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MENSILE DI INFORMAZIONE NON CONVENZIONALE

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editoriale

Un nuovo inizio DECARTA Mensile di informazione non convenzionale Numero 23 – Febbraio 2016 Distribuzione gratuita Direttore responsabile Maria Ida Augeri Direttore editoriale Manuel Gabrielli Redazione Gabriele Ludovici, Claudia Paccosi, Elisa Spinelli Redazione web e photo editor Sabrina Manfredi Design Massimo Giacci Editore Lavalliere Società Cooperativa Via della Palazzina, 81/a - 01100 VITERBO Tel. 0761 326407 Partita Iva 02115210565 info@lavalliere.it Iscrizione al ROC Numero 23546 del 24/05/2013 Stampa Union Printing SpA Pubblicità 0761 326407 - 340 7795232 Immagine di copertina UNHCR / I. Prickett

I contributi, redazionali o fotografici, salvo diversi accordi scritti, devono intendersi a titolo gratuito. Chiuso in tipografia il 12/02/2016 www.decarta.it

DECARTA FEBBRAIO 2016

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L NOSTRO 2016 inizia di nuovo da qui, da febbraio e come ogni anno nuovo che si ri-

spetti inizia con dei buoni propositi di cambiamento. Per metterli in pratica era però necessaria una riflessione preventiva sui motivi che ci portano ad inchiostrare della carta. E la risposta a queste domande è: perché ci piace! Scrivere è di per sé un atto creativo, ma quando poi il frutto di riflessioni e ricerche finisce per apparire stampato e palpabile, allora è in quel momento che le idee sembrano essersi concretizzate. Il mondo di internet sta fornendo a tante persone la possibilità di diffondere le parole, ma vi assicuro che anche persone dal discreto seguito nel mondo virtuale finiscono per provare un’emozione palpabile una volta che vedono le proprie parole impresse su quel misto di colla, cellulosa e coloranti che è la carta stampata. Decarta è nata, e questo non è un segreto, proprio in cerca di questa soddisfazione, perché ci piace farla e perché ci piace la filosofia della carta. Il mondo digitale è infinito e, al contrario del passato, si può scrivere una quantità pressoché illimitata di parole e altrettanti articoli. La carta è diversa, è ben definito il suo spazio, e oltre alla sua organizzazione non si può andare, in una pagina oltre una manciata di battute e un po’ di foto, altro non ci entra. E, cosa forse ancora più importante, una volta mandato tutto a stampare non c’è modo di tornare indietro, un errore commesso e non corretto è un errore irrecuperabile. Per questo scrivere su carta assume tutta un’altra importanza: bisogna selezionare bene le parole, le immagini e soprattutto stare attenti a ciò che si pubblica!

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ECARTA ha, oramai da più di un anno, due lati. Una scelta fatta per motivi affettivi nei confronti di un precedente progetto editoriale caratterizzato da questa impostazione e anche per dividere un po’ la parte più commerciale da quella dei contenuti. Non tutte le decisioni sono fatte per durare e nel giro di qualche tempo questa distinzione è andata sempre di più perdendosi. È così che alla fine dell’anno scorso, avendo ormai chiaro il desiderio di cambiare, è stato necessario decidere, una volta per tutte, come re-impostare i due lati. Dopo mesi di gestazione (non saranno stati 9, ma la fatica quella di un parto, sì) inauguriamo il nostro lato “migliore”, il nostro lato principale, il lato che facciamo per la sopracitata soddisfazione. Decarta acquisisce quindi uno spazio monografico, dove ad ogni uscita affronteremo un tema di attualità che ci sta a cuore. Iniziamo con il caldissimo tema dell’immigrazione, con una panoramica incentrata soprattutto sulle profonde differenze che corrono in materia di accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo tra Italia e Germania.

Manuel Gabrielli Presidente Lavalliere Società Cooperativa 3


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La crisi dell’immigrazione è il suo contorno Analisi di un fenomeno diverso e senza precedenti. Manuel Gabrielli | manuel.gabrielli@decarta.it

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anto si è detto, soprattutto sulla stampa estera, riguardo i problemi che sta causando all’Europa questo spostamento massiccio di richiedenti asilo, rifugiati politici e immigrati. È bene specificarlo perché gli spostamenti non sono solo quelli dei barconi su cui si concentra maggiormente la cronaca, negli spostamenti è incluso anche il grande esodo di cervelli dal sud dell’Europa, tra cui anche l’Italia. È sufficiente cercare su Google “migrant crisis” per venire sommersi da articoli, opinioni, approfondimenti, infografiche e tanto altro materiale. Incrociando questa grande mole di informazioni emergono degli elementi comuni: a) la crisi dell’immigrazione è una crisi dell’Unione europea, ed è soprattutto una crisi del sistema Schengen, b) il problema dell’immigrazione è di natura economica e politica in primo luogo, c) questo fenomeno migratorio è diverso e senza precedenti. La crisi dei rifugiati è una crisi europea

È quanto traspare dall’articolo di Hans-Helmut Kotz, ospitato questo 5 febbraio su Econopoly, un blog de Il Sole 24 ORE. Da circa venti anni la maggior parte delle nazioni facenti parti dell’Unione europea ha abolito i controlli pressi i confini nazionali in favore della libera circolazione delle persone. L’assenza di controlli alle frontiere ha lasciato quindi libera scelta a moltissimi tra rifugiati e migranti di arrivare nei paesi di frontiera o di sbarco (principalmente Italia e Grecia) per poi dirigersi verso paesi del nord che possano offrire migliori condizioni di lavoro e di stato sociale. Come scritto nell’articolo di Kotz, “Il paradosso, in tutto questo, è che la Germania – considerata implacabile du4

rante la crisi del debito sovrano (e privato) europeo – adesso invita alla solidarietà.” Non ci dobbiamo dimenticare infatti l’intransigenza del governo tedesco nei confronti delle economie europee più deboli, Italia compresa. “Abbiamo bisogno di un Piano Marshall per le regioni che stanno venendo distrutte”, ha infatti detto il ministro delle finanze tedesco Schaeuble durante un suo discorso presso il World Economic Forum tenutosi a Davos in Svizzera a gennaio di quest’anno, aggiungendo: “Dovremo investire miliardi nei paesi di origine dei rifugiati in modo da ridurre la pressione migratoria in Europa, l’alternativa sarebbe il vedere diventare l’Europa una fortezza e questo sarebbe una disgrazia”. L’Europa degli ultimi anni è però quella della leadership tedesca, vista da molti come una minaccia, e che viene sempre meno vista come un’opportunità e sempre di più come un capro espiatorio dei problemi nazionali. Una mancanza di accordi in materia di rifugiati potrebbe significare un ritorno alle frontiere, con la conseguente abolizione degli accordi di Schengen, risultato che sarebbe il preludio di una futura abolizione anche della zona Euro, gioia per gli euroscettici ma anche uno scenario dalle conseguenza imprevedibili. Il problema dell’immigrazione è di natura economica e politica in primo luogo

La situazione economica italiana non è di certo florida, il tasso di disoccupazione a dicembre 2015 era del 37,9% contro un 22% dell’Eurozona. Secondo i dati ISTAT riportati da Il Sole 24 ORE, nell’anno 2007 la disoccupazione totale è stata del 5,9% uno dei più bassi mai registrati. L’Italia, non ha lavoro da offrire, e questo lo sa bene anche chi arriva da

fuori, tanto che il Bel Paese è definibile solo un territorio di passaggio. La Germania al contrario era alla fine dello scorso anno al 6,3%, il dato più basso dal momento dell’unificazione est-ovest, e ciò spiega il motivo per il quale la politica in materia di rifugiati da parte del governo e dei grandi gruppi economici sia molto diversa. La BDA (il corrispettivo della nostra Confindustria) come riportato su au.finance.yahoo.com a settembre del 2015 ha stimato che la nazione era in deficit di 140.000 ingegneri, programmatori e tecnici. Anche la sanità e il settore vacanziero stanno tendendo le mani a lavoratori qualificati e si stimavano 40.000 i posti di lavoro vacanti per il 2015. Altre stime parlano della mancanza di 1,8 milioni di lavoratori qualificati entro il 2020 e 3,9 entro il 2040 se la situazione non dovesse cambiare. A questo proposito Ulrich Grillo, presidente della BDA, ha dichiarato che “se possiamo integrarli (i rifugiati) nel mercato del lavoro, saremo di aiuto sia a loro che a noi stessi”. La popolazione tedesca sta invecchiando velocemente e ha dei tassi di natalità molto bassi, il che significa una riduzione del bacino tedesco di lavoratori qualificati. Da noi il Jobs Act sembra stia muovendo qualche cosa, ma tra detrattori e adulatori la situazione è ancora in via di definizione, se sapremo cogliere l’occasione di avere molti potenziali lavoratori giovani di passaggio è uno degli interrogativi del futuro più prossimo. Questo fenomeno migratorio è diverso e senza precedenti.

L’articolo comparso sul sito BBC il 24 dicembre 2015 a firma John Simpson titola similmente “This migrant crisis is different from all others”. A sostegno di DECARTA FEBBRAIO 2016


questa teoria il giornalista britannico fa un elenco di diversi casi di immigrazione di massa nel passato recente, come l’arrivo di 250.000 cittadini belgi nell’Inghilterra della prima guerra mondiale, oppure i 12 milioni di persone di etnia tedesca che abbandonarono Polonia, Cecoslovacchia e Russia nel 1945 a seguito della degermanizzazione dell’Europa orientale. La differenza, la spiega una citazione di Alex Betts, direttore del Centro di studi sui rifugiati di Oxford: “Ciò che è drammatico riguardo l’odierno, è che questa è la prima volta che l’Europa è di fronte a persone provenienti in grande quantità dall’esterno come rifugiati”. Il fatto che la maggior parte di questi rifugiati siano di fede musulmana rende tutto ancora più difficile, in quanto molti europei vedono questa differenza come una minaccia per la propria identità culturale. È innegabile ed inevitabile,

in un futuro non troppo lontano l’Italia e l’Europa saranno culturalmente molto diverse da come le conosciamo oggi, e nella sola Londra, città cosmopolita per eccellenza, già sono più di 300 gli idiomi parlati dalle oltre 50 comunità residenti.

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’Italia dal canto suo è un paese interessante e variegato proprio grazie alle numerosissime influenze che ha ricevuto nei secoli e nei millenni passati. Anche la nostra cucina, forse la cosa più cara ad ogni italiano, è un enorme crogiolo di culture e molti dei suoi ingredienti li dobbiamo a quei coltivatori mesoamericani e andini che hanno permesso ai conquistatori europei

di portare nelle nostre case pomodori, zucchine, melanzane, patate e mais, i quali vengono dal nuovo mondo; oppure quei viaggiatori che portarono basilico, arance e limoni dall’estremo oriente. Oggi, a distanza di poche centinaia di anni queste piante sono tra le nostre eccellenze. Questo perché abbiamo imparato a coltivare ciò che non ci apparteneva e lo abbiamo fatto nostro. Gli uomini come le piante nascono da semi e mettono radici e difficilmente le comunità che verranno da fuori annienteranno le culture residenti, dobbiamo solo imparare ad essere dei bravi coltivatori. Da cultura a coltura, c’è solo una vocale di differenza.

