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he di cronac

Io, la Natura, sono chiamata madre, ma sono una tomba

Alfred de Vigny

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QUOTIDIANO • MERCOLEDÌ 30 MAGGIO 2012

di Ferdinando Adornato

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

In Emilia la terra trema ancora: molti chiedono di devolvere ai terremotati i costi della parata del 2 giugno

Il ritorno dell’Apocalisse Tre nuove terribili scosse. Crollano fabbriche e campanili. 15 morti Il dramma quotidiano della paura

La maledizione dell’incertezza di Giancristiano Desiderio ncora il terremoto. Ancora la terra che trema, ancora il cuore che batte. Prima il boato sordo e cupo. Poi il silenzio. Quindi le urla. Ancora tutto uguale. Chi lo ha vissuto almeno una volta nella vita lo sa bene. Sembrava tutto passato lì in Emilia. Ma quella terra spaccata, divisa, con crepe profonde da cui usciva sabbia e fango e terra molle non lasciava per nulla tranquilli. I geologi davanti al fenomeno non previsto non sapevano cosa dire. I giorni sono passati, una settimana passa in fretta. Poi riecco la terra tremare. Due scosse una più cattiva dell’altra. a pagina 4

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Il presidente dell’istituto di geofisica

«Prepariamoci, non è finita qui» di Franco Insardà n Emilia purtroppo sta succedendo quello che la sismicità italiana ci insegna, non soltanto in quella regione, ma in tutto l’Appennino centrosettentrionale. I terremoti cominciano con una scossa, generalmente la principale della sequenza, e poi danno luogo a settimane, anche dei mesi, di repliche. In alcuni casi, come è avvenuto ieri, le repliche possono essere di grandezza confrontabile con la scossa principale». Stefano Gresta, presidente dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, fotografa così l’evoluzione del terremoto che ha messo in ginocchio l’Emilia. a pagina 2

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EURO 1,00 (10,00

Dodici dispersi e quasi quindicimila sfollati. Travolto un parroco mentre cerca di salvare la statua della Madonna. Ancora vittime sotto ai capannoni. Immediata la solidarietà di Napolitano. E Monti: «Lo Stato non è impreparato» di Francesco De Felice a terra ha tremato ancora. Certo, da domenica 20 maggio scorso, lo sciame sismico in Emilia non era mai smesso, ma ieri tre scosse terribili hanno fatto oscillare i sismografi ben oltre i 5 gradi della scala Richter: più che uno sciame, una pugnalata alle spalle degli emiliani già provati da questi giorni terribili. E il bilancio, stavolta, è stato più crudo di due domeniche fa: quindici morti, dodici dispersi, quasi quindicimila sfollati. Sono cadute chiese antiche e capannoni industriali nuovi che sembravano solidissimi: come al solito, nella sua imprevedibilità il terremoto fa pensare. Qual è la regola? Possibile che quelle fabbrichette fossero state costruite così male da seppellire chi ci lavorava dentro? Un parroco, quello della chiesetta di Rovereto sul Secchia consacrata a Santa Caterina è morto mentre cercava di mettere in salvo la statua della Madonna. Il Duomo di Mirandola, uno dei centri più colpiti, da ieri non c’è più. Quello che sconvolge è la cattiveria delle scosse di ieri, tre le più brutte: alle nove, alle 12,56 e alle 13,01. Una via crucis terribile per chi ora vive nel terrore. «Lo Stato non è impreparato di fronte all’emergenza», ha detto subito il premier Monti. Gli ha fatto eco il presidente Napolitano, invitando tutti a mettere in moto immediatamente la macchina della solidarietà, pur esprimendo forte contrarietà per il crollo di edifici che sembravano nuovi e solidi. Ma come si a combattere il fantasma della paura? a pagina 2

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CON I QUADERNI)

• ANNO XVII •

NUMERO

102 •

WWW.LIBERAL.IT

Oggi a Milano parte il VII Incontro mondiale

Una Chiesa in crisi apre il meeting sulla famiglia È festa nella più grande diocesi d’Europa: oggi aprono Scola e Ravasi.Venerdì arriva il Papa V. Faccioli Pintozzi • pagina 6

Il giudizio degli intellettuali cattolici sullo scandalo

«È triste: ma in duemila anni si è visto anche di peggio» di Riccardo Paradisi hi parla di “golpe”, chi parla di polverone alzato dalla stampa. Tutti, però, concordano che quel che sta succedendo intorno ai Palazzi Vaticani non avrà alcun peso sul valore religioso del Forum sulla famiglia di Milano. E comunque, è opinione corrente non solo che la Chiesa si rialzerà più forte di prima, ma che in duemila anni ne abbiamo viste di peggio. Sulla crisi di questi giorni, tra corvi, veleni e intrighi bancari, abbiamo sentito alcuni intellettuali cattolici: padre Livio Fanzaga (direttore di Radio Maria), il sociologo Pierpaolo Donati, e il filosofo Vittorio Possenti. «È stato Sant’Agostino a parlare della città di Dio e di quella degli uomini e la bimillenaria storia dell’istituzione ha conosciuto pagine ben più drammatiche di questa», riassume per tutti Donati. a pagina 8

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• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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pagina 2 • 30 maggio 2012

Paura e crolli senza fine tra Modena e Ferrara. Questa volta i centri più colpiti sono Mirandola, Cavezza e Medolla

L’Emilia senza pace

Tre nuove scosse oltre il quinto grado aggrediscono la popolazione già provata dal terremoto di domenica 20: stavolta ci sono 15 morti e dodici dispersi. Sono venute giù antiche chiese e capannoni industriali nuovissimi. «Lo Stato non è impreparato», dice Monti A sinistra, il crollo di un capannone di nuova costruzione. Sotto, Stefano Gresta, presidente dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia. A destra, immagini di sfollati rifugiati nei capannoni e un cane emerso dalle macerie

di Francesco De Felice

ROMA. Quando l’Emilia stava tentando faticosamente di ritornare alla normalità quotidiana la terra ha ripreso a tremare. Una prima volta alle 9 di ieri mattina, poi alle 12,56 e alle 13,01. Tre scosse di magnitudo 5,8, 5,3 e 5,1 della scala Ritcher (con epicentro in provincia di Modena e Mantova a una profondità di 6.8 chilometri e la seconda in provincia di Mantova, Reggio Emilia, Modena ad una profondità di 11 chilometri) avvertite anche a Milano, Padova, Firenze, Genova, fino in Austria, che hanno riportato terrore e morte nelle zone già colpite dieci giorni fa. Quella di ieri mattina ha avuto anche la platea mediatica della trasmissione Agorà su Rai3 e i tanti filmati che hanno invaso la rete. Quindici morti, oltre duecento feriti, dodici dispersi e altri ottomila sfollati che hanno fatto salire il totale degli evacuati a quattordicimila, come ha riferito il sottosegretario Antonio Catricalà, in un’informativa al Senato. Crollate chiese, edifici e altri capannoni industriali,

a fare rilievi sui danni subiti, e due lavoratori stranieri: Mohamad Azaar, marocchino, e Kumar Pawan, indiano. Don Ivan Martini è morto nel crollo della chiesa della Stazione di Novi, a Rovereto, nel modenese, perché avrebbe tentato di mettere in salvo una piccola statua della Madonna durante il sisma che ha distrutto la sua chiesa. Don Martini era in sopralluogo con i Vigili del fuoco ma si sarebbe attardato a prendere la statuetta.

Questa mattina il Consiglio dei ministri, così come assicurato ieri dal presidente Mario Monti, delibererà «i provvedimenti necessari. Tutto quello che occorrerà fare lo faremo». Dopo aver reso noto di aver espresso le condoglianze e la solidarietà personale, del governo e del popolo italiano al presidente della Regione Emilia Romagna Vasco Errani, il premier ha sottolineato che «lo Stato farà tutto quello che deve essere fatto per soccorrere, assistere, ricostruire, ritornare alla normalità civile e produttiva

Il Duomo di Mirandola non c’è più. A Rovereto sul Secchia il parroco è stato travolto proprio mentre cercava di mettere in salvo la statua della Madonna. La terra ha tremato fino a Bolzano sotto i quali hanno trovato la morte altri operai. Delle 15 vittime, tre erano di Mirandola, tre di San Felice sul Panaro, una di Concordia, una di Finale Emilia, una di Cento, una di Novi di Modena, una di Medolla e quattro di Cavezzo. Si tratta in maggioranza di morti per il crollo dei capannoni di almeno tre fabbriche, che erano stati soltanto danneggiati dalle scosse di dieci giorni fa. Tre persone sono morte a Mirandola per il crollo della Bbg di San Giacomo Roncole, una quarta è morta sotto le macerie dell’Aries Biomedicale, mentre a Medolla sotto i resti dell’Haemotronic c’è stato un morto e si ricercano altri tre operai. Alla Meta di San Felice al Panaro la vittima è l’ingegnere chiamato

in una zona così importante e industriosa che già la settimana scorsa ha dato grande prova di capacità di reazione». Monti ha aggiunto: «Bisogna che i cittadini si rendano conto che il terremoto non è colpa dello Stato, ma anche lo Stato deve rendersi conto che i cittadini da esso si aspettano molto». E il governo ha dichiarato il prossimo 4 giugno giornata di lutto nazionale per il sisma che ha colpito l’Emilia, come ha detto in Senato il sottosegretario Catricalà. Mentre il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sottolineato: «È tristissimo che muoiano degli operai e che vengano meno posti di lavoro. L’Emilia Romagna è una regione dove c’è un buon livello di

Parla Stefano Gresta, presidente dell’Istituto nazionale di Geofisica

«Prepariamoci perché non è ancora finita»

«Ci saranno altre scosse, forse anche molto forti, finché la faglia del Ferrarese non si staccherà del tutto» di Franco Insardà

ROMA. «In Emilia purtroppo sta succedendo quello che la sismicità italiana ci insegna, non soltanto in quella regione, ma in tutto l’Appennino centro-settentrionale. I terremoti cominciano con una scossa, generalmente la principale della sequenza, e poi danno luogo a settimane, anche dei mesi, di repliche. In alcuni casi, come è avvenuto ieri, le repliche possono essere di grandezza confrontabile con la scossa principale». Stefano Gresta, presidente dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, fotografa così l’evoluzione del terremoto che, da domenica 20 maggio, ha messo in ginocchio l’Emilia e che continua a causare vittime. Presidente, avete registrato centinaia di scosse: quando finiranno? Il processo di rottura della faglia, o meglio delle faglie coinvolte, è ancora in atto. Le scosse di assestamento vanno a incidere sulla faglia e continueranno fino a quando non sarà completamente rotta tutta la superficie. Questa cosa può avvenire o con tante scosse di magnitudo minore oppure con una o più di forte intensità. Ieri mattina si è rotto un segmento che non era ancora stato fratturato. Nei prossimi giorni, quindi, ci saranno altre scosse?

È possibile prevedere scosse di magnitudo 3/4, ma non possiamo dire quanta superficie rimane ancora da rompere e se questo, invece, avverrà con un’unica scossa di magnitudo 5 o superiore, come quelle di ieri. Ci sono state delle scosse anche in Basilicata e Calabria: sono collegate a quello che è successo in Emilia? Sono due situazioni completamente diverse. Tant’è che le scosse verificate tra Basilicata e Calabria si inseriscono in uno sciame sismico che sta andando avanti da mesi in quell’area e che sono state avvertite anche dalla popolazione. Dopo le prime scosse del 20 maggio lei mise in evidenza la stranezza dei crolli di alcuni capannoni. È successo di nuovo e ci sono stati altri morti. Esistono vari fattori concomitanti. O i capannoni, costruiti su un suolo estremamente soffice, con liquefazione ed espulsione delle sabbie, hanno subito un fenomeno di amplificazione locale del quale era molto difficile poter tenere conto al momento della costruzione. Oppure i capannoni non erano adeguati alla normativa antisismica. Non ci sono stati troppi danni rispetto all’entità delle scosse?


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Direi di no. Le costruzioni che hanno subito maggiori danni fanno parte del patrimonio storico-artistico, mentre la maggior parte delle costruzioni più recenti, complessivamente, hanno resistito bene. Le scosse si sono avvertite fino a Milano e in Veneto: dipende dalla morfologia della pianura o per la profondità della scossa ? In realtà è il contrario. Rispetto a quella di domenica quella di ieri dovrebbe essere di qualche chilometro più profonda. Per questo motivo è stata avvertita in un’area più vasta, perché a parità di energia rilasciata quanto più è profonda la scossa più si diffonde. Molti ritenevano la Pianura padana al riparo dai terremoti. Non è così?

