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he di cronac

Non vale la pena di godere di diritti che non derivino dall’aver fatto il proprio dovere

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Mohandas Gandhi di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • MARTEDÌ 22 MAGGIO 2012

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Il Paese piange sette vittime rimaste sotto le rovine nelle zone colpite dal sisma tra Ferrara e Modena

L’Italia è troppo fragile Ogni catastrofe naturale denuncia gravissime incurie di ieri e di oggi Per tutta la notte, l’Emilia ha continuato a tremare: sono oltre cinquemila gli sfollati. Si ripete un rito amaro e consueto: la conta dei danni a un patrimonio che non sappiamo difendere Il candidato di M5S sconfigge la sinistra a Parma

Vincono Grillo e tutti gli outsider I risultati dimostrano che si è trattato dell’ultima votazione della Seconda Repubblica: il Pdl sparisce e il Pd conquista Comuni, ma spesso grazie agli antagonisti. O col voto o con l’astensionismo, gli italiani chiedono un nuovo assetto politico Errico Novi e Marco Palombi • pagine 6 e 7

L’intervento del cardinale Bagnasco all’Assemblea Cei

«Contro i ladri di soldi e di ideali»

Paura nelle tendopoli

Come estrarre (e salvare) la cultura La notte sotto la pioggia dalle macerie Il maltempo non dà tregua ai terremotati: I cinquemila sfollati del terremoto di domenica hanno affrontato freddo e maltempo nelle tende allestite nei centri più colpiti

da domenica pomeriggio su tutta la zona non ha praticamente mai smesso di piovere

Il dramma degli operai C’è grande dolore per la tragedia nella tragedia: quella dei quattro operai rimasti schiacciati dal capannone industriale crollato a Sant’Agostino

di V. Faccioli Pintozzi baglia chi vede negli interventi della Conferenza episcopale italiana, che quasi sempre passano attraverso la voce del cardinale presidente, delle ingerenze nella vita del Paese. Negli ultimi anni si è andata affinando una tecnica quasi guerrigliera, nella valutazione di questi pronunciamenti: quando fanno comodo sono moniti di cui tenere conto, altrimenti sono ingerenze. a pagina 8

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EURO 1,00 (10,00

CON I QUADERNI)

FONDI E SPRECHI

La faglia appenninica Secondo gli esperti, il terremoto sarebbe stato causato dal sommovimento della faglia appenninica che va “a sbattere” contro le Alpi

I monumenti crollati Finale Emilia è il centro più colpito. A Ferrara danneggiato anche il Castello estense. Crolli al Palazzo Ducale di Mantova

• ANNO XVII •

Osvaldo Baldacci e Franco Insardà • pagine 2, 3 e 5 NUMERO

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• CHIUSO

di Rocco Buttiglione l terremoto in Emilia ha provocato danni gravissimi al patrimonio culturale. Urge un intervento immediato. Questa calamità arriva in un momento in cui la situazione della finanza pubblica costringe il Ministero dell’Economia ad una stretta severa ed ogni ipotesi di nuove spese è guardata con grande sospetto. D’altro canto la situazione dei beni culturali in Italia appariva gravissima anche prima di questa recente catastrofe. Sono ricorrenti sui giornali gli interventi, anche autorevoli, che invitano il Ministro competente a provvedere, cioè a farsi dare più mezzi dal governo del quale fa parte. Per la verità, il ministro Ornaghi qualcosa ha fatto. Risorse significative sono state assegnate per progetti importanti nel Mezzogiorno d’Italia. Rimangono tuttavia aperti molti problemi. E tutti hanno a che vedere con i criteri che determinano gli investimenti pubblici. a pagina 4

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IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


Notte di pioggia, di freddo e di dolore per i cinquemila sfollati nei centri di accoglienza allestiti tra Ferrara e Modena

Tendopoli Italia

Si ripetono anche in una delle Regioni più forti del Paese le scene dell’Abruzzo e della Campania: c’è un sistema che non funziona di Francesco De Felice

ROMA La terra continua a tremare. Un’altra forte scossa, accompagnata da un boato e da un moto sussultorio, è stata avvertita ieri, dopo le 18.30, a Finale Emilia nel modenese. Dopo pochi minuti sono state avvertite altre due scosse. Piove sull’Emilia Romagna mentre la terra trema ancora e tutto diventa più difficile nelle zone colpite dal terremoto tra domenica e lunedì e nelle tendopoli. Sette morti, più di cento feriti e circa 6 mila sfollati sono i numeri di quest’altra tragedia che si abbattuta sulla nostra penisola. Tanta la paura, il dolore e la rabbia per vittime incolpevoli dell’incuria di ieri e di oggi. Come i quattro operai morti nel crollo di un capannone a Sant’Agostino, nel ferrarese. Dopo la prima forte scossa di domenica, il terremoto non ha dato tregua nemmeno alle migliaia di sfollati di Modena e di Ferrara che hanno dovuto passare la notte nei centri di fortuna allestiti. Domenica notte la terra, infatti, ha continuato a tremare: due le scosse più forti, di 3,7 e 3.6 della scala Richter, avvertite tra Mirandola, San Felice e Finale Emilia, alle quali ne sono seguite altre 170 che hanno provocato danni alle abitazioni e al patrimonio artistico. Sarebbe stata l’estremità settentrionale della faglia appen-

Il vero dramma nel dramma è stato quello di quattro operai rimasti uccisi dal crollo del capannone industriale di Sant’Agostino, dove stavano facendo il turno di notte. Le tendopoli che sono state subito allestite in vari centri hanno dovuto combattere con il maltempo: freddo e pioggia hanno reso tutto più difficile

ninica sepolta sotto la Pianura Padana la causa del terremoto. A giudizio dei vulcanologi non è escluso che ci possano essere nuove scosse anche di forte entità e secondo gli esperti lo sciame sismico rischia di proseguire per giorni mettendo ad ulteriore dura prova le popolazioni colpite. Oggi il Consiglio dei ministri dichiarerà lo stato di emergenza, mentre Monti ha subito conferito al prefetto Franco Gabrielli i poteri necessari per gestire l’emergenza. Con il capo della Protezione civile è in continuo contatto con il ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi per monitorare la situazione del patrimonio culturale. Ieri è arrivato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, che insieme a Gabrielli ha presieduto un vertice al Centro unificato provinciale della Protezione civile di Modena. Hanno incontrato tutti i sindaci dei territori colpiti, il presidente della Regione Vasco Errani e il presidente della Provincia di Modena Emilio Sabattini.

Al termine dell’incontro Catricalà, che questa mattina alle 11 e 15, riferirà alla Camera sulla situazione, ha detto: «Il governo considera questa emergenza non strettamente regionale ma di carattere nazionale. Valuteremo tutte le richieste di sospensione di tributi e contributi e sulla derogabilità del Patto di stabilità, anche se c’è il pro-


prima pagina

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«Ma il governo è dalla loro parte» «Monti ha detto che lo Stato starà vicino ai terremotati. E così sarà», dice Mauro Libé di Franco Insardà

ROMA. «Il presidente Monti è stato chiaro: le popolazioni colpite dal terremoto in Emilia non saranno abbandonate dallo Stato. Noi dell’Udc non abbiamo motivo per dubitare che il governo rispetterà questo impegno». Mauro Libé, responsabile degli Enti locali dell’Udc, sgombra il campo da qualsiasi polemica legata al decreto che prevede la ristrutturazioni di immobili colpiti da calamità naturali non più a carico dello Stato entrato in vigore il 17 maggio, ma che ha un regime transitorio e un regolamento da approvare entro novanta giorni. Per Libé si tratta di «una polemica inutile, prima di tutto perché si tratta di un decreto che vale per il futuro, in quanto i danneggiati emiliani non hanno avuto modo di stipulare dei contratti di assicurazione. Il governo e il Parlamento dovranno fare i passi successivi per venire incontro a quelli che hanno effettivamente subito i danni. Le parole di Monti non hanno lasciato spazio a equivoci, è scandaloso che si tenti fare polemica sulle spalle della gente che sta soffrendo e che ha subito dei lutti. Noi dell’Udc abbiamo proposto che che si possa prevedere la sospensione dei pagamenti dell’Imu». Sull’argomento concorda anche Pierluigi Mantini: «Delimitato il perimetro dell’intervento è ovvio che debbano essere sospesi l’Imu e le tasse relative alle popolazioni più colpite.Tutti i cittadini colpiti dal terremoto devono avere uguale trattamento anche se possono essere rag-

giunte intese al riguardo tra Stato e Regioni. Non siamo contrari a delle forme di assicurazione sui rischi legati alle calamità naturali. Però lo Stato deve essere prestatore di ultima istanza per la garanzia all’assistenza e all’indennizzo. Esistono varie forme possibili anche in collaborazione con le Regioni, ma l’importante è che lo Stato sia garante. Non è possibile che la cosa si possa fare dall’oggi al domani. Le recenti misure adottate in materia di protezione civile non possono in alcun modo negare il diritto dei cittadini di essere protetti e indennizzati dallo Stato in caso di calamità. Questo principio deve valere anche per i cittadini dell’Emilia ed è opportuno che il governo chiarisca subito le coperture relative».

La provincia di Modena ha chiesto la sospensione del patto di stabilità per poter intervenire direttamente e la

Noi dell’Udc abbiamo proposto che si possa prevedere la sospensione dei pagamenti dell’Imu per le zone colpite

blema delle coperture finanziarie». Catricalà ha elogiato le persone dei territori colpiti che hanno «dimostrato di saper reagire bene» assicurando che il governo interne «essere vicino alle imprese e alla gente». Per il sottosegretario i quattro capitoli del bilancio statale che riguardano Stato, Regioni, Province e Comuni hanno «un globale che deve restare uguale, ma noi non ci scoraggiamo e faremo tutto ciò che è necessario».

Franco Gabrielli ci ha tenuto a chiarire: «Ho letto che c’è chi ha dormito in macchina perché non ha trovato posto - ha detto -. Ma il report della Protezione civile regionale parlano di 3400 persone alloggiate domenica sera con 4.170 posti letto disponibili. In questa vicenda c’è una componente molto da rispettare di paura e di indecisione delle persone, ma che non va strumentalizzata per mettere in difficoltà un sistema che al momento, nei limiti delle nostre ca-

cosa secondo Mauro Libé è «una misura possibile, naturalmente vincolata ai territori e alle realtà che hanno subito danni. Ma quando si parla di revisione del patto di stabilità, che è un accordo che riguarda Stato, Regioni e Comuni, spero che anche la Regione faccia la sua parte». Per quanto riguarda la prevenzione sul territorio Mantini ritiene che lo Stato debba «intervenire per la prevenzione

pacità, ha funzionato». Tutta l’Italia si è mobilitata: Forze dell’ordine, Protezione civile e associazioni, ai quali si è aggiunta la solidarietà spontanea di tante comunità locali e cittadini. Sono state organizzate tante iniziative di raccolta fondi. Sono oltre 1.500 i volontari impegnati nelle zone colpite dal terremoto in Emilia Ro-

dei dissesti idrogeologici e delle aree che potrebbero essere colpite da calamità naturali. Si tratta in media di un costo per lo Stato di circa tre miliardi l’anno, fondi che potrebbero essere spesi per migliorare le condizioni statiche dei nostri centri abitati. In questo modo si avvierebbe un circolo virtuoso che stimolerebbe tutto il settore edile».

