Coolclub.it n.20 (Novembre 2005)

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Il 29 novembre a Bari Coolclub e Zenzeroclub organizzano il concerto dei Blonde Redhead. Ecco che, insieme alla fiducia nei nostri mezzi, troviamo l’occasione per parlare di un novembre che, mai come quest’anno, si presenta ricco di appuntamenti ed eventi. Guardandoci intorno ci siamo resi conto di come la Puglia sia cresciuta in questo ultimo periodo nonostante le annose difficoltà. Realtà disseminate e resistenti sul territorio (non parliamo, come chi ci conosce già sa, di retorica dell’intrattenimento, sagre, eventi populisti) portano avanti le loro coraggiose programmazioni fatte di numeri non esorbitanti ma molto importanti e cominciano a collaborare fra di loro (la diffusione di Coolclub.it in tutta la regione ne è solo una manifestazione). Nonostante i tagli alla cultura, il problema degli spazi, i costi di produzione, la scarsa risposta del territorio novembre sarà un gran mese. In apertura una piccola guida a quello che succederà e i ricordi e le impressioni su quello che recentemente c’è stato. Carlo Chicco (simbolo della Puglia nel mondo) ci racconta dei suoi incontri all’interno del jet set rock, Valentina ha parlato con i Baustelle del loro nuovo album che, guarda caso, si intitola la Malavita. Ecco tornare il giallo del giallo e ne trovi le tracce nella nostra rubrica dedicata al fumetto, nelle interviste a Franco Limardi, Massimo Carlotto, nel racconto gentilmente concesso dagli amici di Blackmailmag. Poi, se proprio vuoi andare a fondo con le indagini, scopri che un disco dei Blonde Redhead è dedicato a Pasolini, di cui ricorre il trentennale della morte e al quale abbiamo dedicato una pagina, che un articolo è dedicato ai misteri e i limiti legali del file sharing, che ci sono le interviste a Garbo (il suo ultimo si intitola Gialloelettrico giusto per restare in tema) e ai Nidi d’Arac, una retrospettiva su Stevie Wonder, i dischi della nuova onda del Brit pop, le rubriche dedicate alle piccole etichette discografiche e alle case editrici, le nostre segnalazioni, le recensioni, gli appuntamenti. Ancora quaranta pagine e ancora l’invito, aperto a tutti, a collaborare con noi. Per proposte e informazioni basta scrivere a redazione@coolclub.it. Buona Lettura Osvaldo Piliego

CoolClub.it Via De Jacobis 42 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: redazione@coolclub.it Sito: www.coolclub.it Anno 2 Numero 20 novembre 2005 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Osvaldo Piliego Collettivo redazionale Dario Goffredo, Pierpaolo Lala, C. Michele Pierri, Cesare Liaci, Antonietta Rosato Collaboratori: Giancarlo Susanna, Valentina Cataldo, Sergio Chiari, Davide Castrignanò, Patrizio Longo, Antonio Iovane, Rossano Astremo, Rita Miglietta, Daniele Lala, Fulvio Totaro, Federico Vaglio, Lorenzo Coppola, Nicola Pace, Giacomo Rosato, Nino D’Attis, Luca Greco, Luisa Cotardo, Emanuele Carrafa, Francesco Lefons, Camillo Fasulo, Federico Baglivi, Lorenzo Donvito, Gianpaolo Chiriacò, Livio Polini, Bob Sinisi, Eugenio Levi, Nise No, Giancarlo Bruno, Davide Ruffini, Loris Romano, Dario Quarta, Carlo Chicco, Patrizio Longo, Anna Puricella, Giancarlo Greco, Stefania Azzollini, Silvia Visconti

Puglia (chi)ama Rock 4-5 Blonde Redhead 7 La poesia nei Jukebox 9 Keep Cool

30 Blackmailmag 31 Be Cool

Ringraziamo la redazione di Blackmailmag.com In copertina i Blonde Redhead La foto di Cristina Donà qui a fianco e quelle di pag. 7 sono di: Viviana Martucci Progetto grafico dario Impaginazione Roberto “Demon” Pasanisi Stampa Lupo Editore - Copertino Chiuso in redazione all’alba della notte dei morti viventi (2 novembre 2005) Per inserzioni pubblicitarie: Cesare Liaci T 3404649571 cesare@coolclub.it

34 Pierpaolo Pasolini 36 Appuntamenti 38 Fumetti

16 Not Moving 19 Adriano Canzian 22 Stevie Wonder

23 Coolibrì 28 Fernandel 29 Massimo Carlotto

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Un autunno di concerti

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La Puglia e molte altre regioni d’Italia, in particolare del Sud, sono accomunate dallo stesso enorme problema, quello più grande e insormontabile, quello imprescindibile e insuperabile. Non è il traffico, come sentenziava lo zio di Johnny Stecchino, un traffico vorticoso, tentacolare, che mette famiglie contro famiglie, ma la mancanza di spazi adeguati (e soprattutto poco costosi) per la musica live. È una questione che abbiamo toccato molte volte sul nostro giornale e che, almeno per ora, non pare destinata ad una soluzione duratura. Ma tra difficoltà economiche (la crisi tira su tutti), tagli della finanziaria sugli spettacoli – cifre incredibili e ancora non confermate -, tra proteste degli operatori del settore, regole della Siae che cambiano di continuo – sfido chiunque a compilare i biglietti manuali e non uscire pazzo -, la stagione live in Puglia avanza e soprattutto a Lecce e Bari avanza bene. Novembre ospita numerosi eventi di rilievo nazionale e internazionale e sembra un buon viatico per la nuova stagione. Staremo a vedere. Questi in sintesi alcuni degli appuntamenti inseriti nelle principali rassegne. Molto altro si muove tra piccoli locali, pub, teatri, circoli Arci e molti altri eventi sono segnalati nelle pagine 36 e 37. E speriamo di non aver dimenticato nulla! TimeZones - Bari A novembre entra nel vivo la rassegna TimeZones (gli appuntamenti sono al PalaMartino di Bari), della quale abbiamo già abbondantemente parlato nel numero di ottobre, che quest’anno compie 20 anni. Dopo Alva Noto e Ryuichi Sakamoto, la rassegna prosegue con Lydia Lunch e la sua band (sabato 5) e Domenico Lancellotti, Moreno Veloso e Alexandre Passim (domenica 6. Venerdì 11 spazio a Mauro Pagani e al violoncellista palermitano Giovanni Sollima. Sabato 12 sul palco Arto Lindsay, compositore, cantante, chitarrista e produttore è una delle menti più geniali della New York musicale degli ultimi 20 anni. Mercoledì 16 si esibiranno le Cocorosie, gruppo formato dalle sorelle Sierra e Bianca Casady, uno dei fenomeni musicali del momento. Gli ultimi due appuntamenti sono il 25 novembre con i Konki Duet, un meraviglioso esempio di raffinatezza elettroacustica, e il 29 al Vallisa con Zeena Parkins e Ikue Mori. Info www.timezones.it La Provincia dell’Impero - Bari L’associazione Provincia dell’Impero ospita una rassegna itinerante in vari locali di Bari e provincia. Dopo l’esordio con Chris Leo e Langhorne slim, martedì 8 novembre al Bohemien Jazz Club largo agli statunitensi Akron/family la nuova grande scoperta della Young God, etichetta del geniale Michael Gira, leader degli storici Swans. Domenica 13 al Target sul palco The hospitals (USA) mentre il 20 dal Giappone My way my love, che saranno in concerto il giorno dopo al Circolo Arci Sotterranei di Copertino (Le) che da anni si muove per la promozione e l’organizzazione di eventi. Inoltre il primo venerdì di ogni mese al Target The sound hospital un luogo dove si incontreranno arte, video, musicisti e dj nazionali ed esteri. Info provinciadellimpero@ infinito.it ZenzeroClub - Bari Altro luogo deputato per la musica dal vivo a Bari è Lo ZenzeroClub. Novembre si apre (venerdì 4) con il concerto del cantautore romano Max Gazze e prosegue l’11 con l’esibizione dei Namb, accompagnati in consolle da Madaski, fondatore degli Africa Unite. Quello del gruppo è un synth-pop che strizza l’occhio al rock, farcito di elementi e strumentazioni new wave. Venerdì 18 torna allo Zenzero nell’unica data pugliese Morgan che presenterà i brani tratti da Non al denaro, non all’amore né al cielo, l’album di De Andrè reinterpretrato dal leader dei Bluvertigo. La programmazione di dicembre va avanti con Perturbazione (venerdì 2), Dj Gregory (sabato 3), Supersystem (domenica 4) e Marco Parente (venerdì 9). Info www.zenzeroclub.it Italians do it better - Lecce Italians do it better è il titolo della rassegna organizzata da Coolclub e dedicata, come il titolo tratto da una celebre frase che troneggiava anche sulle magliette indossate da Madonna, alla musica italiana. Un percorso che parte al Candle di Lecce sabato 12 con il concerto di Numb e Madaski (il giorno prima a Bari). Venerdì 18 sul palco dell’Istanbul Cafè i Super Elastic Bubble Plastic presenteranno The Swindler, esordio discografico del trio mantovano. Un disco “d’amore e d’odio”, tra politica e relazioni interpersonali, senza mezze misure. Partorito con l’urgenza del condannato. Un bel esempio di indie rock’n’roll. Venerdì 25 al Candle unica data pugliese per il tour dei Baustelle (vedi intervista a pagina 8). Sabato 3 dicembre a Squinzano appuntamenti con i Perturbazione. Info www.coolclub.it

29 NOVEMBRE 2005 - B

Tutto comincia a New York all’inizio degli anni ’90, sono gli anni in cui la Grande Mela ha il suono di gruppi come i Sonic Youth e Fugazi, Pussy Galore, in cui il rumore e il ritmo della metropoli entrano nella musica, la rabbia del punk, le atmosfere decadenti della new wave, l’art-rock si fondono in nuove forme e stilemi musicali. L’espressione della rabbia, l’arte nella musica, le tante influenze e suoni che popolano l’america sono una sintesi dei decenni passati e il ponte verso il suono che sarà tipico del decennio a cavallo con il nuovo millennio. A Chicago c’erano l’hard-core e i suoi derivati industrial e noise (su tutti i Nine inch nails), ma c’era anche l’alternative pop dei Pixies, l’indie dei Pavement, la nuova psichedelia newyorkese capitanata dai Mercury Rev, la Seattle grunge che nasceva, la techno, e i primi passi del post rock ad opera degli Slint. In questo ambiente nascono e crescono i Blonde Redhead. Prendono il loro nome dal titolo di una canzone dei Dna (band no-wave della scena newyorkese, guidata da Arto Lindsay). Questo lascia presagire le influenze di quello che in origine, parliamo del 93, era un quartetto. A Kazu (chitarra e voce), Amedeo Pace (voce, chitarra) e Simone Pace (batteria) si affiancava Maki Takahashi al basso. Con questa formazione incideranno solo il loro primo mini album omonimo del 94. L’alchimia italo-americano-giapponese è una formula che non tarda a esplodere nel panorama indipendente americano. Amedeo e Simone di origine italiana e cresciuti in Canada hanno studiato jazz a Boston prima di arrivare a New York. Questo imponente background permette loro di confrontarsi con la scena della Grande Mela, attingendo a più livelli. Assorbono e rielaborano il new jazz, il rock, il punk e il pop con la naturalezza di chi è padrone della tecnica e ha voglia di sperimentare. Alla simbiosi musicale dei gemelli Pace si aggiungerà presto Kazu


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Discografia

Blonde Redhead Smells Like Records - 1994 È il loro primo album e come in tutti gli esordi il sapore è acerbo, ma ha in sé, velati magari, tutti quelli che saranno gli elementi della band. Prodotto da Steve Shelley, batterista dei Sonic Youth, il disco è pieno di noise, di un’irruenza quasi punk ma ha già anche trame e giochi vocali che presagiscono l’evoluzione. Quella dolcezza che sembra in lotta con la ruvida violenza delle chitarre, creando un’atmosfera musicale sempre tesa. La mia vita violenta Smells Like Records - 1995 Il loro secondo album vede assestarsi la formazione a tre. Questo farà del basso uno strumento jolly a cui Amedeo e Kazu si alterneranno. Oltre la matrice sonica sempre presente nel loro sound, in questo album (dedicato a Pasolini) la ricerca musicale si impreziosisce a partire dall’utilizzo di nuovi strumenti (sitar, tastiere). Anche le ritmiche cominciano a intricarsi diventando struttura portante e marchio distintivo del gruppo. Fake Can Be Just As Good Touch and Go - 1997 Cambio di etichetta ed ancora crescita per la band che matura e cresce fino quasi ad esplodere. La produzione esaspera il lato distorto della band, fanno capolino le prime tentazioni elettroniche, la presenza del bassista degli Unwound pompa tutto ulteriormente. Forse il disco che segna il punto di rottura, la svolta della band, che intraprenderà la strada della maturità. Un disco lancinante e sofferto.

BLOnDE REDHEAD In PUGLIA Makino che con il suo stile inconfondibile, la sua voce sottile, i suoi falsetti sarà il carattere e la caratteristica della band. Dopo gli esordi immersi nel noise la band comincia a crescere ed ad assumere una propria personalità musicale. Il clima sempre teso delle composizioni, le strutture musicali che si disintegrano tra chitarre e ritmiche che si rincorrono per poi correre a braccetto, la sensualità, l’isteria, il caos sono solo alcune delle caratteristiche dei Blonde Redhead. Con il passare degli anni e dei dischi le mille sfaccettature del loro tessuto musicale cominciano a emergere dal rumore per far affiorare la melodia. E si scopre la loro passione per l’Italia, per Pasolini a cui dedicheranno un intero disco (La mia vita Violenta), per il cinema e per la musica francese, le colonne sonore. La tendenza ad addolcire i toni lascia trasparire la complessità e la ricchezza delle loro composizioni, la ricchezza e la particolarità degli arrangiamenti li sdogana da facili paragoni e li incorona artefici di uno stile tutto loro. Mai uguali a se stessi ma sempre in crescita e a tratti spiazzanti i Blonde Redhead non si sono mai ripetuti riuscendo a mantenere comunque forte la matrice musicale di partenza. Questa è la risultante di tre identità musicali molto distinte e forti, ognuna preziosa e complementare all’altra nel suo ruolo: il drumming aperto, vicino al jazz ma con un orecchio rivolto al post rock di Simone, le timbriche di una chitarra (quella di Amedeo) capace di ruggire, piangere, volare e solleticare l’anima e la femminilità, la fragilità della voce di Kazu che sa essere un sussurro o un grido lancinante e che con quella di Amedeo sembra amoreggiare. Tutto questo e molto, molto di più sono i Blonde Redhead. Zenzero e Coolclub organizzano una delle due date italiane di questo tour invernale dei Blonde Redhead. Inizio ore 22.30. Ingresso 15 euro. Info prevendite 0832303707 – 080.503.45.80.

In an expression of the inexpressible Touch and Go - 1998 Prodotto da Guy Picciotto dei Fugazi questo disco sembra distendere il magma sonoro accumulato nei dischi precedenti. Tutti gli elementi sembrano calibrarsi tra di loro ed emergere più nitidi. È qui che la passione per le colonne sonore comincia ad emergere, che la maturità anagrafica e artistica affievolisce le sfuriate giovanili diventando rumore controllato. Uno dei loro dischi migliori, un manifesto di fine millennio. Melody of Certain Damaged Lemons Touch and Go - 2000 In questo disco i Blonde Redhead abbracciano definitivamente la melodia, si può azzardare addirittura la definizione di pop per alcuni elementi e soluzioni da sempre negli ascolti della band e fino a questo momento coperti dai feedback, la costruzione dei brani è ricca, malinconica, ipnotica. La preparazione, l’ulteriore, a quello che i dischi a venire approfondiranno. L’inizio dei nuovi Blonde redhead e anche l’apertura verso un pubblico più ampio. Melodie Citronique EP, Touch and Go - 2000 Una chicca per gli amanti della band che prende alcuni brani dell’album precedente incidendoli in una nuova versione. In Particular diventa En Particulier interpretata in francese da Kazu, Hated because great qualities si trasforma nella bellissima Odiata per le sue virtù dove è sempre Kazu a cimentarsi con l’italiano. Nell’ep anche la cover di Slogan di Gainsbourg e Chi è e non è inedito in italiano. Un omaggio a Francia e Italia, paesi amati dai tre. Misery Is A Butterfly 4AD - 2004 Ultimo lavoro in studio per i Blonde Redhead, cambio di etichetta e completata metamorfosi verso nuovi territori sonori. Come un bruco che diventa “farfalla”, la loro musica esce dal bozzolo newyorkese per respirare il cielo d’Europa. Decadente, pieno zeppo di riferimenti alle colonne sonore anni 70, quasi dreampop, Misery is a butterfly è un volo a perdifiato verso paesaggi musicali possibili, un grande disco.