È possibile prevedere sommovimenti di magnitudo 3/4, ma non possiamo dire quanta superficie rimane ancora da rompere

La zona è stata classificata soltanto nel 2003 a bassa sismicità. Questo scientificamente non significa, però, che nel corso dei secoli si sono verificati in quell’area soltanto piccoli terremoti, ma che scosse come quelle di domenica 20 maggio o di ieri ci sono state raramente nel corso dei secoli. Magari ogni trecento/quattrocento anni. Quelli accaduti sono gli eventi estremi per quell’area. Una carta di pericolosità spesso non rappresenta l’elemento estremo e raro, ma quello che in media ci si può aspettare nell’arco di cinquant’anni. Dopo questi avvenimenti cambierà qualcosa? Probabilmente bisognerà rivedere i concetti di pericolosità e di programmazione dell’attività in funzione della prevenzione. Lei, anche nei giorni scorsi, ha più volte insistito sul tasto della prevenzione. In questi anni c’è stata molta distrazione, sia da parte dello Stato sia degli enti locali, nel

non recepire gli avvertimenti di sismologi e ingegneri sismici. Sarebbe necessario un progetto per mettere in sicurezza tutto il Paese. Occorre, però, un grosso sforzo e una volontà politica per mettere mano, in maniera diffusa, a un’opera di prevenzione e messa in sicurezza, in chiave antisismica, degli edifici pubblici e privati, estesa anche al patrimonio artistico e culturale. Esistono le competenze tecniche, occorre la volontà politica per aprire i cantieri. In questo modo si eviterebbe di continuare a cementificare il territorio e si recupererebbe il patrimonio abitativo esistente. Passata l’emozione non si corre il rischio che si abbassi l’attenzione, come è avvenuto in altre situazioni? Purtroppo è capitato spesso. Bisogna però stare attenti a prendere delle decisioni a caldo. Sarebbe opportuno che tutti gli enti di ricerca, le istituzioni statali e locali si siedano a un tavolo per elaborare, sulla base delle conoscenze che esistono, un piano di intervento complessivo. Che cosa si sente di dire alla popolazione emiliana? Quando ci sono delle vittime si resta sempre colpiti. Invito gli sfollati a farsi forza e a rivolgersi a tutte le strutture, presenti sul territorio, dalla Protezione civile alle unità sanitarie di supporto. E il suo Istituto in che modo è presente? Sul terreno abbiamo squadre di decine di nostri ricercatori, che svolgono sia attività scientifica sia di censimento dei danni. Sono gli stessi ricercatori che, nel corso di questi anni, hanno svolto attività di educazione e di formazione nelle scuole del forlivese, dell’aquilano, del frusinate e in tutte quelle zone dove le sequenze sismiche si sono fatte sentire. Anche loro sono a disposizione per organizzare delle attività tra educazione e conforto della popolazione che in questo momento sta vivendo momenti davvero difficili. È presidente dell’Ingv dal 27 marzo di quest’anno: un battesimo di fuoco. Direi di sì, ma alla stesso tempo mi ritengo soddisfatto della struttura che dirigo e del lavoro che stiamo svolgendo.

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controllo delle regole sulla sicurezza nel lavoro». Il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, si è recata al Centro di Coordinamento Soccorsi di Marzaglia, in provincia di Modena, per un vertice con il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, e il presidente della regione Emilia-Romagna, Vasco Errani. Diverse le scuole evacuate in Emilia Romagna per precauzione, mentre disagi si sono verificati sulle linee ferroviarie, che ieri mattina hanno subito rallentamenti, mentre la circolazione dei treni attorno alla stazione centrale di Bologna è stata interrotta per accertamenti sulle infrastrutture Hanno sospeso l’attività molte aziende, tra le quali la Ferrari, la Lamborghini e la Ducati.

Anche la politica si è fermata. Un minuto di silenzio alla Camera, è stato chiesto dal presidente Gianfranco Fini: «Si tratta di un omaggio alle vittime della terribile tragedia», ha spiegato Fini, che dopo aver espresso «l’apprezzamento di tutta la Camera nei confronti di coloro stanno prestando opera di cura e soccorso», ha rivolto anche il «più profondo cordoglio ai loro familiari». Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, dopo aver rinviato la Direzione nazionale del partito ha deciso di partite per l’Emilia: «Il terremoto di oggi, a nove giorni dalla prima scossa nel modenese, è stato un contropiede micidiale contro una realtà che stava faticosamente cercando di mettersi in moto». La segreteria nazionale del-

l’Udc ha rinviato a data da destinarsi l’assemblea con i segretari regionali e provinciali del partito che si sarebbe dovuta svolgere giovedì. «In momenti come questi - ha scritto il segretario Lorenzo Cesa in una lettera ai dirigenti - prima delle discussioni politiche viene la solidarietà e il sostegno concreto alle popolazioni colpite dal terremoto». I partiti, intanto, discutono e si dividono sulla possibilità di annullare le celebrazioni del 2 giugno, festa della Repubblica, per solidarietà con le vittime del terremoto in Emilia e usare il denaro risparmiato per aiutare le popolazioni colpite.

Il mondo del calcio, nelle occhio del ciclone in queste ultime ore, ha dato un suo segno di solidarietà alle popolazioni colpite. È stata, infatti, annullata l’amichevole Italia-Lussemburgo che si sarebbe dovuta giocare ieri sera a Parma. La decisione è stata presa dalla Federcalcio d’intesa con il Comune e la Prefettura di Parma. Da tutt’Italia continua la solidarietà per aiutare gli emiliani e le loro aziende. Centinaia tra mail, messaggi sui social network e telefonate tra i cittadini toscani per acquistare il parmigiano reggiano “terremotato”. Anche il VII Incontro mondiale delle famiglie sostiene l’iniziativa “Il Grana della solidarietà”, realizzata dalla Coldiretti in collaborazione con Fondazione Milano Famiglie 2012, Fiera Milano Congressi, che scattera’ dal 30 maggio 2012 fino al 3 giugno 2012 in occasione della “Fiera della Famiglia”.


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l’approfondimento

Perfino Voltaire, Rousseau e Kant cercarono di affrontare il tema: fu dopo lo spaventoso sisma di Lisbona, nel 1755

Vivere con la scossa

Messina, Friuli, Irpinia, Umbria, Abruzzo: che cosa succede nell’uomo quando è esposto alla potenza della natura? Non solo tragedie, vite spezzate, futuro rubato: il terremoto impone sempre di accettare ciò che non si può prevedere di Giancristiano Desiderio ncora il terremoto. Ancora la terra che trema, ancora il cuore che batte. Prima il boato sordo e cupo. Poi il silenzio. Quindi le urla. Ancora tutto uguale. Chi lo ha vissuto almeno una volta nella vita lo sa bene. Sembrava tutto passato lì in Emilia. Ma quella terra spaccata, divisa, con crepe profonde da cui usciva sabbia e fango e terra molle non lasciava per nulla tranquilli. I geologi davanti al fenomeno non previsto non sapevano cosa dire. I giorni sono passati, una settimana passa in fretta. Poi riecco la terra tremare. Due scosse una più forte dell’altra. La prima alle 9, la seconda - la più cattiva e la più lunga - alle 12,56. Giù le case, giù le chiese, giù i mattoni, giù il cielo. Sotto le macerie morti e dispersi che diventeranno altri morti, speriamo altri sopravvissuti. Quando la terra trema e tu sei su che balli, non hai molto a cui pensare. Non c’è tempo d’aver paura, di farsi prendere dal panico. In quei momenti - lo so

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per esperienza, non per deduzione o sentito dire - non hai il tempo d’aver paura. La paura arriva dopo. Quando tutto è fermo. Quando la terra non balla più. Quando hai ancora una volta un tetto sulla testa. Pensi che il terremoto può venire quando vuole, quando decide lui. Pensi a come è stata costruita la casa. Se con criteri antisismici o comunque buoni criteri o se è stata costruita in modo scriteriato. In Italia, terra di terremoti, prevale in larga parte il secondo modo di costruire. La paura dipende anche da questo.

Per segnare la nascita dell’età moderna si possono indicare più date e più accadimenti. Il 1492 è generalmente indicato come l’anno della scoperta dell’America e dell’età moderna. Il 1789 è indicato come l’inizio dell’età contemporanea perché è l’anno della Rivoluzione francese che segna la fine del “vecchio regime” e avvia una nuova stagione del-

la storia dell’umanità in Occidente. Eppure, si possono indicare anche altre date per dar corso al nuovo corso della storia e della civiltà. Ad esempio, il 1° novembre 1755. Cosa accadde? Il terremoto di Lisbona. Forse, non esiste altra parola per indicare il senso di insicurezza che gli uomini possono provare. Le altre che abbiamo, a partire da quella che solo recentemente è entrata a far parte del nostro lessico tzunami -, non rendono bene l’idea o quello lo stato d’animo che è tipico dell’uomo che ha ballato sulla terra tremante o è rimasto sepolto sotto le macerie della sua casa.

I filosofi hanno paragonato i disastri naturali alle scosse della storia

Il 1° novembre 1755 è stata l’ultima volta che i piani di Dio sull’uomo sono stati oggetto di un dibattito pubblico generale in cui si sono impegnate le menti più notevoli del tempo: Voltaire, Rousseau e Kant. Fra le macerie di Lisbona l’indifferenza della natura, il male e il dolore del mondo si riverbera-

no sul volto di Dio che se non rinuncia alla sua onnipotenza, come suggeriranno al pensiero le catastrofi “umane, troppo umane” delle guerre mondiali, della bomba atomica e dei campi di sterminio, deve almeno deporre la sua maschera di misericordia. Ma nelle pieghe dei discorsi della filosofia intorno alle rovine della città, un interrogativo, assai più inquietante, fa la sua comparsa, e ci accompagna fino a oggi: e se l’autentica catastrofe non fosse nient’altro che l’uomo stesso? Come si legge in Potere e sopravvivenza di Elias Canetti: «L’umanità intera era perita. L’unico uomo rimasto, l’unico che fosse ancora in vita, era lui. Egli rifletté su quale catastrofe avesse potuto provocare la fine dell’umanità, e formulò più d’una supposizione. Forse il sole s’era allontanato dalla terra ed era sopravvenuta una glaciazione generale. Forse s’era trattato di un terremoto, come una volta quello di Lisbona».


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Il terremoto di Lisbona rase al suolo la città. Ma non è l’unica volta che è accaduto. Il terremoto visita la nostra storia, la nostra vita, la nostra mente, la nostra casa periodicamente. Ho ricordi personali del terremoto del 23 novembre 1980. Era domenica. Come ogni domenica c’era stato il rito delle partite. A quel tempo c’era ancora Novantesimo minuto con quella banda di scarpa sciolta degli amici di Paolo Valenti. Di sera calò una fitta nebbia e al freddo subentrò l’umidità. Ragazzino, dodicenne, lasciai casa dei miei genitori con mia nonna e a piedi andammo verso casa di nonno Michele. Una distanza di poco più di cinquecento metri, tutti nella nebbia. La casa dei nonni era al terzo piano. Salimmo le scale e mentre nonno ci attendeva sulla porta, sull’ultima rampa di scale il palazzo cominciò a ballare. Paurosamente. Ma in quel momento non c’era tempo d’aver paura, tutto avvenne in pochi secondi. Il ballo stesso che ci avvicinò alla porta d’ingresso dell’abitazione, mentre le scale di marmo sembravano esser diventato scale mobili, entrammo in casa e tutti e tre - io in mezzo e i miei nonni abbracciati su di me - ci mettemmo sotto l’architrave principale del palazzo che - alla lettera dopo esser sobbalzato in alto cominciò a ondulare, tanto che i platani del viale potevano da me quasi esser toccati con mano. Ogni volta che il terremoto fa tremare ora questa ora quella regione d’Italia ritornano in me quelle immagini e il clima di quella serata, prima e dopo la scossa. Il 1789 fu un terremoto a tutti gli effetti. Quella data è indicata come l’inizio dell’età contemporanea, ossia quell’età che noi stessi siamo e viviamo - chissà come farà l’umanità ad uscirne, dovrà dire di essere al di là della stessa “storia”, un’età post-storica proprio perché fu un terremoto. Il mondo non fu più quello che era stato fino a quel momento. Gli uomini lo percepirono benissimo e lo capirono. Là dove arrivava, la Rivoluzione cancellava la città, quasi come il terremoto di Lisbona. Gli uomini percepivano di essere all’alba di un nuovo mondo proprio perché un altro mondo si inabissava. Anche oggi quella Torre del Duecento che si è sbriciolata a Finale Emilia e quell’orologio che è rimasto tagliato in due, dividendo il tempo proprio nelle pietre e i mattoni tra il prima e il dopo, sembrano indicare il vecchio e il nuovo, la fine e l’inizio. Anche se non si sa cosa realmente inizi, mentre gli abitanti di quei luoghi sanno cosa finisce. Ma è tutta la nostra epoca ad essere contrassegnata dal terremoto. Avvertiamo nell’aria un senso di in-

sicurezza e di instabilità come se il mondo nel quale siamo dovesse perdere da un giorno all’altro i suoi punti di riferimento. I discorsi pubblici sono improntati alla speranza del tipo “ce la possiamo fare” ma è proprio in questo sentimento di speranza che sembra crescere la paura più estrema: la perdita di ciò che si ha e si è costruito nel tempo con più generazioni. Possibile?

