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L A PA R T E D I C A R TA D E L A F U N E - C O N T I N U A A L E G G E R E S U L A F U N E . E U

Aspettando

Santa Rosa 4. La Santa / 6. Le suore / 10. Il trasporto / 12. Il 3 settembre / 14. La sicurezza / 16. Al bar de La Fune 18. I facchini / 22. La macchina / 25. Il Presidente del Sodalizio / 26. La “macchinite” / 30. Curiosità 33. Leonardo Bonucci / 35. Il museo / 36. Santa Rosa nel mondo / 38. Un’app per Viterbo


1911 - Prima sede dell’Istituto

Siamo una banca il cui punto di forza risiede nel profondo legame con il Territorio e le Tradizioni ma soprattutto nella capacità di cogliere con tempestività l'evoluzione delle esigenze della sua clientela. Solidità, Esperienza e Radicamento al territorio è l'insieme di valori sui quali abbiamo fondato la nostra storia di 106 anni e sui quali costruiremo il nostro futuro.


editoriale

Aspettando Santa Rosa numero speciale in collaborazione con LaFune

State per guardare dentro l’anima di una città e la chiami festa hai capito poco di quello che stai per vivere. I giorni di Santa Rosa a Viterbo sono un momento dove ti è permesso di guardare dentro l’anima di una città. Se stai leggendo e sei un viterbese lo sai, se sei un turista la cosa magari ti sfugge. Allora stacca la testa e vivi tutto con la pelle, sulla pelle. Lasciati travolgere da una devozione che ha mille volti, facce, storie. Parliamo di una creatura resa bella dai secoli, di un Patrimonio dell’Umanità.

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DECARTA Mensile di informazione non convenzionale Numero 27 – Settembre 2017 Distribuzione gratuita Direttore responsabile Maria Ida Augeri Direttore editoriale Manuel Gabrielli Redazione Gabriele Ludovici, Elisa Spinelli Redazione web e photo editor Sabrina Manfredi Hanno collaborato Simone Carletti, Roberto Pomi www.lafune.eu Design Massimo Giacci Editore Lavalliere Società Cooperativa Via Monti Cimini, 35 - 01100 VITERBO Tel. 340 7795232 Partita Iva 02115210565 info@lavalliere.it Iscrizione al ROC Numero 23546 del 24/05/2013 Stampa Union Printing SpA Pubblicità 340 7795232

Questo giornale che hai tra le mani usalo come una chiave. Se lo farai bene, se tirerai fuori da ogni riga e da ogni foto quello che significa davvero allora ti troverai nella condizione di vivere al meglio questi giorni indimenticabili. Tornano ogni anno, è vero. Ma questo non cambia la sostanza dell’esperienza. Perché ogni anno poi vorrai rivivere tutto di nuovo e ogni volta ricordare come eri, come sei, immaginare come sarai. Qui, fermo nell’attesa del tre settembre. Qui, in cammino nel giro delle sette chiese. “Sotto col ciuffo e fermi”. Nell’attesa, fermi. Ogni anno a Viterbo scriviamo la storia della città, con la consapevolezza di chi lo sta facendo. Ogni gesto è curato nel millimetro. La voce del capofacchino è stata “lavorata” apposta per scuoterti dentro. Gli occhi del presidente del Sodalizio si sono preparati apposta per tenere sotto controllo ogni più piccolo aspetto, per palpare gli animi di quelli col fazzoletto bianco che devono compiere l’impresa. Quanto andrete a leggere è frutto di un lavoro giornalistico che ci ha portato all’interno di posti carichi di fascino e suggestioni. Abbiamo incontrato i protagonisti, letto tanto su quanto avveniva nel passato e costruito schemi informativi per permettere a tutti di comprendere e quindi godere al meglio questi giorni. ingraziamo il Sodalizio dei Facchini, gloria della città. Grazie al Comune di Viterbo che ha inteso patrocinare l’iniziativa e a Fondazione Carivit per il sostegno. Un tributo a Mauro Galeotti per i tanti libri che ha scritto su Santa Rosa e quindi preziosa fonte storica. Grazie a Bruno Pagnanelli per le foto. Grazie a tutti gli sponsor che hanno partecipato a questo sforzo, importante per rinnovare e diffondere un sentimento che è il cuore di Viterbo. Decarta / La Fune

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Con i patrocinio di

Con il sostegno di

Immagine di copertina Bruno Pagnanelli I contributi, redazionali o fotografici, salvo diversi accordi scritti, devono intendersi a titolo gratuito. Città di Viterbo

Sodalizio Facchini di Santa Rosa

Fondazione Carivit

Chiuso in tipografia il 18/08/2017 www.decarta.it

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Le immagini di questo numero, tranne dove diversamente indicato e ad eccezione delle foto storiche o di repertorio, sono state cortesemente fornite da Bruno Pagnanelli.

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la santa

foto © Manuel Gabrielli

santa rosa

Santa Rosa e i viterbesi, ecco una grande storia d’amore Tutto si ferma nell’attesa del Trasporto della Macchina.

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n viaggio che dura un giorno, facendo rivivere secoli. Questa è la festa di Santa Rosa, che ha il suo cuore nel Trasporto della Macchina. Occhi, fazzoletti annodati, stivaletti di cuoio, bimbi sulle spalle dei padri. Un tratto di mille e duecento metri più l’allungo, anche quest’anno, su via Marconi di altri 700. L’essenza della città di Viterbo è qui. Il giorno prima è già “l’attesa”. Il corteo storico con i figuranti e il Cuore della Santa e poi le persone che prendono posto lungo il tragitto già dalla notte. Il “giro delle sette chiese”, in un susseguirsi di ritualità, e l’aria che si ferma prima de “la mossa” a San Sisto. Non importa dove la vedrai, importa esserci. E i viterbesi fuori città

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non potranno mai dimenticare e non pensare a cosa accadrà “quella notte del tre” tra le mura del centro storico. È devozione, è folclore, è un sentimento vivente. Sempre. I turisti rimarranno a bocca aperta, i cittadini pure. Nonostante conoscano ormai ogni più piccolo dettaglio.

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utto è fermo, sospeso. Un regalo vero che Viterbo si fa ogni anno, nell’abbraccio alla sua Santa bambina. Tanto che, se parli con qualcuno, già a fine agosto per un impegno è costume tirare fuori un grande classico: “Ne riparliamo dopo Santa Rosa”. Come se tutto andasse in secondo piano, diventasse meno importante. Come accade con le grandi storie d’amore.

Chi è Santa Rosa Rosa nacque a Viterbo nel 1233 da Giovanni e Caterina; desiderava entrare nelle Clarisse, che la respinsero a causa della sua salute precaria. Dopo una guarigione miracolosa entrò nel terz’ordine francescano. Predicò accanitamente contro i catari, aizzati da Federico II contro il Papa, e prese una forte posizione in difesa del pontefice nella lotta fra guelfi e ghibelini. Fu mandata in esilio con la sua famiglia per ordine del podestà di Viterbo e si rifugiò prima a Soriano nel Cimino, poi a Vitorchiano. In un’occasione rimase miracolosamente incolume tra le fiamme. Predisse la morte dell’imperatore Federico II e quando questa avvenne, tornò a Viterbo. Morì il 6 marzo del 1251. Il processo di canonizzazione iniziò l’anno stesso della morte e fu poi ripreso nel 1457, ma non portato a termine, sotto papa Callisto II. A tutt’oggi la canonizzazione non è ancora avvenuta, si cerca di finalizzarla entro il pontificato di papa Francesco.

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Il sacro corpo

La solennità del corteo del 2 settembre

l corpo di Rosa, che era stato sepolto nella nuda terra e senza la protezione di una bara, fu ritrovato integro nel 1258. In quell’anno venne traslato, per ordine di papa Alessandro IV, dalla chiesa di Santa Maria in Poggio (della “Crocetta”) alla chiesa del monastero di San Damiano, oggi santuario intitolato alla patrona.

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utti gli anni l’appuntamento che segna la porta d’ingresso al clima della festa per Santa Rosa è rappresentato dalla processione del 2 settembre, accompagnata dal suggestivo corteo storico. La partenza è fissata alle 17,30 dal santuario intitolato alla patrona, con circa 300 figuranti. Gli abiti, curati nei minimi dettagli, ricoprono l’arco temporale che va dal Medioevo al Rinascimento. Sfilano per le vie del centro storico rievocazioni di cariche civili, militari ed ecclesiastiche importanti nella vita del Comune.

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La devozione dei viterbesi e non solo si è concretizzata con la tradizione della visita al sacro corpo. Nel corso degli anni non vennero mai prese particolari precauzioni per la sua conservazione. Anzi, durante il Rinascimento era permesso ai fedeli di toccare la santa attraverso una piccola apertura praticata sull’urna. Nel 1921, con la prima ricognizione, venne estratto il cuore ancora integro. Riposto poi in un reliquiario. Nel 1996 una nuova ricognizione ha permesso di effettuare una serie di indagini scientifiche, dalle quali è emerso che Rosa aveva un’età compresa tra i 18 e i 20 anni al momento del decesso. Inoltre era affetta da una rara patologia, la sindrome di Cantrell, caratterizzata da una mancanza congenita dello sterno, che normalmente porta a morte durante la primissima infanzia.

Sul braccio sinistro è stata rilevata una cicatrice, compatibile con una ferita che le fonti storiche riferiscono Rosa abbia subito durante l’assedio delle truppe di Federico II alla città di Viterbo nel 1243. Santa Rosa inoltre doveva avere un’altezza di circa 1,55 metri, occhi blu e capelli scuri. Questi dati e quelli tratti dalle radiografie del cranio, hanno permesso di effettuare una ricostruzione grafica del volto.

Parte rilevante della sfilata sono i “boccioli di Santa Rosa”, bambine che rappresentano il legame profondo tra i Viterbesi e la santa bambina. Ci sono poi gruppi di ragazze, chiamate “rosine”, vestite con il classico saio grigio e viola delle suore clarisse. Portano ceste di rose e candele da donare alla patrona. Sono queste figure che separano i quadri temporali in cui è articolato il corteo.

Il vestito di Santa Rosa e i suoi cambiamenti nei secoli a prima testimonianza descrittiva sull'abito della patrona risale alla metà del 1300. Era di colore cremisi, una tonalità di rosso luminosa e chiara che, contenendo alcune componenti di blu, tende lievemente al porpora.