Su questo argomento, Libé polemizza anche con quanti «oggi intervengono su quello che si poteva fare per evitare le vittime. Da capogruppo in commissione Ambiente ho chiesto più volte delle risposte concrete, senza ottenere risultati. Mi riferisco alla tutela del territorio contro il dissesto idrogeologico, ai lavori di prevenzione sulle aree a rischio sismico, argomenti per i quali con l’Udc abbiamo fatto tanti interventi. Oggi vorrei evitare le polemiche e inviterei tutti a lavorare per ricostruire. Poi, passata l’emergenza, bisognerà stabilire le responsabilità». Sui danni al settore agroalimentare, secondo Libé, è necessario «studiare delle misure che possano aiutare le aziende che hanno subito dei danni a superare dalle difficoltà e dal tempo di inattività. Le aziende, cioè, devono stare ferme il meno possibile perché si tratta di realtà che garantiscono molti posti di lavoro».

con 211 uomini. Grande è anche l’impegno delle forze dell’ordine, Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza e corpo Forestale, impegnati anche a sorvegliare gli edifici incustoditi contro gli sciacalli. I vigili del fuoco, con 650 uomini in servizio, hanno effettuato oltre 2.500 interventi nelle province di Modena, Ferrara e Mantova. Inol-

prepariamo alla gestione integrata dell’accoglienza per un determinato numero di giorni. Le priorità sono le scuole, gli edifici pubblici, le imprese e le case, con l’obiettivo di accelerare il processo di rientro nelle abitazioni». Gravi danni si registrano anche in molte aziende, soprattutto nel settore agroalimentare. Se-

Nelle località emiliane, mentre continuano le scosse di assestamento, si contano i danni che riguardano soprattutto i centri storici. Per gli esperti, il sisma è dovuto allo scontro tra la faglia appenninica e quella alpina magna. Le colonne mobili della Proteziona civile, con 775 uomini, sono arrivate da Marche, Umbria, Toscana, Friuli e Trento. Ai volontari della Protezione civile si sommano anche le tante associazioni di volontariato locali, la Caritas, la Misericordia, 150 alpini dell’Ana (Associazione nazionale alpini), 132 volontari della Pubblica assistenza dell’Emilia Romagna e la Croce rossa italiana

tre, squadre di tecnici coordinate dalla Protezione civile, stanno verificando l’agibilità delle abitazioni di Mirandola, Finale e Sant’Agostino, i centri storici più colpiti dal sisma, dove sono stati sgomberati anche i presidi ospedalieri. Secondo il presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani, il rientro nella case «sarà comunque complicato fino a quando le scosse continueranno, e ci

condo luna prima stima della Confederazione italiana agricoltori i danni ammontano «a decine di milioni di euro. Solo 150 milioni sono la conseguenza della distruzione di più di 300 mila forme di Parmigiano Reggiano e di Grana Padano». Il presidente della Coldiretti di Mantova, Paolo Carra, ha spiegato che «la scossa ha fatto crollare le “scalere“ dove vengono riposte le forme in stagiona-

tura mettendo in ginocchio, in alcuni casi, l’intera produzione. Ma il danno è ulteriormente aggravato dal fatto che sarà difficile individuare nuove strutture per la stagionatura».

E il presidente della Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, Paolo De Castro in una nota ha scritto: «I danni sono ingenti anche per il settore agroalimentare che rappresenta una delle principali attività economiche dei territori colpiti dal tragico evento. In questa settimana sottoporremo la vicenda all’attenzione dell’aula di Strasburgo e avvieremo, così come fatto in passato per l’Abruzzo, tutte le iniziative urgenti per valutare la possibilità di attivare percorsi di risarcimento a supporto di quelli che saranno decisi in ambito nazionale nelle prossime ore». Piove ancora e le previsioni metereologiche non promettono niente di buono.


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l’approfondimento

Le scosse di domenica sono anche un campanello d’allarme per il nostro patrimonio

Le macerie culturali In Emilia sono andati in frantumi beni cui spesso non diamo abbastanza importanza. Per tutelarli meglio, servono non solo maggiori fondi, ma anche migliori criteri di finanziamento. Evitando sprechi e cambiando Arcus di Rocco Buttiglione l terremoto in Emilia ha provocato danni gravissimi al patrimonio culturale. Urge un intervento immediato. Questa calamità arriva in un momento in cui la situazione della finanza pubblica costringe il Ministero dell’Economia ad una stretta severa ed ogni ipotesi di nuove spese è guardata con grande sospetto. D’altro canto la situazione dei beni culturali in Italia appariva gravissima anche prima di questa recente catastrofe. Sono ricorrenti sui giornali gli interventi, anche autorevoli, che invitano il Ministro competente a provvedere, cioè a farsi dare più mezzi dal governo del quale fa parte. Per la verità, il ministro Ornaghi qualcosa ha fatto. Risorse significative sono state assegnate per progetti importanti nel Mezzogiorno d’Italia. Una autorevole rappresentante

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della Lega Nord si è chiesta in Parlamento perché mai queste risorse siano andate solo al Sud e non anche al Nord del Paese. La risposta è semplice: si tratta di fondi europei già assegnati al Sud e non spesi

Risorse significative sono state assegnate per progetti importanti da realizzare nel Mezzogiorno che altrimenti sarebbe stato necessario restituire alla Unione Europea.

Rimangono tuttavia aperti molti problemi. Uno per tutti quello del Maxxi di Roma e anche, più in generale, dei musei di arte contemporanea, tutti drammaticamente sottofi-

nanziati. Il Maxxi non è un museo di tipo tradizionale, come gli Uffizi. Una volta assegnata la dotazione ordinaria gli Uffizi sono perfettamente in grado di funzionare. Basta che ci sia la sorveglianza e la biglietteria in funzione ed i visitatori vengono a vedere le meravigliose collezioni permanenti del Museo. Il Maxxi non ha collezioni permanenti. Non ne ha perché è appena nato ma anche perché l’ arte contemporanea tende in buona misura a concepirsi più come evento che come opera. Il Maxxi è un enorme, bellissimo contenitore vuoto. Se non riceve fondi per organizzare mostre ed altre attività culturali tanto vale chiuderlo, tanto non ci andrà nessuno a vederlo. La gestione precedente è riuscita ad organizzare una attività di grande qualità ed impatto pur con mezzi assolutamente limi-

In queste pagine, alcune immagini dei crolli di domenica. Sopra, il Comune di Sant’Agostino; sotto, la croce della Chiesa di Crevalcore; a destra, la torre del Comune di Ferrara


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cia il ministero una revisione di spesa di metà anno (oggi pare si dica una “spending review”), tolga le risorse a chi non ha progetti cantierabili e quindi non è in grado di spenderle e le riassegni a chi i progetti li ha e quei denari può efficacemente utilizzarli. La cosa si può fare a legislazione vigente e consente di migliorare di molto l’efficienza della spesa. Se farà questo il ministro dovrà probabilmente registrare molti mugugni (tutti quelli a cui saranno sottratti dei denari) ma avrà la soddisfazione di potere intervenire in moltissime situazioni oggi disperate.

Ecco com’è cambiato il nostro panorama culturale

Chiese, torri e Palazzi, ecco la mappa dei crolli A Ferrara è stato danneggiato il Castello estense, ma è Finale Emilia il paese con le lesioni più gravi di Osvaldo Baldacci

ROMA. Dolore per le vittime, impegno per gli Un secondo suggerimento riguarda la società Arcus. Si tratta di una società per azioni

Occorre subito una revisione di spesa che tolga risorse a chi non ha progetti e le riassegni a chi ne ha

tati, raggiungendo anche un livello di autofinanziamento del 50 per cento, che è assai elevato per il settore. Con le assegnazioni finanziarie per l’anno in corso è impossibile chiudere il bilancio di previsione ed il Maxxi sta morendo. Il recente commissariamento non risolve in alcun modo il problema di trovare le risorse per farlo funzionare. Rimane così inutilizzata una opera che è costata allo stato 150 milioni di euro.

Che fare? Non farò il solito appello al governo perché trovi risorse aggiuntive, anche se almeno per far fronte alla catastrofe dell’Emilia qualcosa andrà fatta. Vorrei invece dare un suggerimento concreto. La insufficienza delle risorse è solo un lato del problema dei nostri beni culturali. L’altro è la ridotta capacità di programmazione e di spesa del ministero. È assai elevata la quantità di risorse assegnate e non utilizzate in corso d’anno. Fac-

in cui confluisce una piccola quota dei finanziamenti per infrastrutture. La società dipende dal ministro dei beni culturali e dal ministro per le infrastrutture e finanzia i beni culturali. La struttura della società è sbagliata per tre motivi. In primo luogo non si capisce perché il ministro delle infrastrutture debba intervenire nella pianificazione degli interventi sui beni culturali. In secondo luogo non si capisce perché i denari di Arcus debbano essere pianificati secondo procedure diverse da quelle ordinarie del Ministero. Teoricamente la ragione è che dovrebbero servire per grandi interventi strategici straordinari. In realtà nella drammatica penuria di risorse che affligge il settore i soldi di Arcus vengono usati per tappare i buchi della pianificazione ordinaria. In terzo luogo Arcus, essendo una società per azioni, può accendere mutui che non vengono conteggiati nel debito pubblico nazionale ma sono comunque debito dello stato, genera cioè debito pubblico nascosto. Ebbene, potrebbe sembrare ragionevole abolire Arcus e fare pervenire le risorse relative direttamente sul bilancio del Ministero dei Beni Culturali. Nonostante tutte queste buone ragioni io invito il Ministro a non sopprimere Arcus. La ragione è presto detta. Proprio la possibilità di accendere mutui consente di moltiplicare l’efficacia delle risorse che arrivano ad Arcus. Non si tratta di cifre tali da mettere in pericolo la nostra finanza pubblica e se questa giusta operazione di riordino viene rimandata di un anno o due il ministero disporrà di qualche risorsa in più in un momento in cui ne ha disperatamente bisogno.

sfollati, preoccupazione per le industrie. Ci mancherebbe altro. Ma tra i peggiori effetti del terremoto che ha colpito l’Emilia e le zone confinanti ci sono anche i gravi danni al patrimonio culturale. L’immagine simbolo di questo sisma resterà probabilmente la torre dell’orologio di Finale Emilia, spaccata in due prima di crollare definitivamente. Dai danni al Castello estense di Ferrara fino alle decine di chiese, campanili e torri che sono crollate per intere parti. Danni di diversa entità, dalla caduta di calcinacci alle crepe fino al crollo integrale di parti di edifici storici come a Buonacompra o a Finale Emilia dove è crollato parte del Castello. Per inciso, in quest’ultimo caso, la metà rimasta in piedi è quella che era stata appena ristrutturata dal Comune.

venti metri sulla facciata laterale del municipio e le continue scosse provocano ancora crolli. Tre i luoghi danneggiati a Modena: il Tempio monumentale che è stato chiuso, la chiesa di Sant’Agostino dove sono caduti dei calcinacci e l’ex chiesa di via San Carlo, dove si sta controllando la tenuta della croce sul tetto. A San Possidonio sono crollati sia il campanile sia la volta. Danni ai palazzi storici si registrano anche a Carpi. Danneggiata anche l’architettura sacra e storica in provincia di Reggio Emilia. A Guastalla alcuni calcinacci caduti in una chiesa e ci sono lesioni evidenti nel Palazzo comunale, in particolare nella sala del Consiglio. Chiuse anche le chiese principali di Gualtieri e di San Martino in Rio. Si sono aggravate le crepe già esistenti nella chiesa di Santa Maria a Correggio e in quella di San Giorgio a Luzzara dove già aveva fatto danni il terremoto di questo inverno. Ferita alle bellezze architettoniche e storiche anche in provincia di Bologna: a Crevalcore sono crollati parte della chiesa di San Silvestro e la Torre Galeazza. Danni all’imponente Castello Lambertini a Poggio Renatico, alla chiesa di San Paolo a Mirabello e a quella di Buonacompra vicino Cento.

