Costozero Maggio-Giugno 1/2013

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EDITORIALE

IL NUOVO CORSO DI COSTOZERO

MAURO MACCAURO PRESIDENTE CONFINDUSTRIA SALERNO

Grazie alle potenzialità offerte dalla messa a punto di una strategia di comunicazione multicanale, il nuovo portale di informazione di Confindustria Salerno offrirà anche diverse modalità di condivisione dei co ntenuti attraverso i principali social media

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ul tema della comunicazione in tempo reale si giocano oggi le più importanti partite tra leader politici, Istituzioni e sistemi di rappresentanza. L’avvento dei social media – di Twitter, in particolare – rende possibile moltiplicare all’infinito le informazioni, i commenti, le prese di posizione su una singola notizia, riducendo così il tempo di vita di una news a poche ore, se non a pochi attimi. In questo scenario in continua, rapida evoluzione, si inserisce il nuovo progetto editoriale di CostoZero, il magazine economico di Confindustria Salerno. Il nostro house-organ cambia pelle, scegliendo l’integrazione tra carta e web attraverso la realizzazione di una pubblicazione bimestrale ma, soprattutto, con una evoluzione on line – grazie alla creazione di una piattaforma digitale che offrirà la possibilità di commenti per i visitatori e diverse modalità di condivisione dei contenuti– che ne farà un vero e proprio portale di informazione economica. La nostra è una scelta dettata dalla volontà di “alzare l’asticella” verso un prodotto editoriale contemporaneo che si arricchisce, grazie alle potenzialità offerte dalla messa a punto di una strategia di comunicazione multicanale, di nuovi contenuti e sezioni, riducendo, al contempo, i costi di produzione. Il portale di informazione, che vedrà la luce nei prossimi giorni, è concepito come un ulteriore strumento di comunicazione per l’Associazione e gli Associati: seguire con maggiore tempestività le tematiche riguardanti le attività di impresa significa offrire alle aziende la possibilità di stare al passo con i tempi. Allo stesso modo, la declinazione del magazine sui principali social network (Facebook, Twitter, Youtube, Flickr) consentirà la creazione di veri e propri forum tra gli associati e i lettori sugli argomenti ritenuti più interessanti, divenendo un punto d’incontro, di discussione, in cui gli utenti possano dibattere e arricchire le argomentazioni proposte allo scopo di aumentare il grado di partecipazione e coinvolgimento stesso degli Associati, accrescere il livello di fiducia e rendere sempre più trasparente anche la stessa azione politica della nostra Territoriale. Confindustria Salerno, infatti, attribuisce un ruolo strategico alla comunicazione. Sul versante esterno, infatti, la comunicazione risulta fondamentale nel rapporto con i media, le Istituzioni, i gruppi portatori di interessi e l’opinione pubblica, per provare a costruire una “rete” di relazioni che è l’unico, vero, “capitale” in grado di trasformarsi in valore aggiunto non solo per le aziende, ma per tutto il nostro territorio. Sul versante interno, invece, nel rapporto con gli iscritti, è importante innanzitutto saper comunicare le risposte - possibilmente semplici e dirette, realmente rispondenti alle aspettative delle imprese e capaci di produrre risultati efficaci – che gli associati legittimamente si aspettano. Il cambiamento, infatti, prima ancora di essere tecnologico ci auguriamo sia “sociale” e forte al punto tale da fare di Costozero sempre più uno strumento efficace di analisi e di proposizione di iniziative in grado di agire in profondità sul tessuto economico e collettivo salernitano. Il nuovo corso di CostoZero risponde a queste ambizioni, anche grazie alla valida squadra che da sempre lo anima. 1


SOMMARIO

EDITORIALE

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di M. Panucci, O. Coriglioni e A. Sacrestano

Panucci: «Lo Stato saldi i propri debiti per garantire la ripresa degli investimenti» Il costo insostenibile del debito Necessarie le modifiche al decreto sui pagamenti L’OPINIONE

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L.M. D’Angiolella, M. De Giorgis, M. Galardo, M. Marinaro, G. Nunziante

Il nuovo corso di Costozero PRIMO PIANO

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DIRITTO E IMPRESA

di M. Maccauro

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di G. Arzano, G. Cassandra

Arzano: «Le imprese sono in seria difficoltà» Cassandra: «Massima priorità alla sicurezza» CONFINDUSTRIA SALERNO

LAVORO

di M. Ambron, B. M. Criscuolo

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di Redazione Costozero, M. De Carluccio, R. Venerando

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Detassazione degli stipendi: l’accordo tra Confindustria e i Sindacati Sostenere l’internazionalizzazione delle imprese salernitane Formazione per l’internazionalizzazione Yess, buona la prima!

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Il riassetto complessivo del TPL, una riforma necessaria Mobilità, Buonocore: «Ora regole e risorse certe»

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Il centro Europe Direct del Pst di Salerno e Aic avvia il nuovo quinquennio di attività di L. Ciccarelli

Oltre l’Imu, manca una vera politica pubblica per la casa SICUREZZA

di F. Lentisco, A. Papale, P. Galzerano, I. Rossi, G. Bogani, G. Petrini

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di V. Pellecchia, M. Deandreis

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Dalle biomasse al biogas

LOBBYING

ENERGIA

Dal conto energia al conto termico SRM: «È al Sud il62% delle energie rinnovabili»

di G. De Feo

di M. Santoriello

di B. Frei

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L’Agenda digitale scomparsa

RICERCA

GREEN ECONOMY

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di R. Triola

UNIVERSITÀ

46 Frei, Abb Spa: «La Città Smart è una sfida tecnologica e sociale»

Licenziamenti: quando un caffè costa il posto Abolire la cassa integrazione per tornare a crescere TEKNÈ

FOCUS ON

di L. Iavarone, G. Buonocore

Danno da ritardo della PA. la dinamica “tempo”è essenziale e va rispettata La tutela del patrimonio Il concordato preventivo “in bianco” o “pre-concordato” Giustizia civile e attività d’impresa, le proposte dei saggi e quelle di Confindustria Dalla s.r.l. semplificata alla s.r.l. a capitale ridotto

Responsabilità sociale e autovalutazione delle Pmi INTERNAZIONALIZZAZIONE

di E. Szajkowicz e M. Gravano

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L’Italia in linea Lavoro e imprese l’occasione offerta da Only Italia


SOMMARIO

FISCO

di S. Cannavale, M. Fiorentino e M. Villani

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Nuova anagrafe tributaria

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La partecipation exemption si allarga alle imprese in start up La notifica diretta per posta e il punto sulla giurisprudenza

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STRATEGIE D’IMPRESA di M.P. Cinelli

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Manutenzione civile: servizi e infrastrutture BON TON

di N. Santini

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Metti una sera a cena

SALUTE

di G. Fatati, A. Di Pietro

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Obesità e comportamenti alimentari (1° parte)

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Con le cure giuste la pelle può riacquistare luminosità e tonicità SPORT di A. Cioffi

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Jomi Salerno, una stagione perfetta MISURE CRITICHE di A. Tolve

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Gli spazi della critica il dibattito teorico attraverso le mostre 1980-2010 - anni novanta/6 IL SEGNALIBRO

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A cura di Raffaella Venerando

Il Signore degli orfani HOME CINEMA A cura di Vito Salerno

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Zero Dark Thirty

COSTOZERO N.1 MAGGIO > GIUGNO 2013 REG. TRIB. DI SALERNO N. 677 DEL 22/10/1987 ISCRIZIONE AL ROC N. 23241/2013 DIRETTORE EDITORIALE MAURO MACCAURO DIRETTORE RESPONSABILE ALESSANDRO SACRESTANO SEGRETERIA DI REDAZIONE RAFFAELLA VENERANDO SEGRETERIA ORGANIZZATIVA VITO SALERNO SOCIETÀ EDITRICE DIREZIONE E REDAZIONE ASSINDUSTRIA SALERNO SERVICE SRL VIA MADONNA DI FATIMA, 194 84129 SALERNO TEL. 089 335408 FAX 089 5223007 PARTITA IVA 03971170653 REDAZIONE@COSTOZERO.IT WWW.COSTOZERO.IT STAMPA ARTI GRAFICHE BOCCIA FOTO ARCHIVIO COSTOZERO MASSIMO PICA - AG. FOTOGRAFICA GRAFICA E IMPAGINAZIONE MOREPLUS > WWW.MOREPLUS.IT GRAFICO EMANUELA MARIA RAGO LE OPINIONI ESPRESSE NEGLI ARTICOLI APPARTENGONO AI SINGOLI AUTORI DEI QUALI SI INTENDE RISPETTARE LA PIENA LIBERTÀ DI GIUDIZIO

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PANUCCI: «LO STATO SALDI I PROPRI DEBITI PER GARANTIRE LA RIPRESA DEGLI INVESTIMENTI» MARCELLA PANUCCI DIRETTORE GENERALE CONFINDUSTRIA

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la liquidità costituita dai loro crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione. Si tratta di risorse che potranno consentire alle aziende di tornare ad investire, di aumentare il proprio patrimonio e la propria dimensione, di affrontare i mercati internazionali. Le simulazioni del nostro Centro Studi indicano chiaramente che l’immissione di liquidità nell’economia innesca un circuito virtuoso, ma il pagamenI num e r i n on s o n o ce r t i. S e co n d o i ca lcol i di Co nf i ndustri a to dei debiti della PA non è sare b b e r o 5 0 i m ilia r d i d i cr e d it o d a p a r te de l l a Pubbl i ca solo una questione economica. Amm i n i s t r a zi on e v e n u t i d r a m m a t ica m e nte a mancare al l e impr e s e n e g l i ult im i cin q u e a n n i, m e n t r e stando al l e ci f re È un fattore che attiene alla d el M i n i s t r o d e llo S v ilu p p o Z a n o n a t o a mmo nte re bbe ro a 60 certezza del diritto e al rispetto m ili a r d i . degli impegni e dei contratti. Alza e d i m ol t o il t ir o , in v e ce , la C g ia d i Me stre , se co ndo cui Pagare i debiti è un atto dovuto il de b i t o d e l l e p u b b lich e a m m in is t r a z io ni ve rso l e i mpre se e, in un Paese civile, deve esseforn i t r i c i p r i v a t e si a g g ir e r e b b e t r a i 12 0 e 1 30 mi l i ardi di re un irrinunciabile punto d’oeur o. nore – soprattutto per lo Stato Al di l à d e i n u m e r i co n t r o v e r si ch e p o t r e bbe ro re sti tui re – e non il frutto del ricorso ad l’es a t t a d i m e n s i o n e d e l p r o b le m a , ciò che è ce rto è che i un provvedimento d’urgenza. ritar d a t i p a g a me n t i a lle im p r e se fo r n it r ici da parte de l l a PA Lo Stato per primo deve dare so n o og g i u n a d e lle p r in cip a li ca u se d e l di sse sto e de l l e casse il buon esempio, soprattutto vuo t e d e l l e a zi e n d e . in un momento come questo, D ell e p r op or zi o n i d e l fe n o m e n o , n e a b bi amo di scusso co n i l d ire t t or e g e n e r a le d i C o n fin d u s t r ia , Ma rce l l a Panucci , e co n in cui la fiducia dei cittadini Ott a v i o C or i g l i o n i, P r e sid e n t e d e l R a g g r uppame nto S ani tà di nelle Istituzioni è stata minaC on f i n d u s t r i a S a le r n o . ta nel profondo. Confindustria ha guardato con favore ai passi avanti degli ultimi mesi e, da ultimo, all’adozione di quelle troppo elevato e dall’altra si scontrano con misure definite “improcrastinabili” perfila crescente difficoltà di accesso al credito. no dal Capo dello Stato, a seguito dell’inIn questo quadro è ancora più inaccetta- contro con il Presidente Squinzi. bile che le imprese italiane non possano Il recepimento nel nostro ordinamento contare sulle proprie risorse, ovvero sul- della direttiva late payments, primo atto

di Raffaella Venerando

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mmettere liquidità nell’economia è un imperativo, se vogliamo davvero invertire la rotta e liberarci dalla morsa della crisi economica che ci sta stritolando.Ma è anche un impegno o, più precisamente, il rispetto di un impegno: lo Stato deve pagare i propri debiti. Alle nostre imprese manca ossigeno. Da una parte sono vessate da un fisco


PRIMO PIANO

UN ULTERIORE RAFFORZAMENTO DELL’IMPIANTO COMPLESSIVO DEL PROVVEDIMENTO POTRÀ ANCHE DERIVARE DAI CORRETTIVI ALLE SANZIONI GIÀ PREVISTE NEL CASO DI INADEMPIMENTI E DALL’INTRODUZIONE DI UN VINCOLO DI DESTINAZIONE PER LE RISORSE STANZIATE, FINALIZZATE SOLO ED ESCLUSIVAMENTE AL SALDO DEI DEBITI COMMERCIALI CONTRATTI DALLE AMMINISTRAZIONI

del percorso attualmente in itinere, è infatti certamente un fatto positivo perché, in futuro, riporterà il giusto equilibrio nei rapporti commerciali, sia tra i privati che tra le imprese e la Pubblica Amministrazione. La nuova disciplina supererà contrapposizioni che, spesso, hanno determinato una vera e propria alterazione delle ordinarie dinamiche di mercato. La direttiva tuttavia sarà applicata ai contratti futuri, quindi intanto è prioritario procedere allo smaltimento di tutto lo stock di debito pregresso. Nel “Progetto Confindustria per l’Italia” abbiamo evidenziato con determinazione la necessità che si provveda urgentemente a liquidare almeno i due terzi dei 71 miliardi stimati inizialmente da Banca d’Italia, che in base alle stime aggiornate sono invece pari a 91 miliardi. Questa misura fa parte della “terapia d’urto”, che deve segnare una forte discontinuità e produrre effetti economici immediati per rendere nuovamente competitive le nostre imprese. Riteniamo infatti fondamentale che lo Stato saldi i propri debiti per garantire la ripresa degli investimenti, sia pubblici che privati, da quelli in infrastrutture a quelli in ricerca e innovazione. Il Decreto Legge sui pagamenti varato recentemente dal Governo va quindi nella direzione che abbiamo indicato. É vero che siamo al di sotto di quanto abbiamo chiesto, ma è giusto riconoscere per la prima volta il problema viene affrontato in modo concreto. Lo stanziamento di 40 miliardi di euro in due anni infatti non ha precedenti. Il provvedimento tuttavia presenta luci e ombre. Nella nostra audizione parlamentare abbiamo indicato puntualmen-

te i correttivi necessari per superare le criticità e, soprattutto, per rendere immediatamente e pienamente operativo il decreto. Tutto questo senza alterare l’impianto complessivo del provvedimento e senza perdere di vista il nostro obiettivo principale: fare presto perché le imprese sono davvero allo stremo. É necessario semplificare i meccanismi per accedere alle anticipazioni e quindi all’utilizzo degli spazi finanziari, da parte degli enti locali. Inoltre è importante stabilire termini rapidi e certi entro cui le amministrazioni devono provvedere. Un ulteriore rafforzamento dell’impianto del decreto potrà anche derivare dai correttivi alle sanzioni già previste nel caso di inadempimenti e dall’introduzione di un vincolo di destinazione per le risorse stanziate, che devono essere finalizzate solo ed esclusivamente al saldo dei debiti commerciali contratti dalle amministrazioni. Confindustria vigilerà, anche attraverso la propria rete capillare sul territorio, affinché, in tempi rapidi, affluisca fino all’ultimo euro nelle casse delle imprese. È solo il primo tempo di una partita ancora lunga perché è imprescindibile smaltire l’intero stock di debito pregresso. Il richiamo al tema dei pagamenti della PA, contenuto sia nella relazione dei Saggi che nel discorso programmatico del neo Presidente del Consiglio Letta, ci incoraggia. Nel secondo tempo, tocca a ciascuno degli attori coinvolti, Confindustria compresa, impegnarsi per consolidare gli effetti e i risultati del processo avviato. É una partita che possiamo e dobbiamo vincere. 5


IL COSTO INSOSTENIBILE DEL DEBITO

OTTAVIO CORIGLIONI PRESIDENTE RAGGRUPPAMENTO SANITÀ CONFINDUSTRIA SALERNO

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residente Coriglioni, uno dei problemi più gravosi e datati per la sanità privata campana rimane quello del ritardato pagamento da parte della Pubblica Amministrazione. Qual è ad oggi il punto della situazione? Relativamente al ritardo nei pagamenti della Pubblica Amministrazione, va premesso che circa il 60% del debito della P.A. è per la “Sanità”. In Campania, regione commissariata per la Sanità, il problema dei pagamenti nei confronti delle imprese, affrontati sin dal 2004, è ancora drammaticamente irrisolto. Come noto, nella nostra regione vige la norma sull’impignorabilità dei fondi delle ASL , (il 27.03.2013 era attesa la sentenza della Corte Costituzionale, sentenza che ad oggi non è stata ancora emanata), pertanto i soggetti non possono agire per la tutela dei propri crediti. É dal 2005 che noi creditori stiamo cercando di giungere ad accordi con la Regione per il pagamento o, quantomeno, per la certificazione dei crediti pregressi. Tale certificazione consentirebbe alla Regione di non dover pagare immediatamente le imprese e alle aziende di poter vendere tali crediti agli istituti finanziari per smobilizzare debiti nei confronti degli istituti stessi, migliorando la performance di bilancio e permettendo (alle imprese) di presentare migliori situazioni finanziarie sul mercato. É evidente che tale operazione presenta costi non indifferenti, che vanno a sommarsi alla rinuncia agli interessi per ritardato pagamento e alle spese legali necessarie per l’accertamento del credito stesso. Nonostante però la disponibilità delle imprese che hanno accettato di sobbarcarsi costi aggiuntivi - disponibilità magari forzata al fine di non soccombere - la Regione e il Commissario continuano a procedere con tempi troppo lunghi. Al momento, malgrado i protocolli d’intesa sottoscritti (finalmente) dalle associazioni di categoria tra Giugno e Agosto 2012 - fatta eccezione per le case di cura dove la definizione dei crediti pregressi è più avanzata - ancora non emergono risvolti pratici e le certificazioni vanno sempre più a rilento. Il territorio della provincia di Salerno rappresenta per i pagamenti una eccezione positiva rispetto alle altre ASL della Campania: grazie infatti al decisivo intervento del commissario per la ASL Salerno dottor Maurizio Bortoletti e agli accordi Imprese-ASL con lui siglati, e che hanno visto il loro compimento anche per il 2013 dall’attuale Direttore Generale Antonio Squillante, stiamo ricevendo i pagamenti correnti con regolarità e quelli pregressi secondo gli accordi che, come detto, risentono dei ritardi di matrice regionale. Eppure la situazione è tutt’altro che rosea, anzi. Le definizioni di cui parlavo non tengono in alcun conto del contenzioso tra ASL e imprese, anche se spesso si tratta di Decreti ingiuntivi passati in giudicato e quindi certi. In merito, infatti, nessuna iniziativa concreta è stata assunta dalla Regione-Commissario e/o dalle ASL . La delicata situazione finanziaria, cui si aggiungono non chiare disposizioni normative, mette in difficoltà le imprese del settore che saranno costrette o alla chiusura o, nel migliore dei casi, ad un ridimensionamento del personale. Come noto in questa tipologia di impresa il costo del personale costituisce il 60-70% dei costi. L’altro aspetto che va considerato rispetto al debito delle ASL nei confronti dei soggetti erogatori è che le stesse hanno accumulato questa mole di debiti pur ricevendo regolarmente le rimesse dai Ministeri. Viene da chiedersi allora come siano state utilizzate le risorse nel tempo…una domanda che ad oggi rimane ancora senza risposta.

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PRIMO PIANO

L’ESPERIENZA DELLE IMPRESE IL CASO UNIPLAN SOFTWARE: «VANTIAMO UN CREDITO DI ALMENO 100.000 EURO»

Salvatore Prete, A mministratore UniPlan Software srl, nella foto ci racconta la sua “infelice” esperienza, purtroppo comune a quella di tanti altri imprenditori: «Abbiamo presentato e ricevuto approvato un progetto di ricerca e sviluppo nell’anno 2003. Ad oggi manca ancora la liquidazione dell’ultima somma relativa al collaudo del progetto. Proprio in relazione al collaudo, vorrei testimoniare come si sono svolte le cose: l’esperto scientifico nominato dal Ministero ha impiegato “appena” 12 mesi per inviare la sua relazione conclusiva a seguito della verifica fatta presso di noi, avvenuta nel maggio del 2011. Successivamente, nel giugno del 2012 dopo numerosi solleciti sullo stato della nostra pratica, abbiamo appreso che due uffici del Ministero della Ricerca stavano dibattendo su chi dovesse richiedere il certificato antimafia in capo alla nostra azienda. Intanto che si decidevano, è scaduta la rata semestrale che la nostra azienda paga al Ministero per la restituzione delle quote di credito agevolato già ricevute per lo stesso progetto. La rata ammonta a circa 30.000 euro. Allora, visto che aspettavamo la liquidazione dell’ultima somma del progetto, abbiamo chiesto ai dirigenti di poter fare una compensazione tra quanto dovevamo restituire e quello che dovevamo ancora ricevere. Ci è stato risposto che avrebbero chiesto informazioni ad Equitalia. La risposta non è mai arrivata ma, intanto, visto che di fatto risultavamo morosi, non ci avrebbero erogato il saldo del progetto. Ci siamo quindi svenati per pagare la rata. Credete forse che, a questo punto, ci sia stato pagato il saldo? Ebbene, se lo credete siete in clamoroso errore, perché a settembre 2012 stavano ancora litigando su chi dovesse fare questa richiesta di antimafia a nome nostro (giacché dall’anno scorso non è più possibile fare da soli queste richieste: rientra nello snellimento della Pubblica Amministrazione!). Alla fine, dopo la nostra ennesima lettera hanno deciso che l’antimafia doveva richiederlo la banca, ente gestore della pratica. A novembre 2012 la decisione, a dicembre la richiesta a noi di informazioni per procedere, a gennaio 2013 la richiesta di antimafia alla prefettura di Salerno. Il certificato antimafia è arrivato la settimana scorsa alla banca che lo ha a sua volta inviato a mezzo mail al Ministero. Ora staremo a vedere. In generale, poiché lavoriamo prevalentemente con la Pubblica Amministrazione abbiamo oggi un credito di almeno 100.000 euro. Se avessimo questi soldi nelle nostre casse non avremmo alcuna difficoltà. Ogni mese, invece, dobbiamo combattere per pagare stipendi e contributi. Guai, infatti, a non avere il DURC in regola: la PA non ci pagherebbe!

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NECESSARIE LE MODIFICHE AL DECRETO SUI PAGAMENTI

ALESSANDRO SACRESTANO

TAX CONSULTANT PROGETTO ARCADIA SRL

Se anche lo Stato comincia a negoziare su quanto e come deve pagare i debiti di fornitura legittimamente vantati dalle imprese, il collasso sociale è inevitabile

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o ha detto Squinzi nel corso dell’Assemblea pubblica di Confindustria; la base associativa lo ha condiviso ma, soprattutto, sono le imprese a chiederlo. Razionalizzare i processi di pagamento a favore delle imprese da parte della Pubblica Amministrazione è una necessità dovuta non solo dal generale momento di crisi – che imporrebbe allo Stato di non aggravare la condizione di insofferente liquidità che vessa le imprese del nostro tessuto imprenditoriale. La questione in ballo è molto più delicata. É in discussione, infatti, un complesso criterio di compliance fra Stato e cittadini, che rischia di innescare – a seconda dei punti di vista – reazioni da un lato violente e dall’altro di totale disaffezione alla res publica. É fuori discussione che il nostro apparato tributario sia fra quelli più vessatori al mondo; poco male, se non fosse che il ritorno dei molti balzelli che corrispondiamo è di discutibile qualità. Tuttavia, a dispetto di ciò, siamo fra le Nazioni con un sistema di riscossione (gestito da Equitalia) fra i più efficienti. Nulla di sbagliato in ciò, se, però, anche il sistema di lotta all’evasione – per stanare quelli che non dichiarano e non pagano nulla – fosse altrettanto efficiente (pagare tutti per pagare meno). Lo Stato latita nel sostegno alle imprese. Il nostro è un Paese che non sa gestire le agevolazioni per la nascita e lo sviluppo delle nuove imprese: ne concede poche e quelle che elargisce le distribuisce male e con effetti per nulla virtuosi. Ogni anno la banca mondiale redige una classifica (doing business) che incolonna le economie più virtuose nel promuovere la nascita di nuove imprese. Nel 2013 l’Italia ha leggermente risalito la china, ma siamo ancora al settantatreesimo posto, dietro il Ruanda (sic !) e, soprattutto, fanalino di coda fra le economie europee (peggio di noi solo Grecia e Malta). É l’insieme di questi fattori che preoccupa. Se anche lo Stato comincia a negoziare su quanto e come deve pagare i debiti di fornitura legittimamente vantati dalle imprese, il collasso sociale è inevitabile. Vanno, quindi, concluse nel più breve tempo possibile le modifiche al decreto sui pagamenti, orientandole nel senso che segue: - il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti dovrà assumere una consistenza sempre più rilevante; se non interviene la garanzia della CDP, infatti, la banche saranno meno invogliate ad “acquistare” i crediti delle imprese; - allentare il Patto di Stabilità; vanno eliminate le sanzioni per gli Enti meno virtuosi, altrimenti si rischia di innescare un circolo vizioso nei pagamenti che non farà che complicare la situazione; - promuovere la convenzione con l’ABI; le somme provenienti dal pagamento dei debiti dovrebbero favorire la costituzione di un castelletto a favore delle imprese; - i criteri di certificazione del credito dovrebbero divenire più snelli; - anticipare la cosiddetta Fase 2 del provvedimento; il Governo dovrebbe potersi impegnare ad anticipare al 2014 il pagamento dei debiti eccedenti i 40 miliardi del plafond del decreto allo studio, nei limiti degli interventi che potranno essere delineati dalla prossima legge di stabilità. Occorre fare subito ma, ovviamente, è necessario che il tutto venga fatto nel migliore dei modi. Il pericolo, lo ripetiamo, non è un crollo dell’economia, ma un crollo della fiducia verso le istituzioni (a Roma è andato a votare un cittadino su due), che non promette nulla di buono.


