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pagina 14 • 2 luglio 2008

speciale esteri

Occidente

segue da pagina 13 Rumsfeld ha utilizzato il sotegno filippino per un piano volto a dispiegare gruppi di portaerei da combattimento nel Pacifico piuttosto che tenerli sottocosta negli Stati Uniti. Ha concluso un accordo quadro strategico con Singapore ed ha deliberatamente svolto un grosso ruolo nel riavvicinamento fra Stati Uniti e l’India subito dopo la conclusione della Guerra fredda. Alla fine di questo decennio, proprio mentre emerge a livello mondiale una nuova, più flessibile, austera ed estesa costellazione di basi, sostenuta da una struttura di comando maggiormente controllata a livello centralizzato, le tormentate relazioni con importanti alleati asiatici si vanno man mano ricucendo. Questi sviluppi, agli occhi di Rumsfeld, avrebbero aiutato gli Stati Uniti a reagire più rapidamente alle circostanze impreviste, a proseguire la guerra al terrorismo ed a proteggersi da una crescente forza militare cinese senza provocarla inutilmente. Ogni nuova amministrazione dovrà fare i conti con questa eredità di Rumsfeld, ridefinendola o adattandola alle proprie necessità, ma non rifiutandola. In una nota a me inviata, Rumsfeld ha definito queste decisioni «dure, talvolta criticate e persino condannate, ma necessarie e, ritengo, durature».

re dell’esercito Eric Shinseki. L’allora Governatore George W. Bush, in un discorso del 1999 alla Cittadella (l’Accademia militare di Charleston, in Carolina del Sud), parlò di «una rivoluzione nella tecnologia bellica» e della necessità di avere forze «agili, letali, pronte ad essere dispiegate e che necessitino di un minimo sostegno logistico». Rumsfeld sarebbe stato associato alla trasformazione, sebbene essa non fosse effettivamente parte integrante della sua agenda originaria come, al contrario, la difesa missilistica. Per quanto riguarda la trasformazione, Rumsfeld mi scrisse che il suo team «aveva posto in particolar modo l’accento sull’importanza di strutture più orizzontali e decentrate che condividessero e facessero leva sulle informazioni necessarie per un processo decisionale efficace e tempestivo, rispetto ai tentennamenti burocratici che avevano dominato le istituzioni di sicurezza nazionale degli Stati Uniti durante la Guerra fredda». Eppure si potrebbe sostenere che buona parte della trasformazione che si è verificata con Rumsfeld sia stata il risultato della debilitante guerra in Iraq, che ha costretto il Pentagono, e l’esercito in particolare, a cambiare enormemente, con modalità che nessun ministro

Una vera trasformazione Perchè, sotto molti punti di vista, Rumsfeld si è rivelato più astuto nel trattare con la Corea ed il Giappone di quanto non abbia fatto con l’Iraq? Ironia della sorte, la difficile situazione che Rumsfeld ha contribuito a creare in Medio Oriente ha avuto anche l’effetto di trasformare queste relazioni asiatiche – una volta integre ed inviolate – in questioni di secondo piano aperte alla possibilità di essere rinegoziate. Rumsfeld ha avuto inoltre un accesso più immediato alle competenze di area. Egli stesso è stato un aficionado del Giappone sin dai primi anni ’60, una passione che gli derivava dal fatto di aver avuto un padre a bordo di una portaerei nel Pacifico durante la Seconda guerra mondiale. Nel complesso, grazie alla quasi cinquantennale presenza di così tante truppe americane in Corea ed in Giappone, coloro che sedevano al tavolo dell’ E-Ring - il cosiddetto anello E del Pentagono dove vengono svolti i lavori più delicati sapevano di che cosa si parlava quando si trattava di questioni relative all’Estremo Oriente. La stessa cosa non si poteva dire per il mondo musulmano. Ma c’è un altro fattore da considerare: l’idea alla base della visione del mondo militare e Pacifico-centrica che Rumsfeld

della Difesa avrebbe potuto gestire da solo.Tuttavia, Rumsfeld ha esercitato pressioni per conseguire uno dei più significativi cambiamenti nell’organizzazione dell’esercito dall’era Napoleonica, modificando l’unità di manovra centrale e le squadre da combattimento, dalle divisioni alle brigate. La trasformazione, secondo Rumsfeld, verteva principalmente sui cambiamenti non in tema di strutturazione delle forze, ma di modalità di combattimento. L’ Exhibit A era l’Afghanistan, dove, come scrisse in un articolo del 2002 su Foreign Affairs, «il XIX secolo incontrava il XXI secolo», dato che le Forze speciali dell’esercito e le truppe della Cia si coordinavano con gli operatori speciali dell’Aeronautica in tema di attacchi di precisione. In verità, Rumsfeld fu uno strenuo sostenitore delle Forze operative speciali (Special Operations Forces Sof). Contro il parere della Marina e superando le sue resistenze, si adoperò per ammodernare i sottomarini con missili balistici ed equipaggiarli con i minisommergibili SEAL per le operazioni subacquee (Sdv) al posto delle testate nucleari Trident, per facilitare l’atterraggio degli operatori speciali sulle teste di ponte o di sbarco. Con il sostegno del Congresso, ottenne il raddoppio del bilancio per le Sof, da 3,5 a 7 miliardi di dollari: questo prova che non è necessariamente sbagliato tutto ciò in cui crede Donald Rumsfeld. Eppure le Sof avevano una duplice tradizione: un’azione diretta (da combattimento) ed un’impostazione da addestramento più soft, stile “abbraccia il tuo fratello indigeno”. Nei suoi primi anni da ministro della Difesa, Rumsfeld era più interessato all’azione diretta. Riteneva che al-Qaeda giustificasse una caccia all’uomo a livello mondiale e poco altro. Soltanto in un fase successiva, dopo che ebbe la punizione che si meritava in Iraq, e come