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fonte Frontex / IOM

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“Le parole sono importanti!” La buona informazione e la Carta di Roma Manuel Gabrielli | manuel.gabrielli@decarta.it

garantire delle entrate sufficienti a coprire le spese di gestione delle aziende. Purtroppo non sempre è così, ma se per la correttezza delle persone è difficile fare qualche cosa, molto si può fare e si deve fare per sensibilizzare gli operatori della comunicazione ad utilizzare delle metodologie corrette nella stesura di articoli o nella realizzazione di servizi televisivi che affrontano temi delicati e dal forte impatto sociale.

P Una scena tratta dal film di Nanni Moretti Palombella Rossa (1989)

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a percezione della situazione per quanto riguarda l’ingresso e la permanenza di immigrati, richiedenti asilo e rifugiati in Italia, è per alcune persone un’esperienza diretta, mentre per altre una diretta influenza da parte dei media. L’utilizzo di internet per la diffusione delle notizie, grazie alla gratuità, alla tempestività e alla facilità di accesso, ha l’indubbio merito di riuscire ad arrivare ad un numero di persone vastissimo. Il rovescio della medaglia di questo spostamento dalla carta alla rete è la meno positiva facilità con la quale anche notizie false o errate riescono a diffondersi. Troppo spesso le notizie riguardanti casi di immigrazione, sono state strumentalizzate al fine di ottenere consenso politico o visibilità giornalistica. Il giornalismo di qualità, che dovrebbe essere il più possibile distaccato e obbiettivo viene oggi osteggiato dall’“opinionismo” dove ognuno può dire la sua facendo leva sui sentimenti del lettore/spettatore. È la ricerca di visibilità in un mondo dominato dalla vendita 6

pubblicitaria il motivo per il quale addetti dell’informazione di ogni livello stanno dando spazio, a spese del valore dell’informazione, a quello che gli anglosassoni chiamano infotainment, una parola macedonia nata dall’unione di information e entertainment, ovvero informazione-intrattenimento o informazione spettacolo. Questa mercificazione dell’informazione, trattandosi principalmente di servizi televisivi o articoli di giornale, è avvenuta e continua ad avvenire tramite un uso incorretto, più o meno volontario, di termini, ed immagini, con lo scopo di andare a colpire l’emotività del lettore/spettatore, forzandolo inconsapevolmente alla visione o alla lettura. Lo scopo finale è quello di intrattenerlo il più possibile, massimizzando lo sharing televisivo, aumentando la vendita dei giornali o la quantità di clic su una notizia, tanto cari alle concessionarie di pubblicità. L’ infotainment non è del tutto sbagliato, è anzi fondamentale, quando affiancato e non in sostituzione alla vera informazione, per la sopravvivenza della stessa, la quale da sola non riuscirebbe a

er il tema dell’immigrazione, in Italia, questo lavoro viene svolto dall’Associazione Carta di Roma, che come riporta il suo sito “è nata nel dicembre 2011 per dare attuazione al protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione, siglato dal Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti (CNOG) e dalla Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI) nel giugno del 2008.” Questo protocollo deontologico, noto appunto come Carta di Roma, contiene quattro principi per il trattamento delle informazioni riguardanti richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta ed i migranti nel territorio della Repubblica Italiana. Una delle parti più interessanti del documento è il glossario annesso (che riportiamo) all’interno del quale è possibile leggere i termini giuridicamente corretti, i quali da soli sono sufficienti a capire che un richiedente asilo, non è un rifugiato e nessuno dei due è un migrante. Allo stesso modo, e su questo si sta facendo molto, clandestino è una parola italiana, e può essere utilizzata per definire azioni compiute di nascosto senza l’approvazione o con il divieto dell’autorità, ma applicata all’immigrazione è un termine giuridicamente incorretto. Diceva Nanni Moretti su Palombella Rossa: “le parole sono importanti!” DECARTA FEBBRAIO 2016


I 4 principi della Carta di Roma Terminologia

Tutela dell’identità

Correttezza e completezza

Fonti

Usare termini giuridicamente appropriati sempre al fine di restituire al lettore e all’utente la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitando l’uso di termini impropri.

Tutelare i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta ed i migranti che scelgono di parlare con i giornalisti, adottando quelle accortezze in merito all’identità ed all’immagine che non consentano l’identificazione della persona.

Evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie e riflettere sul danno che può essere arrecato da comportamenti superficiali e non corretti, che possano suscitare allarmi ingiustificati, anche attraverso improprie associazioni di notizie, alle persone oggetto di notizia e servizio; e di riflesso alla credibilità della intera categoria dei giornalisti.

Interpellare, quando ciò sia possibile, esperti ed organizzazioni specializzate in materia, per poter fornire al pubblico l’informazione in un contesto chiaro e completo, che guardi anche alle cause dei fenomeni.

Glossario annesso alla Carta RICHIEDENTE ASILO È colui che è fuori dal proprio paese e presenta, in un altro stato, domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, o per ottenere altre forme di protezione internazionale. Fino al momento della decisione finale da parte delle autorità competenti, egli è un richiedente asilo e ha diritto di soggiorno regolare nel paese di destinazione. Il richiedente asilo non è quindi assimilabile al migrante irregolare, anche se può giungere nel paese d’asilo senza documenti d’identità o in maniera irregolare, attraverso i cosiddetti flussi migratori misti, composti, cioè, sia da migranti irregolari che da potenziali rifugiati.

RIFUGIATO È colui al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, alla quale l’Italia ha aderito insieme ad altri 143 paesi. Nell’articolo 1 della Convenzione il rifugiato viene definito come una persona che: “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”. Lo status di rifugiato

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viene riconosciuto a chi può dimostrare una persecuzione individuale.

BENEFICIARIO DI PROTEZIONE SUSSIDIARIA È colui che, pur non rientrando nella definizione del termine “rifugiato” ai sensi della Convenzione del 1951 poiché non sussiste una persecuzione individuale, necessita comunque di una forma di protezione in quanto, in caso di rimpatrio nel paese di origine, subirebbe un “danno grave” a causa di conflitti armati, violenze generalizzate e/o massicce violazioni dei diritti umani.

BENEFICIARIO DI PROTEZIONE UMANITARIA La terza categoria di protezione internazionale è quella riconosciuta al beneficiario di protezione umanitaria. Fino al 2008 in Italia, come in altri paesi dell’Unione europea, non era prevista la concessione della protezione sussidiaria, bensì di quella “umanitaria”, che è rimasta in forma residuale nell’ordinamento italiano, anche se prevede minori diritti della protezione sussidiaria e dello status di rifugiato.

VITTIMA DELLA TRATTA È una persona che, a differenza dei migranti irregolari (forzati e non) che si affidano di propria volontà ai trafficanti, non ha mai acconsentito a essere condotta in un altro paese o, se lo ha fatto,

l’aver dato il proprio consenso è stato reso nullo dalle azioni coercitive e/o ingannevoli dei trafficanti o dai maltrattamenti praticati o minacciati ai danni della vittima. Scopo della tratta è ottenere il controllo su di un’altra persona ai fini dello sfruttamento. Per “sfruttamento” s’intendono lo sfruttamento della prostituzione o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato, la schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo degli organi.

MIGRANTE/IMMIGRATO È colui che sceglie di lasciare volontariamente il proprio paese d’origine per cercare un lavoro e migliori condizioni economi che altrove. Contrariamente al rifugiato può far ritorno a casa in condizioni di sicurezza.

MIGRANTE IRREGOLARE Erroneamente definito “clandestino”, è colui che: a) ha fatto ingresso eludendo i controlli di frontiera; b) è entrato regolarmente nel paese di destinazione, per esempio con un visto turistico, e vi è rimasto dopo la scadenza del visto d’ingresso (diventando un cosiddetto overstayer); c) non ha lasciato il territorio del paese di destinazione a seguito di un provvedimento dimancato rinnovo (o revoca) del permesso di soggiorno.

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Come affrontare, senza allarmismi, i nuovi flussi migratori L’esempio dell’accoglienza in Germania. Elisa Spinelli | elisa.spinelli@decarta.it

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el 2014 le guerre in Siria e in Iraq hanno determinato un forte aumento delle richieste di asilo nei paesi industrializzati. A confermare i fatti è il rapporto UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) Asylum Trends 2014, pubblicato a marzo 2015; nella relazione si indica che rispetto al 2013 c’è stato un aumento del 45% delle domande d’asilo. Il dato del 2014 è il più alto degli ultimi 22 anni. Se consideriamo le statistiche ufficiali pubblicate su alcune testate online, sui portali di fondazioni, istituti di ricerca e sul sito UNHCR, è inevitabile la considerazione che l’allarmismo mediatico sull’ arrivo di massa di rifugiati e immigrati in Europa sia decisamente fuori luogo. Infatti, occorre considerare che

l’intera Europa accoglie circa 1 milione 700 mila rifugiati, un numero simile a quello presente nel solo Pakistan. Questo significa che il Vecchio continente non ospita nelle sue regioni “troppi” profughi come, invece, ci viene raccontato. Aumentando lo zoom della nostra analisi, noteremo che è la Germania ad avere il primato in Europa per le richieste d’asilo: 200mila istanze totali e 40mila domande accettate. Inoltre, se consideriamo il numero di rifugiati accolti dalla Germania - 187.567 - e lo paragoniamo alla popolazione tedesca 80.767.463 - capiremo che l’incidenza dei rifugiati sulla cittadinanza è di appena lo 0,23% •. Questi numeri riportano la realtà di un’Europa in cui la percentuale dei rifugiati rispetto alla po-

Gli Stati che ospitano il maggior numero di rifugiati (fonte: Unhcr, The Sea Route to Europe, luglio 2015)

• Annual Report on the Situation of Asylum in the European Union (EASO Annual) 2014 – July 2015 •• http://data.unhcr.org/mediterranean/regional.php#_ga=1.215012306.439876360.1450456034 8

polazione totale è trascurabile, per questo è incomprensibile l’attenzione allarmata di media generalisti e di una certa classe politica verso un gruppo giuridico così poco numeroso negli Stati europei. Nel 2014 c’è stato un notevole incremento di persone sbarcate dal Mediterraneo (170 mila, cioè il 200% in più rispetto al 2013)•• , ma l’attuazione del Trattato di Dublino modifica l’assetto organizzativo e politico rispetto ai rifugiati: poiché impone che la richiesta d’asilo sia presentata nel primo paese europeo dove il migrante è giunto. Sono soprattutto i “Dublinati”, ossia i richiedenti asilo giunti in Germania dall’Italia o dalla Grecia, a creare molti attriti tra i rispettivi governi, poiché la cancelleria tedesca impone il rientro di alcuni rifugiati in Italia o in Grecia basandosi proprio sul Regolamento di Dublino; e, secondo i dati del 2014, pubblicati dalla Fondazione Moressa, sono circa 9mila le persone che dalla Germania potrebbero rientrare in Italia. Si è detto che nel 2014, per il terzo anno consecutivo, la Germania ha affrontato il maggior incremento di richieste d’asilo, rispetto a qualsiasi paese altro Paese europeo. C’è da aggiungere che i forti afflussi d’istanze provengono soprattutto dalle zone di conflitto in Siria, Afghanistan e dai cittadini di Serbia, Kosovo e Eritrea. Come è organizzata l’accoglienza in Germania? Occorre intanto precisare che, durante la procedura di richiesta d’asilo i rifugiati, che hanno soggiornato in Germania per almeno tre mesi, possono muoversi liberamente nel Paese, grazie a una legge sul “miglioramento dello status dei richiedenti asilo”. Inoltre, i rifugiati, DECARTA FEBBRAIO 2016


Uno sguardo alle cifre Fonte: Unhcr, Asylum Trends 2014

45% una volta registrati presso le autorità, sono ripartiti tra i diversi Länder secondo determinate quote. I bambini sono scolarizzati il prima possibile, passando attraverso delle classi d’integrazione dove possono imparare il tedesco. Per i rifugiati adulti, al contrario degli immigrati, non sono previsti corsi di tedesco obbligatori al loro arrivo, inoltre, finché la procedura d'asilo non è completata, non hanno molte possibilità di accedere al mercato del lavoro. Ma, proprio recentemente, il tempo di attesa per avere il permesso di lavoro è stato ridotto da 9 mesi a 3.