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ARZANO: «LE IMPRESE SONO IN SERIA DIFFICOLTÀ»

GUIDO ARZANO PRESIDENTE CAMERA DI COMMERCIO SALERNO

di Raffaella Venerando

Si registra un calo strutturale delle piccole e piccolissime imprese, per lo più le ditte individuali, in termini sia di aumento delle cessazioni, sia di minore natalità. Questi numeri se incroc iati con gli indicatori relativi al tasso di disoccupazione, alla crescita delle ore di cassa integrazione e agli indicatori

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residente, poche settimane fa sono state rese note le performance dell’economia salernitana nel primo trimestre 2013. Quali scenari delineano i numeri rilevati? I dati relativi alla dinamica imprenditoriale del primo trimestre mostrano una decrescita perfettamente identica a quanto rilevato dodici mesi fa, pertanto siamo indotti a considerare la frenata “fisiologica”, considerato che nei primi mesi di ogni anno si procede ad aggiornare il registro delle imprese con le richieste di cessazione presentate entro il 31 dicembre, storicamente sempre più numerose rispetto ad altri periodi. Andando poi ad approfondire l’analisi circa i settori, rileviamo che i comparti del commercio, dell’agricoltura e del turismo presentano la concentrazione più alta sia in termini di cancellazioni che di nuove iscrizioni. Quello del commercio è un dato da leggere con grande attenzione perché, essendo il settore con minori barriere all’ingresso, storicamente presenta una maggiore dinamicità che, in prima battuta, può indurci ad un cauto ottimismo circa una possibile ripresa. Tuttavia, se riflettiamo sulle ragioni, non possiamo nascondere il timore, se non il sospetto, che, in qualche caso, questa briosità possa celare operazioni finanziarie con immissione di capitali di provenienza sospetta. Registriamo altresì un calo strutturale delle piccole e piccolissime imprese, per lo più le ditte individuali, sia in termini di aumento delle cessazioni, sia in termini di minore natalità. Questi numeri se incrociati con gli indicatori relativi al tasso di disoccupazione, alla crescita delle ore di cassa integrazione

e agli indicatori macroeconomici, rendono comprensibile che, al di là delle cifre e delle dinamiche di tipo generale, c’è un tessuto imprenditoriale in sofferenza e in molti casi in seria difficoltà. Per quali settori il vento comincia a tornare favorevole e per quali altri invece la ripresa è ancora lontana? L’agricoltura - e più in generale la filiera dell’agroalimentare - pur tra mille difficoltà, continua ad essere il settore su cui si sorregge buona parte dell’economia provinciale, cui si aggiunge il turismo che fortunatamente gode di un vantaggio competitivo di base rappresentato dall’attrattività delle nostre bellezze storiche, ambientali e paesaggistiche ma per il quale occorre senz’altro effettuare ulteriori investimenti in termini di dotazione infrastrutturale, di riqualificazione dell’offerta e di destagionalizzazione se vogliamo che questo diventi il settore su cui possa basarsi buona parte del Prodotto Interno Lordo provinciale. Di converso, il manifatturiero e l’edilizia purtroppo continuano a segnare il passo nonostante gli sforzi che la Camera di Commercio di Salerno insieme ad altri attori istituzionali del territorio mettono in campo con iniziative di marketing territoriale, ovvero progetti di innovazione e trasferimento tecnologico. La bilancia commerciale fa registrare dati incoraggianti per la nostra provincia? L’export resta positivo? Il 2012 ha fatto segnare, tra i pochi indicatori positivi, performance interessati per quanto concerne l’export provinciale soprat-


L’OPINIONE tutto per i prodotti ortofrutticoli freschi e, più in generale, per l’agroalimentare con numeri sensibilmente superiori alla media nazionale e regionale. Riteniamo che buoni indicatori non si registrino per caso, specie in un periodo di congiuntura sfavorevole come quello in atto da qualche anno. In tal senso, va riconosciuto alla classe imprenditoriale il coraggio con cui, spesso con scarsi mezzi, affronta quotidianamente e lodevolmente le sfide che la globalizzazione impone. Qualche merito per tali performance credo sia dovuto anche agli investimenti che da alcuni anni vengono effettuati nel campo dell’internazionalizzazione, come ad esempio attraverso la qualificata partecipazione alle più importanti manifestazioni espositive, oppure grazie alla rete estera del Sistema camerale che vede Intertrade recitare il ruolo di casello d’ingresso verso numerosi circuiti nazionali e internazionali e usufruire dei molteplici servizi disponibili per tutte le imprese che intendono affacciarsi per la prima volta o consolidare le performance oltre frontiera. Banca-Impresa: qual è ad oggi il rapporto con il mondo del credito per le imprese salernitane? Quello del difficile accesso al credito cui si accompagna l’alto costo del denaro costituisce uno dei più pesanti elementi di diseconomia che le imprese della provincia di Salerno scontano rispetto alle aziende che insistono in altre realtà. La Camera di Commercio di Salerno in questo momento congiunturalmente difficile, caratterizzato dal perdurare della debolezza dell’economia reale indotta dalla turbolenza dei mercati finanziari, ha posto in essere un complesso di interventi di immediata e diretta applicazione a favore delle imprese realizzati prioritariamente attraverso il sistema dei Confidi, per

investimenti di medio lungo periodo e per l’abbattimento del costo del denaro. Altra linea di intervento mira a ricostruire il deteriorato rapporto banca-impresa su basi di rispetto reciproco, al fine di sostenere le aziende con maggiori potenzialità a fare il salto di qualità, favorendo i processi di ristrutturazione aziendale, la crescita dimensionale, l’innovazione di prodotto e processo, con un conseguente arricchimento per l’intero tessuto imprenditoriale locale. Infine, l’Ente camerale, insieme ad altre 19 consorelle ha aderito al Consorzio Camerale per il Credito e la Finanza che, in virtù di un accordo con il Ministero dello Sviluppo Economico ha reso possibile attivare alcune sezioni speciali del Fondo centrale di garanzia per l’internazionalizzazione delle pmi. Per quanto concerne le opportunità di creazione d’impresa offerte dalla Camera di Commercio ritiene che queste siano sufficientemente conosciute dai cittadini? E quanto vengono sfruttate concretamente? Per fornire risposte alla mancanza di opportunità di lavoro e alla precarietà che storicamente caratterizza il nostro territorio, l’attuale consiliatura, con il rilancio delle attività di Polaris, si è posta l’obiettivo di sostenere la cultura d’impresa e di diffonderla tra imprenditori e aspiranti tali. Con il progetto “Salerno Attiva”, in particolare, s’intende realizzare un centro per la promozione delle imprese, a disposizione degli imprenditori locali e di quanti desiderano avviare una propria attività sul territorio. Tra le attività principali ricordiamo la formazione, il coaching, come fare un piano finanziario e, successivamente, cercare finanziamenti oppure sviluppare le competenze di cui l’imprenditore o l’aspirante imprenditore ha bisogno.

L’IMPRENDITORIA FEMMINILE IN PROVINCIA DI SALERNO: MONITORAGGIO E DINAMICHE EVOLUTIVE DELLE DITTE INDIVIDUALI Il Comitato Imprenditoria Femminile (Cif) della Camera di Commercio di Salerno in collaborazione con il Dipartimento di Studi e Ricerche Aziendali dell’Università degli Studi di Salerno ha condotto un’indagine presso un campione di ditte individuali “femminili” della provincia, al fine di completare il quadro conoscitivo della realtà imprenditoriale femminile con quanto già rilevato nel 2011 per le società. Dall’analisi si evince che al III trimestre del 2012 le imprese individuali femminili attive in provincia di Salerno risultano essere 19.721 su un totale di 72.367 imprese della medesima natura giuridica, con un incidenza pari al 27,2%. Il dato è in linea con la numerosità rilevata a livello regionale (28,9%) e nazionale (25,7%). Relativamente alla consistenza numerica, dal raffronto tra 2009 e 2012 emerge una variazione negativa delle sole ditte individuali mentre le altre forme giuridiche presentano tutte saldi positivi. É ipotizzabile che, fermo restando un effetto congiunturale legato alla crisi economica che fagocita soprattutto le piccolissime strutture, l’orientamento dell’imprenditoria salernitana è sempre più spostato verso forme giuridiche maggiormente strutturate e stabili. L’universo delle ditte individuali femminili in provincia di Salerno comprende per la 11


maggior parte imprese di micro dimensioni, come confermato dai dati relativi al numero di addetti impiegati che, in Campania nel 99,6% dei casi risultano inferiori a 10 per ditta. La provincia di Salerno con 19.659 unità è seconda solo a quella di Napoli (30.822 unità) in termini di numerosità di ditte rosa con meno di 10 addetti. Dalla distribuzione dei 158 comuni del salernitano in cinque aree territoriali, si osserva che il maggior numero di imprese individuali di donne si concentra nel Vallo di Diano-Cilento (5.620 unità), di cui il 7% nel comune di Agropoli. Segue a ruota la Piana del Sele (4.567 unità), ove spicca il comune di Battipaglia (17,8%). Dall’analisi della distribuzione delle imprese femminili salernitane per natura giuridica e settore di attività, si osserva che le ditte individuali operano in massima parte nel commercio (7.656 unità) e nell’agricoltura (5.915 unità). Parimenti, il commercio rappresenta il settore con la più alta presenza femminile anche in riferimento alle società di persone (1.190 unità) e di capitale (752 unità). La sanità e l’assistenza sociale, invece, accolgono il maggior numero di ditte rosa appartenenti alla categoria delle forme giuridiche residuali (100 unità). Nel periodo che va dal III trimestre 2011 al III trimestre 2012, si osserva che la più consistente diminuzione del numero di ditte attive ha interessato il settore primario (agricoltura, silvicoltura e pesca: -7,1%). Segue il settore secondario (-1,4%) con un calo di presenze nelle attività manifatturiere per il -2,4%. Si nota, tuttavia, un aumento delle imprese individuali femminili operanti nelle costruzioni (3,1%), attività a prevalenza maschile. Un settore in controtendenza è quello terziario (2,5%) con il 50% in più di ditte femminili attive nella fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata. Concentrando l’attenzione sulle imprese individuali attive dell’artigianato campano, al III trimestre 2012 quelle a conduzione femminile risultano pari al 16,4% delle ditte artigiane complessive. Questo in sintesi quanto si evince dall’analisi condotta presso le imprese individuali femminili della provincia di Salerno, presentata dal presidente del Cif Bianca Lettieri e dalla professoressa Vittoria Marino dell’Università degli Studi di Salerno.

CASSANDRA: «MASSIMA PRIORITÀ ALLA SICUREZZA»

GIANLUIGI CASSANDRA PRESIDENTE CONSORZIO ASI SALERNO

di Raffaella Venerando

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residente Cassandra, tra i compiti prioritari del Consorzio vi è la dotazione di una buona rete di infrastrutture e di un articolato e soddisfacente sistema di servizi per le imprese che insistono

negli insediamenti produttivi. In merito a queste due voci, qual è il livello di performance del comprensorio salernitano? In termini macro, l’indice di infrastrutturazione della regione Campania è piutto-


sto alto in relazione al resto del Paese. Nel 2010 la Regione Campania aveva 32,5 Km di rete autostradale per 1.000Kmq di superficie territoriale, rispetto alla media nazionale pari a 22,1 e alla media del Mezzogiorno pari a 17,2, quarta dopo Liguria, Valle D’Aosta ed Abruzzo. Nel 2011, invece, la nostra regione aveva 8,2 Km di rete ferroviaria ogni 100 Kmq di superficie (in crescita costante dai 7,3 del 1998), seconda regione in Italia dopo la Liguria, rispetto alla media nazionale di 5,5 e del Mezzogiorno di 4,7. Il porto di Salerno risulta 13° nella classifica nazionale dei principali porti italiani secondo il traffico merci in container. Negli ultimi anni i forti investimenti nelle reti TEN-T, i corridoi trans europei, che vedono la provincia di Salerno attraversata dal corridoio 1 Berlino- Reggio Calabria, si sono concretizzati in un sostanziale incremento infrastrutturale sia su gomma, sia su ferro, che ha potenziato in modo rilevante la competitività dell’area salernitana. Permane l’inspiegabile lacuna della mobilità aeroportuale, determinata dal mancato decollo dell’aeroporto di Pontecagnano, che rappresenterebbe un vettore strutturale nell’incremento ulteriore delle potenzialità dell’area salernitana. Riteniamo fondamentali i passi recentemente compiuti da Provincia e Camera di Commercio relativamente all’implementazione dell’aeroporto. Per noi è essenziale avere uno scalo con capacità di trasporto sia commerciale che passeggeri. Quanto alle infrastrutture di diretta competenza Asi, premesso che, per quanto riguarda l’esistente sarebbe auspicabile la costituzione in tempi brevi di consorzi di gestione con gli imprenditori, stiamo dando priorità alla sicurezza, come richiesto dagli stessi imprenditori, e abbiamo già emanato il bando per l’impianto di videosorveglianza per le aree di Buccino e Palomonte. Costante è il lavoro per garantire la piena funzionalità delle reti al servizio delle imprese. Allargando l’orizzonte è da ricordare la collaborazione con l’Università di Salerno sul fronte della ricerca e dell’attivazione di spin off con le imprese insediate nelle nostre aree industriali. Un consorzio Asi può svolgere bene la propria mission a condizione di porsi “in rete” con gli altri soggetti pubblici e privati coinvolti nei processi di crescita industriale. Come sono le relazioni con gli altri attori dello sviluppo? In generale registriamo atteggiamenti di collaborazione e disponibilità. Esemplare è il lavoro svolto in collaborazione con Confindustria per la modifica dei regolamenti Asi, un adeguamento normativo da tempo atteso dagli imprenditori che chiedevano sburocratizzazione e tempi più celeri. Con Regione, Provincia e Comuni interessati stiamo lavorando alacremente per la rideterminazione delle aree Asi all’interno del Ptcp, Piano Territoriale di Coordinamento della provincia di Salerno. È stato di recente licenziato dalla Commissione Attività

NEL COMPRENSORIO SALERNITANO PERMANE L’INSPIEGABILE LACUNA DELLA MOBILITÀ AEROPORTUALE, DETERMINATA DAL MANCATO DECOLLO DELL’AEROPORTO DI PONTECAGNANO, CHE RAPPRESENTEREBBE UN VETTORE STRUTTURALE NELL’INCREMENTO ULTERIORE DELLE POTENZIALITÀ DELL’AREA

produttive il testo della nuova legge sulle Aree di Sviluppo Industriale in Campania, la proposta di legge che disciplina le funzioni, le attività e il funzionamento dei Consorzi di sviluppo industriale della Regione sostituirà la legge regionale n. 16 del 13 agosto 1998. Quali saranno i principali cambiamenti ed effetti? Premesso che legge regionale è stata approvata solo in Commissione attività produttive e, dunque, potrebbe subire modifiche all’esame dell’aula, leggo con favore che sia rimasto l’impianto che prevede il carattere provinciale dei Consorzi così da tutelare le specificità dei singoli territori. Inoltre ritengo apprezzabile, in ottica di riduzione delle spese, la riduzione del numero dei componenti del Comitato Direttivo. Al di là della crisi ad ampio spettro che ha investito l’economia e, in generale, il sistema manifatturiero, che cosa impedisce, a suo modo di vedere, di ridare slancio alla industrializzazione della provincia di Salerno e cosa potrebbe invece essere di sostegno già nel breve termine? Accanto a quanto già evidenziato in termini infrastrutturali e di servizi, certamente è condivisibile l’approccio proposto dalla Commissione Europea per rilanciare l’economia e la competitività delle realtà diverse dell’Unione, ovvero l’approccio cosiddetto “Smart Specialisation”. Secondo questo approccio, è importante che ogni realtà produttiva locale identifichi una propria vision di sviluppo, non necessariamente basata su filiere high-tech, ma sicuramente basata sul know-how e sull’expertise specifica del tessuto produttivo e imprenditoriale, nella quale poter disporre di un vantaggio competitivo rispetto ad altre realtà territoriali, non soltanto in termini di produzione di beni ma anche di servizi. Su questa vision andranno impostate le politiche di concentrazione delle risorse e di aggancio agli attori della formazione della conoscenza, quali università e centri di ricerca. Bisogna tenere anche presente che i fondi strutturali del prossimo periodo programmatorio rispecchieranno questa logica, e dunque nell’immediato futuro bisognerà attivarsi per intraprendere un percorso ambizioso. 13


DETASSAZIONE DEGLI STIPENDI: L’ACCORDO TRA CONFINDUSTRIA E I SINDACATI

A CURA DELLA REDAZIONE COSTOZERO

Grazie all’accordo i lavoratori percepiranno una retribuzione netta superiore rispetto al passato e ciò consentirà loro di godere di una maggiore capacità di acquisto e di spesa

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l 9 maggio scorso, Mauro Maccauro Presidente di Confindustria Salerno, Franco Petraglia Segretario Generale CGIL Salerno, Matteo Buono Segretario Generale CISL Salerno, Gerardo Pirone Segretario Generale UIL Salerno e Franco Bisogno Segretario Generale UGL Salerno hanno sottoscritto un importante accordo volto a consentire l’applicazione delle norme sulla detassazione. L’intesa consente all’universo delle imprese associate a Confindustria Salerno di applicare, per l’anno 2013, l’agevolazione fiscale a beneficio dei lavoratori che si avvantaggeranno di una minore tassazione sul trattamento economico percepito sulle componenti della retribuzione legate alla produttività. Grazie all’accordo i lavoratori percepiranno una retribuzione netta superiore rispetto al passato e ciò consentirà loro di godere di una maggiore capacità di acquisto e di spesa. Confindustria Salerno, CGIL, CISL, UIL e UGL hanno dato pronta attuazione ad un protocollo definito a livello nazionale, fornendo tempestivamente ad aziende e lavoratori uno strumento operativo che, nel rispetto dei disposti legislativi in tema, permette un miglioramento delle condizioni retributive a parità di costi aziendali. «Grazie a questo accordo – ha affermato il Presidente di Confindustria Salerno Mauro Maccauro – si intende incentivare la produttività aziendale e ridurre il peso delle imposte sulle retribuzioni. Ciò consente un recupero del potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti, eroso dagli effetti della crisi economica e facilita la definizione e il raggiungimento di obiettivi condivisi fra impresa e lavoratori nella logica del recupero della competitività che è l’unica strada per il nostro riposizionamento sui mercati». Cgil, Cisl, Uil e Ugl di Salerno hanno espresso una valutazione pienamente positiva del testo sottoscritto. Per le Organizzazioni sindacali: «La firma dell’accordo assume, a Salerno, un significato particolare in quanto si inserisce nel quadro delle iniziative che Confindustria e le Organizzazioni Sindacali intendono a breve assumere per favorire il mantenimento dei livelli occupazionali e per contribuire a creare le condizioni per nuove opportunità di lavoro».

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CONFIINDUSTRIA SALERNO

SOSTENERE L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE SALERNITANE VOUCHER PER INCOMING OPERATORI ESTERI, PROGETTI PAESE E MISSIONI COMMERCIALI A CURA DELLA REDAZIONE COSTOZERO

Per info e approfondimenti

Assindustria Salerno Service s.r.l. Tel. 089.200810-30 Fax 089.5223007 mail: assoservice@costozero.it Rif. Monica De Carluccio

S

u proposta di Confindustria Salerno, per l’annualità 2013, la Camera di Commercio ha approvato un nuovo Regolamento che disciplina l’erogazione di Contributi a fondo perduto (voucher), a parziale rimborso delle spese sostenute dall’azienda per la partecipazione agli eventi inseriti nel programma estero realizzato da Intertrade, Azienda Speciale camerale per l’Internazionalizzazione. Il programma si articola su tre misure: A: INCOMING; B: PROGETTO PAESE; C: MISSIONI. Per ciascuna misura è fissato un numero massimo di voucher erogabili, nei limiti delle risorse complessive stanziate e disponibili. Di seguito, la scheda di sintesi delle iniziative. Sul portale Costozero.it sarà reso disponibile un periodico aggiornamento sugli eventi in avvio e relativa modulistica per aderire.

PROGRAMMA ATTIVITÀ “Sostenere l’internazionalizzazione delle imprese salernitane” INCOMING - MISURA A (importo stanziato disponibile: € 22.000,00) Le iniziative verranno definite dal CdA di Intertrade nell’ambito delle attività promozionali del Sistema Camerale sul territorio nazionale extraprovinciale. Al momento sono confermate: Paese

Periodo

Settore

Quota iscrizione

Valore unitario voucher

Africa del NordSub-sahariana Turchia

17/19 giugno

edilizia-infrastrutture

€ 600,00

€ 500,00

2/4 ottobre

multisettoriale

€ 600,00

€ 500,00

PROGETTO PAESE - MISURA B (importo stanziato disponibile: € 18.000,00) Paese

Settore

Quota iscrizione

Valore unitario voucher

Voucher erogabili

Da scegliere tra Marocco, Turchia e Russia, in base alle preferenze che saranno espresse dalle aziende

Marocco e Turchia: € 2.650,00

€ 1.500,00

max. 12

multisettoriale

Russia: € 3.450,00

€ 2.000,00

max. 9

Valore unitario voucher € 1.500,00 € 1.500,00 € 1.500,00 € 1.000,00 € 1.500,00 € 1.500,00 € 1.500,00

Voucher erogabili

MISSIONI - MISURA C (importo stanziato disponibile: € 48.000,00) Paese

Periodo

Argentina EAU Giappone Messico + Colombia Nuovi Stati Indipendenti * Serbia USA

24/29 nov. 28/30 sett. 21/25 ott. 10/16 nov. autunno 13-17 ott. 2/6 dic.

Settore multisettoriale infrastrutture - sistema casa multisettoriale multisettoriale multisettoriale multisettoriale beni di consumo - ICT

Quota iscrizione € 1.850,00 € 1.850,00 € 1.850,00 € 1.850,00 € 1.850,00 € 1.850,00 € 1.850,00

max. 4 max. 4 max. 4 max. 6 max. 8 max.4 max. 4

* saranno organizzate n°2 missioni: una in definizione, l’altra già confermata per Russia/18-22 novembre/settore meccatronica.

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FORMAZIONE PER L’INTERNAZIONALIZZAZIONE

MONICA DE CARLUCCIO SERVIZI ALLE IMPRESE > CONFINDUSTRIA SALERNO

Al via i seminari specialistici a supporto dell’espansione internazionale delle imprese

Per info e approfondimenti

Assindustria Salerno Service s.r.l. Tel. 089.200810-30 Fax 089.5223007 mail: assoservice@costozero.it Via Madonna di Fatima, 194 84129 Salerno

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ella volontà di supportare e accompagnare le aziende nei percorsi di sviluppo e consolidamento sui i mercati esteri, è in avvio, presso la sede di Confindustria Salerno in via Madonna di Fatima, un articolato e ricco programma di formazione specialistica gratuita in materia di internazionalizzazione. Il piano, denominato “Seminari di Aggiornamento Professionale a supporto dell’espansione Internazionale dell’Impresa” è promosso da Confindustria Salerno, attuato da Assindustria Salerno Service srl e finanziato dalla CCIAA di Salerno. Si struttura attraverso un ciclo di incontri con consulenti ed esperti in materia, finalizzati a sviluppare e accrescere cultura e tecnica dell’internazionalizzazione, toccando diversi ambiti tematici: ripensare e pianificare le strategie di ingresso e le politiche per presidiare i mercati, arricchendo le produzioni di valore aggiunto; protezione dei marchi e dei brevetti; consegna delle merci a destino, dilazioni di pagamento e utilizzo di nuovi strumenti per il regolamento del prezzo; possibilità di creare sinergie commerciali o sfruttare i vantaggi che le normative doganali e fiscali concedono agli operatori. Il primo modulo, focalizzato su I Nuovi Scenari Competitivi: l’export Manager e le Strategie di Internazionalizzazione, prevede due incontri, e, a tal proposito, di seguito riportiamo lo schema relativo alla prima giornata, cui è possibile aderire attraverso il link indicato (la pagina contiene tutte le informazione di dettaglio sul programma del seminario):

ARGOMENTO

DOCENTE

DATA

SEDE

TARGET/ PARTECIPANTI PREVISTI

ADERISCI

Dalla Pianificazione all’operatività sui mercati esteri

Fabrizio Ceriello

5 giugno 2013 9.00 – 14.00

Confindustria Salerno Via Madonna di Fatima, 194 – 84129 SA

Imprenditori, amministratori, dirigenti, responsabili uffici, export manager di tutti i settori produttivi

http://pianificazioneoperativitamercatiesteri. eventbrite.it/


CONFIINDUSTRIA SALERNO IL CALENDARIO 2013 CON IL PROGRAMMA DELL’INTERO CICLO DI SEMINARI

MODULO

TITOLO SEMINARIO

DOCENTI

DATE E ORARI

I NUOVI SCENARI COMPETITIVI: L’EXPORT MANAGER E LE STRATEGIE DI INTERNAZIONALIZZAZIONE

Dalla Pianificazione all’operatività sui mercati esteri

Fabrizio Ceriello

5 GIUGNO 9.00-14.00

l Business Plan per l’internazionalizzazione

Aldo Corapi

4 LUGLIO 9.00-13.00/14.00-17.00

IL MARKETING INTERNAZIONALE E L’ORGANIZZAZIONE DELLE VENDITE

Dall’analisi dei mercati alla commercializzazione

Roberto Ceraudo

20 GIUGNO 9.00-13.00/14.00-17.00

Intertrade, servizi integrati per l’export

Testimonianza di Intertrade

Il marketing internazionale

Gianfranco Ardenti

18 LUGLIO 9.00-13.00/14.00-17.00 19 LUGLIO 9.00-13.00/14.00-17.00

Creazione e gestione reti distributive sui mercati esteri

GLI ASPETTI GIURIDICI E LEGALI NEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

La contrattualistica internazionale

Sara Martucciello

12 SETTEMBRE 9.00-14.00

La tutela della proprietà intellettuale

Claudia Scapicchio

26 SETTEMBRE 9.00-14.00

I TRASPORTI E LE SPEDIZIONI INTERNAZIONALI

Le regole Incoterms 2010; i trasporti e le spedizioni internazionali

Fabrizio Ceriello

11 OTTOBRE 9.00-13.00/14.00-18.00

ADEMPIMENTI DOGANALI E FISCALI NEL COMMERCIO ESTERO

Tecnica e legislazione doganale

Pierluigi Giordano e Domenico De Rosa

24 OTTOBRE 9.00-14.00

Adempimenti doganali e fiscali

Fabrizio Ceriello

7 NOVEMBRE 9.00-13.00/ 14.00-17.00

Made in ed origine preferenziale delle merci

Fabrizio Ceriello

14 NOVEMBRE 9.00-13.00/14.00-17.00

L’export credit risk Management

Domenico Del Sorbo

La gestione operativa di un credito documentario

Domenico Del Sorbo

28 NOVEMBRE 9.00-13.00/14.00-17.00 5 DICEMBRE 9.00-13.00/14.00-17.00

La nuova prassi bancaria internazionale uniforme: analisi delle novità e relativo commento

Domenico Del Sorbo

EXPORT RISK MANAGEMENT E CREDITI DOCUMENTARI

12 DICEMBRE 9.00-13.00/14.00-17.00

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YESS, BUONA LA PRIMA!