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Altre testimonianze della metà del ’400 raccontano di un abito di velluto cremisi, ricamato a fiorami in oro circonfuso da mezza libra di perle e gemme. Si parla anche di altri vestiti posseduti dalla santa che venivano cambiati a seconda delle circostanze: uno di velluto fiorato e un altro ancora di broccato alexandrino. Gli abiti di questo periodo vengono archiviati nel ’600, perché considerati troppo pomposi. È il 18 settembre del 1615 quando, per volere del vescovo di Viterbo Tiberio Muri, si arriva a una veste più semplice. Viene scelto l’abito francescano e la santa viene vestita con una tonaca di lana di color grigio scuro e un cordone alla vita. In pratica venne ripreso l’abito in uso tra le terziarie di San Francesco. In quell’occasione venne anche posto il velo bianco. Il 13 ottobre 1658, per ordine del vescovo di Vi-

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terbo, il cardinale Francesco Maria Brancaccio, fu messo sul capo della santa il velo nero. Il corpo rimase esposto per vari giorni e venne permesso ai fedeli di toccarlo. Nel 1697 il vestito fu cambiato in occasione della nuova urna, poi nel 1750 sostituito di nuovo. Il 2 novembre 1760, alla presenza di monsignor Egidio Mengarelli, Santa Rosa fu vestita da capo a piedi. Il colore della tunica mutò in nero, come quello delle Clarisse. In pratica le suore conformarono l’abito della patrona al loro. Quindi prima della ricognizione del 1921 la santa vestiva una tonaca monacale nera, con al collo un velo bianco e in testa la corona delle vergini. Fu poi vestita di color cenerino e al posto della corona fu posta un’aureola in metallo. Nell’ottobre 1946 fu mutato l’abito in seta con un altro di medesimo colore. L’ultima vestizione è del 13 febbraio 1990. Con la veste usata vennero confezionate le reliquie per i fedeli, autenticate con sigillo del Monastero, come avveniva negli anni passati. In quell’occasione monsignor Fiorino Tagliaferri ha presieduto la cerimonia della ricognizione del corpo di santa Rosa, nonché la pulitura della cassa e dei vetri.

Itinerario del Corteo Partenza alle ore 17,30 dal santuario di Santa Rosa. Prosegue poi su via Santa Rosa, corso Italia, via Saffi, piazza Fontana Grande, via delle Fabbriche, via S. Pietro, via S. Pellegrino, via C. La Fontaine, via S. Lorenzo, piazza S. Lorenzo (Duomo). Ritorno: piazza San Lorenzo (Duomo), via S. Lorenzo, via C. La Fontaine, via Annio, via Cavour, piazza del Plebiscito, via Ascenzi, piazza del Sacrario, via Marconi, via Santa Rosa, Santuario (arrivo).

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santa rosa

le suore

“La tenacia e la forza di Santa Rosa siano un esempio per i nostri giovani”

Viaggio nel Monastero delle Alcantarine tra importanti novità e una forte spiritualità.

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onastero di Santa Rosa. Ci arriviamo in un caldissimo pomeriggio di agosto, qui ci accoglie il sorriso di suor Francesca Pizzaia. L’idea è avere notizie su come le suore stanno preparando al meglio i festeggiamenti annuali. Troviamo tutto in fermento, un vero e proprio cantiere. Stanno effettuando i lavori per il montascale che permetterà l’abbattimento delle barriere architettoniche per l’accesso al Santuario. Parliamo circa un’ora con la madre superiora. Ci racconta delle messe, del calendario, di quanto accaduto con i lavori in corso. Poi le chiediamo un messaggio per i viterbesi e lei mette al centro Santa Rosa e il grande esempio di speranza rivolto ai giovani di cui è protettrice. Qui è tutto in movimento. Vi state dando da fare… “Siamo immerse nella macchina del restauro, del montascale. Tutte novità che per noi diventano anche una fatica ma lo facciamo volentieri perché è per un bene più grande”. È la seconda volta che arriva il 3 e 4 settembre a Viterbo per le Alcantarine. Come vi state preparando? “Stiamo riscoprendo chi è Santa Rosa. Lo scorso anno sapevo poco. Poi documentandomi, condividendo, sto capendo il valore di questa donna, di questa ragazza. Quest’anno sono i 150 anni dalla nascita dell’Azione Cattolica e qui nel Santuario è sepolto Mario Fani, il fondatore. Stanno arrivando gruppi di giovani da tante parti. Questo mette al centro il valore di Rosa proprio per i ragazzi”. In che modo? “La nostra Santa Rosa nel 1918 è stata proclamata patrona della Gioventù Cattolica Femminile da papa Benedetto XV

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e voluta dalla venerabile Armida Barelli. Una scelta importante, la stessa Armida Barelli voleva che la patrona della gioventù fosse una santa giovane, laica e propagandista… che bella missione! In quest’anno l’ho riscoperta, una giovane determinata, una donna che non si è arresa, che non si è fermata di fronte agli ostacoli. Ha osato sfidare anche l’imperatore Federico II, non ha nascosto l’arma di salvezza del cristiano: la CROCE! Aggrappata al suo Signore è andata a predicare la conversione, la misericordia e la pace. Per i suoi concittadini ha rischiato tanto… lei si è fidata di Dio, e questa cosa mi sconvolge, mi sprona a mettermi sempre più in gioco, Santa Rosa è una testimone di Dio. Ognuno di noi può essere testimone della misericordia di Dio. Fidarsi di Dio ti stravolge la vita, Lui non ha trattenuto nulla, si è incarnato e ha dato la vita! Fidarsi di Dio ti rende capace, come Santa Rosa, di non bloccarti di fronte alle difficoltà… di non arrenderti. Lui non ci abbandona, io vivo tutto questo da quando ho detto il mio primo sì, ma sono consapevole che ora sono maggiormente facilitata perché vivo in questo luogo di Grazia. Santa Rosa ha molto da dire a ciascuno di noi: lei, povera (è nata in un’umile famiglia di contadini), malata (nata senza sterno), rifiutata (desiderava farsi monaca ma per vari motivi non è stata accolta), scomoda (non si vergognava di prendere posizione per la giustizia e la verità)… Una ragazza che però ha lasciato il segno e ancora si parla di lei. Una donna realizzata, nonostante i limiti e le difficoltà. Per me questo è un esempio grande e penso debba esserlo per tutti e in modo particolare per i nostri ragazzi”. Cosa augurate alla città? “Penso che l’augurio più bello che possiamo farci l’un l’altro è quello di aprire il nostro cuore a Dio, e di chiedere a Santa Rosa di essere il nostro “ponte” per arrivare a Lui. Venire qui al Santuario è venire ad attingere forza, per cercare luce, per chiedere la speranza… ed affrontare con coraggio la nostra quotidianità che è impastata di tanta sofferenza… e Rosa sta qui ad aspettarci e a dirci che se scegliamo Lui come compagno di viaggio non resteremo delusi”.

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Abbattute le barriere architettoniche per l’ingresso al Santuario I soldi necessari frutto di una donazione di una devota alla Santa. nche chi ha difficoltà a deambulare potrà visitare il Santuario di Santa Rosa. Questa una delle novità di quest’anno, fortemente voluta dalle suore Alcantarine e resa possibile grazie a una donazione ricevuta dal Monastero. Arriviamo in largo Facchini di Santa Rosa con i lavori in corso. Stanno realizzando un montascale che permette di abbattere la barriera architettonica rappresentata dai gradini che portano all’ingresso del Monastero. Osserviamo con curiosità, poi suor Francesca Pizzaia, la superiora, ci racconta il tutto. Viene fuori una storia forte, di quelle che lasciano pensare.

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“Accogliendo una serie di appelli dei viterbesi con le altre sorelle, a inizio anno, ci eravamo poste l’obiettivo di permettere la visita anche a chi ha gravi disabilità motorie. La sfida sembrava a un certo punto impossibile, tanto che avevamo deciso di rinunciarvi. Poi è successo un qualcosa di straordinario”, le parole di suor Francesca. Chiediamo di sapere di più e lei prende fiato e ci racconta questo: “Erano venuti i tecnici e fatto un preventivo di spesa: 15mila euro. Ragionando con la nostra economa era emersa l’impossibilità, per noi, di affrontare il costo. Ci avevamo rinunciato. Ricordo che andai da Santa Rosa a chiederLe che cosa ne pensasse lei… e oggi il lavoro è fatto. Dico una cosa forte: penso che l’abbia voluto proprio Lei”. Non riusciamo a capire cosa intenda, poi viene fuori la notizia di una donazione. Ma non è tanto il gesto generoso quanto la dinamica a meritare di essere raccontata. “Era la festa del 6 marzo, giorno del Transito di Santa Rosa e chiesi aiuto a Lei. Dopo neanche quindici giorni squilla il telefono del Monastero. Era un avvocato; mi comunica che una signora, molto devota alla Santa, aveva lasciato la sua eredità a dieci enti tra cui il nostro. Chiedo a quanto ammontasse la cifra e la risposta mi lasciò senza parole: intorno ai 15mila euro. Rimasi in silenzio, l’avvocato mi chiese se fosse tutto apposto e gli raccontai la situazione. Poi, grata a Dio mi sono recata da Lei per ringraziare”. Oggi il montascale è funzionante, pronto a fare il suo lavoro. In realtà ne sono stati realizzati due: il primo che permette l’accesso al Monastero e il secondo che unisce quest’ultimo con la chiesa.

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foto © Manuel Gabrielli

le suore

Tra le novità di quest’anno l’apertura del portone del coro dove le suore pregano. È stata messa una grata in ferro battuto per rendere visibile a tutti lo spazio. L’intervento è molto suggestivo perché ora, entrando nel Santuario, appare agli occhi una bellissima vetrata decorata dedicata alla Vergine, con San Francesco, Santa Chiara e due monache in preghiera.

Il Monastero ha realizzato per i festeggiamenti un calendario dedicato alla Santa. Stampato dalla tipografia Quattrini sarà a disposizione presso il Monastero, durante i prossimi festeggiamenti, insieme a tanti altri gadget ricordo. Per il 2017 sono state riprodotte sul legno due immagini di Santa Rosa, l’icona realizzata dalla iconografa Veronica Cavallo e l’immagine di Santa Rosa, patrona della città di Viterbo, che veste l’abito della penitenza presente nella cappella del seminario vescovile.

Novena in preparazione alla Festa Dal 24 agosto al primo settembre alla ore 18.30 ci sarà la celebrazione eucaristica. Anche quest’anno i parroci delle parrocchie della città hanno dato la disponibilità per animare le celebrazioni. Alla Casa della Santa alle ore 9.00 ci sarà la celebrazione eucaristica, presieduta da don Massimiliano Balsi.

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Otto secoli di devozione di una città in mostra Uno splendido tesoro di quadri, pale d'altare, statue e oggetti preziosi per la prima volta mostrato al pubblico.

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na mostra dal valore straordinario su Santa Rosa all’interno del Monastero a lei dedicato. Quadri, pale d’altare, statue e oggetti di varia natura racconteranno – dal 2 settembre fino al 6 gennaio – ai visitatori una fede che Viterbo tiene viva da otto secoli. A organizzare il tutto la Soprintendenza ai Beni Culturali, nella persona della dottoressa Alfonsina Russo, in collaborazione con il Comune di Viterbo e il Centro Studi Santa Rosa. Il tutto in un contesto davvero suggestivo: quello del Monastero. Saranno

aperte al pubblico anche le bellissime sale affrescate che ospitavano il refettorio, da poco oggetto di un attento lavoro di ristrutturazione e restauro. Il percorso della visita è stato articolato in diversi ambienti: l’atrio del Monastero, lo spazio che ospita l’urna con il corpo della Santa, la sala capitolare, il refettorio antico, il chiostro e infine il corridoio affrescato. Un evento importante che caratterizzerà i festeggiamenti 2017 in onore di Santa Rosa.