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causa di un numero elevato di richiedenti nel 2014, la Germania ha dovuto istituire nuovi centri di accoglienza e alloggi temporanei, come ad esempio: unità mobili abitative o riutilizzando ex edifici militari; certamente anche queste misure di accoglienza hanno indotto molti richiedenti a scegliere il paese tedesco come meta del loro asilo. Nel 2014, la Germania ha introdotto procedure semplificate e razionalizzate per i rifugiati siriani di religione cristiana, yazida, e per i mandei che provengono dall'Iraq. Tra le diverse misure legislative, sociali e politiche per l’accoglienza dei richiedenti riportiamo un’interessante iniziativa dell'Ufficio federale tedesco: la produzione di un film sull’iter di asilo in Germania. Il documentario descrive la normativa dal punto di vista di un richiedente che giunge al primo punto di raccolta fino al momento della domanda d’asilo. Il film è disponibile in inglese, arabo, dari, farsi, pashtu, tedesco, francese, albanese, russo, serbo e può essere visualizzato sul sito www.bamf.de. Inoltre, l’Ufficio Federale ha prodotto anche un opuscolo, disponibile nelle stesse lingue del film, che fornisce informazioni aggiuntive sull’istanza d’asilo. Secondo le stime del Frankfurter Allgemeine Zeitung, la presa in carico dei richiedenti asilo potrebbe costare allo Stato tedesco circa 10 miliardi di euro solo per il 2015. Nonostante ciò, il 57% dei tedeschi ritiene che il proprio paese debba continuare ad aiutare chi fugge dalla guerra e dalle persecuzioni. Con queste parole Orkan Kösemen, esperto di migrazioni presso la fondazione Bertelsmann, descrive l’accoglienza tedesca verso i rifugiati: «La maggioranza dei tedeschi non vede i rifugiati come un problema, ma come persone che dobbiamo aiutare. Ciò è dovuto in particolare al fatto che da dieci anni i grandi partiti politici parlano delle migrazioni in modo positivo». DECARTA FEBBRAIO 2016

Nel 2014 si sono registrate circa 866.000 richieste d’asilo, 269.400 più dell’anno precedente (45%). È il quarto anno consecutivo di crescita e il secondo maggior incremento dai primi anni ’80. Come tale, il quadro si avvicina al picco massimo di 900.000 domande registrato nel 1992 tra le 44 nazioni più industrializzate.

714,300 L’Europa ha ricevuto 714.300 domande di asilo, con una crescita del 47% rispetto al 2013 (485.000 richieste).

36% Tra le regioni europee, si registra un incremento annuo del 36% dei livelli di asilo nelle cinque nazioni nordiche, che hanno ricevuto 106.200 richieste nel 2014. Incremento particolarmente significativo in Svezia (+38%) e in Danimarca (+96%). Con 75.100 domande d’asilo la Svezia è risultata la principale destinazione registrando il 70% di tutte le richieste presentate in quest’area.

+47%

44% Nel 2014, i 28 Stati membri dell’Unione europea hanno registrato 570.800 domande di asilo, con una crescita del 44% rispetto al 2013 (396.700). Complessivamente gli Stati Ue contano l’80% di tutte le nuove domande presentate in Europa. La Germania e la Svezia registrano rispettivamente il 30 e il 13 per cento delle domande degli Stati Ue.

95% Nell’Europa meridionale il numero di richiedenti asilo è cresciuto vertiginosamente fino ai 170.700, con il più alto indice di crescita (+95%). In questa regione, sono la Turchia e l’Italia a ricevere il maggior numero di richieste (rispettivamente 87.800 e 63.700).

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foto © Massimo Sestini (da UNHCR, Global Trends 2014 )

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Il sensazionalismo delle notizie In Italia l’incidenza dei rifugiati sulla popolazione è solo dello 0,13%. Francesca Talucci

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.” Così recita l’articolo 10 comma 3 della Costituzione italiana; tutto potrebbe sembrare chiaro, ma effettivamente non lo è. Facciamo un passo indietro e vediamo cosa ci dicono le statistiche raccolte dall’Istat riguardo il bilancio demografico nazionale relativo al 2014. Al 31 dicembre risultano residenti in Italia 60.795.612 persone, di questi, 5.014.437 pari all’8,2% della popolazione sono di cittadinanza straniera (cittadini dell’Ue e non). Sempre secondo le statistiche registrate nello stesso anno, il nostro Paese ha una crescita demografica pari a 0, con un saldo naturale negativo elevato (differenze tra numero di nascite e quello di morti relativo ad un determinato periodo, calcolato all’incirca su un anno e su un territorio circoscritto). Basti 10

pensare che un picco così non era stato più raggiunto dopo il 1917/1918. Le cause sono due e ben chiare: la crisi economica ha portato ad un’emigrazione di massa, soprattutto nel settore giovanile e ha spinto all’incirca 90.000 persone a non rientrare più nel proprio paese. A questa va aggiunta la diminuzione delle nascite con 12.000 nati in meno rispetto l’anno precedente e meno 75.000 nati negli ultimi 5 anni. A compensare tutto ciò sono gli stranieri in entrata. Ma chi sono? Gli stranieri residenti sul territorio italiano sono al 50% cittadini provenienti da un paese europeo (oltre 2,6 milioni di individui), poco meno del 30% proviene da un paese dell’Unione europea (1,5 milioni) e la restante parte proviene da stati dell’Europa centro orientale non appartenenti all’Ue. Completano il quadro cittadini originari dei paesi dell’Africa Settentrionale (13,5%) e Occidentale (5,7%), ai quali seguono, con cifre esigue rispetto i precedenti, cittadini di provenienza asiatica, latinoamericana, dell’Oceania e apolidi.

La compagine più numerosa è quindi costituita dalla popolazione romena (1.131.839), seguita da Albania, Marocco, Cina e Ucraina.

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a attenzione, fin qui abbiamo parlato di stranieri e in particolar modo di “immigrati” o “migranti economici” presenti sul territorio, così come vengono chiamati dallo studioso Egon Kunz, ossia di “cittadini stranieri nati all’estero con residenza italiana”, che in seguito al riconoscimento di un matrimonio, naturalizzazione, o ius sanguinis hanno ottenuto il riconoscimento di cittadinanza da parte dello Stato. La differenza tra un “migrante” e un “rifugiato” è abissale, almeno in termini giuridici, pur parlando di persone fisiche aventi gli stessi diritti, primo fra tutti il diritto ad un’esistenza dignitosa nel pieno possesso delle proprie facoltà di essere umano. Un “rifugiato” è colui che, secondo la Convenzione di Ginevra del 1951 (un trattato delle Nazioni Unite sottoscritto DECARTA FEBBRAIO 2016


da 147 Paesi) è una persona che tornando nel suo paese d’origine potrebbe essere vittima di persecuzioni, ossia di azioni che per loro natura violano i diritti umani fondamentali che sono per lo più associate a questioni religiose, politiche, o appartenenza a gruppi sociali. Lo “status” di rifugiato è quindi una condizione “esistenziale” oltre che giuridica. Va sottolineata però una particolare sfumatura del termine, ossia il concetto di “richiedente asilo”, con il quale si intende una persona, o meglio un “rifugiato”, che chiede una qualche forma di protezione internazionale. La persona viene riconosciuta tale finché non venga presa una decisione definitiva dalle autorità competenti sul territorio. Nello specifico in Italia chi si occupa di queste questioni è la Commissione nazionale per il diritto di asilo. Nonostante le cifre spaventino, queste ci portano spesso fuori pista e, seguendo i calcoli effettuati tra il 2013 e il 2014, l’Italia non ha di che lamentarsi poiché il maggior numero di rifugiati si colloca nei paesi extraeuropei, con una posizione nettamente bassa della penisola nella “pole-position” dei paesi ospitanti. L’Europa accoglie all’incirca 1 milione e 700.000 rifugiati, l’Italia 78.061, con un’incidenza sulla popolazione pari allo 0,13% (fonte Eurostat).

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uello che effettivamente preoccupa e distoglie l’attenzione dai dati di fatto sono stati gli sbarchi sulle coste del Sud, dove nel 2014 sono approdati oltre 156.000 migranti (sono stati calcolati 516 arrivi al giorno), rispetto ai 65.000 del 2013. Dati che hanno comportato la messa in atto di emergenze umanitarie repentine. In più DECARTA FEBBRAIO 2016

il 2014 è stato l’anno di “Mare Nostrum”: operazione che, attraverso la collaborazione della Marina militare, ha salvato 156.362 persone ma, nonostante questo, 3.419 persone hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere la terraferma. Le statistiche Eurostat ci dicono inoltre che le richieste di asilo, specialmente nel terzo trimestre del 2014 sono aumentate del 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, raggiungendo la cifra di 177.000 richiedenti. Di tutti i richiedenti asilo il maggior numero proviene dalla Siria e su tutto il territorio dell’Unione europea sono più di 150.000 le domande presentate. Nel caso specifico dell’Italia il numero degli ingressi dalla Siria è aumentato del 600% rispetto all’anno precedente. Le persone che hanno attraversato il Mediterraneo provengono non solo dalla Siria (che rappresenta la parte più numerosa) ma da ben quaranta paesi differenti: Eritrea, Nigeria, Mali, Gambia, Somalia, Iraq e Pakistan sono solo alcuni dei territori che riversano migliaia di persone sulle coste della Sicilia, uno dei primi approdi di questa “tratta della speranza”. Tra loro un numero crescente di bambini e minori non accompagnati che insieme alle donne e agli anziani rappresentano quella parte di persone totalmente vulnerabili, sottoposta ad un rischio di morte maggiore durante la traversata. Quasi tutti sono in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e la scelta di fuggire non sempre rappresenta la migliore delle alternative, visto il peggioramento delle condizioni di viaggio, dovuto in primis all’aumento delle richieste e ai trafficanti. Quante richieste d’asilo effettivamente vanno in porto? Al 2014 le fonti

fornite dall’Ue ci dicono che in Italia su un totale di 64.625 richieste ne sono state esaminate 35.180 e di queste 20.580 sono state accettate e 14.600 respinte. Il primo passo è la richiesta di asilo all’ufficio di polizia di frontiera al momento dell’arrivo; questa si occupa, infatti, di esaminare che non ci siano ostacoli all’ingresso e in presenza di questi la persona va respinta alla frontiera ma non nello Stato di provenienza dove potrebbe essere nuovamente oggetto di persecuzioni. Se non sussistono motivi contrastanti l’ingresso lo straniero può richiedere domicilio nel territorio dello Stato italiano e presentarsi presso la Questura per l’avvio delle pratiche necessarie alla permanenza, che verranno poi esaminate dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Complessivamente le regioni che ospitano il maggior numero di migranti sono la Sicilia, il Lazio, la Puglia e la Lombardia.