La tragedia che si è consumata ieri e domenica 20 maggio in Emilia ha molti precedenti nella storia. Senza considerare le catastrofi antiche di Lisbona e Messina, in questi anni recenti la terra ha tremato in Italia in Friuli, in Irpinia, in Umbria e in Abruzzo. Ogni volta, gli uomini hanno dovuto imparare a convivere con l’incertezza poiché un sisma non si può prevedere. Malgrado tutto, il terremoto è materia per filosofi tanto quanto per scienziati

Il «Poema sul disastro di Lisbona» di Voltaire - ma nel 1908 si sarebbe potuto scrivere un «Poema sul disastro di Messina e Reggio Calabria» e nel 1883 un «Poema sul disastro di Casamicciola» - dice che sono riflessioni sull’assioma “Tutto è bene”. Inizia così: «O sventurati uomini! O infelice terra! O spaventosa congerie di tutti i mortali! Eterno sostentamento di tutti i dolori! Filosofi fallaci che gridate: “Tutto è bene”. Accorrete, contemplate queste tremende rovine. Queste macerie, questi brani di carne e queste misere ceneri. Queste donne, questi fanciulli l’un sull’altro ammassati…». Il terremoto nell’intenzione di Voltaire deve stare a significare e a testimoniare che la lezione di Leibniz che il nostro «è il migliore dei mondi possibili» è fallace. Il terremoto non si lascia inserire nella teodicea e viene a scompaginare i piani di Dio per l’uomo, senz’altro viene a distruggere le opere che agli uomini costano grandi fatiche. Ma proprio le rovine della storia ci restituiscono un senso delle cose umane che sono caratterizzate dal tempo e dalla loro limitata durata. Se anche l’Impero romano è finito, come possiamo pensare che il nostro più piccolo mondo, forse più luccicante, non debba finire? È in questa dialettica o, meglio, lotta tra ciò che finisce e ciò che non finisce c’è il senso delle umane cose che per lo natura indefinita sono attraversate dal terremoto. Siamo un po’ tutti terremotati, sia perché ognuno di noi è passato in un terremoto - e poterlo dire e ricordare è già un vantaggio, anche se non sempre i ricordi aiutano perché la paura si rinnova - sia perché siamo impegnati a costruire ciò che sarà terremotato. Ma altro non possiamo fare nella vita. Il bene a cui si riferiva Leibniz, in fondo, è proprio questo: la dignità di formare un’opera nonostante la sconfitta. Di queste note i terremotati che piangono i parenti e la casa non sapranno cosa farsene. Tuttavia, bisognerà pur tornare a vivere. Il presidente Napolitano ha detto «supereremo questo momento». Non c’è alternativa. Come non c’è alternativa alla terra che trema. L’unica cosa che si può fare è imparare a conviverci. Con il pensiero e con l’azione.


La diocesi più grande d’Europa è in festa e si prepara per il ritorno sul proprio territorio di un Papa dopo 28 anni

La famiglia sfida i corvi La Chiesa in crisi tenta il rilancio con l’Incontro mondiale di Milano. Aprono i lavori oggi Scola e Ravasi, e venerdì arriva Benedetto XVI di Vincenzo Faccioli Pintozzi sarà soltanto intellettuale ma sarà espresso anche «attraverso i gesti liturgici, le forme artistiche, la conoscenza reciproca, la condivisione”. E la presenza del Santo Padre, che ha voluto inserire una vera e propria visita pastorale alla diocesi di Milano, «già segna la strada perché l’evento rifluisca poi nell’ordinario, dentro la vita personale di ogni cristiano e di ogni comunità cristiana». E riguardo al tema al centro dell’Incontro il porporato ha aggiunto che «esprime bene la necessità dell’unità dell’io e l’importanza del suo stare in relazione».

n evento straordinario per sostenere la vita ordinaria»: così l’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola ha definito ieri il VII Incontro delle Famiglie alla conferenza stampa di presentazione in una delle sale del Mico (FieraMilanoCity). Per la sua preparazione, ha spiegato il cardinale, ci sono voluti tre anni di lavoro; per la sua realizzazione in questi giorni (30 maggio 1 giugno), vi sono 5400 volontari, centinaia di relatori da tutto il mondo, 7mila rappresentanti di 150 Paesi, l’impegno di parrocchie e famiglie aperte all’ospitalità dei convegnisti. Contro l’opinione diffusa, secondo cui dopo questi grandi incontri “tutto finisce come una bolla di sapone” il card. Scola ha invece sottolineato che l’influenza dell’Incontro «si fa già sentire perché la famiglia normocostruita, quella fra uomo e donna, segnata dalla fedeltà e aperta alla vita è una risorsa e un bene per la società di oggi».

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L’arcivescovo, ricordando il grande impegno organizzativo avviato circa tre anni fa per preparare l’appuntamento, ha sottolineato che si tratta di un evento destinato a durare nel tempo: «In casi come questi, con troppa superficialità si dice che simili eventi impiegano molte energie e poi finiscono nel nulla. È un giudizio superficiale, perché essi nascono da un lavoro capillare, coinvolgono nella fase preparatoria moltissime migliaia di persone, molte realtà di parrocchie, migliaia di volontari, centinaia di relatori provenienti da tutto il mondo». Secondo il cardinale Scola, il nucleo fondamentale della riflessione sul tema “La famiglia: il lavoro e la festa” non

Dall’alto il cardinale Angelo Scola e il cardinale Antonelli, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia. In basso Roberto Formigoni

A giustificare la difesa della famiglia “normocostruita” (o normale), contro tutte le altre forme di associazione, come un vero sostegno alla società e all’economia è intervenuto anche il card. Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio consiglio sulla famiglia. Citando i risultati di un’inchiesta che verrà presentata in modo più ampio nei prossimi giorni, il cardinale ha affermato che «la famiglia normale, unita in matrimonio, con due o più figli è più felice di ogni altro tipo di unione e perciò più vantaggiosa per la società». «Anche se più povera - ha continuato - [tale famiglia] è più ricca in relazioni umane di coppia, fra genitori e figli, fra fratelli». Tale ”ricchezza” influisce anche all’esterno: «Produce capitale umano di qualità, capace di affrontare le responsabilità del lavoro; partecipa alla festa attraverso i riti religiosi e estende un clima positivo anche nel luogo di lavoro». Secondo il card. Antonelli, questi dati dovrebbero spingere il mondo culturale, politico ed economico a non penalizzare la vita familiare, ma a sostenerla con

tutele giuridiche, alleggerimenti fiscali, permettendo il part-time, garantendo il riposo domenicale. Proprio questa dimensione ”pubblica” del valore familiare è il tema dell’Incontro, dal titolo “La Famiglia: il lavoro, la festa”: il lavoro è l’ambito dei rapporti esterni e dell’impegno nel mondo; la festa è il modo di “umanizzare il tempo”. L’Incontro - ha spiegato mons. Franco Brambilla, vescovo di Novara - si svolge con un Congresso teologico-pastorale che vuole mostrare come la famiglia sia un ”motore propulsivo” per l’apertura alla società. Allo stesso tempo, nel Congresso che si svolge in tre giorni - si vuole dare spazio nel vedere come le strutture attuali del lavoro influenzano la famiglia, la coppia, l’educazione dei figli, nella speranza che la vita familiare possa ”umanizzare” queste strutture che governano il mondo.Tutte le mattine vi saranno relazioni al Mico; nel pomeriggio del 31 maggio vi saranno diversi eventi in molte città lombarde; in quello del 1° giugno vi saranno appuntamenti in vari luoghi milanesi. L’Incontro offrirà anche testimonianze da tutto il mondo.

Per Eugenia Scabini, preside della facoltà di psicologia all’Università cattolica di Milano e consultore del Pontificio consiglio, il Convegno e le testimonianze sono un contributo ”radioso” in un mondo che si sofferma solo sulle tragedie, un dono che le famiglie fanno al corpo sociale: «Presentare gente che vive con generosità e apertura proprio in questo periodo in cui tutti sono ripiegati su se stessi, è un dono alle famiglie dei credenti, ma anche a quelle non credenti». Una curiosità: per la prima volta in


tra fede e veleni

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«Una prova impegnativa per il Papa» Padre Lombardi torna sugli scandali: «Troppe notizie senza fondamento sui giornali» di Massimo Fazzi uella che stiamo vivendo «è una prova impegnativa per il Papa e per la Curia romana, che ci auguriamo possa essere superata con un passo deciso di identificazione della verità e di superamento dei problemi per meritare e godere della fiducia del popolo di Dio, fiducia che il Papa merita certamente mentre noi collaboratori dobbiamo sostenerlo». Il padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede, mette un punto alla diatriba sulla credibilità e sulla fiducia che la Chiesa universale presenta ai propri fedeli. Il gesuita – sicuramente provato come il pontefice – è tornato a riferire sugli scandali dovuti alla rivelazione di documenti riservati e alle indagini di questi giorni che hanno portato all’arresto del maggiordomo di Benedetto XVI Paolo Gabriele, scuotendo il Vaticano.

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Nei Sacri Palazzi «c’è stupore e sconcerto per il coinvolgimento del cameriere del Santo Padre nell’inchiesta», ha affermato padre Lombardi. «Gabriele è una persona che ha lavorato per diversi anni al servizio del Papa e quindi non c’erano indicazioni preoccupanti, c’è un interrogativo serio su di lui, siamo sconcertati perché nessuno avrebbe facilmente immaginato una situazione di questo genere. Il fatto importante è che Paolo abbia annunciato una collaborazione». «Gli interrogatori veri e propri di Paolo Gabriele non sono cominciati e bisognerà attendere ancora qualche giorno, tra fine della settimana e l’inizio della prossima». L’ex assistente di camera del Pontefice, ha detto Lombardi, «ha incontrato la moglie e gli avvocati. L’incontro con l’avvocato Carlo Fusco è stato ampio e fruttuoso». Ancora, ha informato Lombardi, «la commissione cardinalizia prosegue con il suo lavoro continua le audizioni con persone che si pensa possano dare informazioni utili». Il che non vuol dire che chiunque venga convocato o parli con i cardinali incaricati dell’inchiesta direttamente da Benedetto XVI siano coninvolti in qualche atto criminoso. Lombardi ha infatti smentito di nuovo la notizia relativa al fatto che fossero stati interrogati 5 cardinali: «Questa un Incontro mondiale della famiglia, vi è un ”congresso” parallelo anche per i bambini e i ragazzi, costruito attorno all’idea (e a una zona floreale) di ”Giardino”: da riconoscere, da custodire e in cui far festa. Infine, per tutti i partecipanti a qualche momento dell’Incontro, anche attraverso i media, Benedetto XVI ha stabilito l’indulgenza plenaria. Dopo la Conferenza stampa di inizio, i cardinali Scola e Antonelli, insieme al presidente della Lombardia Roberto Formigoni e un rappresentante del sindaco di Milano, hanno inaugurato la Fiera internazionale della Famiglia, un’aerea espositiva per organizzazioni, associazioni, movimenti, sindacati dedicati alla difesa della famiglia.

notizia, apparsa sui giornali, non ha riscontro. Non è stato detto se e quanti sono i cardinali interrogati. Certo la commissione cardinalizia incaricata dal Papa di svolgere il suo lavoro continua a lavorare, ma la notizia dei cinque cardinali non ha riscontro». Stessa cosa per le indiscrezioni apparse di stampa relative al ritrovamento di alcune buste che sarebbero state trovate durante le perquisizioni nella casa del maggiordomo del Papa:«Il sequestro di buste con il nome di destinatari non ha riscontro».