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santa rosa

il trasporto

Tutti quanti stasera vedrete una festa di grande importanza Ogni anno una sera a settembre una Rosa si porta a girar Nella notte nel cielo s’innalza e la gente la guarda stupita Sembra proprio volare sui tetti lassù tra le stelle e gli angeli blu

e prime parole di Quella sera del tre – inno dei facchini di Santa Rosa scritto da Lorenzo Celestini, figlio del padre del Sodalizio e capofacchino storico Nello – dicono tutto. Il Trasporto non è altro che questo, semplicemente un gesto d’amore. E come tutti i gesti d’amore ha volti, nomi, ritualità, storie che si accavallano e rafforzano insieme e brividi che corrono sulla pelle. Solo che “quella sera del tre” il brivido attraversa un’intera città, le sue vie strette, le piazze dove rimbomba lo stupore, l’entusiasmo, il senso di essere dentro a qualcosa che segna un territorio e la vita di tutti quelli che hanno inteso portarsi lì, per spalancare i propri occhi a un bello talmente grande da conquistare il titolo di Patrimonio dell’Umanità.

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È il tre settembre a Viterbo, bellezza! La notte del “Siamo tutti d’un sentimento”, del “Facchini dateje!”, del “Sollevate e fermi! Fermi!”. La sera dei bambini piccoli che guardano sulle spalle dei padri la Macchina sfilare. La notte dei nonni e delle nonne che raccontano cose accadute dieci, venti, cinquanta anni fa. Sempre in questo giorno, il tre settembre, e che domani ti compreranno un regalo alla fiera. Quella delle madri che hanno da poco vestito il proprio figlio che si è messo in testa di fare il cavaliere di Rosa e ora è facchino. Che è là sotto, che spinge, che fatica, che stringe i denti e ride con gli altri vestiti di bianco e di rosso. Quella madre che ti aspetta per abbracciarti sul sagrato della basilica, in cima alla salita e che, puoi giurarci, ha nella borsa un maglioncino da metterti sulle spalle sudate. Mille e duecento metri, che anche in questo 2017 diventano molti di più. Si ripete infatti “l’allungo” su via Marconi di altri 700. Dopo il successo dello scorso anno, quando si decise di “allungare” per scrivere nella storia che era l’Anno Santo e i santissimi facchini ci hanno voluto mettere un pezzetto di cuore in aggiunta. Per il Papa, per Rosa, per Viterbo. 113 uomini a fare da motore di una tradizione che è da tutti percepita come una “roba grossa”, che “spancia” e arriva a toccare la quotidianità di ognuno. A Viterbo è usanza spostare ogni ragionamento “a dopo Santa Rosa”. Provate a chiedere per credere.

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lle 21 “la mossa”, il primo “Sollevate e fermi!”. Per arrivarci occorre rispettare un protocollo di ritualità e gesti. Solo una volta che tutto è stato fatto come da tradizione il capofacchino apre le danze e compone la Macchina. I facchini di maggiore esperienza si posizionano sotto la base, disposti in sette file di nove uomini ciascuna. Il totale fa 63 elementi. Si chiamano ciuffi, dal copricapo in cuoio imbottito che indossano a protezione della parte cervicale.

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Ai lati, lungo i due sostegni sporgenti integrati nel telaio della base, si dispongono due file di otto spallette, che sostengono la Macchina appoggiandola su una spalla. All’esterno di queste entrano in formazione, quando i tratti più larghi del percorso lo consentono, altre due file di spallette, dette appunto aggiuntive, da 11 facchini ciascuna. Sul fronte e sul retro della Macchina si trovano infine le stanghette, sei per lato, che facendo leva sui sostegni che sporgono dalla base contribuiscono a bilanciare le oscillazioni. Questa la formazione standard, ma là sotto le cose cambiano a seconda dei tratti percorsi. Per il tratto di via Roma e quasi tutto il Corso, dove si deve fare a meno dell’apporto delle aggiuntive, la formazione si riduce a 91 facchini. Ma nei punti più stretti di questo tratto, quando la base della Macchina passa radente ai muri, anche le spallette fisse devono momentaneamente mollare la presa e proteggersi spostando la testa e le spalle all’interno dei legni. Così, per alcuni istanti, la formazione utile può contare soltanto su 75 portatori. Ci sono poi le guide, facchini disposti ai vari angoli della base che hanno il compito di coadiuvare il capofacchino per direzionare la Macchina nella maniera ottimale. E infine, nella parte conclusiva del percorso, quella della difficile salita in corsa verso il santuario, intervengono le leve e le corde a spingere e tirare. Sulla carta tutto è stato detto, ora siete pronti: vivetelo.

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Cenni storici arliamo di una tradizione ultrasecolare, la cui origine risale al lontano 1258. Quell’anno, per volontà di papa Alessandro IV, ci fu la traslazione del corpo di Santa Rosa dalla chiesa di Santa Maria in Poggio (detta “La Crocetta”, in via Mazzini) all’attuale monastero a lei dedicato. Narrano le cronache che il corpo della giovane Rosa venne solennemente trasportato a spalla da quattro cardinali, dando così origine alla festa liturgica e al culto della santa. Le divise attuali dei facchini richiamerebbero proprio questo fatto storico. Il bianco simbolo della purezza della santa e il rosso della fascia in memoria della porpora dei cardinali protagonisti della traslazione.

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Le prime fonti attendibili sul Trasporto, nella forma in cui viene inteso oggi, ne datano l’inizio alla fine del 1600. Nella raccolta di bozzetti custodita presso il Museo Civico di piazza Crispi è presente quella che si ritiene la prima immagine certa della Macchina. È un disegno del 1690 eseguito da Giuseppe Franceschini che rappresenta la costruzione dell’epoca, progettata da Gregorio Fani. Nei secoli quello che originariamente era un baldacchino si è evoluto nelle forme e nelle dimensioni, grazie all’adozione di materiali sempre più flessibili e leggeri, fino alle alte torri che noi oggi conosciamo. Nel recente passato la Macchina ebbe prevalentemente l’aspetto di un campanile gotico, illuminato con torce e candele, da cui la tradizionale definizione di “campanile che cammina” che le diede lo scrittore Orio Vergani. Soltanto sul finire degli anni ’60 del secolo scorso, grazie al visionario e innovativo progetto di Giuseppe Zucchi si arrivò per la prima volta, con l’amatissimo Volo d’Angeli, ad abbandonare la consueta e massiccia struttura architettonica per liberarsi verso forme plastiche e creative che ancora oggi vivono nel ricordo di tantissimi viterbesi.

domenica 3 settembre 2017 diretta streaming: macchinadisantarosa.eu e lafune.eu diretta facebook: visitviterbo

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santa rosa

il 3 settembre

Sale l’emozione, a voi il “Giro delle sette chiese” Così i Facchini prendono la carica per affrontare al meglio la sera.

LEGENDA

raccoglimento, scandito dalle note del Silenzio, suonato dal solista della Banda di Vejano.

IL GIRO DEI FACCHINI

7) Piazza Maria SS. Liberatrice (o della Trinità) Dopo aver ascoltato le preghiere del Priore agostiniano, tutti gli uomini del Sodalizio intonano “mira il tuo popolo…”, in onore della Madonna Liberatrice, che ha assunto a Viterbo, fin dal Medioevo, una funzione di protettrice civica della comunità.

Le tappe 1) Piazza S. Lorenzo e Palazzo Papale La giornata “inizia” per i Facchini di Santa Rosa alle ore 14. Dopo la rituale foto di gruppo e una breve visita al Duomo, al ritmo delle note della banda musicale di Vejano inizia, per i protagonisti del 3 settembre, il tradizionale “Giro delle sette chiese”. 2) Piazza della Morte Percorrendo via S. Lorenzo i Facchini giungono in questa piazza, dove rendono omaggio a Santa Giacinta Marescotti, il cui corpo mummificato è custodito dalle monache di clausura presso il monastero di S. Bernardino. Dalle suore, ogni Facchino riceve una foglia, a ricordo di quelle di pungitopo, pianta con la quale la Santa terziaria si flagellava. 3) Piazza S. Maria Nuova Visita alla chiesa omonima, tra le più antiche di Viterbo, eretta intorno al 1100 in un sobrio stile romanico. 4) Piazza del Plebiscito Visita alla chiesa di S. Angelo in Spatha. La chiesa chiude uno dei lati di piazza del Plebiscito su cui, dal XIII secolo si affacciano le principali sedi amministrative: i rintocchi della campana della chiesa richiamavano al raduno i membri del Consiglio comunale. 5) Piazza della Repubblica Breve sosta al monumento al Facchino, opera scultorea del maestro Alessio Paternesi. 6) Piazza del Sacrario Omaggio al sacello dei Caduti delle guerre mondiali. Deposizione di una corona d’alloro e momento di

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8) Piazza S. Francesco All’interno della chiesa dedicata al poverello d’Assisi, i Facchini rinnovano il patto d’amore verso Santa Rosa, che proprio da San Francesco trasse l’ispirazione cristiana e la propria regola di vita. 9) Largo Facchini di S. Rosa Nel Santuario dedicato a Rosa, tutto il Sodalizio rende omaggio al corpo incorrotto della Santa ricevendo, ciascun Facchino, dalle suore Alcantarine, una piccola immagine benedetta, poi ascolta le esortazioni religiose del Vescovo. 10) Convento dei Padri Cappuccini Dalle 17,30 e fino alle 19 i Facchini, insieme ai familiari si recano presso il giardino del convento, per un breve periodo di relax. In un clima di serena amicizia viene poi consumata una piccola merendacena. Intorno alle 19, salutati i parenti, i Facchini ascoltano le ultime raccomandazioni tecniche e gli incoraggiamenti del Presidente del Sodalizio e del Capo Facchino e le sue ultime indicazioni per il trasporto. Poi i Facchini si inquadrano in formazione, per raggiungere la vicina porta della Verità. 11) Via Mazzini Entrando da porta della Verità, intorno alle 20, tutti gli uomini del Sodalizio rendono un doveroso e sentito omaggio alla chiesa di S. Maria in Poggio, luogo della prima sepoltura, nella nuda terra, di Santa Rosa. 12) Largo Facchini di S. Rosa Sempre al ritmo di “Quella sera del 3” tutta la for-

mazione “svolta” su via S. Rosa dove si vive un momento di grande emozione, quando i Facchini salutano parenti ed amici, seduti sugli scalini del Santuario, sollevando in alto i “ciuffi” e le “spallette”. Dalle ore 20,15 viene percorso a ritroso tutto l’itinerario dell’imminente Trasporto, tra gli applausi di una folla commossa ed ammirata. 13) Piazza S. Sisto (ore 20,30) All’interno dell’omonima chiesa, il Vescovo di Viterbo impartisce la benedizione “in articulo mortis” ai Facchini. La medesima cerimonia sarà ripetuta poco dopo all’aperto e ai piedi della Macchina di Santa Rosa, con tutti gli uomini del Sodalizio in ginocchio e la folla stipata nella piazza in religioso silenzio. (ore 21,00) Indirizzo di saluto della autorità. Il Sindaco “consegna” ufficialmente la Macchina di Santa Rosa nelle mani del costruttore, il quale affida il trasporto al Sodalizio, tramite il Capofacchino.