Il sisma non ha risparmiato neanche Mantova e i suoi tesori: una parte degli stucchi si è staccatata nella Sala dei Fiumi di palazzo Ducale

Come detto, Finale Emilia è la zona più colpita: oltre alla Torre dei Modenesi, è crollato l’intero mastio della Rocca Estense, costruita dall’architetto Bartolino da Novara nel 1402 su fortificazioni medievali, danneggiate gravemente le chiese della Buonamorte, del Rosario, dell’Annunciata, risalenti al XVI e XVII secolo, nonché il Duomo cittadino dei Santi Filippo e Giacomo, opera quattrocentesca più volte rimaneggiata, di cui sono crollati il timpano e la navata. Una terra forse fuori dai grandi circuiti turistici, quella emiliana, ma a torto, vista la qualità dei suoi monumenti, anche millenari. Siamo tra l’altro nelle terre degli Estensi e dei Gonzaga, tra i più splendenti signori rinascimentali. E in terre di interesse strategico, dove per secoli sono stati costruiti e abbelliti manieri, castelli, fortezze e torri. Intere zone sono state cancellate con il loro patrimonio artistico, mentre nelle vicinanze è stato colpito anche il patrimonio artistico di città come Ferrara, anche se i danni sembrano minori. A Ferrara appunto la torretta Leoni che svetta sul castello simbolo della città ha subito un piccolo crollo, mentre i tre principali musei statali sono stati chiusi per precauzione: la Pinacoteca Nazionale, il Museo Archeologico e la Casa Romei. Nel Museo Archeologico è stato verificato il danneggiamento di un certo numero di reperti sbalzati dai loro sostegni e sono comparse alcune crepe nella struttura. A Sant’Agostino, in provincia di Ferrara, si è aperta una voragine di

Si moltiplicano le “zone rosse”nei tanti centri storici dei piccoli comuni a cavallo fra le province di Modena e Ferrara: Mirandola, Massa Finalese, San Felice, Sant’Agostino, Finale Emilia, chiusure rese necessarie proprio dai ripetuti crolli dei palazzi più antichi. Il terremoto non ha risparmiato neanche Mantova e i suoi tesori: una quarantina di centimetri quadrati di stucchi si sono staccati nella Sala dei Fiumi di palazzo Ducale, che è stato chiuso alle visite per precauzione. Stessa sorte per il Palazzo della Ragione di piazza Erbe. Più pesanti le conseguenze nel Basso Mantovano: chiusa per crolli la chiesa di Felonica, in pezzi, nello stesso paese, le statue di palazzo Cavriani, inagibile il Santuario della Comuna a Ostiglia. Evacuato il centro storico di Moglia. Danni anche in provincia di Rovigo. «I danni del terremoto sono davvero ingenti - ha sintetizzato il Ministro Ornaghi - ogni quantificazione in euro è prematura, si parla comunque di decine di milioni di euro».


politica

Il Movimento 5 Stelle alla prova del governo

Amici antipolitici, benvenuti in politica

pagina 6 • 22 maggio 2012

di Giancristiano Desiderio ederico Pizzarotti è il nuovo sindaco di Parma. Oltre alle 5 stelle di Beppe Grillo, il signor nessuno diventato ora sindaco di Parma è stato baciato dalla buona stella del momento e, lo voglia o no, avrà addosso gli occhi di tutt’Italia. Prima di tutto gli va detto: “Benvenuto”. Perché Pizzarotti, che è un esperto di tecnologia, non è certamente un esperto di politica e di amministrazione comunale ma - come si usa dire in questi casi - ha dalla sua tanta buona volontà, che non fa mai male. Le sue prima parole sono state le seguenti: «Siamo arrivati a questo risultato continuando a parlare del programma senza buttarla su quello di cui non siamo capaci, abbiamo continuato a parlare di Parma e del suo futuro. Ci sarà tantissimo da lavorare». Ecco, il punto è proprio qua: ci sarà da lavorare.

F

Pizzarotti rappresenta per sé e per Grillo una grande novità: in men che non si dica, il movimento delle stelle e degli strepiti è passato dalla protesta alla proposta. Se il passaggio mentale, prim’ancora che pratico, ancora non è stato fatto nella testa del neo sindaco e di Grillo, è bene che lo facciano subito. Il tempo di festeggiare e poi toccherà mettersi a lavorare per confrontarsi non più con gli errori degli altri ma con le proprie verità e la propria forza. Insomma, è già arrivata la prova del governo. Fino ad oggi il Movimento 5 stelle è stato visto come l’incarnazione più recente e forse anche più appariscente dell’Antipolitica (così, con la maiuscola). Ma questo tempo è già passato e Parma è un banco di prova importante per tutti i grillini, sia gli eletti - in effetti non pochi - sia gli elettori. Speriamo che il futuro sorrida sia a Parma sia al nuovo sindaco, ne abbiamo tutti bisogno. L’ultima volta che un movimento anti-sistema è apparso sulla scena politica italiana erano gli anni a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta del secolo scorso: la stella del movimento era Umberto Bossi. Venti anni e passa dopo di quella rabbia e di quelle illusioni si sono raccolte le delusioni e nuova rabbia che non a caso ha alimentato non poco le nuove stelle di Grillo e Pizzarotti. Quale fu il grande errore del leghismo forse oggi lo sappiamo: la pretesa di cambiare con il federalismo un intero sistema invece di dedicarsi alla politica quotidiana fatta di conti, soldi e buona amministrazione locale. Pizzarotti ha dalla sua proprio il grande errore leghista e deve essere così intelligente e così concreto da non ripeterlo. Lo voglia o no, sarà giudicato per le cose che farà e che non farà. Come direbbe lui stesso, il tempo degli ideologismi è passato. Parma è già un caso. L’avversario di Pizzarotti era il candidato del centrosinistra Bernazzoli che partiva con un vantaggio doppio rispetto al suo antagonista. Ma quando si affronta il doppio turno è cosa saggia lasciare a casa i voti del primo turno e ripartire da zero, andando a conquistare i nuovi voti uno per uno o quasi. Il centrosinistra ha commesso un errore evidente: ha pensato d’avere già in tasca la vittoria e di riuscire a fare un sol boccone di Pizzarotti. E invece ha fatto la pizza, è il caso di dire. Oggi a sinistra dicono che il Pdl ha fatto votare per il candidato grillino. Ma tutto rientra nella logica del doppio turno: uno deve cadere dalla torre. Queste, però, sono già argomentazioni vecchie. Il nuovo è che il signor nessuno deve governare. Auguri.

Il Pdl conferma la crisi profonda, ma il Pd vince solo grazie agli antagonisti

Le urne dicono: è l’ora degli outsider Astensione record. Successo per il candidato grillino a Parma e per Orlando a Palermo: gli elettori hanno chiesto ai partiti di mandare in soffitta la Seconda Repubblica di Marco Palombi

ROMA. Pa-Pa. Parma e Palermo, ognuna a suo modo, suonano la sveglia ai cosiddetti partiti tradizionali. Se si tratta del trionfo della volontà sul pessimismo della ragione lo dirà solo il tempo, ma il segnale è fragoroso. Se il Pdl e la Lega scompaiono, il centrosinistra vince ma non troppo, il fronte centrista spunta qui e là un po’ episodicamente, mentre il magma populista dilaga non tanto negli spazi liberi, quanto in quelli simbolici della mala-amministrazione da politique politicienne (o tangentienne). È qui il paradosso che, in particolare, agiVINCENZO BERNAZZOLI terà le notti del Pd: è il partito (C.SIN.) di Pierluigi Bersani, infatti, che pure vince quasi dovunque lungo lo stivale, quello che soccombe nei due ballottaggi che lanciano nell’etere il grido di rivolta dell’elettorato deluso e in libera uscita dal diciottennio berlusconiano.

Parma pare fatta apposta per alimentare le scorribande culturali del grillismo: dieci anni di disastroso governo di centrodestra, un comune in dissesto finanziario e con un debito sul groppone superiore ai 600 milioni di euro, un’opposizione politica (il partito democratico) che punta sull’usato sicuro di Vincenzo Bernazzoli, già presidente della provincia in una vita passata. A Parma il M5S ha potuto ricorrere a tutte le sue armi: dall’ecoterrorismo antiinceneritori alla polemica sui partiti ladroni, dalla raccolta differenziata fino alle ardite FEDERICO PIZZAROTTI teorie economiche sul non rim(5 STELLE) borso del debito estratte da saggi malcapiti sulla crisi islandese. Il paradosso è che è proprio l’elettorato di centrodestra che regala a Grillo la sua Stalingrado, come da dichiarazioni in area Pdl ancora ieri (La Russa, Gelmini, etc): la prova è nell’affluenza che, a differenza del resto d’Italia, a Parma è rimasta su cifre accettabili (sopra il 60%, oltre dieci punti in più della media nazionale) riuscendo a regalare al candidato 5 stelle un bonus di 41 punti percentuali rispetto al primo turno.

PARMA

Per questo è Parma, non i qua-

39,8%

si cento sindaci portati a casa dalla “foto di Vasto”, la notizia del giorno: non lo è per quantità né qualità delle informazioni che veicola, ma proprio per la sua eccezionalità e il suo essere una sorta di piccolo caleidoscopio di ciò che succede nel vasto mondo. Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo conquista infatti la “sua piccola Stalingrado” (copyright dello stesso comico) col 60% circa dei voti proprio perché

60,2%

E così il nuovo sindaco della cittadina emiliana è Federico Pizzarotti, 39 anni a ottobre, sposato con Cinzia, impiegato del settore informatico di un istitu-


Arrivano i sindaci della Nazione I centristi vincono ad Agrigento, Cuneo e Marsala. Ottimi risultati a Genova e a L’Aquila di Errico Novi

ROMA. In una tornata con molti chiaroscuri e un paio di sfondi cupissimi (in cui scivolano Pdl e Lega) c’è un edificio che si distingue mattoncino dopo mattoncino, quello dei moderati e dell’Udc in particolare. I ballottaggi nei comuni capoluogo portano infatti al partito di Pier Ferdinando Casini due successi che aprono un nuovo capitolo per il centro: a Cuneo, dove Federico Borgna prevale sul candidato del centrosinistra Gigi Garelli con il 59,9% contro il 40,1%, e ad Agrigento, con l’affermazione meno inaspettata ma di straordinarie proporzioni dell’uscente Marco Zambuto, che raggiunge un astronomico 74,7%. Nella città siciliana Salvatore Pennica resta staccato al 25,3, nonostante Mpa e Fli si fossero aggregate a Pdl e Grande Sud, schierate con lui dal primo turno. La tabella finale parla chiaro: dopo il doppio turno di queste Comunali è senza dubbio il centrosinistra, e il Pd in particolare, a riportare lo score più consistente nelle città capoluogo, con 16 sindaci eletti, un raddoppio rispetto al bottino di partenza che

GENOVA MARCO DORIA (C.SIN.)

59,7%

ENRICO MUSSO (TERZO POLO)

40,3%

era di 8 comuni e ben 11 amministrazioni strappate al centrodestra; il Pdl si ferma a 5, laddove ne aveva riportati ben 17 nelle precedenti tornate; ma a colpire, a parte l’exploit dei grillini a Parma, la ridotta veronese dei leghisti

con Flavio Tosi e il gran ritorno dell’idv Leoluca Orlando a Palermo, è proprio il doppio successo dell’Udc.

«Siamo estremamente soddisfatti», dice Lorenzo Cesa, «c’è un dato confortante per noi che ci porta ad andare avanti sul nostro progetto di dare forza a un grande partito di centro e rimettere insieme cattolici, moderati e riformisti del nostro Paese». Il segretario centrista ricorda un’altra affermazione importante, che arriva da una città non capoluogo ma di peso come Marsala: qui Giulia Adamo si afferma anche con il sostegno del Pd contro un cartello comprendente Pdl e Grande Sud a sostegno di Salvatore Ombra. Anche in Campania c’è un comune di rilievo come Acerra, la città dell’inceneritore, dove il candidato dell’Udc Raffaele Lettieri viene eletto con il 51,8%. Sono dati che lasceranno il segno. Tra i partiti che portano a casa sindaci in questa controversa tornata di elezioni, quello di Casini, che rileva la “censura” del Tg1 su Cuneo e Agrigento, e Cesa era l’unico a non vantare alcun ”uscente”: ne esce con due vittorie, senza considerare quelle colte nei comuni non capoluogo.

de forza e insediamento, ma che cominci a perdere il controllo del territorio in troppi casi, quasi oppressa da quella che subito i vendoliani qualificano come «inadeguatezza a rappresentare tutta la sinistra». In realtà non si può ridurre la questione a un disagio dell’elettorato a sinistra del Pd, quanto a un movimentismo di segno trasversale che attesta soprattutto un lento distaccarsi della periferia dal centro sul piano istituzionale.