DI RAFFAELLA VENERANDO

Si è con c l u s a co n su c c e s s o l ’avven t u r a r a d io fon i c a “Y ess - You n g En trepr e n e u r Stu d ent Sa l e r n o” che ha v i s t o pro ta g on i s t i - oltre c h e diversi G I d i Co n findu s t r i a Sa lern o, i d e a t or i dell’inizi a t i v a – t a n ti p e r s on a g g i di riliev o d e l pano ra m a e co n om i c o e cultu ra l e n on s ol o salernit a n o

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i è conclusa da poche settimane la straordinaria avventura radiofonica “Yess - Young Entrepreneur Student Salerno” che ha visto protagonisti - oltre che diversi Giovani Imprenditori di Confindustria Salerno, ideatori e promotori dell’iniziativa – tanti personaggi di rilievo del panorama economico e culturale non solo salernitano. Ottimo il bilancio del progetto lungo tredici puntate – lo start è stato il 14 novembre 2012 su Unisound, la web radio dell’ateneo salernitano, successivamente “affiancata” dal canale FM di Radio Bussola - per merito senz’altro degli ospiti, ma anche dello speaker d’eccezione – Luca Iovine – che, grazie alla sua preparazione tecnica (Luca vanta anni di esperienza nel campo), – coadiuvato da menti giovani e brillanti – ha avuto la capacità di selezionare i temi giusti e trovare, puntata dopo puntata, l’idea forte per avviare un talk avvincente in studio. Varie le tematiche affrontate e scandagliate sotto i più disparati aspetti: dal turismo all’innovazione, dall’agricoltura alle infrastrutture, all’impresa al femminile all’ultima puntata dedicata all’arte. Energie diverse, formazioni e competenze differenti hanno così trovato nell’idea del Gruppo Giovani salernitano un naturale luogo di incontro e di sintesi, tanto che già si pensa a come arricchire ulteriormente questa iniziativa a partire già dal prossimo anno. È proprio Luca Iovine a svelarci qualche progetto per il futuro: «L’esperienza di Yess è stata capace di mobilitare risorse ed energie differenti, puntando soprattutto a un approccio originale e fantasioso. Stiamo pensando di organizzare un sequel dell’iniziativa che si snodi lungo diverse province e territori, così da estendere la rete di alleanze e collaborazioni senza arenarsi sui particolarismi del locale, ma anzi provando a tracciare un comune percorso di impegno, lavoro e fantasia che indichi anche strategie per uscire dalla crisi, per resistere sui mercati ma soprattutto che continui a orientare gli studenti universitari verso scelte premianti per il loro domani, favorendo un contatto diretto degli allievi con il territorio, con i suoi protagonisti e con i suoi servizi, pubblici e privati». Non ci resta che invitarvi a rimanere sintonizzati…stay tuned con Yess!


CONFIINDUSTRIA SALERNO

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IL RIASSETTO COMPLESSIVO DEL TPL, UNA RIFORMA NECESSARIA

LUCIANO IAVARONE PRESIDENTE GRUPPO TRASPORTO PERSONE CONFINDUSTRIA SALERNO

Uno dei nodi più intricati dell’economia campana è senz’altro rappresentato dal carente e farraginoso sistema di trasporto pubblico locale, in attesa da tempo di una razionalizzazione profonda e migliorativa. La situazione potrebbe subire un qualche miglioramento grazie all’affido dei servizi minimi mediante gare pubbliche. Non c’è tempo da perdere ancora anche perché se la situazione non si sblocca la Regione – già a corto di fondi - rischia di subire un ulteriore decremento dei finanziamenti statali. Luciano Iavarone e Gerardo Buonocore hanno rimarcato per noi gli aspetti salienti della complicata vicenda. 20

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residente Iavarone, il Trasporto pubblico locale (Tpl) vive momenti di profondo malessere specie perché è sempre più complicato far rientrare questo settore in un perimetro di sostenibilità economica. Manca infatti da troppo tempo un disegno organico di miglioramento della efficienza e della produttività, che affronti una volta per tutte i nodi strutturali del settore. Anche la nostra regione non può dirsi di certo al riparo da questa miopia prospettica, vero? Concordo pienamente. Fermi restando, infatti, i problemi dovuti ai tagli da parte dello Stato fattisi particolarmente aspri negli ultimi anni, quello che più mi preoccupa è la debole e ancora incerta prospettiva che interessa il settore. La riduzione di risorse ha ovviamente riguardato anche la nostra regione. Ora questo processo sembra essersi stabilizzato, nel senso che uno degli ultimi atti del Governo Monti è stata proprio la riprogrammazione futura del Trasporto pubblico locale in Italia: questa riprogrammazione in pratica si sostanzia nella richiesta alle Regioni da parte dello Stato centrale di modificare l’apporto che le stesse danno al sistema del Tpl, vale a dire che lo Stato chiede loro di non essere non più di semplici distributrici di risorse pubbliche ma di immettere nel sistema complessivo anche mezzi economici propri. Due sono in particolare le richieste che lo Stato fa alle Regioni. La prima: che venga aumentato il rapporto tra ricavi dalla vendita dei biglietti e costo del servizio - rapporto che dovrebbe attestarsi intorno al 35% - ovvero le Regioni dovranno far sì che il 35% del costo del servizio sia coperto dalla vendita dei biglietti. Qualora ciò non accadesse, qualora non fosse raggiunta questa percentuale, le Regioni dovranno comunque garantire un incremento del rapporto costo biglietto/costo servizi - rispetto all’anno precedente – dello 0.03%, migliorando questa cifra di anno in anno. La seconda cosa che il decreto governativo varato a fine anno chiede alle Regioni è un aumento del fattore di riempimento - vale a dire più passeggeri sui mezzi pubblici - non inferiore al 2,5% nel primo triennio. La mancata realizzazione di questi due obiettivi comporta delle penalità gravose, che partono da un 10% del monte complessivo delle risorse stanziate per ogni Regione e di cui è previsto un aumento del 2% ogni due anni. Questo vuole dire che la Campania - che pesa nella ricchezza del Trasporto pubblico nazionale per l’11% - deve garantire il riequilibrio del rapporto costo biglietto/costo servizi più l’aumento del fattore di riempimento, pena una riduzione delle risorse stanziate di anno in anno non inferiore al 10%. Le aziende del Tpl, chiedono a questo punto, che la Regione - per voce e conto dell’Assessore Vetrella – metta mano ad un’operazione di riequilibrio del sistema complessivo – quindi sia su gomma, sia su ferro – al fine di evitare un’ulteriore decurtazione delle risorse per gli anni a venire. Le stesse Aziende si sono dichiarate più volte disponibili a fornire all’Assessorato e ai suoi tecnici tutto il supporto necessario per agevolare e rendere più semplice la necessaria attività di riorganizzazione del settore, senza alcuna invasione di campo, naturalmente. Ad oggi, questa offerta di collaborazione, che definirei professionale, è rimasta sostanzialmente priva di riscontro.


FOCUS ON

MOBILITÀ, BUONOCORE: «ORA REGOLE E RISORSE CERTE»

GERARDO BUONOCORE COORDINATORE RAGGRUPPAMENTO REGIONALE TPL CONFINDUSTRIA CAMPANIA E VICE-PRESIDENTE REGIONALE DELL’ANAV

Definendo i costi standard ed evitando duplicazioni inutili, l’affido mediante gara potrà consentire una migliore razionalizzazione del tpl

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ra conti in rosso e licenziamenti quali sono le prospettive per il Trasporto campano? In Campania l’assessore Vetrella ha deciso finalmente di avviare la procedura per l’affidamento dei servizi minimi attraverso le gare - i cui bandi saranno avviati al più presto - per favorire la concorrenza tra gli operatori del settore. Si tratterà di gare uniche, ma organizzate per lotti provinciali; a Salerno si sta lavorando a una sorta di progetto di aggregazione per partecipare alla gara esprimendo, coese, tutte le forze del territorio. Questo, però, pone un primo problema di ordine economico: la legge nazionale stabilisce di determinare i costi standard in base di gara, legati al servizio offerto e non alla dimensione aziendale per evitare la sprerequazione a chilometri che ha visto in Campania la città di Napoli incassare anche 7 euro a km, mentre la media delle aziende private salernitane percepisce circa 1, 50 euro e il Cstp intorno ai 2 euro. Va quindi fatta un’accurata razionalizzazione del servizio di TPL, stabilendo regole e risorse certe, definendo i costi standard dei servizi minimi ed evitando duplicazioni inutili – ad esempio di orari e corse – pur mantenendo intatto il diritto di tutti i cittadini alla mobilità. La nostra Regione intende - da qui a fine anno – però mettere mano ad un ulteriore taglio del 15%, che comporterebbe un ridimensionamento del 30% del personale. Tenuto conto che negli ultimi 3 anni la Regione ha già ridotto del 38% il monte di risorse destinate al settore – si badi bene, lo Stato ha ridotto i suoi trasferimenti solo del 7% – se si prosegue sulla strada dei tagli, altre difficoltà di gestione saranno inevitabili, così come pure altri licenziamenti. Nel merito di questi aspetti, auspico una attenta riflessione da parte della Regione che già nel 2012 ha erogato 232 milioni di risorse in meno. Le aziende del tpl vivono una condizione sempre più difficile, con i costi in continuo aumento – basti citare la spesa per il carburante – con gli enti impossibilitati a riconoscere l’Istat e senza ammortizzatori sociali. Quella delle gare, quindi, potrebbe essere una prima buona soluzione. Ma che tempi sono previsti per l’avvio delle gare? Le gare dovranno divenire obbligatorie entro la fine dell’anno, pena per la Regione la possibilità da parte del Governo di mantenere gli stessi fondi. È un pericolo da scongiurare perché per le imprese di trasporto un’ulteriore decurtazione dei fondi a disposizione sarebbe il colpo di grazia letale. Per l’anno 2013, la penalità è infatti legata all’adozione del piano di riprogrammazione, mentre per gli anni successivi al raggiungimento di indicatori che riguardano: 1) la redditività della rete, ovvero il rapporto tra ricavi dalla vendita dei biglietti e costi del servizio, su base regionale, che si deve attestare almeno al 35%. Nel caso ciò non accadesse, bisogna garantire un incremento del rapporto di 0,03 rispetto all’anno precedente per valori di partenza inferiori al 20% e dello 0,02 per valori di partenza compresi tra il 20 e il 35%; 2) l’incremento dei passeggeri, su base regionale, deve attestarsi al 2,5% nel primo triennio. A partire del 2015, poi, la percentuale massima della penalità, inizialmente pari al 10% delle risorse stanziate per ogni regione, è incrementata del 2% ogni due anni. Bene quindi il riequilibrio del settore, l’eliminazione di storture e sprechi ma mi sembra stridente che la Regione non tenga conto di aver rallentato l’economia nel suo complesso tagliando così tanto le risorse per i trasporti. Invertire la rotta subito perché davvero non c’è più – per le aziende e i cittadini – tempo da perdere. 21


FREI, ABB SPA: «LA CITTÀ SMART È UNA SFIDA TECNOLOGICA E SOCIALE»

BARBARA FREI AMMINISTRATORE ABB SPA

di Raffaella Venerando

La ABB S.p.A. ha elaborato una ricerca per approfondire le opportunità offerte da un modello urbano evoluto che assicuri elevati standard di qualità della vita per la crescita personale e sociale delle persone e delle imprese, grazie all’ottimizzazione sostenibile di risorse e spazi

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ngegner Frei, la sua società - la ABB S.p.A. – ha di recente condotto una interessante ricerca sulle opportunità offerte dalle Smart Cities in Italia. Procediamo con ordine però: quando una città può essere definita smart? Quali i requisiti necessari? Sempre più spesso si sente parlare di smart city. L’espressione rischia tuttavia di restare generica e priva di una visione condivisa: significare tutto e niente. Difatti, il termine “smart” sta diventando una moda, una parola usata da addetti ai lavori per rappresentare la possibilità di una migliore qualità dei servizi. Nella nostra ricerca partiamo da un concetto di città ideale Rinascimentale: una città in cui l’armonia e la bellezza dell’architettura urbana si sposano con la lungimiranza del governo politico e la vita associata della comunità civica, in un gioco di delicati equilibri che coniuga esigenze e aspirazioni funzionali, estetiche, comunitarie. E arriviamo al nostro concetto di smart city odierna: un modello urbano che assicuri elevati standard di qualità della vita per la crescita personale e sociale delle persone e delle imprese, grazie all’ottimizzazione sostenibile di risorse e spazi. Sembra una definizione semplificata, ma contiene tanti concetti: prima di tutto la persona e la qualità della sua vita come elemento di base e metro di misura. Poi il fatto che sia necessario un modello condiviso di città, considerando concretamente il tessuto culturale, sociale e urbanistico delle città italiane. Non grandi “greenfield” come in certe esperienze di smart city all’estero, nate dal nulla in un contesto completamente modellabile, ma città con una storia, una tradizione e un’iden-

tità da rispettare e valorizzare. All’interno di questo sistema “evoluto” – ossia “smart” – quello che è importante è supportare una crescita personale e sociale di persone e imprese, con un occhio al rispetto delle risorse che utilizziamo e un occhio (ma anche più di uno) al futuro sostenibile delle nostre città. Un futuro che non è un’opzione o una scelta, ma un’evoluzione che sta già avvenendo e che non possiamo ignorare, ma cercare di governare. Se partiamo da questa visione, quindi, è chiaro come il modello cui tendere per le nostre città sia strettamente correlato al miglioramento della percezione e dell’esperienza che i cittadini hanno del loro vivere la città. I fattori trainanti di questa percezione sono oggi collegati principalmente alla mobilità, alla sicurezza e alla gestione ottimizzata e sostenibile delle risorse. L’obiettivo ultimo è quindi una migliore qualità della vita ma, nello specifico, quali potrebbero essere i benefici per la popolazione? All’interno dello studio che abbiamo realizzato in collaborazione con The European House Ambrosetti sono riportati i risultati di una ricerca che abbiamo fatto sulla popolazione delle nostre città, per capire prima di tutto che percezione hanno del concetto di smart city e soprattutto degli elementi che, nel loro vissuto, vengono valutati come prioritari per considerare una città smart. I fattori trainanti di questa percezione sono oggi collegati principalmente alla mobilità, alla sicurezza e alla gestione ottimizzata e sostenibile delle risorse. Dal nostro osservatorio tecnologico, riteniamo che l’evoluzione verso un modello più smart passi anche attraverso le


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infrastrutture innovative, soprattutto quelle legate alla gestione delle risorse energetiche, ad esempio, in quanto una smart city dovrà rispondere a quattro esigenze sociali in particolare: - la capacità dei sistemi energetici, che dovranno far fronte a un costante aumento della domanda di energia e a un processo di interazione sempre più spinto tra fornitore e utente nella fruizione dei servizi; - la sostenibilità, in grado di gestire l’integrazione di fonti energetiche alternative, soprattutto rinnovabili e di ridurre le emissioni di CO²; - l’efficienza nell’utilizzo delle risorse energetiche, che già oggi offre ampi spazi di miglioramento con tempi di ritorno degli investimenti rapidissimi; - l’affidabilità che possa mitigare i problemi di stabilità che possono essere legati all’utilizzo di fonti rinnovabili, soggette a variazioni climatiche. Ma la tecnologia, pur applicata nell’ambito di un progetto strategico di lungo periodo da sola non basta: oltre a città smart, dobbiamo puntare a costruire una cittadinanza smart. Appunto. In riferimento ai cittadini, quali cambiamenti culturali sono necessari perché si realizzi una smart city autentica? Essere un cittadino smart di una smart city secondo me richiede un forte livello di informazione, partecipazione e spirito di inclusione. I cittadini devono riconoscere in questa evoluzione un modo per dare un’impronta più personalizzata e responsabile al loro modo di vivere la città e di usufruire dei servizi di maggior qualità offerti dal sistema urbano. Le priorità della smart city devono quindi essere non solo condivisi di principio dai cittadini, ma “convissuti” nei comportamenti in modo da

generare un reale cambiamento, ponendo le basi per una vera sostenibilità del sistema. La ricerca di ABB contiene anche 7 proposte che costituiscono un piano di azione organico... Abbiamo voluto fornire un momento di riflessione per il Sistema Italia, articolando la nostra idea in punti che possono essere analizzati in dettaglio direttamente consultando il report, che è disponibile online sul nostro sito www.abb.it/smartgrid. Abbiamo articolato la nostra proposta in 7 punti, ma mi fermo solo su alcuni di questi.I passi fondamentali, in estrema sintesi, sono: 1) Definire una visione del Paese Italia e una strategia per realizzarla grazie a un progetto politico, sociale ed economico e a un sistema di governance che metta insieme gli interessi di istituzioni centrali, locali e imprese; 2) Promuovere una partnership tra pubblico e privato basata sull’innovazione che si concentri su pochi progetti ad alto potenziale innovativo; 3) Puntare sui quick-win, ossia le tecnologie già disponibili che possono accelerare il percorso verso le smart cities. Dal nostro punto di vista noi abbiamo le idee molto chiare su queste innovazioni già applicabili: efficienza energetica, automazione degli edifici, domotica, reti elettriche smart in grado di integrare e gestire anche le energie rinnovabili, emobility, sistemi di stoccaggio dell’energia, porti verdi...e potrei continuare! Quanto è “smart” oggi il nostro Paese e quanto potrà esserlo in futuro? Che cosa è necessario faccia l’Italia per diventare più smart? Sempre nel report ABB è possibile consultare una sorta di “classifica” delle città Italiane elaborata da CERTeT-Bocconi > 23


secondo dei criteri legati a tre aspetti: gestione della mobilità, gestione delle risorse e qualità della vita cittadina. Lascio a chi ci legge la possibilità di andare a consultare il report per vedere questa classifica. Quello che è importante, una volta identificate le aree di intervento, è smuovere decisioni e investimenti in una direzione comune che faccia dell’Italia una vera “smart country” dove l’evoluzione di sistema non risulti in una serie scomposta di iniziative che abbiamo definito “agopunture”, ma l’esito di una progettazione strategica, continuativa e visionaria che accompagni il Paese verso un’innovazione che è già in atto e che necessita di

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essere governata. Sempre nel nostro report abbiamo ipotizzato anche dei livelli di investimento, secondo principi di scalabilità legati anche alle priorità dettate dal momento economico che stiamo vivendo: ovviamente abbiamo anche calcolato i ritorni di questi investimenti. Le aree prioritarie sono già identificate, le tecnologie ci sono, eventuali realtà internazionali a cui ispirarsi non mancano (pur nel rispetto dell’italianità del nostro contesto): l’unica cosa che dobbiamo aggiungere è la consapevolezza che non scegliere, non investire, non proseguire su questo cammino irreversibile con consapevolezza potrebbe costare caro al Paese.


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ENERGIA

DAL CONTO ENERGIA AL CONTO TERMICO

DI VINCENZO PELLECCHIA SUSTAINABLE MANAGER

I nuovi incentivi saranno concessi per due specifiche categorie di interventi: quelli tesi all’incremento dell’efficienza energetica e quelli di piccole dimensioni relativi a impianti per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e sistemi ad alta efficienza

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n un mio articolo su “Costozero” di giugno 2012 ho trattato il tema della cosiddetta Grid Parity, intendendo con essa una condizione economica caratterizzata dalla parità o inferiorità del costo del kWh fotovoltaico con il costo del kWh prodotto da fonti convenzionali, e dove le Fonti rinnovabili saranno sempre più competitive rispetto ai combustibili fossili, specialmente in località ad alta radiazione solare, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, tali da generare una redditività sufficiente da rendere l’investimento vantaggioso anche senza incentivi statali. Negli ultimi cinque anni, è bene ricordare, i costi del kilowattora solare si sono dimezzati: nel 2007, nel pieno del secondo (maxi incentivato) Conto Energia, un impianto costava in media 7000 euro per KW di potenza e con kwh prodotto al costo dai 22 ai 42 centesimi di Euro, a seconda delle zone e quindi dell’irraggiamento solare. Nel 2011 in Italia, con una crescita eccezionale che ha raggiunto circa 13.000 MW di potenza fotovoltaica cumulata e in esercizio e con ben 340.000 unità di produzione, il prezzo medio degli impianti è sceso a 3.500 euro per KW di potenza, con costi del kilowattora dai 12 ai 22 centesimi. In un quinquennio giusto la metà e con previsione, a breve, di 2.000 euro per ogni KW installato (oggi abbiamo oltre 500.000 impianti installati con oltre 17.177 MW). Il quinto conto energia è al capolinea, manca poco al raggiungimento della soglia dei 6,7 miliardi di spesa annua, che precederà di un mese la fine degli incentivi. Le detrazioni fiscali del 50%, utilizzabili unicamente per i piccoli impianti residenziali, sono con-

fermate solo fino al 30 giugno, dopo di che torneranno al 36%. Insomma, come previsto con qualche settimana di anticipo dalla partenza del quinto conto energia datato 27 agosto 2012, il fotovoltaico in Italia dovrà, molto probabilmente, fare i conti in assenza di benefici sia in termini di incentivi sulla produzione, sia di fiscalità di vantaggio. I ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente hanno deciso, con il Decreto Ministeriale del 28 dicembre 2012, di stanziare 900 milioni di euro per il sostegno ad interventi di efficientamento energetico e alla installazione di impianti con fonte rinnovabile di tipo termico, ma stavolta il finanziamento è in conto capitale, sulla base di alcuni parametri (tipo ed entità dell’intervento, soggetto richiedente) e del costo iniziale, comprensivo degli studi di fattibilità e di capacità energetica preliminare e di verifica a posteriori; siamo quindi all’alba del cosiddetto Conto Termico. Il contributo viene liquidato in tempi brevi (da 2 a 5 anni per il 40% in conto capitale), direttamente dal GSE, che ha messo a disposizione degli utenti alcune pagine web per l’informazione, mentre nella defiscalizzazione del 50% il contributo, anche se più consistente (contro il 40% del Conto Termico) viene detratto dalle imposte nell’arco di 10 anni. Stando al regolamento del conto termico, potranno accedere agli incentivi previsti due specifiche categorie di interventi: interventi di incremento dell’efficienza energetica; interventi di piccole dimensioni relativi a impianti per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e sistemi ad alta > 27


efficienza. Si noti come i soggetti pubblici possono aderire ad entrambi gli interventi, mentre privati hanno la possibilità di accedere agli incentivi per la sola parte impiantistica della seconda tipologia di interventi. Le detrazioni fiscali del 50% risultano quindi anche più con-

venienti degli incentivi ridotti del quinto Conto Energia; si ricorda però, come detto, che questo tipo di agevolazione è valido fino al 30 giugno 2013 (come ristrutturazioni edilizie), che erano del 36%, sono state portate al 50%, per poi, salvo ripensamenti, ritornare al 36%.