IL TRASPORTO Percorso della Macchina Le soste P) Piazza S. Sisto 1) Piazza Fontana Grande 2) Piazza del Plebiscito 3) Piazza delle Erbe 4) Chiesa del Suffragio 5) Piazza Verdi 6) Piazza del Sacrario 7) Via Marconi 8) Piazza Verdi A) Largo Facchini di S. Rosa

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la sicurezza

Indicazioni generali di comportamento da adottare sulle tribune installate in occasione del Trasporto A cura di Gruppo Carramusa srl | marketing@carramusagroup.com - Numero verde 800 912 908

VARCHI A seguito delle recenti indicazioni emanate dal Ministero dell’interno, si riportano di seguito le informazioni relative agli ingressi e all’uso delle tribune. I varchi di accesso alle tribune saranno presidiati dalle Forze dell’ordine e da personale della Security dove avverranno i controlli di sicurezza anche con strumenti tipo metal detector e/o altre attrezzature; nel corso dell’esecuzione dei controlli potrebbe essere necessario perlustrare contenitori, borse o altri oggetti. REGOLAMENTO E NORME DI COMPORTAMENTO SULLE TRIBUNE

· L’accesso all’interno dell’impianto di pubblico spettacolo ed alle attrezzature comporta il rispetto del presente regolamento; · Il possesso del titolo di accesso ed il rispetto del presente regolamento sono condizioni per l’ingresso e la permanenza nell’impianto; · Il titolo di accesso va esibito in qualsiasi momento a richiesta del personale di controllo e, comunque, conservato fino all’uscita dall’impianto; · A tutela della comune incolumità sono predisposti controlli all’entrata dell’impianto effettuati dal personale in servizio con la supervisione delle Forze di Polizia anche con l’utilizzo di apparati metal detector. All’interno dell’impianto è vietato · Introdurre valigie, trolley, borse o zaini se non di piccole dimensioni (le dimensioni di un foglio A4), bombolette spray (antizanzare, deodoranti, creme solari ecc.), trombette da stadio;

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· Introdurre o detenere armi, materiale esplosivo, artifizi pirotecnici, fumogeni, razzi di segnalazione, pietre, coltelli o altri oggetti da punta o taglio, catene; · Introdurre o detenere bevande alcooliche di qualsiasi gradazione, sostanze stupefacenti, veleni, sostanze nocive, materiale infiammabile; · Accedere e trattenersi in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti; · Introdurre o vendere all’interno dell’impianto bevande contenute in lattine, bottiglie di vetro, borracce di metallo o bottiglie di plastica di qualsiasi dimensione; · Introdurre animali di qualsiasi genere e taglia; bastoni per selfie e treppiedi; ombrelli e aste; strumenti musicali; penne puntatori laser; droni e aeroplani telecomandati; biciclette, skateboard, pattini e overboard; tende e sacchi a pelo; tutti gli altri oggetti atti ad offendere; · Esporre materiale che ostacoli la visibilità agli altri spettatori o che interferisca con la segnaletica di emergenza o che, comunque, sia di ostacolo alle vie di fuga verso le uscite; · Svolgere qualsiasi genere di attività commerciale che non sia stata preventivamente autorizzata, per iscritto, dalla società organizzatrice dell’evento; · Porre in essere atti aggressivi nei confronti del personale addetto al controllo; · Danneggiare o manomettere in qualsiasi modo strutture, infrastrutture e servizi dell’impianto; · Arrampicarsi su balaustre, parapetti, divisori ed altre strutture non destinate alla permanenza del pubblico; · Stazionare su percorsi di accesso e di esodo e su ogni altra via di fuga.

SECONDARY TICKETING Il Gruppo Carramusa srl, gestore delle tribune del percorso della Macchina di Santa Rosa edizione 2017 è associato dell’organizzazione Assomusica e si unisce a quanto l’associazione stessa ha pronunciato con comunicato stampa in merito al fenomeno del secondary ticketing: «Assomusica ribadisce la propria contrarietà a qualsiasi attività non autorizzata di rivendita di titoli di accesso per i concerti e/o spettacoli. Sollecita, dunque, le autorità di vigilanza ad attivarsi per impedire qualsiasi forma di speculazione a danno dei consumatori e degli autori, anche tramite accurati controlli, affinché i biglietti degli spettacoli vengano venduti solo e soltanto da chi è titolato ed autorizzato a farlo: organizzatori; ticket company autorizzate dagli organizzatori; soggetti terzi all’uopo autorizzati, la cui ragione sociale e/o la partita Iva figurino obbligatoriamente sui biglietti stessi. Invita altresì il pubblico ad acquistare i biglietti attraverso i circuiti ufficiali, diffidando da chi volontariamente froda Stato, spettatori e musica. Si rende urgente, pertanto, una normativa che possa consentire anche l’oscuramento di quei siti web che non rispettano le leggi in materia…”. Pertanto anche in occasione della vendita dei biglietti del trasporto in questione la nostra attenzione sarà massima e confidiamo nella collaborazione di tutte le istituzioni e dei fruitori affinché sia segnalata ogni anomalia circa il costo dei biglietti che ribadiamo essere: Piazza del Plebiscito - Euro 45 + d.p. Tutte le altre Piazze - Euro 40 + d.p.

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Tribune: vie d’uscita e vie di fuga

Piazza San Sisto

Piazza Verdi

Piazza Fontana Grande

Piazza della Repubblica Legenda: ––> percorso ingresso/uscita tribuna

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Piazza del Pebliscito ––> vie di fuga tribuna

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al bar de la fune

Tu stasera che fai? “Io, l’aspetto” Il senso dell’attesa in un dialogo da bar tra due vecchietti viterbesi.

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l bar de La Fune, che i viterbesi hanno preso l’abitudine di frequentare ogni santo martedì, i due soliti vecchietti hanno continuato a incontrarsi anche durante l’estate. Sono rimasti in città e affrontano un tema particolarmente sentito: l’arrivo della festa di Santa Rosa.

il Cuore di Santa Rosa secondo Viterbix

– Lo sae? – Ch’ho da sape’? – Che manca poco! – A che manca poco? – Com’a cché?… A Santa Rosa, se’ propio zuccarone eh? – Ecchis’aricordava, stavo a penza’ a ’l dolore ma l’ossa che me fà tribbola’ gni mattina… e comunque sì! Ce semo… e ppoe, come t’è vinuto penzato? – E gnente, stavo a ricordamme che facevamo co’ la mi moje de ’sto piriodo. – E che facevate? – Gnente! L’aspettavamo. – E che vòle di’? – Quello c’ho detto! – Ahò non me fa vini’ le fantijole eh! Ma che voi fa ’l mutolo ogge? Che t’ho

ddà fa’ le domanne pe’ sinti’ che te passa ma la capoccia? Là llà… Mò spiegame. – E gnente, c’ha presente quanno che aspetti ’na cosa che sai che ha ddà succede e che te renne fiero? No, vojo di’, fiero è ’l termine che me vene mò, ma no lo so se è ggiusto. È pe’ ditte che io e la mi moje ce sintimo ’gni giorno più bastonati da ’gni cosa, tipo, pe’ ddì, la vicchiaia, ’l dolore ma li lupini, la stiena, li fiji che te fanno ’ngojì, le quatrine che n’abbastono. È come se ’n fossimo più boni a fa’ gnente. Come si ’n zirvissimo più. Mò po esse che è perché vanno tutti de corsa e noi annamo sempre più piano, po essa che semo noi che se semo rincujonite tutt’assieme… – Po esse, ma che c’entra co’ Santa Rosa? – C’entra. C’entra eccome. Te dico: Pe’ me aspettalla significa mettese a penza’ al tempo ch’è stato, a quanno lavoravi come ’na bestia là pe’ li campi e te confrontavi co quelli che la volevano porta’, significa ricordasse le panacche sul groppone che je davi quanno l’in-

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contravi che l’evono portata. Perché io c’ho sempre avuto paura a sta’ lì sotto. Soffro de clustru… clastro… clustrofobbia. – Claustrofobia! – Vabbè, quella… Significa penza’ a quelli che ce so’ stati, ricordasse li sorrisi, le prighiere, le mano zozze de quanno ce lavoravi ’nzieme. Significa ave’ penato e pregato pe’ quelle famije quanno c’evono qualcosa che n’annava. Aspettalla è come essa emozzionato che arriva qualcosa o qualcuno che te fa senti’ callo nell’ossa, che te fa da medicina quanno non ce l’hae più. Aspettalla significa mettes’asseda la matina, anna’ a fa du’ gocce d’acqua là pel barre, magnasse ’n panino co’ la coppa o la lonza, da’ du’ carezze a ’ste fije che so’ tra le zinne de le madri, significa preparasse le sidiucce, vestisse bbene pe’ anna’ a la funzione o a la prucissione. – Orca ’nculata tutte ’ste fregne significa aspettàlla? – Essì eh, significa aspetta’ quel giorno quanno tutti stanno col naso all’inzù, quanno se sente c’ha ddà succeda ’n miracolo. Perché quello che succede è ’n miracolo. Che tt’ho da di’, quann’è Santa rosa io, e la mi moje pure, se sentimo bbene. – Sa’ che vòr di’ pe’ me ’nvece? Aspettalla significa ridivinta’ de ’sto posto, magari pe ’n par de settimane. – Po’ esse pure que’. Significa sentisselo proprio addosso ’sto posto, chi ssei de qui, significa sinti’ che ne fai parte, sinti’ ch’è mio perché magari l’antri giorne te fanno passa’ la voja. Que’ è ’l miracolo, quell’o’. E tocca dillo, è ’l miracolo dell’ommini che lo fanno succeda e de quella statua su quella cannela gigante. – Già, che raccoje le preghiere e le speranze de tutti quelli che lo vedono e si trasforma in meravija… – Aspettamo và… – Aspettamo…

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i facchini

Tutti d’un sentimento enza facchini di Santa Rosa non c’è Macchina, non c’è Trasporto, rimane ben poco di una tradizione e di un sentimento capace di attraversare i secoli e farsi nuovo ogni tre settembre. Rimane poca cosa, o forse anche nulla, di questa storia di carne tutta viterbese capace di incantare la gente, i papi e il mondo; portando a casa il 4 dicembre 2013 il titolo di Patrimonio dell’Umanità.

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I facchini sono il motore umano della Macchina. Un patrimonio di diversità capaci di farsi “tutti d’un sentimento”; di accollarsi cinquanta quintali di peso sul “groppone” del gruppo, di spingere verso un unico obiettivo. Il Sodalizio è sotto moltissimi aspetti, forse quelli centrali, il perno della festa e della devozione che si rinnova. Esempio per i viterbesi, stimolo per i giovani e persone rispettate da tutti per lo sforzo, il sacrificio e la devozione che permettono ogni anno il ripetersi del miracolo del Trasporto. Tanto che avere un facchino in casa è una sorta di benedizione, un orgoglio. Così come essere amico di un facchino o più semplicemente anche vicini di appartamento. Nei giorni intorno al tre settembre e soprattutto “quella sera del tre” chi indossa la tradizionale divisa non è più solo sé stesso. È simbolo, è spirito e sentimento di una città tutta. Diventa braccia, gambe, sudore e cuore dei viterbesi. Viterbesi che dalle vie, piazze, finestre hanno nella gola e nell’anima un semplice e totale incitamento: “Dateje”. Per i lettori viterbesi non c’è niente da spiegare, avranno già la pelle d’oca. Per chi non lo fosse questo strano trisillabo può essere dettagliato meglio così: “Mettetecela tutta, siamo una cosa sola con voi. Spingete sulle gambe, portate in alto la Macchina, fateci battere il cuore e bagnare gli occhi. Possiamo vincere questa sfida tra l’uomo e il peso, perché siamo uniti in Rosa e niente possiamo temere”. Non si diventa facchini in un giorno e non lo si è solo per un giorno. Abbiamo cercato di riassumere gli aspetti centrali di questa figura, di questo ruolo, di questi uomini.