Non si tratta solo delle imprese del grillino Federico Pizzarotti a Parma, di Doria a Genova o di Orlando a Palermo: c’è per esempio il caso significativo di Belluno, dove a vincere è un civico puro come Jacopo Massaro, con un sonante 62,68% contro il 37,31 della candidata democratica Claudia Bettiol (qui al primo turno s’era registrasta una delle tante dissoluzioni di Pdl e Lega). Massaro è un caso che si aggiunge agli altri citati e che dimostra come neppure l’effettivo vincitore di queste elezioni, il Pd, possa considerarsi tranquillo. A leggere i risultati d’altra parte si vede

Che si tratti di un risultato complessivamente non facile da decifrare lo dimostra l’affanno con cui il Pd si affretta a controbilanciare il capitombolo di Parma: «È un’eccezione, abbiamo vinto ovunque», sostiene il responsabile Enti locali dei democratici Davide Zoggia, che poi mette in fila le prime certezze: «Como, Monza, Rieti, Alessandria, Lucca». Tutto vero, i numeri parlano. Ma l’analisi suggerisce anche prudenza: sia perché nella città più importante in assoluto andata alle urne, Genova, il vincitore è un pirata delle primarie, il vendoliano Marco Doria; sia per la generale sensazione che il partito di Bersani confermi certo una gran-

to bancario, grillino dal 2009. «I parmensi hanno eletto me, mica Beppe Grillo», ha messo subito le mani avanti lui: «Beppe Grillo smuove la terra come un aratro, noi veniamo dietro e seminiamo per far crescere i frutti per le nostre città. Lui porta 12mila persone in piazza, nessun leader è capace di farlo: è il nostro megafono». In ogni caso, riflette Pizzarotti, «questa è una vittoria importante perché dà al movimento la possibilità di dimostrare che quando persone normali vanno al governo possono instaurare un rapporto diverso con i cittadini. Noi faremo una politica diversa, l’antipolitica è una cosa che sta solo sui giornali». Adesso resta la questione più spiacevole: governare la città con quel pacco di debito sulle spalle. Le prime parole del nostro, dopo le sparate anti-banche di Grillo, sono state da sindaco assennatissimo e assai tradizionale: parleremo con gli istituti di credito, coi nostri imprenditori, per far tornare la città più bella e onusta d’onori che pria. «Con i cittadini – ha spiegato pure il sindaco informatico - sceglieremo assieme se ci saranno da fare sacrifici. Quanto al debito, innanzitutto tutto c’è da stabilire quale è la sua vera entità: a quel punto bisogna fare un vero bilancio consolidato del comune e delle sue partecipate». La squadra, promette comunque il buon Pizzarotti, sarà di ottimo livello tecnico e basata sulle competenze. I risultati si vedranno, intanto è il giorno della festa per il Movimento 5 Stelle: non solo Parma, anche Comacchio, Sarègo (Vicenza) e Mira (Belluno) diventano grilline. Se ci si aggiungono i sondaggi che danno il M5S in crescita naziona-

L’AQUILA MASSIMO CIALENTE (C.SIN.)

GIORGIO DE MATTEIS (UDC-MPA)

59,2%

40,8%

come le evoluzioni non manchino, sia per gli 11 passaggi di bandiera dal centrodestra al centrosinistra ma, come detto, anche per una buona affermazione del centro moderato. Per i sindaci eletti e per le buone performance ottenute da chi si è arreso solo al ballottaggio. Il nome che inevitabilmente si distingue è quello di Enrico Musso, indipendente liberale sul quale è stata però l’Udc a fare la scommessa decisiva e che riesce a tenere Doria sotto la soglia del 60%: il vendoliano (59,7%) dovrà per forza tenere conto del 40,29% ottenuto dal senatore. Ma un discorso simile può valere anche per l’onorevole riscontro (40,8%) ottenuto da Giorgio De Matteis a L’Aquila contro il rieletto Massimo Cialente (59,19%) e grazie al sostegno di Mpa, diverse civiche e Udeur, oltre all’Udc.

Il partito di Pier Ferdinando Casini può appuntarsi al petto successi in altri comuni sopra i 15mila abitanti: da Rapallo ad Avezzano, dalle pugliesi Gioia del Colle e Gallipoli a Palmi. Centristi decisivi nelle vittorie del Pd ad Asti (dopo l’apparentamento) e comunque capaci di influenzare il ”colore”delle nuove giunte come a Taranto. Una rete di piccoli e grandi affermazione che, combinata con il crollo del Pdl, apre una pagina diversa.

le, si capisce un po’ l’irritazione del Pd, un po’ lo smarrimento di qualche vendoliano come Paolo Centro che predica un centrosinistra allargato a Beppe Grillo, come se questo fosse possibile o interessasse al comico e ai suoi.

All’altro capo della penisola il fronte della jacquerie anti-sistema s’incarna invece in un cavallo di ritorno, Leoluca Orlando Cascio, già più volte sindaco, giù più volte candidato a quasi tutto, il nuovo che è avanzato più che il nuovo che avanza. Unicuique suum, ovviamente. Come che sia, il neo e già ex sindaco di Palermo si prende oltre il 70% dei voti (ma con un’affluenza sotto il 30%, record negativo), lasciando gli scarti al giovane Ferrandelli, che aveva vinto le primarie del centrosinistra contro il parere dei vertici romani e siciliani del Pd. Proprio perché Ferrandelli non è stato mai amato, ieri s’è persino potuto assistere LEOLUCA ORLANDO al festeggiamento pubblico per (IDV) la vittoria del cavallo di ritorno da parte di primari esponenti democratici (Rosi Bindi e Anna Finocchiaro) o le avances scoperte del responsabile Enti locali del partito Davide Zoggia. Il segretario regionale di Sel, Salvo Palazzolo, invece, c’è rimasto male: «La proposta politica del centrosinistra ha

fallito: ora occorrerà ricostruire non solo Palermo, ma anche un centrosinistra come progetto alternativo di governo della città». Che poi è un’offerta al vincitore né più né meno di quella di Zoggia. Orlando, come Pizzarotti, si presenta in conferenza stampa nella sua versione da statista: «Non c’è motivo di esultare. Il paese è a lutto per quello che è accaduto a Brindisi e per il terremoto dell’Emilia», premette prima di definire la sua vittoria «una speranza per la città» e «uno schiaffo in faccia al sistema dei partiti» che ora deve darsi una regolata pena la sparizione o peggio. Posizione non secondaria ieri, persino in ambienti moderatissimi come le pareti intracraniche di Enrico Letta: «Sbaglia chi dà una lettura burocratica a un voto che dimostra un impatto violento nei confronti della politica. Il primo dato da esaminare è che tra bassa affluenza e Parma, occorre una nuova legge elettorale, con i cittadini che scelgano direttamente, e la riduFABRIZIO FERRANDELLI zione del finanziamento alla (PD) politica, con sanzioni e controlli». Un pacchetto «che si deve chiudere questa settimana, oppure altro che Parma…». Beppe Grillo (che secondo Maria Stella Gelmini è “in parte” uguale al Berlusconi del 1994) più che sperarlo, lo prevede: «Dopo Stalingrado ora ci aspetta Berlino».

PALERMO

72,4%

27,6%


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baglia chi vede negli interventi della Conferenza episcopale italiana, che quasi sempre passano attraverso la voce del cardinale presidente, delle ingerenze nella vita del Paese. In effetti, negli ultimi anni si è andata affinando una tecnica quasi guerrigliera, nella valutazione di questi pronunciamenti: quando fanno comodo ad alcuni settori della stampa e della politica sono moniti di cui tenere conto; quando non fanno comodo tornano a essere ingerenze. La prolusione con cui ieri il cardinale Angelo Bagnasco ha aperto i lavori della 64esima Assemblea generale della Cei diverrà, molto probabilmente, un esempio di questa equazione. Eppure, nel leggere il testo con occhi scevri da ideologie più o meno laiciste, ci si trova davanti all’appello di un pastore – che parla a nome degli altri pastori – preoccupato per il suo gregge. E motivi per essere preoccupati sono – dice il porporato – non solo “legittimi ma sacrosanti”.

S

«Nel nostro Paese – dice il cardinal Bagnasco – perdura la fase delicata che si era aperta nello scorso autunno, e che dovrà portarci non solo fuori dalle secche ma, create le condizioni, avviarci finalmente verso la ripresa di un processo di crescita che non potrà essere quella che immaginavamo in precedenza. Ciò che è capitato nell’ultimo periodo, non solo a noi ma all’intera Europa e oltre, ha mutato non solo i contorni ma anche i connotati della situazione generale. Non si tratta tanto di cifre o di dimensioni diverse, ma di convincerci a cambiare modelli di pensiero e stili di vita». Ovvero, aggiunge il presidente della Cei, «c’è un serio bisogno di riforma economica, ma prima ancora di un gigantesco ripensamento culturale collettivo. Per questo auspichiamo che il nostro Paese diventi come una grande aula dove tutti ci facciamo alunni attenti per apprendere le mai concluse lezioni della vita; per tornare alle verità perenni che hanno forgiato la saggezza dei singoli e dei popoli.Verità che non di rado sono state oscurate da illusioni ammalianti e voraci. Il maestro, in questa ideale aula, è la vita stessa che si declina nelle vicende della storia di ieri e di oggi. Invero, in quanto richiama verità universali, è eco di un altro Maestro, Cristo, la Verità piena che raccoglie in sé tutto ciò che di vero, buono e bello vi è in questo straordinario universo. Per questo, il Vangelo illumina il senso delle cose, interpreta le nostre esperienze, indirizza il nostro agire: Cristo è l’Alfa della storia umana e del cosmo, ne è il punto Omega, il Destino. In questa aula a cielo aperto, ci sembra di sentire una prima lezione sull’uomo, proprio su di noi, su chi siamo e dove stiamo andando». Ognuno, prosegue ancora, «è evidente, ha le proprie risposte personali, ma non sarà possibile averne anche alcune comuni? Come vivere insieme, se ognuno fosse chiuso dentro al recinto delle proprie individuali opinioni? Ma – intimamente connessa – sentiamo anche che la riflessione sulla vita, con la sua ricaduta sociale, deve fare i conti con il “limite”, categoria oggi invisa perché avvertita da una certa cultura come negazione della libertà individuale e collettiva, convinti di ave-

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«Contro i ladr

di Vincenzo Fa

Il cardinale Bagnasco difende il governo di Monti e attacca chi ha rubato all’Italia soldi e speranze re il diritto di fare tutto ciò che la tecnica consente a prescindere dal valore morale. Ma dove ci ha portati questo rifiuto del limite nel campo del profitto, del progresso, del benessere, della tecnologia, della competizione…? Non dobbiamo forse ripensare tale preziosa categoria - inscritta nella struttura fisica dell’uomo quasi per ricordargli che in tutto deve mantenere la misura morale perché non nascano mostri contro la persona e il suo primato? Nell’aula vasta quanto l’Italia, ma che vorremmo grande come l’Europa e il mondo, risuona anche la lezione sul servizio». Dopo aver analizzato la drammatica situazione del Paese, il cardinale propone anche una soluzione efficace: «Dobbiamo riportarci al livello delle nostre reali possibilità, smettendola di far ricorso allo strumento debitorio. Per questo erano necessarie le riforme già impostate, ed è importante che queste siano ora completate con il massimo dell’equità e del consenso possibile. Stupisce l’incertezza dei partiti che, dopo una fase di intelligente comprensione delle difficoltà in cui versava il Paese, ma anche delle loro dirette responsabilità, paiono a momenti volersi come ritrarre. Non ci sarebbe di peggio che lasciare incompiuta un’azione costata realmente molti sacrifici agli italiani. Per questo non ci può essere ora alcun processo involutivo: bisogna operare alacremente affinché i sacrifici affrontati possano ritornare il prima possibile a beneficio in particolare dei più deboli, dei disoccupati, degli inoccupati. E si possa dispiegare quella strategia pubblica di superamento della povertà, delle pesanti disuguaglianze e della vulnerabilità, che – accanto alla fittissima rete ecclesiale di solidarietà – possa rispondere a bisogni vecchi e

nuovi». Il presidente della Cei ha ben chiaro il fatto che sia il vuoto della politica uno dei motivi principali di questa situazione: «I recenti risultati elettorali non possono incentivare involuzioni del quadro della responsabilità politica, né demagogie e furbizie, grossolane o sottili che siano. Riconoscendo le persone oneste e perbene che – indubbiamente – ci sono e operano con impegno nel quadrante politico, non si può tacere però di quanti, lasciandosi andare a pratiche corruttive, a ragione vengono oggi ritenuti alla stregua di “traditori della politica”. Il latrocinio, in questo caso, riveste una duplice gravità: in sé e per il furto di ideali che esso rappresenta. La politica è, invece, arte nobile e necessaria per servire la giustizia di un Paese, mentre ogni corruzione – in qualunque ambiente si consumi – è un tradimento del bene comune. Vorremmo davvero che i partiti, strumenti indispensabili alla gestione della polis, profittassero di questa stagione per produrre mutamenti strutturali, visibili e rapidi, nel loro costume politico e nella stessa offerta politica. È la gente che aspetta di vedere dei segni concreti, immediati ed efficaci. Il cittadino, infatti, vuole ricuperare nonostante tutto la piena fiducia nella politica e nei