Sulla vicenda è intervenuto, dalla Fiera Internazionale della Famiglia, anche l’Arcivescovo di Milano Angelo Scola: «Questa delicata e difficile situazione, che sicuramente è affrontata con molto rigore e molta serietà dagli uomini che sono stati deputati a questo compito, non deve produrre indebite generalizzazioni, il rischio è questo» ha avvertito il porporato. Nel frattempo, continua a destare preoccupazione negli osservatori vaticani la repentina sfiducia comminata dal Segretario di Stato vati-

Santander e Antonio Maria Marocco, notaio torinese. La decisione finale sul nuovo presidente, ovviamente, sarà presa da Benedetto XVI: i nomi che circolano sui giornali vanno tuttavia resocontati. Tietmayer, l’uomo che oltre a guidare per 30 anni la Bundesbank ha servito sei cancellieri ed è membro della Pontificia Accademia delle Scienze, ha 81 anni: forse troppi per un compito così gravoso.

Quella di Giuseppe Mussari, ex Abi e al momento in alcune grane giudiziarie, è una candidatura che non poggia su basi solide. Così come quella di Paolo Mennini, il manager che gestisce il patrimonio della Santa Sede ed è figlio di quel Luigi Mennini, ex direttore dello Ior coinvolto anni fa nel crac ambrosiano. Giampietro Nattino, presidente di Banca Finnat, sembrerebbe appoggiato da Geronzi: ma anche qui, niente di solido. Quello che è certo è che la situazione all’inter-

Gli interrogatori veri e propri di Paolo Gabriele non sono cominciati, ma «ha annunciato piena collaborazione con gli inquirenti. Basta con questa storia dei cinque cardinali implicati» cano, il cardinale Tarcisio Bertone, al presidente dell’Istituto opere religiose Ettore Gotti Tedeschi. La sfiducia, che non ha ancora ricevuto l’avallo della Commissione cardinalizia dello Ior, ha aperto la strada alle indiscrezioni sulla prossima sostituzione del vertice della “banca vaticana”. Lo Ior è al centro dell’attenzione degli organismi internazionali sulla trasparenza bancaria e il riciclaggio e in attesa del responso della commissione europea Moneyval per essere ammessa alla white list. Il consiglio che ha sfiduciato Gotti Tedeschi è formato da Carl Anderson, leader americano del movimento internazionale dei Cavalieri di Colombo, Ronaldo Hermann Schmitz, un ex manager della Deutsche Bank, Manuel Soto Serrano del Banco

a favore della famiglia. Tra queste vi sono enti, associazioni, fondazioni come l’Aibi (Amici dei bambini), poi Exodus, la comunità fondata don Antonio Mazzi, l’Anffas, associazione che si occupa dei diritti dei disabil, Emergency di Gino Strada, poi l’Avsi, il Movimento per l’aiuto alla vita e riviste come l’Osservatore Romano, Madre e i giornali del Gruppo

no delle Mura Leonine non pare destinata a risolversi in tempi brevi. Eppure l’appello di p. Lombardi ad avere fiducia nel Papa rimane la cosa più importante detta in questo bailamme di notizie senza fondamento e di illazioni. Perché la dimensione di cui si parla, anche quando si parla di Vaticano, non è semplicemente una dimensione affaristica o di spystory: la battaglia per il potere in corso Oltretevere non potrà che esaurirsi con il tempo.

a partire da oggi, si svolge anche il congresso teologico pastorale internazionale a cui partecipano quasi 7mila famiglie provenienti da circa 150 nazioni.

Puntare sulla famiglia in un periodo storico come questo – anche se gli Incontri mondiali sono appuntamenti quasi ciclici – ha una valenza quasi pro-

miglie milanesi, sono la risposta migliore a chi vede negli scandali di Oltretevere una qualche forma di crepa nel sentimento religioso e nella fede dei credenti di tutto il mondo. Milano, che dopo 28 anni torna ad accogliere un Papa – Giovanni Paolo II vi venne due volte, ma per quasi cinque secoli nessun pontefice era giunto nella più grande diocesi europea – è giusta culla di questa rinascita.

Per il cardinale Antonelli «un matrimonio con due o più figli è più felice di ogni altro tipo di unione e perciò più vantaggioso per la società. Anche se più povera, tale famiglia è più ricca in relazioni umane fra genitori e fratelli»

Il salone, a ingresso libero, permette di visitare gli stand di oltre cento realtà ecclesiali e della società civile, che operano

San Paolo. All’interno della Fiera sarà allestita anche la «Libreria della Famiglia», con centinaia di titoli dedicati al tema dell’Incontro Mondiale, nonché libri di narrativa per bambini. La Fiera e la libreria resteranno aperte per tutta la durata dell’Incontro. In contemporanea, sempre nella sede di Fieramilanocity, ma

fetica. La Chiesa reale, distante dalla Chiesa di “corvi” e banchieri, si rimette in pista ripartendo proprio dal nucleo fondamentale non soltanto della società, ma anche della dimensione religiosa dell’uomo. Questi giorni di incontri e dibattiti, e ancora di più la testimonianza fornita dai volontari e dalle fa-

La speranza, ora, è che lo specchio che l’Incontro vuole fornire al mondo non sia dal mondo usato soltanto per misurare gli scandali di Curia. Insomma, che da questo appuntamento si possa cogliere veramente il senso non soltanto dell’essere famiglia oggi, ma anche e soprattutto dell’essere cattolici in una società in cui i fedeli sono sempre più maggioranza silenziosa.


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a fuga di notizie dal Vaticano non deve offuscare il settimo incontro mondiale delle famiglie» dice il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per le famiglie. L’Arcivescovo di Milano, Angelo Scola insiste sulla stessa linea: «Questa delicata e difficile situazione, non deve portare a indebite generalizzazioni». Non si tratta di troncare e sopire ma di non confondere i piani. Nelle gerarchie c’è la consapevolezza che la Chiesa è qualcosa di più della guerra di potere tra cardinali, gole profonde e orditori di trame vaticane. Sono duemila anni che la Chiesa attraversa fasi critiche: ha conosciuto guerre di successione, conflitti di potere, scismi, scandali, sopravviverà anche al corvo e ai vatican insider.

«L

Sarebbe però sbagliato sottovalutare quanto sta avvenendo anche perché certe spie di secolarizzazione della Chiesa vanno in periodo con quelle che si moltiplicano nell’intera ecumene. Dove la credibilità delle gerarchie e della Santa sede perde quota assieme all’intensificarsi anche mediatica degli scandali.Tanto più che c’è chi da questa parte del Tevere alza persino il tiro tra chi auspica le dimissioni del Santo Padre per favorire un rinnovamento della Chiesa e chi, come l’ex ministro Rino Formica, parla in un’intervista alla Stampa di un tentativo di golpe in corso: «Nella Costituzione vaticana il potere del Papa è assoluto e dunque se si scoprisse che la cospirazione fosse rivolta contro di lui, si tratterebbe di un golpe. Dalle carte, per ora, risulta qualcosa di altrettanto eversivo: il segretario di Stato disattendeva le disposizioni del Papa e spesso lo teneva all’oscuro. Si formavano catene di comando alternative e alcuni cardinali si rivolgevano al Papa come ad un pari». Un golpe ispirato secondo Formica dal partito romano, da una ragnatela d’interessi che ormai unisce le due sponde del Tevere. Una commistione dannosa, secondo il sociologo cattolico Pierpaolo Donati, che gioca molto a sfavore di un’immagine più spirituale della Chiesa. Donati nella sua analisi degli scandali vaticani e le loro ricadute non drammatizza ecces«La sivamente, Chiesa – dice – ha un carattere trascendente e fin dalla sua origine conosce questa dialettica. È stato Sant’Agostino a parlare della città di Dio e di quella degli uomini e la bimillenaria storia dell’istituzione ha conosciuto pagine ben più drammatiche di questa. Tuttavia – nota Donati – nel breve periodo questa successione di scandali e di opacità potrebbe generare una disaffezione nei confronti dell’istituzione ecclesiastica. Non voglio dire che la Chiesa debba stare fuori della politica è il modo perciò con cui le gerarchie incedono nel terreno politico italiano ad essere datato. La Chiesa istituzionale non ha ancora scoperto il laicato, la sua realtà e il suo dinamismo. Soprattutto non gli concede quell’autonomia che

tra fede e veleni Parlano intellettuali cattolici e religiosi: «È triste quanto sta avvenendo ma la Chiesa ha le spalle forti di duemila anni»

La fede ha resistito

di Riccardo relazione si confondono i piani, avvengono dei cortocircuiti». Il Vaticano peraltro ha ancora una struttura premoderna. «L’amministrazione – continua Donati - è rimasta avvolta in un clima da corte medievale, tanto da generare grossi problemi di efficienza e di comunicazione. Rapporti gerarchici e organizzativi che corrispondono a una logica di tipo cortigiano, che incoraggiano rapporti improntati solo alla fiducia personale. Quello che sta accadendo è dovuto a questa qualità relazionale a una falla che si è creata in un sistema fragile».

serve al laicato per respirare. Insomma, sarebbe auspicabile una maggiore differenziazione tra il potere spirituale, la gerarchia e il laicato cattolico». La gerarchia cattolica deve essere uno stimolo non un intromissione nelle questioni laicali. «La Chiesa non ha imparato ancora a relazionarsi adeguatamente a questo mondo, ha ancora un atteggiamento di protezione, tutela e supremazia. La Chiesa vuole dialogare in primo piano con la classe politica e in questa

La distinzione netta tra Città del Vaticano e Chiesa è il fuoco della riflessione che lo scrittore Vittorio Messori qualche giorno fa ha fatto sul Corriere della Sera: «L’episodio clamoroso dell’arresto di questi giorni e la fuga di documenti che l’ha preceduta, non hanno alcuna rilevanza religiosa, riguardano la polizia e i magistrati vaticani, dunque lo Stato, non certo la Chiesa». Chiesa che peraltro non è mai stata totalmente santa sulla terra: «Il mito d’una Chiesa originaria pura nasce da alcuni versetti degli Atti

degli Apostoli che descrivono l’idillica comunità primitiva di Gerusalemme, dove tutti si amano e mettono ogni bene in comune. Purtroppo, durò poco...». Insomma l’istituzione ecclesiale è stata di rado all’altezza dell’ideale. L’imperfezione è la norma, ovunque ci siano uomini. Nemmeno Padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, è più di tanto sconvolto da quanto sta accadendo. Amareggiato, rattristato, ma insomma non turbato nel profondo: «Parliamoci chiaro – dice Fanzaga a liberal – è l’intera storia della Chiesa ad essere tormentata. Guardi io non solo ho letto intere biblioteche sulla storia della Chiesa ma non mi perdo uno dei libri più o meno scandalistici sugli scandali veri o presunti che avvengono nella Chiesa. Ebbene la mia fede non è mai stata incrinata da questi episodi. E non perché questi episodi non mi disgustino o rattristino ma perché so distinguere - e come me sanno farlo tantissimi cattolici il grano dal loglio, l’essenziale dall’accessorio. Se nella natura umana e nel mondo ci sono tratti di grandezza e di miseria perché questa dialettica non dovrebbe esserci anche dentro la Chie-


tra fede e veleni

quella che la Chiesa sta attraversando anche attraverso episodi dolorosi». Nella sua seguitissima rassegna stampa su Radio Maria padre Livio ieri citava l’intervista che Guido Gusso - il maggiordomo di Papa Giovanni XXIII – ha rilasciato all’Eco di Bergamo: «Io ho custodito segreti e documenti importanti con fedeltà assoluta. Ora provo dolore per il Santo Padre. Tanto più che per un maggiordomo è molto facile avere tra le mani i documenti, anche quelli piu’ segreti: «Anch’io ho fotocopiato lettere e documenti importanti, come i diari di Papa Giovanni, gli auguri che Krusciov mandò a Natale. Fotocopiati e archiviati in Vaticano. Ma non ho mai portato a casa neanche uno spillo».