CoolClub.it Soulwax

Moby

Chemical Brothers

Ed io tra di voi... Flippaut festival – Bologna 2005 di Carlo Chicco Ho passato qualche minuto con un sorriso di soddisfazione stampato sul volto guardando il mio primo pass/dj della storia! Non la solita PRESS ma un artista! Sono quelle cose che uno conserva solo per vezzo, per ricordarsi che quel giorno a “suonare”, se così possiamo dire, c’ero anche io. Insomma, un appuntamento importante con un carnet di artisti interessante Moby, Chemical Brothers, Prodigy, Audioslave, Soulwax e giù di lì. Quello che si svolge nei back stage è sicuramente molto interessante, soprattutto se ci sono artisti di fama mondiale o quasi, scopri cose che normalmente non si vedono: la cantante dei BlackEyedPeas che mangiava con disinvoltura ogni pietanza con le mani o i Jet che pasteggiavano una caprese bevendo Vodka direttamente dalla bottiglia (una per ciascuno! molto rock’n’roll) o stringere la mano a Morrissey!!! In quest’occasione mi sono ritrovato, come la tradizione vuole per gli artisti (!!?), al buffet, che al Flippaut è sempre molto interessante, mangiando, ma soprattutto bevendo vino o cose del genere con una strana compagnia di “amici”! Non quelli della porta accanto ma “gli artisti”! Forse sarà stato il vino ad

agevolare le cose mentre i giornalisti di turno scherzavano chiedendo chi fosse l’originale (solo forse perché abbiamo lo stesso taglio di capelli!!) mi sono ritrovato a parlare con il signor Richard Melville Hall, ovvero Moby! Una bella comitiva Moby, Chemical Brothers e Soulwax! “non ti stanchi di far girare i dischi? dovresti provare a suonare qualche strumento come faccio io..” introduce Moby, a me, che in qualche modo cercavo di sentirmi a mio agio facendo finta di essere all’altezza della situazione “in questo nuovo album ho suonato praticamente tutti gli strumenti tranne una batteria è come se suonassi in una band ora, dal vivo è un concerto e non uno pseudo dj/set”. “Beh il nostro non è proprio un dj set anche perché suoniamo soprattutto delle macchine” interviene Tom dei Chemical forse risentito “ha l’impostazione del dj set ma è un vero live che noi abbiamo arricchito con video ed effetti speciali” a questo punto io, che ho continuato a comportarmi come se loro fossero amici da sempre, chiedo “ma le macchine vi danno anche la possibilità di vivere il live con più tranquillità, mi dicevi (non me lo hai mai detto!!!) che avete molte tracce programmate sulle quali interagite” Tom “in verità sì, molti brani sono già

sui portatili o cose del genere e noi ci giochiamo su!!! Forse sul palco siamo un po’ più liberi” e questa affermazione ha fatto sorridere Moby compiaciuto come se avesse scoperto un difetto nel collega, ma questo non toglie sicuramente il prestigio dei due fratellini chimici (molto chimici!) che in studio inventano sempre dei gioielli!! “Hai un paio di nostri remix!!” aggiungono Stephen e David dei Soulwax nonché 2Manydjs “ultimamente le nostre produzioni vanno sempre più avvicinandosi ai nostri dj set, cosa suonerai dopo?” che domanda! “Beh chiudo con loro (indicando i Chemical) penso a un po’ di electro o cose del genere” ho risposto un po’ distaccato ma agitato ed allora ho iniziato a parlare dei dischi che avevo in borsa e scoprire qualche curiosità sulle produzioni come un’ubriacata generale con James Murphy della DFA e LCD Sound System in occasione del singolo “daft punk..” - “lui è un tipo in gamba, è sempre al lavoro e in giro...nel privato però è molto tranquillo anche se poi quando beve…insomma anche noi se beviamo diventiamo molesti!!! Ora stiamo progettando di remixare insieme un singolo dei Gorillaz uscirà tra qualche mese credo solo come promo poi vedremo”. Qualche mese dopo al festival di

Arezzo Wave i Soulwax mi hanno presentato a James Murphy come un loro amico, un dj italiano molto bravo! Mah sarà stato il vino...ci scambiamo informazioni, i classici convenevoli, loro mi dicono che verranno a ballare al mio dj set dopo il concerto dei Chemical ed io prometto (come se questo fosse un elemento fondamentale) di esserci al loro che sarebbe partito alle 2 al Link di Bologna. Alla fine parlo della Puglia e del suo mare e poi dei posti da visitare come i trulli o il salento.. “sono venuto spesso in Puglia dalle parti di Alberobello (??!) si chiama così? Perché ho degli amici.. mi piace molto” afferma Moby con mio stupore “a me piacerebbe venirci” aggiunge David “mi ospiteresti?” Alla fine ho promesso a tutti di ospitarli in una ipotetica villa/trullo pugliese e tutti con il fioretto di adattarci alle abitudini alimentari di Moby che sono un po’ complicate! Dopo esserci scambiati indirizzi e telefoni che forse non userò mai, ci siamo salutati con pacche sulla spalla come dei vecchi amici! Nel treno di ritorno per Bari guardavo le foto e continuavo a sorridere chiedendomi se tutto ciò fosse realmente accaduto! E se un giorno riuscirò ad affittare una villa con loro!! Immaginate i festini!! Ovviamente siete tutti invitati!!!


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Amerigo Verardi e Miss Matilde Davoli- Federico Fiumani - Iain Matthews - Cristina Donà e Fededrico Fiumani

La poesia nei Jukeboxe - Galatina 29 ottobre 2005 di Osvaldo Piliego Alla fine, sembra quasi un pretesto. Quando siedi al tavolo del tuo ristorantino di fiducia e parli di orecchiette con le rape insieme con Cristina Donà mentre Federico Fiumani si lascia affascinare dalle bellezze del luogo, ti convinci che tutto questo ha un senso. Al gigante Davide Sapienza sembra andare bene solo l’antipasto ed è tenero Giancarlo Susanna che già a pochi minuti dal suo arrivo cerca di moderare. La squadra di Coolclub è contenta e tutti attendiamo trepidanti l’arrivo di Iain Matthews nel pomeriggio. Tutto è pronto per la seconda edizione di Giovani e...una manifestazione che organizziamo ogni anno con l’assessorato alle politiche giovanili e al Centro Progetto Giovani del Comune di Galatina, uno di quei posti illuminati che sceglie di fare cultura non solo con i tamburelli. Quest’anno abbiamo deciso di dedicarci al rapporto tra parole e musica e insieme a Giancarlo Susanna, quello che ormai mi piace chiamare il patron della manifestazione, abbiamo invitato Davide Sapienza (ex giornalista musicale ora romanziere), Cristina Donà, Amerigo Verardi, Federico Fiumani e Iain Matthews dei mitici

Fairport Convention. Il tempo è titubante ma noi siamo sicuri che sarà una serata da ricordare. Il clima è già familiare, come una rimpatriata tra amici che non si vedono da tempo. E forse è questa la cosa veramente importante. Più delle parole, della musica e dei concerti la cosa più bella è l’incontro. Si parla con entusiasmo o meno di dischi, “colleghi”, di amici in comune, di passioni che ancora bruciano e di altre ormai sopite. Il pomeriggio scorre veloce tra preparativi, aperitivi e l’incontro con Iain e bella signora al seguito. A Davide e Giancarlo il compito di inaugurare la lunga serata. Insieme a loro sul palco tutti gli ospiti, come in salotto, a chiacchierare sul peso delle parole, sul loro ruolo all’interno delle canzoni, del debito che la musica ha con la letteratura e viceversa. Ognuno ha un suo rapporto con le parole, i suoi gusti, i suoi poeti di riferimento e dopo poco la distanza scompare, la tensione lascia il posto alla curiosità, il cortile del palazzo della cultura si riempie e comincia la musica. È Amerigo Verardi il primo a salire sul palco, a riscaldare e incantare la gente (bellissimo il duetto con Miss Matilde Davoli). L’energia di un artista si vede quando è da solo

e Amerigo ne ha tanta che un po’ potrebbe pure vendersela. Tutti i set sono rigorosamente (più o meno) acustici: una chitarra, una voce trenta minuti a testa. Ma poi, per fortuna, la situazione sfugge di mano un po’ a tutti. Fiumani sale sul palco armato di Telecaster e inchioda alle sedie i presenti, a oltranza, tra cavalli di battaglia e chicche inedite tirate fuori dal cassetto giusto per l’occasione. Il terzo a esibirsi è Iain Matthews ed è incredibile, semplicemente incredibile. Una delle voci più belle del folk inglese ha letteralmente rapito i presenti, li ha portati a fare un giro negli anni 70, e li ha riconsegnati a Galatina dopo mezz’ora. La più attesa e la più applaudita (secondo la personale classifica di Federico Fiumani) è Cristina Donà. Per la prima volta in tutta la serata, accompagnata dal fastidioso chiacchericcio dei presenti, piomba il silenzio ed è Cristina, bravissima, simpatica, romantica ad accompagnarci con dolcezza verso la fine di una serata speciale. A rendere il tutto indimenticabile un duetto inedito tra Cristina

e Federico sulle note di Le labbra blu, brividi. Alla fine, merito delle birre, della lingua sciolta di Davide, della disponibilità di Iain o della trascinante esuberanza di Federico, di Giancarlo amico di tutti, la serata finisce tra gli abbracci sinceri e gli arrivederci. Alla fine il pretesto è uno solo: l’amore e la passione per la musica.

Davide Sapienza e Giancarlo Susanna


CoolClub .it La Malavita raccontata dai Baustelle Intervista al cantante Francesco Bianconi di Valentina Cataldo Baustelle (parola tedesca da pronunciare in assoluta libertà) è un gruppo con base a Montepulciano, in provincia di Siena. Un progetto, nato nella seconda metà degli anni ’90, che dopo la solita trafila di demo arriva all’esordio discografico nel 2000 con Sussidiario illustrato della giovinezza con la produzione artistica di Amerigo Verardi. Il disco guadagna importanti riconoscimenti e suscita grande curiosità e apprezzamenti fra pubblico ed addetti ai lavori per la sua (ri)costruzione di quarant’anni di pop (dalla canzone d’autore francese e italiana, all’elettronica, dalla new wave alle colonne sonore anni sessanta/settanta). Dopo un cambio di etichetta discografica (autoproduzione in partnership con BMG Edizioni, distribuzione Venus) nel 2003 arriva La moda del lento che prosegue, ampliandolo e amplificandolo, il percorso intrapreso con il disco precedente. Anche questa volta Baustelle collabora con Amerigo Verardi, in veste di co-produttore artistico. Il 21 ottobre è uscito per Warner Music Italy/Atlantic La Malavita. Il disco, come il titolo lascia immaginare, raccoglie undici canzoni-manifesto del male di vivere. Più teso, rock e potente dei precedenti lavori, il disco sintetizza con eleganza italiana il wall of sound di Phil Spector (un’orchestra d’archi suona in sei pezzi), le colonne sonore dei “poliziotteschi”, Gainsbourg, la canzone d’autore italiana, il punk primordiale newyorkese di Modern Lovers, Television, Blondie e Ramones. Abbiamo parlato dei Baustelle con il cantante Francesco Bianconi. Terzo album: La malavita. Innanzitutto, chi è il destinatario di questo lavoro, chi può ascoltare e capire davvero il vostro messaggio? Non so se abbiamo un

messaggio “universale”. Scriviamo canzoni. Vorremmo che queste canzoni arrivassero ed emozionassero più gente possibile. Ecco perché non viviamo assolutamente come una costrizione il fatto di avere firmato per una major. Disco – dite - dal suono “100% Baustelle”. Quali sono i vostri tratti sonori imprescindibili? Su cosa vi siete maggiormente soffermati nella realizzazione e produzione di questo disco? Prima il suono e poi le parole.. Credo che la cosa bella dei Baustelle sia quella di risultare sempre identificabili nonostante “i vestiti che cambiano”. Potremmo fare un disco reggae, e forse potresti riconoscerci dentro comunque un po’ di mondo Baustelle. Per questo disco volevamo, in partenza, un suono hi-fi, potente, con meno elettronica programmata, pieno di chitarre e orchestra: il risultato è effettivamente così, quindi oggi diciamo che La Malavita è Baustelle al 100%. In futuro, speriamo, ci saranno altre idee, altre aspettative. La malavita: “Non riconoscersi nel modello dominante. Un omaggio a chi a volte non ha esitato a mettere la propria vita sul piatto per cercare di averne un’altra”. È così facile desiderare di avere un’altra vita, ma quanto è difficile cambiarla? La società occidentale fondata sui consumi ha progressivamente annullato tanti valori sacrali, l’amore su tutti. L’unico amore puro rimasto all’occidente liberalista e capitalista è quello dei cani. Una società che annulla i sentimenti e il sacro per sostituirli con impulsi all’acquisto è una società che si allontana dalla felicità, nel senso più primitivo che si può dare a questa parola. Per questo l’uomo occidentale sogna un’altra vita, per questo sogna di andarsene. Ma questa è, appunto, soltanto la possibilità di un sogno. Teatro Storchi, Modena. Le città viste dal basso. Due parole sulle città in cui hai vissuto. Quanto è importante l’ambiente che si ha intorno?

È molto importante. Se non avessi avuto Milano intorno, non ci sarebbero state molte delle canzoni de La Malavita. Idem per Montepulciano e la provincia senese che hanno ispirato i due dischi precedenti. Come mai hai immaginato una storia vista dall’altra parte, dalla cima di un albero? Il Corvo Joe è il simbolo perfetto di questa malavita? Non ho immaginato tanto… Il Corvo Joe esiste veramente, ai giardini di via Palestro a Milano. Io l’ho solo romanzato un po’. Mi piaceva raccontare una storia dal punto di vista di un “giudice” esterno alla razza umana. Joe, che è brutto e nero, fa il suo processo ai così colorati esseri umani occidentali e alle loro miserie. Vorrebbe tanto condannarli ma alla fine li perdona. In fondo, è un surrogato di Dio. Sì, mi piace pensarlo come simbolo del disco. Chissà se è ancora vivo. Nuovo sito (costruito come i numeri di un giornale), tante date. Qualcuno ha detto “la tigre è ancora viva”... Beh, sì, è un po’ come ci sentiamo adesso. Nella nostra piccola storia, questo è la prima volta in cui ci sentiamo così compatti e affiatati. La prima data è già passata, a

Cavriago. Come è stato ritornare sul palco? Quali sono state le prime, più forti, emozioni? Il 25 novembre sarete da noi, a Lecce, felici di arrivare nel Sud? A Cavriago è stato bellissimo, grande accoglienza, locale stracolmo, eravamo molto emozionati. In tanti dopo il concerto ci hanno detto che non ci avevano mai sentiti suonare così e noi ne siamo stati felicissimi. Personalmente, suonerei soltanto al sud e Lecce è una città fantastica. Sul sito si accenna già al nuovo disco “che potrebbe essere completamente altro”. Già qualche idea? Sì, molte. Ma potrebbero cambiare e quindi non mi sbilancio. In ultimo, davvero non piangi mai sugli amanti lasciati al binario del treno? Piango al momento, nel ricordare non piango. E poi più si invecchia e più il cuore incartapecorisce. Leo Ferrè diceva “Col tempo sai, non ami più”.


Keep Cool Neil Young Prairie Wind Reprise di Lorenzo Donvito

Esiste modo e modo di parlare di un musicista e del suo lavoro, normalmente la giovane età dell’artista porta ad essere un po’ meno esigenti, per il semplice fatto di avere difficoltà nel calibrare il giudizio (…non tutti sono dei Ryan Adams in “crisi di iperprolificità”). Diversamente succede quando si ha che a che fare, per esempio, con un Neil Young al suo ventottesimo disco che ritorna a Nashville, luogo che ha dato i natali a uno dei lavori più famosi della sua discografia. Stiamo chiaramente parlando di Harvest (1972), senza dimenticarci che la capitale del Tennessee ha visto nascere anche Cames A Time (1978) e Harvest Moon (1992), tutti dischi imperniati su un certo tipo di ballate acustiche intimiste e compagne tanto delle nostre tristezze, quanto delle nostre più profonde “incazzature”. Ecco, se Neil Young fosse una collezione di vestiti lo presenteremo come una collezione adatta a tutte le stagioni della nostra esistenza e dei nostri umori. A questo giro, tra un’aneurisma, fortunatamente curato in tempo, e l’ennesimo lutto, la morte del padre, il “loner” dell’Ontario sulla strada per Nashville si deve essere ricordato di un disco come This Note’s For You (1988). E sicuramente molto ha fatto l’incontro con Wayne Jackson dei Memphis Horns, “vera anima”

degli arrangiamenti rhythm and blues di questo disco. Sono tante le cose che potrebbero essere scritte e che sono state scritte su un lavoro come Prairie Wind: tutto e il contrario di tutto... È vero che Here For You ricorda From Hank To Hendrix; sì, certo, This Old Guitar ha il riff uguale a quello di Harvest Moon, ma è importante? Ricordiamoci che il “vecchio Neil” non può assomigliare altro che a se stesso e che certi azzardi, dal blues nervoso di Prairie Wind al rhythm and blues farcito di gospel e country di No Wonder o di He Was The King, se li possono permettere in pochi. Se poi, per caso, avete una decappottabile, un cappello da cow boy e quando siete depressi vi tirate su con un vecchio lp di Sam & Dave, beh, Far From Home è la vostra canzone. In una recente intervista il cantautore canadese ha ricordato le parole che usava dirgli suo padre, Scott Young, noto giornalista sportivo: “Anche se non ti va di scrivere, siediti e fallo, tutto quello che esce va bene, non ti preoccupare, scrivi e basta. Poi un giorno, quando penserai di non avere più niente in testa, rileggerai le tue cose e ti sorprenderai nel vedere quello che invece hai. Non ci pensare, non giudicare, solo fallo, siediti e scrivi.” Che dire? ...Keep On Rockin’...

Pop, Alternative, Metal, Elettronica, Lounge, Italiana, Indie

la musica secondo coolcub


KeepCool

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Slugs Bob Berdella Bizarre Bordello Black Candy Records Slugs, giunti al secondo capitolo, sono la classica mosca bianca. È un po’ come sentire certe cose del grunge suonate con l’asciuttezza di una garage band o di una indie rock band. Non so se fosse questo lo scopo o l’ispirazione della band, e poco mi frega. Una cosa è certa: Piaceranno agli orfani dell’uno e ai tenaci seguaci degli altri due. Esempi? A profusione. Ed Gein è una riuscita e allucinata jam fra Jon Spencer Blues Explosion, primi Pavement e Pixies. Green River Killer, una bizzarra ballata sospesa fra mad season-memorie e telluriche sferzate di batteria (con tanto di scratches in coda?!). Sand: evoluzioni di sax e acide chitarre; Alice in chains e Screaming trees dietro l’angolo. The Day They Put Down Land From Hollywood e Love Part Two: un Lanegan che si buca ancora. Salix Dead Tree: lo strumentale tutto evoluzioni chitarristiche. “I’m just another John Wayne, I’m just a Citizen Kane” cantano in I Could Have Been A Contender. Una nota interna alla copertina: “forse i serial killers sono gli ultimi veri punk”. Che dire? Seattle chiama, l’inverno si preannuncia duro e dopo aver fatto i compiti ascolterete dischi come questo. Tanto fuori piove. (Sergio Chiari) Honey For Petzi Man’s rage for black ham Gentlemen records Gli Honey For Petzi sono dediti a quello che io ormai definisco “sudoku rock” (come dite? Math-rock? Mai sentito nominare). Detto questo, non si può affermare che il loro sia un disco, ahemmm, imprescindibile per il genere. Soprattutto i primi quattro pezzi potranno crogiolare le orecchie degli avventori di una mostra d’arte trendyminimale, ma nulla più. Procedendo nell’ascolto operano una parziale svolta con la “reversata” Blakam, grazie anche all’utilizzo dell’elettronica, e con un brano cantato come Trust The Square, e il tutto si fa più interessante. Salvo ritornare poi, un po’ caparbiamente, allo stimolante sound di cui sopra, senza affrancarsene o elaborarlo. Già, stimolante. Del resto, dov’è che muniti di penna e gomma aprite il vostro libro “Sudoku”? Stiamo parlando di una seduta di 42 minuti e fischia, però. (S.C.) Clevis hat Clevis hat Arab sheep Qualche fan della Bella Union? Perchè questi Clevis

Grandaddy Excerpts From the Diary of Todd V2 di Osvaldo Piliego “È passato così tanto tempo dall’ultimo disco, non volevamo entrare a casa della gente senza avvisare, l’ep è un po’ come una telefonata per dire stiamo arrivando”. Queste sono le parole di Jason Lytle, leader della band, che annunciano e presentano questo prezioso ep in attesa della nuova prova sulla lunga durata dei Grandaddy. Risale al 2003 il bellissimo Sumday successore dell’ineguagliabile The Sophtware Slump, una lunga attesa prima del nuovo episodio in musica della band di Modesto, California, che arriverà solo nel 2006. Un periodo di pausa in cui la band di barbuti nonnini si è spinta verso un’ulteriore evoluzione del suono. Dopo aver ridisegnato in parte l’estetica di un certo indie pop sognante, psichedelico e sghembo i Grandaddy sembrano marcare ancora di più, con questo ep, i loro tratti distintivi. E se il dolce diventa dolcissimo, il forte è una sventola che non ti aspetteresti. L’elettronica minimale acquista risalto e fa convivere pacificamente tutto con la stessa leggerezza e semplicità a cui la band ci ha da sempre abituato. Sofisticati senza che uno se ne accorga, riescono anche in sette tracce a fare scuola alla schiera di figlioletti sparsi un po’ in tutto il mondo. A natale i nonni ci faranno un bel regalo, e noi non vediamo l’ora.

