Cabaret Voltaire Maggio 2011

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SPEAKERS' CORNER

LA CREAZIONE DEL BRECCIOLINO Mauro Pes Che hai compagnia te ne accorgi sulle piastrelle, non importa quali. Puoi trovarti in cucina o in ufficio, a casa tua o in qualche cesso di bar. Non cambia niente: le rivelazioni te le fanno solo le piastrelle, punto. Appena entri dalla porta tua moglie ti guarda, la commessa (la più brutta, ovvio) ti guarda, quel cacchio di vecchio con l’Amplifon ti guarda (ma non sa il perché, ovvio). Il fatto è che quel dannato brecciolino è sempre della misura giusta, è perfetto. Creato ad arte per infilarsi sotto le suole. Nel carrarmato dei tuoi anfibi, tra le scanalature delle tue (nuove, ovvio) scarpette ginniche, nei fori traspiranti dei tuoi mocassini anti puzza, che pian piano diventano dei barconi pieni di sudore. Così tu avanzi nel locale come se stessi camminando sulle uova, come se la stanza fosse un nido di serpenti a sonagli. Come se

ti avessero minato il terreno tutto attorno e tu cercassi di disattivare le cariche esplosive ballando la versione idiota del Tip-tap: il Tic-tac, il balletto con le mentine sotto le suole. E ogni volta hai una performance diversa, un’esibizione che cambia a seconda della pavimentazione. Sul cotto il Tic-tac è attenuato, più caldo, si direbbe quasi timido. Ricorda i martelletti di una macchina da scrivere su di un doppio foglio imbottito con della carta calcante. Il Tic-tac sul cotto è un romanzo in fase di scrittura e se in sala non sono proprio tutti stronzi ci fai la tua porca figura. Sul marmo invece sono un altro paio di maniche. Il tic è rapido, è una frustata e ricorda la scossa di un accendino per fornelli a gas. Tic-tictic-tic-tic, non so se rendo l’idea. Il tac invece è quello della lancetta dei secondi dell’orologio da cucina di tua nonna. Tac-Tac-tac-tac-tac,

il rumore del tempo che passa, mentre ti rompi le palle aspettando che il tempo passi. Col Tic-tac sul marmo la gente nove volte su dieci chiama i carabinieri, per farti sloggiare. Ma perché? Voglio dire, da dove viene questo accanimento del brecciolino nei nostri confronti? Perché la sua perfezione ci perseguita? Qual è l’origine di questa piaga moderna? Una risposta precisa alle nostre domande non c’è, quello che si sa è solo che nella notte tra il Terzo e il Quarto giorno Dio creò il brecciolino. Non lo fece apposta, fu per via di uno slancio di generosità. Aveva passato tutto il Terzo giorno a separare la terra dall’acqua plasmando mari e monti, laghi e colline, altipiani e pianure e a tarda sera, stanco morto, s’era ritrovato con un avanzo di migliaia di inutili pietroni. Massi informi che in un

colpo di genio o di poesia la sua mano aveva trasformato in stelle, lanciandoli uno ad uno nell’oscurità del lago nero sopra la sua testa. Fu sotto la luce del firmamento che Dio si avvide del brecciolino, figlio dei pietroni e nipote delle stelle, e non avendo più ne voglia ne forza per sbarazzarsene lo lasciò lì a godersi lo spettacolo dal cielo e a progettare invasioni di scarpe e pneumatici. A insegnare il verbo sdrucciolevole a figli di Adamo. Ad allungare le frenate dei SUV sotto i sederi delle figlie di Eva. E se fosse proprio il brecciolino la famosa “Particella Dio”, quella che da tempo stanno cercando di individuare al CERN di Ginevra? Chi glielo dice a quel fior fior di scienziati che ciò che cercano noi l’abbiamo da sempre? Ogni santo giorno, sotto le scarpe.


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