La trafugazione di documenti riservati e lo scandalo suscitato potrebbe nascondere però finalità diverse da una semplice trama per rosicchiare quote di potere o di interesse. Il filosofo cattolico

o a spinte peggiori

o Paradisi sa? D’altra parte il primo ad accorgersi di queste contraddizioni è stato lo stesso Pontefice che non ha mai fatto mancare le dure rampogne paterne alla curia romana. Dove l’appetitus excellentiae, che è un peccato d’orgoglio e superbia, è diffuso come altrove. Un peccato che come tale può assumere anche travestimenti virtuosi. Ha mai riflettuto sul fatto che la Chiesa non ha mai fatto santo Savonarola che pure era un fior di moralizzatore? E sa perché? Perché alla fine aveva anche lui quell’appetitus excellentiae: non era umile. Come Francesco d’Assisi che ha contribuito a riformare la Chiesa con l’esempio». Padre Livio va ancora più a ritroso per dimostrare quanto la carne sia debole anche in ambienti dove ci si aspetterebbe solo santità. «Prima dell’ultima cena c’erano degli apostoli che si litigavano il posto vicino a Gesù. E Pietro non ha avuto quell’infortunio prima del canto del gallo?».

Insomma corvi, maggiordomi felloni, fughe di notizie non sono belle cose ma per padre Livio si tratta di poco più che di “pettegolezzi”. «Peraltro mi sem-

bra che in questi documenti non vi sia niente di enorme. La vera minaccia per la Chiesa non è questo. La vera minaccia è quello che da cui la Madonna di Medjugorje mette in guardia da anni: che i pastori smettano di riflettere il modo di pensare di Gesù Cristo, che smettano di essere il sale e la luce della terra, che la Chiesa si secolarizzi e si appiattisca sul mondo. A me preoccupa di più che i preti dicano che il diavolo non c’è piuttosto che i vaticanleaks». Ma anche su questo aspetto padre Livio non è pessimista: «La Chiesa si sta rinnovando. Negli ultimi decenni abbiamo avuto papi straordinari, Medjuogorje è un evento straordinario che genera conversioni e vocazioni, c’è una domanda e una sete di Dio diffusa e potente. È una sofferenza feconda

Nella pagina accanto il segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone. Sopra l’economista Gotti Tedeschi. Qui a fianco, il presidente della Cei Bagnasco e sopra Il Santo Padre che parla ai fedeli in San Pietro. E a destra, il Papa con Paolo Gabriele

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Vittorio Possenti ipotizza che «non si può mettere completamente da parte l’idea che al fondo di questi documenti ci sia anche una diversità di prospettive teologiche, l’azione di correnti che desiderano imporre o far presente le proprie ragioni teologiche». Il metodo e i fini fatti di intrigo, strategia

L’accanimento mediatico potrebbe indurre la Chiesa a una maggiore trasparenza comunicativa, volontà d’apparire sono però rivelatori d’una secolarizzazione preoccupante. «Nonostante che da venti anni si parli di un ritorno pubblico delle religioni si assiste contemporaneamente anche a un fenomeno di secolarizzazione. Che comporta un abbassamento generale di orizzonti, una voglia di apparire e di protagonismo che conta più di altri aspetti, che comporta un abbassamento forte dell’orizzonte ideale. Ricordo alcuni interventi di Ratzinger prima dell’elezione alla cattedra di Pietro che aveva parlato della sporcizia all’interno della chiesa, dei nemici che la Chiesa ha al proprio interno.Va anche detto che la vita di Curia non è facile e che la tentazione di usare il potere per fini personali è forte. Per questo forse sarebbe necessaria e opportuna una rotazione degli incarichi». Ma esiste un accanimento mediatico nei confronti della Chiesa? «Direi di si, ma si deve anche dire che questa pressione dei media potrebbe essere utile per scoprire alcune cose che altrimenti rimarrebbero coperte. La verità deve emergere. Non siamo più nell’epoca degli arcana imperii. Anche la diversità di trattamento tra laici e chierici dovrebbe essere superata. Nelle sanzioni sarebbe opportuno non avere trattamenti preferenziali».


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il personaggio Svolta clamorosa nell’inchiesta sull’ex presidente di Bpm e attuale numero uno di Impregilo

Il boiardo privato L’inizio nella scia di Romano Prodi, negli anni Ottanta, poi il passaggio nell’area del centrodestra fino a diventare uomo di riferimento della Lega negli “affari” pubblici: storia avventurosa di Massimo Ponzellini, da ieri agli arresti domiciliari per presunte tangenti di Marco Scotti he cos’hanno comune in l’attuale presidente di Impregilo, l’ex numero uno di Banca Popolare di Milano, l’assiduo partecipante alla “cena degli ossi” di Bossi e Tremonti e il braccio destro di Romano Prodi ai tempi dell’Iri? Semplice: sono la stessa persona. Massimo Ponzellini è l’eclettico imprenditore capace di passare con disinvoltura da un ruolo all’altro. Il tutto senza dimenticare l’amore per la bella vita, tanto da guadagnarsi, sul sito Dagospia, il soprannome di “Paraponzellini”. Ma da ieri, forse, la sua carriera ha subìto uno stop significativo, dopo essere stato posto agli arresti domiciliari dalla Procura di Milano per corruzione. Una carriera che vale la pena di essere raccontata, in cui spregiudicatezza, talento e fortuna si mischiano a un pizzico di scaramanzia.

C

Massimo Ponzellini nasce a Bologna il 9 agosto 1950, figlio di Giulio Ponzellini – Cavaliere del Lavoro e Consigliere superiore di Bankitalia – e di Marisa Castelli (imprenditrice nell’ambito dei mobili per ufficio). Niente umili origini come vorrebbero le favole sui self made man ma grande intraprendenza: diviene assistente di un professore che, di lì a poco, avrebbe assunto un’importanza crescente prima nella scena economica e poi in quella politica del nostro paese, Romano Prodi. Sul curriculum vitae di Massimo Ponzellini sul sito di Impregilo (azienda di cui è presidente, e lo vedremo meglio in seguito), compare come primo incarico «assistente personale del prof. Romano Prodi». Un impiego che sta molto a cuore all’imprenditore bolognese che lo segnala tra le proprie

esperienze professionali nonostante non rientri di diritto tra quelle più prestigiose dal punto di vista manageriale. L’impronta di Romano Prodi si fa sentire, d’altronde: è un ottimo biglietto da visita e un lasciapassare verso incarichi ben più prestigiosi. Il primo è, nel 1981, quello di direttore generale di Nomisma, una società di studi economici fondata proprio da Romano Prodi nello stesso anno.

Trascorre un biennio e Ponzellini entra in Iri, l’Istituto di Ricostruzione Industriale nato nel 1933 e che all’epoca era la settima azienda al mondo per fatturato, con ordini per 67,5 miliardi di dollari. Al vertice della società, Romano Prodi, chiamato nel 1982 a dare ossigeno alle casse dell’Iri che, nonostante un piano di continue espansioni, viveva da troppo tempo a contatto con debiti sempre più pressanti. Prodi iniziò immediatamente un’opera di dismissioni e di razionalizzazione dei dipendenti che portò alla cessione di ventinove società del gruppo (Alfa Romeo su tutti), la diminuzione del numero di lavoratori (erano 556.569 nel 1980, divennero 483.714 nel 1983) che diede i suoi frutti: il bilancio tornò ad essere in attivo, anche se, di fatto, fu l’inizio della fine per l’Iri. Nel 1992 venne interamente privatizzato, nell’ambito di quel piano di dismissione di patrimonio statale volto a ridurre il debito pubblico arrivato, nel frattempo, al 120% del pil. Ponzellini rimane nell’azienda fino al 1990, un settennato durante il quale si occupa prevalentemente dello sviluppo del Meridione. Mentre la sua carriera continua a registrare nuovi successi, Ponzellini si sposa con Maria Segafredo, imprenditrice del caffè, da cui avrà tre figlie.

ti analoghi, Bers ha una forte connotazione politica, che le permette di operare unicamente in quei paesi che stiano portando avanti una transizione da un sistema monopartitico e da un’economia fortemente centralizzata a un pluralismo democratico e a un’economia regolamentata dal mercato. Poi, altro giro, altra corsa: siamo nel 1994 e Massimo Ponzellini entra nella Bei, la Banca Europea d’Investimento, con il ruolo di vicepresidente e amministratore delegato. La Bei è l’istituzione finanziaria creata nel 1957 per supportare i progetti di sviluppo a sostegno degli obiettivi politici dell’Ue. Vi rimarrà fino al 2003. A tal proposito, un articolo pubblicato dal quotidiano La Repubblica il 7 giugno di quell’anno esordiva così: « Dal ”giro” di Romano Prodi alla Bei, la Banca europea per gli investimenti. Massimo Ponzellini, 43 anni, bolognese, tre figlie, è il nuovo vicepresidente della Bei. Prende il posto di Luciano Izzo, vice uscente. Per questo lascia una delle quattro direzioni della Bers, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, creata nel ‘91 per favorire l’ economia di mercato dei paesi dell’ ex blocco comunista. Lascia Londra per il Lussemburgo. La sua è la carica più alta ricoperta dall’ Italia negli organismi economici europei: prima casella riempita dal governo Berlusconi. È stato nominato dal Consiglio dei governatori della Bei riunitosi sotto la presidenza del ministro del Tesoro italiano, Lamberto Dini». È un passaggio importante questo: Ponzellini si lascia definitivamente alle spalle l’eredità di Prodi e inizia una progressiva, quanto inesorabile, migrazione verso il centro-destra, con particolare predilezione per la Lega Nord. Dettaglio importante, su cui ritorneremo tra poco.

Nel 1990 Ponzellini inizia a liberarsi dal marchio di Romano Prodi, divenendo direttore della neonata Bers (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo), organismo finanziario che opera nell’Europa orientale e nell’Asia Centrale. Rispetto ad altri istitu-

Nel frattempo, dall’inizio del Nuovo Millennio, Ponzellini inizia a ricoprire incarichi in società dello Stato, divenendo, tra il 2002 e il 2007, vicepresidente e Amministratore Delegato della Patrimonio dello Stato S.p.A. e Amministratore Delegato dell’Istituto Poli-


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Sopra Enzo Chiesa, ex direttore generale di Bpm. A sinistra. Giulio Tremonti, Marco MIlanese e Paolo Romani, amici e sponsor di Massimo Ponzellini dopo la lunga stagione prodiana grafico e Zecca dello Stato. Ma è in quello stesso 2007 che l’imprenditore bolognese completa la propria “opa” suoi poteri forti, venendo nominato presidente di Impregilo, la più importante società italiana nel campo delle costruzioni. Quotata alla borsa di Milano, Impregilo S.p.A. detiene un capitale investito di 1,4 miliardi di euro con un portafoglio ordini superiore a 20 miliardi di euro e occupa circa 20.000 persone tra dipendenti e collaboratori.

stava vivendo un momento difficile per colpa della crisi globale. Ma l’esperienza in Bpm dura meno del previsto: nell’ottobre del 2011, dopo poco più di due anni, Ponzellini è costretto a dimettersi dalla carica di presidente, a seguito di una missiva di Bankitalia che caldeggiava il rinnovo integrale del consiglio di gestione dell’istituto di credito. La parabola di Ponzellini, in costante ascesa per oltre un trentennio, si ferma anche per un motivo sca-

Il Professore lo volle all’Iri, dove rimase fino al 1990. Più di recente ha avuto la piena fiducia di Tremonti Attiva nella realizzazione di infrastrutture per il trasporto (costruzioni ferroviarie), nel ciclo di trattamento delle acque reflue e dissalatori e nelle opere per l’ambiente (ingegneria per l’ambiente e il territorio), è il primo general contractor italiano nel settore delle grandi opere. Ed è l’azienda, soprattutto, che dovrebbe occuparsi della costruzione del Ponte sullo Stretto qualora il progetto, approvato definitivamente nel giugno dello scorso anno, venisse realizzato. Poi, l’ultimo atto della sua carriera è rappresentato dall’ottenimento, il 25 aprile del 2009, della presidenza della Banca Popolare di Milano, autentica istituzione del credito meneghino fondata nel 1865, che

partiti politici. Basta scorrere l’elenco dei partecipanti per capire come questa scaramanzia abbia forse un fondo di verità: Umberto Bossi, Renzo Bossi, Giulio Tremonti, Aldo Brancher, Roberto Calderoli. Insomma, a salvarsi sono rimasti – almeno per ora – Luca Zaia e Roberto Castelli. Ad avvalorare la tesi di una cena non fortunata, ecco la lista dei partecipanti di quest’anno: accantonato Ponzellini, dentro Rosi Mauro e Gianni Alemanno. E se per la pasionaria della Lega si è verificata addirittura l’espulsione dal partito, il sindaco della Capitale ha vissuto momenti davvero difficili con l’emergenza neve di febbraio.