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SRM: «È AL SUD IL 62% DELLE ENERGIE RINNOVABILI» DI ALESSANDRO PANARO RESPONSABILE INFRASTRUTTURE SRM

Le energie alternative rinnovabili contribuiscono in modo significativo alla creazione di nuovi posti di lavoro: alcune stime mostrano circa 100mila addetti al settore in Italia, di cui 25mila nelle biomasse, 10mila nell’eolico, poco meno di 6mila nel fotovoltaico

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l Sud è l’area del Paese con il maggior potenziale di energie alternative rinnovabili (eolico, solare, biomasse e biogas) : è, infatti, nelle regioni meridionali che si concentra quasi il 62% della potenza installata. Attualmente la quota di energia rinnovabile sul consumo per regione è del 14,3% in Campania, del 18,1% in Puglia, del 30,2% in Basilicata, del 36,9% in Calabria, del 10,5% in Sicilia. Le energie alternative rinnovabili contribuiscono in modo significativo alla creazione di nuovi posti di lavoro: alcune stime mostrano circa 100mila addetti al settore in Italia, di cui 25mila nelle biomasse, 10mila nell’eolico, poco meno di 6mila nel fotovoltaico. Tra le regioni meridionali Puglia, Sicilia e Campania registrano le percentuali di produzione energetica verde più significative: la Puglia il 17,7%, la Sicilia il 13,2%, la Campania l’8,9%. In particolare, in Puglia si producono le maggiori quantità di energie rinnovabili, sia nel solare che nell’eolico e nelle bioe-

nergie. Questi i risultati più significativi a cui giunge una ricerca sul tema “Energie rinnovabili e territorio. Scenari economici, analisi del territorio e finanza per lo sviluppo”, realizzata da SRM e Svimez. Di seguito sono illustrate le principali statistiche e le linee di policy della ricerca. IL “VENTO” L’energia eolica è prodotta per il 98% nel Mezzogiorno (26% in Puglia, 22% in Sicilia, 18% in Campania). Foggia è la prima provincia italiana per potenza eolica. Nel comparto eolico su 487 impianti in Italia, 410 sono nelle regioni meridionali, di cui 31 in Calabria, 76 in Campania, 134 in Puglia, 28 in Basilicata e 62 in Sicilia. Autorevoli stime danno un’occupazione totale al 2020 di circa 47mila unità, tra diretti, oltre 13.200, e indiretti, poco meno di 33.700. Di questi, 11.700 in Puglia – oggi nella regione gli addetti sono meno di 7mila – 8.738 in Campania – oggi sono 4.704 – 7.537 in Sicilia – oggi sono 3.980 – 4.484 in Calabria – oggi sono 2.509 –


ENERGIA 2.675 in Basilicata – oggi sono 1.892, più di 6330 in Sardegna, oggi sono 2.500, 3.167 in Abruzzo, che attualmente ha 1.444 addetti, e, infine, circa 2300 in Molise, oggi sono 1.495. IL “SOLE” Su circa 178mila impianti in Italia, 43.366 sono al Sud, di cui 9.284 in Sicilia (pari al 21,4% di quelli meridionali), 10.973 in Puglia (pari al 25,3%), 4.539 in Campania (pari al 10,5%), 4.114 in Calabria (pari al 9,5%), più di 1.814 in Basilicata (pari al 4,2%), 8.323 in Sardegna (pari al 19,2%), 604 in Molise (pari all’1,4%), 3.715 in Abruzzo (pari all’8,6%). La potenza installata nelle regioni meridionali supera il 35% del totale nazionale. Nel settore fotovoltaico la ricerca contiene un’interessante analisi su base comunale, volta ad individuare i Poli Fotovoltaici delle regioni meridionali, vale a dire i nuclei di concentrazione dell’energia solare in termini di potenza installata e numero di impianti; a titolo di esempio in Campania spiccano i numeri dei Comuni di Giugliano, Napoli, Nola e Pomigliano; in Puglia, invece, Bari, Monopoli, Turi e Gravina di Puglia. BIOENERGIE Per le Biomasse liquide, solide e biogas, sul totale di circa 670 impianti in Italia, 97 sono nel Mezzogiorno, di cui 25 in Puglia, 22 in Campania, 12 in Calabria, 11 in Sicilia, 5 in Basilicata, 12 in Sardegna, 7 in Abruzzo e 3 in Molise. La potenza installata al Sud è pari al 32% del totale nazionale. Anche questo è un settore dove servono norme più chiare e dove va definita meglio la strategia di sviluppo. GEOTERMIA Le aree italiane con la maggiore ricchezza geotermica sono nel Mezzogiorno, lungo il Tirreno meridionale, in Campania, Sicilia, in un’enorme area off shore che va dalle coste campane alle isole Eolie e, in misura minore, in Sardegna e in Puglia. La geotermia può diventare una grande opportunità per l’economia meridionale. Perché a livello mondiale ha una potenzialità di sviluppo pari a circa tre volte quella del solare e a dieci volte quella dell’eolico. Inoltre, può offrire, diversamente dalle altre fonti rinnovabili, una produzione continua e costante e una elevata versatilità di dimensione di impianto; gli investimenti in energia geotermica hanno un ritorno in 5 anni; è l’unica fonte energetica presente in Italia in quantità molto maggiore degli altri paesi europei, eccetto l’Islanda. E infine la maggior parte delle tecnologie necessarie per produrla sono made in Italy. Attualmente in Italia è sfruttata solo in Toscana, con 33 im-

pianti tra Pisa, Siena e Grosseto. La Campania è la regione col maggior potenziale geotermico nazionale, grazie in particolare ai Campi Flegrei e ad Ischia, seguita dalla Sicilia dove c’è l’isola di Vulcano. Lo studio SRM analizza altresì le dinamiche evolutive di un settore strategico per lo sviluppo del nostro Paese, soprattutto in una visione europea e mondiale, considerando gli obiettivi di efficienza energetica e fonti rinnovabili fissati al 20-20-20 per i Paesi membri dell’UE. Solare, Eolico, Bioenergie, Geotermia sono infatti tra le fonti pulite su cui l’Italia sta investendo e deve continuare ad investire per garantire crescita, occupazione ma anche innovazione e internazionalizzazione. La ricerca richiama alla forte necessità di puntare su questo comparto anche in virtù della strategia del nostro Paese che ha avuto una “sterzata” naturale verso le rinnovabili anche in virtù dei risultati del referendum che hanno avuto esito negativo per lo sviluppo del nucleare ma non solo; le rinnovabili inoltre garantiscono la svolta ambientale di cui ha bisogno il nostro paese che “soffre” della dipendenza dall’import delle, pur importanti, fonti fossili. La ricerca sulla green economy vuole incoraggiare lo sviluppo di un sistema energetico competitivo, sottolineando il ruolo chiave che può e deve svolgere il Mezzogiorno in quanto territorio capofila in Italia per la grande disponibilità di risorse, sia su scala internazionale nel campo delle infrastrutture di trasmissione, sia a livello di sistemi produttivi locali. LE RISORSE FINANZIARIE Ingenti sono le risorse finanziarie comunitarie previste per le energie pulite dal POIN-Energia 2007-2013 per le rinnovabili nel Mezzogiorno; sono previsti fondi per un totale di circa 780 milioni di euro; il totale dei POR 2007-2013 per le regioni del Sud (intese come Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia) ammontano invece a oltre 950 milioni di Euro. LE LINEE DI POLICY • Definire un piano puntuale di sviluppo energetico di medio-lungo periodo; • Individuare una strategia sui sistemi di incentivazione volta a dare una maggiore certezza sui fondi disponibili e che sia burocraticamente più sostenibile; • Razionalizzare le competenze pubbliche dati i numerosi enti competenti in materia; • Semplificare e omogeneizzare le procedure amministrative per l’installazione degli impianti; • Rendere maggiormente efficiente ed efficace l’utilizzo e la fruizione dei fondi comunitari; • Sensibilizzare maggiormente imprese e consumatori all’efficienza e al risparmio energetico. 29


DANNO DA RITARDO DELLA P.A. LA DINAMICA “TEMPO” È ESSENZIALE E VA RISPETTATA

LUIGI M. D’ANGIOLELLA AVVOCATO AMMINISTRATIVISTA studiodangiolella@tin.it

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ostituisce tema di grande interesse, che coinvolge la vita di ogni cittadino e di ogni impresa, quello relativo al ritardo della Pubblica Amministrazione nel provvedere a fronte della presentazione di un’istanza. La celerità dell’azione amministrativa, in aderenza ai dettami comunitari, è certamente espressione della migliore realizzazione dell’interesse pubblico e della maggiore tutela dell’interesse privato. La legge 69/2009 ha introdotto nel corpo della legge 241/1990 l’art. 2-bis, secondo cui le pubbliche amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno da ritardata conclusione del procedimento amministrativo, qualora il ritardo sia ascrivibile almeno a titolo di colpa. Con tale norma è stata positivizzata la responsabilità del danno da ritardo, che dalla interpretazione letterale va ad inquadrarsi come extracontrattuale. Il danneggiato, dunque, deve provare tutti gli elementi costitutivi delle relativa domanda, ossia oltre al danno, l’elemento soggettivo del dolo o della colpa e il nesso di causalità tra danno ed evento. La prescrizione è quinquennale, e non è richiesto un particolare sforzo probatorio per rilevare la sussistenza dell’elemento soggettivo, poiché possono, secondo la giurisprudenza, operare le regole di comune esperienza e la presunzione semplice di cui all’art. 2727; spetterà alla P.A. dimostrare la sussistenza dell’errore scusabile. Ad integrare la disciplina è intervenuto il Codice del Processo Amministrativo che all’art. 30, prevede che nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circo-

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stanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti. É dunque richiesta anche al cittadino che si duole del danno di provare che ha usato tutta la diligenza possibile per evitare il ritardo in primis sollecitando che la P.A. provveda. La giurisprudenza, sia pure con titubanze conservatrici, ritiene in maggioranza che vi sia la risarcibilità del danno da ritardo come danno del tutto autonomo alla spettanza effettiva del bene delle vita (danno da mero ritardo) fino a spingersi addirittura, in una pronuncia esemplare, a riconoscere anche il risarcimento del danno biologico (C.d.S. 28.02.2011, n. 1271); tale pronuncia, riconoscendo il danno da ritardo nel rilascio di un permesso di costruire, ha chiarito che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento. È ben possibile, infatti, che il privato, o l’impresa, trascorso un ampio lasso di tempo, non abbiano più interesse alla pronuncia della P.A., indipendentemente dal contenuto favorevole o sfavorevole del provvedimento; e possibile, poi, che nelle more dell’adozione del provvedimento finale il privato abbia rinunciato a delle opportunità favorevoli, magari avrebbe potuto investire diversamente dei capitali. Tale pregiudizio va senz’altro risarcito, poichè anche il tempo è, ormai, diventato un bene della vita.


DIRITTO E IMPRESA

LA TUTELA DEL PATRIMONIO

MARCO DE GIORGIS CONSULENTE PATRIMONIALE INDIPENDENTE > LIFE PLANNER info@studiodegiorgis.it

Se si vuole che sia realmente efficace, questa deve essere posta quando non esistono pregiudizi sui beni

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a pianificazione finanziaria della gestione del proprio patrimonio pone il problema della tutela dei propri beni, vale a dire della protezione del patrimonio personale da eventi che potrebbero distruggerlo. Nessuno è esente da questi rischi. Avete mai pensato a quali responsabilità ha l’amministratore di una società? O, più semplicemente a quali responsabilità ha un padre di famiglia? Facciamo qualche esempio. L’Art. 28 della Costituzione dice che: «I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti». L’Art. 2476 C.C., invece, che «Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società», e poi: «L’introduzione, nelle S.r.l., della possibilità spettante a ciascun socio, indipendentemente dalla quota di capitale sociale sottoscritto, di promuovere azioni di responsabilità nei confronti degli Amministratori». Il Decreto Legislativo 81/2008 definisce «le responsabilità del committente nella sicurezza del cantiere, dove committente viene definito come il soggetto per conto del quale l’intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione». Vale a dire che un banale lavoro di tinteggiatura nella propria abitazione genera una responsabilità del committente. Avere una responsabilità significa doverne rispondere con i propri beni, presenti e futuri. E se il patrimonio viene distrutto, è evidente che non si potrà raggiungere nessun obiettivo. Esistono alcu-

ni strumenti, legalmente riconosciuti, a tutela del patrimonio o degli eredi (per citarne alcuni, fondo patrimoniale, trust, vincoli di destinazione), il cui utilizzo - singolo o combinato - è strettamente legato alle persone da tutelare e alle loro esigenze. In un ambito di planning complessivo, è necessario quindi valutare se esistono dei rischi per il patrimonio e quanto questi siano probabili per utilizzare gli strumenti più adatti alla protezione della famiglia. Non è compito del “life planner” costituire trust o fondi patrimoniali (lo fa il notaio), ma è fondamentale capire di cosa il cliente ha bisogno e in quale misura per poter indicare le soluzioni più efficaci, sempre considerando il patrimonio nel suo insieme. Il notaio annota quello che il cliente dice di fare, nel rispetto della legge, ma non sa, perché non ne conosce tutti gli aspetti, se quello che egli decide è veramente adatto alla sua situazione. É necessaria anche l’assistenza di chi, come un consulente patrimoniale, ha chiaro il quadro complessivo e gli obiettivi della vita della persona, e non ha prodotti da vendere. C’è un punto fondamentale, poi, che è meglio chiarire da subito. Se vogliamo che la tutela sia realmente efficace, questa deve essere posta quando non esistono pregiudizi sul patrimonio. Mi spiego: un pregiudizio è, ad esempio, un debito verso un fornitore, un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, un danno causato ad un terzo. Se noi siamo a conoscenza di un qualsiasi elemento che possa (a ragione o a torto) minacciare il nostro patrimonio, siamo in presenza di un pregiudizio. Se esiste questo pregiudizio, qualsiasi strumento a protezione può essere revocato, > 31


a discrezione del giudice. I presupposti dell’azione revocatoria sono oggettivi (esistenza del credito e pregiudizio alle ragioni del creditore), e soggettivi (conoscenza del pregiudizio da parte del debitore e, nei casi di atti a titolo oneroso, anche da parte del terzo). Se una persona sa o sospetta di essere creditore di un’altra persona, o ente, o azienda e compie degli atti (non necessariamente fraudolenti o consapevoli) che possono rendere più difficile la soddisfazione del creditore, questi possono essere revocati. Un esempio chiarirà meglio: Nestore, mio debitore, ha un unico bene - una casa - che vende a Ulrico. Ulrico, che può essere anche la moglie, il figlio, o una persona che è d’accordo col debitore (quindi in questo caso c’è fraudolenza), sa che la vendita viene fatta per far sì che Nestore risulti nullatenente e quindi io non riceva più nulla e Nestore non sia costretto a perdere il suo bene. Ora, se io creditore non riuscissi a revocare la vendita, mi troverei con un pugno di mosche in mano. Con l’azione revocatoria viene revocato l’atto di compravendita e quindi io credi-

tore potrò, per ipotesi, iscrivere ipoteca su quella casa del mio debitore e, successivamente, chiederne la vendita ricevendone il ricavato fino alla concorrenza del mio credito. Chiariamo anche il concetto di responsabilità. L’art. 2043 del vigente C.C. dice: «Qualunque fatto, doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno». L’art. 2740 inoltre recita: «Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabilite dalla legge» e che «Il patrimonio del debitore è la garanzia del creditore». È estremamente importante, quindi, pensare a porre in atto i rimedi per tutelare un patrimonio prima che sorga, anche solo all’orizzonte, qualsiasi possibile creditore. Esistono strumenti per la tutela del patrimonio, anche se sono scarsamente usati in Italia. Sono il fondo patrimoniale, il trust, i vincoli di destinazione, il contratto fiduciario, le polizze vita. Li vedremo meglio nel prossimo contributo.

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IL CONCORDATO PREVENTIVO “IN BIANCO” O “PRE-CONCORDATO”

MAURIZIO GALARDO AVVOCATO STUDIO LEGALE GALARDO&VENTURIELLO info@galardoventuriello.it

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on l’art. 33 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 è stato inserito nel testo dell’articolo 161 della legge fallimentare R.D. 267/1942 e succ. modd. e integr. un nuovo comma 6, con il quale è stato introdotto quello che la prassi ha denominato in vario modo “concordato con riserva” o “concordato in bianco” o anche “ pre-concordato” nel quale, con l’intento di favorire ulteriormente il salvataggio dell’impresa in difficoltà, si prevede adesso che l’imprenditore possa depositare il ricorso contenente la

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domanda di concordato, unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare successivamente la proposta, il piano e la documentazione, di cui ai commi secondo e terzo, entro un termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni, e prorogabile in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni. Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, l’imprenditore in stato di crisi può depositare il ricorso per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei


DIRITTO E IMPRESA debiti ai sensi dell’articolo 182-bis, primo comma. In mancanza, si applica l’articolo 162 commi 2 e 3 l. fall. ai sensi del quale se il Tribunale, all’esito del procedimento, verifica che non ricorrono i presupposti per l’ammissione alla procedura di concordato (art. 160, commi 1 e 2, e art. 161), sentito l’imprenditore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo dichiara inammissibile la proposta di concordato. In tali casi il tribunale, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertato il presupposto soggettivo e oggettivo per far luogo alla dichiarazione d’insolvenza (art. 1 e 5 l. fall.) dichiara il fallimento del debitore. Avverso la sentenza che dichiara il fallimento è proponibile il reclamo a norma dell’articolo 18, con il quale possono farsi valere anche motivi attinenti all’ammissibilità della proposta di concordato. Dopo il deposito del ricorso e fino al decreto con cui viene dichiarata aperta la procedura di concordato preventivo (art. 163 l. fall.) il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione, previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni. Nello stesso perio-

do e a decorrere dallo stesso termine l’imprenditore può altresì compiere gli atti di ordinaria amministrazione. I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili ai sensi dell’articolo 111. Con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo, il tribunale dispone gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell’impresa, che il debitore deve assolvere sino alla scadenza del termine fissato. In caso di violazione di tali obblighi, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo. La domanda di cui al sesto comma è inammissibile quando il debitore, nei due anni precedenti, ha presentato altra domanda di concordato con riserva (concordato o bianco o pre-concordato) alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Fermo quanto disposto dall’articolo 22, comma 1, quando pende il procedimento per la dichiarazione di fallimento il termine di cui al sesto comma è di sessanta giorni, prorogabili, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.

GIUSTIZIA CIVILE E ATTIVITÀ D’IMPRESA LE PROPOSTE DEI “SAGGI” E QUELLE DI CONFINDUSTRIA MARCO MARINARO AVVOCATO CASSAZIONISTA MEMBRO ABF ROMA

S

ono trascorsi soltanto pochi mesi dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima, per eccesso di delega legislativa, l’obbligatorietà della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, ma il dibattito che coinvolge più in generale i temi della giustizia civile era apparso rapidamente destinato all’oblio a fronte dei gravi problemi posti dalla stringente crisi economica tanto da essere passato del tutto inosservato nella contesa politica pre e post elettorale. E invero, nei programmi delle diverse coalizioni, i

temi della giustizia civile e, soprattutto, delle possibili soluzioni connesse a strumenti e procedure alternativi alla giustizia ordinaria aveva trovato solo sporadici e sbiaditi cenni quasi a confermare, da un lato, il superamento del dibattito sulla mediazione obbligatoria e, dall’altro, la subalternità della crisi del sistema giustizia ai temi economici. Molti così sono rimasti stupiti il 12 aprile 2013 quando i “saggi” incaricati dal Presidente della Repubblica nel presentare le loro relazioni hanno posto nuovamente all’attenzione della politica tra i temi centrali e > 33


urgenti quello della giustizia civile. E sono rimasti tanto più stupiti nel ritrovare al primo posto tra le proposte su questo tema proprio «l’instaurazione effettiva di sistemi alternativi (non giudiziari) di risoluzione delle controversie, specie di minore entità, anche attraverso la previsione di forme obbligatorie di mediazione (non escluse dalla recente pronuncia della Corte costituzionale –sent. n. 272 del 2012 – che ha dichiarato illegittima una disposizione di decreto legislativo che disponeva in questo senso, ma solo per carenza di delega); questi sistemi dovrebbero essere accompagnati da effettivi incentivi per le parti e da adeguate garanzie di competenza, di imparzialità e di controllo degli organi della mediazione». Una proposta chiara che lascia riemergere un problema che richiede risposte immediate, che non possono ormai più prescindere da una complessiva riconsiderazione del sistema giustizia. Il potenziamento e la riorganizzazione della giustizia ordinaria non possono ulteriormente essere dilazionati, ma l’ampliamento dell’offerta attraverso sistemi complementari alla stessa costituisce non soltanto un’esigenza utile a rispondere all’incremento della domanda, ma ad attuare una diversificazione necessaria a fornire risposte adeguate in termini di efficacia ed efficienza. Di qui la proposta dei “saggi” che induce a riflettere non soltanto sulla mediazione e sulle sue (nuove) forme di obbligatorietà, ma sull’avvio di un sistema poliedrico di strumenti risolutivi (non giudiziari) che possano consentire di riorganizzare radicalmente l’offerta di giustizia continuando nel percorso di rinnovamento culturale avviato ormai da qualche decennio soprattutto in virtù della spinta europea che sembra destinata a dare anche a breve nuovi e decisivi impulsi nel solco già segnato. E così dopo la prima Direttiva UE n. 52/2008 in materia di

ADR (Alternative Dispute Resolution) in attuazione della quale è stato introdotto nell’ordinamento italiano per la prima volta un esteso sistema di mediazione della liti civili e commerciali, diviene sempre più imminente l’adozione di una nuova Direttiva questa volta in materia di ADR (non soltanto per la mediazione) per i consumatori (e quindi limitandone l’ambito soggettivo di applicazione). Infatti, il 12 marzo 2013 il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione in sede legislativa avente ad oggetto il testo della Direttiva che mira ad introdurre «procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie, nazionali e transfrontaliere, concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti di vendita o di servizi tra professionisti stabiliti nell’Unione e consumatori residenti nell’Unione» e ciò attraverso organismi ADR che propongano o impongano o riuniscano le parti al fine di agevolare una soluzione amichevole. Quindi un sistema destinato ai rapporti tra imprese e consumatori che offra un ampio ventaglio di opportunità extragiudiziali che comprendano procedure di tipo propriamente aggiudicativo, misto ed esclusivamente facilitativo. Si pensi ad istituti già presenti nell’ordinamento quali, ad esempio, l’arbitrato rituale, da un lato, e la mediazione, dall’altro, e ad esperienze intermedie che costituiscono vere e proprie best practices internazionali quali le negoziazioni paritetiche (per le controversie dei consumatori) e l’Arbitro Bancario Finanziario (per le liti tra consumatori e intermediari in relazione alle problematiche attinenti ai rapporti bancari). Un sentiero già percorso i cui dati statistici rassicurano consumatori e imprese collocandosi in quel solco culturale volto a risolvere le controversie in una prospettiva condivisa, utile a migliorare i rapporti tra le parti piuttosto che a reciderli. E allora ritorna alla mente il documento programmatico presentato due anni or sono all’assemblea di

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LE PROPOSTE DEI “SAGGI” PER LA GIUSTIZIA CIVILE Per la giustizia civile si propone: a) l’instaurazione effettiva di sistemi alternativi (non giudiziari) di risoluzione delle controversie, specie di minore entità, anche attraverso la previsione di forme obbligatorie di mediazione (non escluse dalla recente pronuncia della Corte costituzionale – sent. n. 272 del 2012 – che ha dichiarato illegittima una disposizione di decreto legislativo che disponeva in questo senso, ma solo per carenza di delega); questi sistemi dovrebbero essere accompagnati da effettivi incentivi per le parti e da adeguate garanzie di competenza, di imparzialità e di controllo degli organi della mediazione; b) il potenziamento delle strutture giudiziarie soprattutto per quanto attiene al personale amministrativo e paragiudiziario, sgravando i magistrati da compiti di giustizia “minore”; c) la istituzione del c.d. ufficio del processo; d) il potenziamento delle banche dati e della informatizzazione degli uffici; e) l’adozione in tutti gli uffici delle “buone pratiche” messe in atto da quelli più efficienti; f) la revisione in un quadro unitario dell’ordinamento, del reclutamento e della formazione dei giudici di pace e degli altri magistrati onorari, anche al fine di ampliarne le funzioni.

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DIRITTO E IMPRESA

“ITALIA 2015”: LE PROPOSTE DI CONFINDUSTRIA PER LA GIUSTIZIA CIVILE Per tornare a crescere occorre migliorare l’efficienza della giustizia. Ecco le proposte di Confindustria per vincere la sfida: eliminare gli incentivi ad agire in giudizio attraverso l’applicazione rigorosa della regola del loser pays; rivedere il metodo di calcolo delle tariffe degli avvocati; promuovere l’utilizzo di strumenti alternativi di risoluzione di controversie (mediazione, conciliazione, arbitrato); intervenire sull’organizzazione del sistema giudiziario accorpando i tribunali minori; completa digitalizzazione del processo; trasformare i presidenti dei tribunali in court manager; collegare le progressioni in carriera dei magistrati a indici di specializzazione e produttività; disciplinare la responsabilità professionale diretta dei magistrati. E per smaltire l’arretrato degli uffici giudiziari da viale dell’Astronomia si propongono misure straordinarie «basate anche su forme di affiancamento e collaborazione da parte di risorse interne ed esterne agli uffici e sull’accorpamento delle questioni per materia, con meccanismi premiali per i risultati conseguiti dai magistrati e dagli uffici più attivi».