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ri degli ideali»

accioli Pintozzi «Manca - aggiunge - una visione di ciò che desideriamo dall’Europa, e c’è piuttosto la sensazione che abbia diritto di circolazione solo ciò che è negazione del passato e si presenta con una cifra apparentemente neutrale, illusoriamente progressista, ma chiaramente laicista. Se poi si considera che l’incontrollabilità della situazione economica è il frutto di scelte frettolose anche per l’unico comparto allora considerato, quello economico, bisogna davvero che si chieda scusa agli europei e si domandi loro di ricominciare da capo, includendoli però, e senza sminuire il significato di qualche loro verdetto». Di pari passo al lavoro sulla dimensione etica, continua, «urgono le iniziative che portino crescita e assorbano disagio sociale. C’è bisogno di lavoro, lavoro, lavoro. Ce lo dice con parole scolpite il Santo Padre: «La dignità della persona e le esigenze della giustizia richiedono che, soprattutto oggi, […] si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o il suo mantenimento, per tutti» (Caritas in veritate, n. 32). Non smetteremo di chiederlo, tanto il lavoro è connesso con la dignità delle persone e la serenità delle famiglie. Invitiamo tutti a rileggere l’appena citata Caritas in veritate, documento più superficialmente evocato che effettivamente conosciuto, soprattutto là dove avverte che “tutta l’economia e tutta la finanza, non solo alcuni loro segmenti, devono, in quanto strumenti, essere utilizzati in modo etico” (n.65).

partiti. Le astensioni dalle urne, le schede bianche, le schede nulle sono un messaggio chiaro da prendere sul serio. Ma perché lo scoramento e la disaffezione non prevalgano, occorre che la politica si rigeneri nel segno della sobrietà e della capacità di visione. Nessuno si illuda che il Paese tolleri facilmente di ritornare alla condizione quo ante. Si deve piuttosto scommettere sull’intelligenza dei cittadini, ormai disincantati e stanchi».

Un pensiero anche per l’Europa, che è divenuta “una delusione” per coloro che la immaginavano: «Non c’è dubbio che vi sia oggi una crisi dell’uomo europeo, ieri autorizzato ad immaginare un certo esito del processo comunitario e oggi costretto a fare i conti con un soggetto poco riconoscibile. Si sono moltiplicate le analisi sulla stagione dell’euro e sulle contingenze della sua nascita. Lasciamo ai competenti elaborare le risposte più plausibili. A noi preme rilevare un certo senso di delusione che oggi circonda l’Europa, ma anche l’illusione, forse, di poter annegare o confondere le debolezze nazionali in una realtà più grande. Un calcolo miope che oggi si paga a caro prezzo».

I giovani in particolare, sottolinea, «devono finalmente ricevere dei segnali concreti, che vadano oltre la precarietà, la discriminazione, l’arbitrarietà. Le misure necessarie per le nuove generazioni e i diritti che esse vedono oggi riconosciuti, devono effettivamente compensarsi anche attraverso una scrupolosa revisione delle garanzie, che non possono valere solo per determinate fasce. L’uguaglianza è condizione della fraternità. Con i diritti ci sono i doveri: in primis quello di meritarsi il lavoro e la sua stabilità. Ci sono tentazioni parassitarie che non fanno onore a chi vi ricorre – né a chi dovesse assecondarle \u2212 mescolandosi accortamente con gli altri e facendo conto strumentalmente su garanzie assicurate sulla base di giuste premesse. E c’è un costume insano che sta prendendo piede, persino in certe campagne pubblicitarie, secondo il quale si è spinti a spendere per i propri consumi ciò che ancora non si è guadagnato.

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Indebitarsi per fare una vacanza, o per avere in casa un oggetto superfluo, è segno di un modo di concepire la vita distorto, triste e pericoloso». Il dramma dei suicidi di persone che si sentono schiacciate dalle responsabilità aziendali o familiari, spesso da debiti per i quali non hanno colpa, «è un fenomeno che interroga e inquieta. Difficile sottrarsi anche alla percezione che vi possa essere un involontario, perverso effetto emulativo. Nel rispetto assoluto di ogni situazione, noi abbiamo il dovere di ricordare che nulla vale il sacrificio della vita: essa è sacra, nessuno ne può disporre a piacere e neppure a dispiacere.Vanno appurate con diligenza le cause concrete di questi fenomeni, e vanno approntati “sportelli amici” a cui possa rivolgersi con fiducia chi è disperato. Com’è noto, su questo fronte la Chiesa italiana e le varie Diocesi da tempo sono mobilitate in modo operativo e concreto per creare – più fitta e resistente – una rete di protezione della vita di tutti e di ciascuno. In nome di Dio, tuttavia, chiediamo a tutti di fermarsi prima di

«Urgono iniziative che portino crescita e assorbano disagio sociale. C’è bisogno di lavoro, lavoro e lavoro» arrivare al passo irreparabile. Proprio la perentorietà con cui spesso si presentano le situazioni di crisi, richiede a tutti gli enti e sportelli preposti di adottare criteri di ragionevole flessibilità. Stato, Amministrazioni ed Enti pubblici paghino senza ulteriori indugi i debiti contratti con i cittadini e le aziende. È semplicemente paradossale dover chiudere un’azienda per la mancata corresponsione del dovuto da parte dell’ente pubblico, quando poi è l’ente pubblico che dovrà in altro modo farsi carico degli ulteriori segmenti sociali di disperazione. Sappiamo bene che gli istituti bancari giudicano ad oggi già pericoloso il livello della loro esposizione creditizia: ma noi non possiamo non far appello al senso civico e al dovere della solidarietà nei confronti delle piccole aziende e delle famiglie. Con grande rispetto, invitiamo la classe imprenditoriale a ripensare alla facile strategia delle delocalizzazioni: la genialità che ci è riconosciuta deve trovare esplicazione nel ciclo complessivo della produzione, bilanciando lavoro e redditività, ma anche salvaguardando, pur in una logica non isolazionistica, l’italianità delle industrie e delle relative dirigenze. Inoltre, l’approccio prevalentemente finanziario ad alcuni problemi del mondo industriale forse ripiana dei vuoti, ma rischia di spogliare il Paese del proprio patrimonio. E se i settori complementari vengono allontanati gli uni dagli altri, ci chiediamo: sarà più facile l’integrazione e il reciproco sostegno tra loro, oppure sarà fatale l’indebolimento di tutti? Si dice che è da difendere la forza lavoro – ed è giusto –, ma se la tecnologia e le professionalità prendessero le ali, non diventeremo un luogo di assemblaggio? E allora quanto sarebbe sicuro il lavoro residuo?».


mondo

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Salafiti, laici, islamici moderati: in due anni, il Paese ha modificato in maniera radicale la propria struttura politica. Lo dimostra la vivacità dell’elettorato

Gattopardo al Cairo Domani l’Egitto vota per eleggere il nuovo presidente. Ma dalle liste scompaiono le forze di piazza Tahrir di Mario Arpino e il buon dì si vede al mattino, le elezioni presidenziali in Egitto di mercoledì 23 e giovedì 24 prossimi potrebbero riservarci qualche sorpresa. Lo si deduce dal risultato provvisorio proveniente dall’estero, da 15 ambasciate e consolati dove si è già votato la settimana scorsa: secondo il quotidiano al-Ahram sarebbe infatti in testa il candidato indipendente Abdel Moneim Aboul Fotouh, medico, islamista moderato ed ex dirigente dei Fratelli Musulmani, che precede il nasserista Hamdeen Sabbahi, lo storico oppositore di Mubarak che, per questo, ha trascorso numerosi anni in carcere.

S

Al terzo posto ci sarebbe l’ex segretario della Lega araba, Amr Moussa, che precede Mohamed Mursi, candidato ufficiale della Fratellanza. Solamente al quinto posto il generale Ahmed Shafiq, già potente capo dell’Aeronautica, ministro dell’Aviazione Civile e, sebbene per brevissimo tempo, anche primo ministro negli ultimi giorni del Raìs. In patria, nei circoli intellettuali la decisione della commissione eletto-

I candidati rimasti sono 13, dopo esclusioni eccellenti come quella del salafita Hazem Salah Abu Ismail rale di rendere noto con una settimana di anticipo questo risultato è stata molto criticata, in quanto, si dice, inevitabilmente è destinata a influenzare la massa del popolo – l’Egitto ha oltre 70 milioni di abitanti – favorendo i partiti islamici, i più strutturati.

Queste presidenziali sono complicate da regole sofferte e molto dibattute. Innanzi tutto, le candidature non sono libere, ma condizionate dall’esame di un apposito comitato. Attraverso lo screening, i candidati sono rimasti tredici, dopo esclusioni eccellenti come quella del salafita Hazem Salah Abu Ismail, perché la madre è di passaporto Usa, del numero due dei Fratelli Musulmani Khaiter al-Shater per il tempo insufficiente trascorso dopo l’ultima condanna penale e la riammissione, dopo ricorso, di Ahmed Shafiq. Anche le regole per il voto sono abbastanza complesse. La campagna elettorale si era aperta lo scorso 30 aprile e, dopo il primo turno del 23 e 24 maggio, il presumibile ballottaggio si terrà il 16 e 17 giugno. Il risultato dovrebbe essere reso noto entro il 21 giugno, ma l’annuncio potrebbe ritardare fino ai

primi di luglio. I candidati devono avere almeno quarant’anni, essere nati in Egitto da genitori egiziani, non avere doppia nazionalità e non avere coniuge straniero. Per essere ammessi devono inoltre avere il supporto di almeno 30 parlamentari o, in alternativa, il sostegno di 30 mila cittadini elettori. Queste votazioni, assieme alla nuova Costituzione, dovrebbero formalmente chiudere il lungo ciclo di “atti democratici” iniziati con la rivolta popolare di piazza Tahrir. Il nuovo presidente, il ruolo e lo spazio di manovra che gli sarà consentito da un Parlamento a stragrande maggioranza islamica influiranno molto nella politica interna del Paese su fondamenti quali democrazia, istruzione, laicità, potere delle forze armate e difesa delle minoranze politiche e religiose. La durata del mandato sarà di sei anni, tempo sufficiente anche per dare un’impronta alla politica estera dell’Egitto, ai rapporti con Israele, con gli Stati Uniti e al codice di comportamento sulla questione palestinese.

Dopo il superamento da parte della Corte Suprema di una sentenza di un tribunale amministrativo locale che sospendeva le elezioni, Il primo ostacolo alla fluidità di questo processo democratico è già presente: la Costituzione sulla quale il nuovo presidente dovrà giurare ancora non c’è. Anzi, sinora non è stato possibile nemmeno formare l’Assemblea costituente, se ancora la settimana scorsa il deputato di maggioranza (Fratelli Musulmani) Sobhi Saleh, componete della commissione affari costituzionali, affermava che a livello parlamentare permangono “enormi”differenze tra le forze politiche sulle percentuali di rappresentanza della società civile. Quando e se l’accordo verrà raggiunto, sarà possibile cominciare a concordare un testo. È utile a questo punto ricordare che, sempre la settimana scorsa, uno dei candidati favoriti aveva già annunciato, in un comizio alle masse, che «…si avvicina il sogno di governare attraverso l’applicazione della sharia». Questo episodio chiama in causa la composizione del Parlamento, con il quale – esaurito il ruolo della giunta militare - governo e presidente dovranno confrontarsi.