La tragedia della sua carriera non è l’Iraq, ma l’11 settembre, che non è riuscito ad evitare aveva e che la sua rete di scali per il rifornimento doveva applicare, era che le forze americane dovessero essere leggere e letali, per reagire rapidamente senza radicarsi in alcun luogo. Una lunga occupazione dell’Iraq non rientrava in questa strategia. Piuttosto che preoccuparsi in modo costruttivo dell’Iraq e farsi carico della politica in quel Paese, ha cambiato spesso idea adottando un comportamento ambivalente. Tutti i cambiamenti apportati da Rumsfeld alla presenza militare degli Stati Uniti all’estero devono essere considerati nel più vasto tentativo di trasformare le forze militari in una forza da combattimento. La trasformazione, in particolare dell’esercito, iniziò negli anni ’90 con l’amministrazione democratica e con il capo di Stato maggio-

confermato dalla Quadrennial Defense Review 2006, si convinse che con un nemico imprevedibile – che era facile da uccidere ma difficile da localizzare — bisognava comprendere la lingua e la cultura locali e creare legami con la popolazione indigena. Durante il suo mandato, il numero di militari che parlavano l’arabo crebbe del 30 percento; quelli che parlavano farsi del 50 percento; quelli che parlavano urdu del 76 percento e quelli che parlavano cinese del 57 percento. Ma queste cifre sembrano impressionanti solo perché i numeri di partenza erano molto bassi. Ad esempio, prima dell’11 settembre coloro che parlavano arabo erano 4.384, ma soltanto 5.703 nel 2005. Basti pensare che gli ispanofoni sono 92.852 ed i francofoni 14.097. I futuri ministri della Difesa dovranno fare di meglio.

Il prezzo di aver ragione a metà La vera tragedia della carriera di Rumsfeld potrebbe essere stata non tanto il fatto di non aver previsto l’occupazione dell’Iraq, quanto l’attacco dell’11 settembre. Il 10 settembre 2001 Rumsfeld fece un discorso che strigliava e stroncava la burocrazia del Pentagono, sua principale preoccupazione. Era così deluso e frustrato a causa del ritmo lentissimo dei progressi registrati fino a quel punto che non è chiaro se sarebbe rimasto al suo posto senza l’attacco alle Torri gemelle. «Sapete perché Rumsfeld scelse Wolfowitz come suo vice?» si chiede un ex- funzionario repubblicano della Difesa: «Perché Rumsfeld si preoccupava più dell’organizzazione che della politica ed aveva bisogno di un alter ego per gestire gli affari politici. Rumsfeld intendeva essere il suo braccio operativo». Dopo l’11 settembre la gestione ritornò per lo più nelle mani di Wolfowitz, man mano che Rumsfeld iniziava a concentrarsi sempre più sulla “Guerra globale al terrorismo.” È noto il fatto che a Washington si sostenesse che Wolfowitz, in quanto accademico, non avesse esperienza di gestione – il che, tuttavia, è soltanto una versione parziale della verità. Non era soltanto un accademico: era stato rettore universitario, vice-segretario di Stato responsabile dell’Asia orientale, sottosegretario alla Difesa per gli affari politici ed ambasciatore in Indonesia. Wolfowitz può anche essere stato un pessimo manager, ma nel suo curriculum vitae non se ne trovano molte tracce. In tema di gestione, Rumsfeld è stato talvolta il suo peggior nemico, allontanando, piuttosto che concentrando, l’attenzione della burocrazia, con le sue famose note ed appunti, ironicamente definiti “fiocchi di neve”. Ma Rumsfeld non fece eccezione fra i ministri che indulgevano a parole sulla necessità di prestare attenzione ai bilanci, anche se massicci eccessi di spesa ed un bilancio per la difesa in costante aumento furono le caratteristiche del suo mandato. Secondo il suo revisore dei conti, il comptroller Dov S. Zakheim, Rumsfeld ha ridotto i più di 3 milioni di miliardi di dollari di transazioni impropriamente registrate e non certificate del Pentagono a qualche centinaia di miliardi. Ha creato una sorta di Consiglio d’amministrazione per la Difesa e riformato il sistema del personale operante nel settore della sicurezza nazionale introducendo criteri meritocratici. Spesso si parla di Rumsfeld con lo stesso giudizio negativo con il quale si parla del ministro della Difesa dell’epoca della guerra del Vietnam, Robert S. McNamara. Zakheim ed altri con i quali ho parlato hanno elaborato un’associazione di idee positiva: McNamara fallì in Vietnam, ma riuscì ad elaborare un sistema di pianificazione, programmazione e bilancio che è durato 40 anni. Il tempo ci dirà se Rumsfeld abbia compiuto o meno qualcosa di simile. Inoltre, Rumsfeld può anche aver avuto ragione su altri aspetti: ridurre l’enfasi posta sulle armi nucleari dando al Comando strategico una capacità convenzionale e ri-


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