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La selezione Si diventa facchino superando quella che viene detta “la prova di portata”. Consiste nel portare sulle spalle una cassetta del peso di 150 chilogrammi, lungo un percorso di 90 metri. Percorso tracciato all'interno della ex chiesa della Pace (vicino porta della Verità) e che segue il perimetro della navata (circa 30 metri), ripetuto per tre volte. Ogni anno, a giugno, la prova deve essere sostenuta sia dai veterani che dai nuovi aspiranti e la valutazione dell’idoneità è di esclusiva responsabilità del capofacchino. Sempre all’interno della ex chiesa della Pace si tiene, a poche settimane dal Trasporto, una riunione per definire la formazione e assegnare i compiti con la consegna delle tradizionali protezioni. La divisa Tutti i facchini indossano una precisa divisa. Si compone di una camicia bianca a maniche lunghe arrotolate sopra i gomiti, pantaloni bianchi fermati sotto le ginocchia (alla “zuava”), fascia rossa in vita, fazzoletto bianco annodato alla corsara, scarponcini neri alti e calze bianche lunghe fin sopra il ginocchio. Prima della seconda guerra mondiale l’attuale fascia rossa della divisa dei facchini era sempre rossa, ma arricchita con delle bande colorate. Alle estremità inoltre erano poste delle grange di fili rossi, rosa e blu; annodati a mano.

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Il capofacchino e le guide si distinguono perché indossano pantaloni neri e la fascia trasversale con i colori di Viterbo: giallo e blu. Diversi sono i ruoli previsti all’interno della formazione ma tutti rivestono uguale importanza e responsabilità per la sicurezza e la buona riuscita del Trasporto: guide, ciuffi, spallette, stanghette, leve, cavalletti. LA GIORNATA DEL FACCHINO La “vestizione”, il raduno e il “giro delle sette chiese” In principio è il raduno. È la “porta d’ingresso” mentale al Trasporto. I facchini arrivano, nel primissimo pomeriggio, tutti con la divisa in perfetto ordine, i più tradizionalisti e residenti nel centro o nelle vicinanze uscendo di casa a piedi. Prima di questo momento d'incontro, nel privato delle case, si è consumato un altro importante rito: “la vestizione”. In genere è la madre a vestire il facchino-figlio o se sposato la moglie. Si tratta di un momento intimo, di grande raccoglimento e festa. Una commozione che nelle case dei cavalieri di Rosa si ripete ogni anno, dando il via al giorno più importante. Al raduno i facchini ricevono il saluto delle autorità civili e religiose. È il momento delle parole, dei discorsi, della prima carica. Poi la formazione si schiera e si avvia per le vie della città dove si svolge il “giro delle

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i facchini

sette chiese”. Il giro si conclude al santuario di Santa Rosa dove i facchini sfilano lentamente davanti alla grata che protegge l’urna con il corpo della santa, soffermandosi in preghiera. Il ritiro Altro momento forte e centrale nella preparazione è il ritiro. Terminato il giro delle sette chiese i facchini si spostano nel boschetto del convento dei Cappuccini a San Crispino per riposare e intrattenersi con le proprie famiglie. Quando si avvicina l’ora del Trasporto i facchini si raccolgono in silenzio attorno al capofacchino, che li saluta e li incita a dare il meglio di sé con entusiasmo, per la santa e per la città. Concluso questo momento importante di raccoglimento la formazione si avvia verso la chiesa di Santa Rosa. Quando i facchini passano davanti al sagrato ripetono la bella tradizione del saluto ai propri familiari, lì raccolti, alzando ciuffi e spallette. Quindi, percorrendo il percorso al contrario, sfilano abbracciati verso la Macchina. Lungo il percorso ricevono gli applausi e l’incoraggiamento della folla presente in attesa del passaggio della Macchina. Verso la “mossa” Arrivati a piazza del Comune c’è l’incontro con il sindaco e le autorità presenti, che entrano nel corteo precedendoli nell’arrivo a San Sisto. Appena le prime file dei facchini arrivano a piazza Fontana Grande la Macchina, fino a quel momento oscurata dal buio, viene improvvisamente illuminata, come ad accoglierli. Giunta a San Sisto la formazione entra nella chiesa dove i facchini si raccolgono in preghiera. Un fiume di fazzoletti bianchi che riempie le navate, forse una delle immagini più dense e suggestive dell'intera festa. Il vescovo impartisce la benedizione “in articulo mortis”. La benedizione

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viene quindi ripetuta anche all’esterno, con tutti gli uomini in ginocchio ai piedi della Macchina. Quindi il primo cittadino consegna ufficialmente la Macchina nelle mani del costruttore, che affida il Trasporto al capofacchino. Il “sollevate e fermi” Ora è tutto pronto. Al centro è il capofacchino con la sua voce. È tutto un incontrarsi di occhi, un attivarsi di movimenti precisi. Il capofacchino compone la formazione sotto la Macchina. Parte dalle stanghette posteriori e va avanti. Tutte le luci vengono spente, silenzio. Poi una voce squarcia il buio, squarcia il silenzio: “Siamo tutti d’un sentimento?”. Il “sì” esplode da sotto la base della Macchina. Arriva una sequenza di comandi; “Sotto col ciuffo e fermi!”. “Fermi!”. “Facchini di Santa Rosa, sollevate e fermi!”. Questa è la “mossa”. L’impeto dei facchini è tale che la Macchina balza verso l’alto di colpo, come a prendere vita. Sembra ricadere verso il basso, assestarsi sulle schiene e le spalle. Tutto è pronto: “Per Santa Rosa, avanti!”. Quindi tutte le tappe fino alla salita del Santuario, la posa della Macchina e gli abbracci.

Il Comune di Viterbo ha riconosciuto la “cittadinanza benemerita” ai facchini che hanno effettuato il Trasporto della Macchina di Santa Rosa nell’anno giubilare 2016, con l’allungamento del percorso fino al Sacrario. In quell’occasione, all’arrivo, fu dedicato un sollevate e fermi in ricordo dello scampato pericolo del 1986, quando la Macchina di Santa Rosa era quasi sul punto di cadere, ma fu risollevata grazie alla forza dei facchini.

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la macchina

I numeri di Gloria

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metri d’altezza dalle spalle dei facchini e 50 quintali di peso, queste le dimensioni di Gloria. Il progetto è dell’architetto Raffaele Ascenzi, mentre la Edilnolo ne ha curato la costruzione e ora l’assemblaggio. La base A sorreggere il fusto della Macchina delle grandi statue molto particolari. Raffigurano un facchino ancestrale, mitico e senza tempo. Questo l’omaggio di Raffaele Ascenzi ai portatori del “campanile che cammina”. Una figura suggestiva e un simbolo denso di significati. L’omaggio del disegnatore, che già ha regalato alla città di Viterbo una Macchina importante come Ali di luce, a chi ha segnato sulle proprie spalle la storia di Viterbo. Il fusto Le linee sono ispirate al reliquario che contiene il cuore di Santa Rosa. Ne riprende la pianta triangolare e le forme. Lo donò papa Pio XI alle suore clarisse ed è un pezzo importante della tradizione, che i facchini portano per le vie della città durante la processione del 2 settembre La statua della Santa In cima alla mole è posta la statua della patrona. Da sottolineare i tratti del viso da bambina.

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Macchine nella storia recente Le preghiere dei viterbesi dentro le vasche Le vasche di fontana sotto alle guglie gotiche sono state pensate come a dei contenitori. All’interno le lettere e i bigliettini che i viterbesi scrivono durante l’anno alle suore di Santa Rosa. Si tratta di richieste, di preghiere, di voti. Sono i pensieri d’amore e d’aiuto che i viterbesi rivolgono alla patrona. Un elemento pensato dall’ideatore Raffaele Ascenzi per rendere il trasporto più vivo e avvicinare sempre più la Macchina alle persone, che è la cosa più importante. Pesante all’occhio Ascenzi, oltre a essere l’ideatore di una precedente Macchina, è stato anche facchino di Santa Rosa. Conosce dunque bene che tipo di Macchina vuole portare un facchino. Una struttura imponente, che deve sembrare importabile. Deve apparire di un peso incalcolabile. Il perché del nome Gloria come “Gloria in Excelsis Deo”, una musica bellissima scritta da Vivaldi e che ha ispirato il lavoro di progettazione dell’architetto e del suo team di lavoro. Lo stesso Ascenzi nel giorno della vittoria del suo bozzetto ha dichiarato: “L’abbiamo chiamata Gloria perché celebra i tanti trasporti gloriosi che si sono succeduti nei secoli. Tutti per portare in trionfo la patrona tra le vie della città”.

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VOLO D’ANGELI (1967-1978) di Giuseppe Zucchi Trenta metri di altezza e capace di unire in una mirabile sintesi costruttiva tutte le caratteristiche architettoniche della città. È una delle Macchine più care ai viterbesi.

SPIRALE DI FEDE (1979-1985) di Maria Antonietta Palazzetti Valeri Prima Macchina di Santa Rosa progettata da una donna: Maria Antonietta Palazzetti Valeri. Ebbe l’onore di due trasporti eccezionali: nel 1983 per i 750 anni dalla nascita di Rosa e nel 1984 per la visita di Giovanni Paolo II.

ARMONIA CELESTE (1986-1990) di Roberto Joppolo Una summa dei principali monumenti viterbesi, sormontati da una allegoria di angeli ascendenti al cielo. Durante il suo primo trasporto rischiò di cadere sulla folla a Santa Rosa, i pericoli vennero scongiurati grazie allo sforzo dei facchini.

SINFONIA D’ARCHI (1991-1997) di Angelo Russo Il suo modello sarà ricordato come uno dei più originali, avendo avuto il merito di distaccarsi dai consueti canoni di costruzione e coniugando in una mirabile sintesi artistica archi, scale e profferli viterbesi.

UNA ROSA PER IL DUEMILA Tertio Millennio Adveniente (1998-2002) di Marco Andreoli, Giovanni Cesarini, Lucio Cappabianca Una slanciata ed elegante struttura che ripercorre architettonicamente la storia del territorio, oltre i trenta metri di altezza.

ALI DI LUCE (2003-2008) di Raffaele Ascenzi Introduce, con grande originalità, un movimento meccanico di alcune parti della struttura che – durante le soste – si aprono a guisa di luminosi petali di fiori.

FIORE DEL CIELO (2009 – 2014) di Arturo Vittori È la Macchina con cui si arriva al riconoscimento del titolo dell’Unesco nel 2014 e che ha avuto in sorte la trasferta milanese a Expo 2015. Introduce ulteriori elementi tecnologici.