Nel caso di Ponzellini, il problema che ne generò la caduta ha un nome ben preciso: “bond convertendo”. Si tratta di un prestito obbligazionario a conversione obbligatoria. Quello emesso da Bpm nel luglio 2009 prevedeva il rimborso delle obbligazioni mediante conversione automatica a scadenza in azioni ordinarie della banca. Purtroppo, le azioni della banca avevano perso nel frattempo gran parte del loro valore, con il conseguente danno nei confronti dei risparmiatori che l’attuale consiglio di gestione ha deciso di rifondere almeno in parte. ramantico, come dicevamo inizialmente, che è curioso raccontare.

Nel gennaio del 2011 la tradizionale “cena degli ossi” a Calalzo di Cadore, appuntamento immancabile per i colonnelli leghisti che di volta in volta invitano degli “amici”, vede tra i protagonisti anche Ponzellini, che ha ormai definitivamente abbandonato la sua esperienza prodiana per avvicinarsi sempre di più all’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti. Che c’entra la scaramanzia, si dirà? C’entra eccome, perché di tutti i partecipanti a quella cena, solo in due sono riusciti – finora – a salvarsi dal crollo che ha coinvolto i principali esponenti dei

Una volta uscito da Bpm (ma rimasto saldamente al comando di Impregilo che nel frattempo ha vissuto la querelle tra Gavio e Salini), Ponzellini ha dovuto fare i conti con la magistratura in due occasioni: la prima lo scorso ottobre, quando nel mirino degli inquirenti era finito un maxi-finanziamento da 148 milioni di euro da parte di Bpm alla società Atlantis/BpPlus, «un finanziamento che - scrivevano i pm - appare incomprensibile, sia secondo i canoni di buona amministrazione sia, più gravemente, secondo le regole della disciplina in materia di riciclaggio». Di fatto, la banca avrebbe prestato soldi alla Atlantis il cui titolare effettivo dichiarato, Francesco Corallo (oggi latitante), «non vive nel ter-

ritorio dello Stato, e che riversa parte importante dei suoi ricavi fuori dal territorio nazionale, senza che sia dato accertare, a ragione della collocazione della società di controllo in un paese off-shore, dove essi vadano a finire». A capo della Atlantis c’è Francesco Corallo, incensurato ma figlio di Gaetano, condannato tempo fa a sette anni e mezzo di reclusione per associazione per delinquere finalizzata all’estorsione. Quando i finanzieri si erano presentati a ottobre negli uffici di piazza di Spagna della Atlantis, Corallo si era dichiarato ambasciatore presso la Fao di un paese caraibico, circostanza poi smentita ufficialmente dalla Fao. Ma la “furbata” aveva permesso al deputato Pdl Laboccetta di trafugare un pc (restituito poi in un secondo momento). Che cosa ci fosse sul computer è difficile stabilirlo visto che, secondo gli investigatori, il portatile risultava “manomesso” dopo la restituzione da parte di Laboccetta.

La seconda occasione in cui Ponzellini si imbatte nella giustizia risale a ieri, quando, nell’ambito dell’inchiesta coordinata dai pm Roberto Pellicano e Mauro Clerici e condotta dal Nucleo tributario della Guardia di finanza di Milano, viene mossa contro l’imprenditore bolognese l’accusa di associazione per delinquere finalizzata all’appropriazione indebita e alla corruzione privata. A Ponzellini vengono, inoltre, contestate anche presunte tangenti per 5,7 milioni di euro. Ovviamente, nonostante la brutta abitudine italiana di “sbattere il mostro in prima pagina”, condannando mediaticamente al massimo della pena persone semplicemente indagate, Ponzellini rimane un uomo innocente fino a prova contraria. Ma è certo che sulla sua testa, un tempo abituata ad essere protetta dal tettuccio di una fiammante Ferrari – che veniva parcheggiata, noblesse oblige, vicino a Via Veneto nelle calde serate romane – oggi si addensano nubi sempre più scure. Sarà temporale o bolla d’acqua?


mondo

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Ancora una volta, l’Onu si mostra poco concreta ed evita di parlare di guerra civile. Come fosse una verità da sottacere

Pressing sul regime Mossa anti-Assad dell’Occidente: ambasciatori siriani espulsi da Roma, Londra, Parigi e Berlino. Un fiasco il vertice tra Kofi Annan e il dittatore di Antonio Picasso ove si vuole arrivare? Con la giornata di ieri, tra la Siria e l’Occidente si è aperta la vera crisi diplomatica. Quella formale. Quella che, per molti versi, rappresenta un punto di non ritorno. Berlino, Londra, Parigi e Roma hanno effettuato un’azione coordinata di espulsione dei rispettivi rappresentanti diplomatici siriani. Poi è arrivata anche Madrid. Di seguito ancora, l’Australia e il Canada. Nel tardo pomeriggio, si è decisa anche l’Olanda. In questo modo siamo al culmine della tensione. O meglio, lo saremmo se anche gli Usa avessero scelto una linea tanto secca. La rappresentanza di Assad a Washington, al contrario, è ancora operativa. Mentre quella Usa a Damasco è stata chiusa a gennaio.Tutto questo non è un bene. Lo si è detto più volte: se si vuole far pressione, è necessario tenere aperto un canale di dialogo. Lo sa la Russia che, per tanti motivi, insiste a confrontarsi con il governo siriano. Ne è consapevole anche

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ché non sono effettivamente chiari, come al contrario si vuol far credere, gli attori coinvolti nel conflitto. Assad è cattivo. I ribelli sono i buoni. La distinzione così dicotomica è quella data in pasto alla stampa e all’opinione pubblica internazionale. Tuttavia, appare approssimativa. Prima di tutto perché la Siria è proverbiale per essere il Paese delle sciarade. E non solo da parte del regime. Anche la crisi odierna, anzi soprattutto essa è fatta di verità, falsità, ma in particolare di elementi dalla doppia lettura che non permettono di comprendere a pieno quel che sta succedendo. Laggiù a Damasco, come pure nei Paesi che incidentalmente sono coinvolti nella questione. In questo senso il massacro di Houla è esemplificativo. La notizia è passata inizialmente come uno sterminio effettuato «sicuramente» dalle forze regolari, mediante tiri di artiglieria. Poi però su Youtube hanno cominciato a circolare le raccapriccianti immagini di corpi

Dove vuole arrivare davvero la diplomazia? In realtà, non sono così chiari, come al contrario si vuol far credere, gli attori coinvolti nel conflitto. Fatto di verità, falsità e elementi dalla doppia lettura la Cina che, molto più silenziosamente, sfoggia il suo diritto di veto in caso di un ulteriore intervento nel Consiglio di sicurezza. Veto che anche il Cremlino non si fa problemi a reclamare.

Sempre ieri, la visita dell’inviato speciale dell’Onu, Kofi Annan, nel Paese si è rivelata un disastro. Chi si aspettava qualcosa di più concreto forse ha sbagliato i calcoli. D’altra parte, Annan non passerà alla storia per la quintessenza del decisionismo. Di fronte al presidente siriano, Bashar el-Assad, l’alto dirigente delle Nazioni Unite ha espresso la preoccupazione di tutto il Palazzo di vetro per quel che sta accadendo in Siria. Ancora una volta l’Onu evita di parlare di guerra civile. È una verità che si cerca di sottacere. Forse per-

giustiziati sommariamente. Ieri la stessa agenzia Onu per i rifugiati, l’Unhcr, ha ricalibrato le prime informazioni. Corpi esangui di bambini dal cranio spappolato, ma soprattutto altri con la gola tagliata. Di solito l’uccisione con armi da taglio è una pratica dei fondamentalisti. Perché lo sgozzamento richiama alla ritualità dell’agnello sacrificale, come da prassi coranica. Quella estremista, ovviamente. Non appartiene invece a un esercito che vuole effettuare una veloce rappresaglia di un villaggio. Inoltre, proprio l’area di Taldou, scena dell’incubo, è abitata sia da sunniti che da alawiti. Possibile che Assad, tanto interessato come si dice ad avere l’appoggio almeno della minoranza confessionale di sua appartenenza, vada a sterminare i suoi stessi sostenitori? Le domande e i dubbi pesano anche sull’affaire degli undici pellegrini libanesi sciiti sequestrati la scorsa settimana. In tal senso, è assai difficile che i responsabili siano da cercare tra i fe-

Bashar al-Assad insieme con Kofi Annan. Proteste anti-regime a Damasco. Il dolore dei familiari di alcune delle vittime in Siria deli del presidente siriano. Lo scorso fine settimana, da Ankara a Beirut era circolata la voce che fossero stati liberati. La notizia è stata smentita dai fatti.

Ieri l’ex primo ministro libanese, Saad Hariri, ha interrotto il suo ruolo di mediatore nella gestione del caso. Secondo il quotidiano al-Akhbar sarebbero

stati i sauditi a suggerire ad Hariri di farsi da parte. Sembra che i rapitori abbiano respinto la proposta di pagamento di un riscatto. La vicenda ricorda i numerosi precedenti avvenuti durante la guerra in Iraq. Quando a comparire su Youtube erano giornalisti e attivisti un po’ troppo spericolati, ma anche innocenti cittadini di confessione soprattutto sciita, caduti vittima delle innumerevoli milizie jihadiste operative nel Paese. Sta succedendo lo stesso? La crisi siriana ha anche un risvolto confessionale e non ce ne accorgiamo? E se l’iniziativa fosse un modo per provocare e quindi coinvolgere soggetti stranieri? Martedì scorso, non ieri, alla notizia del sequestro i quartieri meridionali di Beirut sono stati attraversati da un’ondata di tensione collettiva. Solo il repentino intervento del segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha cauterizzato i nervosismi. «Non facciamo sciocchezze!» ha detto in un messaggio trasmesso dalla televisione al-Manar. Come a dire: «Non cadiamo nelle trappole di provocazione». Il mondo sciita, di conseguenza, si è calmato ma la faccenda non è risolta.Tanto più che Hariri, sunnita appunto, e la


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tamente ad Annan? L’Onu sta tergiversando troppo per poter dire che si tratta di mera cautela diplomatica. D’altra parte in questo momento la distribuzione dei ruoli è chiara. L’Occidente non sa che pesci prendere. La Lega araba non vede l’ora di sbarazzarsi di un partner scomodo, senza però valutare le possibili alternative ad Assad. Infine Mosca e Pechino assurgono a testimonial della realpolitik. «Gli eventi che stanno succedendo in Siria stanno già avendo un impatto sul Libano e possono avere un effetto negativo sull’intera regione», ha detto il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, in una conferenza stampa a Mosca. Al suo fianco c’era il suo omologo britannico, William Hague. Segno questo che, al di là degli show decisionisti fatti di espulsioni e ambasciate chiuse, qualcosa brucia sottocenere. «Noi tutti dobbiamo assumerci la massima responsabilità e non buttare benzina sul fuoco, ma piuttosto cercare di spegnerlo e portare le parti al tavolo negoziale», ha concluso Lavrov. Detto ciò, l’opposizione siriana ha salutato positivamente la scelta dei governi europei ieri. Quanto vale però il plauso di un soggetto smembrato, acefalo e dall’idenTurchia, che si dichiara vicina ai ribelli, si sono tirati indietro. A questo punto si può dire: la road map di pace dell’Onu è fallita. Per quanto il governo di Damasco e quello di Teheran ne reclamino la continuità, bisogna ammettere che serve cambiare passo. La presenza degli osservatori, con a capo il generale norvegese Robert Mood - pare dal passato discutibile - così com’è risulta inutile.