Confindustria “Italia 2015. Le imprese per la modernizzazione del Paese”. Posto l’obiettivo della crescita nel periodo 20102015, Confindustria aveva individuato infatti dieci priorità: la pubblica amministrazione, la giustizia civile, le infrastrutture, l’energia e la sostenibilità, il fisco, il lavoro, la ricerca e l’innovazione, l’istruzione, il credito e la finanza, le liberalizzazioni. Particolarmente significativo era apparso (e appare tuttora) il collocare il tema della giustizia civile al secondo posto del decalogo proposto dagli imprenditori. Invero, migliorare la giustizia civile significa migliorare il sistema economico: la giustizia è il «tema centrale per la crescita economica - rilevava Confindustria - oltre che per la convivenza civile. I tempi dei processi sono irragionevolmente lunghi e questo è inaccettabile in un paese civile». Secondo Confindustria tutto ciò incide negativamente sulla fiducia dei cittadini e delle imprese rendendo eccessivamente rischiosa l’attività d’impresa. La inefficienza del sistema giudiziario civile riduce così la propensione ad investire, disincentiva la crescita delle imprese e ostacola lo sviluppo dei mercati finanziari. Le scelte di finanziamento vengono distorte e frenano gli investimenti dall’estero. E allora per tornare a crescere occorre migliorare l’efficienza della giustizia. E così tra le proposte formulate da Confindustria al terzo posto si colloca la promozione dell’utilizzo di «strumenti alternativi di risoluzione delle controversie (mediazione, conciliazione, arbitrato)». Gli imprenditori ritengono perciò che per migliorare l’efficienza del sistema della giustizia civile e, quindi, del sistema economico occorra diffondere e promuovere una nuova cultura dell’accesso alla giustizia civile. Accanto ad un processo giurisdizionale rapido ed efficiente occorre sviluppare gli strumenti di ADR e cioè quei procedimenti che, riaffermando la centralità della autonomia privata, anche nella fase della gestione della lite, possono concorrere ad una soluzione più adeguata al soddisfacimento degli interessi

delle parti. Economicità, rapidità, volontarietà costituiscono le premesse di un nuovo modo di intendere l’accesso alla giustizia civile attraverso gli ADR che corre parallelo all’indispensabile strumento giudiziale statale. E l’efficienza di quest’ultimo diviene, nella proposta degli imprenditori, il presupposto necessario per lo sviluppo degli altri. D’altronde, nei giorni in cui il Presidente della Repubblica conferiva l’incarico ai “saggi”, venivano pubblicati dalla Commissione Europea i dati sulla giustizia civile dai quali emerge con chiarezza che i giudizi civili in Italia durano più a lungo che in ogni altro Paese europeo con le sole eccezioni – assai poco confortanti – di Cipro e Malta. Questi dati evidenziano poi che l’Italia si assicura il primato assoluto in termini di giudizi pendenti in rapporto al numero di abitanti (7 giudizi pendenti ogni 100 abitanti: sette volte in più della Germania e tre volte in più della Francia). E ancora, pochi i giudici in relazione alla popolazione, meno che in ogni altro Stato dell’Unione, eccezion fatta per la sola isola di Malta, e molti avvocati (al terzo posto in termini di numero di avvocati in rapporto alla popolazione: in Italia ce ne sono 350 per ogni 100mila abitanti; al primo e al secondo posto solo Grecia e Lussemburgo). L’allarme lanciato in sede europea pone una sfida che richiede riforme rapide e condivise seguendo le indicazioni che pervengono non soltanto dai “saggi” e da Confindustria, ma da un’ampia parte degli operatori e degli utenti del sistema giustizia. E così l’auspicata riproposizione della mediazione con nuove forme di obblighi, di incentivi e di garanzie (e non in una prospettiva meramente deflattiva), e di altre e innovative procedure di ADR, postula una profonda riorganizzazione del sistema giurisdizionale, soltanto così potrà avviarsi il definitivo superamento della grave situazione di crisi nella quale si dibatte da decenni la giustizia civile italiana. 35


DALLA S.R.L. SEMPLIFICATA ALLA S.R.L. A CAPITALE RIDOTTO

GIANMATTEO NUNZIANTE STUDIO LEGALE ASSOCIATO NUNZIANTE MAGRONE

Prove tecniche per (cercare di) rimettere in moto l’economia

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C

ome noto, i governi che si sono succeduti negli ultimi 18 mesi si sono trovati alle prese con la peggiore crisi finanziaria del dopoguerra e con l’urgenza di dover fronteggiare, da un lato, il riordino dei conti pubblici e, dall’altro, il rilancio dell’economia. Si è quindi parlato, alternativamente, di provvedimenti “Salva Italia” o “Cresci Italia”: ma la sensazione diffusa è che, quantomeno sul versante crescita, si sia fatto poco (e che comunque i frutti di quel poco che si è fatto tardino a manifestarsi). L’introduzione nel nostro ordinamento della cosiddetta “S.r.l. semplificata” (Art. 3 del D.L. 24 febbraio 2012, n. 1, convertito con modificazioni, nella L. 24 marzo 2012, n. 27, che ha introdotto l’art. 2463 bis cod. civ. in tema – appunto - di società a responsabilità limitata semplificata), così come la previsione di incentivi e agevolazioni per le “Start-up innovative” (La nozione di “Start-up innovativa”, così come quella di “Incubatore di start-up innovativa” è stata introdotta dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in L. 18 dicembre 2012, n. 221), guardano a quella parte della società – i giovani – che più patisce le conseguenze della recessione e verso cui, non senza contraddittorietà, si nutre una qualche aspettativa per uscire dalla crisi. Ed invero, per poter usufruire della S.r.l. semplificata, i soci non devono aver raggiunto la soglia dei 35 anni; mentre per le Start-up, il “requisito generazionale” è per lo più implicito, dovendosi trattare di società neo-costituite (con non più di 4

anni di vita) e che operino nello sviluppo, nella produzione e nella commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico (ambito congeniale, appunto, ai più freschi di studi come sembrerebbe dimostrare anche l’attenzione riservata da talune università agli “Incubatori di start-up innovative”). Ma le norme introdotte hanno davvero colto nel segno?Partiamo dalla fatidica soglia dei 35 anni. Che si tratti di un limite inderogabile e al contempo qualificante è inequivocabile, tant’è che l’art. 2463 bis cod.civ. (che reca, appunto, la nuova disciplina delle S.r.l. semplificate) prevede espressamente il divieto di cessione delle quote a soci non aventi i requisiti di età, pena la nullità dell’atto (nulla è detto espressamente per il caso di operazioni societarie - aumenti di capitale, fusioni, scissioni, etc. - che comportino l’ingresso di nuovi soci over 35, anche se, operando per via analogica, si dovrebbe propendere, anche in questo caso, per il divieto delle stesse. In senso conforme si veda la Massima del Consiglio Notarile di Milano n. 128 del 5 marzo 2013. Per contro, il trasferimento per successione mortis causa – nel silenzio della norma – dovrebbe ritenersi ammissibile). Inoltre, appare ormai assodato che il requisito dei 35 anni debba sussistere, in capo ai soci, soltanto alla data della costituzione: a dispetto di chi ha inizialmente ipotizzato, per i soci che superino la soglia dei 35 in un momento successivo alla costituzione, recessi, esclusioni ex lege e,


SOCIETÀ nei casi estremi, la trasformazione automatica della società. Sennonché, il governo ha ritenuto che la soglia – così come prevista - rischiava di mortificare sul nascere la valenza competitiva della misura appena introdotta: ed invero lo stesso governo rilevava che «la sola rimozione del vincolo anagrafico consentirebbe di uniformarsi al benchmark dei nostri competitors UE, garantendo un avanzamento di ben 6 posti nella classifica generale (n.d.r: elaborata dalla World Bank), con conseguenti effetti – diretti e indiretti – sulle dinamiche economico produttive». Di qui l’introduzione nel nostro ordinamento di un ulteriore modello - la cosiddetta “S.r.l. a capitale ridotto” – per quelle società costituite da persone fisiche che abbiano compiuto i 35 anni alla data della costituzione. Con il che, per eliminare un limite (rispetto agli over 35) se ne è introdotto un altro (per gli under 35, cui l’accesso alla S.r.l. a capitale ridotto era, inizialmente, precluso): finché il tutto è stato risolto, in sede di conversione, grazie all’aggiunta, all’art. 44, del comma 4 bis, che - implicitamente – apre le porte della S.r.l. a capitale ridotto anche agli under 35, prevedendo per questi ultimi – nel caso di esercizio dell’attività imprenditoriale in forma di S.r.l. a capitale ridotto – un accesso “agevolato” al credito (tutto da vedere). All’esito di questo laborioso percorso legislativo, a fianco della originaria S.r.l. codicistica (che chiameremo, per distinguerla dalle altre, “S.r.l. ordinaria”) abbiamo oggi, quindi, (i) la S.r.l. semplificata (con soli soci che, all’atto della costituzione, siano under 35) e (ii) la S.r.l. a capitale ridotto (con soci di qualsiasi età, salvo accesso agevolato al credito in caso di soci under 35). Le differenze tra i due nuovi tipi di S.r.l. non si limitano ovviamente al dato anagrafico dei soci: se entrambe, infatti, possono avere un capitale sociale inferiore a quello previsto per la S.r.l. ordinaria (e quindi pari ad almeno 1 euro ed inferiore a 10.000 euro), le strade si divaricano su altri, non secondari, aspetti. Infatti, mentre per la S.r.l. semplificata è prevista una pressoché totale esenzione dai normali costi di costituzione (dagli onorari del notaio ai diritti di bollo e di segreteria), accompagnata dall’obbligo di adottare un atto costitutivo standard (tipizzato con decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico), la S.r.l. a capitale ridotto sembrerebbe dover seguire l’ordinario corso. La tipizzazione dell’atto costitutivo assicura l’esenzione dal pagamento degli onorari notarili: tuttavia le parti, secondo una recente interpretazione del Ministero dello Sviluppo Economico, rimangono libere di integrare il modello standard, investendo «il professionista del compito di modulare il negozio secondo le esigenze proprie dell’attività d’impresa che si intende svolgere» (Circolare 2 gennaio 2013, n. 3657/C - prot. N. 33 - del Ministero dello Sviluppo Eco-

nomico. In senso conforme si veda anche la Massima del Consiglio Notarile di Milano n. 127 del 5 marzo 2013) e pagando i relativi onorari. Sfugge a questo punto la ragione per cui una S.r.l. a capitale ridotto che dovesse scegliere di adottare l’atto costitutivo standard non possa altresì accedere ai benefici previsti per le S.r.l. semplificate in materia di esenzione dai costi di costituzione: tanto più che il discrimine tra l’un tipo e l’altro di società non può essere ricondotto sic et simpliciter al dato anagrafico, visto che – come si è visto – anche la S.r.l. a capitale ridotto può essere costituita da soci under 35. Sia per la S.r.l. semplificata che per quella a capitale ridotto i soci possono essere solo persone fisiche, il capitale sociale deve essere interamente versato alla data di costituzione, i conferimenti devono farsi esclusivamente in denaro (non sono consentiti conferimenti in natura) e devono essere versati all’organo amministrativo (non in banca, come previsto per la S.r.l. ordinaria): quanto agli amministratori, mentre per le S.r.l. semplificate questi devono essere scelti tra i soci, nel caso di S.r.l. a capitale ridotto, ove l’atto costitutivo lo preveda, l’amministrazione può essere affidata a persone fisiche diverse dai soci. In definitiva, quindi, il vero – e pressoché unico – vantaggio derivante dalla costituzione di una S.r.l. semplificata o a capitale ridotto risiede proprio nella possibilità di “partire” anche solo con un capitale sociale di 1 euro (cui si aggiunge, per le sole S.r.l. semplificate, l’esenzione dai costi di costituzione) lungo un percorso idealmente tracciato dal legislatore che dovrebbe portare – al maturare dei presupposti – alla trasformazione in S.r.l. ordinaria. Non si tratta, se si guarda fuori dall’Italia, di una vera “novità”: anzi, come si è visto, il Governo – spinto dalla prospettiva di guadagnare posizioni nella speciale classifica della World Bank – pare essersi ispirato, almeno in parte, alle esperienze di altri Paesi. In Germania, ad esempio, già dal 2008 è possibile costituire le cd. Unternehmergesellschaft, società con caratteristiche analoghe alle nostre S.r.l. semplificate, salvo il fatto che non sussiste alcun limite anagrafico. Nel Regno Unito una private limited liability company, con capitale sociale anche solo di 1 GBP, si costituisce in un solo giorno. I costi di costituzione sono minimi – 40/100 GBP – ed il processo può essere completato online. Inoltre, in presenza di investimenti fatti in società di nuova costituzione poco patrimonializzate e con pochi dipendenti, dall’aprile 2012 – grazie al Seed Enterprise Investment Scheme – si può usufruire di un regime fiscale agevolato. In Albania, che non è ancora parte dell’Unione Europea, già nel 2008 è stata introdotta la possibilità di costituire una Shoqëri me përgjegjëesi të kufizuar (analoga alla nostra S.r.l.) con un capitale sociale pari a 100 Lek (meno di > 37


1 euro): e il tempo di costituzione è pari ad un giorno. In altri Paesi dove non è (ancora) presente l’opzione “capitale ridotto”, sono state comunque adottate misure a vario titolo rivolte ai giovani. Ad esempio, in Spagna – dove la figura più vicina a quelle qui in esame è la “Sociedad Limitada Nueva Empresa”, per la quale sono previsti un modello standard di statuto ed una procedura semplificata di costituzione - oltre a prevedersi sgravi fiscali di varia natura per le attività imprenditoriali avviate a partire dal 2013, si è intervenuti sui contributi previdenziali riducendone l’onere per l’azienda che assuma personale under 30, così come si è consentito di conservare il sussidio di disoccupazione durante la fase di avvio di una nuova attività imprenditoriale (con evidente senso della realtà). In Turchia, infine, sono previsti incentivi di varia natura per i giovani che avviino un’attività imprenditoriale, calibrati a seconda delle regioni di appartenenza.

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Sorprende pertanto che per dare luce ad una “riforma” relativamente modesta – e con importanti precedenti nel panorama globale - si sia seguito un iter così tortuoso e incerto. La S.r.l. a capitale ridotto, come si è detto, è stata introdotta grazie ad un tardivo ripensamento rispetto al limite anagrafico (e gli effetti che questo produceva in termini di competitività del Paese): e, come tutte le “toppe” che si rispettino, la riuscita è peggiore del buco che si voleva coprire. La sua disciplina, infatti, si sovrappone in parte a quella della S.r.l. semplificata: salvo discostarsene per alcuni

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aspetti senza apparente ragione. Meglio sarebbe stato, allora, se piuttosto che creare un ibrido ad hoc, si fosse intervenuti direttamente sulla disciplina della S.r.l. semplificata, appena introdotta, eliminando tout court i limiti di età (o, eventualmente, introducendo in quella medesima sede delle differenziazioni legate all’età): e invero questo era, almeno inizialmente, l’intendimento del governo. Se poi le agevolazioni faciliteranno il proliferare incontrollato di microimprese sottocapitalizzate e – per ciò stesso - con accesso al credito pressoché precluso (in assenza di misure volte ad agevolarne l’accesso), gli effetti – a lungo andare e dopo un’iniziale euforia – non potranno che essere depressivi. I benefici derivanti dall’introduzione delle nuove fattispecie non si possono misurare, infatti, (soltanto) sul numero di società neo-costituite nel breve periodo, ma sul merito delle singole iniziative imprenditoriali e sulla loro capacità di sopravvivere alla avversa congiuntura. Si è posta una certa enfasi sul fatto che al 31 dicembre 2012 fossero state costituite oltre 4.000 nuove società, tra S.r.l. semplificate e a capitale ridotto, ma il dato – astrattamente preso – non significa nulla. Occorrerà piuttosto verificare, a distanza di qualche anno, quante di queste saranno sopravvissute ed in quali condizioni. Se si guarda, poi, al dato più nel dettaglio, Salerno – dopo Roma, Napoli e Milano – risulta essere la città dove si è fatto maggior ricorso ai nuovi modelli societari: alla data del 10 aprile 2013 sono state costituite 232 S.r.l. semplificate (di cui 131 nel 2013) e 72 S.r.l. a capitale ridotto (di cui 50 nel 2013).


LAVORO Un numero significativo che contribuisce a fare della Campania – sulla carta - la regione italiana a più alta concentrazione di S.r.l. semplificate e a capitale ridotto (seguita, in questa speciale classifica, dalla Lombardia, dalla Sicilia e dalla Emilia Romagna). Quante di queste iniziative abbiano vera valenza imprenditoriale, però, lo stabilirà il mercato (ed il tempo). La sottocapitalizzazione è, del resto, una caratteristica (cronica) delle PMI italiane. Inizialmente, a dire il vero, era stato previsto che le S.r.l. semplificate imputassero a riserva indisponibile, sino a che questa unitamente al capitale sociale avesse raggiunto l’ammontare di 10.000 euro, una quota pari al 25% degli utili netti risultanti dal bilancio approvato annualmente. La previsione – che ricalca quanto previsto in Germania per le Unternehmergesellschaft – è stata poi soppressa, con ciò eliminando questa seppur minima forma di capitalizzazione forzosa (che a medio termine è comunque indispensabile se si vuole avere le risorse per innovare e competere). Scelta senz’altro opinabile e miope, che rischia in definitiva di ritorcersi contro le stesse S.r.l. semplificate o a capitale ridotto: il capitale sociale costituisce infatti la prima, tangibile, garanzia per

i fornitori/creditori sociali, i quali pertanto saranno disincentivati ad impegnarsi fintantoché la società non avrà comunque provveduto a capitalizzarsi adeguatamente. Per concludere, se si guarda a quanto già fatto in altri Paesi in tema di semplificazione societaria, l’Italia pare relegata a giocare ancora il ruolo dell’inseguitrice (e non della lepre): né la situazione di stallo (politico) in cui versa il Paese lascia presagire una progressione significativa per i prossimi, critici, mesi. Nessuna sorpresa, quindi, se continuerà la fuga dei “cervelli”, specie nella fascia dei più giovani (magari verso quei Paesi – e sono già 15 nell’Unione Europea - che hanno di recente introdotto nei loro ordinamenti misure a sostegno di R&S, si pensi a quanto accaduto, ad esempio, nel Regno Unito dove per incentivare la ripresa è stato di recente introdotto il “Patent Box Regime” che prevede un’aliquota fiscale ridotta (10%) per i proventi derivanti dallo sfruttamento della proprietà intellettuale): a fermarli, purtroppo, non sembrano sufficienti le nuove norme in tema di S.r.l. semplificate e a capitale ridotto! Per la seconda parte dell’articolo, si rimanda agli aggiornamenti disponibili sul sito www.costozero.it.

LICENZIAMENTI: QUANDO UN CAFFÈ COSTA IL POSTO MASSIMO AMBRON AVVOCATO DEL LAVORO avv.massimoambron@fastwebnet.it

L

a Corte di Cassazione sezione Lavoro, con sentenza del 28 marzo 2013 n. 7819, confermando la sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta, ha affermato la legittimità del licenziamento irrogato da un Istituto bancario al proprio dipendente nella sua qualità di cassiere, cui venivano contestati tre diversi addebiti tra cui l’allontanamento da po-

sto di lavoro per la pausa caffè. Il primo, riguardava il rifiuto del cassiere di compiere un’operazione bancaria richiesta da un cliente anche se prevista dal manuale esplicativo della banca in uso; il secondo riguardava l’allontanamento dalla propria postazione senza procedere alla chiusura della cassa lasciando incustodito il denaro con un’operazione di versamento in corso, > 39


così come il terzo addebito contestatogli riguardava sempre l’allontanamento dalla propria postazione lavorativa per recarsi al bar senza curarsi della clientela che attendeva il suo rientro. Il cassiere - impugnato il licenziamento - sostenendo tra l’altro che al momento dell’allontanamento per la pausa caffè operavano altri colleghi su più casse, con la conseguenza che la sua momentanea assenza non avrebbe inficiato o rallentato di gran lunga le operazioni, risultava vincente sia in primo, sia in secondo grado, ma la Suprema Corte cassava con rinvio la sentenza di appello. La causa, quindi, veniva riassunta e i giudici di rinvio, accogliendo le ragioni avanzate dalla Banca, si pronunciavano a favore di quest’ultima ritenendo gli episodi contestati sufficientemente gravi da integrare la giusta causa del licenziamento. Quest’ultima pronuncia veniva impugnata dal lavoratore ancora con ricorso in Cassazione, che, con la succitata sentenza ha affermato il principio secondo il quale «la giusta causa di licenziamento di un cassiere di banca, affidatario di somme anche rilevanti, deve essere apprezzata con riguardo non soltanto all’interesse patrimoniale della datrice di lavoro ma anche, sia pure indirettamente, alla potenziale

lesione dell’interesse pubblico alla sana e prudente gestione del credito. Né il rigoroso rispetto delle regole di maneggio di denaro può essere sostituito da non meglio specificate regole di buon senso, idonee ad assicurare la conservazione del denaro della banca e dei clienti››. Inoltre, non sono state accolte le ragioni poste a supporto della difesa del lavoratore circa l’esistenza di una prassi aziendale secondo la quale si consentiva agli impiegati di banca di allontanarsi dalla propria postazione di lavoro senza alcun permesso, nonché l’eccessiva severità della sanzione irrogata stante l’operatività di altre casse al momento dell’allontanamento del lavoratore. La Cassazione in commento, sul punto, ha stabilito che «la censura alla decisione impugnata di non avere tenuto conto, che al momento dell’allontanamento del B. per la pausa caffè, operavano più casse, non è decisiva perché la presenza di una pluralità di casse, delle quali non è detto se tutte in funzione, non esclude comunque che il venir meno di una cassa rallentava le operazioni delle altre sulle quali venivano dirottati i clienti in fila che comunque erano in numero cospicuo, né incide sulla valutazione della negligenza della condotta del B. espressa nella sentenza di secondo grado».

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ABOLIRE LA CASSA INTEGRAZIONE PER TORNARE A CRESCERE BRUNO MARIA CRISCUOLO MASTER OF SCIENCE ESCP EUROPE

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a riforma Monti/Fornero ha avuto il grande merito di affrontare un argomento tabù - quell’articolo 18 tanto caro ai sindacati - introducendo alcuni elementi che, nella vecchia bozza di leg-

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ge Ichino, vengono def initi f lexsecurity per ridurre la scandalosa apartheid in cui versano 12 milioni tra lavoratori dipendenti di piccole imprese, precari e “partite IVA” su carta, ma lavoratori dipenden-


LAVORO ti di fatto. Offrendo qualche protezione in più per alcuni precari ed estendendo il sussidio di disoccupazione ad alcune categorie deboli di lavoratori, la riforma aumenta i costi f iscali e contributivi del precariato, “combattendo” il fenomeno delle f inte partite IVA e rendendo più gravosi la stipula di contratti a progetto e co-co-co, oltre ad aumentare il potere discrezionale del giudice nella scelta tra indennizzo e riassunzione.

I LIMITI DELLA RIFORMA Come già sostenuto da un’ampia platea di economisti, l’incisività dei nuovi ammortizzatori sociali è piuttosto scarsa: la cassa integrazione, a spese delle aziende e non dello Stato, è discriminatoria e ineff iciente. La riforma avrebbe dovuto eliminare del tutto la cassa integrazione straordinaria e destinare le risorse ottenute all’istituzione di un sussidio di disoccupazione valido per tutti. Come ben sottolineato dagli economisti de lavoce.info, nonostante la recessione, soltanto la cassa integrazione non conosce declino: Si noti come le ore non si siano ridotte dopo la recessione del 2008-2009, nonostante le ore di Cig ordinarie siano calate in virtù della crescita delle ore di Cigs e della Cig in deroga, ulteriore strumento per gestire riduzioni di orari di lavoro. La riforma degli ammortizzatori avrebbe dovuto riordinare questi istituti, sviluppando soprattutto la Cig ordinaria che ha dimostrato di funzionare meglio. Invece rimarranno in piedi sia la Cassa integrazione straordinaria, sia quella in deroga, sebbene sotto altre spoglie. Un indizio consistente è dato dall’andamento del tasso di utilizzo delle ore di cassa integrazione autorizzate – il cosiddetto “tiraggio” – che è diminuito costantemente su base nazionale dal 2008 a oggi.

LA PROPOSTA DI TITO BOERI: SUSSIDIO DI DISOCCUPAZIONE + REDDITO MINIMO GARANTITO Il nostro Paese ha bisogno di un sistema moderno di ammortizzatori sociali basato su regole uguali per tutti. Ci vuole un sistema unico di sussidi di disoccupazione. Accessibile a tutti i lavoratori dipendenti che perdono il posto di lavoro, indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa o del settore in cui operano. Questo sistema dovrebbe sostituire tutti gli strumenti attuali di sostegno al reddito per i disoccupati (cassa integrazione, mobilità, sussidi ordinari), che potranno comunque continuare a esistere se supportati da schemi assicurativi a contribuzione volontaria, autof inanziati dalle imprese e dai lavoratori. Un’altra rivoluzione, contestuale al sussidio unico di disoccupazione, sarebbe l’introduzione del reddito minimo garantito, uno strumento eff icace per contrastare la povertà tra i lavoratori che hanno carriere discontinue o che sono senza lavoro da molto tempo. Ma anche per gli anziani poveri, i disabili e per chi li assiste, o per genitori soli che hanno f igli a carico. Come nel caso del contratto unico e del sussidio unico di disoccupazione, l’ambizione è quella di semplif icare la miriade di strumenti di sostegno esistenti introducendo un programma universale e selettivo allo stesso tempo, cioè basato su regole uguali per tutti e non limitato ad alcune categorie, come è oggi. La concessione del sussidio dovrebbe ovviamente essere subordinata al reddito e al patrimonio dei percettori. Il reddito minimo garantito sostituirebbe quindi le pensioni sociali, le integrazioni al minimo, e tutte le indennità civili, come l’assegno di assistenza, l’indennità di frequenza minori, le pensioni di inabilità e l’indennità di accompagnamento. Inoltre rimpiazzerebbe l’assistenza sociale e i programmi per disabili a carattere non contributivo.