Silver Jews Tanglewood Numbers Drag city records Silver Jews è come una creatura mutante con una grande testa. La testa è quella di David Berman, tante le forme che gli elementi succedutisi all’interno del gruppo hanno dato a questo progetto. Da Stephen Malkums e Bob Nastanovich dei Pavement all’eclettico folksinger Will Oldham la lista è lunga come gli ormai dieci anni di carriera. Il tempo, come il vino, ci restituisce un disco pieno di sapori intensi dalla lunga permanenza e dal retrogusto piacevolissimo. Senza essere eclatante, questo nuovo disco si compone di canzoni che si discostano in parte dal minimalismo low-fi del passato, per suonare più complete e arrangiate del solito. La voce sporca, bassa e profonda di Berman fa di questo disco qualcosa di terreno, cigolante, maschile come il country di Jonnhy Cash, introspettivo come l’alternative degli Smog, o commovente come i Lambchop. Moderno e classico al contempo, senza sbavature ma slabbrato, indolente Berman si perde e ci fa perdere nelle sue ballate piene di poesia e letteratura. Il confine, forse il giusto compromesso, tra quello che non si deve dimenticare e ciò che c’è di nuovo e bello e non si può ignorare. Fuori dal mercato, fuori dal tempo, Tanglewood Numbers è un disco che non vuole convincere nessuno ma solo suonare e suonare ancora. (O.P.)

Iron & Wine / Calexico In the Reins Touch and go

Quando due band o due artisti collaborano le alchimie prodotte sono sempre strane e spiazzanti. È una questione di personalità musicali, di predominanze ed equilibri. Nel caso di Iron & Wine (al secolo Sam Beam) e Calexico (band di Tucson, Arizona, capitanata dal duo Joe Burns-John Convertino) i pianeti a confronto non sembrano orbitare poi così distanti e l’incontro è morbido, complementare. Iron and Wine sembra aprire le finestre della sua casa ai suoni pieni di atmosfera, ariosi e desertici dei Calexico. Questi ultimi sembrano aver messo da parte gli speroni per indossare comode pantofole. Il disco è un continuo scambio, un impreziosirsi di trame in cui le qualità di entrambi vengono messe in risalto sotto una nuova luce. Tra folk, svisate jazz, Messico e tantissime nuvole ci si perde in sette episodi leggeri che volano via insieme a una manciata di minuti di bellissima musica. In questo episodio, che secondo le dichiarazioni non resterà isolato, le canzoni sono scritte da Beam e interpretate e arricchite dai Calexico, magari in un futuro non lontano sarà il contrario. Una cosa è certa, fan dell’una e dell’altra fazione non resteranno delusi, gli amanti delle belle canzoni scopriranno due grandi artisti in un colpo solo. (O.P.)

Hat cascano proprio a fagiolo. Classicità pop da una parte, modernità dall’altra (che qui nella fattispecie si esplica con un massiccio uso del programming). Tenui ballate autunnali, rumorose il giusto, i cui referenti se li spartiscono rispettivamente Francia, Germania e Inghilterra. E più di qualche puntatina in Scozia. Pensate agli Arab Strap (sì, senza la voce di Aidan) a braccetto con Gainsbourg: così lontani, così vicini. Roba che di questi tempi anche la Morr. (S.C.)

Echo and the bunnymen Siberia Cooking Vinyl

Three in one gentleman suit Some new strategies Blak candy records Facile recensire dischi come questo. È un po’ come parlare agli aficionados, che ne so, degli Smiths. Esistono dischi che non li scontenteranno, e compreranno qualcosa che gli si avvicini o che sia un eventuale proseguimento o evoluzione (ancora meglio) del sound della band prediletta. I Three In One Gentleman Suit sono puro Karate spleen-dore (dalle parti di The Bed Is In The Ocean). Ovviamente c’è dell’altro: il divertissement di Underwater, My Samba, le evoluzioni basso/batteria di Approach/Arrival. Ma c’è anche la stessa compostezza di quella band che riusciva a trattenere le emozioni più esplosive in un suono asciutto, plumbeo, che sembrava venire dall’hc per andare a toccare chissà quali corde del cuore. Prendere o lasciare. (S.C.)

Gli Echo and the bunnymen hanno un conto in sospeso con la storia. Precursori negli anni ‘80 di un genere che per alcuni sarebbe diventato wave e per altri pop, non ne hanno raccolto, almeno a livello popolare, gli stessi consensi. Ma Ian McCulloch e soci, autori di pietre miliari della musica come il fondamentale Crocodiles del 1980 non si sono arresi e dopo la recente reunion continuano a suonare e a fare dischi. La polvere non può coprire le bellezze che una band come questa ha sempre sfoggiato con garbo, ma le può nascondere o magari solamente appesantire un po’. Non c’è la freschezza di quegli anni incredibili in cui Ian insieme a Julian Cope scriveva pagine indelebili sul libro della musica. C’è nostalgia, ci sono le canzoni, c’è lo stile, ma tutto con un distacco e una freddezza che sembrano giustificare il titolo dell’album. La chitarra di Will Sergeant, una delle più belle che abbia suonato negli anni 80, ha ancora in serbo lezioni di stile un po’ per tutti, la voce di Ian più pacata non ha perso fascino ed eleganza, ma sembra mancare ispirazione. Nonostante una prova non brillante Echo and the bunnymen rimangono una colonna portante del suono inglese dagli anni 80 in poi, pensateci ogni volta che mettete su un cd di ventenni con le magliette attillate. (O.P.)

The Others The Others Poptones Tralasciando le storiacce che circolano sulla band, amica dei Libertines, mi soffermerei sull’aspetto peculiare del gruppo, l’essere il più lowfi della combriccola new rock. A dispetto di quanto si dica in giro, questi ragazzetti di talento ne hanno, e parecchio. Cialtroni, ambigui figli della classe operaia, creatori e promotori dei “guerilla gigings” (concerti improvvisati in treni della metropolitana londinese o in angoli oscuri del centro), i The Others hanno saputo come spostare su di se la luce dei riflettori e i media inglesi (che sono i più boccaloni del mondo) sono caduti nella loro rete. Dominic Masters, il front man, è il sogno di qualsiasi giornalista di un tabloid britannico: amico di Pete Doherty (ex Libertines e fidanzato di Kate Moss), legato sentimentalmente a un transessuale al quale ha pure dedicato un pezzo incluso nell’album, Johan, e tossico dichiarato (come esplicitato in Psychovision). L’esordio del gruppo è altrettanto rude, poco calcolato, immediato


KeepCool e politicamente orientato e scorretto (vedi il loro primo successo, This is for the poor, ribattezzato “l’anatema punk del momento”). Si direbbe che navighino sulla stessa rotta degli Art Brut, forse ancora meno raffinati di questi (si sente molto la puzza di Sex Pistols e Stooges…), se possibile. Cardigans Super extra gravity Stockholm Universal Tornano i Cardigans e lo fanno con un disco ormai lontano dagli esordi in salsa pop vintage. Molto più vicino al loro album Granturismo (1998) la band sfodera il suo lato più rock. Sembra si siano ispirati ai Pixies e ai Sonic Youth per la realizzazione di questo Super extra gravity. Il risultato è un sound alla Garbage, un impatto più aggressivo nei testi e anche nell’immagine della bella Nina Personn che mette in soffitta gli abiti da brava ragazza per proporsi più sexi che mai. Un buon disco di un gruppo capace di rinnovarsi restando sempre sulla cresta dell’onda. Paul weller As is now V2 Per gli appassionati di cultura mods, Paul Weller è un’icona. A cominciare dai Jam, passando per gli Style Council fino ad arrivare alla sua carriera solista si è sempre contraddistinto per stile. Quella deriva bianca del soul, del r’n’blues, macchiato di pop, punk e rock. Stagioni musicali che lo hanno visto in continua evoluzione, mai uguale ma sempre fedele a se stesso e alle sue radici. Gli anni passano ma non sembrano pesare sulle spalle di Paul Weller che ci regala un disco in cui gli elementi rock dettati a gran voce dalla sua chitarra sempre graffiante si riposano a tratti su ballate morbide cesellate da preziosi arrangiamenti di fiati. Ci sono, in questo disco, tutte le sfaccettature della sua personalità musicale, miscelate con equilibrio e maestria e suonate come il rock comanda. Niente orpelli ma eleganza, grinta, maturità, passione dichiarata per sonorità e soluzioni d’altri tempi si sommano in As is now. Se vi piacciono i più giovani Ocean Color Scene, se vi sono piaciuti Zutons e Coral, fate un giro da queste parti per vedere dove tutto ebbe inizio. (O.P.) Animal Collective Feels FatCat 2005 di Valentina Cataldo Suoni campionati e trame elettroniche si intricano e mischiano ad armonie vocali e ad una strumentazione tradizionale per dar vita a

11 The Walkabouts Acetylene Glitterhouse di Osvaldo Piliego

Acetilene: gas incolore, di odore agliaceo, infiammabile, soggetto a fenomeni di decomposizione e polimerarizzazione. Non è tossico, ma ha azione narcotica. Questa è la definizione scientifica di quello che è stato scelto come titolo per l’ultimo disco dei Walkabouts. Rappresentano, dagli anni 80 ormai, la faccia impegnata del rock americano. Il loro rock a metà strada tra il roots e derive più country e folk, ha subito cambiamenti ed evoluzioni restando però sempre coerente. La voce ruvida e sabbiosa di Chris Eckman e quella più morbida di Carla Torgeson ci hanno sempre regalato affreschi crudi dell’America. Il sound del nuovo album sembra corrispondere al titolo: brucia nel suo essere quasi punk rock old school, stordisce nel suo essere violento ma allo stesso tempo riflessivo. Si respira l’acre odore dell’amarezza, rumoroso senza sentire il peso e l’eredità del grunge, che proprio a Seattle (loro città natale) è cresciuto e pasciuto. Diretto e tagliente nei testi e negli arrangiamenti, senza fronzoli, essenziale. Dopo episodi più morbidi i Walkabouts tornano con un disco che ne ricorda le origini: grezzo, incazzato, politico.

Calla Collisions Beggars Banquet di Federico Baglivi Furono da queste parti salentine nell’inverno di due anni fa, e non ricordo per quale serissimo motivo (doveva essere dannatamente serio) non andai a vederli, ricordo però bene l’amarezza per quella mancanza. Tanto che da allora con la regolare cadenza di almeno due volte al mese visito la sezione tour del loro sito, sperando un loro volo transoceanico e una ricomparsa da queste parti. Ma veniamo al dunque: I Calla firmano con la Beggars Banquet ed esce Collisions, loro quarto album, prodotto da Chris Zane come fu per Televised, e missato da Victor Van Vught (Nick Cave, PJ Harvey). Non c’è che dire, è diverso dai precedenti. Ora non voglio dire che i Calla abbiano iniziato a fare no-wave o glitch-pop, ma probabilmente hanno risentito anche loro alla grande di questo revival new-wave che circola da un po’ di anni, con il suo centro maggiore proprio nella Grande mela. Un po’ meno tristi di Televised, meno struggenti, caratterizzati comunque da quelle loro sonorità cristalline e spigolose provenienti da chitarre sommerse. Meno statici in definitiva e carichi di calde atmosfere incalzanti, restano inconfondibili nel loro sound anche in questo album, undici tracce che sembrano avere tanto il sapore della svolta.

Constantines Tournament of Hearts Sub Pop di Livio Polini

Attraverso il precedente Shine a light, una perfetta espressione di post punk contaminato, i Constantines, promettente quintetto di Toronto, erano riusciti a farsi notare positivamente agli occhi dalla stampa internazionale. Con il loro nuovo e terzo album, Tournament of hearts, decidono di fare le cose in grande coinvolgendo nel progetto Jeff McMurrich (Sea Snakes, Hidden Cameras, Picastro) e Fat Bobby Matador (Oneida). Si intuisce la voglia di rivolgersi ad un pubblico più vasto, abbandonano infatti alcuni ornamenti sonori (forse non più utili) donando così una percepibile solidità e compattezza. Le sonorità adesso sembrano prendere molta ispirazione dal rock del passato, dalla tradizione classica, l’impatto è decisamente buono, sembra di sentire un incontro tra Fugazi e Springsteen che eccezionalmente smettono di snobbarsi a vicenda. Sicuramente ci troviamo di fronte ad un album vero, anche nei testi: l’amore, le difficoltà sentimentali, l’instabilità emotiva, i rapporti complessi, l’incomunicabilità, la ricerca della verità. Un album intenso, viscerale, di storie reali, forse la prova della maturità. Ma basterà questo per consacrarli definitivamente? Lo sapremo presto.

Broken Social Scene Broken Social Scene Arts & Crafts di Livio Pollini Siamo di fronte ad uno dei gruppi più importanti della scena musicale alternativa canadese. Nati da un’idea di Kevin Drew e Brendan Canning, i Broken Social Scene rappresentano un progetto di grande interesse, un incontro di artisti provenienti da più parti (Feist, Stars, The Apostle Of Hustle, Silver Mt Zion,…). Con questa terza attesissima prova i B.S.S. cercano di mantenere (anche se è davvero difficile) la qualità del precedente indiscutibile capolavoro You Forgot It In People. Giostre sonore di alta sperimentazione, incontri e scontri fra acustica, elettrica ed elettronica, giochi di chitarre e batteria, progressioni improvvise, fiati, sussurri, canti storditi, questi sono solo alcuni degli elementi che convivono e stupiscono in quest’opera. Salvo in piccoli momenti di indecisione, l’album sembra scorrere fluente, ben coordinato nei suoni e nelle voci, dimostrando punte importanti di qualità. Non è mai facile riuscire a far convivere in un gruppo personalità ed attitudini musicali così diverse, ma queste diversità anziché debolezza, si dimostrano la vera qualità che caratterizza il collettivo, che ci regala ancora una volta una notevole espressione di alt-rock contemporaneo.

Feels, sesto lavoro per la squadra capeggiata da Avey Tare. Più melodico ed accessibile rispetto ai precedenti, questo disco non è comunque facilissimo da capire. Sono necessari diversi ascolti per notare ed apprezzare quelle variazioni di tempo, di toni, di ritmi che rendono questo disco ricco e denso. Si passa dall’aria rarefatta e diluita del primo pezzo agli accordi gioiosi e veloci di Grass, il singolo di quest’album, caratterizzato dalle urla sfrenate di Avey Tare e da una batteria sciolta e potente. Bellissimo, per l’aria sospesa che evoca e per gli strumenti sovrapposti che creano una piacevole confusione, il terzo pezzo dell’album. Poi la natura del disco varia, si apre una seconda fase, si ritorna ad un tempo rallentato, ad atmosfere più soffuse, si ritorna agli strumenti classici, all’arpa. Il più bel pezzo del disco, è Banshee Beat, con chitarre post rock che si rincorrono, una base elettronica che crea un ritmo sostenuto ed una voce dolcissima. Senza dubbio un lavoro dalle mille sfumature, ipnotico, gioioso, introspettivo e a tratti malinconico. Per tutti i gusti, gli umori, i momenti. Fiona Apple Extraordinary Machine Epic/Sony Dopo una lunga gestazione e una prima versione “sconfessata” finita nella rete esce il terzo straordinario album “riveduto e corretto” di Fiona Apple. Extraordinary Machine segna il ritorno della cantautrice americana a sei anni di distanza dal precedente When the Pawn… Un disco sull’abbandono scritto dopo la separazione – badando ad un po’ di sano gossip - dal regista Paul Thomas Anderson (autore di Boogie Nights e Magnolia). Nonostante qualche concessione alla Epic/Sony, che pare ritenesse l’album nella sua prima versione troppo poco commerciale, la Apple mantiene uno standard altissimo con ballate ben arrangiante, tutte appoggiate sulla sua voce e sul suo piano. O’ sailor, Please please please e Not about love sono brani notevoli. Classe limpida e personalità da vendere. Paul Anka Rock swings Verve Nel pieno revival dello swing mascellone, uno dei suoi padri riconosciuti, prende il microfono in mano e reinterpreta con l’orchestra i grandi classici del rock. Smells like teen spirits e Jump di Van Hallen come non le avete mai sentite.


KeepCool

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Nine Black Alps Everything is… Island Direttamente da Manchester arriva a rivitalizzare le sorti del rock ‘n’ roll l’album d’esordio dei Nine Black Alps, quartetto strapromettente capitanato da Sam Forrest. Nella mente tanta, tanta voglia di Nirvana. Per loro si sono scomodati paragoni con Buzzcocks, Pixies e Foo Fighters e non sono fuori luogo, occorre dirlo. L’idea alla base sembra quella di una sintesi tra i “primi” Oasis e i Nirvana di Nevermind – decisamente azzeccata, visto come suona! Di sicuro c’è la volontà, da parte del gruppo, di riportare in auge “antiche” istanze grunge e di posizionarle in un contesto indie. A noi basti sapere che questo Everything is… è una delle cose più interessanti in circolazione nel panorama del new rock inglese. Indispensabile e consigliatissimo a tutti i rokkettari. Maximo Park A certain trigger Warp Con il loro primo album conquistano il cuore di tutto il paese e (ce lo auguriamo) di tutta Europa. Davvero un bellissimo lavoro indie questo A certain trigger. Perché di puro (art) rock ‘n’ roll si tratta, ballabile e godibile anche da ascoltare, con chitarrone elettriche in primo piano, piccoli e preziosi inserti elettronici di tastiera e lo splendido timbro vocale di Paul Smith (che i più accostano al compianto Ian Curtis). I nostri, infatti, riescono a confezionare canzoni indiepop micidiali tutte da ballare (Postcard of a painting, All over the shop soprattutto) e per di più non banali, realistiche e sincere nella loro disarmante crudezza. Un po’ di retrologia va fatta: e allora emergono prepotentemente gli anni ’60 con l’organetto e i coretti, la new wave e forse una leggera ombra di surf. Ma soprattutto spicca il riferimento agli Smiths. Dall’apripista Signal and sign allo splendido ultimo singolo Graffiti, passando per la brillante Going missing, The coast is always changing e l’insolita Acrobat (decisamente diversa dalle altre canzoni inserite nell’album, più lunga e psichedelicamente lenta) i Maximo Park ci accompagnano per la prima volta nel loro mondo “senza miti” e ci parlano un linguaggio che tutti noi possiamo capire, quello dolceamaro della vita di tutti i giorni.