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nfine, dove vengono accolti? La rete di accoglienza in Italia è gestita dal Ministero dell’interno e conta diverse e articolate strutture su tutto il territorio. Nello specifico abbiamo 14 centri di accoglienza (Cpsa, Cda, Cara), 5 centri di identificazione ed espulsione (Cie), 1.861 strutture temporanee, 430 progetti del Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Eppure, nonostante l’allarmismo promosso e generalizzato dai media, la penisola italiana non dovrebbe avere di che preoccuparsi perché il numero di rifugiati accolto risulta modesto rispetto agli altri paesi europei e mondiali. Basti pensare al Libano che ospita circa 1,2 milioni di rifugiati, una cifra che rappresenta un quarto della popolazione del Paese. 11


temi

immigrazione

Stereotipo clandestino Cosa sta cambiando all’interno dello spazio Schengen e qual è l’impatto dell’immigrazione in Italia.

foto © UNHCR/Jowan Akkash

Veronica Di Benedetto Montaccini

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uesta che stiamo vivendo può essere definita l’epoca dei grandi esodi. Sono 60 milioni i rifugiati che si spostano nel mondo. Una crescita esponenziale del fenomeno immigrazione che riguarda le situazioni di conflitto e crisi che peggiorano. Attualmente sono in atto 33 conflitti tra guerre, crisi ambientali e climatiche e l’unica risposta che l’Europa è riuscita a dare riguarda la costruzione di barriere. Abbiamo tra fili spinati, reti elettriche e confini controllati ben 65 muri. Alcuni esperti del tema immigrazione hanno abbattuto per Decarta altri muri, quelli dati dagli stereotipi. Le cifre e le nuove rotte dei rifugiati

I Paesi con il maggior numero di rifugiati non sono in Europa. Infatti, il Paese che accoglie più profughi al mondo è la Turchia, con oltre un milione e mezzo, segue il Pakistan e il Libano 12

con un milione di profughi, su una popolazione di 4,5 milioni di abitanti. “I dati diffusi relativamente al 2015 in Italia parlano chiaro – racconta Federico Fossi dell’UNHCR – in Italia sono diminuiti gli sbarchi e nell’arco dell’anno sono solo 34 mila le richieste d’asilo a fronte del doppio nell’anno precedente. Insomma, di che emergenza ci hanno parlato i media per mesi?”. Mesi e mesi di trasmissioni televisive sull’invasione imminente. Mesi e mesi a soffiare sul fuoco dell’odio e dell’intolleranza, a costringerci ad avere paura di chi scappava da guerra e fame. Libera circolazione o fortezza Europa?

La crisi di Schengen rappresenta la crisi dell’Europa. 26 Stati che prevedevano la messa in comune degli strumenti di controllo dei confini e una presa in carico collettiva delle frontiere esterne alla Ue. Ma nelle ultime settimane anche Paesi come la Francia o l’Austria hanno

rimesso in discussione il Trattato e introdotto controlli temporanei alle frontiere. “Nonostante la necessità di forza lavoro – sottolinea Enzo Rossi, docente di Economia delle migrazioni all’Università di Roma Tor Vergata – anche in prospettiva di un deficit demografico che tutti sanno diventerà drammatico tra qualche anno per i nostri vecchi sistemi produttivi, nonostante l’apertura della Merkel al milione di siriani all’anno, nonostante tutto questo, la macchina europea non ha integrato lo slancio tedesco, per quanto interessato. La crisi dei rifugiati può sembrare una questione strettamente umanitaria, ma c’è un altro aspetto: se l’Europa annulla la libera circolazione delle persone, uno dei pilastri della casa comune, anche l’unione monetaria sarà messa in discussione e con questa l’economia del lavoro dei singoli Paesi”. Il pareggio: gli italiani all’estero hanno raggiunto gli stranieri in Italia

“5 milioni e 5 milioni. Si vede con questo dato – afferma Ugo Melchionda presidente di Idos, il Centro studi che produce il Dossier Statistico Immigrazione, la maggiore fonte per i dati su questo fenomeno – come noi eravamo un Paese di emigrazione fino al 1975, anno in cui abbiamo avuto un saldo positivo. Ma non abbiamo mai smesso di essere un Paese di emigrazione. Come nel libro di Gian Antonio Stella Quando gli albanesi eravamo noi, tendiamo a rimuovere questa parte della nostra storia”. La cosa incredibile che sta per avvenire e che già avviene è che i registrati all’estero sono stati 150mila, mentre i nati in Italia 92mila. “Questo significa – continua Melchionda – che nel giro di poco tempo ci sarà un grosso dramma demografico. Primo punto: noi siamo 60 milioni solo grazie all’aiuto dei 5 milioni di immigrati. DECARTA FEBBRAIO 2016


Secondo punto: se l’Italia non sarà più meta di immigrazione significa tornare in una periferia socio-economica fuori dal G8, un paese marginale ritenuto non economicamente vantaggioso agli occhi dei paesi in via di sviluppo”.

trend di imprenditori italiani in calo di quasi il 7% negli ultimi 5 anni e un aumento del 21,3% degli imprenditori stranieri.

Cosa succederebbe senza i lavoratori stranieri in Italia?

Il Regolamento di Dublino che prevede che le persone richiedenti asilo rimangano nei Paesi dove sono state identificate e dove hanno rilasciato le prime impronte, nelle sue tre incarnazioni è stato oggetto di forti critiche. Soprattutto Dublino lascia particolarmente esposti i Paesi sul confine meridionale. “I Paesi in cui arriva un grandissimo numero di migranti – ci spiega Nando Sigona, ricercatore ad Oxford presso il Refugees Studies Centre – hanno tradizionalmente risposto alla pressione imposta dal sistema di Dublino in due modi: formalmente, lamentandosi e chiedendo più solidarietà dagli altri stati dell’Unione, informalmente, evitando di prendere le impronte digitali alle persone in arrivo e quindi permettendo loro di aggirare il sistema burocratico (questo è il caso dell’Italia) oppure determinando, o comunque permettendo, condizioni talmente misere nei propri centri di accoglienza per richiedenti asilo da costringere gli altri stati membri a cessare il ritorno dei cosiddetti

Più di 600mila connazionali ricevono la pensione grazie ai migranti. “Nell’Unione europea ci sono 34 milioni di persone straniere, cioè il 6,7% della popolazione complessiva – ci spiega Stefano Solari, direttore della Fondazione Leone Moressa che ogni anno si occupa di censire il fenomeno immigrazione in Italia – i paesi con più stranieri sono la Germania, il Regno Unito e l’Italia, mentre in alcuni paesi più piccoli come la Svizzera queste percentuali sono ancora più elevate. Su 5 milioni di residenti stranieri, 3 milioni e 460 mila sono contribuenti: contribuiscono al fisco e alle assicurazioni sociali e hanno dichiarato nel 2014 redditi imponibili per 45 miliardi e mezzo di euro e versato Irpef netta per 6,8 miliardi di euro”. Numerosi sono imprenditori, persone che hanno cariche imprenditoriali o sono in qualche consiglio di società di capitali: sono 632 mila; tra l’altro con un

Le quote immigrazione, come superare Dublino

Paesi con il maggior numero di rifugiati

‘casi di Dublino’ per evitare violazioni dei diritti umani (questo è il caso della Grecia)”. Il lento avvio del meccanismo di redistribuzione dei richiedenti asilo (o delle quote come sono state definite) conferma l’esistenza di una “crisi di solidarietà”. Fino adesso, sono stati assunti 40 funzionari di collegamento e 200 esperti al fine di implementare il sistema di redistribuzione: stando ai numeri attuali, vi è un funzionario per ogni rifugiato e un esperto ogni cinque, ancora troppo poco per far fronte all’importante fenomeno immigrazione. Mai più clandestino, l’importanza della depenalizzazione del reato di clandestinità

La legge n. 94 del 2009 introdusse, nel Testo Unico delle norme sugli stranieri extracomunitari, l’art. 10 bis che sanziona la condotta dello straniero che fa ingresso o si trattiene nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni che disciplinano l’ingresso ed il soggiorno in Italia. Secondo Guido Savio, avvocato dell’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) “quello di clandestinità è un reato inutile e criminogeno. La sanzione va da 5.000 a 10.000 euro ma il nostro sistema processuale

Il contributo economico dell’immigrazione in Italia

(fonte: Fondazione Leone Moressa, Rapporto annuale 2015 sull’economia dell’immigrazione, ottobre 2015)

(fonte: Unhcr, Global Trends. Forced Displacements in 2014, giugno 2015)

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immigrazione penale non consente di mettere in carcere per clandestinità. Quindi che senso ha punire con una pena pecuniaria uno straniero irregolare che – proprio perché privo di permesso di soggiorno – non può accendere un conto corrente, non può essere assunto regolarmente, non può intestarsi beni immobili o mobili registrati?”.

Il sistema di accoglienza italiano

(illustrazioni tratte dal Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2015, a cura di Anci, Caritas italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Sprar in collaborazione con Unhcr)

L’altro grande problema provocato dal reato di clandestinità ancora vigente è che le Procure non riescono a concentrarsi così sul fenomeno della tratta, vera piaga dietro alla clandestinità. Non vi è infatti in Italia un Piano Unico che possa punire trafficanti di uomini e smugglers, le persone che guadagnano sulla pelle dei migranti. L’accoglienza e qualche esempio positivo di integrazione

Dai dati del Ministero del 22 dicembre 2015 nelle coste italiane sono arrivati 144 mila migranti e nel sistema di accoglienza sono presenti 101.708 richiedenti asilo. Attualmente il sistema di accoglienza italiano è frammentato tra 13 centri governativi (CPSA, centri di primo soccorso e accoglienza; CARA, centri di accoglienza per richiedenti asilo; CDA, centri di accoglienza a breve termine); la rete SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e le strutture di accoglienza temporanea (CAS, centri di accoglienza straordinari). Nonostante il sistema Sprar sia considerato il più efficiente fra i tre citati, dagli ultimi dati del Ministero sappiamo che accoglie solo il 19% delle persone. La percezione dell’opinione pubblica rispetto alla spesa dell’Italia per il mantenimento del sistema di accoglienza è falsata: in rapporto al numero di richiedenti asilo ospitati, anzi, la cifra pro capite è inferiore rispetto a quella garantita da Germania e Svezia. Per il 2015 si stima un costo dell’accoglienza pari a 1.162 milioni. “Costo per la gestione degli immigrati che viene comunque riversato sul territorio – spiega Daniela Di Capua, direttrice del Servizio centrale dello Sprar, alla presentazione del Rapporto sulla protezione internazionale – sotto forma di stipendi ad operatori, affitti e consumi e che, in ogni caso, rappresenta lo 0,1% della spesa pubblica nazionale complessiva (800 mld di euro)”.