Non si può pensare che i caschi blu restino in Siria a nome di una serie di governi che con la Siria stessa non vogliono parlare. O si espellono gli ambasciatori e a quel punto si trova un’alternativa - quale non è dato saperlo - oppure si mantiene aperto il confronto diploma-

tico e così si riconosce una funzione agli osservatori. Altrettanto evanescenti sono le prese di posizione del Palazzo di vetro, il quale condanna Assad da New York, senza poi seguire la stessa linea trovandovisi di fronte. Al di là che faccia bene o male, perché non sfoggiare a Damasco una presa di posizione più precisa? Forse perché si è consapevoli che la fermezza non porterebbe a nulla se come interlocutore si ha un alleato di Russia e Cina? O forse perché, in fondo in fondo, mantenere Assad al potere fa comodo un po’ a tutti? Oggi Jean-Marie Guehenno, uno dei due vice di Annan, aggiornerà in videoconferenza il Consiglio di Sicurezza sulla crisi. Perché non subito? Perché non farlo fare diret-

siedendo gli risulta troppo polverizzato. Poi è arrivata la contraddizione che solo un levantino può sfoderare. Ghalioun ha detto che avrebbe lasciato l’incarico una volta che il Cns si fosse trovato unito nello scegliere un successore. Ma se il Consiglio dovesse raggiungere una nuova compattezza perché dimettersi? Un’altra incongruenza l’opposizione la dimostra nel richiedere un maggior numero di osservatori Onu. Il Cns non può pretendere che l’Occidente spenga il dialogo diplomatico, pur restando come forza disarmata e di interposizione nel Paese. In questo caso, Ghalioun e soci si stanno comportando in maniera ancora più rapsodica rispetto al comitato di Tripoli che poi si è sostituito a Gheddafi. Non ha una linea politica alternativa ad Assad. Non parla con gli interlocutori di Assad, Russia in particolare, però continua ad avanzare richieste agli alleati occidentali.

Dove si vuole arrivare allora? La Francia ha ribadito l’opposizione a una qualsiasi operazione di forza. Quindi, salvo imprudenze da parte della Turchia, dovremmo evitare di assistere a una seconda Libia. È una scelta ragionevole. Non so-

Non si può pensare che i caschi blu restino per conto di governi che con la Siria non vogliono parlare. Meglio lasciare aperto il confronto diplomatico dando così una funzione agli osservatori tità poco probabile? Il Consiglio nazionale siriano (Cns) infatti non rappresenta l’intera opposizione ad Assad. Almeno è questo ciò che si spera. Perché tra chi combatte contro le truppe regolari ci sono anche derive jihadiste, di matrice salafita e forse addirittura qaedista. L’Occidente si guardi dall’appoggiare apertamente una costellazione di soggetti così ibridi. Appena la scorsa settimana, lo stesso leader del Cns, Burhan Ghalioun, ha paventato di dimettersi perché l’organo che sta pre-

lo perché l’operazione anti Gheddafi dello scorso anno non ha risolto il problema. Ma anche perché, questa volta, si andrebbero a stuzzicare troppi interessi e alleati di Assad, che il colonnello libico non poteva più vantare. Entrare in Siria con le armi significa, a parte il fatto che ci vorrebbe a priori un via libera dell’Onu e sappiamo che questo è fuori discussione, attaccare in maniera incidentale Iran e Libano. Non solo Hezbollah. Dal momento che il governo di Beirut ha scelto la linea di neutralità, non sarebbe unicamente il Partito di Dio a sentirsi sotto pressione, ma l’intero Paese dei cedri. Vorrebbe poi dire non curarsi del crescente peso di Pechino e Mosca nella regione. Infine bisognerebbe chiedersi quanto a Israele aggraderebbe trovarsi fra i piedi altri contingenti stranieri. Oltre ai già presenti dell’Unifil. Infine c’è da notare come i Paesi della Lega araba si siano messi completamente in ombra. Da settimane, le monarchie del Golfo non si esprimono sulla crisi. L’intera organizzazione, una volta sospesa Damasco, ha preferito ritirarsi dalla questione. Convinta, forse, che bastasse un atto formale per liquidare la vicenda. In realtà, il solo Paese in un certo senso giustificato a non intromettersi più di tanto è l’Egitto. I suoi problemi di casa sono altrettanto urgenti.

e di cronach

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Come in un gioco di specchi nel suo libro appena edito da liberal - “Il terzo radicalismo” - Ernst Nolte accosta marxismo, nazionalismo e islamismo

Il passato che non passa È l’ebraismo il nemico delle rivoluzioni conservatrici: nell’Europa di ieri come nel Medio Oriente di oggi di Massimo De Angelis l terzo radicalismo (liberal edizioni 2012 - Landtverlag 2009) è una importante integrazione degli studi condotti per oltre mezzo secolo da Ernst Nolte soprattutto sui totalitarismi europei del XX secolo. Qui lo studioso tedesco si sporge oltre l’Europa e oltre il XX secolo, indagando traiettoria e significato dell’islamismo sino al 2001 e sino a noi. Sennonché anche questo libro non conclude l’opera di Ernst Nolte avendo egli nel frattempo pubblicato in Germania altri due volumi che raccolgono importanti elementi del suo pensiero storico: Spaete Reflexionen (Karolinger, 2011) e Italienische Schriften (Landtverlag, 2011).

I

Il terzo radicalismo di cui si parla, quello islamista, segue i primi due: bolscevismo e nazionalsocialismo. Qualcosa e forse più che qualcosa accomuna i tre fenomeni. Innanzitutto essi sono per Nolte tre fenomeni di rivoluzione conservatrice. E questo in quanto questi movimenti, ciascuno a suo modo, hanno inteso modificare in profondità le strutture sociali e politiche esistenti al fine di concretizzare una resistenza, radicale, allo stato di cose presenti in modo da affermare un assetto ritenuto umanamente superiore. Una resistenza, più di preciso, a che cosa? Ciascuno a cose diverse ma in comune tutti, secondo Nolte, si sono opposti, in prima approssimazione, al progresso e più precisamente ancora all’astrazione della vita che accompagna il progresso. Infine, potrebbe dirsi, a quella meccanizzazione della vita verso cui tutte le correnti romantiche di ogni generazione hanno provato ripulsa. In questo contesto rientra anche il marxismo, in quanto esso, pur ammirando il progresso, sogna infine una «umanità rigenerata senza commercio e denari» (pag. 29). Hitler, d’altra parte, non è un reazionario alla Carlo X ma un contro-rivoluzionario, Lenin ma soprattutto Stalin sono oltreché rivoluzionari anche conservatori, hanno lottato contro lo sviluppo capitalistico e va colta in proposito la differenza tra fase bolscevica e della rivoluzione mondiale e fase staliniana o del socialismo in un

Paese solo. Sono queste premesse utili a leggere un libro che è insieme concettualmente vertiginoso nell’accostare come in un gioco di specchi fenomeni storico-politici o lontani o opposti, dal marxismo all’islamismo; un libro d’altra parte che introduce in modo efficace alla interpretazione della storia di un’area del mondo così prossima e così da noi europei generalmente poco studiata. La ricognizione di Nolte prende le mosse dalla spedizione in Egitto di Napoleone nel 1798. Un contatto allora si stabilisce tra l’Occidente moderno e il mondo islamico che, ai tempi, si estende dal Marocco sino a India e Indonesia. A partire da lì, e almeno sino al primo conflitto mondiale, l’area islamica vive il rapporto con la modernità come una sfida da accogliere ma anche come qualcosa di estraneo e innanzitutto come qualcosa di ostile (anche a causa delle crudeltà di cui gli occi-

nalismo rivoluzionario. Il nazionalismo rappresenta la particolarità e l’identità, la rivoluzione, la spinta alla trasformazione e l’apertura all’universale. La combinazione del nazionalismo rivoluzionario è una variante di quell’equilibrio che, secondo Nolte, è una permanente necessità antropologica essendo l’uomo un ente particolare che si apre, attraverso il pensiero, all’universale, ragion per cui se l’uomo affermasse il particolare sino a togliere l’universale si avrebbe una regressione infine all’animale, se l’universale dovesse togliere il particolare l’uomo cederebbe il passo a una creatura postumana. Si può qui aggiungere che la sfida tra queste due ipotesi e la carica nichilista intrinseca a entrambe, costituisce, ad avviso di chi scrive, la sostanza filosofica più profonda, nella ricostruzione nolteana, della guerra civile europea e del terrore che la attraversò. Ma anche, in altre forme, della storia che oggi stiamo vivendo.

I tre movimenti con la stessa resistenza radicale hanno tentato di affermare un assetto ritenuto umanamente superiore dentali saranno capaci e del frustrante divario militare che a più riprese risulterà manifesto). Si riprodurrà, a questa stregua, un doppio movimento culturale analogo a quello avvenuto in Russia: qui tra occidentalisti e slavofili, lì tra occidentalisti e islamisti. Gli uni tendenzialmente progressisti gli altri più conservatori. A questo punto Nolte illustra come scatti un primo meccanismo: quello del nazio-

Tornando al nazionalismo arabo, in esso si espresse dunque una particolare combinazione di aspirazione alla modernità e salvaguardia di una identità sentita come minacciata. A questo punto, però, vi fu una improvvisazione della storia. L’aggressività occidentale in Medio Oriente si era incarnata per tutto l’Ottocento in quella di Francia e Inghilterra. Tuttavia le particolarità nazionali arabe andarono innanzitutto a collidere con l’universalismo rappresentato dall’Impero ottomano. Quando, nella prima

Il Muro del pianto a Gerusalemme. Sotto, i ritratti di Lenin e Hitler. In basso a sinistra, Osama bin Laden. “Il terzo radicalismo” è una importante integrazione degli studi condotti per oltre mezzo secolo da Ernst Nolte sui totalitarismi europei del XX secolo

guerra mondiale, l’Impero si alleò con gli altri Imperi centrali europei, il fiume dei nazionalismi arabi, attraverso complessi itinerari, finì per incontrarsi con proprio con gli inglesi e i francesi. La figura mitica è quella di Lawrence d’Arabia e la straordinaria epopea di liberazione araba racchiusa nel grido: «Aquaba!». Una grande epopea tradita però alla conferenza di Sanremo del 1920 dove gli inglesi e ancor più i francesi frustrarono i sogni di indipendenza arabi spartendosi brutalmente protettorati e mandati sull’intera regione. Qui allora, avviene la nuova svolta. Dal tradimento sorge un nuovo antioccidentalismo. E questo sentimento impronta il nazionalismo arabo prevalendo, secondo Nolte, sulla necessaria autocritica da fare rispetto alla propria arretratezza. La ricerca di una propria via alla modernità viene offuscata dall’ostilità verso il modello occidentale. Questo apre alla congiunzione con altri due grandi fenomeni storico-politici coevi. Anche in Europa nasceva, col nazionalsocialismo tedesco, un movimento che coltivava, dopo Versailles, un profondo rancore per l’ingiustizia subìta dagli anglo-francesi e che nutriva insieme una accesa ostilità verso il bolscevismo, percepito come minaccia schiacciante alla propria stessa identità di popolo. D’altra parte già nel 1917 vi era stata la Dichiarazione di Balfour (il Lord ministro degli

Esteri inglese), che apriva all’ipotesi di un ritorno degli ebrei in Palestina.

Una mossa dagli effetti storici incalcolabili. Da un lato gli ebrei che avevano avuto sino ad allora una amicizia speciale con la Germania (la sede della Comunità internazionale era a Berlino) cominciavano a guardare al mondo anglosassone, il che avrebbe alimentato i sentimenti antisemiti del nazionalsocialismo. Dall’altra il movimento sionista di Moses Hess e di Theodor Herzl, anch’esso nazionalista (e socialista) e secolare, un po’come abbiamo visto essere quello arabo, poteva passare dal cielo delle idee alla terra della pratica. Infine, quindi, e per contraccolpo, il nazionalismo arabo, sviluppatosi dopo la fine della prima guerra mondiale, da quello dei Giovani turchi, a quello del Partito Baath sino alla esperienza di Nasser assunse caratteri filotedeschi e poi filo nazionalsocialisti (anche a causa del comune antisionismo). Nolte sottolinea come “nazionali”e di ispirazione “socialista” e “secolare” fossero da una parte un po’ tutti i nazionalismi arabi che stavano diventando panarabismo, ma anche il sionismo israeliano e peraltro la Germania hitleriana e la Russia staliniana. Una costellazione impressionante. Con la Russia il cozzo era prevedibile e preventivato così come quello con gli ebrei. Ma


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difesa è forse uno dei più chiarificatori dell’intera storia del XX secolo e fu probabilmente valido anche per Hitler» (219). Saldandosi all’antisemitismo tale visione può far parlare del khomeinismo come di un fenomeno con caratteristiche radicalfasciste.