Brit pop revisited a cura di Emanuele Carrafa Brit pop è un’etichetta effimera come tutte quelle usate per incasellare in un genere la produzione artistica. La musica è impalpabile e sfuggente, sguiscia via dalle mani (e dalle orecchie) come un’anguilla, impossibile confezionarle un vestito per quanto confortevole possa essere. Di certo non è questo il posto più giusto per filosofeggiare sull’argomento, perciò ritorno a bomba; si parlava di etichette, giusto? Quella del brit pop accolse sotto di sé un novero quasi sterminato di gruppi più o meno famosi e rappresenta un marchio registrato della musica anni ‘90. Le caratteristiche salienti erano un rock leggero e ballabile, testi poco impegnativi, appeal scazzato, look decisamente alternativo ma di tendenza. Insomma, artisticamente parlando, niente di rivoluzionario. Ma ebbe una eco mondiale, perché ripropose lo spirito della “british invasion” anni ‘60 segnato dalle battaglie musicali di Beatles e Rolling Stones. Tutto ebbe inizio, almeno nella maniera più eclatante nel 199495 con Oasis e Blur. Il loro successo fu (e rimane ancora) planetario. Nel calderone finirono anche gruppi come i Placebo, Suede (ora Tears), Supergrass, Elastica, Stereophonics, Tindersticks, tutti ancora più o meno attivi. Ma il marchio brit pop, in quanto moda, andò perdendo significato nel tempo e finì per raccogliere sotto la propria ala protettrice un po’ di tutto, dai Radiohead alle Spice Girls. Ma

Bloc Party Silent Alarm V2 Record Sono senza dubbio i caposcuola della vendetta del brit pop targato 2000. Scoperti dai Franz Ferdinand dopo appena un EP e un album in studio hanno conquistato un po’ tutti. Sul loro talento e le loro possibilità future ci sono pochi dubbi e chi li ha ascoltati dal vivo se ne sarà reso conto. Sono decisamente superiori alla media e Silent alarm si candida ad essere uno dei migliori prodotti dell’indie rock anglosassone di quest’anno. Vuoi perché hanno dalla loro un cantante e front man come Kele Okeleke capace di fondere in se il fascino e il carisma di un Morrissey pur mantenendo inalterata la propria apprezzabilissima personalità. Vuoi perché sono stati capaci di regalarci 13 pezzi da 90, dall’iniziale Like eating glass (che conserva in se tutta la ferocia tagliente dei peggiori anni ’80, nella batteria serrata e nelle chitarre sferraglianti) all’irresistibile Banquet, uno dei migliori singoli UK in assoluto, dal dark rivisitato in chiave Joy Division di She’s hearing voices e Prince of gas, fino a brani “rallentati”, oscuri e a tratti ipnotici come So here we are, Pioneers, Plans e Compliments. L’animo più pop prevale in pezzi come This modern love. Indispensabile per tutti i cultori dell’indie e per tutti quelli che si strappano i capelli e si scatenano in pista con la musica degli anni ’80.

oggi? Oggi si assiste ad una nuova, travolgente ondata di creatività rock made in UK, grazie alla statura artistica di gruppi come Bloc Party e Kaiser Chief, tutti accomunati da una fertile vena creativa e da un approccio forse meno modaiolo dei loro predecessori, ma più innovativo. Per loro si è parlato di “new rock movement” o di “vendetta del brit pop”. Quello che conta è sapere che questi artisti, tutti giovanissimi, hanno cognizione di quello che è stata la musica nel loro paese; hanno fatto proprio un bagaglio culturale prezioso (il punk, il dark e soprattutto il pop) e sono riusciti a sintetizzare, ciascuno in maniera originale, uno stile proprio. E allora si pesca a piene mani da un patrimonio che va dal rock anni ’60 (Art Brut, Maximo Park) ai Clash e ai primi U2 (gli ultimi Coldplay per esempio), dai Sex Pistols (i Beat Up e i The Others) fino ad arrivare a Depeche Mode, Cure e New Order (soprattutto Bravery ma anche i Bloc Party). Chiaramente numerosissime sono anche le altre fonti dagli Stooges ai Nirvana tanto per dirne un paio. L’elemento più importante resta l’urgenza di comunicare che produce i frutti migliori. E l’immediatezza, la semplicità con cui questi artisti dell’underground riescono a esprimere le situazioni più disparate. Brit pop revisited o new rock che sia, vi forniamo un pretesto per ascoltare alcuni album interessanti apparsi in questo 2005.

Kaiser Chiefs Employment B-Unique Employment garantisce 45 minuti buoni di ottimo sapore pop in salsa indie, con una spruzzatina di elettronica e di tutto quello che c’è nel mezzo. Anche qui si parla di debutto per questo quartetto di Leeds, che, purtroppo, ha recentemente dichiarato di volersi sciogliere dopo la pubblicazione del secondo album (trovata pubblicitaria?). Con la produzione di Stephen Street che infonde tutta la sua magia nell’album e con Graham Coxon che collabora alla realizzazione di Saturday night, è facile immaginare un qualche nesso con la musica dei Blur (che gli stessi Kaiser riconoscono tranquillamente). Altre fonti che potrebbero venire in mente sono i Talking Heads, i Kinks, gli Yardbirds…. i Simple Minds! Employment si presenta un po’ come un viaggio all’interno del british pop, dalle origini ai giorni nostri. Le canzoni sono così perfettamente confezionate e gradevoli da essere appiccicose già dopo il primo ascolto (provare per credere con Na na na na naa); inutile cercare di liberarsene. Qui, tra queste 12 tracce dalla melodia trascinante, nei coretti punk e nei testi brillanti c’è tutto quello che il pop non è stato capace di proporre negli ultimi anni - cosa sono canzoni come I predict a riot e Everyday I love you less and less altrimenti? Imprescindibile.

Art Brut Bang Bang rock & roll Fierce Panda Il diario di un ventenne (Eddie Argos) che rimugina - in prima persona e con un linguaggio semplice come i pensieri di un “everyman” su un giorno qualunque - e racconta di vecchie fiamme, delle nuove, del suo fratellino, dell’arte moderna, del suo gruppo, degli altri gruppi, della lira italiana e di Los Angeles. Il tutto enfatizzato da un entusiasmo inusitato ed elevato al rango di anatema. Così si potrebbe riassumere semplicisticamente l’esordio degli Art Brut, simpaticissimo gruppo di South London. Il punto di forza di questo lavoro sta nella volontà di “primitivizzare” il rock ‘n’ roll, di lasciarlo involgere alla sua forma più istintiva, più bruta appunto – ha una spiccata vena punk per capirci. Non ci aspettiamo, perciò, chissà quali testi. Stupisce piacevolmente, invece, il modo in cui questi ragazzi riescono a riproporre e a far sembrare roba fresca generi abbastanza datati. E allora lasciamoci brutalizzare dalle loro canzoncine un po’ cazzone e senza pretese e mandiamo al diavolo i perbenisti che rifuggono dalla leggerezza. E poi come si fa a non lasciarsi travolgere dall’allegria di un pezzo come Moving to L.A.? Athlete Tourist Parlophone EMI Qui sembra non essersene accorto nessuno, ma gli Athlete hanno sfornato uno dei dischi più belli usciti nel 2005. A differenza di quanto successo con Doves e Idlewild, due gruppi che dopo l’esordio promettevano mari e monti e in parte hanno disatteso l’appuntamento con la storia, gli Athlete, dopo lo splendido esordio del 2003 con Vehicols and animals, tornano con questo Tourist più maturi e commoventi che mai. La parola d’ordine è malinconia, sottolineata musicalmente da una potente dose di archi e piano, linee guida dell’intero album – una vera raccolta di torch songs. Facile innamorarsi sulle note di una Trading air o di una Street map; e come non rimanere incantati dall’eleganza di brani come Wires. Scusate, ma a volte è piacevole sentirsi disgustosamente romantici e sapere che c’è chi ti capisce. Da questa trappola melensa sfugge un pezzo come Modern mafia, decisamente più dinamico e “allegro”.


KeepCool Boards Of Canada The Campfire Headphase Warp In questo nuovo terzo album il complesso miscuglio di suoni a cui ci aveva abituati il duo scozzese (Mike Sandison e Marcus Eoin) nel precedente e mirabile Geogaddi viene ora abbandonato per lasciare spazio alla semplicità e alla leggerezza, non rinunciando per questo all’eleganza che rimane nota distintiva di tutta la loro produzione. Suoni attenuati, ritmi semplici per viaggi ipnotici, atmosfere distese. Certo, però, davvero non è facile scordare gli album del passato, caratterizzati da ritmi ossessivi, da imprevedibili attimi di bizzarria, da trovate geniali, come non fare un paragone. Da questo nuovo lavoro forse molti come me si sarebbero aspettati un ulteriore evoluzione, nuovi sperimentazioni, ma il meglio probabilmente è già stato dato. Fosse questo il loro esordio ne parlerei sicuramente in maniera più entusiasta, infondo The Campfire Headphase è una buona espressione di ambient elettronica, ma i fantasmi ritornano, è tutta colpa loro. E se la chiave giusta per apprezzare meglio quest’opera fosse quella di pensare che ai Boards Of Canada, come anche ad altri è successo, a un certo punto della carriera, è venuta voglia di cambiare, di provare nuove strade? In bocca al lupo! (Livio Polini) Winter beach disco Winter beach disco Maracaibo records Pare una tendenza. Ricordano gli ottimi Super Elastic Bubble Plastic (che presto saranno a Lecce). Della serie, si può suonare rock con foga quasi “hardcore”? Si può e funziona. Prova ne siano questi sette spediti brani dell’omonimo disco di debutto dei valenti Winter Beach Disco. Piace l’attitudine progressiva di Meet Me At The Cuba Libre Tonight e Jesus Quintino, che suona goth nell’attacco. Impastate Fugazi, Danko Jones, At The Drive In con un po’ di sano ‘roll e sappiatemi dire. Oppure compratevi questo disco che fate prima. (S.C.) Adult Gimme trouble Thrill jockey Come già avevano fatto presagire nel precedente ottimo lp, Anxiety always, in brani come Glue your eyelids together, gli Adult di electroclashiano marasma svoltano in un goth sound che nella voce ricorda una onnipresente Siouxsie e nella musica, grazie anche all’ausilio di un bassista in

13 Depeche Mode Playing the angel Mute records di Emanuele Carrafa A quattro anni dal successo commerciale di Exciter, i Depeche Mode tornano con il loro undicesimo album in studio e, a dire il vero, sono pochine le novità da segnalare rispetto al passato. Sembra che il trio dell’elettro stia in guardia contro l’emergere di un appeal più giovanile, più “dancey”, e si senta in dovere di difendere l’immagine di signori del dark che finora ha coltivato. Gahan e Gore, corpo e anima del gruppo insieme all’anonimo Andy Fletcher, non possono farci niente: le loro oscure notti dell’anima producono melodie timidissime rispetto all’atonalità sepolcrale di un Nick Cave. Il tentativo più eclatante in questo senso è rappresentato da John the Revelator, un blues degli anni ‘30 con tanto di coro gospel, blasfemo e trascinante “a la Bowie” del periodo berlinese. Mark Bell, già produttore di Bjork, passa qui lo scettro a Ben Hiller, che si rivela una buona alternativa, regalando alla band sonorità decise e dilatate, quasi industrial in alcuni tratti e innescando sottopelle scariche di suoni sintetici. Nel complesso il suono risulta un mix di quello degli album precedenti, da Some great rewards a Songs of faith and devotion, ma più elettronico. I testi rimangono quelli a cui il gruppo ci ha abituato da 24 anni a questa parte, densi di “pain and suffering”

e solcati da un sottile sarcasmo molto british. Di nuovo ci sono i tre brani scritti da Dave Gahan e dal suo team di autori (gli stessi con i quali ha realizzato il suo primo lavoro solista, il discreto Paper Monsters). Il migliore fra questi - e forse il migliore in assoluto di quest’album - è Suffer well, oscuro e ballabile, che sembra lanciarsi verso lo spazio siderale nelle sue minuziose aperture elettroniche. Martin Gore, da sempre autore delle liriche del gruppo, continua a lavorare da solo in brani decisamente “depechemodiani” come l’iniziale A pain that I’m used to (tradizionalmente new wave, fortemente anni ‘80) e il singolo Precious, che attinge a piene mani dal repertorio dei tre Depeche, avvicinandosi pericolosamente a pezzi come Enjoy the silence e Personal Jesus, completamente elettronico e dal retrogusto pop. Interessanti anche The sinner in me, vicina al mood dei Massive Attack di Mezzanine, la stralunata e quasi crimsoniana Damaged people e Lillian (unico brano salvabile di una seconda parte del disco a dire il vero un po’ loffia) che strizza l’occhietto ai Franz Ferdinand. Alla fine questo lavoro è la quintessenza del pop elettronico e hi-tech dei Depeche, forse un po’ più urgente rispetto alle loro ultime produzioni; ma sono solo i Depeche Mode che fanno del loro meglio per sembrare loro stessi.

King Britt This is… V2 Music di Bob Sinisi “Vivevo a Philadelphia, ero sposato con Peggy e avevamo una bambina, Jennifer. (…) Nella zona c’era un’atmosfera straordinaria: fabbriche, fumo, ferrovie, tavole calde, i personaggi più strani e le notte più oscure. La gente aveva intere storie incise sul viso, e io potevo scorgere delle immagini intensissime. (…) L’influenza maggiore di tutta la mia vita derivò da quella città. E si verificò proprio al momento giusto. Vidi delle cose che erano spaventose ma, più ancora, emozionanti.” (Tratto da Lynch Secondo Lynch – a cura di Chris Rodley – Baldini & Castoldi). Così anche il grande David Lynch ha trascorso un periodo significativo della sua vita, alcuni decenni or sono, a Philadelphia. Ora, nella speranza che la situazione sociale sia migliorata rispetto ad allora, dobbiamo piacevolmente constatare come dal punto di vista artistico esso sia tuttora particolarmente ispiratore. Prendiamo la musica: già negli anni ’70 artisti come come O’ Jays, Billy Paul, Teddy Pendergrass, M.F.S.B. onoravano Philly. Terzo millennio: la città che poggia sulla riva occidentale del fiume Delaware risulta residenza anagrafica di Jill Scott, Vikter Duplaix, The Roots, Erykah Badu e King Britt. Personaggi segnati da modus operandi diversi, certo, ma tutti efficaci rappresentanti di quell’idea chiamata nu-soul,

originata dal felice connubio tra la tradizione afroamericana e la tecnologia. Prendiamo King Britt, abile e talentuoso maneggiatore digitale sin da quando, nei primi anni 90, ricopriva il ruolo di deejay nel gruppo hip hop Digable Planets, noto in tutto il mondo per l’attitudine ad inserire ambientazioni marcatamente jazz nei pensieri hip hop. Da allora si è sempre cimentato con successo nell’attività di produttore e rivisitatore, evidenziando un profondo rispetto per il suono della sua città. Propensione che emerge anche nella nuova avventura discografica, un episodio della collana This Is…. Nuova per modo di dire, visto che in realtà è una sorta di bilancio della sua attività, una breve storia delle produzioni e dei remix, narrata in 2 cd. Il primo è un compendio delle sue creazioni: celebri quelle a nome Sylk 130, alias “autobiografico” con il quale ha “raccontato”, in due album, gli anni ’70 prima e gli ’80 poi. E ancora, con lo pseudonimo Scuba, ha firmato canzoni per il succitato concittadino Duplaix nonché per Ivana Santilli. Il secondo volume è invece dedicato ai remix: spuntano tra gli altri quello operato su Contemplation di Josh One, quello su Tonight di H. Foundation e la personale “reinterpretazione” di Mister Britt di un classico del nujazz: Mwela Mwela dei Jazzanova. The King Is Back… Link: http://www. kingbritt.com

formazione, un perfetto incrocio di quello che furono con Resuscitation e i Bauhaus di Kick in the eye, o i Virgin Prunes di Baby turns blue se preferite. Il risultato è prevedibile, ma gustoso. È novembre, mi pare. (S.C.) Arpanet Quantum Transposition Rephlex Arpanet: ovvero uno dei progetti più ostici del sempre prolifico Gerald Donald, esatta metà dei primi, fondamentali Drexciya, e poi Japanese Telecom (soprattutto), Intellitronic e chissà quanti altri. E in questo suo secondo cd, per la Rephlex di Aphex twin si produce in un altro gelido sguardo nel buio del nostro subconscio. Diciamo pure che Arpanet sta a Japanese Telecom (cioè a se stesso) come un disco della World serpent a Van Morrison. Chi può capire capisca. Gli altri sappiano che è fatto di una electro onirica e perversa, tuttavia luminosa e brillante. Elegantissimo: non mancatelo. (S.C.) Chelonis R. Jones Dislocated genius Get Physical Meglio conosciuto come poeta e pittore: fino ad oggi. Dopo aver militato infatti in diverse band rock dell’underground la sua voce approda nei club. Di più, il promettente artista a tutto tondo si mette a smanettare davanti al pc e ne viene fuori un disco che è una BOMBA! Frullate Prince, la roba della Get Physical, il grande Tyrone Palmer via Da Housecat e ci sarete molto vicini. Comprare. (S.C.) Various Cocoon compilation E Cocoon recordings Nuova Cocoon compilation per la immarcescibile label di Sven Vath. Spicca su tutto il nuovo Dj Hell con Jack my body: c’è la techno, c’è l’electro, l’acid, il goth e l’italo disco. Semplicemente un dio. Cosa volete di più? Beh, ci sono anche i lanciatissimi fratelli Dahlback con la ruvida Partymakers, James Holden con la morbida The Wheel, uno squillante Gabriel Ananda, ma soprattutto un certo signor Dj Hell. Cosa volete di più?!! (S.C.) Felix da housecat Tweak! Rude photo Una marcetta incalzante, taglio jacky brutale, filtri chitarrosi, una voce femminile che richiama Missy Elliot o qualche cicalona della acid più commercial di tanti, troppi anni fa. Un vero rocker! (S.C.)


Open Voice:

Toni Braxton Libra Edel

Dopo il numero 0 di ottobre, consideriamo questo di novembre come il numero 1 della rubrica FreeSoul. Dopo aver avviato il nostro percorso nel numero precedente, possiamo ora inoltrarci nell’affascinante mondo della black music. Beh, per cominciare una notizia sul re del Crunk Lil Jon che sta per rescindere il contratto con la TVT records: sembra sia stato maltrattato nella promozione del suo ultimo lavoro Crunk Juice e che abbia già preso contatti con la Jive. Esce, a due mesi dalla morte, un tributo musicale dedicato al grande Luther Vandross nel quale star della musica r’&’b e pop intonano i vecchi grandi successi di Luther con versioni di tutto rispetto. Tra i nomi spiccano Mary J Blige, Usher, Beyonce, Alicia Keys etc. Slim Shady, Marshall Mathers, EM ai più noto come Eminem, è stato ricoverato in una clinica di Detroit per abuso di psicofarmaci. Per finire, arrivando in Italia, i Sottotono si sono definitivamente sciolti (se qualcuno non lo sapesse ancora) e sia Fish che Tormento hanno già in commercio i loro due lavori da solista. Qui di seguito troverete la prima puntata di una nuova rubrica dedicata alla storia della black music dalla nascita del rap fino ad oggi. Dimenticavo, Freesoul è soprattutto un programma musicale che va in onda tutti i giorni su Radioerre di Foggia. Per ascoltarlo on line www. radioerre.com

A 33 anni suonati Toni torna con un nuovo lavoro pieno di sensualità e sonorità soul-groove. Please, il primo estratto è una traccia che trascina ma che alla lunga stanca un po’. Finita l’esperienza con il talent scout Babyface, ormai Toni è grande e sa vedersela da sola. Ma con tutto il rispetto per questa grande trascinatrice di ballad strappalacrime (tutti sicuramente ricordano un-break my heart), il suo lavoro non è altro che un prodotto simile a tanti altri. Comunque anche col passare degli anni la Braxton rimane sulla breccia solo per le major e per i soldi guadagnati e non per la vera passione musicale.