Presenze di richiedenti asilo e rifugiati nei centri CAS-CARA/CDA/CPSA e SPRAR

L’accoglienza che funziona si ritrova nei centri Sprar più piccoli e dove si avviano processi di integrazione al lavoro che permettono ai rifugiati di costruirsi un futuro. Un piccolo esempio tra i mille: il progetto Sprar “I sapori dell’inter-coltura”, in provincia di Trapani, dove le terre confiscate alla mafia vengono coltivate e restituite alla legalità grazie al lavoro dei rifugiati. Ce ne sono molte di esperienze in Italia che dimostrano come la valorizzazione delle differenze possa essere la chiave per aprire la porta della conoscenza reciproca e della collaborazione tra cittadini e rifugiati. Le storie sono pronte da raccontare, basta abbandonare la retorica della paura. 14

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VITERBO

PASTICCIACCIO ALLA VITERBESE Il Consiglio comunale di Viterbo sta affrontando da settimane una nuova e dolorosa crisi. Riuscirà il sindaco Michelini a mettere tutti d’accordo, di nuovo?



VITERBO

Il lato viterbese delle cose

A

partire dal presente mese questo lato sarà solo ed esclusivamente viterbese. Per questo abbiamo iniziato a coinvolgere nuovi collaboratori, scelti tra realtà affermate del nostro territorio; alcuni già presenti sul numero di febbraio e altri che verranno presentati nei prossimi a venire.

città • Pasticciaccio alla viterbese • La persona dell’anno è Fioroni: ha pesato, pesa e peserà • La crisi dalla parte dei numeri

musica

Per questa prima uscita la novità riguarda i due amici del giornale on-line La Fune, Simone Carletti e Roberto Pomi, attentissimi alla situazione politica di Viterbo che esordiscono, infatti, con un articolo sulla crisi in Comune al quale abbiamo dedicato anche la copertina. Ogni giorno la situazione all’interno del Consiglio comunale si fa sempre più critica e quello che editorialmente ci auguriamo è che il nostro sindaco riesca a stringere i denti (e i suoi sostenitori) almeno fino all’uscita di questo numero. Nuova collaborazione, ma vecchi amici anche loro, sono i ragazzi della Backstage Academy, e nello specifico Federica Sciamanna, che esordisce con addirittura cinque pagine di contenuti musico-letterari. In questo numero Federica contribuisce con un’intervista ai Voltumna, gruppo metal sicuramente non per tutte le orecchie ma che da qui a giugno ha già in programma date in Francia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Svizzera, Sud Africa e Ucraina. A seguire, un incontro con Silvio Bernelli, musicista e giornalista torinese intervistato in questo caso in veste di scrittore, in quanto autore del romanzo I ragazzi del Mucchio.

• Quando il Metal torna alle origini • Silvio Bernelli

storia

Ultimo contenuto per questo mese è il mio contributo che ripercorre la storia, in parte dimenticata, della famiglia Garbini e di come quest’ultima sia strettamente legata all’attuale presidente argentino Mauricio Macri. Anche per questo lato, buona lettura!

• Ricordate le Autolinee Garbini?

Manuel Gabrielli

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politica

foto © Manuel Gabrielli

viterbo

Pasticciaccio alla viterbese Per Michelini è tempo di ripartire o fermarsi. Simone Carletti e Roberto Pomi | www.lafune.eu

’anno 2016 doveva essere l’anno della definitiva consacrazione del centrosinistra viterbese e si è invece trasformato in quello della probabile condanna. Dopo due anni di lavoro era il momento di capitalizzare e invece, la chiusura del 2015 e le liti all’interno della maggioranza Michelini ci costringono prima a guardare avanti con molta più incertezza di quella che immaginavamo, con scenari aperti difficili da decifrare, e quindi a guardare indietro per capire cosa è successo. In particolare quel che è più interessante è quello che è successo nell’ultimo mese. Sono vicende politiche intricate che vedono coinvolti trasversalmente i vari gruppi che compongono (componevano?) la maggioranza di Michelini. Proviamo a mettere ordine. Nel momento in cui scriviamo la crisi è al massimo della sua potenza e non si capisce quando e come finirà. La previsione è che Michelini non duri fin quando leggerete questo articolo, ma tutto può accadere.

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Fase 1 Dalla mozione di sfiducia (respinta) alle prime schermaglie Il 12 novembre 2015 doveva essere il giorno chiave dell’esperienza del sindaco Leonardo Michelini a Palazzo dei Priori, del rilancio dell’attività

IV

amministrativa e il momento in cui si metteva talmente tanta benzina dentro i serbatoi che si sarebbe dovuti arrivare di slancio alla fine del mandato nel 2018. E invece? E invece appena un mese dopo il voto compatto del centrosinistra contro la mozione presentata dalle opposizioni il castello è venuto giù, come un iceberg all’equatore. Andando però a rileggere le dichiarazioni di voto di quel 12 novembre è tutto più chiaro e si capisce che qualcosa che non andava già c’era. Lo aveva ammesso Maurizio Tofani, lo aveva confermato Filippo Rossi parlando di “un voto di speranza” e lo avevano sottolineato chiaramente due dei sette che poi sfiduceranno Michelini: Arduino Troili e Francesco Serra. Il primo diceva di restare “diversamente in maggioranza”, il secondo votava No alla sfiducia prima perché era stata proposta dal centrodestra, poi per fede e speranza “per veder realizzati i punti di programma e nel non vedere più rimpasti”. Una dichiarazione da tenere a mente perché tornerà utile per capire cosa è successo qualche settimana dopo, con una serie di fatti che hanno costituito un mix letale per il Partito Democratico. Già a fine mese i primi scontri dopo l’approvazione dell’assestamento di bilancio con una serie di mosse che accontentano i vari consiglieri di maggioranza: l’accelerazione per la decadenza di Mol-

toni viene ritenuta una forzatura dai serra- panunziani e la pratica, dopo un primo via libera, si arena. Non se ne sentirà parlare più, nonostante il sindaco parlasse di “atto dovuto”. Passa un mese esatto dalla sfiducia respinta: è il 12 dicembre 2015. È un sabato e a San Martino del Cimino nasce Moderati e Riformisti: ovvero “una associazione politico-culturale”, considerata dagli ex-Ds del Partito Democratico un para-partito costruito dagli ex-popolari e benedetto da Giuseppe Fioroni, presieduta dal sindaco Leonardo Michelini. Martedì 15 dicembre La Fune racconta un retroscena: Michelini lavorava alla cacciata dell’assessore Andrea Vannini per dar spazio a Moderati e Riformisti. Vannini conferma, si arrabbia e dopo un tira e molla con il sindaco durato qualche giorno il 17 dopo un Consiglio comunale decisivo per le sorti della maggioranza, viene destituito: al suo posto sembra essere destinato Maurizio Tofani. Ma Serra lo aveva detto: “mai più rimpasti”. Siamo al 17 dicembre. Siamo al Consiglio comunale e in pentola bolle la nomina del Collegio dei revisori dei conti, nel quale ci dovrebbe essere, secondo il sorteggio effettuato dalla Prefettura di Viterbo, Lorenzo Ciorba, padre del presidente del Consiglio Marco Ciorba. Una mossa che non piace ai serra-panunziani. Succede qualcosa: l’assise co-

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munale si apre con la presenza dei sette serra-panunziani e la minoranza al completo: insieme bocciano la pratica. Unico sì quello del sindaco Michelini. Le opposizioni gli chiederanno di dimettersi, lui dirà che non lo farà. Finito il Consiglio arriva l’ufficializzazione della cacciata di Vannini. È sabato 19 dicembre e Michelini non ha più la maggioranza: sette dei dodici consiglieri del Partito Demcoratico scrivono una lettera nella quale lo invitano a dimettersi per loro “l’esperienza è finita”. In serata scrive anche Leonardo Michelini: “non mi dimetto, sfiduciatemi in Consiglio”. Dopo una serie di prese di posizione, dal Pd provinciale al deputato del Pd Alessandro Mazzoli, arriva il Natale, che congela la crisi e si apre una nuova fase: quella romana.

Fase 2 La crisi arriva a Roma È il 4 gennaio, due giorni alla Befana, quando a Viterbo arrivano il segretario regionale del Pd Fabio Melilli e Riccardo Tramontana, l'uomo indicato dal vicepresidente nazionale del partito Lorenzo Guerini per sbrogliare il pasticciaccio viterbese. Alle 16 il faccia a faccia con i sette dem che non credono più in un futuro per l'amministrazione Michelini, subito dopo con i cinque allineati. La diagnosi è presto fatta: gruppo comunale spaccato in due e l’operazione di ricucitura appare più difficile di un intervento a cuore aperto. La parola d’ordine è pacificare. La divisione sull’amministrazione è anche vita da separati dentro casa Pd Viterbo. Lo schema è identico: da una parte i “fioroniani” e dall’altra le altre anime: “serrapanunziani”, “sposettiani”, “renziani”. Le notizie che si diffondono sono di un intervento romano funzionale a una soluzione. Nella realtà dei fatti la “mano capitolina” diventa sempre più distante. Tramontana esce letteralmente di scena. Melilli annuncia un incontro con il segretario provinciale del Pd Andrea Egidi e il coordinatore dell’Unione comunale del partito Stefano Calcagnini; di fatto viene rinviato continuamente. Il segretario regionale indica a Michelini e al capogruppo e guida dei sette Serra la via: dialogate. Si rincorrono voci di possibili vertici nella capitale con i big viterbesi del partito: Sposetti, Fioroni, Panunzi. La crisi, del Comune e del partito, non si smuove di una virgola. L’atmosfera è da “notte dei lunghi coltelli” e la sensazione è che Roma se ne voglia lavare le mani.

Fase 3 Nuove schermaglie: la fine è vicina? Ore 12 di giovedì 14 gennaio. Serra sale le scale di Palazzo dei Priori, destinazione conferenza dei capogruppo. Ha in mano un documento. Il presidente Marco Ciorba apre l’incontro leggendo una lettera. È del padre Lorenzo, che annuncia di rinunciare all'incarico di presidente del collegio dei revisori dei conti del Comune di

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Viterbo per cui è stato sorteggiato dalla Prefettura. Uno dei nodi che ha portato alla crisi viene meno. Serra consegna a Ciorba lo stesso documento portato a mano a Leonardo Michelini da Marco Volpi il pomeriggio del 19 dicembre, consegnato al termine della messa di saluto alle clarisse nella basilica di santa Rosa. “Ho ritenuto opportuno condividerlo ufficialmente con i gruppi consiliari, che ne avevano avuto notizia solo dai giornali”, spiega il capogruppo Pd. Se ne va e la capigruppo salta. Contemporaneamente viene diffusa in diretta radio dalla trasmissione Sbottonati la notizia che i consiglieri Melissa Mongiardo e Arduino Troili stanno per rassegnare le dimissioni da presidenti r i s p et t i va m en t e della prima e quarta commissione consiliare. Continua l’escalation della crisi e il muro contro muro. I sette danno chiari segnali a conferma dell’irreversibilità del meccanismo attivato. Arduino Troili sublima tutto sul piano simbolico arrivando a bruciare una sedia, metafora della propria poltrona di consigliere comunale, sul Focarone di Bagnaia. Il tutto avviene nel pomeriggio di sabato 16 gennaio, subito dopo una serie di fischi moderati (qualcuno dice anche riformisti) incassati da Michelini durante il suo discorso in piazza per l’apertura della festa di sant’Antonio Abate. Lunedì 18 gennaio Michelini segue l’indicazione Melilli e inizia un giro di telefonate ai consiglieri che lo hanno sostanzialmente sfiduciato. Il primo a incontrare il sindaco è Marco Volpi, a ora di pranzo. Rimangono entrambi fermi sulle posizioni iniziali. L’incontro più significativo si tiene nella Sala Rossa tra le 18,15 e le 18,45. Ai lati della scrivania si fronteggiano Michelini e Serra, c’è anche Mario Quintarelli. Le parole non trovano una conciliazione, la crisi non si muove di una virgola. L’unico dato nuovo è che a distanza di un mese Michelini tenta di avviare le pratiche del disgelo ma il clima continua a essere siberiano. Nei giorni che vengono più volte si è pensato di essere arrivati vicini alla fine, senza però mai arrivarci. I tempo sembrano sempre più maturi, ma gli incontri con i dirigenti romani non hanno ancora, oggi quando si scrive, risolto nulla. I sette sembrano essere sempre vicini alle dimissioni, ma c’è un’altra scadenza che incombe: se il Comune dovesse cadere dopo il 18 febbraio si avrebbe un anno di Commissario prefettizio. Per evitarlo bisogna sbrigarsi: ripartire o fermarsi, per rispetto dei cittadini.