Tra fine anni Settanta e Ottanta si sviluppa ancora il conflitto tra Fratelli musulmani e mujaheddin da una parte e socialismi secolari dall’altra (Urss compresa). Dopo il 1990 può parlarsi del

niti, wahabiti e sciiti. In conclusione, in questo libro, l’odierno quadro mediorientale sembra riprodurre una costellazione di conflitti analoga a quella dell’Europa della prima metà del secolo scorso, in modo allargato e altrettanto imponderabile e minaccioso. Filosoficamente appaiono in gioco le medesime coppie concettuali: particolare-universale, nazionale-globale, messianismo-tradizione, minaccia-difesa preventiva. In esse trovano espressione innanzitutto la tonalità emotiva della paura (verso l’altro, il nemico, la propria arretratezza e la modernità altrui) che si rovescia in odio. Tutto ciò ha la sua origine in una struttura antropologica e nelle sue dinamiche che Nolte ha messo a fuoco in altri lavori, innanzitutto in Esistenza storica (Le lettere, 2003). Nell’epoca della globalizzazione e della minaccia di totale omogeneizzazione, il contrasto è, scrive Nolte, «tra una forma cieca di trascendenza pratica cioè, essenzialmente, di trasformazione del mondo umano, ndr - che attraverso una concorrenza illimitata e improntata al “volere dei più” conduce l’umanità a oltrepassare se stessa» e i fenomeni di “conservatorismo rivoluzionario” che non si schierano «in una battaglia tra particolarismo e universalismo», ma «cercano di realizzare una particolare sintesi tra le strutture tradizionali e particolari e l’universalismo, che appartiene all’essenza della trascendenza ma che resta conciliabile con i particolarismi dell’umanità soltanto nella misura in cui li deforma ma non li distrugge» (320). Qui si colloca allora anche il ruolo specialissimo dell’ebraismo secondo Nolte nel secolo scorso ma anche in questo. Facendo leva anche sul recente libro dello studioso ebreo americano Yuri Slezkine, Il secolo ebraico (Neri Pozza 2011, si veda la recensione di Sergio Romano sul Corriere della sera, 7 aprile 2011), Nolte sottolinea come questo popolo decisivo della storia del mondo abbia rappresentato e rappresenti in modo estremo il momento della trascendenza (e dunque dell’universalismo del progresso etc.) contro cui si schierano sempre le rivoluzioni conservatrici. «Questo libro - scrive Nolte - presenta, in ultima analisi, la storia della vittoria definitiva del pensiero e della vita ebraica contro i tre movimenti di opposizione», ma anche, inevitabilmente, illumina sul fatto che quei tre movimenti, minacciosamente, «in parte continuano a combattere la battaglia contro quel nemico» (316), o meglio contro quel nemico che essi vedono incarnato nell’ebraismo. Secondo Nolte, si potrebbe temere, «un passato che non passa».

Nell’area islamica la modernità inizia a essere vissuta come una sfida dalla spedizione di Napoleone in Egitto movimento islamista come di una potenza transnazionale mondiale. È con questi occhiali che bisogna leggere il 2001. Ed è con i medesimi occhiali che si può leggere il bivio drammatico di fronte a cui è posto il popolo ebraico stretto tra le ipotesi estreme dell’essere presidio occidentale e l’ipotesi opposta di desionizzarsi e semitizzarsi, cercare di essere popolo semita tra semiti, secondo le tesi del movimento

Nolte nota come invece la Germania avrebbe realmente potuto catalizzare intorno a sé gli arabi (il muftì di Gerusalemme Al- Husseini era un sostenitore di Hitler e Rommel fu accolto al Cairo come un liberatore. L’alleanza non prese realmente corpo, così come deluse restarono anche le attese di Chandra Bose perché Hitler sperò sempre di restaurare una alleanza con la Gran Bretagna, “conservatrice e bianca”ma soprattutto perché la sua ideologia occidentalista, bianca e razzista appunto, presente dal Mein Kampf al famoso discorso di Duesseldorf del ’33, gli impedì di perseguire una Sonderweg, antioccidentale, cui pure lo spingevano settori importanti del suo partito e che avrebbe potuto essere strategicamente vincente.

Nel secondo dopoguerra, cruciale è il destino d’Israele di rappresentare la modernità dell’Occidente in Medio Oriente catalizzando l’odio degli arabi. In questo senso Israele rischia di assumere paradossalmente il ruolo svolto dalla Germania e i palestinesi di assumere il ruolo degli ebrei di allora; ma, d’altra parte, gli arabi coltivano verso gli israeliani sentimenti di annientamento. Qualcosa del genere balena qui come in un gioco di specchi. E non solo. Il rancore del nazionalismo arabo si scarica nelle guerre del ’67 e ’73 e viene messo in scacco dalla

superiorità occidentale israeliana. La figura di Nasser e del successore Sadat sono però a loro volta cariche di destino. Già il primo subì nel 1954 un attentato da parte dei Fratelli musulmani che nel 1981 riuscirono a uccidere Sadat,“empio” per aver addirittura parlato alla Knesset. È questo il tempo di incubazione del fenomeno dell’islamismo in cui si trasfigura il nazionalismo arabo. Se questo si fonda appunto sulla particolarità nazionale ed è tendenzialmente panarabo e secolare, il secondo torna all’universalismo e si fonda sull’identità religiosa e sul messianismo. Perciò esso ha il suo epicentro nell’Iran che non è arabo ma è sciita e cioè espri-

me la componente più messianica dell’Islam. Qui c’è un nuovo cambiamento nel rapporto con Israele che viene odiato non solo perché occidentale ma anche e soprattutto perché ebraico. Con Kho-

Peace now di Uri Avneri. Da ultimo, anche la recente “Primavera araba” potrebbe (anche se ovviamente il libro non può parlarne) essere letta con questi occhiali. Si tratta della resa dei conti tra nazionalismo secolare arabo, che aveva i suoi perni nel regime egiziano e in quelli dei partiti Baath siriano e iracheno, e il nuovo islamismo, che ha un fondamento religioso che sembra avere due varianti, l’una moderata (in Turchia e in Egitto) l’altra più radicale (nell’Iran ma anche in Afghanistan e tra gli Hezbollah) e che si interseca con la differenza e i contrasti religiosi tra sun-

A ritornare sono le stesse coppie concettuali: particolareuniversale, nazionale-globale, messianesimo-tradizione... meini si riattualizza un’altra categoria che era stata centrale in Hitler e che era stata poi giocata dagli israeliani nel ’67 e già nel ’56, quella della aggressione difensiva. Scrive Nolte: «Il concetto di aggressività di


ULTIMAPAGINA Francia, Germania, Svizzera, Vaticano: il tour europeo di Laura Chinchilla, a caccia di partnership (e benedizione) per il suo Costa Rica

In missione per conto di di Maurizio Stefanini ono venuta in Europa perché è sul futuro dell’economia europea che si gioca oggi anche lo sviluppo dell’America Latina. Ma sono venuta in Europa per parlare anche del modello Costa Rica. Un’economia basta sulla sostenibilità ambientale, dall’energia rinnovabile al turismo responsabile e all’agricoltura biologica, che può costituire per il mondo uno straordinario laboratorio, per il quale cerchiamo partner pubblici e privati». Un laboratorio per cui il Costa Rica offre inoltre «sicurezza politica e giuridica degli investimenti». Alla terza tappa del suo tour europeo, dopo Francia e Germania e prima della tappa finale in Svizzera, Laura Chincilla Miranda è venuta a Roma: a incontrarsi con il Papa, e poi all’Istituto Italo-Latino Americano (Iila), dove si è anche incontrata con la stampa.

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Un appuntamento, quello con Benedetto XVI, che presentava qualche punto di apprensione. Da una parte, infatti, il Costa Rica è il più popoloso Stato al mondo a mantenere ancora il cattolicesimo come religione di Stato, gli altri essendo Malta, Monaco, Liechtenstein e, ovviamente, la Città del Vaticano. Dall’altra, però, Laura Chincilla è divorziata, ed ha anche convissuto per cinque anni col suo secondo marito, padre del suo figlio quindicenne. Inoltre, c’è una legge sulla fecondazione assistita in vitro che era valsa all’ambasciatore del Costa Rica qualche interrogativo del Pontefice, quando gli aveva presentato le sue credenziali. Invece Laura ha impressionato favorevolmente Benedetto XVI, lei dice che lui ha manifestato interesse per il tema ecologico, Benedetto XVI le ha dato la medaglia d’oro del suo Pontificato, e lei poi è andata a presentare il modello Costa Rica all’Accademia delle Scienze. «Grazie Costa Rica, grazie agli uomini che hanno permesso che una figlia di questo Paese possa oggi essere Presidente della repubblica», aveva detto questa politologa allora cinquantenne che dimostra 10 anni di meno, quando nel febbraio del 2010 aveva vinto le presidenziali. Primo capo dello Stato donna in 188 anni di storia del Costa Rica indipendente. Figlia di un Contralor General de la República (Difensore Civico Nazionale) al cui nome è stata intitolata la biblioteca di quell’istituzione, è arrivata alla presidenza dopo un cursus honorum intenso: già attiva nella cooperazione internazionale allo sviluppo in America Latina e Africa come esperta in materie di Giustizia e sicurezza, in particolare per l’Onu, è stata poi viceministro della Sicurezza Pubblica tra 1994 e 1996, ministro tra 1996 e 1998, e da ultimo vicepresidente e ministro della Giustizia. Proprio sulla base di questa esperienza è stata giudicata credibile dall’elettorato quando ha impostato la sua campagna elettorale sulla lotta alla delinquenza. Di lei si sa che da studentessa andava all’Università in un abito indigeno tradizionale, e che parlare di moda è pressoché l’unica distrazione frivola che si concede in una vita in cui, testimoniano i familiari, fin da piccola ha pensato soprattutto a studiare e a lavorare. Il Partito Liberazione Nazionale (Pln) in cui lei milita è membro

La presidentessa, che ha da poco incontrato il Papa, sta cercando di riabilitare l’immagine politica, di rafforzare il mercato turistico e di ottenere l’ingresso nell’Ocse dell’Internazionale Socialista, ma è sempre stato duramente anticomunista, e negli ultimi anni si è spostamento marcatamente verso il centro.“Svizzera dell’America Centrale”, il Costa Rica ha cercato di essere più Svizzera della stessa Svizzera. Non solo democrazia, diffusione della piccola proprietà, centro finanziario con accuse peraltro di paradiso fiscale e neutralità: mentre la Svizzera pur non facendo guerre da 163 anni è armata fino ai denti, il Costa Rica l’esercito sessant’anni fa lo ha addirittura abolito. «Siamo una democrazia che fa risiedere la sua forza non nelle armi, non nella guerra, ma nel diritto alla pace, non come obiettivo accessibile, ma come via umana obbligatoria», ha detto Laura Chinchilla all’Accademia Pontificia delle Scienze.

«Il nostro ideale è quello nato nel Presepe di Betlemme, l’ideale della fraternità universale di tutte le persone e di queste nella loro interrelazione con la natura». Secondo lei, è stata la rinuncia unilaterale all’esercito che ha permesso di investire nell’educazione, nell’infrastruttura, nella scienza e nella tecnologia. In Costa Rica l’investimento nell’educazione pubblica arriva al 7% del Pil, il 90% delle scuole è connessa alla Rete, da oltre 40 anni il 25% del territorio è sotto un regime speciale di protezione e il 95% dell’energia consumata proviene da fonti rinnovabili. Ma l’omaggio all’utopia non basta da solo a sottrarsi ai problemi

DIOS di un contesto geografico complicato come pochi. Attorno all’oasi di pace del Costa Rica il narcotraffico ha insanguinato i Paesi confinanti, che hanno ormai i più alti tassi di omicidi del pianeta. Né mancano le tensioni più propriamente geopolitiche, con un’annosa disputa di confine tra Costa Rica e Nicaragua che nel dicembre del 2010 ha fatto paventare addirittura uno scenario bellico, ed è ancora in attesa di risoluzione alla Corte dell’Aja.

Laura Chinchilla ricorda che l’America centrale «è vittima di una geopolitica perversa, ci troviamo in mezzo tra i grandi produttori del sud e i grandi consumatori del nord e siamo stati trascinati in questo percorso di morte., corruzione e violenza». E poiché «la strategia della guerra sposta il problema verso altri Paesi», chiede la «depenalizzazione del consumo», sia pure nell’ambito di un dibattito internazionale sul tema. «La lotta al narcotraffico è più un fatto di intelligence che di forza». Sul conflitto con il Nicaragua, manifesta la speranza che «prevalga il diritto internazionale». Ma per la presidentessa la minaccia più grave è quella ecologica: «Alle nostre latitudini viviamo colpi meteorologici estremi, che sono diventati il principale ostacolo allo sviluppo dell’America Centrale e dei Caraibi», spiega Laura Chinchilla, per esortare ad «avanzare verso un’economia più sobria, più pulita e più sostenibile».


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