History Of Black: Alla fine degli anni ’70, nelle strade dei ghetti americani, germoglia una nuova cultura. I suoi profeti raccontano in rime cadenzate la miseria, la rabbia o la gioia del sottoproletariato nero. I dj e i rapper diventano supereroi dei quartieri neri di New YorkBronx, Brooklin, Queens e gettano le basi per la neo nata generazione hip hop. 1° puntata. Siamo nel luglio del 1976, nel cuore di un quartiere ghetto, che solo negli Stati Uniti puoi trovare. In mezzo ad una apocalisse urbana fatta di case popolari abbandonate a se stesse da un governo che prende in giro la povera gente (il cosiddetto sogno americano, non lontano da quello che nella Nostra Italia avviene oggi). Tra strade piene di passanti, molte idee, pochi soldi, le comunità nere preparavano uno dei tanti block-party (festa rionale). Il principio era semplice: si bloccava una strada alle 2 estremità, ci si allacciava abusivamente al lampione dell’angolo per luci e corrente,

Free Soul

di Eugenio Levi

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Guru Version 7.0: The Street Scriptures 7 Grand Records IC

Marques Houston Naked Universal

E’ stato paragonato nientemeno che al nuovo Al B Sure per i suoi suoni soffici, solo che per avvicinarsi ad una delle più grandi voci del passato bisogna farne di strada. Anche questo come quello di sopra è un lavoro senza né cuore né parte, senza originalità. Si diversificano solo il singolo Sex With You con Young Rome e O Clock con Joe Budden con toni più animati e street-style. Urban e ballad si alternano in questo lavoro poco curato nei testi e nelle musiche. Da ascoltare in camera da letto con luci soffuse e fuoco (per chi può) nel camino.

Sounds Of Blackness Unity Slr Records

e, facendo pagare un piccolo contributo alla gente di quartiere, ci si divertiva a ballare in strada. All’arrivo del dj di turno (personaggio chiave della notte di strada) con la sua valigetta piena di vinili 12” (12 pollici, i vecchi mix grandi quanto un Lp ma con una sola canzone in varie versioni)a cui venivano staccate le etichette per creare un po’ di suspance, iniziava la notte nelle strade con le sue vibrazioni. Il Master of Ceremonies (ora chiamato solo MC), e cioè il conduttore, l’animatore, quello che trovava le rime sui brani suonati, accompagnava i dj e incoraggiava la folla a ballare. In discoteca e sulle FM dell’epoca imperversava la disco-music, ma per le strade di Manhattan qualcosa di nuovo stava nascendo: il Rap. L’Mc accortosi che il pubblico di strada cominciava ad essere interessato ai break con effetto ritmico che accompagnavano i dischi, imparò a conoscere questo nuovo beat nudo e crudo. La missione era compiuta. Il Dj aveva trovato una spalla nel Mc per poter mischiare (ora si dice miscelare) più beat, per tenere in sospeso il pubblico, così da far lavorare la voce del Mc che di lì a poco sarebbe diventato un rapper. Hit List album Ottobre:

Ennesimo lavoro da solista per l’ex Gangstarr Guru sempre più distaccato da Dj Premier, dopo i tanti lavori per la Jazzmatazz che lo hanno contraddistinto dagli altri rapper per il flow molto vicino al jazz, facendosi aiutare tra l’altro anche da grandi maestri del genere come Mile Davis (postumo), Me Shell Ndgeocello, etc. Ora ci riprova con un lavoro tutto nuovo dedicato questa volta all’hip hop street. 19 tracce che raccontano la vita vissuta nei vicoli delle strade (da qui il titolo). La produzione è affidata a Solar, un nome sconosciuto nell’ambiente, ma che lui sostiene essere il futuro del genere. Comunque, per avere la sicurezza che il lavoro potesse vendere, ha ospitato grandi nomi alla sua corte. Le featuring sono affidate a gente come Talib Kweli, B-Real, Jaguar Wright e Styles P. Nel contesto il lavoro scorre lento e deciso nelle basi, ma noi tutti speriamo un giorno che i 2 ex Gangstarr e cioè Guru e Dj Premier possano regalarci un nuovo bellissimo lavoro da tramandare ai posteri.

Sono tornati a distanza di ben otto lunghissimi anni. Ma chi? Si, proprio i Sounds of Blackness, gruppo gospelr’&’b composto da 40 coristi + 20 strumentisti afro-americani. Come non avete mai sentito parlare dei S.O.B.? Ebbene è arrivato il momento di imparare a conoscerli un po’. Questo gruppo è l’immagine dell’r’&’b contemporaneo e passato, poiché riassume in poche tracce quello che è veramente il Soul e cioè la musica dell’anima. Loro, tra l’altro, impreziosiscono questo termine con delle metriche di voce da spaccare il cuore, con interventi in contralto al bacio e voci soliste da strabiliare. Gospel e r’&’b qui si uniscono come un solo suono, come se 2 anime si intrecciano fino alla fusione.

1. Twista, The Day After 2. Trina, Glamorest Life 3. Three 6 Mafia, Most Known Unknown 4. Kirk Franklin, Hero 5. Young Jeezy, Let’s Get It: Thug Motivation 101 6. Kanye West, Late Registration 7. Lil’ Kim, The Naked Truth 8. Toni Braxton, Libra 9. Sean Paul, The Trinity 10. Dwele, Some Kinda... News Album Novembre: Ol Dirty Bastard – A Son Unique 16/11 Busta Rhymes – The Big Band 06/11 Krs One – The Lost Album 30/11 Joe Budden – The Growth 09/11 Juvenile – Reality Check 09/11 2 Pac – Poetry & Music vol.2 02/11 DMX – Here We Go Again 11/11 Mashonda – January Joy 03/11 Jentina – Misterious 01/11 Goapele – Change It All 04/11


KeepCool Biomechanical The Empires Of The Worlds Earache/Self Animata da un eclettismo musicale quanto mai singolare, una nuova inquietante creatura dagli spazi profondi si appresta a muovere per colpire. Biomechanical è Il suo nome. Nuovo album per loro: The Empires Of The Worlds. Techno-Cyber Metal con Biomechanical. Se il debutto Eight Moons, licenziato nel 2003, delineava già i tratti di una band fuori dagli schemi, The Empires Of The Worlds va ancora oltre. Le undici tracce qui in analisi sono la manifestazione tangibile di una miscela sonora spesso non proprio d’immediata fruizione. L’ascolto dell’album suggerisce la volontà, da parte del gruppo, di creare un ponte ideale tra le sfumature maggiormente aggressive del metal e l’incarnazione più classica del genere, il tutto filtrato da una vena fortemente psycho-progressive. Volendo azzardare alcuni termini di paragone o, più precisamente, segnalare alcuni dei referenti cui la formazione albionica guarda con maggior attenzione, allora acts quali Pantera, Judas Priest, Voivod, Nevermore e, limitatamente alle linee vocali, anche Queensryche e Iron Maiden, risultano essere i punti di riferimento più credibili. Cambi di tempo, stacchi improvvisi, chitarre articolate e dissonanti, linee vocali graffianti o, a seconda dei contesti, più melodiche, si incastrano coerentemente negli oltre cinquanta minuti di durata dell’album, raggiungendo l’apice nella conclusiva Absolution, brano in cui follie metal e visioni fantascientifiche si fondono in una maestosa colonna sonora per scenari apocalittici. Cos’altro aggiungere? Se vi ritenete ascoltatori audaci ed esigenti troverete pane per i vostri denti! (Camillo Fasulo) In Tormentata Quiete In Tormentata Quiete Dawn of Sadness Gli In Tormentata quiete arrivano al tanto sospirato debutto da professionisti, autori di un melodic blackmetal dalle molteplici sfaccettature. Possiamo ascoltare atmosfere goticheggianti, sferzate chitarristiche cariche di odio e rancore. Non manca una forte vena melodica che emerge grazie all’utilizzo di chitarre acustiche dal forte sapore folk, che, a mio avviso, è uno dei loro punti di forza. L’uso massiccio di chitarre acustiche ha l’effetto di rendere assolutamente più vario l’impianto delle estese composizioni. Un’altra novità

15 The Vision Bleak Carpathia-a Drammatic Poem Prophecy/Audioglobe di Nicola Pace

Dopo aver sconvolto la vita degli horror-metal fan di tutta Europa ed aver fissato con il precedente The death ship has a new captan le coordinate di quello che dovrebbe essere realmente gothic-metal, torna il duo più horror del momento, la coppia Swardof-Kostanz, ossia The Vision Bleak. Il pericolo che il risultato delle nuove composizioni potesse seguire la formula del precedente album e continuare a godere di quel successo era forte, fortunatamente questo pericolo è stato scongiurato. Carpathia trova la sua ispirazione nella letteratura horror e in quella gotica. Il tema portante dell’opera, nella fattispecie un concept, è il destino che influenza gli avvenimenti della vita. È la storia del viaggio svolto dal protagonista, verso la città Carpathia, dove ha ereditato un’antica residenza di famiglia, ma ignora il male e le peripezie che dovrà affrontare. Musicalmente è orientato verso un riffing più heavy, con meno arrangiamenti rock e dark e con un gusto melodico sempre eccezionale grazie anche all’operato in primo piano della Shadow Orchestra, un gruppo di musicisti che con i propri strumenti classici aiuta a disegnare le architetture lugubri delle composizioni. Possiamo ascoltare una produzione massiccia e potente in cui tutti gli strumenti hanno un ruolo incisivo. La voce di

Van Der Graaf Generator Present Virgin/Carisma A trent’anni dall’ultima esibizione live, i V.D.G.G tornano insieme, nella loro più celebre formazione, autrice di alcuni tra i più grandi classici progressivi degli anni settanta. Trovatisi insieme in una villa per una settimana di prove, utilizzando il vecchio equipaggiamento strumentale, hanno cercato di ritrovare l’alchimia che avvolgeva la band nel passato. Incredibile ma quella riunione rilassata tra vecchi amici che si sono divertiti a jammare insieme, si è tramutata in Present, doppio album in studio. Il primo CD contiene dei brani molto scarni, frutto di una semplice jam ancora da strutturare e perfezionare. Non possiamo parlare di progressive, ma di piccole cellule musicali, che avrebbero meritato di germinare meglio, dato il loro valore. Il secondo CD, ci propone dieci tracce di improvvisazione strumentale avvolte, come nel primo disco, in un ambiente oscuro misto ad escursioni jazzate. In definitiva il disco non è completamente riuscito, se si pensa ad una band che ha fatto la storia del rock progressivo. Comunque fa ben sperare per il futuro, se ce ne sarà uno. Personalmente penso che al di là della critica che si possa fare, un disco debba essere giudicato dal singolo ascoltatore secondo il suo personalissimo gusto; vi auguro quindi un ascolto rilassato e senza pregiudizi. (Nicola Pace)

Kostanz, autore anche delle parti di batteria, si discosta dal precedente stile troppo devoto ai Sister of Mercy, diventando più greve e meno baritonale, ma molto più teatrale, entrando così meglio nelle trame della vicenda raccontata e spingendosi fino allo scream, nelle parti più concitate. Altra novità un sinfonismo determinante, ricco di corni, violini i quali disegnano momenti epici e palpitanti. Splendida Kututulu, in cui fra ritmiche tribali e percussioni vengono recitati versi di Lovercraft tratti dal Necronomicon e in Cursed of Arabia, dove l’incedere strumentale è costruito sugli arabeschi di un liuto mediorientale. Vi consiglio vivamente di ascoltarlo e vi proibisco categoricamente di scaricarlo, sarebbe un vero peccato, visto che gli ingredienti per il suo successo ci sono tutti. Vi auguro un buon viaggio nei meandri oscuri di questo dannato poema drammatico.

Paradise Lost Paradise Lost BMG/GUN Gruppo particolare quello degli inglesi Paradise Lost, band dalle molteplici sfaccettature, ma capace di creare e mantenere con il tempo un marchio di fabbrica, un tipico suono che li contraddistingue fra centinaia di gruppi, malgrado la loro evoluzione che li ha portati su territori lontani dal classico heavy metal. Il disco in questione non è diretto e non è di facile metabolizzazione come i passati Believe in nothing e Symbol of life, molto devoti all’elettronica darkeggiante dei conterranei Depeche Mode. L’omonimo Paradise Lost sa miscelare in maniera equilibrata ed originale la wave anni ottanta con l’heavy metal old school. In un certo senso i nostri frenano la loro evoluzione sperimentale per optare verso una involuzione stilistica, svolta che riconquisterà il pubblico più conservatore. Se escludiamo la depechemodiana Forever After, accostabile ai tre lavori precedenti, l’album è intriso di una pesante, oscura ed atmosferica intensità sonora che ti accarezza fino a farti accapponare la pelle. È proprio questo che sanno fare i Paradise Lost: portarti nel loro paradiso perduto, avvolgerti nella loro tristezza per poi farti rinascere a nuova vita. Insomma il loro ritorno sulle scene è di indubbio valore. (Nicola Pace)

è l’uso del basso slappato (penalizzato però dalla produzione) nelle parti più infuriate, tipo di esecuzione assolutamente estranea al genere. Un plauso per l’uso delle quattro voci, rispettivamente una in growl, una in scream ed infine le clean vocals femminile e maschile, ben miscelate e mai invasive. Decisivo il cantato in italiano, che trovo eccezionale applicato a questo genere. Spero che questo album sia il primo passo di un processo di maturazione che possa portarli lontano. Proposta valida nella sua totalità, eccezion fatta per le clean vocals maschili da rivedere e dalla produzione che non riesce a giustificare composizioni molto articolate, le quali necessiterebbero di maggiore cristallinità. (Nicola Pace)

Musica indipendente liberamente scaricabile da internet di Matteo Serra - mat@pazlab. net Molto spesso le zone periferiche del nostro bel paese sono quelle che più di tutte riescono a promuovere iniziative davvero innovative. In un’ottica di condivisione e promozione, noi di RadioPAZ in collaborazione con CoolClub, stiamo portando avanti un progetto dedicato ad una nuova forma di promozione delle idee e della creatività. Sul nostro sito è possibile ascoltare o scaricare liberamente brani musicali di gruppi emergenti pugliesi e non; con un semplice sistema di “commento” viene data la possibilità agli utenti-ascoltatori di recensire, commentare o criticare liberamente (e senza censure) ciò che si è ascoltato. Tutti i gruppi emergenti saranno poi introdotti a una licenza Creative Commons al fine di far conoscere da subito alle band che esistono possibilità diverse di produrre contenuti e soprattutto di condividerli. Una volta ricevuto il vostro CD, demo, o mini album, la redazione di RadioPAZ provvederà a metterlo online liberamente scaricabile o ascoltabile sul sito della radio e sarà aperta la fase della “Condivisione dei pareri”. Per maggiori info www.radiopaz. it.


KeepCool Il ritorno dei Not Moving

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di Postman Ultrachic

George Clinton How Late Do U Have 2 B B 4 U R Absent? The C Kunspyruhzy Lo stregone è tornato! Dopo quasi dieci anni di assenza da uno studio di registrazione e con un titolo che più strampalato non si può, Geroge Clinton ritorna più funkadelico che mai. Una carriera lunga 50 anni che lo ha visto sempre all’avanguardia sia come musicista, sia come compositore che come produttore (fu lui a lanciare i Red Hot Chili Peppers). Il collettivo che ha riunito per questa avventura è spaventoso, ha ritrovato i vecchi componenti (scoprendone di nuovi) dei Parliament/Funkadelic e tutta la P-Funk All Stars, un carrozzone bizzarro e fiabesco che riunisce più di 50 (!) artisti, che solo a citarli ci si imbarazza un po’… Prince e Billy Preston (ricordate il tastierista in Get Back dei Beatles?), Bobby Womack e il magico gnomo delle tastiere Bernie Worrell. Il disco è un doppio che racchiude i tanti volti della musica di Clinton, si va da ballate bellissime e romantiche come U Can Depend On Me o Saddest Day, alle quali molto devono notevoli artisti come Lauren Hill o Erikah Badu, a torridi ritmi funk accompagnati da bassi spaccawoofer e fiati scatenati in Something Stank, dalle atmosfere minimali e geometriche costruite con righello e metronomo dall’ex “artista un tempo noto come Prince”, agli arrangiamenti orientali della Gypsy Woman firmata da Curtis Mayfield. Un disco da ascoltare tutto di un fiato e che alla fine di fiato ne lascerà ben poco! Lunga vita alla Mothership Connection e lunga vita allo stregone! (Giancarlo Bruno)

Un cd e un dvd in tiratura limitata (solo mille copie) per ripercorrere i 25 anni di storia del gruppo che ha maggiormente influenzato la scena punk-garage-wave italiana. Un tour che riporterà in giro la band a molti anni di distanza dall’ultima esibizione live. Tornano i Not Moving, il gruppo italiano forse più famoso in Europa negli anni ’80 ispirato a Cramps, X, Gun Club ed influenzato dalla psichedelia dei 60’S (13 Floor Elevator, Seed), dal surf e dal punk di stampo newyorkese (Patti Smith, Dead Boys, Real Kids). Live in the 80’s box è un’antologia che parte dagli esordi per farci riascoltare le canzoni e le atmosfere di quegli anni; oltre a brani già editi (ma introvabili dato un catalogo di dischi tutto esaurito) conterrà alcune canzoni mai inserite nei loro precedenti album. Nel dvd sono presenti stralci di interviste a giornalisti, tra i quali Federico Guglielmi (Mucchio), Claudio Sorge e Luca Frazzi (Rumore), e musicisti come Gianni Maroccolo (Litfiba/CSI/PGR/Marlene Kuntz), Cristiano Godano (Marlene Kuntz), Mauro Giovanardi (La Crus), Oskar (Statuto), e altre personalità che ruotano attorno al mondo della musica. Abbiamo discusso della nuova uscita discografica con il batterista Tony Face e con la cantante Rita “Lilith” Oberti. Come mai avete deciso di rimettervi nuovamente in discussione? T: Perchè ci piacciono le sfide anche se talvolta fini a se stesse, anche se, come in questo caso, non c’era dietro un preciso progetto artistico se non quello di promuovere il CD dvd live. Personalmente non ci ho pensato più di tanto, l’ho fatto e basta, perchè mi andava. L Perchè Tony mi ha stressato dalla mattina alla sera con questa faccenda e mi ha preso per sfinimento e ha trasformato un gioco in una partita. Io sono sempre molto curiosa... I nuovi Not moving sono destinati a durare nel tempo? T + L NO !! T Non avrebbe senso e sinceramente non interessa in questo momento a nessuno di noi riproporre i Not Moving nel tempo. Questa reunion ha un senso solo perchè limitata