UN’ALTRA RIVOLUZIONE, CONTESTUALE AL SUSSIDIO UNICO DI DISOCCUPAZIONE, SAREBBE L’INTRODUZIONE DEL REDDITO MINIMO GARANTITO, UNO STRUMENTO EFFICACE PER CONTRASTARE LA POVERTÀ TRA I LAVORATORI CHE HANNO CARRIERE DISCONTINUE O CHE SONO SENZA LAVORO DA MOLTO TEMPO

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TEKNÉ

L’AGENDA DIGITALE SCOMPARSA

ROBERTO TRIOLA RESPONSABILE UFFICIO STUDI CONFINDUSTRIA DIGITALE

Dopo la conversione in legge del Decreto Sviluppo-bis, che puntava soprattutto alla digitalizzazione del Paese, non è seguito alcun decreto attuativo. Tutto fermo

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el dibattito politico che contraddistingue questa fase della vita del Paese, brilla per assenza ogni riferimento alla digitalizzazione italiana. Il percorso tracciato un anno fa grazie alla spinta innovativa di Confindustria Digitale e avviato dal Governo Monti con la creazione di una cabina di regia interministeriale prima, e la conversione in legge del Decreto Sviluppo-bis poi, si è ormai fermato a metà strada, come in un grande gioco dell’oca. Evidentemente le resistenze legate alla definizione delle oltre 50 norme attuative previste dall’Agenda Digitale italiana sono ancora troppo forti e la politica rischia di lasciare in eredità alla generazione dei nativi digitali un “debito di innovazione” forse ancora più pesante del debito pubblico accumulato negli anni ’80. Prendiamo il tema dello switch off al digitale della PA. La legge 17 dicembre 2012 n.221 (il decreto “Sviluppo-bis”) ha identificato alcune prime iniziative strategiche: il nuovo documento digitale unificato (art. 1, comma 2); l’anagrafe nazionale popolazione residente (art. 2); l’archivio nazionale dei numeri civici delle strade urbane (art. 3). Nonostante i tempi previsti per l’emanazione dei decreti attuativi siano abbondantemente scaduti, dal Ministero dell’Interno, delegato a scriverli, tutto tace. L’unica notizia positiva ad oggi è venuta dall’approvazione dello Statuto dell’Agenzia per l’Italia Digitale, incaricata di promuovere la digitalizzazione del settore pubblico, che è tuttora priva però del Comitato di Indirizzo (di nomina politica). L’ingegner Ragosa, direttore della neonata agenzia, sta lavorando sodo per dare il via all’aggiornamento dei datacenter, alla revisione dell’architettura delle informazioni, alla piena interoperabilità tra le migliaia di banche dati delle pubbliche amministrazioni per evitare duplicazioni e ridondanze. Se son rose fioriranno… Anche sulle infrastrutture di nuova generazione i risultati tardano ad arrivare. L’art. 14 comma 3 prevede l’emanazione di un “Regolamento per favorire gli scavi per le infrastrutture a banda larga e ultralarga nell’intero territorio nazionale”, la cui bozza si è arenata al Ministero dei Trasporti sembra per l’opposizione dell’Anas. Eppure un quadro autorizzativo semplice e omogeneo darebbe il via alle aziende di telecomunicazione per investire oltre 4 miliardi di euro annui da qui al 2015 per l’annullamento del digital divide e lo sviluppo delle reti di Nuova Generazione a Banda Ultra Larga in vaste aree del Paese. Il Ministero dello Sviluppo Economico sta lavorando molto sull’argomento principe del decreto sviluppo-bis: la promozione delle start-up innovative. Tuttavia il decreto attuativo più importante, quello previsto all’art. 29 recante le “Modalità di attuazione degli incentivi alle startup”, è fermo per “concerto” nei cassetti dei funzionari del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Certo, senza un Governo forte sarà difficile proseguire sulla linea tracciata dal Decreto Sviluppo-bis, ma perché questo accada bisogna correggere qualche anomalia strutturale che rende difficile qualsiasi operatività. La prima è che l’Agenda Digitale risponda direttamente alla responsabilità politica del Presidente del Consiglio. La seconda è che si possa contare su finanziamenti certi e su un budget definito. Un terzo punto è che l’Agenda Digitale impari dai territori: alcune delle cose che sono nel suo disegno sono già state realizzate nelle Regioni più avanzate (il Fascicolo sanitario elettronico ad esempio). La sfida della nuova Agenzia per l’Italia Digitale sarà quella di coordinare le eccellenze digitali del Paese, mettendo a fattor comune lo sviluppo delle smart cities.


UNIVERSITÀ

DALLE BIOMASSE AL BIOGAS

GIOVANNI DE FEO DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA INDUSTRIALE (DIIN) UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO

In digestione anaerobica il contenuto energetico della matrice organica è prima convertito nel biocombustibile per mezzo della flora batterica e poi in energia elettrica e termica

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a direttiva 2001/77/CE, concernente l’incentivazione della produzione di energia da biomasse, definisce la biomassa come: «la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani». La digestione anaerobica è un processo biologico complesso che, in assenza di ossigeno, trasforma la sostanza organica in un gas (“biogas”) costituito principalmente da metano e anidride carbonica. La percentuale di metano nel biogas varia, in funzione del tipo di sostanza organica digerita e delle condizioni di processo, da un minimo del 40% fino all’80% circa. In digestione anaerobica il contenuto energetico della matrice organica è prima convertito nel biocombustibile per mezzo della flora batterica e poi in energia elettrica (EE) e termica (ET). Da 1 kWh teoricamente disponibile nella sostanza organica si ottengono 0,5-0,8 kWh come metano (rendimento di conversione biologica) e 0,12-0,32 kWh come EE + ET (rendimento di conversione meccanica). Le biomasse di scarto potenzialmente destinabili alla produzione di biogas mediante digestione anaerobica provengono dai seguenti settori: agricoltura (produzioni vegetali e animali), effluenti zootecnici, residui delle coltivazioni; industria delle conserve animali-macellazione, produzione insaccati, sottoprodotti di origine animale; preparazione vegetali per il mercato del consumo fresco, cernita e

sfridi di pulitura; industria delle conserve vegetali, trasformazione ortaggi e frutta, trasformazione olive, uva e agrumi, buccette di pomodoro, scarti di frutta, sanse di oliva, vinacce, e altri ancora. Per calcolare la quantità di biogas – e, quindi, di metano – teoricamente producibile da una biomassa occorre considerare parametri quali i solidi totali (ST), cioè i solidi che residuano dopo evaporazione del campione a 105 °C (espressi come percentuale del peso tal quale), e i solidi volatili (SV), cioè i solidi che volatilizzano quando il residuo a 105°C viene portato a 550°C (espressi come percentuale di ST). Il punto di partenza è il calcolo delle tonnellate di SV disponibili: si ottengono moltiplicando le tonnellate di biomassa disponibile per ST(%) e per SV(%ST). Il risultato del prodotto (tonnellate di SV) va moltiplicato per la resa in biogas (metri cubi di biogas/ton di SV) per arrivare ai metri cubi di biogas. Di questi solo una parte è costituita da metano (40-80%). Si consideri, ad esempio, il liquame suino come biomassa. Per esso si possono adottare un valore di ST pari a 5,35% e di SV pari a 76,12 %ST. Da 1 ton di liquame suino, pertanto, si ottengono 40,7 kg di SV, che per una resa di 500 metri cubi di biogas per ton di SV alimentati in digestione anaerobica, corrispondono a 20,4 metri cubi di biogas. I processi di digestione anaerobica sono solitamente classificati rispetto a cinque variabili principali: il regime termico; il contenuto di solidi totali nel substrato; le fasi biologiche; il tipo di alimentazione del reattore; le modali- > 43


tà di movimentazione del substrato (tipo di reattore). Per quanto attiene, ad esempio, al regime termico, tipicamente si fa riferimento alla mesofilia (35-37 °C) e alla termofilia (55 °C e oltre). Per quanto riguarda, invece, il contenuto di solidi totali (ST) del substrato in fase di digestione nel reattore, si distinguono tre tipi di processi di digestione: a umido (wet) (ST = 5-10%); a semisecco (semi-dry) (ST = 10-20%); a secco (dry) (ST ≥ 20%). Si parla di processo monostadio quando le fasi di idrolisi, fermentazione acida e metanigena avvengono contemporaneamente in un unico reattore; si parla, invece, di processo bistadio quando il substrato organico è idrolizzato e contemporaneamente avviene la fase acida in un primo stadio, mentre la fase metanigena si svolge in un secondo stadio. L’alimentazione del reattore può essere continua o discontinua. Infine, la movimentazione del substrato può essere ricondotta a un reattore continuamente miscelato (CSTR, Continuos flow Stirred Tank Reactor) o a un reattore con flusso a pistone (PFR, Plug Flow Reactor). Come già accennato, il prodotto principale del processo di digestione anaerobica è il biogas. Il sottoprodotto secondario è il residuo della biomassa, a conclusione del processo di digestione anaerobica, il cosiddetto “digestato”. Si tratta di un materiale semitrasformato palabile o pompabile. Il digestato in uscita dal processo anaerobico può essere direttamente applicato in agricoltura in maniera controllata, secondo i dettami della normativa che disciplina l’applicazione dei fanghi in agricoltura (D.Lgs. 99/92 e successive modifiche e integrazioni). Esso, infatti, va inquadrato e, pertanto, gestito come un fango. Il problema principale dell’applicazione diretta del digestato in agricoltura deriva dal fatto che esso ha un potenziale fitotossico ancora relativamente elevato, a causa della presenza di ammoniaca e della natura ancora relativamente fermentescibile della sostanza organica residua. Le principali applicazioni del digestato, pertanto, sono quelle in pieno campo, da attuare secondo i meccanismi dello spandimento controllato, previsti dalla normativa (autorizzazione al sito d’impiego, analisi del suolo pre- e post- applicazione, contingentamento delle dosi applicabili, ecc.). Il digestato può essere sottoposto a una fase di spremitura e di separazione di una parte eminentemente solida, da avviare al processo

di compostaggio, da una parte eminentemente liquida, da avviare a un impianto di depurazione di acque reflue e/o da inviare all’impianto di compostaggio, dove può essere sfruttata come acqua di processo. Il digestato sottoposto a post-compostaggio può trovare spazi di applicazione in giardinaggio, vivaistica in vaso e in terra, nella semina di prati, ecc. e, inoltre, può essere liberamente impiegato e commercializzato come “ammendante compostato” sulla base del disposto della normativa sui fertilizzanti. Le tipologie impiantistiche di digestori anaerobici si distinguono in funzione delle seguenti variabili principali: regolarità dell’alimentazione; contenuto in solidi; specializzazione dei fermentatori nelle diverse fasi di digestione; livello della temperatura. La scelta della tipologia impiantistica deve partire da un’attenta analisi delle caratteristiche della biomassa che s’intende utilizzare con prevalenza. Le principali componenti dell’impianto sono il digestore, l’alimentazione, i pretrattamenti, la miscelazione, il riscaldamento, il gasometro (stoccaggio temporaneo del biogas), i sistemi di controllo. Per il digestore, in particolare, si possono adottare soluzioni costruttive in getto di calcestruzzo in opera, con manufatti prefabbricati o in acciaio. Le principali biomasse disponibili in Campania per la produzione di biogas da digestione anaerobica sono le deiezioni animali provenienti da allevamenti zootecnici, i residui di lavorazione del settore lattiero caseario, gli scarti agroindustriali del settore conserviero, i residui di lavorazione dei frantoi, gli scarti inutilizzati dei foraggi insilati e gli scarti ortofrutticoli. Nel 2011, l’INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria) ha dato alle stampe uno studio dal titolo “Biomasse e agroenergia. Un modello di governance regionale attraverso l’analisi del caso Campania (a cura di R. Ciaravino e V. Sequino). Dall’interessante pubblicazione è possibile dedurre che sul territorio regionale campano si stima una producibilità annua di biogas di: circa 150 milioni di metri cubi da reflui (di cui il 51% è relativo a reflui bufalini, il 42% a reflui bovini e il 7% a reflui suini); oltre 600.000 metri cubi da siero di latte di bufala; oltre 4 milioni di metri cubi da buccette di pomodoro; quasi 8 milioni di metri cubi da sansa vergine; circa 200.000 metri cubi da scarti vegetali mercatali.

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LE PRINCIPALI BIOMASSE DISPONIBILI IN CAMPANIA PER LA PRODUZIONE DI BIOGAS DA DIGESTIONE ANAEROBICA SONO LE DEIEZIONI ANIMALI PROVENIENTI DA ALLEVAMENTI ZOOTECNICI, I RESIDUI DI LAVORAZIONE DEL SETTORE LATTIERO CASEARIO, GLI SCARTI AGROINDUSTRIALI DEL SETTORE CONSERVIERO, I RESIDUI DI LAVORAZIONE DEI FRANTOI, GLI SCARTI INUTILIZZATI DEI FORAGGI INSILATI E GLI SCARTI ORTOFRUTTICOLI

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RICERCA

IL CENTRO EUROPE DIRECT DEL PST DI SALERNO E AIC AVVIA IL NUOVO QUINQUENNIO DI ATTIVITÀ MIRELLA SANTORIELLO RESPONSABILE OPERATIVO CENTRO EUROPE DIRECT SALERNO E AIC msantoriello@pstsa.it

Per i prossimi cinque anni massima apertura verso nuovi partenariati locali

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e attività del nostro Centro Europe Direct sono state confermate sul territorio campano per i prossimi cinque anni. La Commissione europea ha approvato la candidatura inoltrata dal Parco Scientifico e Tecnologico di Salerno. Il Network ufficiale di informazione europea Europe Direct si conferma strumento fondamentale della Commissione nel processo di integrazione europea, ponendosi come punto di contatto locale delle Istituzioni UE, integrando e sostenendo il lavoro delle Rappresentanze e degli uffici d’informazione del Parlamento europeo a livello locale. A partire dalle iniziative che si realizzeranno nel 2013 - proclamato Anno europeo dei cittadini e che pone volutamente l’enfasi sulla necessità di una partecipazione attiva e consapevole al progetto europeo, - un tema portante delle iniziative di sensibilizzazione sarà la partecipazione al voto del 2014 per il nuovo Parlamento europeo. Di importanza non minore il tema della crescita e occupazione, con particolare riferimento alla strategia Europa 2020 e al rafforzamento dello Small Business Act, e quello della mobilità giovanile a fini di studio e lavoro, strategica per la crescita unitaria dell’Europa. Il nostro Centro opererà privilegiando una comunicazione per target, rivolgendo le proprie iniziative per lo più a pubblici specifici: imprenditori, ricercatori, funzionari pubblici, giovani e studenti. Con questo obiettivo, il quinquennio che comincia ci vedrà operare in continuità con il processo di sensibilizzazione locale finora svolto, con la consapevolezza delle esigenze territoriali rilevate in questi anni, ma anche con la forza dell´apertura a nuovi partenariati locali. Primi fra tutti, le Confindustrie e le Camere di Commercio locali, i Comuni dei nostri territori di riferimento (Salerno, Benevento e Avellino), le Scuole. In tal senso, un rapporto di stretta collaborazione si è già avviato con POLARIS - Azienda Speciale della Camera di Commercio di Salerno, che ospita da gennaio 2013 il front- office salernitano del nostro Centro, in via Fatigati n. 12. Polaris diffonde la Cultura d’Impresa e del Life long learning progettando, stimolando e realizzando processi di sviluppo imprenditoriale e di formazione delle persone e delle PMI. É interessata, pertanto, a rafforzare la dimensione europea delle proprie attività, con azioni di animazione territoriale sui temi, le strategie e le opportunità di finanziamento europeo a vantaggio dei giovani e degli imprenditori. É in corso di avvio, ad esempio, un percorso didattico-formativo sulle opportunità che l’Europa offre ai giovani e sull’importanza del Mercato Unico europeo. L’iniziativa nasce a valle di due giornate sul ventennale del Single Market tenutesi lo scorso dicembre, ed è rivolta, pertanto, agli studenti delle ultime classi delle Scuole Medie Superiori e ha l’obiettivo di educare le giovani generazioni a conoscere l’Europa e viverla come opportunità. Parimenti, anche a partire dalla nuova collocazione fisica dell’ente gestore (il Parco Scientifico e Tecnologico) che ha trasferito la propria sede salernitana in via Madonna di Fatima 194, presso la Palazzina di Confindustria, il Centro Europe Direct propone e attiva sinergie con la principale organizzazione di rappresentanza imprenditoriale in provincia di Salerno. Il Parco Scientifico è partner tecnico, ad esempio, per l’organizzazione della 7° edizione del Premio Best Practices per l’Innovazione che, nelle giornate del 6 e 7 giugno prossimi, premierà i migliori progetti e attiverà un dibattito europeo sull’innovazione.

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OLTRE L’IMU, MANCA UNA VERA POLITICA PUBBLICA PER LA CASA

LILIANA CICCARELLI AVVOCATO > DIREZIONE NAZIONALE CITTADINANZATTIVA

É possibile pensare di comprare casa senza mutuo anche da parte giovani coppie e realizzare una “concorrenza civica” al settore bancario?

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iaccia o no in Italia (e non solo) l’economia gira in buona misura intorno al mattone. La crisi del mercato immobiliare è anche una crisi di modello di crescita e di sviluppo ma le ipotesi di “conversione” sono al momento aldilà da venire e comunque ogni italiano punta sulla casa di proprietà per sé e se è possibile per i figli. Non a caso intorno al tema casa, puntando sull’abolizione prima dell’ICI poi dell’IMU sono “risorti” i destini politici di partiti e di governi. Il mercato immobiliare, sostiene l’ANCE vive uno shock senza precedenti. Il rapporto di maggio 2013 dell’Agenzia delle Entrate ha registrato un calo delle compravendite di circa il 26%. Secondo i dati Censis 2012 (Atlante della domanda immobiliare) c’è quasi un milione di famiglie in Italia che cerca di comprare casa, con tale domanda abitativa avere il mercato fermo è praticamente un suicidio ma siamo in un vicolo cieco: le banche non concedono mutui o prestiti adeguati, non c’è liquidità sufficiente per affrontare un acquisto importante, non c’è una vera politica pubblica per la casa e si naviga a vista con provvedimenti di moratoria sui mutui. Dai cicli di crisi economica si esce con proposte innovative che vanno cercate in diversi campi: politici, economici e giuridici. Guardiamoci intorno: in altri Paesi europei esistono ancora tracce di una politica pubblica per la casa. Nel Regno Unito il governo ha introdotto misure incentivanti con il pacchetto NewBuy scheme. L’alloggio deve esse-

re acquistato da un’impresa aderente al programma NewBuy scheme. L’impresa venditrice dovrà fornire un’indennità finanziaria, che si aggiungerà a quella fornita dal Governo. Il costruttore deposita il 3.5% del prezzo di vendita di ogni abitazione venduta nel contesto del NewBuy scheme in un fondo assicurativo speciale per sette anni. L’acquirente richiedente prestito avrà la possibilità di attingere a tale fondo in caso di eventuale sofferenza nel ripagare il mutuo. Il prestatore potrà attingere fino al 95% dell’importo perso. In caso di esaurimento del fondo, il Governo del Regno Unito è garante in seconda battuta con una ulteriore garanzia del 5.5% del prezzo di vendita. In Germania: i programmi più importanti per l’edilizia mirano al finanziamento del risparmio energetico. Sono finanziabili misure quali l’acquisto di terreni e costi di costruzione o di acquisto inclusi costi accessori quali spese notarili e spese delle agenzie immobiliari, tasse sul trasferimento dei terreni, e acquisto di quote in cooperative per ottenere la membership di una tale cooperativa edilizia. Il finanziamento può arrivare fino a 50.000 euro, finanziati tramite un prestito della Kf W (cassa depositi e prestiti) e può essere utilizzato anche per l’acquisto della casa che il beneficiario sta occupando in quel momento, se messa in vendita. In Italia abbiamo ottenuto un fondo di solidarietà (a maglia stretta) mutui per l’acquisto della prima casa (http://www.dt.tesoro.it /it /doc_hp /fondomutuipc.html) ma soprattutto abbiamo carriere politiche


LOBBYNG e di governo fondate sulla bacchetta magica dell’abolizione dell’IMU. Nel documento Abi-Ance presentato a maggio 2013 per il rilancio del mercato immobiliare si propone in estrema sintesi: 1. Correggere l’IMU in modo da ampliare e incentivare fiscalmente il mercato delle locazioni. 2. Perseguire l’efficienza energetica e riqualificare le città. 3. Riduzione delle imposte sui trasferimenti delle unità immobiliari. Non si affronta in maniera diretta il tema degli strumenti contrattuali “smart” che possono favorire la circolazione dei beni, forse perché si introducono sistemi concorrenziali da minare in prospettiva il ricorso a mutui o prestiti bancari? É possibile pensare di comprare casa senza mutuo anche da parte giovani coppie e realizzare una “concorrenza civica” al settore bancario? La leva della concorrenza civica può essere l’autonomia negoziale delle parti che potrebbe essere maggiormente favorita e sostenuta dallo Stato. Chi conosce e promuove da noi le formule dell’acquisto della casa tramite rent to buy oppure help to buy? É possibile già oggi comprare casa utilizzando istituti giuridici che consentono minori costi rispetto al finanziamento bancario ma che andrebbero resi più appetibili con alcuni interventi

legislativi di rafforzamento delle tutele per venditori e acquirenti ivi inclusi interventi di politica fiscale. Il rent to buy prevede che i canoni di locazione possano considerarsi (in tutto o in parte) un acconto rateale del prezzo di vendita: pagando l’affitto ci compriamo casa senza pagare gli interessi di un mutuo. Il venditore mantiene la proprietà fino al saldo pattuito. Con l’help to buy invece il trasferimento della proprietà è immediato e il venditore potrà riscattarla in caso di inadempimento dell’acquirente. Il pagamento sarà dilazionato con il versamento di una caparra e/o acconto facilitando così l’ingresso in campo di una banca per un finanziamento di minore importo. Certo i problemi non mancano a partire dalla gestione delle controversie che possono sorgere tra le parti per inadempimenti, rilascio in caso di riscatto, regime fiscale applicabile e altro però è chiaro che varrebbe la pena investire politicamente sulla ricerca di soluzioni che possano rendere più moderni e agevoli i sistemi di circolazione dei beni e di risoluzione stragiudiziale di eventuali controversie. Del resto anche i Saggi nominati da Napolitano per l’individuazione di una piattaforma condivisa di proposte politiche per la ripresa economica del Paese hanno suggerito di tornare sul tema della mediazione civile delle controversie.