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viterbo

città

La persona dell’anno è Fioroni: ha pesato, pesa e peserà er andare avanti occorre fermarsi e fare il punto su quello che c’è stato dietro. Per questo abbiamo ritenuto importante mettere in piedi il titolo di “Persona dell’anno per La Fune”. Niente di nuovo sotto il sole, ma niente di già fatto a queste latitudini viterbesi.

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Abbiamo individuato prima dieci candidati, poi la rosa è stata ridotta a cinque e infine abbiamo scelto di nominare “Persona dell’anno” Giuseppe Fioroni. Una decisione che ha sollevato anche diverse critiche da parte dei lettori. Innegabile però il suo segno sui destini della città capoluogo, nel passato e nel presente. Nel bene o nel male giudicatelo voi. Fioroni pesa, ha pesato e peserà. È un dato di fatto incontrovertibile. In questi mesi tra le righe delle cronache locali non si è fatto altro che parlare di fioroniani e non-fioroniani. La sua mano sulla vita dell’amministrazione del Comune di Viterbo è chiara a molti. Al punto che passerà alla storia la battuta del consigliere Sergio Insogna che, rivolgendosi a Michelini, ha pronunciato queste parole: “Fioroni, esci da questo corpo!”. ifficile negarlo o cercare di sostenere letture diverse. In ogni frangente di smarrimento del sindaco c’è chi ha individuato l’epifania di un gesto diventato liturgia da parte di Michelini: mani nella tasca della giacca, presa del telefono, rubrica, “Peppe”, chiamata. Almeno così viene raccontato negli ambienti. Stessa liturgia apparterrebbe al vicesindaco Luisa Ciambella, storicamente legata a Beppe Fioroni. E il numero dei liturghi risulterebbe aumentato strada facendo: Livio Treta, Giacomo Barelli, Maurizio Tofani. Insomma Fioroni è da molti considerato il sindaco ombra di Leonardo Michelini, sarebbe infatti il grande manovratore dietro molte delle decisioni della maggioranza.

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E nel segno di Fioroni è nata proprio quest’anno una nuova creatura politica: Moderati e Riformisti. Il resto della storia è ancora da scrivere. O finirà nella polvere o di nuovo sull’altare.

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DECARTA FEBBRAIO 2016


viterbo

città

La crisi dalla parte dei numeri Come è composta la maggioranza e come funziona il Consiglio comunale.

La mappa della maggioranza Fioroniani, non fioroniani, civici, moderati e riformisti, democratici, ex-Ds, popolari: chi sono? Cosa significano queste sigle? Per rispondere a questa domanda abbiamo elaborato questa grafica, che sintetizza e fotografa la composizione del centrosinistra che sostiene/sosteneva il sindaco di Viterbo. Il Pd è diviso a metà: da un lato i sette “contro Michelini”, dall’altro i cinque alleati con i civici “con Michelini”.

CONTRO MICHELINI

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CON MICHELINI

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viterbo

musica

Quando il Metal torna alle origini Intervista ai Voltumna. Federica Sciamanna / Backstage Academy | www.backstageacademy.org Salve cari lettori di Decarta, piacere di conoscervi, sono Federica Sciamanna, cantante, insegnante di musica e proprietaria della Backstage Academy. In queste pagine daremo spazio, durante i prossimi mesi, a vari progetti musicali che si stanno facendo strada nel panorama musicale italiano e non. Le prime “vittime” di questa serie di interviste sono i VOLTUMNA, loro si definiscono Etruscan Death/Black Metal *. o ed il buon Manuel incontriamo Michele (chitarra e seconda voce) e Simone (voce) nell’area lounge della Backstage. È sera, e davanti ad un paio di birre cominciamo a chiedere a questi misteriosi personaggi chi sono e da dove vengono i Voltumna.

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Michele: la band parte ufficialmente nel 2009, poco dopo aver appena cominciato ognuno a dedicarci al proprio strumento; avevamo 15 o 16 anni, come nella miglior tradizione Metal (vedi Children of Bodom). Non avevamo le idee molto chiare ma avevamo già trovato tutti i componenti per questa band, eravamo tutti compagni di liceo. Stavamo cercando dei nomi, legati all’ambiente death/black metal stile Behemoth e a quello dell’occultismo, così andando a ri-

Black Metal

troso nella nostra cultura sono usciti fuori miti e leggende riguardanti gli Etruschi. Abbiamo quindi deciso per Voltumna: la Dea del cambiamento, dei rituali della terra, la protettrice del popolo. Siamo partiti con piccoli concerti nel 2010, mentre registravamo il primo EP, uscito nel 2011. Essendo giovani, all’inizio non è stato facile aprirsi la strada per i live, sia nella nostra regione che fuori. In quel periodo molti locali storici della scena romana iniziavano a chiudere a causa della crisi economica. Io stesso che mi occupavo del management e del booking della band ho davvero cercato di tenere duro finché nel 2012 c’è stato il primo tour in Italia, poi è uscito il primo album Damnatio Sacrorum e da lì abbiamo cominciato ad esibirci anche all’estero.

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Il black metal è un genere estremo dell’heavy metal. Musicalmente la variante più classica del genere è contraddistinta da strutture minimaliste caratterizzate da un suono estremamente distorto, volto a creare sensazioni sinistre, e sonorità violente, ma esistono al suo interno numerose varianti.Il cantato è in scream, e talvolta sono presenti intermezzi di chitarra acustica vagamente ispirati al folk nord-europeo per evocare atmosfere ancestrali. È conosciuto anche per alcune sue tematiche discusse, spesso vicine a satanismo (o paganesimo) ed anti-cristianesimo, e per alcuni fatti di cronaca che hanno visto protagonisti suoi esponenti quali suicidi, vandalismi contro luoghi cristiani e perfino omicidi. Altre tematiche importanti che caratterizzano differenti altri gruppi o artisti del genere sono invece vicine a nichilismo, misantropia, al tema della morte ed al mistero collegato ad essa, alla celebrazione romantica di miti e tradizioni nordiche e della natura o al nazionalismo.

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La prima uscita fuori Italia fu supportando i Neid (Grindcore) in Slovenia e poi ci siamo esibiti in Russia lo scorso anno. Durante il 2015, che è l’anno degli Etruschi, abbiamo fatto tantissimo: moltissimi concerti, è arrivato un contratto discografico per il nuovo album, siamo stati in tour in USA, abbiamo fatto da supporto a gruppi famosi nell’ambiente come Inquisition, Napalm Death, Obituary. La scena underground in Italia è prolifica ma c’è carenza di strutture apposite, che tipo di locali avete girato prima di cominciare con i tour all’estero? Michele: posso citare locali molto buoni, come il Blue Rose Saloon a Milano, il Traffic a Roma, e poi alcuni locali tra Campania e Basilicata. Ci siamo sempre divertiti, ed in particolare al sud l’accoglienza è sempre stata ottima in fatto di pubblico! Parlatemi del primo EP. Michele: uscito nel 2011, è composto da 4 brani. Questo, come tutti e 3 i nostri lavori, sono stati prodotti da noi come band indipendente **, poi hanno avuto delle riedizioni con varie label. L’ultimo album uscirà a breve con una nota etichetta romana cioè Killerpool, sottolabel di Subsound Records. Il lavoro dietro il booking *** quindi è stato tutto opera tua? Michele: sì, diciamo che mi ci sono dedicato con molto impegno e sono molto contento dei frutti che sta dando il mio lavoro.

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Invece cosa potete raccontarci del tour in USA? Simone: il tour si è svolto tra fine Agosto ed inizio Settembre 2014. È andata così: durante il tour in Russia abbiamo conosciuto la band americana Skinned a cui siamo piaciuti molto, e tra noi si è instaurato un bellissimo rapporto, tanto che poi ci hanno voluti con loro anche nel tour in USA. È nata una bella amicizia, nonostante la differenza di età – si sono formati nel 1995 e sono uno dei gruppi storici appartenenti al genere brutal/death metal in America. Durante le tre settimane di tour abbiamo suonato nella East Coast e nel Mid West: Boston, Buffalo, Providence, NY, Chicago, siamo stati in Oiho, North Dakota, Sud Dakota, a Minneapolis, a Madison.

Artista indipendente

Se appunto doveste spiegare la vostra musica a chi non la conosce… Michele: credo che la cosa migliore sia definirla metal, anche se noi mischiamo talmente tanti sottogeneri che non saprei dare un’etichetta. In questo momento l’idea di metal nel mainstream è legata a band come Slipknot o Linking Park, ma più che altro secondo me al momento c’è una grande spaccatura tra chi genera-

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Tale espressione viene utilizzata per ricomprendere tutti quegli artisti musicali che non firmano contratti con le cosiddette etichette major, (di solito le "quattro grandi" compagnie discografiche: la Warner, la Universal, la Sony e la EMI, che coprono il 90% del mercato discografico planetario). Questa è la definizione data, tra le altre, dal New Musical Express o NME (settimanale musicale inglese).

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Che tipo di locali avete trovato? Michele: i locali erano davvero ottimi, molto organizzati e forniti, grandi. L’ultima data poi è stata al Full Terror Assault, in Illinois… Fantastico! Era la prima edizione e come gruppi d’oltreoceano eravamo nella line up soltanto noi e i Napalm Death. Il pubblico è rimasto molto colpito. In America hanno un approccio alla musica completamente diverso da quello europeo: puntano molto più sul tiro della canzone piuttosto che sulla melodia, infatti noi eravamo completamente diversi. Non sono abituati al black metal. La nostra musica unisce quest’ultimo al metal moderno… e direi che li ha ammaliati per bene.