ad un paio di mesi di concerti. Ciò non esclude che in futuro si possa comunque collaborare ad altri progetti Trovo perfetta la soluzione di allegare un dvd al concerto live. Com’è nato il progetto del dvd? T + L Dall’idea che i Not moving erano soprattutto un band dal vivo che in studio ha sempre reso poco. Per cui accoppiare una buona registrazione live con ottime immagini era l’ideale per rendere giustizia alla storia del gruppo. Per rendere il tutto più veritiero abbiamo raccolto anche un po’ di testimonianze in giro per l’Italia tra volti noti e meno noti che furono testimoni dell’epoca Nei vostri live oltre ai pezzi storici, portate anche nuovo materiale? L Non proprio anche se molti pezzi che non sono mai stati particolarmente in luce nelle scalette degli 80’s sono stati riesumati, oltre all’aggiunta di un’inedita versione di Venus in furs. T Molti brani sono stati anche un po’ riarrangiati. Tutti suoniamo (e cantiamo) in maniera radicalmente diversa rispetto a venti anni fa. Ad esempio il furore hardcore di alcuni brani veloci, che aveva senso ai tempi, è stato corretto in versioni più consone alla sensibilità che abbiamo oggi. Il pubblico come rispondeva alle vostre proposte? L A volte era entusiasta, altre ostile, mai indifferente. E questo è un merito che ci riconosciamo. Comunque noi non eravamo mai né carne né pesce. Eravamo troppo o troppo poco per tutti, troppo diversi da tutto, perchè abbiamo sempre fatto del rock’n’roll diretto e senza filtri. Per un po’ ho pensato di essere fuori tempo, sempre troppo in anticipo o in ritardo o comunque mai nel posto giusto. Poi ho incominciato ad inorgoglirmi di questa cosa che è diventata un valore aggiunto. T Erano tempi assolutamente non comparabili ai nostri giorni. Ora tutti sono abituati ad ogni tipo di spettacolo, MTV ha livellato e omologato ogni cosa, tutto, grazie ad internet, è alla portata di tutti, non c’è più l’ingenuità degli 80’s. Non è un discorso nostalgico, solo un dato di fatto. Il tipo di reazione che poteva esserci ai tempi era assolutamente spontaneo, mai mediato e per questo, spesso più violento, nel bene e nel male. Come è cambiata la scena italiana in questi ultimi 20 anni? T In generale mi sembra che si sia persa la spontaneità nell’approccio alla musica. Ora si mira alla major, al contratto, a MTV, allora si suonava per il gusto di farlo o si credeva fermamente di farlo in nome della sovversione, del cambiamento radicale di un sistema, delle cose, anche grazie alla musica e ad uno stile di vita ad essa correlato. In ogni caso adesso c’è una scena professionale che potenzialmente può fornire ad un gruppo tutti i mezzi necessari (radio, tv, internet, locali, riviste, agenzie, decine di etichette di tutti i generi) per emergere e questo è solo un bene. L Quando ho iniziato avevo 16

anni, non sapevo nulla, fare un disco era una tappa importantissima, era un avvenimento determinante per un gruppo “rock”, e vivevo questa cosa con stupore, ingenuità e la vedevo come una lotta quotidiana per proseguire su questa strada. Probabilmente per un sedicenne di oggi è altrettanto importante, ma quello che è cambiato è il mercato, i mezzi e l’idea generale di essere in un gruppo. I media hanno passato l’idea che al giorno d’oggi si debba essere necessariamente qualcuno per esistere e questo passa anche attraverso il suonare in un gruppo. In questo modo la spontaneità e anche la ricerca passano in secondo piano. In ogni caso non riesco ad essere obiettiva adesso, dopo 25 anni. Come guardi l’interesse nei confronti degli anni 80? T Una cosa schifosamente commerciale, costruita ad uso e consumo del mercato. Chissenefrega degli anni 80 o 70 o 60 o 50??? Io adoro gli anni 60, ma anche in quel periodo è uscita una valanga di cazzate sia in senso artistico che politico, che sociale, pur a fianco di capolavori che hanno cambiato la nostra vita e di uno stile inimitabile che continuo ad

amare incondizionatamente. Ascoltare gruppi che rifanno il verso a Cure, Joy Division, Talking Heads mi fa solo tristezza, mi fa invece rabbia tutto questo hype intorno ad un periodo che non è che abbia lasciato un gran ricordo. Ho recentemente bruciato una cinquantina di vecchi New Musical Express della metà degli anni 80 e a parte qualche rara eccezione erano letteralmente pieni di vera spazzatura. L Per chi li ha vissuti è un momento di ricordo e viene ricondotto a una fase della propria vita eccitante, piena di scoperte e di prospettive. Può essere utile come ricerca e per non disperdere un patrimonio comunque interessante in mezzo a tante schifezze. L’importante è ricordarsi che il tempo avanza e che è meglio non guardarsi troppo indietro (Not Moving inclusi). Gli anni 80 non erano meglio di adesso.


KeepCool Giuliano Palma & The Bluebeaters Long Playing V2 records di Skacco Capolavoro!!! E non esagero! I Bluebeaters ci presentano ben 22 tracce (ecco il perché del titolo Long Playing), tutte ovviamente cover, rielaborate nel loro stile più genuino: ritmi in levare, tanto cuore e tanta tecnica (e l’accostamento ska/tecnica è sempre più raro). Rispetto al suo predecessore in studio The Album, questo LP presta maggiore attenzione ad altri generi, primo tra tutti il rock. Ed ecco che, saltando da una traccia all’altra, ti ritrovi da Messico e Nuvole di Paolo Conte/Enzo Jannacci a Jump di Van Halen, dai Queen di You’re my best friend alle Charlie’s Angel, da Love me Forever di Coxsone Dodd a Jealous Guy di John Lennon. Insomma che dire, riescono ad amalgamare cose che storicamente non hanno niente in comune, grazie alla loro creatività. Si perchè, nonostante sia fondamentalmente una cover band, serve esperienza e maturità artistica nel rielaborare completamente l’accompagnamento di una canzone, rendendo ballabile anche ciò che ballabile non è, con eleganza e disinvoltura. Una conferma, nel caso ce ne fosse il bisogno, che le idee non mancano. In poche parole, un album tutto da scoprire nonostante tutto già sentito molti anni fa. Potere dei Bluebeaters! Fabrizio Coppola Una vita nuova Novunque/Self Dopo l’esordio di un paio di anni fa con La superficie delle cose il cantautore milanese torna con Una vita nuova nel quale racconta con forza espressiva e intensità musicale la città dei navigli. Non a caso il cd parte proprio con un esplicito riferimento geografico e sentimentale (“Milano dieci di mattina, un buco nero dentro al cuore”) di Tutto resta uguale e prosegue con La città che muore (manifesto di amore/odio) e Il cielo su Milano. Un rock semplice e diretto ma non graffiante proprio per questo gli episodi migliori sembrano i brani più folk e blues (Cerco ancora te, Non mi aspetto niente, Dove l’acqua muore, Una piccola fiamma e l’amaro ricordo della canzone di chiusura 1973). I riferimenti musicali e letterari sono abbastanza chiari (e palesati dallo stesso autore) da Bob Dylan a Bruce Springsteen da Raymond Carver ad Ernest Hemingway, forse per quel modo “semplice” di raccontare storie “normali”. Coppola tratteggia infatti molti personaggi ispirati alla

17 Roberto Angelini / Rodrigo D’Erasmo Pong Moon. Sognando Nick Drake Storie di note / Opm Dal tormentone Gattomatto a Nick Drake il salto è mortale e carpiato. Eppure Roberto Angelini, qui in coppia con il violinista Rodrigo D’Erasmo (già Nidi D’Arac), impressiona per la sua riproposizione del cantautore inglese morto a 26 anni nel novembre del 1974. Pong Moon. Sognando Nick Drake è un tributo d’amore, devoto e a tratti “didascalico” (per fortuna aggiungiamo noi). Le riproposizioni delle canzoni sono pressoché identiche alle originali, con arrangiamenti scarni ed essenziali. Angelini sorprende per tecnica chitarrista e somiglianza di voce (pur non avendo lo stesso timbro dell’originale). Nove esibizioni, tratte dai tre lp realizzati in vita da Drake, intense e delicate che riportano in scena uno dei cantautori più influenti degli ultimi quarant’anni e il padre spirituale del new acoustic movement. Pong Moon ripropone anche la celebre copertina di Pink Moon (uscito nel 1972) con una variazione fatta al pongo, materiale del quale Angelini è un maestro indiscusso. La cosa più difficile in operazioni di questo genere è mantenere intatte le atmosfere. La coppia Angelini/D’Erasmo ci riesce appieno. Non resta che chiudere gli occhi e pensare che Drake sia ancora con noi. (P.L.)

Baustelle La malavita Atlantic 2005 di Valentina Cataldo Atteso e desiderato come si attende e si desidera una cosa importante, esce finalmente nei negozi il terzo disco dei Baustelle (vedi intervista pag. 6). Undici pezzi “vestiti di scuro”, undici storie che le melodie rendono meno dolorose, raffinati racconti noir che uno dopo l’altro e tutti insieme compongono un puzzle che disegna la vita, La malavita. Malavita non nel senso letterale del termine, non la mafia il crimine la violenza, non solo quello. La malavita è una vita altra rispetto a quella vissuta nella norma, è la guerra senza bombe che molti vivono dentro sé stessi, è il sapore di tempi che non sono più ed erano migliori, è il vedere le cose da un’altra prospettiva - il Corvo Joe che osserva e schernisce la gente ne è il simbolo - è il reagire, ognuno a proprio modo. I Baustelle ritornano più ironici, più disillusi, più riflessivi mettendo un po’da parte gli sfoghi giovanili dell’esordio e il lento elegante dolore della Moda, ci sbattono in faccia scene tratte da questa vita malata, in tutto il loro romanticismo di sempre. Un lavoro dal suono “100% Baustelle” - come è stato definito - riconoscibile sin dall’attacco. Chitarre più presenti rispetto al passato ed accurate orchestrazioni per un risultato più rock, per un disco che è pienamente esasperatamente loro in ogni nota, in ogni parola.

Alessandro Grazian Caduto Macaco Records Trovarobato

Coraggioso è il primo aggettivo che mi viene in mente ascoltando questo esordio discografico di Alessandro Grazian. Padovano ventottenne dopo numerose esperienze in band rock ha deciso da circa cinque anni di scrivere e cantare le sue composizioni imbracciando una chitarra acustica. Per testi, musiche e arrangiamenti (ai quali collaborano il fiatista dei Mariposa Enrico Gabrielli, che nel cd suona clarinetto, flauto, melodica, glockenspiel, e il violoncellista Giambattista Tornielli), Caduto è sicuramente uno dei lavori meno semplici uscito in Italia negli ultimi anni. Se Novizio e Prosopografie sembrano filastrocche per bambini, Ottima (che sembra ispirata dalla canzone popolare) Serenata, Via (divertente e divertita chiusura), Ammenda e Oggi hanno vinto loro colpiscono per la ricchezza di sfumature musicali, Caduto e Santa Sala sono delicate. Canzoni comunque semplici e dirette (anche se a volte Grazian gioca un po’ troppo con le parole) sorrette da una musica spesso drammatica e intensa, soprattutto quando sorretta da un andamento orchestrale. Come detto un esordio difficile ma riuscito. (P.L.)

Gianmaria Testa Extra-Muros Le Chant Du Monde/I.R.D. di Lorenzo Donvito Extra-Muros è un lavoro che risale al 1996 ma soltanto ora arriva in Italia e in tutto il resto del mondo. La carriera di Gianmaria Testa inizia infatti in Francia, dove oltre al disco in questione è stato pubblicato anche il suo primo lavoro, Montgolfieres (1995). Proprio in seguito alla pubblicazione di Extra-Muros per la Warner francese e grazie ad un esibizione all’Olympia di Pargi, qualcosa è cambiato: anche qui, “nella nostra italietta”, ci siamo infatti accorti del cantautore, nonché capostazione(!!), di Cuneo. Il giusto riconoscimento quindi è arrivato, un po’ in ritardo, ma è arrivato, tanto che dal primo novembre questo chitarrista dalla voce profonda e calda toccherà per la prima volta il suolo statunitense per una serie di concerti. La ristampa del suo secondo lavoro è sicuramente una buona occasione per riscoprire o scoprire, per chi ancora non lo conoscesse, lo stile asciutto e semplice di queste ballate in cui la tradizione cantautoriale italiana viene contaminata dal jazz (Un’Altra Città), andandosi a mescolar con impasti sonori vicini a certi primi lavori di un tipo americano dalla voce terribilmente “catramosa” dal nome di Tom Waits (ascoltate per credere Il Mio Gallo o Joking Lady).

“cronaca” come senzatetto, ragazzine in fuga, tutti coloro che vogliono Una vita nuova ma narra anche molto in prima persona. Info www.fabrizio-coppola.net (Scipione). Cesare Basile Fratello Gentile Mescal In attesa del nuovo album Hellequin Song (in uscita il 13 gennaio) Cesare Basile presenta Fratello Gentile. Un singolo che oltre alla difficile title track presenta due cover (Baby Blue di Gene Vincent e I need some money di J.Lee Hooker) e due inediti Gonzaga (una ballata d’amore) e la strumentale 15%. Dopo Gran Cavalera Elettrica c’è grande attesa per Hellequin Song. Il disco, che è stato missato da Marco Tagliola e John Parish all’Esagono Recording Studi, vede la collaborazione di Hugo Race (True Spirits ed ex- Bad Seeds), Marcello Caudullo, Marcello Sorge, Giorgia Poli, Michela Manfroi, Roberta Castoldi, Marta Collica (Sepiatone), Kris Reichert, Jean Marc Butty (P.J.Harvey - Venus), Stef Kamil Carlens (ex-dEUS ora leader dei belgi Zita Swoon), Enzo Mirone, Lorenzo Corti e Manuel Agnelli (Afterhours). Info www.cesarebasile.com Piccolo gruppo intimo (Pi.gr.i) Non esistono grandi artisti ma solo piccoli imbroglioni Autoprodotto Arrivano da Cosenza i quattro matti del Piccolo gruppo intimo. Non esistono grandi artisti ma solo piccoli imbroglioni è il loro primo lavoro (autoprodotto). Punk adolescenziale, o qualcosa del genere, con un richiamo abbastanza diretto ai nordici Tre allegri ragazzi morti, molto orecchiabile e che resta facilmente in testa. Ironici e generazionalmente autoironici (Andrew Calabrese è uscito dal gruppo e Alternativa), divertenti e spensierati, solari e freschi il calabresi imbroccano ritornelli da stampare nella memoria (Diritto Privato, Mariavittoria, Distante, Agrodolce). La mia preferita è la “canzone/ cantiere” 30+16n (forse perché almeno per un momento ricorda Ivan Graziani). Bella anche l’idea della copertina con un richiamo diretto alla famosa banana dei Velvet Underground. Pi.gr.i solo di nome (carino il manifesto anche i pigri nel loro piccolo fanno sport che sfocia nel pezzo più tranquillo del cd), interessanti di fatto. Ivan Segreto Fidate Correnti Sony Bmg Passa un solo anno dall’esordio di Porta Vagnu


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e Ivan Segreto torna con Fidate Correnti. Affiancato per genere e linee melodiche al calabrese Sergio Cammariere, il siciliano Segreto ha il merito di aver raggiunto il successo senza passare da Sanremo. Fidate correnti è un buon lavoro, forse un po’ ripetitivo e accartocciato su se stesso a lungo andare, nel quale Segreto mantiene il giusto equilibrio tra la ricercatezza dei suoni e degli arrangiamenti e l’immediatezza compositiva. Zoldester Se Cadaveri & Papere Nulla da eccepire. Questo esordio dei neonati Zoldester è accattivante e delicato allo stesso tempo. Il progetto nasce dall’incontro delle idee musicali e artistiche di Fabrizio Panza e Francesco De Napoli entrambi in passato nella rock band barese Quarta Parete. Nel 2004 i due si esibiscono al Festival “Sovversioni” di Perugina con un reading per chitarra e televisore, La coscienza del se (‘) – in un periodo ipotetico. Un Se mantenuto come titolo a questo lavoro che scivola via con un rock intelligente, con una valida alternanza tra suoni acustici ed elettici, ma mai sopra le righe sempre calibrato sulla voce di Panza. Tra i nove brani citiamo il convincente Guai, il blues di Attraverso, l’arrangiamento di archi di Dicevo di si, l’andamento lento di Arrendevole, il girotondo di Ninna nanna della fine, il testo “minimale” di Si avvicina il cielo, il coretto di Girate la luna. Ultima nota: Se è stato registrato e missato da Paolo Mauri, un ingegnere del suono che ha lavorato con Afterhours, Prozac+, La Crus, Cristina Donà, Marco Parente, Sottotono. E si sente. Info: www.zoldester.com Evagarde Treminuti41 Alternative musicali Il pop rock salentino gode di ottima salute e i Negramaro sembrano essere solo la punta di un movimento che è destinato, probabilmente, a venir fuori. Lo testimonia questo Treminuti41 degli Evagarde. Dopo il cambio di formazione e l’ingresso nel gruppo della nuova cantante/chitarrista Sophie, il sestetto sfodera un lavoro di tutto rispetto. Il suono c’è, gli arrangiamenti sono ben calibrati e non mancano neanche le canzoni “radiofoniche”. Quasi, Non sento il vento, Ozio totale molto in stile Cristina Donà, Bordel (sonorità più rock e testo in francese), Niente di importante solo per citarne alcune (e in ordine di apparizione) sono tutti possibili singoli. Interessanti

Tracy Chapman Where You Live Warner di Cosimo Farma Arrangiamenti delicati, dal gusto sobrio, testi densi di riflessioni (politiche, esistenziali, affettive), un gruppo di musicisti straordinari, in grado di affiancare una presenza imponente e fragile senza tarparne le ali, i tempi giusti per la composizione, la produzione, il confezionamento, e quella voce che riempie ogni spazio, che si infila negli interstizi lasciati consapevolmente vuoti dagli strumentisti, che ti sussurra all’orecchio, ti sorprende alle spalle, ti investe le ginocchia. Tutto questo è Where You Live, un disco estatico, per cura dei particolari e forza complessiva. Tracy Chapman abbandona gli emisferi più meditabondi delle ultime produzioni e ritrova il bisogno affermativo delle sue realizzazioni più belle: l’urgenza di Talkin’ Bout A Revolution, il particolare legame con la tradizione di Crossroads, la ricercatezza timbrica di The Rape Of The World. La grande carica di Change, il primo singolo, si ingigantisce di ascolto in ascolto, e vibra di un’espressività che rinuncia al sospiro per farsi enorme. E la robustezza che caratterizza il brano d’apertura si ritrova nell’intero disco, anche laddove le risorse timbriche sono ridotte all’osso, come in Don’t Well e Be And Be Not Afraid. Il contributo di Flea, l’eccentrico bassista dei Red Hot Chili Peppers,

The Metronomes Ciao fred! Velut Luna di Giancarlo Bruno É un disco fresco e allegro quello dei Metronomes. Ciao Fred è un tributo al mitico Fred Buscaglione, gangster dal whisky facile e dall’anima che continua a pulsare puro ritmo swing. Il cd ripercorre un repertorio non originalissimo (sono inseriti, tra gli altri, standard della canzone italiana come Carina o Buonasera Signorina), ma lo fa con una spensieratezza che sembra non potersi incastrare con la perfezione delle esecuzioni, impeccabili e ben registrate; la mancanza di un basso/contrabbasso consente di poter ascoltare stupiti le linee armoniche create della mano sinistra del pianista Carlo Piccoli che sostituisce tale strumento eliminato per scelta. Il drumming percussivo e instancabile del batterista Stefano Fedato tramortisce e non lascia scampo alle incertezze. Infine Francesco Michelin, front man e cantante carismatico, riempie tutto con la sua voce lucida, precisa, teatrale, e ci accompagna in questo mondo di vestiti gessati e sigarette fumate a metà. Lodevole la scelta di inserire quattro omaggi alla musica napoletana del compianto maestro e amico Renato Carosone. Cosa? Un gruppo di veneti da jazz club che canta in napoletano Pigliate ‘na pastiglia? Si! Questi sono i Metronomes… imprevedibili e scatenati, romantici ed elegantissimi.

poi, assicura ulteriore solidità. E così ogni cosa è al proprio posto: le parole che la cantautrice afroamericana seleziona con la cura e l’attenzione di una studiosa si incastonano nella mente, e con pochi, sapienti colpi riesce a far risplendere la profondità dei testi e l’intensità dell’esecuzione. Dall’accusa istituzionale di America alle liriche profonde di Talk To You, dal livore di 3,000 Miles al peso inquieto di Love’s Proof, Where You Live risplende di gran luce; nessuna ombra, nessuna smagliatura in un tessuto prezioso perché sottile ma anche resistente all’usura del tempo. Una raffinatezza rara e discreta quella della Chapman, che al suo settimo lavoro non ha perso la voglia di far musica tenendosi però al di fuori dai meccanismi opprimenti dello show business. Gli artisti americani, in particolare quelli neri, hanno sempre vissuto il conflitto interiore di chi vuol mantenere estremo controllo sulla propria creatività (“di chi vuole l’ultima parola”, per dirla in gergo), ma che contemporaneamente aspira al successo planetario. La Chapman, sebbene abbia incontrato la fama sin dal primissimo album, ha sempre risolto nella maniera più efficace questo tipo di problema: lo lascia agli altri e, col riserbo del saggio, parla con la sua arte.