Le lunghe elezioni dell’Assemblea del Popolo (Camera Bassa, Maglis alShabab), tenute in tre turni tra la fine di novembre e la metà di gennaio, hanno portato a una vistosa vittoria dei partiti islamici. Libertà e Giustizia, il braccio politico dei fratelli Musulmani,

Abdel Moneim Abou Fotouh, medico, islamista moderato ed ex dirigente dei Fratelli Musulmani. È considerato il più probabile vincitore di queste elezioni. In basso, la strage di Sanaa

L’attentato a pochi giorni dalla visita dell’inviato di Obama

Sanaa, kamikaze in strada: una strage

Almeno 100 i morti. Secondo il governo si tratta di una ritorsione degli uomini di al Qaeda di Pierre Chiartano o Yemen sembra essere ricaduto nel vortice della violenza più efferata. Ieri un attentatore suicida ha seminato la morte durante i preparativi di una parata militare a Sanaa. Dopo essere stato un Paese protagonista – anche se molti non lo hanno pienamente riconosciuto come tale – della Primavera araba, torna alle cronache per una nuova strage, dove proprio le donne velate scese in strada hanno pagato un duro prezzo per la rivolta durata oltre un anno. È infatti di un centinaio di morti il bilancio provvi-

L

sorio di dell’attentato avvenuto ieri mattina nella capitale delleYemen, contro un gruppo di militari che si stavano preparando per una parata. I testimoni parlano di uno spettacolo raccapricciante, con pezzi di corpi umani che punteggiavano l’ìntera area coinvolta dall’esplosione.

Il kamikaze, sempre secondo i racconti dei testimoni, portava un’uniforme militare e si sarebbe fatto esplodere tra i soldati durante le prove per la parata in programma per oggi in occa-


mondo

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è oggi presente con 235 seggi su 498 ed il 47 per cento delle preferenze. Il partito salafita al-Nour ha 120 seggi (pari al 24 per cento), mentre il partito liberale al-Wafd ha solo in sette per cento e il 22 per cento appartiene ad una minoranza di una decina di partiti, per lo più laici. Ciò significa che i due grandi partiti islamici, sebbene al momento non ancora alleati, dominano la Camera Bassa con oltre il 70 per cento. Situazione simile alla Camera Alta (Consiglio della Shura), eletta anch’essa in tre turni tra la fine di gennaio e il mese di febbraio. Qualsiasi sia il presidente – islamico moderato, salafita o laico – dovrà confrontarsi con queste forze. In politica estera, sarà l’influenza che avranno i salafiti sui Fratelli e sugli islamici moderati a determinare in quale misura il Paese dovrà avvicinarsi ai wahabiti di Arabia Saudita e Qatar (rimanendone in qualche modo vincolato) o potrà invece continuare in una politica moderata, mantenendo un rapporto costruttivo con Stati Uniti, Europa e anche Israele. Sul piano interno, sarà sempre l’influenza (o, peggio, una malaugurata alleanza con i salafiti) a determinare se il parlamento dovrà continuare a discutere su temi ideologici (hijab nelle scuole e negli uffici, istruzione religiosa, abolizione del bikini anche per i turisti, separazione donne-uomini nelle spiagge alla moda, ecc.) o se, più realisticamente, si potranno positivamente affrontare gli scottanti temi economici, industriali e sociali (disoccupazione) in cui sta affondando il Paese.

sione del 22mo anniversario dell’unificazione dello Yemen. Il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi avrebbe dovuto assistere alla sfilata. Ricordiamo che dopo la rivolta contro il vecchio presidente Saleh, al potere da 33anni, è stato il suo vice – Hadi – a prenderne il posto.

Un cambiamento di facciata per molti, che hanno visto la mano saudita allungarsi su quella striscia di terra che si affaccia sul Golfo di Aden e che tanto preoccupa i principi di Riad. Oltre alla guerra intestina tra Nord e Sud, con le tribù settentrionali e gruppi vicini ad al Qaeda e con il fenomeno della pirateria a infestarne le coste, ora anche la cieca violenza del tanto peggio tanto meglio raggiunge il cuore del Paese. La strage sarebbe stata una «reazione» secondo le prime analisi. L’attentato sarebbe infatti riconducibile, secondo fonti interne ai servizi segreti, ad al Qaida. Dal 12 maggio l’esercito è impegnato in una vasta operazione contro l’organizzazione terroristica, nel tentativo di riprendere il controllo di alcune città nel sud del Paese cadute nella sua re-

te. Decine di vittime (il bilancio è ancora incerto, ma c’è chi parla addirittura di 96 morti) e circa 300 feriti. Le vittime erano tutti soldati, quindi il messaggio sembra essere piuttosto chiaro. Nel luogo della tragedia, piazza Sabeen, a due passi dal palazzo presidenziale, erano presenti il ministro della Difesa, Mohammed Ahmed Nasser, e il capo di stato maggiore, Ali al Ashual, entrambi rimasti illesi. Secondo quanto riferisce l’inviato della tv satellitare al-Arabiya, a farsi salta-

re in aria sarebbe stato un kamikaze vestito da militare che, approfittando delle prove per la parata si è mischiato a un folto gruppo di soldati e poliziotti e poi si è fatto esplodere a poca distanza dall’abitazione dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh e alla presenza dell’attuale capo di stato, Abde Rabbo Mansur Hadi. Hadi è un militare di carriera che si era unito nel 1986 all’allora presidente Mohammad in fuga verso nord. Quindi cominciò la scalata al potere, prima come ministro della Difesa poi come vicepresidente.

Le vittime erano tutti soldati che provavano una parata militare da svolgere in occasione del 22esimo anniversario dell’unificazione del Paese

Lo Yemen rimane fondamentalmente un Paese diviso tra Nord (Houthi) e Sud, tra sciiti (zaiditi) e sunniti, tra filo-governativi e separatisti (al Hirak), tra interessi sauditi e consorterie iraniane, con al Qaeda (al Qaeda nella Penisola arabica) pronta a scombinare i giochi quando gli conviene. L’episodio di sangue è avvenuto a pochi giorni dalla visita a Sanaa del consigliere della Casa Bianca per l’antiterrorismo John O. Brennan. Era stato infatti sventato un piano per imbarcare su di un aereo di linea diretto negli Usa un attentatore suicida.

Visto che con ogni probabilità non saremo in grado di conoscere i risultati definitivi almeno fino a tutto giugno, possiamo anche azzardare qualche previsione. Al momento, i sondaggi continuano a dare, seppure in calo, Amr Moussa (musulmano laico) come prevalente prima del ballottaggio, seguito in ascesa da Moneim Aboul Fotouh, che potrebbe anche superarlo dopo l’eliminazione dalla rosa dei candidati del salafita Hazem Salah Abu Ismail. Nel frattempo, nel bene e nel male le prove di democrazia continuano, e dalla vivacità che si può osservare gli egiziani non sembrano affatto stanchi del rituale di presentarsi continuamente davanti all’urna - da un paio d’anni, visto che nel 2010 avevano votato anche sotto Mubarak - con in mano scheda e matita. Su due Tv libere si è tenuto persino il primo confronto all’americana (finito in pareggio) tra due candidati, Moussa e Fotouh, mentre l’attivissimo Shafiq mobilita le piazze in tutto il Paese. È forse il candidato maggiormente contestato dagli islamici, anche rumorosamente e perfino con il classico lancio di scarpe. Questo sta a significare che è ritenuto pericoloso, in quanto raccoglierà senz’altro i voti dei laici, dei militari, di coloro che giudicano come evenienza nefasta un eventuale distacco dall’Occidente, di molti colletti bianchi e dei non pochi supporters del vecchio regime. Ho l’impressione che di Ahmed Shafiq sentiremo ancora parlare. Purtroppo, comunque vada, in questo panorama sembra mancare chi rappresenti davvero le forze genuine della rivolta, i ragazzi di pizza Tahrir, quelli dei primi giorni. Rischiano di rimanere emarginati comunque e questo, prima o poi, genererà nuova rabbia e immancabile frustrazione.


mondo

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Il presidente uscente ammette la sconfitta. Dubbi sulla formazione del nuovo governo

Nikolic, piccolo Zar diviso fra Russia e Ue Il conservatore batte a sorpresa Tadic e diventa il nuovo leader della Serbia. Ora deve guidare un Paese in cerca di una nuova identità politica e culturale di Antonio Picasso a sessant’anni, un passato poco trasparente e un futuro colmo di sfide. Non si può dare torto al pianto nervoso con cui, nella notte tra domenica e lunedì, Tomislav Nikolic ha accolto la sua vittoria alle presidenziali in Serbia. Questa è stata la quarta volta che Nikolic si presentava per la leadership a Belgrado.Tre le sconfitte: nel 2003, nel 2004 e nel 2008. In ogni circostanza, Nikolic ha denunciato brogli, al punto da avviare anche uno sciopero della fame pur di dimostrare la propria buona fede, in contrasto con lo strapotere del suo eterno rivale, il presidente uscente Tadic. Stavolta sembra che sia andato tutto liscio. Il ballottaggio infatti è stato promosso a pieni voti dall’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza europea (Osce), che ha monitorato le operazioni di voto e gestito direttamente quelle in Kosovo, per i cittadini detentori di passaporto di Belgrado. Questa vittoria è molto politica, ma altrettanto personale. La tenzone tra i due rivali per la presidenza della repubblica serba stava diventando proverbiale. D’altra parte chi si aspettava ormai che Nikolic avrebbe avuto la meglio?

H

Il nuovo presidente della Serbia, Tomislav Nikolic, che ha sconfitto di misura Boris Tadic (a destra). Il nuovo leader è un conservatore di tendenza europeista: avrebbe vinto a sorpresa (e di misura) in buona parte grazie all’altissimo tasso di astensionismo che si è verificato nelle operazioni di voto

Lo scarto tra i due è apparso di poche lunghezze, neanche tre punti percentuali, dopo che al primo turno era stato Tadic a ottenere le preferenze maggiori. I pronostici, sia in patria quanto in Europa occidentale, davano per scontata la conferma di quest’ultimo. Ora è il momento delle domande e forse anche di qualche preoccupazione. «Tadic pensava di vincere, mentre Nikolic di perdere. Adesso nessuno dei due sa cosa fare. L’ho letto stamattina su Twitter e mi sembra che rispecchi perfettamente lo scenario». A dirlo è Luka Vanoni, direttore della rivista Osservatorio sui Balcani, legata all’omonimo think tank. «Al di là della sorpresa, si tratta comunque di un cambio al vertice che da un lato garantisce continuità, dall’altro interrompe la permanenza al potere di Tadic». In effetti a ben guardare, il nuovo presidente – per quanto conservatore e populista sia – è molto più europeista e in linea con la politica di

Belgrado di questi ultimi anni rispetto a quanto si possa pensare. Il Partito progressista, così si chiama il suo movimento, non nega un orientamento all’Europa centrale. Anzi, si rende conto che, se il Paese vuole rinascere, l’Ue rappresenta l’unica strada concreta.

«Ma questa è una novità. Fino al 2008 infatti, anno dello scisma tra i radicali di Vojislav Seselj e i progressisti, c’era un’assoluta condivisione di vedute: anti Bruxelles, in schietto favore della Russia e, ovviamente, nell’ottica di una difesa a spada tratta dell’integrità SerbiaKosovo». E Vanoni ricorda ancora: «Una volta Nikolic ha addirittura proposto

La vittoria arriva dopo tre sconfitte: nel 2003, nel 2004 e nel 2008. In ogni circostanza, Nikolic ha denunciato brogli che la Serbia diventasse una colonia della Russia». L’auspicio è che si trattasse solo di una boutade propagandistica. D’altra parte, di voli pindarici Tomislav Nikolic ne ha compiuti tanti. Per questo, il suo passato personale e la linea del suo partito – si chiama progressista, ma

non ha nulla dell’accezione così com’è intesa in Europa occidentale – potrebbero far temere a una recrudescenza delle tensioni nell’area balcanica. Kosovo in primis, ma anche per quanto riguarda l’integrazione della Serbia in Ue. E soprattutto negli equilibri regionali. Non va dimenticato che per prima cosa confina con la Bosnia, la Croazia, con l’Albania. E non con Germania o Belgio. Lo chiamano il becchino. In riferimento al fatto che in gioventù Nikolic fosse il guardiano di un cimitero. Nemmeno il nickname gli fa gioco al leader di Belgrado.