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intervista

foto © Manuel Gabrielli

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“Dobbiamo essere uniti tutto l’anno come il tre settembre” Intervista al presidente Massimo Mecarini all'ex chiesa della Pace, “il nido” del Sodalizio. x chiesa della Pace, pieno pomeriggio di agosto. Massimo Mecarini apre la porta ed entriamo in un luogo sacro per il Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa. Li rappresenta tutti, in qualità di presidente. Sono circa 40 anni che fa parte di questo gruppo, dalla prova di portata del 1979. Prova che in realtà fece nel palazzo di fronte, Borgognoni, perché allora la ex chiesa era inagibile. Lo spazio è vuoto, ci fa accomodare dove di solito siede il direttivo. Lo intervistiamo lì. Nel silenzio sono quasi palpabili i ricordi e le tante storie che si sono intrecciate all’ombra di questi affreschi.

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Che cosa rappresenta l’ex chiesa della Pace? “Questo luogo è la memoria storica dei miei quasi 40 anni di presenza nel Sodalizio. Le prove di portata, le assemblee… Tanti ricordi. Questo posto, più che la sede sociale che sta a San Pellegrino, è il vero luogo sacro del Sodalizio. È il nido”. Vi sale l’emozione quando entrate qua dentro a ridosso del Trasporto? “Non ci possiamo soffermare molto sulle emozioni e sui sentimenti a ridosso della festa. Ci sono tante cose a cui pensare. Siamo concentrati sul da farsi. Quando vieni qui da solo invece è diverso, nel silenzio hai modo di pensare e ricordare tante cose”. Cosa è il presidente del Sodalizio? “Il presidente è il braccio e la mente. Deve sempre stare sul pezzo. Non solo a ridosso della festa ma anche durante l’anno”. Ti senti un po’ il padre di questo gruppo? “Sì padre, fratello, zio. Tutto. Una persona di riferimento per le cose pratiche. Le persone si rivolgono a me, facchini ma anche dall’esterno, per le cose più disparate. Mentre il capofacchino è visto più come la guida della Macchina, una posizione diversa. Il presidente, come diceva Gandhi, è l’ultimo

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dei servitori. Ci devi stare sempre e per tutte le cose”. I facchini ti chiamano per incoraggiamenti e consigli? “Sì, qualche volta capita. Capita che c'è qualcuno che ha qualche perplessità. Anche non strettamente inerenti al Sodalizio e alla vita del Sodalizio”. Cosa è il Sodalizio per Viterbo? “Penso che sia un punto di riferimento, lo spero pure. Credo sia una realtà importante, a cui riferirsi per tanti aspetti. Per quello che rappresenta, per come riesce a mettersi in moto e per come viene considerato non solo in città ma anche fuori”. Come vivi il tre settembre? “Mi alzo prestissimo, pur essendo andato a dormire tardi dopo le strisce sul percorso, con mille cose da fare. Quel giorno non me lo godo come quando ero facchino. Prima era meglio, in realtà non riesci a goderti la festa. Devi pensare a tantissime cose pratiche, sperando sempre che vadano bene dal punto di vista organizzativo. Hai un occhio al cielo, per il meteo, l’orologio che incombe, la tabella di marcia… Sono quello che si trova a dire: “è ora di andare”. Qualcuno deve farlo. Negli ultimi anni neanche pranzo, mi passa la fame”. Giro delle sette chiese, la tappa più bella? “Un momento molto forte si vive alla chiesa della Trinità quando si canta, ma anche a Santa Rosa. Ogni tappa ha la sua particolarità e ho ricordi legati a ogni chiesa che si ricollegano ai tantissimi anni della mia esperienza”. Quanto dura nella tua testa il Trasporto? “Dura tanto. Anche il giorno dopo ripensi a qualche eventuale sbavatura, a qualcosa da fare meglio. La

perfezione non esiste. Il Trasporto mi rimane in testa per giorni, anche se ormai sono talmente tanti che si mescolano. Non scorderò mai la prima volta in via Marconi, il Papa nell’86, i trasporti con Nello, con Lorenzo, la prima volta da ciuffo”. Uno si sente facchino tutto l’anno? “Dal punto di vista dell’impegno dura tutto l’anno. Non c’è un giorno in cui non puoi non pensare al Sodalizio. Può capitare qualche settimana ma mentalmente ci devi stare sempre”. Cosa c’è del Trasporto a casa del presidente? “Due targhe appese. Sono abbastanza iconoclasta. Me lo tengo nella mente e nel cuore. Ho due tre modellini di Macchina su una libreria e le targhe dei trenta e trentacinque anni di Trasporto appese. Tutto qua”. Il titolo Unesco quanto ha cambiato la festa? “Ho visto cambiamenti, anche a livello del flusso turistico. Entrare nel circuito Unesco ha cambiato la cosa anche se nella nostra città questo non è stato ancora capito bene”. Un messaggio per i viterbesi… “Cercate di essere tutti come siamo il tre settembre. Il tre settembre siamo tutti facchini, anche la gente che sta fuori la Macchina e che aiuta con il calore e la partecipazione. Una cosa che si sente molto. Dovremmo essere concordi durante l’anno, bisognerebbe provarci. Per Viterbo, una città che meriterebbe molto di più. Anche il culto della Santa dovrebbe essere coltivato di più. Serve tempo, mentalità e pazienza. Bisogna essere meno litigiosi, servirebbe da parte di tutti un atteggiamento diverso. I viterbesi comunque rispondono sempre bene, il successo di ogni anno delle cene in piazza ne è un esempio”.

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la macchinite

La grande storia della costruzione uesta è la storia di un’estate, quella del 2015, che ha come teatro il capannone della Edilnolo sulla Tuscanese. È il racconto di una “malattia grave”, che potrebbe essere chiamata anche “passionaccia” o addirittura “macchinite”. È passata per gli occhi, la mente e la mano di Bruno Pagnanelli. Fotografo? No, altra roba. Come altra roba sono quelli della famiglia Fiorillo, che pensare di definire costruttori della Macchina di Santa Rosa sarebbe come valutare di poter svuotare il mare con un guscio di noce.

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Stesso paio di maniche per Raffaele Ascenzi, sulla carta disegnatore di Gloria. Nella realtà un altro affetto da “macchinite” cronica con recidive plurime. Tutta umanità a stretto contatto, impegnata mani, piedi, occhi, cervello e cuore nella gestazione della nuova Macchina di Santa Rosa. Le foto che vedete sono pezzi di un diario della Macchina, composto giorno dopo giorno da Pagnanelli e sparato sul web attraverso i social. Per La Fune il colpo di fulmine per un lavoro di questo tipo, il primo nella storia del Trasporto, è stato immediato. Incontro con Pagnanelli, spiegazione della volontà di farne un diario e poche ore dopo era già tutto online. Il numero di lettori ha confermato la bontà dell'intuizione, raggiungendo numeri straordinari. I lettori di questo speciale cercano risposte a una domanda: come è nata Gloria? Dalla condivisione, dal sacrificio, dalla costanza e dalla fede di riuscire in un'impresa significativa. Tutto questo ha preso forma tra gli uomini, declinandosi in gente sudata, sigarette, cacciaviti, trapani, fili, tralicci. Tutto ha assunto volto, mani, lingua. In una parola: carne. Mirko, Alessio, Vincenzo, Roberto, Raffaele, Franco e Bruno. Bruno lì in mezzo a loro, che neanche conosceva. Con loro per il brindisi finale, le pasterelle per il compleanno di Mirko e le battute per spezzare il caldo e la fatica. Il tre settembre è in fondo il rinnovarsi di un miracolo. La costruzione di Gloria è stato un bel preambolo a tutto.

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Poggino: 1

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con il Parco Commerciale Artigianale si persegue un obiettivo comune

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tale scorso che ha battezzato pubblicamente la “sacra alleanza”.

come se avessero rifondato il Poggino: oggi è un quartiere bellissimo. O meglio potrebbe esserlo, se fosse bello e costruttivo quanto il clima di collaborazione che si è generato tra decine di imprenditori che hanno deciso di rimboccarsi le maniche e di fare quello che in tanti non riescono a fare. Ovvero guardarsi in faccia e darsi degli obiettivi comuni investendo in un progetto che va oltre le proprie specifiche sovranità e legittime autonomie di ciascun imprenditore. Un progetto condiviso di rilancio del quartiere commerciale, artigianale e produttivo, del quale potrà beneficiare tutta Viterbo. Anche perché qui c’è proprio tutto, e un’area commerciale così vasta nella Tuscia non c’è. Servizi per la persona, per le automobili, negozi di abbigliamento e anche spazi per il food & beverage.

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nsomma qualcosa si muove e, nonostante le difficoltà, la fiducia e la voglia di fare, tipica di questi imprenditori, non cala. Gli annunci dell’amministrazione comunale cittadina con il progetto sulle Periferie con i fondi del Governo che si giocherà in gran parte su questo quadrante di Viterbo, fanno solo che ben sperare. Non sono certi i tempi, ma anche grazie alle indicazioni degli imprenditori potrebbero presto vedere la luce piste ciclabili, elementi per il decoro urbano e il prolungamento del vialone centrale, viale dell’Industria, fino all’ex Fiera. Un modo per snellire il traffico sulla Cassia e per aumentare il passaggio di auto all’interno del Parco del Poggino.

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olto di questo è possibile grazie alla grande attenzione mediatica che il Poggino ha acquisito in seguito alla nascita della rete. Una rete che è un modello per tutti coloro che affrontano problemi complessi. È proprio difficile non vederci uno spiraglio di luce e non coglierne un messaggio di speranza. In un’epoca nella quale la tendenza diffusa è quella di curare solamente il proprio orticello, l’esempio del Poggino è un esempio mirabile.

