IL MIO GIUSTO TRA LE NAZIONI: CALOGERO MARRONE (12.5.1889/15.2.1945) Scelto da Antonio Zomparelli (docente di arte) Dopo aver combattuto nella prima guerra mondiale con il grado di sergente, trovò posto, in quanto reduce, presso il suo comune di nascita, Favara, come segretario della Sezione Combattenti e Reduci. All'avvento del fascismo rifiutò di iscriversi al Partito Nazionale Fascista e per questo scontò alcuni mesi di prigione e si attirò le ire dei notabili del paese. Nel 1931 vinse un concorso come applicato comunale presso il comune di Varese. Quindi, accompagnato dalla moglie Giuseppina e dai quattro figli, Filippina, Salvatore, Dina e Domenico, abbandonò il proprio paese. A Varese, anche grazie alle sue doti umane e professionali, fece rapidamente carriera e divenne Capo dell'Ufficio Anagrafe che contava, allora, 12 impiegati. Da questa posizione di rilievo, durante l'occupazione nazi-fascista, poté rilasciare centinaia di documenti falsi ad ebrei e anti-fascisti che, in questo modo, sfuggirono alla caccia che veniva loro data. Nel 1944, tuttavia, un delatore segnalò la sua attività alle autorità, che lo fecero arrestare il 7 gennaio 1944 con l'accusa di collaborazionismo con la Resistenza, favoreggiamento nella fuga di ebrei, violazione dei doveri d'ufficio, intelligenza con il Comitato di Liberazione Nazionale (tutte accuse per le quali era prevista la pena della fucilazione). Calogero Marrone era già stato sospeso cautelativamente dal servizio il 1º gennaio 1944 e il 4 gennaio dello stesso anno era stato avvisato da don Luigi Locatelli, canonico della Basilica di San Vittore, e in contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale, che le SS erano oramai prossime a procedere al suo arresto. Nonostante questo, Calogero Marrone non cercò di fuggire, sia perché aveva dato la sua parola al Podestà Domenico Castelletti che avrebbe collaborato alle indagini che lo riguardavano sia, soprattutto, per proteggere da ritorsioni la sua famiglia. Detenuto nel carcere giudiziario di Miogni venne trasferito nel Campo di concentramento di Dachau dove morì il 15 febbraio 1945. “L’albero prescelto è la roverella centrale nel “giardino delle sette querce”. La quercia esprime la forza nelle sue radici e nella chioma ma anche la volontà di piegarsi al volere della natura nel non essere un sempreverde e proprio per questo riesplodere con la sua forza prorompente nella stagione della rinascita primaverile. L’albero prescelto è quello più gracile ma centrale, espressione quindi della simmetria da sempre associata alla razionalità e alla rettitudine. La forza quindi di quest’albero non è nella possenza e struttura ma nella sua essenza vitale.” (Prof. Antonio Zomparelli)
C. Marrone con la famiglia
ROVERELLA (Quercus pubescens) La roverella è la specie di quercia più diffusa in Italia, tanto che in molte località è chiamata semplicemente quercia. Appartiene alla famiglia delle Fagaceae. Resistente all'aridità, è capace di adattarsi anche a climi relativamente freddi. È facilmente riconoscibile d'inverno in quanto mantiene le foglie secche attaccate ai rami, a differenza delle altre specie di querce. Le foglie e le gemme sono ricoperte da una fine peluria. La rusticità di questa pianta, grazie soprattutto all'enorme vitalità della ceppaia, ha permesso alla roverella, attraverso i secoli, di resistere agli interventi distruttivi dell'uomo. Un ramo di quercia compare nell’emblema della Repubblica Italiana, speculare a una fronda di ulivo, e simboleggia la forza e la dignità del popolo italiano