Un uomo dal volto sempre arcigno e poco incline al sorriso. Al momento della vittoria hanno prevalso le lacrime «di gioia per quello che è il più bel giorno della mia vita e il coronamento più alto della mia carriera politica». Nikolic nasce 60 anni fa a Kragujevac, città ricordata per uno dei più efferati eccidi nazisti durante l’occupazione della Jugoslavia. È forse per questo il volto così scuro? Crescere sulla terra che copre una fossa comune può essere nocivo per lo spirito di un uomo. Il neo eletto presidente muove i primi passi nell’industria statale titina e solo nel 1990 si iscrive al Partito radicale serbo. E già due anni dopo è membro dell’Assem-


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conosce bene Nikolic sono i Paesi vicini. Gli ex stati membri della Jugoslavia», commenta ancora Vanoni. E in effetti bisognerebbe chiedere oltreconfine come metabolizzare questa vittoria. Se in qualità di cambio di rotta, positivo, per la Serbia, oppure come un rischio di regressione ideologica. A vincere è un ex della pletora di Milosevic mascherato da europeista e ripulito dai crimini di guerra, oppure un nazionalista redento? «Nikolic si è reso conto che la retorica nazionalista ed estremista non paga più. Il problema è che nei Paesi vicini alla Serbia queste novità non cancellano il passato».

blea nazionale. Passano otto anni e Slobodan Milosevic lo nomina prima vice premier del governo serbo, poi – con il medesimo incarico – lo promuove all’esecutivo della repubblica federale di Jugoslavia. È un curriculum, questo, che non può che far storcere il naso a Bruxelles. Nikolic è già al potere quando la Nato bombarda Belgrado.

Ma è dall’altra parte della barricata. Peraltro non ha mai fatto pubblica ammenda di questi trascorsi. Anzi, l’anima del suo partito, per quanto moderata venga fatta passare, conserva un sapore nostalgico per quella grande Serbia legata al panslavismo e quindi occhieggiante alla Russia. Non è chiaro però se l’idea di Nikolic si arresti ai tempi di Milosevic, oppure se addirittura alla Jugoslavia di Tito.

Previsto un tour europeo, che partirà dalla Berlino di Merkel fino ad arrivare in Italia da Monti A queste velleità ideologiche si collegano le ombre di un crimine di guerra. Nel 1991, in pieno conflitto di Jugoslavia, il villaggio croato di Antim cade vittima di un massacro etnico. Il piccolo centro abitato, che oggi conta circa 700 anime, rientra nei territori delle autoproclamate repubbliche serbe in territorio croato (Slavonia occidentale, Baranja e Sirmia occidentale). Nel 2005, lo Humanitarian Law Center, Ong attiva a Belgrado negli anni della guerra, chiede che Nikolic venga accu-

sato di aver preso parte all’eccidio. La denuncia nasce dopo le segnalazioni di due membri dell’Assemblea nazionale serba, i quali sostengono che l’oggi presidente si trovasse proprio ad Antim nei giorni della strage. Il diretto interessato non ha mai negato quest’ultimo fatto. Anzi, sembra che Nikolic fosse davvero ad Antim nel 1991.

Tuttavia, ha sempre risposto di non aver mai sparato a nessuno e, soprattutto, di non aver visto nemmeno un cadavere in quel villaggio. L’episodio si è svilito nel tempo e oggi non ne parla più nessuno. \u0160e\u0161elj, leader del partito radicale in cui Nikolic ha sempre militato fino a quattro anni fa, oggi è sotto processo a L’Aja per crimini di guerra. Possibile che uno non sapesse quello stava facendo l’altro? «Chi

Va però ricordato che la figura del presidente della repubblica non è costituzionalmente così influente come si pensa. «La Serbia è molto più simile all’Italia, anziché alla Francia». Questo a significare che il capo dello Stato riveste un schiettamente istituzionale, il cui peso specifico è stato falsato dalla sovraesposizione di Tadic. Nikolic, al contrario del predecessore, ha fatto sapere di voler svolgere un ruolo meno da palcoscenico. Quindi le sue linee politiche, intese come fonte di preoccupazione e perplessità, andrebbero ridimensionate. Nikolic non è un europeista. Ma è bravo a fingere di esserlo. Non a caso ha promesso di organizzare un incontro con Angela Merkel a stretto giro. La Merkel! Quella leader europeista che, fino a qualche anno fa, veniva accolta come fumo negli occhi da parte di tutto l’establishment nazionale. A Belgrado però devono essersi resi conto che il grosso degli investimenti sono in euro e non in rubli. Nikolic sarà anche un po’ rozzo, perché origini contadine. Non saprà le lingue straniere. Ma è consapevole della disastrosa situazione in cui versa l’economia serba. Oltre un quarto della popolazione è senza lavoro. Il debito con il mercato estero ha superato i venti miliardi di euro. Non si contano poi i casi di corruzione e criminalità organizzata. Il nuovo presidente ha investito in slogan riformisti – ma anche populisti – durante tutta la campagna elettorale. Ha promesso di avviare una manovra fiscale che colpisca i redditi più alti. C’è da chiedersi come possa farlo, se nel frattempo intende censurare il potere presidenziale di cui si era sobbarcato Tadic. Come può un presidente super partes intervenire nelle politiche dell’esecutivo? È una contraddizione, una delle tante, su cui Nikolic non ha riflettuto. Ma che, forse, è stata percepita dai vicini di casa della Serbia e aggiunta alle altre incongruenze di questo nuovo leader di Belgrado. Infine il dossier Kosovo. Continuità anche per questo. Nel senso che né Tadic prima né Nikolic oggi vogliono mollare la presa. Il primo mostrava i muscoli a chiunque andasse a trovarlo a Belgrado. Monti compreso a fine marzo. Il secondo ha subito dichiarato di «essere ben intenzionato a garantire l’integrazione della Serbia in Ue. Ma non abbandoneremo il Kosovo a se stesso». E come si potrà arrivare a una quadratura del cerchio? «È una bella domanda – dice Vanoni – forse il nuovo presidente, essendo più realista, potrà dimostrare maggiore spigliatezza nelle trattative». Tuttavia, la questione è ancora troppo fluida per potersi esporre in previsioni. Al tempo, uomini come Nikolic scandivano lo slogan “Dio, patria, famiglia”. Magari oggi a quella trinità ideologica stanno per aggiungere anche un quarto dogma: Europa!.


società

pagina 14 • 22 maggio 2012

Oggi la Corte Costituzionale si pronuncia sulla legittimità del divieto di fecondazione eterologa: una sentenza fondamentale per la legge 40

Figli, non Far West L’interesse del minore viene tutelato proprio dal grado di certezza sulle sue origini biologiche di Paola Binetti ggi la Corte Costituzionale si pronuncia sulla legittimità o meno del divieto di fecondazione eterologa previsto dalla legge 40/2004 sulla Procreazione medicalmente assistita (Pma) e tra chi ha seguito il dibattito sulla legge 40 c’è la profonda consapevolezza che questa sentenza potrebbe modificare un punto fondamentale della legge. È stato detto più di una volta che la legge 40 si innestava nel crocevia di due valori fondamentali della nostra cultura: la vita e la famiglia; la tutela della vita fin dal suo concepimento e il diritto del bambino a nascere nel contesto di una famiglia, che dopo averlo intensamente desiderato si disponeva ad accoglierlo nel migliore dei modi possibili. Il Parlamento italiano ha lavorato per diverse legislature a questo disegno di legge, impegnandosi in un lungo e intenso dibattito, che ha toccato questioni di grande delicatezza, che appaiono ancora oggi di straordinaria attualità. Basta

O

pensare all’art. 5, che afferma: «…possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi». In questo caso le coppie di fatto vedono riconosciuto e messo sullo stesso piano il diritto di accedere alle tecniche di Pma, con gli stessi diritti doveri delle coppie coniugate. Il desiderio di paternità e di maternità è percepito nella vita di coppia come un punto essenziale in cui la relazione impegna se stessa a prendersi cura di qualcuno, che è totalmente consegnato alla responsabilità di entrambi i genitori. Si riconosce al vincolo affettivo la capacità di andare oltre i confini di un legame o di un sentimento che potrebbe risultare transitorio. Si sottolinea l’impegno che la coppia si assume per realizzare un progetto di lunga durata, in cui resta poco spazio al proprio individualismo, perché i bisogni del neo-nato si impongono alla attenzione di entrambi, senza concedere deroghe di sorta.

In questa chiave va letto e interpretato anche l’articolo 8 della legge che affronta il tema dello stato giuridico del bambino nato dalla Pma e recita: «I nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6». La distinzione tra figli legittimi e figli riconosciuti si riferisce al fatto che possono accedere alla Pma sia le coppie sposate (figli legittimi), sia le coppie conviventi (figli riconosciuti). Nel primo caso ovviamente i genitori sono regolarmente coniugati, il figlio è partorito dalla donna sposata, che lo ha concepito insieme a suo marito. Una situazione analoga a quella che caratterizza la nascita di

ogni bambino nell’ambito della “sua” famiglia. Nel secondo caso, se la donna che dà alla luce il bambino non è sposata con il papà del bambino, e si tratta quindi di una coppia di conviventi, o come si dice oggi: di una coppia di fatto, lo status di figlio naturale riconosciuto è collegato per legge alla stessa richiesta scritta della Pma. Per questo, a differenza di quanto accade generalmente con i bambini nati “fuori” dal matri-

Il problema riguarda la priorità dei diritti del bambino sul diritto al bambino monio, non c’è alcun bisogno che il bambino venga riconosciuto dopo la sua nascita. L’articolo 25 del codice civile infatti prevede che il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio venga effettuato da entrambi i genitori, congiuntamente o separatamente, anche in tempi diversi. In altri termini per il bambino concepito da una coppia di fatto con Pma lo status di figlio inizia con il concepimento ed è contestuale a quello della nascita. Evidentemente nel dibattito che ha caratterizzato l’iter legislativo della legge 40 le coppie di fatto sono state in grado di offrire garanzie forti di stabilità e di impegno nella tutela e nella cura del figlio, accettando quanto affermato nell’art 4, comma 3: «È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo etero-

logo». Il principio del prevalente interesse del minore viene tutelato proprio dal grado di certezza con cui lui sa subito, senza possibilità di errore, chi sono sua madre e suo padre: lo hanno riconosciuto come figlio prima ancora che nascesse. Il desiderio della sua nascita si è immediatamente incarnato nella esplicita responsabilità del suo riconoscimento. «Tu sei mio figlio, prima ancora di nascere e lo resterai per sempre». L’articolo 3 della Convenzione dei Diritti del Fanciullo, adottata dall’Onu il 20 novembre 1989, e fatta propria dall’Italia nel maggio del 1991, stabilisce che: «In tutte le azioni riguardanti i bambini se avviate da istituzioni di assistenza sociale, pubbliche e private, tribunali, autorità amministrative o corpi legislativi, i maggiori interessi del bambino devono essere oggetto di primaria considerazione».

In questa chiave va letto e interpretato anche l’art. 9, che nei suoi passaggi cruciali offre ulteriori tutele al bambino, anche nel caso in cui il ricorso alla fecondazione eterologa rappresenti una palese violazione della legge 40: A) Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non

può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità (comma 1); B) In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi (comma 3). Il padre o la madre “naturali” nel senso di donatori di gameti, rispettivamente di ovuli o spermatozoi, non possono reclamare alcun diritto sul neo-nato, proprio perché nel “contratto” sottoscritto dalla coppia per la Pma non appaiono in nessun modo. D’altra parte chi ha dichiarato che quel figlio è suo al momento di stipulare il contratto non può poi disconoscerlo. Non è difficile immaginare come in questo caso si possa dare adito a una sorta di commedia degli equivoci, dai risvolti drammatici soprattutto per la parte lesa, vale a dire per il bambino, vittima innocente delle menzogne degli adulti. È il trionfo dell’ambiguità, con una sorta di smascheramento delle intenzioni dei presunti genitori, per cui più che al bene del bambino hanno pensato di soddisfare un narcisistico desiderio di paternità o di maternità. Il buon senso vorrebbe che ogni bambino venga tutelato nel suo diritto a nascere in una famiglia in cui la chiarez-


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za dei vincoli renda immediatamente riconoscibili chi sono i suoi genitori e chi sono i suoi nonni. Il bisogno di appartenenza non solo alla coppia genitoriale ma a tutto il sistema familiare fa sentire ogni bambino più sicuro nel suo radicamento affettivo ed effettivo. L’eterologa invece scardina l’intero sistema relazionale creando delle ambiguità a cui è tutt’altro che facile dare risposta e apre molti più problemi di quelli che apparentemente sembra risolvere. Ad esempio come affronterà il garante della Privacy domande di questo tipo: il bambino ha il diritto a sapere come è nato e tutti coloro che sono intervenuti nel processo della sua nascita? Immaginando ipoteticamente che i cosiddetti progressi della scienza e della tecnica possano coinvolgere da un lato almeno tre donne: la donatrice di ovuli, la donna disposta ad affittare il suo utero, e infine la donna che ha commissionato ovuli e uteri a una sorta di Agenzia per la procreazione? E d’altro lato ci potrebbe essere un donatore di sperma e un sedicente padre disposto ad accogliere e farsi carico del bambino in queCinque stione. realtà diverse, coinvolte in un unico processo che inizia ben prima del concepimento, con la ricerca di donanti biologici di alta qualità, in modo da garantire al bambino sesso, razza, prerogative fisiche con-

siderate ottimali, e magari anche un quoziente intellettuale di buon livello. Questo bambino sarà felice di essere stato scelto in una sorta di catalogo disponibile perfino su Internet? E se volesse risalire fino ai suoi “antenati biologici”per qualsiasi motivo, compreso quello che potrebbe riguardare la sua salute o l’esistenza di potenziali fratelli e sorelle?