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un clima positivo quello che si respira parlando con gli imprenditori, determinati a fare qualcosa che vada oltre all’impegno già profuso ogni giorno per mandare avanti la propria attività. Hanno autoprodotto una mappa del quartiere, quanto mai necessaria per orientarsi nel Parco, hanno stilato una serie di proposte, alcune le hanno realizzate e hanno anche fatto una serie di iniziative. Come quella del Na-

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curiosità

Non sempre è andato tutto liscio Una tradizione secolare quella del Trasporto, che si è intrecciata negli anni con centinaia di migliaia di vite ed è passata anche per incidenti, rinvii dovuti a questioni meteorologiche sanitarie o politiche, modifiche del percorso e fortunate circostanze. Il terribile 1814 e i tanti lutti del 1801 ll’altezza di Palazzo Bussi, a metà Corso, i facchini stremati per la mancata distribuzione dei pesi non riuscirono più a tenere in piedi la Macchina. Cercarono di resistere, fino allo stremo delle forze, per permettere alle persone di allontanarsi. Poi il crollo. Alcuni cavalieri di Rosa rimasero uccisi, altri gravemente feriti. Non se ne conosce il numero esatto. Quel trasporto fu particolarmente sfortunato. Era il 5 settembre del 1814. Il 3 non era stato possibile far partire la Macchina per assenza del delegato apostolico, il 4 la pioggia dettò il rinvio. La sera del 5 settembre, un comando errato al momento della “mossa” fece cadere all’indietro la mole, uccidendo due facchini e distruggendo la tettoia che la custodiva a San Sisto. La situazione fu ripresa in mano ma il peggio tornò a mostrare il suo volto a metà del tragitto. In quell’occasione fu innalzato un aerostato e illuminata la torre del Palazzo del Comune. Pochi anni prima un altro trasporto nero. Correva il 3 settembre 1801, all’altezza di piazza Fontana Grande la folla va fuori controllo intorno alla Macchina. La calca e il calpestio del fuggi fuggi fa 33 vittime. A innescare il tutto uno scippo, subito da una donna, tale Sensi di Grotte Santo Stefano, che

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inizia a urlare. La gente non capisce cosa sta accadendo e inizia a scappare, il panico si diffonde fino al punto che la massa spaventata finisce per travolgere anche la processione che accompagna il Trasporto. I facchini, con sforzo eroico, si fermarono attendendo lo sgombero della via, tenendo inchiodata alle spalle la Macchina per mezz’ora all’altezza di palazzo Fani. Poi proseguirono il tragitto ma la struttura danneggiata prese fuoco in piazza delle Erbe e fu abbandonata in fiamme. Nella storia del Trasporto si registrano altri incidenti minori. Nel 1758 la Macchina cadde alla “mossa”. Venne comunque rimessa in piedi per riprendere il cammino. Nel 1776 un’altra caduta a piazza del Plebiscito. Nel 1790 ancora una caduta alla “mossa”, con danneggiamenti importanti che non permisero di andare avanti. Bisogna scorrere fino al 1820 per trovare un nuovo incidente, questa volta la Macchina di Angelo Papini cadde davanti la chiesa di Sant’Egidio (sul Corso), causando la morte di un facchino. Nel 1877 la Macchina, nel tratto tra le chiese di Santa Maria del Suffragio e di Sant’Egidio toccò una gronda e la fece cadere. Nel 1899 alla “mossa” cadde il cupolino, subito ripristinato alla meno peg-

gio. In piazza del Comune presero fuoco i capelli della santa e con loro la statua stessa. La Macchina, nonostante tutto, riprese il cammino e raggiunse la meta. Bisogna arrivare in epoca più recente per trovare un altro incidente significativo. È il 3 settembre 1967 quando Volo d’Angeli di Giuseppe Zucchi si ferma in via Cavour. I facchini lamentano che la macchina si avvitava su se stessa durante il trasporto, a causa della modifica apportata dal costruttore che aveva abolito le travi alla base. La Macchina rallentò la sua corsa, si fermò e sbandò verso destra colpendo la grondaia di Palazzo Gentili. Fu poggiata sui sostegni, puntellata e ancorata. Venne smontata lì. Un inizio traumatico per Volo d’Angeli, che venne portata per dodici anni consecutivi (fino al 1978) entrando nel cuore dei viterbesi.

La tragedia sfiorata nel 1986 e la tromba d'aria del 2007 ella storia recente la tragedia è stata sfiorata due volte. In maniera più grave nel 1986 quando in cima alla salita di Santa Rosa, a pochi passi dall’arrivo, Armonia Celeste quasi crolla. Decisivo fu l’intervento di Nello Celestini, che rubò il microfono al costruttore Socrate

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Sensi e ridiede forza ai facchini che riuscirono a rialzare la Macchina e a salvare i loro compagni schiacciati dal peso della struttura. Nel 2007 invece un incidente si ebbe qualche giorno prima della partenza, una tromba d’aria fece crollare quasi Ali di Luce. Fu rimessa in piedi e il trasporto si svolse senza problemi. I rinvii e i percorsi diversi el 1686 il Trasporto dovette attendere fino al 27 ottobre, a causa del continuo cattivo tempo che consigliò prudenza e rinvii ripetuti. Nel 1799 è la morte di papa Pio VI a far attendere, anche in questo caso si attese il 27 ottobre. Tra le cause dei mancati trasporti c’è anche il colera, un’epidemia scoppiata a Roma e a Viterbo impedì il rinnovarsi della tradizione nel 1837. Dal 1842 al 45 l’ultima tappa del percorso venne spostata a piazza della Rocca, per lavori in corso alla basilica di Santa Rosa. Nel 1846 la fermata venne fissata a piazza Della Vittoria, all’epoca piazza dell’Oca. Una bufera di pioggia fece slittare l’evento al 7 settembre nel 1862 mentre i moti garibaldini del 1867 fecero rinviare al 17 novembre e il cattivo tempo determinò un ulteriore slittamento al 21. Nel 1878 il trasporto venne effettuato il 5 settembre per il forte vento. Ancora il colera bloccò il rito nel 1884 mentre l’anno successivo il Trasporto venne completato ma una pioggia dirompente danneggiò la Macchina da poco posata davanti alla chiesa. Il 3 settembre 1893 una pioggia scrosciante impedì il trasporto e fu davvero una benedizione. Si venne infatti a sapere dopo che degli anarchici erano intenzionati a lanciare bombe contro la Macchina, perché volevano fosse liberato dalla prigionia un loro compagno. La seconda guerra mondiale blocca il Trasporto e nel ’46 la partenza viene spostata a piazza Fontana Grande perché San Sisto è stata ridotta a un cumulo di macerie dai bombardamenti aerei. Nella storia dei percorsi anomali c’è “l’allungo” su via Marconi del 1952, che è stato replicato nel 2014 per festeggiare il riconoscimento Unesco alla tradizione della festa di Santa Rosa e reintrodotto dallo scorso anno in occasione dell’Anno Santo.

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L’omaggio dei Papi ogliere una colonnina centrale da una delle bifore al primo piano di Palazzo dei Priori è un segnale chiaro per i viterbesi: il papa assisterà al trasporto. È accaduto così, per la prima volta, il 6 giugno del 1815. In quell’anno si ebbe un trasporto straordinario in onore di Pio VII. Il pontefice rimase profondamente colpito dallo spettacolo ed esclamò queste parole: “Bellissima! Rarissima!”. In quell’occasione accolse i facchini all’onore del bacio del piede. Poi venne il turno di Gregorio XVI, che ammirò lo spettacolo da un palco allestito su piazza del Comune, posto in maniera perpendicolare a via Cavour. In quell’occasione i facchini piegarono un po’ le gambe per far fare un inchino alla mole davanti al papa, rimasto stupito. Era il 3 ottobre del 1841.

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Venne anche Pio IX il 3 settembre del 1857. Si replicarono la rimozione della colonnina, l’inchino e gli onori del bacio del piede per cavalieri di Rosa e costruttore. Ancora vivo nella memoria della città il trasporto straordinario del 27 maggio 1984 per Giovanni Paolo II e la frase: “Valeva la pena di venire a Viterbo”. Anche in quell’occasione il papa polacco vide lo spettacolo da Palazzo dei Priori, a togliere la colonnina per l’occasione fu personalmente il costruttore Alberto Ciorba. Un anno prima la forza dei facchini aveva regalato alla città, nel giorno del 9 luglio, un trasporto straordinario in occasione del 750esimo anniversario della nascita di santa Rosa. Una San Firmino in salsa giallo-blu mmaginate giovani e prestanti viterbesi alle prese con una sfida che richiama alla mente, per qualche verso, la tradizione spagnola di San Firmino. Il centro della scena è piazza del Comune, dove nel Settecento andava in scena la “Giostra della Bofala”. Ne abbiamo trovato memoria in uno dei tanti lavori del giornalista viterbese Mauro Galeotti che riporta un passo del manoscritto, datato 1737, di Feliciano Bussi sugli “Uomini illustri”. “Nell’ultimo giorno della festa – scrive Bussi – nella piazza del Comune, ridotta in un gran teatro chiuso per ogni parte, si lasciano a suon di trombe due bufale sciolte, e senza cani, contra le quali si avventano moltissimi animosi giovani con grossi bastoni in mano, ansiosi (se loro piace) di ammazzarle a colpi di bastonate, benché per altro sovente succeda, che taluno di essi resti da tali bestie non solo storpiato, ma anche occiso”. Nel 1849 la giostra delle bufale viene soppressa. Andrea Pila, commissario pontificio straordinario scrive: “Gl’individui soltanto irriflessivi, e di non molta educazione ornati, possono trovare piacere, e diletto nel vedere uomini senza considerazione esporsi ai più gravi pericoli per lottare con bestie indomite”.

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La donna che guidò la Macchina di Santa Rosa Negli anni ’50 dell’800 una donna ha saputo ritagliarsi il ruolo di protagonista nella storia del Trasporto. Si tratta di Rosa Papini, moglie dello storico costruttore Angelo Papini. Quando quest’ultimo morì, correva l’anno 1850, fu lei a guidare la Macchina, riproponendo il modello del 1840. È la prima volta in assoluto che il Trasporto ha una guida “in rosa”. Nel 1851 la stessa presenta un nuovo modello disegnato dal figlio Raffaele. Nel 1852 riporta in trionfo la Macchina del marito progettata nel 1825, l’anno seguente il modello del 1830 e, infine, nel 1854 quello del 1842. Così ben cinque trasporti consecutivi vennero guidati da una donna.

Due immagini storiche. In alto, 2007: Ali di luce inclinata su un fianco all’interno del traliccio travolto da una tromba d’aria; qui sopra, 1967: Volo d’Angeli bloccata a via Cavour.

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intervista

Leo Bonucci: “Per un viterbese il Trasporto della Macchina è il massimo” Il campione si racconta tra ricordi e prospettive future. eonardo Bonucci. Campione internazionale, motore della Juventus, protagonsita nel calciomercato di questa estate e oggi in forza al Milan. Leonardo Bonucci, un viterbese. Lo abbiamo contattato proprio nei giorni più febbrili del calciomercato e lui non si è negato. Ha rilasciato questa intervista dove racconta un po’ del Trasporto della Macchina, dei ricordi, di cosa spera per il futuro. Godetevelo.

Hai mai pensato di fare il Facchino? “Sinceramente no”.

pomeriggi passati sulle sedie pieghevoli. Ricordi indelebili”.

Quando hai segnato il tuo primo gol in gare ufficiali della Nazionale nel 2010, era proprio il 3 settembre. Che cosa hai pensato? “Che era destino. Che era già tutto scritto. Un viterbese in gol con la maglia della Nazionale nell’esatto momento in cui a Viterbo la Macchina veniva sollevata. Magnifico”.

C’è una Macchina alla quale sei più legato rispetto alle altre? “Ali di Luce”.

Cosa significa per te il Trasporto della Macchina di Santa Rosa? “È il simbolo di Viterbo. È l’evento di cui andare orgogliosi. È la sera in cui Viterbo si accende”.

Quanto ti manca tornare a vivere un Trasporto? “Mi manca, vorrei riuscire a portarci mia moglie e i miei figli. Purtroppo non sono ancora riuscito. Ma ci riuscirò”.

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Qual è il tuo primo ricordo della Macchina? “Ricordo la prima volta che vidi il Trasporto, fu dalla partenza. Il cuore batteva e avevo anche un po’ di paura. Io ero piccolo e la Macchina era altissima”.