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S e tto re r i c er c a , c e r tific a z i on e e v er i f i c a os s e rva to r i o d el l a s i c u r ez z a a c u ra d el l ' u r p d ipa r time n t o p r oc ess i or g a n izza t i v i

RESPONSABILITÀ SOCIALE E AUTOVALUTAZIONE DELLE PMI

FIORISA LENTISCO, ADRIANO PAPALE, PINA GALZERANO, ILARIA ROSSI DIPARTIMENTO MEDICINA DEL LAVORO ADRIANO PAPALE DIPARTIMENTO PROCESSI ORGANIZZATIVI INAIL SETTORE RICERCA CERTIFICAZIONE E VERIFICA GIOVANNI BOGANI E GIACOMO PETRINI CONSORZIO UNIVERSITARIO IN INGEGNERIA PER LA QUALITÀ E L’INNOVAZIONE

P Il monitoraggio delle buone pratiche consente l’attuazione di processi virtuosi di miglioramento

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arlare di responsabilità sociale (Corporate Social Responsability - CSR) per le moderne organizzazioni lavorative comporta investire maggiormente nel capitale umano, nell’ambiente e nelle relazioni con clienti, fornitori, lavoratori, collettività e tutte le parti interessate che entrano, a vario titolo, in rapporto con l’azienda. La responsabilità sociale, infatti, pone l’accento sul ruolo che i tre ambiti del sociale, dell’ambiente e dell’economia svolgono rispetto alla singola impresa e sull’equilibrio che l’azienda è in grado di stabilire fra questi tre ambiti. Il vantaggio derivante dall’impegno da parte delle organizzazioni lavorative su tale tematica può portare sia a maggior produttività della singola organizzazione, sia a una sua maggiore competitività rispetto alle altre organizzazioni. Con la diffusione della CSR, si registra una più ampia diffusione della “cultura dell’autovalutazione”, favorita sia dai premi qualità, sia dagli stessi standard ISO 9000, in particolare dalla ISO 9004 relativa al sistema di gestione della performance aziendale per la qualità. Nel linguaggio corrente che caratterizza i periodi storici, si assiste a una diffusione maggiore di alcuni vocaboli ed espressioni in luogo di altri: tra questi, troviamo “eccellenza” e “modelli di eccellenza”, con cui possiamo identificare quadri concettuali di riferimento per la “valutazione e il miglioramento delle organizzazioni”. INAIL-Settore Ricerca ha portato a termine e sta diffondendo un progetto di ricerca relativo alla creazione di uno strumento semplice e di facile utilizzo, denominato

“Modello di autovalutazione delle performance aziendali in ambito Responsabilità Sociale”, con cui le piccole e medie imprese possono monitorare nel tempo le loro prestazioni e maturare la consapevolezza del ruolo che esse possono svolgere in quanto “modelli socialmente responsabili”. L’utilizzo ripetuto dello strumento e l’adozione del Modello di responsabilità sociale proposto, da parte degli imprenditori, favoriscono la diffusione dei principi e dei valori tipici della CSR e quindi l’attuazione di processi virtuosi di miglioramento basati su periodiche valutazioni che possono diventare base per un confronto costruttivo sulle buone pratiche settoriali e per un loro maggiore sviluppo. Il “Modello di autovalutazione delle performance aziendali in ambito Responsabilità Sociale” è stato progettato seguendo una logica architetturale su più livelli fino a giungere alla formulazione di vere e proprie domande singole. Queste sono da considerarsi come punti chiave di riflessione rispetto ai

CON LA DIFFUSIONE DELLA CSR, SI REGISTRA UNA PIÙ AMPIA DIFFUSIONE DELLA “CULTURA DELL’AUTOVALUTAZIONE”, FAVORITA SIA DAI PREMI QUALITÀ, SIA DAGLI STESSI STANDARD ISO 9000


SICUREZZA quali l’imprenditore è chiamato a valutare il proprio contesto aziendale. Il primo livello dell’architettura del Modello prevede le seguenti tre macro dimensioni di analisi di carattere generale: 1. Governance 2. Comportamento 3. Parti interessate La scelta di strutturare in queste macro dimensioni il modello è dettata dall’esigenza di scomporre l’azienda in tre aree ben definite di analisi e rintracciabili in qualsiasi PMI, a prescindere dalla dimensione e dal settore di appartenenza. La “Governance” è intesa come sistema delle decisioni, è l’insieme di regole, espresse ad ogni livello dell’organizzazione, che disciplinano la gestione della PMI. A questa accezione il Modello ricollega anche quella di sistema di gestione, ovvero tutta la struttura organizzativa e la rete dei processi che assicurano il perseguimento degli obiettivi aziendali. Il “Comportamento” è il modo di agire e reagire di una PMI che inevitabilmente è espressione di atteggiamenti interni che si riflettono sia sulla vita di relazione interna che sulle relazioni con altri soggetti esterni. Più nel dettaglio questa macro dimensione affronta tutto ciò che riguarda le modalità con cui l’azienda gestisce le relazioni. Gli Stakeholder, o “Parti interessate”, sono intesi come gli elementi interni o esterni, generalmente portatori di interesse verso la PMI. L’azienda socialmente responsabile è quindi un’azienda che non può e non vuole prescindere dal proprio contesto sociale e territoriale e che individua il proprio obiettivo strategico nell’integrazione tra azienda, comunità e ambiente. Il modello che è risultato come prodotto finale del progetto di ricerca, fornisce un semplice strumento di autovalutazione: è sufficiente rispondere a 49 domande, con risposta dicotomica (“si” o “no”) e/o una scala di valutazione (da 1 a 5), per ottenere in meno di un’ora e in modo automatico una presentazione sintetica ed efficace degli eventuali scostamenti rispetto alla linea d’eccellenza. Ogni risposta concorre al raggiungimento del punteggio totale della dimensione analizzata. I risultati, seppur positivi, non costituiscono, tuttavia, una certificazione di eccellenza dell’azienda: in tal senso, il modello proposto tende a incoraggiare una crescita delle aziende socialmente responsabili, senza però interferire con altre pratiche di incentivazione aziendale avviate dall’Inail. Lo strumento è applicabile senza l’aiuto di intermediari; esso può anche dare occasione a un interessante confronto dialettico all’interno dell’organizzazione attraverso la comparazione delle diverse percezioni individuali. La valutazione del grado di adesione ai principi di responsabilità sociale dell’azienda risultante dall’applicazione del modello viene rappresentata automaticamente secondo modalità a grafico, con cui si rappresenta la sintesi dei valori ottenuti nelle tre macro dimensioni e, con ulteriore analisi, tra le dodici

IL “COMPORTAMENTO” È IL MODO DI AGIRE E REAGIRE DI UNA PICCOLA E MEDIA IMPRESA CHE INEVITABILMENTE È ESPRESSIONE DI ATTEGGIAMENTI INTERNI CHE SI RIFLETTONO SIA SULLA VITA DI RELAZIONE INTERNA CHE SULLE RELAZIONI CON ALTRI SOGGETTI ESTERNI. PIÙ NEL DETTAGLIO QUESTA MACRO DIMENSIONE AFFRONTA TUTTO CIÒ CHE RIGUARDA LE MODALITÀ CON CUI L’AZIENDA GESTISCE LE RELAZIONI

dimensioni del modello, costituite, rispettivamente, da: politica aziendale e suoi obiettivi; l’organizzazione dell’impresa; risultati e miglioramento conseguiti nel tempo; comportamento riguardo al rispetto dei diritti della persona; salute e sicurezza; rapporti con le “Parti interessate”, soci, organi societari, lavoratori, clienti, collaboratori, altre imprese, comunità e istituzioni, fino alla valutazione dei rapporti con la dimensione della concorrenza. Il valore più importante del modello risiede nella capacità di stimolare l’evoluzione positiva dell’organizzazione verso la CSR riscontrando nel tempo lo score e l’andamento dello scostamento dalla linea dell’eccellenza. Partendo dal valore iniziale dello score possono essere strategicamente individuati valori obiettivo più avanzati e possono essere sviluppati piani di azione tempificati al compimento dei quali lo strumento fornirà la dimostrazione misurata del miglioramento ottenuto. Lo strumento si presta anche a una valutazione comparativa tra concorrenti o unità organizzative diverse di realtà più complesse. In conclusione, la sistematica applicazione del modello dimostra e documenta l’attenzione del management verso la responsabilità sociale d’impresa e, soprattutto, costituisce un elemento utile di valutazione delle prestazioni fornite dalle organizzazioni lavorative, sia profit che non profit. 49


L’ITALIA IN LINEA

ELY SZAJKOWICZ RESPONSABILE INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE CONFINDUSTRIA ASSAFRICA&MEDITERRANEO Sul fronte italiano è finora mancato un fattore centrale, quello di una informazione economica “dedicata” ad Africa, Medio Oriente e Mediterraneo

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a scarsa presenza delle imprese italiane nel Mediterraneo e ancora di più in Africa e Medio Oriente è dovuta a fattori complessi, alcuni dei quali legati alla florida stagione dell’economia italiana ed europea degli scorsi decenni, altri legati alla struttura industriale italiana, come la dimensione d’impresa, collegamenti aerei spesso non diretti, scarsa conoscenza delle lingue veicolari. A ciò deve poi aggiungersi un elemento storico di estrema importanza e cioè il passato coloniale di Francia, Germania, e Inghilterra, che ha lasciato in consegna alle generazioni successive una indubbia maggiore familiarità con queste aree, a cominciare appunto dalla lingua veicolare. Un enorme flusso di informazioni provenienti da queste aree ha così alimentato in maniera privilegiata i giornali europei di informazione specializzata francesi e inglesi, da The Guardian a Jeune Afrique, solo per citarne i più famosi, cui si aggiungono l’informazione e il supporto dei Ministeri degli Esteri tedeschi, francesi e inglesi, vere e proprie macchine da guerra dell’informazione economica. Tutto questo si è tradotto in una mancanza di competitività del Sistema Italia rispetto a quello di Francia, Germania e Inghilterra, i principali competitors del nostro Paese in queste aree geografiche. Accanto alle ragioni economiche deve poi essere valutata come elemento deterrente per le imprese anche una sorta di resistenza psicologica, spesso alimentata da una informazione nazionale che quando si è occupata di Africa è stata troppo spesso

oscillante tra l’immagine di un bambino con gli occhi tristi e affamati, evocativa dei problemi atavici del continente africano e quella dei safari e dei resort di lusso, sempre indecisa tra le immagini delle donne a capo coperto e con le lunghe vesti nere e il lusso degli alberghi avveniristici dei paesi del Golfo, oggetto del desiderio per i responsabili aziendali più audaci. Sul fronte italiano è finora mancato un fattore centrale, quello di una informazione economica “dedicata” ad Africa, Medio Oriente e Mediterraneo. La poca informazione circolante fino ad oggi in Italia era infatti per lo più confinata all’Università o nell’ambito di studi delle élites intellettuali che si occupavano di problemi umanitari di vasto respiro. La crisi economica e produttiva che sta attraversando il nostro Paese ha però prodotto un significativo cambiamento nella informazione dedicata a queste aree, in cui oggi si sta invece producendo crescita e sviluppo economico. La nascita di una middle class africana e mediorientale che non chiede più solo beni primari ma anche beni di consumo, forte di una crescita media del PIL africano attorno al 6% e il diffondersi di telefonini e smartphone ha immesso sulla Rete ampie fasce di popolazione, soprattutto giovane, che hanno cominciato a veicolare commenti su beni e servizi, permettendo di individuare nuove nicchie di consumi in mercati considerati per molto tempo periferici. Immensi flussi di informazioni, a partire dagli aggiornamenti in tempo reale che hanno fotografato il dipanarsi delle Primavere


INTERNAZIONALIZZAZIONE arabe, hanno fatto nascere agenzie di stampa che stanno colmando l’assenza del continente africano dal normale flusso informativo italiano e la scarsa conoscenza delle dinamiche politiche, sociali ed economiche in atto tra gli operatori dell’informazione, realizzando prodotti editoriali in italiano che stanno affiancando carta stampata e web. Ed anche la Farnesina si è impegnata nella realizzazione di un prodotto di informazione sui mercati esteri mondiali, costruito sulla rete estera delle Ambasciate, che permette alle Associazioni del Sistema Conf industria più attente all’internazionalizzazione e a quelle specializzate come Confindustria Assafrica & Mediterraneo di liberare energie, spostandole dalla prima informazione a servizi a più alto valore aggiunto per le imprese. Nasce così www.infomercatiesteri.it, la nuova piattaforma informativa del Ministero degli esteri che lo allinea all’azione degli omologhi Ministeri dei nostri competitors europei. Operazioni editoriali e imprenditoriali, dunque, che inter-

cettano bisogni là dove essi si manifestano e grazie alle quali anche l’Italia entra in un meccanismo virtuoso di informazione operativa a beneficio di tutte le imprese che vogliano sviluppare attività all’estero. Evidentemente in Italia qualcosa sta cambiando.​ 51


LAVORO E IMPRESE L’OCCASIONE OFFERTA DA ONLY ITALIA

DI MARIA GRAVANOERANO, ILARIA ROSSI

Abbiamo avuto modo di conoscerla come politico: è stata la più giovane presidente donna della Camera dei Deputati; successivamente, l’abbiamo vista abbracciare la scena del palcoscenico televisivo nelle vesti di conduttrice e autrice di programmi, occasione in cui ha dimostrato capacità di cambiamento e di umiltà; da ultimo, la vediamo attivamente impegnata nella Learn to be Free, conosciuta come LTBF Onlus e Only Italia. Stiamo parlando di Irene Pivetti

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residente, anche la LTBF “crea” innovazione: in che modo rappresenta una risorsa per il lavoro e le imprese? In verità mi sono ritrovata io stessa ad aver realizzato questo progetto senza sapere che fosse innovativo. In tutti questi anni di vita pubblica mi è stata continuamente fatta un’unica richiesta: “mi aiuti a trovare lavoro”. Il problema delle persone è sempre stato il lavoro. Nel 2008, dopo diversi anni che ero fuori della politica, ho cercato di fare quanto mi era possibile creando uno strumento per aiutare le persone a trovare occupazione. Inizialmente ho percorso la strada classica facendo formazione e, da qui, il nome Learn To Be Free. La formazione aiuta, dà libertà di azione e ci rende capaci di gestire il nostro destino. Mi sono però resa conto in brevissimo tempo (sei mesi) che, anche se importantissima, il vero nodo non era questo. Un disoccupato formato è meglio di un disoccupato ignorante ma sempre disoccupato resta! Chi non ha lavoro ha bisogno di un’azienda intorno per lavorare. Ed è così che la Learn To Be Free ha scoperto la sua vera natura e vocazione: essere una struttura per far nascere aziende. Al fine di sostenerne la nascita e il consequenziale lavoro, è importante però che si interagisca con le amministrazioni locali. Quali sono le altre attività della Learn To Be Free? Una è il Festival delle Identità, un’i-

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niziativa culturale destinata alla promozione e al marketing territoriale. In realtà si tratta di una piattaforma culturale, dal ricchissimo programma, che dura tutto l’anno. Nel 2011, è nata, poi, una seconda creatura - Only Italia - che, oltre ad avere un sito proprio, vive oggi in maniera totalmente autonoma rispetto alla LTBF.

In che modo Only Italia promuove il made in Italy in Cina e la partnership tra imprese italiane e cinesi? Only Italia è una rete di imprese italiane, produttrici di diversi generi di prodotto - cibo, vino, mobili, moda, gioielli, ed altri ancora – interessata al mercato cinese. Abbiamo costruito una rete di rapporti molto solidi in Cina, anche alcune società, e stiamo aprendo punti vendita Only Italia per vendere i prodotti del circuito. Oggi la situazione è tale che ci ritroviamo a vendere anche prodotti di aziende italiane non ancora entrate nella rete, prima ancora cioè della ufficializzazione mediante atto notarile. La crisi ha cambiato gli imprenditori, secondo lei, e in che modo Only Italia può aiutarli? Oggi la situazione economica è così complicata che sono davvero tanti i leader d’azienda ad essere scorati e timorosi, in più senza soldi, vessati dalla burocrazia e dalla mancanza di prospettive incoraggianti. Pertanto, per paura, molti rinunciano addirittura anche alle ini-


INTERNAZIONALIZZAZIONE ziative più semplici, meno costose e meno rischiose. Only Italia però può essere un valido alleato.

I cinesi già amano i prodotti italiani. Perché allora il made in Italy ha bisogno dell’iniziativa di Only Italia direttamente in loco? Dire che il nostro Made in Italy è molto richiesto in Cina - siamo i primi nei loro desideri - è una mezza verità. In realtà i cinesi – al pari di qualsiasi altro consumatore - quando vogliono una cosa, comprano quella che trovano disponibile. Al popolo cinese piace molto il Made in Italy, ma se poi trova “sul banco” il Made in France compra quello, così come se vede l’olio spagnolo acquista l’olio di produzione spagnola e se trova un designer tedesco si serve dell’offerta tedesca. Se noi non siamo sul loro mercato, il cinese non viene a cercarci. I cinesi vogliono i prodotti italiani delle griffe più conosciute (la Ferrari, Ferragamo e le Tod’s), in totale di una dozzina di aziende conosciute come eccellenza e luxury brands. Only Italia però è in Cina per tutte le ditte italiane che non sono rappresentate e che, pur essendo di altissima qualità, non sono ad elevatissimo marketing. Avere svolto un ruolo politico ha contribuito alla nascita della LTBF e di Only Italia? Se sì, in che misura? Per un verso moltissimo, perché ho capito a fondo come funzionano le istituzioni e mi sono potuta liberare dalla paura che avevo. Anche molti imprenditori non si avvicinano alle istituzioni in modo corretto perché ne hanno timore, a volte disprezzo, altre perché sono dominati da una totale mancanza di fiducia, senza pensare che il mondo delle istituzioni può rivelarsi molto utile. Oggi ho l’orgoglio di dire che Only Italia ha ricevuto una targa di congratulazioni da parte del Presidente Napolitano, un grande riconoscimento. L’aver fatto po-

IRENE PIVETTI > PRESIDENTE ONLY ITALIA

litica, invece, non mi è di certo servito per avere qualche amico che favorisse, per avere una sola raccomandazione a vincere un bando, per ottenere un euro o una commessa importante. Anzi, in quel senso l’esperienza politica precedente mi è stato di ingombro.

Quali sono i suoi prossimi progetti? Di sicuro, nei prossimi anni lavorerò al completamento dell’azione di Only Italia. Inoltre, terrei molto a recuperare e ad affrontare il tema dei territori marginali dei piccoli comuni che mi sta particolarmente a cuore.

DIRE CHE IL MADE IN ITALY È MOLTO RICHIESTO IN CINA È UNA MEZZA VERITÀ. IN REALTÀ I CINESI QUANDO VOGLIONO UNA COSA, COMPRANO QUELLA CHE TROVANO DISPONIBILE

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NUOVA ANAGRAFE TRIBUTARIA

SANTOLO CANNAVALE ESPERTO IN MATERIE FINANZIARIE

Chi metterà le mani nella montagna di dati bancari trasmessi al fisco?

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arte la nuova anagrafe dei rapporti finanziari prevista dall’articolo 11, commi 2 e 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (c.d. “Salva Italia”), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214 “Modalità per la comunicazione integrativa annuale all’archivio dei rapporti finanziari”. Banche, Poste e società di gestione del risparmio dovranno comunicare entro il prossimo 31 ottobre all’Agenzia delle Entrate tutti i dati sui conti correnti, le movimentazioni degli stessi, gli investimenti, l’utilizzo delle carte di credito e delle cassette di sicurezza riferiti al 2011. In successiva progressione saranno inviati i dati 2012/2013. Molti cittadini e professionisti giudicano con grande disappunto uno dei provvedimenti più inopportuni e subdoli “sfornati” dal Governo Monti, con accondiscendenza e voto palese di tutte le forze politiche della passata legislatura. Fino ad oggi il Fisco aveva accesso solo ai dati identificativi del conto corrente e poteva chiedere maggiori informazioni solo dopo l’apertura di un accertamento formale a carico di un contribuente specifico. Ora, invece, conoscerà di ogni singolo rapporto finanziario esistente anche i saldi iniziali e finali dell’anno, gli importi totali delle movimentazioni distinte tra dare e avere, tutti gli accrediti e i bonifici e tutti i dati riferiti ai conti deposito titoli e obbligazioni, ai buoni fruttiferi, ai contratti delle gestioni risparmio e patrimoniali, il numero di accessi alle cassette di sicurezza, gli incrementi di valore o i riscatti relativi alle polizze assicurative, gli acquisti e le vendite di oro, ecc.. Sono in molti a ritenere che la trasmissione di tutti i dati bancari all’Agenzia delle Entrate sia in contrasto con le più elementari regole di privacy. Vi è da chiedersi: quante persone, quanti e quali enti metteranno le mani in questa invitante montagna di dati disponibile a partire da ottobre 2013? Marino Longoni in un suo articolo su ItaliaOggi, nelle scorse settimane, ha scritto: «Siamo tutti cresciuti con l’idea che una qualsiasi somma di denaro depositata in banca fosse al sicuro. Adesso non è più così. Anzi. Oggi mettere in banca un capitale è come mettere la testa dentro la bocca del leone. Si può solo sperare che la bestia non abbia appetito. La bestia è naturalmente l’amministrazione finanziaria». L’Agenzia delle Entrate, allo stato attuale, ha mille modi per monitorare entrate e consumi dei cittadini, per valutare la capacità reddituale di tutti i contribuenti. Il rinvio della data di partenza da marzo ad ottobre 2013 potrà consentire al nuovo Parlamento, guidato da Laura Boldrini e Pietro Grasso, di cancellare definitivamente questo anomalo provvedimento. Destinatari dello stesso sarebbero i soliti cittadini e imprenditori di buona volontà, ancora fiduciosi nel rapporto franco e costruttivo con gli apparati dello Stato. Viene da chiedersi tra l’altro quanto pesi sulle casse dello Stato la nuova, complessa impalcatura informatica destinata a ricevere la stratosferica massa di informazioni dal sistema bancario e finanziario nazionale. Non sarebbe più opportuno e produttivo impiegare uomini e mezzi per individuare e monitorare i conti degli italiani operanti in Svizzera, Cipro, Malta, Irlanda, Lussemburgo, ecc. ecc.?


FISCO

LA PARTECIPATION EXEMPTION SI ALLARGA ALLE IMPRESE IN START UP MARCO FIORENTINO FIORENTINO ASSOCIATI > SYNERGIA CONSULTING GROUP

Tutte le plusvalenze derivanti dalla vendita di partecipazioni operanti in alcuni settori potranno beneficiare della detassazione

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articolo 87 del DPR 917/86 disciplina il trattamento fiscale della plusvalenza derivante dalla cessione di partecipazioni, prevedendo la detassazione IRES al 95% , nel caso in cui vi siano quattro specifici requisiti (cc.dd. “Participation Exemption”). Tralasciando l’analisi degli altri tre requisiti non rilevanti ai fini del presente commento, è invece opportuno focalizzare l’attenzione sul quarto requisito cosiddetto “della commercialità”, previsto dal comma 1 lettera d) del citato articolo, alla luce delle recenti e positive novità ministeriali.Il requisito in specie stabilisce che, per beneficiare della detassazione della plusvalenza derivante dalla vendita di una partecipata, quest’ultima deve esercitare un’impresa commerciale da almeno tre anni antecedenti la vendita (ovvero, se costituita da meno tempo, sin dalla costituzione). Dall’entrata in vigore della legge, tuttavia, il requisito della commercialità è stato inteso dall’AGE in senso molto restrittivo, tanto che a leggere le risoluzioni ministeriali, si era portati a ritenere che esso non si configurasse, laddove la società svolgesse attività senza produrre ancora ricavi ovvero fosse in fase preparatoria rispetto alla sua gestione tipica (la cc.dd. “fase di Start up”). Questa drastica impostazione, peraltro non condivisa dalla Dottrina in quanto contraria allo spirito della legge, ha sinora danneggiato quelle società che, prima della fase “dei ricavi” avevano un più o meno lungo periodo preparatorio. Basti pensare alle società di costruzione e gestione di opere pubbliche, alle SPV

(special purpose vehicles) operanti nel settore energetico e così via. Così operando, infatti, si finiva per considerare del tutto ininfluente, ai fini del triennio, la fase di start up, provocando un improprio slittamento in avanti dei termini della vendita della partecipata, per poter beneficiare dell’esenzione al 95% (in pratica dal quarto anno successivo all’inizio della produzione di ricavi) e creando al contempo uno svantaggio competitivo rispetto alle imprese già sul mercato da anni, ovvero operanti in settori dove lo Start up, di fatto, non esiste (società di trading, di consulenza, di gestione, ecc.). In buona sostanza, tornando all’esempio, le società nel settore energetico o delle concessioni, che vendevano SPV senza tre anni di ricavi, se volevano essere in compliance con l’impostazione ministeriale, dovevano scontare sulle plusvalenze una tassazione IRES del 27,5% anziché dell’1,375% , con evidente disparità di trattamento rispetto ad altre realtà. In alternativa, esse potevano solo attendere il quarto anno dalla prima fatturazione, con ovvie ricadute sui tempi e sui margini di ritorno degli investimenti. Finalmente, con la circolare n.7/E del 29.3.2013, l’AGE ha dato prova di buon senso e conoscenza del mercato e, abbandonando manie antielusive, è andata incontro alle esigenze degli imprenditori, con una corretta definizione del requisito della commercialità, proprio per quelle imprese aventi fasi preparatorie alla attività “core”. La rilevante apertura dell’AGE ha riguar- > 55


dato, innanzitutto, la nozione base della fase prodromica all’attività nella sua accezione generale, chiarendo che essa rientra nel calcolo del triennio, laddove sia seguita dalla fase di produzione di ricavi (effetto trascinamento all’indietro). Inoltre, spingendosi significativamente in avanti, ha anche analizzato quei settori, come quello energetico e delle concessioni, dove lo “start up” (rappresentato da ricerca siti, iter autorizzativo, progettazione, costruzione, finanziamento,

ecc.) è molto complesso, arrivando ad affermare che in tali circostanze, non può nemmeno parlarsi di fase preparatoria (che soggiacerebbe ai limiti del primo ricavo), trattandosi di attività d’impresa a tutti gli effetti. Da questa affermazione discende che tutte le plusvalenze derivanti dalla vendita di partecipazioni operanti nei settori sopra descritti potranno beneficiare della detassazione, anche se la fase di investimento non si sia ancora conclusa.

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LA NOTIFICA DIRETTA PER POSTA E IL PUNTO SULLA GIURISPRUDENZA MAURIZIO VILLANI AVVOCATO TRIBUTARISTA

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l tema della notifica della cartella di pagamento direttamente eseguita dall’Agente della riscossione a mezzo del servizio postale è stato e continua ad essere oggetto di vivo dibattito giurisprudenziale fra gli operatori del settore tributario. In questa sede, analizzeremo la relativa giurisprudenza di merito e di legittimità al fine di ribadire la battaglia, di chi scrive, circa l’impossibilità giuridica della notifica diretta per posta da parte di Equitalia. Come noto, la norma di riferimento è costituita dall’articolo 26 del D.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973 rubricato, appunto, “Notificazione della cartella di pagamento”, attraverso la quale il Legislatore ha stabilito che la cartella di pagamento debba essere notificata dagli ufficiali di riscossione o dagli altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge, ovvero, previa eventuale convenzione tra Comune e concessionario,

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dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La norma prosegue affermando che la notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento e che, in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda. La notifica della cartella, inoltre, può essere eseguita anche a mezzo posta elettronica certificata, presso gli indirizzi risultanti dagli elenchi previsti a tal fine dalla legge e quando non è notificata a mezzo raccomandata e la notificazione avviene mediante consegna nella mani proprie del destinatario o di persone di famiglia o addette alla casa, all’ufficio o all’azienda, non è richiesta la sottoscrizione dell’originale da parte del consegnatario.


