Costozero Aprile/Maggio n.2/2016

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F I N I S TE RRE

Su Antonio Gramsci, critico teatrale È ancora percorribile e solida l’eredità del pensatore sardo che viveva il teatro come luogo d’azione sociale e lotta politica Alfonso Amendola Docente di Sociologia degli Audiovisivi Sperimentali Università degli Studi di Salerno

T

ra il 1915 e il 1920 Antonio Gramsci, entrato a far parte della redazione del quotidiano “L’Avanti!” come editorialista e polemista politico, scrive una serie di critiche teatrali. La volontà dichiarata di Gramsci è quella di pensare a quelle critiche esattamente come se fossero parte integrante della sua lotta politica e sociale. La critica teatrale come uno strumento attraverso il quale determinare quei cambiamenti che in quegli anni erano rappresentati dalla prospettiva socialista. Il pensiero del teatro come spazio sociale vitale si basa sulla prospettiva che, negli anni in cui Gramsci scrive, il teatro è ancora la forma di spettacolo che più di tutti incontra il gusto del pubblico (la forma mediale che più di tutte determina ed è determinata dal consenso popolare e che è spazio di condivisione non soltanto di narrazioni e saperi ma altresì di un’esperienza collettiva). Il pensatore sardo comincia a occuparsi di teatro in un periodo in cui il teatro italiano si trova in una evidente posizione di retroguardia rispetto a quello teatro europeo, attraversato da venti di cambiamento dovuti alla nascita del fenomeno del teatro di regia e che, grazie a figure fondamentali come quelle di Edward Gordon Craig in Inghilterra, Appia e Antoine in Francia, o il poliedrico Max Reinhardt e i Fratelli Menninger in Germania e Stanislavskij e Mejerchol’d in Russia, si trova in una situazione di estremo mutamento estetico e produttivo. Insomma mentre in Europa il dibattito sul nuovo teatro sembra essere febbrile l’Italia non sembra esserne toccata. Uno degli scopi principali delle cronache

teatrali è quello di costringere il sistema teatrale italiano, inteso non soltanto dal punto di vista estetico ma altresì da quello produttivo, a fare i conti con la realtà europea e gli scenari dell’innovazione che essa determina, insomma di costringere la realtà italiana, e con essa un intero sistema produttivo - che Gramsci chiamerà trust - a fare i conti con le novità teatrali dell’epoca. Le Cronache quindi possono essere prese come una specie di cartina di tornasole sulla quale leggere la nascita del teatro del Novecento. Ma oggi in cosa possono esserci ancora utili? Le cronache teatrali possono essere lette anche come un vademecum metodologico a partire dal quale provare a impostare una lettura del fenomeno teatrale che tenga insieme più piani: il piano estetico da un lato e il piano sociologico-culturale dall’altro. Per Gramsci i due piani non possono essere separati e per comprendere a pieno le dinamiche del teatro del proprio tempo si rende conto che i due percorsi devono essere pensati insieme: estetica teatrale e industria culturale. In questo spazio Gramsci affina strumenti di diversa natura: filosofica, sociologica, critico-letteraria al fine di comprendere la natura essenziale del fenomeno teatrale. Scriverà in un articolo del 1917 intitolato programmaticamente l’industria culturale: «Il teatro ha una grande importanza sociale: noi ci preoccupiamo della degenerazione di cui è minacciato per opera degli industriali, e vorremmo reagire, per quanto ci è possibile, ad essa. C’è un gran pubblico che vuole andare a teatro


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