Il problema dell’anonimato dei donatori è tutt’altro che banale e se da un lato difende la loro privacy, dall’altro offende il diritto del bambino a sapere come e da chi è stato concepito. Il recente disegno di legge sul riconoscimento dei figli naturali, appena approvato al Senato, va nella linea della normativa europea che al compi-

Il referendum del 2005 fu favorevole alla difesa della famiglia: bisogna tenerne conto mento dei 40 anni consente a tutti di conoscere le proprie origini. D’altra parte fatti di cronaca recenti hanno a confermato quali abusi si può andare incontro quando una persona, per di più un medico impegnato a praticare la Pma, donante di sperma, afferma di aver contribuito a mettere al mondo centinaia (sic!) di bambini, che potrebbe-

ro occasionalmente incontrarsi e stabilire rapporti sessuali, non solo di carattere incestuoso, ma evidentemente a rischio anche sotto il profilo genetico. Non c’è dubbio che le varianti rispetto al processo di procreazione sono tanto più rischiose, quanto più si allontanano dalla condizione naturale in cui un uomo e donna legati da un profondo vincolo affettivo decidono di avere un figlio, magari facendosi aiutare da un medico. Non a caso parliamo di procreazione medicalmente assistita, immaginando un processo in cui il medico interviene a supporto di una coppia in cui un processo artificiale è il più possibile simile a un processo naturale e non di un tipo di fecondazione in cui tutte le fasi fondamentali del processo siano scardinate, a cominciare dalla sostituzione iniziale dell’ovulo e dello spermatozoo, che risultano estranei alla coppie richiedente. Eppure ci sono tre distinte ordinanze: una del tribunale di Firenze, una del tribunale di Milano e una del tribunale di Catania, che hanno rinviato alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità dell’art. 4, comma 3, della legge 40: «È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo». I ricorrenti fanno riferimento alla Convenzione europea per i Diritti dell’Uomo (Cedu), firmata a Roma nel novembre del 1950, e finora la prassi giuridica ha cercato di mantenere una sostanziale convergenza tra il diritto nazionale e il diritto europeo. Ma la Corte europea si è espressa in diverse occasioni in modo non univoco su punti analoghi. Ad esempio la sentenza emessa dalla Corte di Strasburgo nel 2010 nel caso SH e altri contro Austria, sosteneva che il divieto alla fecondazione eterologa non era valido, l’anno dopo la Corte europea nella sede della Gran camera, stabiliva esattamente il contrario rispetto alla decisione di primo grado. In altri termini abbiamo sentenze contraddittorie rispetto alla Convenzione europea per i Diritti dell’Uomo, per cui sarebbe assai strana una sentenza della Corte Costituzionale che giustificasse il venir meno del divieto dell’eterologa appellandosi a una Convenzione, i cui principi (art. 8 e 14) vengono articolati in modo diverso anche in riferimento allo stesso caso. D’altra parte per valutare la questione dell’eterologa non possiamo neppure dimenticare i risultati dei referendum abrogativi sulla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, che si tennero il 12 e 13 giugno 2005 e non raggiunsero il quorum. Tenendo conto che il livello di astensione fu uguale per tutti e quattro i referendum: il 74,40%, dei quattro referendum allora proposti,

quello in cui il No ottenne maggiori voti, è stato il quarto. Proprio quello che proponeva l’abolizione del divieto dell’eterologa. Il fronte del No tra i votanti raggiunse circa il doppio delle risposte negative: fino al 30% contro un massimo del 16% negli altri referendum. Evidentemente nella percezione generale il valore “famiglia”, che il divieto dell’eterologa garantisce più e meglio, era chiaro e forte. L’atteggiamento prevalente era allora, come ancora oggi, decisamente a favore della famiglia, tenendo conto anche della forte apertura espressa nei confronti delle coppie di fatto. Chi decise di andare a votare, ed era un popolo sostanzialmente contrario alla legge, espresse un No particolarmente convinto proprio su questo punto. Non tenerne conto oggi potrebbe apparire perfino poco democratico e scarsamente rispettoso della volontà popolare, i cui valori di riferimento restano sostanzialmente: la tutela del concepito, così come recita l’articolo 1 della legge 40. Parte integrante di questa tutela è il diritto a conoscere il proprio padre e la propria madre naturale e il diritto ad avere un elevato grado di certezza nella composizione del proprio nucleo familiare.

Il problema, dal punto di vista umano oltre che giuridico, riguarda la priorità che hanno i diritti del figlio su un presunto diritto al figlio. Molte coppie considerano il diritto al figlio come decisamente prioritario rispetto ai diritti del bambino, ma la contraddizione profonda è che sul piano naturale il diritto a un figlio con l’eterologa non sarebbe il diritto al “proprio” figlio, ma una sorta di adozione anticipata: adotterei un ovocita piuttosto che uno spermatozoo. Non si capisce allora perché non adottare un figlio, attingendo alla grande schiera di bambini già nati che in tutto il mondo sono in attesa di una coppia di genitori che li adottino e li sottraggano a una vita complicata di fame e di miseria in alcuni casi, di abbandono e di malattia in altri. Sarebbe auspicabile che la Corte costituzionale confermando il divieto dell’eterologa contribuisse a rendere meno complicati sotto il profilo burocratico i canali che debbono percorrere i genitori in attesa di un figlio da adottare. È decisamente più facile e più comprensibile dire un no convinto e determinato all’eterologa quando le coppie possono esprimere il loro desiderio di maternità e di paternità in modo sereno ed efficace accedendo a politiche per l’adozione più moderne e flessibili. Speriamo davvero che qualcosa cambi in questo senso, senza andare a toccare altre strutture della legge 40, che potrebbero riaprire il fronte del cosiddetto Far West procreativo…

e di cronach

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ULTIMAPAGINA

Nel giorno dell’addio di Mesagne alla studentessa, è stato fermato il sospetto attentatore della scuola Morvillo

Ore contate per il killer di Francesco Lo Dico eri la città di Mesagne ha vissuto il suo giorno più triste. Ma pochi minuti dopo l’ingresso della bara bianca della giovane Melissa, tra le lacrime e lo sdegno si è fatta largo anche la speranza. Alle 14 e 50, mentre un lungo applauso accoglie sul sagrato della chiesa madre la vittima del barbaro attentato della scuola Morvillo, si diffonde la notizia che gli inquirenti hanno stretto il cerchio intorno all’attentatore. Così che nella cittadina pugliese, il tempo comincia a scorrere a due velocità.

I

Ce n’è uno lento, doloroso, che trascorre davanti alla chiesa. È il tempo di Massimo Bassi che stringe al petto una foto della moglie Rita che è ancora ricoverata in ospedale in stato di choc e non è presente ai funerali della figlia. E quello delle compagne di Melissa che attendono composte, in maglietta bianca, di dare l’ultimo saluto all’amica. E ce n’è uno frenetico che dalla questura si ripercuote a ogni aggiornamento sugli abitanti che scendono in strada a decine quando sentono che la svolta è vicina.

L’assassino sarebbe un elettricista che vive al quarto piano di una palazzina nel quartiere di Sant’Elia insieme alla compagna romena e a una figlia piccola Un flusso ininterrotto di notizie che porterà al fermo del presunto stragista.Tutto comincia poco dopo le 15, quando le forze dell’ordine individuano il fratello del presunto attentatore e lo sottopongono a un interrogatorio serrato. E anche se in un primo momento il cinquantenne più ricercato d’Italia sembra irreperibile, si apprende che l’uomo è alto 1,70, porta occhiali con montatura in metallo e vive nel rione Sant’Elia. Ha una disabilità alla mano e zoppica. E soprattutto ha un nome e cognome, C.S. L’uomo, si apprende nei concitati minuti successivi, è un elettricista, vive al quarto piano di una palazzina nel quartiere popolare di Sant’Elia insieme alla compagna romena e a una figlia piccola, di un anno e mezzo sembra. Con loro vive anche il fratello. I vicini lo descrivono come un uomo solitario: «Non lo conosco proprio, non saprei dire neanche che lavoro fa», dice una signora che abita nel suo stesso palaz-

di MELISSA zo, al piano inferiore. E aggiunge: «Sentiamo che c’è, abita in quella casa, ma non lo vediamo mai. È una famiglia molto schiva, non parlano mai con nessuno».

Intanto, alle 16 e 20, il premier Mario Monti arriva in chiesa e abbraccia il papà di Melissa, mentre studenti e cittadini ricolmano la piazzetta di Mesagne di fiori, lacrime e messaggi di speranza. «Contro le stragi di vittime innocenti», recita un cartoncino bianco esposto vicino all’ingresso della chiesa, «ci siamo noi a lottare: 14 milioni di studenti». E un altro: «I tuoi occhi avevano quella voglia di vivere che avevi dentro...». Qualche tricolore penzola dai balconi intorno alla piazza. Lungo il tragitto transennato che porta all’ingresso della chiesa ci sono schierati gli scout di Mesagne e tra la folla spuntano numerosi i cartelli degli istituti scolastici della zona e una frase che riassume lo stato d’animo di tutti: «Melissa, resterai sempre nei nostri cuori». Alle 16 e 45, la cerimonia viene scossa dalla notizia che tutti attendono: fonti della procura di Brindisi affermano che l’uomo sospettato di aver stroncato la vita di Melissa è stato trovato, ma nei suoi confronti sono scattati «controlli di routine per verificare l’alibi in seguito a una delle segnalazioni che stanno arrivando e che necessitano di verifica». Nella chiesa madre, il grido di dolore dell’arivesvoco di Brindisi, monsi-

gnor Rocco Talucci, sembra suonare ancora più alto. Melissa è «vittima innocente di un attentato che aveva la consapevolezza di uccidere, causando una tristezza che tocca l’animo di tutti», dice nel corso dell’omelia. E rivolge un messaggio di speranza ai compagni della giovane e ai suoi genitori: «Ci stringiamo intorno alla famiglia Bassi, è grande il loro dolore ma sono certo anche la vicinanza cristiana, oggi unico conforto possibile. La vita non muore. E Melissa oggi vive, diviene l’angelo della sua famiglia come i suoi genitori sono stati i suoi angeli», aggiunge Talucci. E dall’angelo il tempo rimbalza di nuovo al suo boia.

Ma a questo punto la vicenda si tinge di giallo: «Non è stato trovato nessun sospetto», dice il procuratore della Dda di Lecce Cataldo Motta. Eppure si apprende che C.S., l’uomo sospettato di essere il killer di Brindisi, e il fratello, M.S., sono entrambi in questura, sotto interrogatorio. Secondo quanto si apprende da fonti investigative, gli inquirenti ne stanno verificando gli alibi. Ma nell’attesa di dare un volto definitivo all’assassino, c’è qualcosa che i ragazzi di Mesagne considerano come un punto fermo. «Sarai tu il nostro modello per noi», recita un cartello dedicato a Melissa, «il tuo banco non sarà mai vuoto». Ancora due tempi: uno, l’oggi, segnato dal dolore. E un altro, domani, pieno di forza.


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