FISCO Infine, si afferma che nei casi di notifica effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., le modalità di tale forma di notifica seguono la disciplina di cui all’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973, con la precisazione che la notifica, in questo caso si ha per eseguita il giorno successivo a quello in cui l’avviso del deposito è affisso nell’albo del Comune. É sempre bene ricordare che l’art. 26 del D.P.R. n. 602/1973 ha subito rilevanti mutazioni ratione temporis e ha avuto la seguente formulazione giuridica: a) dal 1° gennaio 1974 sino al 30 giugno 1999: «la notificazione della cartella al contribuente è eseguita dai messi notificatori dell’esattoria o dagli ufficiali esattoriali ovvero dagli ufficiali giudiziari e nei comuni che non sono sede di pretura, da messi comunali e dai messi di conciliazione. Alla notificazione in comuni non compresi nella circoscrizione esattoriale provvede l’esattore territorialmente competente, previa delegazione da parte dell’esattoria che ha in carico il ruolo. La notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. La notificazione si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma successivo»; b) dal 1° luglio 1999 sino all’8 giugno 2001, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 12, comma 1, D. Lgs. n. 46 del 26 febbraio 1999: «La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma»; c) dal 9 giugno 2001 sino al 30 maggio 2010, a seguito delle ulteriori modifiche apportate dall’art. 1, comma 1, lett. c), D. Lgs. n. 193 del 27 aprile 2001. «La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda». Come emerge dalle evidenze in corsivo e da

un’attenta lettura delle modifiche di cui sopra la disposizione di cui all’art. 26 del D.P.R. n. 602/1973 ha avuto il seguente sviluppo normativo. Nei primi due periodi dell’articolo in esame, nella versione originaria in vigore dal 1974, vengono indicati i soggetti che eseguono la rituale notificazione e nel terzo periodo viene precisato che la notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Dunque, il legislatore in un primo momento storico ha tassativamente previsto che la notifica a mezzo posta fosse fatta direttamente “da parte dell’esattore”. Nelle versioni successive, a seguito delle modifiche apportate dai tre provvedimenti legislativi, nel primo periodo vengono delineati tutti i soggetti abilitati ad eseguire la notificazione e nel secondo periodo viene precisato che la notifica «può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento». Dunque, il legislatore successivamente ha cancellato l’inciso “da parte dell’esattore” con l’intento di voler escludere, a far data dal 1° luglio 1999, la possibilità da parte dell’ente esattore (oggi Agente della Riscossione) di eseguire direttamente la notificazione mediante l’invio di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Diversamente, il legislatore, nelle modifiche normative apportate, avrebbe lasciato l’inciso “da parte dell’esattore” che, invece - si ripete - è stato totalmente soppresso a partire dal 1° luglio 1999. L’espressione “la notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento” non deve essere letta in modo estrapolato dal contesto in cui è inserita, in quanto costituisce la prosecuzione del primo periodo dell’art. 26 del citato D.P.R., nel quale sono indicati i soggetti qualificati a notificare la cartella di pagamento; invero la norma in questione deve essere letta nel suo complesso e non già separando illogicamente la duplice statuizione contenuta nella stessa. Il primo periodo si limita ad individuare - con un’elencazione tassativa - i soggetti legittimati all’esecuzione della notifica, il secondo indica, invece, il modo attraverso il quale i soggetti di cui al periodo precedente (e solo costoro) possono eseguirla.Tanto precisato, la conclusione cui si giunge è l’inesistenza (e non, quindi, la semplice nullità, suscettibile di sanatoria mediante la costituzione in giudizio del ricorrente) della cartella di pagamento notificata direttamente dall’Agente della riscossione a mezzo raccomandata senza l’intermediazione dei soggetti abilitati. Tanto viene recepito dalla giurisprudenza tributaria di merito secondo la quale - appunto - la notifica della cartella di pagamento effettuata da soggetto non munito del relativo potere comporta la giuridica inesistenza dell’atto di notificazione. Per la seconda parte dell’articolo, si rimanda agli aggiornamenti disponibili sul sito www.costozero.it. 57


STRATEGIE D’IMPRESA

MANUTENZIONE CIVILE: SERVIZI E INFRASTRUTTURE

DI MARIA PAOLA CINELLI WWW.JOBIZFORMAZIONE.COM

Sviluppare le competenze degli addetti ai lavori: l’apporto valoriale del recupero e della conservazione del costruito

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interesse crescente della manutenzione per il comparto del costruito si esplicita oggi con la recente uscita di alcune norme tecniche: - UNI 11447:2012 [Servizi di facility management urbano. Linee guida per l’impostazione e la programmazione degli appalti]; - UNI 11454:2012 [La manutenzione nella progettazione di un bene fisico]; - UNI 11420:2011 [Qualificazione del personale di manutenzione]. Le suddette norme completano ma non esauriscono, il nuovo scenario di strumenti e competenze che potrebbero rappresentare la giusta linea concettuale verso il riconoscimento alla manutenzione della funzione di “manutenibilità” del bene fisico: durabilità delle opere ottimizzando i costi di gestione. Il patrimonio del costruito è caratterizzato da un forte deterioramento tecnico di strutture e infrastrutture. Forte deve essere la consapevolezza che il costruito debba essere curato, rivitalizzato in quanto, come direbbe Dioguardi, si tratta di un «sistema vivente soggetto ad invecchiamento fisiologico». La manutenzione civile, alla luce delle norme UNI, deve essere considerata una regola ragionata di mantenimento dell’efficienza ed efficacia delle prestazioni di tutte le componenti di fabbricati ed infrastrutture. Consideriamo inoltre che oltre all’apporto valoriale del recupero, riabilitazione e conservazione del costruito, esiste anche un mercato della manutenzione civile con straordinarie prospettive di espansione e, soprattutto, poco soggetto alle crisi congiunturali che stanno investendo la domanda di edilizia. La difficoltà dell’implementazione di un sistema regolamentato di manutenzione civile come fenomeno socio-tecnico, sta indiscutibilmente, nelle competenze degli operatori dell’edilizia. Questi ultimi difatti hanno meno sviluppate capacità di pianificazione, programmazione e previsione. Da qui la questione della Formazione che qualifichi le risorse e le indirizzi verso un processo manutentivo che sia intelligente. La domanda aggregata di formazione deve avere una risposta concreta dal contesto degli enti e delle agenzie formative. Jobiz Formazione si approccia alle competenze degli addetti alla Manutenzione civile considerando la sfera della Manutenzione stessa non più solo tecnica - preservare il contenitore - ma anche la sfera sociale, il contenuto, la qualità della vita. Pertanto la Terza Edizione del Maintenance Time [Salerno-13 Giugno 2013] avrà un focus sul tema della manutenzione e delle sue applicazioni al civile. Questa Edizione, dal titolo “Manutenzione civile: servizi e infrastrutture” si focalizzerà sulla disamina degli effetti positivi che una corretta applicazione della manutenzione civile può garantire per la tutela del patrimonio artistico e culturale, per assicurare la funzionalità delle infrastrutture pubbliche e dei servizi ad esse asserviti. Il convegno inserito, nell’evento internazionale salernitano NIB ARCTEC, è patrocinato da Confindustria Salerno e dal Comune di Salerno, prevede interventi di illustri professionisti ed esperti del settore all’interno di un complesso monumentale, il Santa Sofia di Salerno, simbolo di recupero storico e conservazione.


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Semplici consigli per una giusta accoglienza

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l Garden party è, tra le soluzioni di primavera, una delle mie preferite nell’arte del ricevere. Non parlerò di come si riceve in giardino nella classica serata dove si sceglie di mangiare all’aperto, perché per questo ci tocca aspettare ancora qualche mese, ma proprio di quelle prime occasioni in cui è d’obbligo una copertina sulla sedia e un golf ancora caldo, che diventano irrinunciabili nelle ore calde e soleggiate di mattine e pomeriggi primaverili. Momenti diurni che quando il sole è quello estivo, obbligano a stare all’ombra e non sono la stessa cosa. Un garden party primaverile ha una sua grammatica. Ci si possono godere ancora le zuppe calde di verdura, e il gioco è quello di preparare quei menu che riscaldano, a compensare la non ancora totalmente mite temperatura. Cosa mi piace mangiare? Secondo me un garden party deve essere un po‘ un inno a Madre Natura, quindi i menu vegetariani sono quelli che prediligo: non è un pic nic, non è un barbecue, è la festa del giardino e magari dell’orto. Amo le verdure gratinate, che si fanno velocemente, mettendo i pezzetti di vari ortaggi in una pirofila con qualche fiocco di burro, del parmigiano con magari pecorino grattugiato insieme e, per chi vuole gusti più decisi, anche qualche fiocco di gorgonzola o fontina stagionata. A me piacciono bianche ma anche al pomodoro. Un’alternativa golosa alla parmigiana di melanzane? Quella di indivia: sbollentate le foglie di insalata belga in acqua bollente con un pizzico di sale, asciugatele, mettetele su una pirofila con un filo d’olio, qualche cucchiaio di passata di pomodoro, pezzetti di mozzarella, origano se vi piace, stratificando per almeno 4 volte. L’ultimo strato potrebbe avere parmigiano e peperoncino. In forno a 180 gradi per 30 minuti sono facili e buonissime. Cosa vi suggeriscono queste ricette? Un segreto per i padroni di casa: godetevela. Sono tutti piatti che sono addirittura più buoni se fatti il giorno prima e riscaldati poco prima di servirli, approfittatene per godervi la compagnia degli ospiti. Da bere? Aperitivo con succo di pomodoro e crudités varie, succhi di frutta. E per dessert, macedonia calda: la classica macedonia fatta leggermente scaldare in forno sulla quale far sciogliere magari del cioccolato o del caramello caldo. Per me è autentica goduria . 59


OBESITÀ E COMPORTAMENTI ALIMENTARI (1° PARTE) GIUSEPPE FATATI PRESIDENTE FONDAZIONE ADI (ASSOCIAZIONE ITALIANA DI DIETETICA E NUTRIZIONE CLINICA)

Il Ministero della Salute britannico ha recentemente stimato che, se continueranno le attuali curve di crescita dell’obesità, entro il 2050 ci sarà un’aspettativa di vita media inferiore di 5 anni per gli uomini

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e patologie croniche non comunicabili rappresentano una delle sfide più difficili per i sistemi sanitari, sia nei paesi industrializzati, sia in quelli in via di sviluppo: gli esempi più evidenti sono l’obesità e il diabete. L’obesità è ormai una patologia epidemica e gli interventi di prevenzione, fino ad ora, si sono dimostrati inefficaci anche in Italia, perché basati sul paradigma della responsabilità personale. Il ruolo della responsabilità personale, che è centrale nel pensiero anglosassone e sta prendendo progressivamente piede nella nostra cultura, vede il successo come legato alla motivazione e al duro lavoro e l’insuccesso come un fallimento personale. Gli esperti sono concordi sul fatto che l’obesità è una condizione complessa che deriva dall’interazione di fattori genetici, psicologici e ambientali. La genetica e la debolezza psicologica non possono spiegare, da sole, l’aumento di obesità negli ultimi anni. L’obesità è un’epidemia globale e per poterla gestire in modo adeguato è necessario concentrarsi anche e soprattutto sugli stili di vita che lo sviluppo industriale ha creato. Il Ministero della Salute britannico ha recentemente stimato che, se continueranno le attuali curve di crescita dell’obesità, entro il 2050 ci sarà un’aspettativa di vita media inferiore di 5 anni per gli uomini. Il rapido evolversi in senso negativo della situazione richiede soluzioni e interventi strutturali innovativi. Siamo abituati, purtroppo, a vedere l’obesità come un fallimento individuale, come l’incapacità del singolo di gestire la grande quantità di scelte possibili, e quindi come una carenza di controllo degli impulsi. L’obeso è il malato, l’obeso va curato. Per evitare tale semplificazione, e gli errori di pianificazione sanitaria e sociale conseguenti, è importante studiare a fondo il comportamento alimentare della popolazione e averne quanto più possibile un’immagine critica a 360 gradi. È innegabile che la società contemporanea fornisce un’ampia gamma di occasioni per consumare cibi e bevande. Si tratta di una forma di consumo facile che può condurre inavvertitamente al cosiddetto “iperconsumo passivo”, in cui i soggetti non si accorgono di mangiare prodotti ad alta densità energetica e in quantità eccessiva. La disponibilità di alimenti a basso costo e in grande quantità è un fenomeno relativamente recente per l’Italia; una vera rivoluzione alimentare è avvenuta nel decennio 1951-1961 con un aumento impressionante di tutti i consumi: la carne passa da 14,8 a 25,9 kg pro capite/ anno, la frutta da 16,6 a 61,5 kg e le verdure da 36,5 a 112,7 kg. Il consumo del pesce, che era di soli 2,9 kg, sale a 7,2 kg pro capite/ anno. Siamo portati, abitualmente, a sottovalutare questo dato basandoci sulle osservazioni di Ancel Keys degli anni Cinquanta e sull’immagine di una dieta mediterranea idealizzata. Questo tipo di alimentazione, definita oggi salutare, era una scelta obbligata dalla mancanza di disponibilità economiche. Negli ultimi 50 anni tutto è cambiato. Soprattutto, si sono profondamente modificati i costumi e i comportamenti alimentari. La Politica agricola comune della UE ha incoraggiato la produzione a basso costo di zuccheri, grassi e oli, carne e alcol attraverso sussidi e altre misure, limitando al tempo stesso l’immissione nel mercato di frutta e verdura. Le eccedenze alimentari di alcuni prodotti hanno indotto strategie di marketing per aumentarne il consumo, e ciò ha determinato un consumo domestico eccessivo e la distorsione del commercio internazionale, con effetti sanitari negativi sia nel nostro che in altri Paesi.


SALUTE

CON LE CURE GIUSTE LA PELLE PUÒ RIACQUISTARE LUMINOSITÀ E TONICITÀ ANTONINO DI PIETRO DERMATOLOGO www.antoninodipietro.it

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iamo nella stagione della rinascita e del rinnovamento. La pelle può riconquistare luminosità, tono e idratazione con le cure giuste. Iniziamo dal viso. La prima cosa è eliminare le cellule morte accumulate durante l’inverno. Il trattamento d’elezione in dermatologia plastica è il peeling: un’esfoliazione accelerata e controllata della pelle con sostanze chimiche acide che provocano una rigenerazione dell’epidermide, promuovendo la produzione di collagene. Tra i più comuni, quelli con acido glicolico, sostanza di origine vegetale estratta dalla canna da zucchero, o con acido salicilico, utilizzato per le pelli grasse per la sua azione sui comedoni e piccoli foruncoli. In caso di pelli mature serve un aiuto anti invecchiamento con strategie di “aid-aging”, termine più corretto di “anti-aging”, in quanto ad oggi non è possibile eliminare i segni del tempo ma si può aiutare la pelle a mantenersi idratata, tonica ed elastica. In questa direzione c’è la biostimolazione cutanea che sfrutta le potenzialità dell’acido ialuronico. Il Picotage, attraverso microiniezioni superficiali, ristruttura e idrata la matrice cellulare stimolando efficacemente i fibroblasti. Per quanto riguarda il corpo, in previsione del periodo estivo, è consigliabile intervenire per migliorare idratazione ed elasticità cutanea, prevenendo o limitando la comparsa delle smagliature e contrastando depositi adiposi e cellulite. Se il problema è il grasso accumulato, consiglio una sana attività fisica. Una nuotata in piscina o una passeggiata a piedi o in bicicletta riattivano la circolazione e hanno un effetto snellente e rassodante. L’importante è che l’attività duri almeno quaranta minuti, poiché nei primi trenta il corpo brucia gli zuccheri presenti nel sangue e soltanto dopo i grassi. Se oltre ai cuscinetti c’è anche la presenza di cellulite, raccomando di limitare al massimo il sale nelle pietanze e bere almeno due litri di acqua al giorno. Ottimo anche il consumo di ananas la cui bromelina, ad effetto antinfiammatorio, contrasta i processi degenerativi che portano e sostengono la cellulite, un problema cronico difficile da debellare ma che si può curare con terapie di mantenimento. I trattamenti vanno calibrati a seconda dello stadio, tenendo presente che i risultati migliori si hanno nelle fasi iniziali, quelle con ritenzione, accumulo di grasso e perdita di tonicità. Sono utili le sedute di microterapia: microiniezioni di soluzione salina ipertonica che, per osmosi, aiutano a drenare l’acqua in eccesso. Per celluliti avanzate, con rilassamento dei tessuti e accumulo di grasso, è utile la carbossiterapia, purché praticata da un dermatologo esperto, con microiniezioni di anidride carbonica che migliorano circolazione e metabolismo dei lipidi. L’alimentazione certamente può aiutare. Ad esempio inserendo lattuga e ciliegie depurative, more e mirtilli che rinforzano i capillari, mentre olio di oliva e mais mantengono la pelle elastica e tonica. Kiwi, fragole e pomodori, ricchi di vitamina C, migliorano la circolazione e l’organizzazione del collagene nel derma, mentre noci, nocciole e mandorle, ricche di vitamina E proteggono i lipidi delle membrane cellulari aiutando a limitare la formazione di smagliature. Le due vitamine, combinate insieme, proteggono le componenti idrofile e lipofile della cute riducendo tra l’altro i danni indotti da UVA e UVB del sole primaverile. 61


SPORT

JOMI SALERNO, UNA STAGIONE PERFETTA

DI ANTONELLA CIOFFI MORE PLUS www.moreplus.it

La squadra cittadina di pallamano femminile porta a casa tre titoli da record: Supercoppa, Coppa Italia e Scudetto

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na stagione fantastica, da regalare agli archivi, possibilmente da....ripetere. Ha vinto tutto quanto c’era da vincere la Jomi Salerno, regina incontrastata della pallamano femminile italiana: Supercoppa, Coppa Italia e Scudetto. Un “triplete” da record che giunge a coronamento di un quadriennio fantastico durante il quale il club salernitano ha vinto tre scudetti, due Coppe Italia e due Supercoppa. Insaziabile di successi e vittorie, la stagione appena passata agli annali e conclusasi con una splendida festa al Bogart Cafè ha definitivamente consacrato la società salernitana, di gran lunga la più titolata della provincia. Ad impreziosire l’ultimo successo, quello ottenuto in una tiratissima finale scudetto vinta al fotofinish sul Sassari, sono arrivati i complimenti del presidente del Coni Giovanni Malagò. Il numero uno dello sport italiano ha telefonato al presidente della PDO, Mario Pisapia, per congratularsi della vittoria dello scudetto che ha completato una stagione perfetta. E infatti non era passata inosservata, alla palestra Palumbo, in occasione dell’atto finale la presenza di Nello Talento, da qualche mese membro della Giunta Coni, vero e proprio braccio destro del neo eletto presidente Malagò al quale ha illustrato i meriti della società salernitana, resi ancor più grandi dalle difficoltà non solo economiche che hanno colpito lo sport italiano a tutti i livelli, ma anche e soprattutto da quelle legate alla diffusione della pallamano per la miopia degli attuali vertici federali. Malagò ha promesso di vigilare e di stimolare la Federazione affinchè si volti pagina provando a replicare quanto già succede in tutta Europa dove la pallamano, soprattutto a livello femminile, è la regina incontrastata dello sport indoor a squadre. Abituata a raccogliere successi grazie alla sua capacità di programmare per tempo, ora la PDO Salerno pensa al futuro, a nuove e ancora più stimolanti sfide, su tutte l’avventura europea che per il club salernitano significa partecipazione ai preliminari di Champions League che si disputeranno a settembre. Sognare non è reato....


MISURE CRITICHE

GLI SPAZI DELLA CRITICA IL DIBATTITO TEORICO ATTRAVERSO LE MOSTRE 1980-2010 - ANNI NOVANTA/6 ANTONELLO TOLVE CRITICO D’ARTE

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JACKOB MATTNER

n progetto firmato da Liliana Albertazzi, immediatamente dopo l’inaugurazione della mostra di Jeffrey Deitch, mina in profondità la fiducia data (con Post-Human) alle parabole della biotecnologia, della nanotecnologia e della metamorfosi subita dal continente culturologico con l’innesto di nuovi strumenti e protesi estetiche provenienti dal panorama scientifico. A fare da contraltare a Post-Human è Where?L’identité ailleurs que dans l’identification, allestita negli spazi del Musée d’Art Moderne de Saint-Etienne (dal 2 ottobre al 20 novembre 1992), che propone, dal canto suo, una linea tesa ad accentuare il rapimento estatico dello spettatore. Si tratta di un paesaggio che trova nella contemplazione, in «une nouvelle attitude contemplative de réceptivité» suggerisce Peter Bürger, il nucleo di una riflessione che ritorna all’opera e all’artista per sottolineare l’autonomia dell’arte e la costruzione di opere che trasformano l’ordinario in straordinario. Quasi ad assecondare un’attitudine differente nei confronti di una visione estetica e quotidiana che caldeggia la traiettoria elettronica, la mostra di Saint-Etienne calibra il proprio asse riflessivo su una identità che si pone altrove rispetto all’identificazione per mostrare una temperatura creativa più morbida. Non a caso all’accelerazione di Post-Human, Where? propone un prolungamento del tempo, una distensione fisiologica che si ripropone nella contemplazione. In uno spazio che assorbe e avvolge lo spettatore per avviarlo alla riflessione sul mondo. «Di fatto», ha avvisato Marco Meneguzzo in uno dei solitari articoli apparsi in Italia sull’esposizione di Saint-Etienne, «questa rassegna francese, che raccoglie undici artisti europei, sembra essere il contrario, l’opposto polo di quella idea americana, presentata a Rivoli. Se infatti Post-Human gioca sull’omogeneità tra mass media e arte, questa rivendica all’arte un territorio che è solo suo, fatto di installazioni volutamente immobili e apparentemente non informative; al rumore di fondo di un televisore sempre acceso, quale sembra essere lo scenario di Post-Human, Where?... oppone il silenzio della contemplazione; a un tempo di percezione che si vuole il più vicino possibile simile a quello dell’informazione televisiva, si contrappone l’indicazione di un tempo altro, che vuole essere lontanissimo dal consumo veloce; al pugno nello stomaco di immagini forti – quelle di Post-Human – il disvelamento lento, lentissimo di una monumentalità segreta». Non si tratta allora di un leggero intrattenimento, piuttosto di una considerazione che, attraverso una scuderia organica di artisti (Jürgen Albrecht, Joerg Bader, Jean-Pierre Bertrand, Chiara Dynys, Jokob Mattner, Adalberto Mecarelli, Walter Obholzer, Roland Poulin, David Tremlett e Richard Venle), centra il bersaglio su azioni creative che accentuano la polisemia per resistere alla referenzialità e ritessere, così, una storia dei segni sociali. Di Lingue e Parole, direbbe Barthes, che volgono lo sguardo «dans un sens concentrique» orientato «vers l’essentiel» per analizzare e verificare, via via, il fluire del tempo, la contingenza stessa delle cose. 63


IL SEGNALIBRO

IL SIGNORE DEGLI ORFANI > ADAM JOHNSON a c u ra di Raffaella Venerando

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pp. 560, 2° ed. euro 21,00 Marsilio Editori

n parte thriller e romanzo d’avventura, in parte racconto di un’innocenza perduta e romantica storia d’amore, Il Signore degli Orfani è anche il ritratto affascinante di un mondo che fino a oggi ci è stato tenuto nascosto Pak Jun Do è il figlio di una madre scomparsa, una cantante rapita e portata a Pyongyang per allettare i potenti della capitale, e di un padre influente, direttore di un orfanatrofio. Per la sua devozione, il carattere deciso e l’acume che dimostra, lo Stato gli offre una carriera molto rapida, e per Jun Do comincia un percorso senza ritorno attraverso le stanze segrete della dittatura più misteriosa del pianeta. “Umile cittadino della più grande nazione del mondo”, Jun Do diventa un rapitore professionista, costretto a destreggiarsi tra regole instabili, arbitraria violenza e richieste sconcertanti da parte dei suoi superiori per sopravvivere. L’amore per Sun Moon, attrice leggendaria, lo porterà a prendere in mano la sua vita, con un sorprendente colpo di scena. Un’opera di narrativa straordinaria, che ha permesso ad Adam Johnson di entrare a far parte della ristretta cerchia dei più grandi scrittori di oggi. Non a caso l’opera è risultata vincitrice del Premio Pulitzer 2013 per il miglior romanzo.

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ZERO DARK THIRTY > KATHRYN BIGELOW a cu ra di Vito Salerno

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a caccia ad Osama bin Laden ha preoccupato il mondo e due amministrazioni presidenziali americane per più di un decennio e, alla fine, la sua cattura si deve ad un ristretto e brillante team di agenti della CIA. I particolari della missione riguardanti le operazioni più significative dell’intelligence sono stati resi pubblici e portati sul grande schermo per la prima volta in Zero Dark Thirty, avvincente film del premio Oscar Kathryn Bigelow. La versione sostenuta sull’inseguimento e la cattura di bin Laden si avvicina alla realtà dei fatti e conduce lo spettatore in prima linea tra gli scenari di potere di questa missione storica, culminata con un assalto spettacolare, nel misterioso e periferico contesto pakistano. Ma sono i preliminari del raid descritti in Zero Dark Thirty a renderlo unico nel suo genere. Fin dall’inizio era nota la difficoltà e la pericolosità della missione legata alla ricerca di bin Laden, di fronte alla quale qualsiasi altra strategia statunitense aveva fallito. Alcuni esperti dell’intelligence erano arrivati ad affermare che la missione sarebbe stata impossibile da portare a termine: ma alla fine una squadra di specialisti e investigatori esperti hanno ribaltato la tesi e dimostrato il contrario. Zero Dark Thirty è un riuscito amalgama di film d’azione, reporting investigativo e dramma: non un’opera di finzione, né un documentario, ma un ibrido emozionante che traccia attentamente gli aspetti salienti delle operazioni di intelligence, svelando alcuni retroscena delle missioni segrete tipiche della lotta al terrorismo. Raffigura abilmente i misteri del coraggio umano, e le ambiguità di una situazione in cui le comuni regole morali non vengono rispettate. Il risultato è un film tanto profondo e provocatorio quanto scioccante e reale.

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