ambita è certamente il mare. E come si fa a non amarlo? Abbiamo chilometri di costa che percorre tutta la nostra bell’Italia. Chi ha potuto risparmiare un po’ durante l'inverno cerca mete di relax con acqua limpida e un trattamento all inclusive: pranzo, cena, colazione, drink, servizio spiaggia e chi più ne ha più ne metta! Magari in Sardegna o in Puglia.

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Ma oltre alle bellissime e classiche località, ci sono tanti posti meno conosciuti da scoprire, come per esempio la costa marchigiana. Con i suoi villaggi di pescatori, e i suoi paesaggi mozzafiato, la Riviera del Conero non ha niente da invidiare alla bella Toscana. Ma sempre con la stessa filosofia potremmo scegliere la Calabria e dirigerci verso Costa degli Aranci e la Riviera di Palmi. Chi invece ha un budget più ridotto andrà sicuramente verso altri lidi con un mare meno cristallino: la vecchia e cara Emilia Romagna, dove tutto sommato si mangia bene, è bene attrezzata per giovani e per famiglie e offre quindi molti servizi a prezzi contenuti. Per gli amanti dell’avventura, invece, come non citare il cammino delle 100 torri , un percorso lungo tutta la costa sarda che ha come tappe le torri dell'antico sistema difensivo ed è disseminato di insenature sperdute e luoghi rimasti ancora selvaggi. Ed i ragazzi? Magari neo diplomati, laureati, o perché no, ancora studenti. Loro che hanno una disponibilità economica più limitata opteranno per Spagna e Grecia: volo low cost, appartamento, tanto

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divertimento e la gioventù che pensa a tutto il resto. In fin dei conti il mare italiano è in gran parte facilmente raggiungibile anche in giornata e ogni estate senza un viaggio all’estero è una grande occasione persa. Oltre a Spagna e Grecia ci sono anche altre località turistiche in crescita, e ancora non raggiunte dal turismo di massa, con dei prezzi contenuti. Magari la Croazia , se si cerca una vita notturna più attiva, e l’Albania per una maggiore tranquillità Se parlassimo di Portogallo, invece, l’Alentejo è la località costiera da scegliere come alternativa al più conosciuto Algarve. Anche qui c’è l’alternativa per i più avventurosi con la Rota Vicentina , un cammino a piedi composto da due percorsi, uno lungo 340 chilometri che passa all’interno del parco naturale dell’Alentejo, l’altro di 200 chilometri tra spiagge e scogliere. Le persone grandi invece prediligono le vacanze di gruppo: bus e accompagnatore e non pensare più a niente! Guide, pranzi, cene, tutto già organizzato. Le mete sono tutte e senza esclusioni: mare, montagna, città d’arte, sia in Europa che in Italia. Per chi non bada spese, e soprattutto chi può permettersi di andare in vacanza anche in inverno, è ora di cominciare a organizzarsi per tempo e a quel punto Mare Caraibico, Africa, Maldive e Oceano Indiano sono la scelta. Noi accontentiamo tutti: dai ragazzi con 2 spicci ai più “abbienti” troviamo la soluzione giusta per tutte le tasche e, sopratutto, per ogni “carattere”. Perché la vacanza non è solo una questione di soldi!

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Il “roncionese” che ha aperto un ristorante a Manhattan “Cosa porterei a New York? Il lago di Vico”. Roberto Pomi

etti un piatto di spaghetti alla carbonara, metti New York in zona Manhattan, un ristorante true-italian e avventori del calibro di Woody Allen, mescoli e quel che viene fuori è il ritratto di un ragazzo arrivato da Ronciglione e del suo socio. Dal 2012 il giovane di Ronciglione Giovanni Bartocci gestisce il ristorante Via della Pace insieme al socio Marco Ventura. Un ristorante che negli anni si è imposto nella scena newyorchese senza tante discussioni, affermando i piatti della tradizione italiana come in pochi riescono a fare.

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Chi è Giovanni Bartocci? Giovanni Bartocci, nato a Roma alla fine degli anni ’70 e cresciuto a Ronciglione, è un ragazzo che ancora oggi non vuole ammettere di essere diventato uomo, soprattutto grazie a un percorso fatto di scelte a volte giuste altre volte meno, ma sempre orgoglioso di averle fatte. Chi eri quando hai deciso di lasciare casa e volare negli States? Quando lasciai casa ero ancora iscritto all’Università della Tuscia, frequentavo Biologia anche con buoni voti. Ero un ragazzo che voleva fare un’espe-

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rienza a Londra. Andai a maggio e tornai a ottobre, ma solo per prendere i vestiti invernali. Dopo sei anni di Londra tornai a Ronciglione per un anno e mezzo circa, durante il quale lavorai proprio a Viterbo a San Pellegrino presso Lucio, e poi il grande salto a New York City.

mia terra negli Stati Uniti. Le cose che più porterei non sono così facili da trasferire. Non è facile portare il Lago di Vico qui a New York (ride). Ma soprattutto porterei tutti i miei amici e familiari. Cosa porterei in Italia da qua? Sicuramente un po’ più di meritocrazia e voglia di rischiare.

Di cosa sono fatte le tue giornate? Avere un ristorante a NYC ti succhia tantissime energie e tantissimo tempo. Però provo a riempire il mio tempo il più possibile con il pugilato, un buon libro, un liberatorio giro in Harley su qualche ponte della città o solamente con il coccolarmi la mia gatta.

Rimanere a casa o andare fuori, c’è un consiglio giusto per tutti? Non è possibile dare un consiglio sul da farsi. Ognuno di noi deve fare ciò che sente perché la nostra vita è fatta d’incroci. L’unico consiglio che posso dare è quello di prendere coscienza delle proprie scelte, affrontarle a viso aperto e viverle visceralmente perché solo vivendole al 100% non si avranno rimorsi.

Quante volte al giorno pensi a casa e cosa fai quando ci pensi? Grazie alla globalizzazione lo spazio si è accorciato moltissimo quindi sono sempre collegato con casa. Dal cibo che vendo, alla musica che ascolto. Poi c’è il mio Lazio Club NYC. Vivo pensando sempre a casa. Cosa della tua terra vorresti portare negli USA e cosa degli USA vorresti portare nella tua terra? Come ho già detto tento tutti i giorni di portare la

La cosa più importante nella vita? La famiglia, l’amicizia, la lealtà. Ma la cosa fondamentale è il riuscire ad ascoltare sé stessi e ciò che la pancia ci dice. Un messaggio per i lettori… Ragazzi godetevi la vita e soprattutto la bellezza della vostra terra… la Tuscia qua se la sognano!

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