Les Anarchistes La musica nelle strade Storie di note/Suonimusic Titolo non poteva essere più emblematico. La musica nelle strade segna, a tre anni di distanza dal fortunato esordio Figli di origine oscura, il ritorno dei Les Anarchistes. Il gruppo di Carrara che trae ispirazione (e brani) da Leo Ferré e dalla tradizione popolare dimostra ancora una volta abilità musicale e reale impegno politico. Quindici canzoni e un libretto allegato (con due capitoli La società disciplinare e La biopolitica del campo) per mettere al centro dell’attenzione la biopolitica. Le storie raccontate spaziano dall’anarchico morto per uccidere l’imperatore asburgico di Inno a Oberdan all’antifranchismo spagnolo di A Las Barricadas, dal ricordo di Sacco e Vanzetti ai bombardamenti umanitari della Nato di Il Maggio di Belgrado (solo per citare alcuni titoli). Tra gli ospiti Giovanna Marini, Moni Ovadia, Erri De Luca, la Compagnia della Fortezza di Volterra, Steve Conte (già musicista per Willy De Ville, Paul Simon, Maceo Parker), Piero Milesi, Il Parto delle Nuvole Pesanti, Petra Magoni, il senegalese Ibrahim Sampou, e tanti altri ancora. Un lavoro interessante che si muove abilmente tra folk ed elettronica ma che ha il difetto di essere un po’ troppo lungo (più di settanta minuti di musica ribelle sono tanti) e di perdersi per strada. Forse troppo logorroico per essere incisivo.

anche le ballate più soft (seppur distanti tra loro) come Vento di scirocco, Ti prego no, Ritorno da te e il reading elettronico finale Per sempre. Un album in linea con la tradizione rockmelodica italiana, molto orecchiabile, mai troppo scontato e soprattutto molto ben suonato. E di questi tempi è già una buona cosa. www.evagarde.it Marta sui tubi C’è gente che deve dormire Eclectic circus /V2 Il secondo cd del duo siciliano era atteso da molti. Soprattutto perché l’esordio di due anni fa con Muscoli e dei era piaciuto per innovazione e semplicità di esecuzione. La prima novità è rappresentata dall’ingresso stabile, al fianco dei cantanti Giovanni Gulino (synth) e Carmelo Pipitone (chitarra), del batterista Ivan Paolini. Ma sono sempre i suoni acustici ad essere protagonisti (c’è spazio anche per un brano strumentale) con qualche ospite qui e là tra piano, violoncello e clarinetto. Via Dante (con la presenza di Paolo Benvegnù e di uno strepitoso e ironico Bobby Solo), Perché non pesi niente (con il suo intreccio di voci), L’abbandono, La tua argenteria (con una finta radiofonica finale alla Tony Tammaro che introduce la cover dei Beatles Tomorrow never Knows) sono canzoni quasi perfette che svariano tra arpeggi, voci narranti, folk tradizionale, cantautorato italiano. Il punto debole del terzetto è quella a volte esagerata ostentatezza della voce, che ricorda un po’ Demetrio Stratos, in alcuni brani come Cenere (canzone ben costruita tra chitarra e clarinetto), Ti mento o L’amaro amore(che sa un po’ di Quintorigo). Ma sembrano solo incidenti di un percorso prezioso e articolato. (P.L.) Northpole Northpole I dischi de l’amico immaginario Si può fare pop-rock in Italia senza subire una lobotomia prima di entrare in studio o far finta di essere giovani? Ad ascoltare i Northpole sembrerebbe proprio di si. Senza essere forzatamente rock, senza urlare ma con l’eleganza di chi non ha bisogno di convincere nessuno i Northpole confezionano un disco in cui parole, musica, arrangiamenti, produzione, artwork addirittura, sono messi insieme con tale gusto che non cambieresti una virgola. Il fascino dell’indie, la passione del migliore Battisti, l’eleganza di Benvegnù, un piede nel presente e uno nel passato. Chitarre cristalline e arrangiamenti di violini (a cura di Fabio De Min dei Non voglio che Clara) fanno il tutto un po’ anni 70, e non dispiace.


KeepCool h 24.00, Adriano e il Barone sono pronti nel camerino dello Zenzero truccati e svestiti come si deve per presentare il live set di Pornography. Il Barone, impeccabile, siede accanto ad Adriano Canzian e indossa reggicalze e parigine nere su tacchi a spillo per scarpine a punta di vernice n 43. Una giacca gli copre il torace nudo e il volto impentrabile è nascosto da una maschera sadomaso le cui fessure svelano pupille e baffi. Claudia: Pornography, parlare sulla pornografia in maniera critica adottando però un punto di vista soft-pornografico mi è sembrato un approccio non solo efficace contro il bigottismo eterosessuale ma anche volto a sgretolare la logica binaria maschile/ femminile. Ti va di descrivere l’operazione attuata con il tuo disco, Pornography? Adriano: È partito tutto dal primo singolo Macho Boy: un mio carissimo amico e collaboratore una sera mi esponeva in generale i suoi gusti, dalla moda alla musica, fino alle sue preferenze sessuali senza nessun tipo di censura, quindi parlava di dimensioni di c****, come del colore degli occhi degli uomini che gli piacciono... io la trovai una cosa molto divertente anche perchè non era fatta per scioccare ma era proprio lui che spontaneamente mi diceva tutto quello che gli piaceva, io l’ho registrato con un microfonino e la notte stessa ci ho lavorato su ed è nata Macho Boy che poi non ho più toccato dopo quella notte. Da lì si è aperto un filone che per me si è rivelato estremamente interessante, in quanto la pornografia o comunque il sesso è un tema che esiste da sempre e che viene sfruttato dagli artisti; fra l’altro ero stufo dell’ipocrisia che circola in Italia in certi ambiti, e quindi mi dicevo, ma com’è possibile vai in un’edicola trovi riviste pornografiche dove vedi cani che si accoppiano con preti e cose di questo genere e poi fai una canzone dove c’è la parola c**** e la gente rimane scandalizzata...vabè... ho incontrato dj Hell che era particolarmente disposto ad abbracciare questa mia idea e abbiamo deciso di impostare tutto l’album con il Konzept della sessualità e della pornografia. Sessualità intesa al cento per cento, nel senso, ok io sono gay, ma chi se ne frega, se fossi stato etero avrei parlato di donne...[N.d.I. a questo punto cerca un’ispirazione lanciando uno sguardo alla giovane fotografa]...di tette... era tutto estremamente ironico, qualcuno ha pensato che fosse molto serio, del tipo, ah questo fa pornografia, in realtà era tutta una presa in giro. Anche l’artwork

Adriano Canzian, simpaticamente volgare

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Intervista di Claudia Attimonelli Foto di Francesca Savino

all’interno del disco, lì ci sono scene pornografiche nelle quali tutti i personaggi hanno la mia faccia [N.d.I. sorride sornione]. Il sesso è presente in maniera massiccia da internet a qualsiasi altro mezzo di comunicazione, solo che la gente è ipocrita, non ne parla o fa finta che non esista..e quindi ho voluto fare questa cosa esagerata, sia musicalmente che visivamente, per vedere le reazioni, non avevo in mente una precisa presa di posizione, ho fatto quello che mi andava di fare, volevo essere volgare...simpaticamente volgare, c’è chi l’ha giudicato osceno e chi l’ha letto come una cosa ironica.. C. Quale effetto intendi suscitare nel pubblico durante i tuoi live in cui sei affiancato dalle performance di miss love and the poison? Dato che mi sembra che gli artisti che ti affiancano, siano, ad esempio, portatori di una corporeità fortemente critica, quasi punk, oltre che hard, non ammiccante ma antagonista, ancora tesa a sgretolare lo stereotipo eterosessuale della corporeità... A. Si...esatto, e anche a sgretolare quella che è la concezione dell’animazione, io sono fortemente attratto dalle cose che si contrastano, quindi l’idea di avere delle persone che proponessero un’esibizione non comune per me era la ciliegina sulla torta, rappresentava esattamente quello che io mi sento, cioè una via di mezzo tra un punk e qualcuno che ama le cose belle, patinate, glamour...il punk e il glamour. L’animazione classica: il belloccio, la belloccia che ballano su un cubo o appoggiati a un palo mi ha sempre fatto ridere, la trovo una cosa comica..a me piace mostrare artisticamente e visivamente i lati più oscuri delle persone, quindi mi piacciono performer che non sono perfetti, anzi...che hanno difetti fisici, che hanno la pancia [N.d.I. indica il Barone, muto e fedele al suo fianco... quest’uomo ha visto cose...] e cicatrici impressionanti, mescolando questo aspetto ad un’attitudine, un look, o un momento musicale

glamour; tutto ciò per spezzare la noiosissima tendenza che c’è sopratutto in Italia di concepire nei club, il dj che arriva lì con la magliettina grigia, pallido, mette sù i dischi che mettono tutti e lì vicino c’è la bella ragazza con reggiseno e mutandine che balla e basta...la trovo una cosa...vecchia... C. Quindi secondo te questa potrebbe essere anche una maniera per evitare di cavalcare l’onda che sta commercializzando l’uso del fetish e del sadomaso nei club, rendendolo plastificato e svilendo anche il suo potenziale critico e crossgender? A. Non seguo assolutamente le tendenze musicali, non per snobismo e non credo neanche che sia un difetto bensì un pregio. Lo faccio per non farmi condizionare musicalmente e artisticamente... qualcuno ha parlato del mio stile come precursore di un nuovo genere, pornoacido...non so cosa vada adesso, anche quando vado a Berlino, a Madrid, a Parigi evito di andare nei locali cool, perchè inconsciamente penserei, ah, vedi sta andando questo, quindi forse dovrei...no, di conseguenza compro pochissima musica, quasi sempre sono atti di fede nei confronti di artisti o di label che seguo da sempre, non mi preoccupo della commerciabilità dei pezzi, non mi preoccupo della gente che ho davanti quando propongo lo spettacolo e finchè troverò qualcuno che mi pubblica e mi fa lavorare è bene, altrimenti un giorno cambierò lavoro. C. Il Gender è una performance, così nelle teorie di genere; il genere è cioè uno stato mutevole dell’individuo, che si ridefinisce ogni volta e senza dover essere catalogato come eteresessuale o omosessuale. Dal tuo punto di vista, in che cosa questo approccio può intervenire sulle relazioni di potere tra i generi, e nello specifico credi che le tue performance siano un modo per illustrare come liberarsi dalla gabbia delle identità precostituite? A. Si, sicuramente, si, ti faccio un

esempio pratico. Quando ho iniziato sono stato resident per due anni ogni primo sabato del mese a Milano in un club, anzi in una specie di bettola, discopub, a ingresso gratuito come ne trovi chessò a Londra, a Francoforte...ho voluto incominciare a lavorare lì perchè mi sembrava il posto più adatto per il tipo di arte che presentavo che non era adatta per i grandi club. Allo stesso tempo mi son reso conto di un cambiamento rispetto alle prime esibizioni: i ragazzi di 20 anni, etero, che non hanno vissuto gli anni Ottanta ma che conoscono solo l’House, sono rimasti all’inizio fleshati e poi sono diventati miei grandi fan. Addirittura venivano tutti i sabato, etero convinti ripeto, e, quando io suonavo miei pezzi tipo blow job erano lì a cantare <succhiami il c****, pompino>, e cose di questo genere. Per me è stata una cosa bellissima, vabè sono parole del c**** però, vedere che questi ragazzi sono andati al di là del loro orientamento sessuale, abbracciando semplicemente la mia onda artistica, l’ho trovata una cosa anche socialmente importante. C. Date le tue belle collaborazioni con il mondo della moda e delle arti visuali, penso alla stilista americana Holly Krueger [N.d.I. sorride sornione, pensando “caspita questa ne sa più del mio agente” e vi assicuro che è l’espressione più gratificante che un’intervistato possa avere], credi che il legame con la moda e, dunque, l’interesse delle fashion theories, possa essere un ulteriore sponda per praticare un discorso intorno alla corporeità vista come performance? A. Si, assolutamente. In realtà tranne alcune eccezioni tipo Versace e Givency che hanno preso delle mie tracce e le hanno piazzate in compilation etc., con Holly Krueger, invece, ho fatto un lavoro più specifico, cioè costruivo proprio delle colonne sonore per i suoi show a 360 gradi, che comprendevano diverse forme espressive d’arte: attori, musicisti, stilisti, coreografi, scenografi...sicuramente in quel caso la mia musica si sposava bene con il concetto del corpo che sfila e del vestito che lo ricopre.. Si ringraziano, Adriano e il Barone per la disponibilità all’ascolto e ciò che ci hanno fatto ascoltare. Si ringrazia Lab080 per quello che ci farà ascoltare. La versione video a cura di Vito Cascella dell’intervista sarà on line su www.adrianocanzian. com


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IL SALTO NELL’INDIE Seconda tappa del nostro viaggio alla scoperta del panorama indipendente italiano, questo mese è il turno di Arab Sheep, etichetta Friuliana che ci ha conquistato per l’eleganza estetica e musicale delle sue produzioni. Ci racconti un po’ la vostra storia? L’Arab Sheep nasce come la maggior parte delle piccole realtà indie. Con gente che fa musica scontenta di rimanere nel solito agglomerato locale fatto di musicisti che vanno ad ascoltare altri musicisti, a rotazione. Gente scontenta che decide di smettere di essere scontenta e di darsi da fare. Tutto è nato intorno al primo progetto, i Lefty Lucy, attorno al quale si riunivano

gran parte delle menti ma più che altro dovremmo dire delle braccia dell’Arab Sheep, intorno all’anno duevolte-mille ci siamo trovati ad affrontare la spinosa questione della produzione di un disco, questione che si riassume in una semplice domanda: Qui prodest? A chi giova? Eppure (questa è stata la riflessione fondamentale) non solo l’ambiente friulano è ricco e stimolante dal punto di vista della produzione musicale e sarebbe pronto per farsi apprezzare anche fuori dai confini regionali (qualche esempio lo hanno dato nostri conterranei come il Musiche Furlane Fuarte e la Riot Maker). Mancava una forma da dare a tutte queste cose. Ed un coordinamento, che è poi la cosa più difficile. Da qui l’idea di fondare un’associazione culturale, cosa che effettivamente avviene nel 2004. Il secondo gruppo che cresce nel gregge sono i Clevis Hat, è però con il disco di Francesca Luzzi che siamo finalmente riusciti a rodare l’impianto Arab Sheep in maniera convincente e produttiva ed a sentirci pronti per pensare ad altri progetti. Quale è l’indirizzo artistico, se uno ce n’è, della vostra etichetta? Non c’è assolutamente. Lo scopo della nostra associazione è alla fine dare

una testimonianza di piccole-grandi cose che altrimenti verrebbero ignorate o spazzate via. Certo, ci sono delle condizioni determinanti: prima tra tutte, diffidiamo di chi suona perché gli piace l’idea di far parte del grande circo e non perché abbia effettivamente qualcosa da dire. Ultimamente va di moda questa espressione: sentire l’urgenza di scrivere e fare musica. Che è molto teatrale, come cosa da dire... però è vera: la musica è passione, parola che nella lingua dei tempi di Asterix aveva anche un’accezione negativa, “sofferenza”. In questo senso… noi cerchiamo persone che stanno male se non scrivono e non suonano, perché dentro di sé sanno che non suono buoni a fare altro e che quello devono fare! Che tipo di diffusione ha il vostro materiale, come si può trovare, acquistare? Finora abbiamo contato solo sui negozi underground, gli unici aperti alla vendita di materiale proveniente da distributori... singoli! Ovviamente, c’è anche il discorso della vendita on-line, che funziona sempre, ma purtroppo solo con chi ama “cercarsi” la musica da ascoltare e spende tempo a spulciare in rete tra le novità inedite. Vi considerate fuori dal mercato o parte di un circuito? Al momento in realtà niente di tutto ciò, ancora ci sentiamo un po’ come delle matricole che si stanno avventurando nel campus. Ma sicuramente, se riuscissimo a mettere in atto anche solo parte di quello che abbiamo in testa, sarei per la seconda opzione: produrre la propria musica e farla conoscere al pubblico (tramite internet, le riviste di musica e quant’altro), suonare in giro per l’Italia, aprire contatti e collaborazioni con altre persone del circuito... penso siano gli obiettivi di tutte le realtà indipendenti italiane, che paradossalmente dimostrano maggiore lungimiranza e a volte incontrano anche più fortuna di tanti operatori del mercato discografico tradizionale. Quale è il vostro parere sui colleghi e sulla scena indie più in generale, in Italia? Negli ultimi anni la scena indie sta risvegliando molto interesse, ma la cosa veramente nuova è che fa molto più rumore di una volta: qualcuno dice che è perché la musica di mercato è in crisi perciò si comincia a guardare in basso, per cercare il nuovo o semplicemente qualcosa che funziona senza bisogno di soldini da investire. Sta di fatto che anche in Italia finalmente la scena indipendente ha una sua dignità. Una sensazione che talvolta abbiamo provato anche sulla nostra pelle: due settimane fa’ siamo stati ospiti a Radio Uno e… ci siamo innanzitutto meravigliati del fatto che anche una radio di stato avesse sentito l’eco delle piccole produzioni

FR Luzzi

e comunque stupiti dell’interesse di un “colosso istituzionale” verso la musica indipendente. Credo che il merito stia nell’impegno di chi in tutti questi anni, anche sotto la prospettiva del “guadagno zero”, si è messo in gioco. Parlare di “colleghi” forse è un po’ troppo, e non per falsa modestia ma perché ci sentiamo veramente ai primi passi... comunque apprezziamo molto la linea d’azione di etichette come la Wallace Records o la Snowdonia, a loro va il merito di aver sempre puntato su un’originalità che non è fine a sé stessa. Ci parli un produzioni?

po’

delle

vostre

I “padri pellegrini” della nostra associazione sono i Lefty Lucy: la scrittura e l’impatto richiamano l’arietta scozzese (Delgados, Belle&Sebastian) ed il post-rock americano, stanno a metà tra acustico ed elettrico. Seguono la parabola della canzone d’autore italiana riscrivendola a modo loro, per una perfetta commistione tra cantautorato e suoni ricercati. Poi ci sono i Clevis Hat, costola del braccio sonico di Marco (tastierista dei Lefty nonché tra i padri fondatori dell’Arab Sheep). Qui siamo sul fronte dell’indie-rock elettronico ad alto potere evocativo, quasi “cinematografico”. Un quadro di fotogrammi metropolitani con sfondo vagamente noìr. Fiore all’occhiello dell’Arab Sheep: miss FR Luzzi, la degna risposta italiana alla campagna Quiet is the new loud dei Re Della Convenienza. Voce scarna e delicata per una manciata di canzoni dotate di un naturale gusto per la misura e di leggerezza solare, tra l’indie-pop ed il folk con un pizzico di bossanova. Ultima novità in anticipazione: i Belladonna, un

progetto vagamente etichettabile nello scaffale del garage con sprazzi di psichedelia. “I Braniac”, “il fuzz nelle sue applicazioni” ed “l’universo come muro di suono” sono le materie d’esame della “school of rock” di questo geniale progetto. Se ne vedranno delle belle, insomma... E cosa altro ti piace, se c’è, in Italia? Ci piacciono tante cose... qualche nome: Cristina Donà, gli Offlaga Disco Pax (con cui Gaetano ha spesso a che fare), i Perturbazione, o ancora... Zen Circus e i Midwest. Da poco abbiamo scoperto anche i bravissimi Studio Davoli (Records Kick). Che altro? I friulanissimi e pigrissimi Prorastar!