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Quando vivevi ancora a Viterbo, dove ti piaceva andare a vedere il Trasporto? “Mi piaceva andare a vederlo. Non importava dove, l’importante era vederlo. Ricordo le corse per prendere posto, i

Preferiresti fare il Facchino per un Trasporto o vincere il Mondiale con l’Italia? Si può scegliere? “Non si può scegliere, per un viterbese il Trasporto della Macchina è il massimo, per un calciatore vincere il mondiale è il massimo. Sono uno che aspira sempre al massimo. La conclusione la lascio a voi”. Come racconti ai tuoi figli “quella magica sera del tre”? “Vorrei fargliela vivere più che raccontargliela. Dal racconto non vivrebbero le stesse emozioni che avrebbero nel vederla. Sono sensazioni uniche”.

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il museo

Viaggio nel santuario delle Macchine di Santa Rosa

foto © Manuel Gabrielli

Ecco il capannone che custodisce gli ultimi cinque modelli della secolare storia.

renta anni di “Sollevate e fermi!”, di ciuffi “accapezzati”, di stivaletti neri che hanno macinato chilometri. Da porta Romana alla basilica della patrona, con tutti gli “allunghi” e le variazioni del caso. Un intreccio di storie, di voci, di volti. Le voci e i volti di chi le ha portate, ma anche di chi le ha viste passare tra i vicoli stretti della città e le sue piazze. Roba andata in scena al buio, tra i silenzi e i boati dei presenti. In mezzo all’uno-uno del capofacchino, con la sua voce come unico strumento per tenere il passo e guidare, di anno in anno l’impresa.

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È roba da brividi, per i consapevoli della tradizione del Trasporto, entrare in quel capannone sulla Tuscanese dove è custodita la parte più brillante dell’anima di Viterbo. Lì era un gran casino, lo sanno tutti. Polvere, guano di piccione, caos di sovrapposizioni delle strutture. Finalmente a gennaio è stato riportato il decoro. Per decisione del Comune di Viterbo e grazie al lavoro della Edilnolo dei Fiorillo. Gente con “la macchinite” e costruttori di Gloria, l’ultima arrivata nella storia delle Macchine di Santa Rosa. Con La Fune abbiamo avuto la fortuna di poter entrare, attraversare questo capannone come tanti ma con la sorte speciale di essere chiamato a custodire un tesoro. Ora è tutto pulito e in ordine. I pezzi di ogni Macchina riuniti. Ce ne sono cinque, perfettamente conservate. Tutto quello che è accaduto dal 1986 a oggi. Gloria ancora non è arrivata, deve farne di strada. È custodita direttamente dal costruttore e giungerà qui dopo il congedo. Ad accoglierci c’è Fiore del Cielo. Prima la base

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e dietro tutto il resto. Macchina uscita di parecchio dagli schemi della tradizione ma particolarmente fortunata. Con lei il riconoscimento di patrimonio dell’Umanità in quel di Baku e poi l’ultima avventura all’Expo di Milano. Subito a destra alcune Minimacchine del Centro Storico e subito dietro spunta la particolare testa del leone alla base di Sinfonia d’Archi. Dall’altra parte scorriamo passo dopo passo le decorazioni di rose sul fusto di Una rosa per il Duemila. Basta spostare gli occhi a destra e due meravigliosi angeli d’argento sembrano riposare. Intorno tutte le parti di Ali di Luce, amata Macchina disegnata da Raffaele Ascenzi.

Dietro, sul fondo del capannone e dietro una struttura che ripropone gli archi di palazzo papale, base di Armonia celeste, la più colossale statua di Santa Rosa mai vista. Era in cima alla Macchina disegnata da Roberto Joppolo. Più avanti gli angeli con le trombe, anche quelli giganteschi. Il pensiero che più ci colpisce e ci fa idealizzare questo luogo come una sorta di sacrario è semplice. Si tratta di una domanda: “Quanti occhi si sono posati su tutto questo?”. È lì il valore. È lì che nasce il rispetto più profondo e il sogno di rispettare tutto questo, la storia più intima della città di Viterbo, in un Museo delle Macchine di Santa Rosa.

Quindici mesi per realizzare un dossier sul Museo, il primo passo è stato fatto Il tutto è stato protocollato in Comune nel mese di giugno, si attende. Il grande sogno di un Museo delle Macchine di Santa Rosa è lontano dal concretizzarsi. Per ora è tutta un’ipotesi, una volontà abbozzata. Da alcuni anni si è acceso un dibattito in città e lo scorso 26 giugno è stato anche protocollato in Comune un dossier sull’iniziativa. Il Comitato Promotore risulta composto da Giacomo Barelli, già assessore con delega alle politiche del turismo; Maria Rita De Alexandris, consigliere comunale; Massimo Mecarini, presidente del Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa; Angelo Russo, progettista di Sinfonia d’Archi (1991-1997); Marco Andreoli, Lucio Cappabianca e Gianni Cesarini, progettisti di Rosa per il Duemila (2000), Raffaele Ascenzi, progettista di Ali di Luce (2003) e Gloria (2015); Vincenzo e Mirko Fiorillo, imprenditori e realizzatori di due Macchine di Santa Rosa; Damiano Amatore, architetto e direttore tecnico del cantiere della Macchina di Santa Rosa; Contaldo e Andrea Cesarini, imprenditori e realizzatori di tre Macchine di Santa Rosa; Fabrizio Loprencipe, architetto e Alfredo Passeri, architetto. Un lavoro iniziato nel marzo 2016 e chiuso dopo quindici mesi. Quindici mesi passati a raccogliere dati, informazioni, pareri, consigli utili a ipotizzare una “grande opera” a Viterbo, partendo con il piede giusto. La speranza è che su tutto questo si inizi a lavorare davvero.

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nel mondo

Una Santa nel cuore del mondo: città, dipinti e sculture dedicate alla protettrice di Viterbo In alto: Bartolomé Esteban Pérez Murillo, Santa Rosa da Viterbo, Worcester Art Museum. Al centro: Murillo, La Vergine e il Bambino con santa Rosa da Viterbo (particolare), Madrid, Museo ThyssenBornemisza. A sinistra: Juan Antonio de Frias y Escalante, Comunión de Santa Rosa de Viterbo (particolare), Museo Nacional del Prado.

Una devozione che va dalla Ande alla Tanzania, passando per Spagna, Brasile e tante città italiane.

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uò capitare di andare anche in luoghi lontani da Viterbo e trovare davanti a sé Santa Rosa. Una devozione senza confini, riscontrabile dalle longitudini del Sud America a quelle della Tanzania. Dal santuario di Queretaro in Messico alla chiesa nella Valle dei Templi di Agrigento.

Ci sono anche città, per l’esattezza tre, che portano il suo nome: in Spagna, nelle Ande e in Brasile. Tante le rappresentazioni iconografiche. Anni fa Vincenzo Ceniti, all’interno del volume Paesi e patroni della Tuscia, raccontava le realtà più significative sparse per il globo. C’è il dipinto seicentesco di Bartolomè Esteban Murillo (segnalato in una collezione svizzera) raffigurante La Vergine e i Santi appaiono a Santa Rosa da Viterbo; la tela dello stesso Murillo che presenta la santa con la croce nella mano destra e due rose in quella sinistra (al Worcester Art Mu-

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seum, USA); la grande tela di Juan Antonio de Frias y Escalante (XVII secolo) al Prado di Madrid (Ultima comunione di Santa Rosa da Viterbo); quella, altrettanto grande, di Sebastiano Gomez al Museo di Belle Arti di Salamanca (Apparizione di Santa Rosa da Viterbo, 1699) e il dipinto raffigurante il Miracolo della gallina di Gregorio Vasquez de Arce y Ceballos (1638-1711) alla Pinacoteca dei Padri Gesuiti di Bogotà. Girando la penisola italiana troviamo Santa Rosa in un dipinto di Macrino d’Alba (XV-XVI secolo) che la raffigura con un fascio di rose nel quadro custodito nella Galleria Sabauda di Torino. La santa che tiene nel grembiale le rose la troviamo nel dipinto di Albertino Piazza all’Accademia Carrara di Bergamo. Benozzo Gozzoli (XV secolo) la raffigura nel grande affresco della Chiesa-Museo di Montefalco (Perugia). Nella chiesa di Santa Maria in

Aracoeli di Roma si apre una cappella dedicata alla Santa (raffinato il tondo con la Gloria di Santa Rosa). Sempre a Roma la riconosciamo nei dipinti seicenteschi della basilica dei SS. Cosma e Damiano insieme a Santa Rosalia da Palermo. L’immagine della Santa viterbese è presente anche nella Basilica di San Francesco ad Assisi. Nella Tuscia la troviamo nella chiesa del Giglio a Bolsena, una tela raffigura la Santa con due angeli che stanno per incoronarla. In quella di San Bernardino ad Orte un dipinto mette al centro Rosa con l’abito francescano che sale verso l’alto aiutata dagli angeli. Di estrema semplicità l’ovale in affresco attribuito al Villamena nella chiesa di San Francesco a Vetralla. Ancora Rosa negli affreschi quattrocenteschi di Giovanni e Antonio Sparapane che decorano una cappella della chiesa semidiruta di San Francesco a Tuscania.

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tecnologia

Segui in tempo reale la posizione della Macchina lungo il percorso, scarica l’app Viterbo Art City L'applicazione sarà a disposizione per iOS e Android proprio nel giorno del 3 settembre.

n’app per conoscere aspetti interessanti e curiosità del Trasporto della Macchina di Santa Rosa, ma anche per sapere in tempo reale l’esatta posizione del “Campanile che cammina” la sera del tre settembre.

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volgente alla scoperta dei punti di interesse di Viterbo e potrà monitorare, attraverso un sistema di geolocalizzazione, il percorso della Macchina, evento inserito dal dicembre 2013 nel Patrimonio immateriale dell’Unesco.

Un prodotto, scaricabile gratuitamente, realizzato da ARM23 in partnership con il Comune di Viterbo. L’applicazione, disponibile per dispositivi iOS e Android, va sotto al nome di Viterbo ART City. Consentirà agli utenti anche di godere in maniera innovativa delle bellezze di Viterbo.

L’applicazione si compone di tre sezioni: la prima riguarda le informazioni pratiche sulla città (eventi, servizi, numeri utili e contatti); la seconda accompagna il visitatore alla scoperta dei punti di interesse artistico-culturale della città di Viterbo, corredati da dettagliate informazioni in realtà aumentata e da esclusivi audio immersivi appositamente realizzati. L’ultima sezione, offre la possibilità di conoscere la storia della più importante manife-

Scaricando Viterbo ART City sul proprio smartphone, ogni utente potrà vivere un’esperienza interattiva e coin-

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stazione di Viterbo, e di localizzare l’esatta posizione della Macchina di Santa Rosa durante tutti i momenti del Trasporto in tempo reale, nonché di vederlo in diretta. Viterbo ART City è uno dei progetti tecnologici implementati da ARM23, un’azienda tecnologica che si è già occupata della realizzazione di diversi applicativi per musei nazionali e internazionali, tra cui il Museo del Colle del Duomo di Viterbo. Il lancio dell’app, che sarà scaricabile dagli store Android e iOS, è previsto proprio per la giornata del 3 settembre 2017.

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