Booking

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Il termine booking, riferito al mondo della musica, si riferisce al lavoro non semplice ed allo stesso tempo fondamentale di schedulare concerti per un artista. Spesso esiste un agente che se ne occupa, altre volte è lo stesso artista che lo svolge.

lizza e segue questi gruppi molto famosi – che in realtà metal non sono, e chi è invece troppo specifico – brutal-death metal, pornogrind, depressive-death metal: siamo andati troppo differenziando… Questo secondo me non è giusto, ci dovrebbe comunque essere un’evoluzione pur rimanendo nelle tradizioni. Noi, unendo tanti generi (ognuno di noi ascolta un sottogenere diverso), uniamo tutto ciò nei nostri brani, evitando di mettere paletti e ci definiamo Etruscan Black Metal. La gente d’altro canto ci definisce black/death metal, essendo queste le maggiori influenze, e sulla scia di artisti come Behemoth e Dissection noi cerchiamo di coniugarli. Simone: si può dire che siamo in fase di evoluzione sul nostro sound, non ci si ferma mai. Approfondiamo l’aspetto “etrusco” del vostro progetto, parlateci della filosofia dietro i Voltumna. Michele: credo di poter dire che siamo il primo gruppo italiano che riesce ad esportare le nostre antiche origini, cosa invece molto comune negli altri paesi. Non credi che ciò sia dovuto anche al fatto che qua in Italia il mainstream sia appannaggio esclusivo del pop? Michele: certo. Ma torniamo a noi, agli Etruschi e al nuovo disco... Simone: ho cercato di parlare appunto della Disciplina Etrusca, dai Fulgurales cioè i sacerdoti che interpretavano i fulmini scesi dal cieli, del fatto stesso che questi venissero letti come messaggi degli dei, della lettura delle interiora degli animali, l’Aruspicina.. Michele: infatti Disciplina Etrusca è un concept. La parola “disciplina” non è da intendersi in senso moderno, ma era un insieme di tutte le arti e i rituali che venivano utilizzati dalla popolazione etrusca. Non c’è per

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musica info loro una vera divisione tra scienza, arte e cultura, vedendo esse come un tutt’uno. In questo senso il nostro disco vuole essere anche una critica al mondo moderno che ha privato di valore il mondo mistico mettendo in netto contrasto spiritualità e scienza, quando una vera divisione non esiste, è tutto un unico blocco che ogni persona può elaborare. Il popolo etrusco lo elaborava così, vedi gli Aruspici che erano i loro governatori e i loro sacerdoti, vedi anche la base molto “libertina” della loro cultura: la donna poteva avere molti partner e a questo proposito i Romani li accusavano di barbarie poiché non esisteva il concetto di “moglie”.

Line Up Simone - Zilath Mekhlum, voce Giovanni - Fulgurator, basso Michele - Haruspex, chitarra Bruno - Augur, batteria Discografia Chimera (EP), 2011 Damnatio Sacrorum, 2013 e re-released 2014 Disciplina Etrusca, 2015

Che idea vi siete fatti dei vari misteri riguardanti questa popolazione? Michele: beh, la lingua non è stata tradotta e sono andati persi quasi tutti gli scritti, la stessa Disciplina Etrusca consiste in una serie di rimanenze che comprendono scritti riguardo l’arte Fulguratoria, l’arte Aruspicina, la lettura del volo degli uccelli e poco altro. Tante di queste pratiche divinatorie sono note soltanto attraverso leggende, attraverso quello che ne hanno scritto i romani (cfr. Cicerone, De divinazione) o tramite quello che è stato tramandato oralmente da quelle che poi sono state definite “streghe”. Da studente di Scienze archeologiche ed Etruscologia avevo questo interesse già da prima della creazione della band, anche per le mie origini – sono nato a Sipicciano, in mezzo alle tombe si può dire, e in mezzo alla “tagliata etrusca”. Cosa potete anticiparci riguardo i prossimi mesi? Michele: siamo già in scrittura del prossimo disco, ma uscirà non prima del 2017. Ci sono tante belle news soprattutto dal punto di vista dei live, che per noi sono la prima cosa. Ti annuncio un po’ di eventi: a febbraio saremo in Francia, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca, a marzo in Svizzera, ad inizio aprile saremo headliner al WitchFest in Sudafrica e già stiamo avendo un ottimo seguito da lì. Il 17 giugno saremo al Metalgate Fest in Repubblica Ceca, poi a Kiev al Carpatian Metal Alliance. Elencatemi tre gruppi preferiti a testa. Simone: Rhapsody of Fire, Dimmu Borgir, Devildriver. Michele: Sepultura, Behemoth, Septicflesh. Che fate nella vita? Michele: studio Archeologia. Simone: studio Ingegneria informatica. Michele: comunque puntiamo a fare i musicisti nella vita e ad occuparci al 100% della band. Già questo anno abbiamo fatto circa 40 date, e la cosa più importante è che ci sia disponibilità per continuare con i tour e i concerti. Ringraziando i Voltumna per la loro disponibilità, facciamo loro i nostri migliori auguri per la loro carriera!

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musica

Silvio Bernelli Intervista all’eclettico musicista-scrittore torinese. Federica Sciamanna e Elisa Rotellini

Cari lettori, durante le scorse settimane sono stata coinvolta nel mondo letterario di questo poliedrico artista da una persona a me molto vicina, Elisa Rotellini (fotografa e hardcorer), e con lei abbiamo avuto il piacere di conoscere e fare due chiacchiere con Silvio Bernelli.

folle eppure in parte realizzato. E poi quella scena ha seminato idee, segni, suoni che nel tempo hanno dato suggerito la strada ad artisti completamente diversi, gli artisti contemporanei torinesi Botto & Bruno e Bartolomeo Migliore su tutti, che hanno preso la lezione dell’HC torinese primi anni 80 e l’hanno sviluppata in contesti completamente diversi.»

ilvio Bernelli è un musicista, uno scrittore e giornalista torinese nato nel 1965. Ha fatto parte delle band hard core punk Declino con cui ha inciso la cassetta poi Lp Mucchio Selvaggio nel 1984 insieme ai Negazione, il LP Eresia nel 1985, e Indigesti con cui ha inciso il LP Osservati dall’Inganno sempre nel 1985. Osservati dall’Inganno è considerato dalla critica uno dei 100 migliori dischi del rock italiano (e un capolavoro dell’hard core punk a livello mondiale. Sulle sue esperienze come musicista Bernelli ha scritto il romanzo I ragazzi del Mucchio pubblicato da Sironi Editore nel 2003 e nel 2009. Nel 2006 ha scritto il reportage su Torino pubblicato in Periferie, Laterza Editore. Nel 2012 ha pubblicato per Agenzia X il romanzo Dopo il lampo bianco, inserito dall’Indice dei Libri tra i 50 migliori libri dell’anno. Scrive sulle pagine letterarie del quotidiano L’Unità, Il Mucchio, Il Mucchio Extra, il lit-blog il primoamore.com e su Il Fatto Quotidiano, per cui cura il blog sullo yoga.

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Ciao Silvio, benvenuto su Decarta! È davvero un onore poter intervistare una persona che come te ha vissuto da protagonista la realtà hardcore punk di tempi assai diversi da questi! Grazie mille per concederci questa intervista! Nel tuo libro I ragazzi del Mucchio, in cui racconti in maniera appassionata la scena HC nella Torino degli anni ’80, descrivi l’hardcore come “un modo di guardare la vita, il mondo”, ed è una descrizione molto calzante; come lo descriveresti a chi ne è totalmente estraneo? «Direi che sul piano prettamente sonoro è una sorta di punk rock al quadrato: due volte più veloce, due volte distorto. Sul piano più filosofico direi che è il modo per andare in fondo alla cosa che si fa, qualunque cosa si faccia. Con passione, dedizione e quel minimo di follia necessaria a spalancare, magari anche a calci – metaforici, sia chiaro – porte che si vorrebbero sprangate.» Secondo te ha ancora senso parlare di hardcore? Se sì, qual è la band hardcore secondo te più rappresentativa della situazione in Italia adesso? «Non seguo l’hardcore da decenni, perché ciò che mi

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Quali sono gli artisti che ti piace ascoltare? «Ho sempre avuto una passione per il suono d’avanguardia, quindi nel 1980 ascoltavo Cabaret Voltaire e Pere Ubu, nel 1984 Sonic Youth e Swans e oggi apprezzo molto certa musica elettronica: Vessel e Andy Stott, ad esempio.»

interessava dell’HC primi anni ’80 era che fosse un’esperienza di avanguardia, una cosa tutta nuova che – infatti – i mass media ignoravano del tutto. C’erano regole nuove da scrivere, canoni da stabilire, cose che si potevano provare, sperimentare. Infatti all’epoca del primo HC anche gruppi che non c’entravano nulla con questo genere sul piano sonoro, come ad esempio Minutemen, Meat Puppets, Flippers eccetera facevano comunque parte della scena hard core. Quando poi questa scena si è cristallizzata nel suono HC/Trash della seconda metà anni 80 aveva smesso di avere cose nuove da dire ed è più o meno allora che l’ho abbandonata.» Che ruolo ha svolto la scena hardcore nella realtà torinese degli anni ’80? «È stata la miccia che ha innescato l’irripetibile avventura umana di un pugno di ragazzi appena adolescenti, i musicisti di Declino e Negazione che sono al centro del mio libro I ragazzi del Mucchio, che sono partiti alla conquista della scena musicale mondiale dalle cantine della triste Torino del 1982-83. Un sogno

Parlaci della tua adolescenza e di come ti sei avvicinato alla musica… Da come ne parli nel libro sembra sia stata una profonda trasformazione di tutta la tua persona. «Ho avuto la fortuna di crescere in un momento in cui la musica era ancora importante, era centrale nella vita delle persone. E anche ho avuto la fortuna di avere una mamma che a 5 o 6 anni mi faceva sentire i Beatles. La curiosità per i suoni nuovi è venuta da sé. Ricordo l’incredibile folgorazione che era stato vedere David Bowie che cantava Heroes in tv nel 1977 e nel mio cuore restano le sere tra il 1979 e 1980, quando la scena musicale vedeva l’esplosione della più variegata e creativa generazione di gruppi mai vista. Io ero solo un ragazzino di quattordici attaccato alla radio e in questa radio che era la Radio Flash torinese dell’epoca – ma non solo quella – suonavano i Gang of Four, i DNA, i Joy Division. La prima volta che ascoltai Disorder, il pezzo di apertura di Unknown pleasures, pensai che sembrava un disco che arrivava da Marte. I Joy Division erano puliti, ficcanti, eppure tremendamente, irreversibilmente romantici. Ancora oggi quando sento Atmosphere mi commuovo.» Come mai hai sentito il bisogno di avvicinarti alla letteratura? C’è stato qualcosa che ti ha spinto a mettere su carta le avventure de I ragazzi del Mucchio? «È stato decisivo il fatto di essere intanto diventato uno scrittore. E questo è successo nel corso di decenni,

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leggendo migliaia di libri, cercando di capire come una cosa realmente accaduta potesse diventare romanzo. La grana, la pasta della voce narrante de I ragazzi del Mucchio è tutta letteraria, non ha niente a che fare con quella di un musicista che racconta la sua storia né più né meno come un pilota di formula uno o un grande chef potrebbero raccontare la loro. A un certo punto della mia vita, dopo aver scritto alcuni romanzi abortiti inutili, mi sono reso che io ce l’avevo già una storia da raccontare, la mia, e che era una storia forte. E ormai avevo le armi giuste per scriverla.»

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con tutti i difetti che hanno. Quindi come vedi non mi è mai passata la voglia di sperimentare, di tentare cose nuove.»

Qual è il lavoro letterario a cui sei più legato? «I ragazzi del Mucchio perché è il libro che mi ha fatto

Sappiamo che sei istruttore di yoga, una disciplina che sembra all’opposto rispetto al disordine del punk… Come ti sei avvicinato ad esso e come lo vivi adesso? «A dirti la verità, la concentrazione assoluta richiesta dall’esecuzione su un palco di un pezzo hard core – come lo suonavo io, almeno – necessita di uno stato mentale non troppo diverso, per quanto possa sembrare incredibile, da quello in cui si praticano le tecniche più complesse dello yoga, come i Mudra, i

conoscere – e anche ri-conoscere – come scrittore. Il libro più personale è comunque Dopo il lampo bianco, dove faccio più o meno la stessa operazione fatta con il primo libro, utilizzando il materiale incendiario del mio vissuto – in questo caso uno spaventoso incidente stradale in Thailandia, dal quale incredibilmente sono uscito vivo – per raccontare una storia letteraria. Si tratta in ogni caso di due libri originali e irripetibili, pur

Pranayama più particolari. È chiaro che comunque per me lo yoga è oggi la cosa più importante tra le molte che faccio. Ho iniziato una quindicina di anni fa e ormai è qualche anno che lo insegno stabilmente. E in ogni caso credo che la mia esperienza sia la prova provata che lo yoga è adatto a qualunque tipo di persona, non solo a post-hippy un po’ strambi, come purtroppo moltissima gente immagina.»

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Ricordate le Autolinee Garbini? Il legame tra Mauricio Macri, neo presidente argentino, e Viterbo. Manuel Gabrielli | manuel.gabrielli@decarta.it

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l 22 novembre dell’anno scorso Mauricio Macri ha vinto il primo ballottaggio per la presidenza della storia Argentina. Due giorni più tardi ha incontrato la presidente uscente, Cristina Kirchner, per il passaggio del mandato. Quello stesso 24 novembre su la Repubblica è stato pubblicato un articolo del giornalista Paolo Gallori che ripercorreva la saga familiare dei Macri, oggi una potente famiglia di imprenditori argentina, appena ieri una famiglia di immigrati italiani. Il padre di Mauricio, Francesco, è infatti nato in Italia e nasconde un sorprendente legame con Viterbo: suo padre fu Giorgio Macrì, figlio di proprietari terrieri calabresi e sua

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madre fu Lea Lidia Garbini, appartenente alla nota famiglia di autotrasportatori che per tanto tempo lavorò a Viterbo. Un filo non troppo sottile lega quindi l’esistenza del presidente argentino alla nostra città. L’appuntamento è alle ore 12 del 21 gennaio, il luogo è il parcheggio del Centro commerciale Garbini. Sotto, tra le fondamenta dell’edificio che si affaccia su viale Trento, c’è un ufficio particolare, pieno di ricordi. A guidarmici è il proprietario dello stabile, Massimo Caporossi, diretto discendente della famiglia Garbini e ultimo amministratore della ditta di trasporti, regionalizzata nel ’76.

All’interno delle stanze che hanno accolto la nostra conversazione c’è tutto ciò che non avrei mai potuto trovare in rete: foto, targhe e pezzi di autobus, articoli di giornale e in generale testimonianze di ciò che fu la società di trasporti Garbini e la famiglia che le ha dato il nome. Presidente argentino a parte, quella dei Garbini è una storia familiare che agli occhi e nella memoria dei più è andata persa ma meriterebbe un approfondimento. A ricordarcelo sono anche le parole di un libricino (Massimo Onofri, Gatti e Tignosi, editore Sette Città, ISBN 88-86091-03-6), prestatomi dal mio in-

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storia

terlocutore al termine del nostro incontro: “È con una certa commozione e con qualche rammarico che guardiamo a questa parca e scrupolosa famiglia di capitani d’industria, non sorda alle esigenze della collettività, ben attenta a che interesse privato e bene pubblico mai contrastassero. I Garbini, Augusto non ultimo, sono stati infatti tra i rari rappresentanti viterbesi di quella borghesia imprenditoriale che tentò, a tutti i costi, di farsi promotrice di uno sviluppo razionale che investisse tutta la città: quella borghesia come classe generale che qui da noi, purtroppo, non è mai cresciuta.” I Garbini furono una famiglia tanto importante per Viterbo città, quanto scomoda per quella classe dirigente, ancora oggi esistente, che sembra fare di

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tutto per evitare che il capoluogo si sviluppi e soprattutto si apra con il territorio circostante. È in questo che i Garbini risultarono “pericolosi”, in quanto trasportatori, e di quelli rivoluzionari. Come viene riportato su un post commemorativo dei 100 anni della Roma Nord sul forum Mondo Tram, Viterbo, nel 1932, veniva definita “la terra del silenzio ferroviario” e fu grazie all’intraprendenza degli imprenditori Igino Garbini e Guido Ancilotti che la Tuscia venne finalmente collegata da un servizio di trasporti efficiente: ben 14 linee, con mezzi disegnati e prodotti appositamente. Quelle autolinee si espansero fino a coprire l’intera Roma Nord, fino quasi a Siena. Nel periodo finale erano circa 8.000.000 i chilometri percorsi ogni anno dai 350 pullman e dai 600 dipendenti della ditta. Più di mezzo secolo di attività hanno infatti lasciato il segno e molte strutture ancora oggi esistenti a

Viterbo le dobbiamo a questa storia familiare e dei trasporti. Basti pensare che i Garbini furono costruttori di molti distributori e stazioni di servizio della provincia, tra cui il distributore di Porta Romana, quello di Villanova e la Pensilina, recentemente ristrutturata, di piazza del Sacrario.

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ome mi ha raccontato il signor Caporossi, la ditta di trasporti Garbini nasce intorno al 1887 con un Garbini che non si chiamava Garbini ma Garbin ed era di origine Genovese. Giuseppe Garbin, questo era il suo nome completo, faceva il facocchio e, ad un certo punto, affiancò al suo lavoro di artigiano un servizio di diligenze. Anni a seguire, nel 1919 i quattro nipoti Igino, Ostilio, Archimede e Galileo, fondarono la SAS Garbini. La società nel giro di pochi anni passò dalle diligenze ai primi omnibus a motore, per poi dive-

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nire la realtà che rimase attiva fino al 1976, anno della regionalizzazione. Il legame familiare con il citato presidente argentino Mauricio Macri è molto semplice: Lea Lidia Garbini fu la figlia di Galileo Garbini e sorella di Augusto e Maria Olga. Si sposò con Giorgio Macrì, calabrese appartenente ad una famiglia di proprietari terrieri nel 1928 e dal matrimonio nacquero Francesco, Pia e Tonino. Il matrimonio non durò a lungo e i tre figli ad un certo punto decisero di seguire il padre in Sud America. La parentesi è infatti così breve che non esistono più contatti tra il ramo familiare viterbese e quello argentino: San Giorgio Morgeto, città natale di Giorgio Macrì, ha ricevuto in passato una visita di Mauricio, allora sindaco di Buenos Aires mentre Viterbo non è detto sia nemmeno un luogo noto geograficamente ai magnati argentini.

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Breve Storia dei Macrì

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appiamo, tramite una lettera di congratulazioni inviata al presidente Argentino dal sindaco del comune di San Giorgio Morgeto, che Giorgio Maria Vittorio Macrì, il nonno di Mauricio, nacque nel piccolo centro abitato calabrese nel 1898 e che a seguire sposò Lea Lidia Garbini il 30 ottobre 1928. Due anni più tardi nacque il primogenito, Francesco, seguito da Pia e Tonino, rispettivamente di 16 e 14 anni. Giorgio Macrì, apparteneva ad una famiglia di ricchi latifondisti, e basta leggere un po’ la storia dell’emigrazione italiana, per capire che nel meridione dell’epoca le famiglie si dividevano in due grandi gruppi: chi aveva la terra e chi la lavorava. Quindi, probabilmente lontano dalle necessità di sopravvivenza che spinse molti suoi conterranei ad emi-

grare, Giorgio Macrì avviò la sua attività di costruttore, prima in Africa e poi in Argentina. Due posti che hanno motivo di essere stati scelti se consideriamo l’influente presenza di italiani nell’Africa della breve parentesi coloniale e l’ Argentina dove tanti braccianti del meridione fin da un secolo prima erano andati a cercare fortuna. Prima di partire Giorgio si rese protagonista di una breve parentesi politica partecipando come fondatore al movimento dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini. È una parentesi breve per la storia italiana però importante per questa saga familiare che sembra continuare a rispecchiarsi in questa corrente liberal-conservatrice che è poi la base del pensiero politico liberista dell’attuale presidente. Conclusa prematuramente la carriera politica Giorgio, partito per il Sud Ame-

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storia rica nel 1946, venne raggiunto dai figli due anni più tardi e, non a caso il figlio Francesco, appena diciottenne, trovò lavoro in appena 3 giorni presso un’azienda di costruzioni italiana, la Sadop. Questo giovane italiano, dotato di indubbie capacità di amministratore di finanze, dopo essersi tolto le sue soddisfazioni da impiegato decise

italiane si sarebbero garantite l’assegnazione di appalti pubblici.” Non a caso i fratelli Macrì curarono per venti anni gli interessi della FIAT in Argentina.

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che era il momento di fare il grande salto per diventare imprenditore. L’Argentina dell’epoca era un paese ancora tutto da costruire e i lavori per le grandi infrastrutture non mancavano e fu così che Francesco, oramai diventato Francisco, prima come sub appaltatore e poi in prima linea, iniziò la sua scalata imprenditoriale. Il figlio Mauricio nato nel 1956, all’inizio della dittatura militare era appena ventenne, già ben cosciente ma sicuramente non protagonista dei fatti che portarono i Macrì a diventare una delle famiglie più importanti dell’Argentina. Grazie ai legami politici i Macrì non solo non dovettero fuggire come fu obbligatorio per molti altri imprenditori, ma videro la loro holding crescere sempre di più, passando dalle sette imprese del 1973 alle 47 del 1983. Questo grande salto, totalmente omesso nell’articolo de la Repubblica, sembra essere strettamente legato a torbide e ancora poco chiare storie di malaffare italo-argentino. Il 23 marzo del 2012 in un incontro il cui tema era “Affari Nostri” svoltosi presso l’università di Roma 3, il giornalista d’inchiesta argentino Horacio Verbitsky parlò del “coinvolgimento delle due principali imprese italiane presenti in Argentina, la Fiat e la Techint, nei negoziati segreti per l’approvvigionamento di armamenti durante la Guerra di Malvinas del 1982 con l’intermedazione della P2, in cambio dei quali le imprese

na volta passato l’oscuro periodo della dittatura, tutto ormai è dimenticato e Mauricio, nel frattempo cresciuto, è a fianco del padre negli affari di famiglia. Come molte relazioni tra padre e figlio, gli attriti non mancarono e Mauricio, per allontanarsi dall’ingombrante presenza del genitore, si rifugiò prima nel mondo del calcio diventando presidente dei Boca Juniors e successivamente in quello della politica, venendo eletto prima sindaco di Buenos Aires e più recentemente presidente dell’Argentina. A tal proposito Francesco Macri, ancora oggi riconosciuto come uno degli uomini più potenti del paese, dichiarò pubblicamente poco prima delle elezioni: “Lo vedo come presidente, ha la mente di un presidente, ma non il cuore. È una vocazione. Essere presidente di un paese vuol dire rinunciare alla propria vita e questo è qualcosa che non chiederei mai ad un figlio”. Delle dichiarazioni che lasciano trapelare qualche attrito, ma, indipendentemente dalle idee del padre, oggi Mauricio viene definito “il padrone della destra” e il futuro prossimo di un grande Paese sud americano in cronica difficoltà verrà deciso in gran parte dalle sue decisioni.

Ringraziamo Massimo Caporossi, Arturo e Enrico Lentini, Alessandro Della Casa per le informazioni e la cortese collaborazione.

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