Clevis Hat


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Gialloelettrico Garbo, l’autore di una canzone indelebile nella storia del pop italiano come A Berlino pubblica il secondo capitolo della trilogia a colori nonché quattordicesimo album del suo percorso artistico. Fra nostalgie rock e riflessioni sull’uomo del nostro tempo Garbo si racconta. Come ti sei avvicinato alla musica d’ispirazione poprock, fenomeno che oggi trova mille differenti sfaccettature? Innanzi tutto l’ispirazione nasce dal bisogno personale di produrre musica al di là di come la si possa etichettare. Ho attraversato in questi ultimi vent’anni la mia musica sperimentando diversi modi di realizzarla fino ad arrivare all’ultimo lavoro Gialloelettrico che tutto sommato, nonostante un discreto lavoro di ricerca sonora, non è altro che un album di pure “pop songs”. “Evoluzione e tecnologia” uno fra i temi che hanno catturato la tua attenzione. Una società techno-dipendente? Per quanto mi riguarda l’uso della tecnologia applicata alla musica mi ha permesso di ampliare notevolmente i miei orizzonti creativi, ma allo stesso tempo credo che sia solo uno strumento non in grado di sostituire il gesto creativo che può nascere solo dalla mente e dalla sensibilità di un artista. Quindi non mi auguro una società technodipendente, ma una società in cui la tecnologia dipende dall’uomo. Come definisci la collaborazione che hai avuto con Franco Battiato? Decisamente importante ed educativa. In occasione di quel lungo tour dove feci da supporto a Battiato nel 1981, anno in cui esordivo con l’album A Berlino...va bene, imparai molte cose circa la mia musica e le strade che poi avrei percorso e imparai molto anche rispetto il mio rapporto con il palcoscenico. Nel 1995 pubblichi Fuori per sempre un lavoro introspettivo che evidenzia la solitudine del nostro tempo e rivolge il proprio sguardo allo spiritualismo. In cosa credi? Credo di avere una profonda spiritualità anche se non ho

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mai tentato di dargli un nome. Fuori per sempre nasce in pieni anni ’90... anni che hanno vista la fine dei grandi movimenti dei decenni precedenti, anni in cui creativamente mi sono sentito un po’ più solo e introspettivo. Dalla tua interessante discografia a quale lavoro sei particolarmente legato e per quale motivo? Indubbiamente A Berlino...va bene come già citavo rappresenta il mio esordio e l’inizio di questo lungo viaggio, ma credo in verità che ogni tappa, ogni album che mi sono regalato e ho ceduto ad altri è stato per me un importante momento di crescita. Cosa è cambiato oggi dal Garbo di Fotografie del 1984? Tanto dentro di me, nel mio modo di sentire la mia personalità, di pensare, di approcciarmi a ciò che mi circonda, di comunicare e tanto è cambiato il mondo che ci circonda. Oggi l’uomo vive questo tempo in modo inevitabilmente diverso rispetto vent’anni fa, proprio perchè i temi di questa epoca sono spesso nuovi. Parlando di background se dovessimo curiosare nella tua discoteca privata quali dischi troveremmo? Direi un po’ di tutto. Dalla classica all’elettronica più sperimentale, dalla musica più easy al pop rock più “colto”. È certo però, come puoi immaginare, che la mia formazione musicale affonda le sue radici in certo pop rock di matrice anglosassone che arriva dagli anni ’70. Nel tuo sito internet c’è una sezione chiamata MP3 (In costruzione). Cosa pensi di Internet del “file sharing”. Sei favorevole alla libera distribuzione della musica in rete ? Internet permette una rapida e grande diffusione del messaggio che vogliamo dare di noi stessi, quindi è un grande strumento di comunicazione globale. Penso però che la distribuzione di musica in rete vada in qualche modo regolamentata e questo per tutelare il diritto d’autore e il lavoro di chi opera in un settore così importante per la cultura. Cosa è il Garbo Lab. Il tuo personale laboratorio? E un posto in cui io e chi collabora con me può depositare progetti e idee che possono e potranno servirci e che un giorno, in futuro, potremmo rileggere per capire che strade abbiamo percorso in passato. (www.patriziolongo.com)

Intervista con Alessandro Coppola dei Nidi D’Arac di Patrizio Longo

Un’alternativa alla musica italiana nel mondo

Il nuovo lavoro discografico St. Rocco’s Rave vede i Nidi d’Arac alla ricerca di emozioni provenienti dalla cultura folk del Sud-Italia. Sempre attenti alle diverse sfaccettature che il mediterraneo offre. In questo progetto ampio spazio viene riconosciuto all’elettronica che fa da collante a ritmi ripetitivi. Un drum ed un carisma tipico della pizzica alla base della realizzazione. Abbiamo intervistato il cantante e leader del gruppo, Alessandro Coppola. Voglia di esserci e di comunicare. Quale il messaggio che Nidi d’Arac vogliono diffondere?

La Pizzica è un fenomeno che in questo momento trova sul territorio nazionale ampio riscontro,grazie anche al fatto che diverse sono le sagre e le manifestazioni a carattere locale che hanno portato lo stesso alla ribalta. La scelta di rivolgere la vostra attenzione a questo fenomeno da cosa è stata scaturita? La nostra attenzione è nata diversi anni fa e, quindi, prima che il tutto arrivasse all’apice del consenso nazionale. Abbiamo iniziato a metà degli anni 90, la nostra è

Prima di tutto c’è il bisogno di raccontare al mondo di una tradizione musicale, quella del Sud Italia, che è viva e che, attraverso aggiornate formule estetiche (magari le nostre), vuole comunicare i suoi valori, insieme, di modernità e universalità. C’è inoltre la necessità di creare un’alternativa concreta alla musica italiana nel modo. Rispetto alla precedenti realizzazioni cosa è cambiato in questo nuovo lavoro? Il messaggio, nel nuovo album, è più chiaro, più accessibile, quindi probabilmente potrebbe uscire dalla nicchia di musica della quale facciamo parte, della quale comunque siamo orgogliosi. Nel mondo di oggi risulta difficile parlare di generi definiti, il vostro come lo definireste? Elettronico, folk, alternativo? Oramai penso che la definizione del nostro progetto possa avere diverse sfumature a seconda dei brani, quello che è certo è che siamo in ambito world music da qualche anno e che sinceramente mi fa piacere far parte di un “mondo” dove la diversità viene premiata. Parlando di background se dovessimo curiosare nella vostra discoteca privata quali dischi troveremmo ? Degli esempi: da Clash a Paolo Conte , da Chemical Brothers a Les Negresses Vertes, da Massive Attack a Mano Negra, da Prodigy ad Almamegretta, da Bill Laswell ad Ucci (il gruppo storico della tradizione salentina).

stata un’esigenza: scavare nella tradizione per scoprire la nostra identità artistica (e non solo). Quanto la cultura popolare della Pizzica a vostro giudizio è stata musa ispiratrice di fenomeni come le sonorità che si ascoltano durante i Rave? Per scoprire le affinità tra techno e musica tradizionale del Salento, bisognerebbe fare un salto indietro ed analizzare le caratteristiche della società rurale (per molti aspetti definita tribale). Considerando la sua struttura percussiva, ipnotica e ripetitiva, sono molti punti in comune della techno con la musica tribale, quindi tradizionale. Esistono delle teorie antropologiche che spiegano tutto questo in maniera più approfondita; quello che facciamo noi, è citare queste teorie attraverso la musica. La musica come media? Quale messaggio trasmettono i Nidi d’Arac con questo lavoro? Sicuramente essere fieri delle proprie radici ed avere un grande entusiasmo nello scoprire altre radici, credere in un’alternativa di fronte all’appiattimento (dovuto alla globalizzazione) delle culture e, allo stesso tempo, avere fiducia nel futuro. (www.patriziolongo.com)


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Stevie Wonder. La piccola meraviglia di Detroit di Gianpaolo Chiriacò

Berry Gordy era poco più che ventenne quando iniziò la sua attività di commerciante di dischi. In breve tempo passò a scrivere canzoni e a produrre artisti, e nel giro di pochi anni creò la casa discografica che più di ogni altra segnò il futuro della black music: la Motown. La sua abilità accentratrice, il suo intuito nel riconoscere il talento musicale e, non ultima, la sua ambizione gli permisero di realizzare la versione nera del tipico sogno americano: partito con ottocento dollari (o seicento, la leggenda è sempre poco chiara riguardo ai dettagli), Gordy mise su un’azienda che si dimostrò capace di competere con le più importanti major, inanellando una serie impressionante di successi. Quando un bambinetto di dodici anni, smilzo e non vedente, si presentò negli studi della Motown, il verdetto di Gordy e dei suoi uomini fu unanime: il piccolo aveva un futuro. Little Stevie Wonder, questo il nome che gli appiopparono, proveniva dal ghetto di Detroit, cieco per colpa dell’incubatrice guasta in cui fu messo appena nato. Malgrado l’handicap, Steveland (il nome di battesimo) crebbe sereno e vispo come un bimbo normale, tant’è che Lula doveva spesso cercarlo per ore tra le strade del quartiere nero per poi bastonarlo a dovere una volta ritrovato. Ma fu sempre Lula, sua madre, a indirizzarlo verso la musica: gli ascolti alla radio, i primi esercizi con l’armonica giocattolo, con batterie residuate, rivelarono presto il talento innato e gli permisero di crescere privo di complessi perché tutti riconobbero in lui un enfant prodige da coccolare. In questa realtà intervenne quel geniale marpione di Gordy. La sua idea fu sfruttare l’immagine di un bimbo cieco, il

coinvolgimento del suo canto, la brillantezza e il virtuosismo della sua armonica, per creare subito un parallelo con il genio del soul, Ray Charles, e conquistare così l’intero pubblico americano. Il primo 45 giri, Call It Pretty Music (1962), non rappresentò un vero successo, tuttavia non passò troppo tempo e l’energia travolgente di Fingertips (1963) raggiunse il primo posto nelle classifiche americane. Da quel momento Stevie divenne una star; i suoi dischi erano attesi e acquistati da una folla di persone, attratta dalla forza e dalla gioia vitale di quella voce. Il piccolo era precoce oltre ogni dire: passeggiava tra gli studi della sua casa discografica imparando a suonare qualsiasi strumento gli capitasse a tiro e nel contempo maturava la volontà di esprimersi completamente, di allontanarsi dai canoni Motown per realizzare qualcosa di proprio. I microsolchi che incise tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta portano già il marchio della volontà di cambiamento e del nuovo fermento afroamericano: l’invasione del funk, il mood innovativo di What’s Going On (Marvin Gaye, 1971), di There’s A Riot Goin’ On (Sly & The Family Stone, 1971). Stevie accennava i primi passi di un’evoluzione significativa: We Can Work It Out è così intriso di ritmo e sudore che basta confrontarla con l’originale beatlesiano per capire qual è la differenza tra la musica nera e quella bianca. Il cambiamento decisivo, però, arrivo con la maggiore età. Deciso a prendere in mano la situazione, Stevie, compiuti i ventun’anni, impose le sue condizioni: “o mi si lascia fare ciò che voglio o me ne vado”. Gordy, messo alle strette, non poté far altro che accettare, e così Stevie si dedicò alla creazione e alla registrazione di una serie di album che rimangono tuttora nella storia. Canzoni di valore assoluto, in cui Stevie fa semplicemente tutto: realizza le musiche, i testi,

Il periodo d’oro di Stevie Wonder: Music Of My Mind Tamla Motown (1972) Una ricerca sonora forsennata. Lasciati i locali della Motown, Stevie peregrina fra gli studi di registrazione più importanti del periodo, sperperando 250,000 dollari. Il risultato è un disco non ancora eccezionale ma intenso (Keep On Running) e imprevedibile (come nel trattamento vocale di Sweet Little Girl). Talking Book Tamla Motown (1972) Si apre con la celebre You Are The Sunshine Of My Life ma raggiunge la vetta nella seconda facciata: l’accusa di ipocrisia in Big Brother, le quiete strutture di Blame It On The Sun e Lookin’ For Another Pure Love (con Jeff Beck alla chitarra), e la coda finale di I Believe fanno del disco un vero capolavoro.

gli arrangiamenti, e suona ogni strumento (o quasi). Sono dischi il cui senso profondo è la spiritualità e l’amore (verso la musica, le donne, l’umanità) ma la veste è di un’originalità inavvicinabile, una sintesi di tutti i suoni e i generi che si fronteggiavano in quegli anni gloriosi. Finito il periodo d’oro, Stevie perse lo smalto dei primi LP; le sue qualità vocali e strumentali continuarono a risplendere ma la creatività faceva difetto. Tuttavia, gli anni Ottanta consacrarono il suo genio: quello che lui aveva realizzato divenne il modello per qualsiasi esperimento di pop sofisticato, dai Toto a Sting. Gli anni Novanta, poi, lo hanno visto come la tipica icona che ritorna sulle scene per “rinnovare” i palinsesti delle trasmissioni televisive o le proposte delle agenzie di spettacolo; ma c’è ancora una quantità infinita di cantanti r’n’b o nu soul che mirano alla sua voce quando si lanciano in pavidi e leziosissimi virtuosismi. In queste settimane, a dieci anni di distanza dal suo penultimo disco, Conversation Peace, Stevie Wonder ha dato alla luce il nuovo frutto delle sue doti, A Time 2 Love. Un lavoro nel suo complesso un po’ stantio, eppure qualche pepita d’oro si può sempre ritrovare: So What The Fuss e l’omonimo A Time 2 Love sono fulgidi esempi della sua fantasia di autore e di interprete. In essi risuona forte, e chiaro come un tempo, il messaggio della sua arte: “Being physically blind is no crime, but being spiritually blind is a serious handicap”.

Innervisions Tamla Motown (1973) Le visioni non sono solo interiori, ma diventano psichedeliche in Too High, caustiche in Higher Ground. Diventano uno strumento di riflessione sulle condizioni dell’umanità in Jesus Children Of America e nella bellissima Living For The City. Inarrivabile il potere simbolico delle immagini di copertina. Fulfillingness’ First Finale Tamla Motown (1974) Un grave incidente automobilistico, cui sopravvive miracolosamente, e una nuova storia d’amore sono le iniezioni di pacatezza e calma che caratterizzano questo disco. La perizia nel delineare il suono di ogni brano è ormai al limite della perfezione. Songs In The Key Of Life Tamla Motown (1976) È il White Album della musica afroamericana. Ogni pezzo è uno scrigno di melodia, ritmo, gusto, stile: Village Ghetto Land, Sir Duke, Pastime Paradise, Black Man, As per citarne alcuni. L’apice indiscusso.


Coolibrì Gli autori: Niccolò Ammaniti è nato a Roma. Da Fango (1996) a Ti prendo e ti porto via (2000) a Io non ho paura (2001), che sfiora il milione di copie vendute, i suoi libri sono tradotti in 44 lingue. Capitoli 10 e 27. Alèxandros Assonitis è nato ad Atene nel 1959. È considerato uno dei più importanti scrittori della sua generazione. Vive e lavora nella capitale greca. Capitoli 7 e 23. Feride Cicekoðlu è nata nel 1951. Accesa oppositrice del regime turco, ha trascorso diverso tempo in prigione. Insegna in un’università privata di Istanbul. Capitoli 2 e 17. Juan Manuel de Prada è uno dei migliori scrittori spagnoli contemporanei. Le sue opere sono pubblicate in Italia dalle Edizioni e/o. Capitoli 16 e 25. Lena Divani è autrice di saggi di argomento giuridico. Il suo esordio letterario risale al 1995. In Italia i suo romanzi sono pubblicati da Crocetti. Capitoli 5 e 20. Michel Faber è nato in Olanda ed è cresciuto in Australia. Attualmente vive in Scozia. Pubblicato in Italia da Stile libero, è tradotto in 29 lingue. Capitoli 4 e 22. Aris Fioretos è nato a G ö t e b o r g , in Svezia, nel 1960, autore di diversi romanzi e racconti, si è laureato alle università di Yale e Stoccolma. Capitoli 12 e 24. Arthur Japin è nato in Olanda nel 1956. Attore di teatro e cinema, sceneggiatore e autore di testi teatrali. Il suo primo romanzo, Il nero dal cuore bianco è stato tradotto da Guanda (2000). Capitoli 9 e 15.

Narrativa, Noir, Giallo, Italiana, Sperimentale

la letteratura secondo coolcub

AA. VV.

Il mio nome è nessuno Einaudi Stile libero

C’è un filo rosso che lega indissolubilmente le grandi rivoluzioni dell’America Latina, il movimento riformista cecoslovacco della Primavera di Praga, la resistenza greca contro i colonnelli, i movimenti rivoluzionari europei degli anni settanta fino ad arrivare ai nostri giorni, al movimento contro la globalizzazione. C’è bisogno, inutile nasconderlo, di riscoprire una mitografia che va riportata alla originale purezza, che va ripulita dagli strati di polvere che le si sono depositati addosso, che va staccata dalle magliette e dagli adesivi e va riportata alla sua originale forza dirompente e creativa. Può essere letto così questo Il mio nome è nessuno (titolo originale Global novel che nella versione italiana diventa il sottotitolo), romanzo scritto a più mani, da 14 scrittori di tutto il mondo e appartenenti a generazioni diverse. L’idea nasce ad Atene, durante le Olimpiadi, e il progetto viene finanziato dal Ministero Greco per la Cultura, una di quelle cose che fa piacere sapere ogni tanto. L’Italia è rappresentata da Niccolò Ammaniti. Il funzionamento del libro è molto semplice. 14 scrittori per 28 capitoli, due a testa, il primo capitolo, l’incipit, viene estratto a sorte. Ne viene fuori una sorta di Odissea contemporanea, un viaggio alla riscoperta delle radici, alla ricerca di una verità nascosta da vent’anni. Forse non il capolavoro del

secolo, ma certamente un libro, oltre che bello da leggere, interessante, per la varietà di mondi e di stili e di paesaggi e personaggi che affronta e mostra. Cosa sarebbe successo se Hugo Almendros, una sorta di Che Guevara, rivoluzionario di un fantomatico Paese del Centroamerica non fosse morto e fosse invece sbarcato in Europa a guidare i movimenti del ’68, del ’77, la rivoluzione dei fiori in Portogallo, la resistenza greca, se avesse combattuto di fianco a Dubcek e Havel? Se si fosse nascosto lui dietro i passamontagna della guerriglia condotta dal Subcomandante Marcos? La vicenda del libro è molto semplice: Maria Teresa Almendros, figlia del grande rivoluzionario Hugo, scomparso vent’anni prima, è innamorata del giovane Juan Marino, figlio del presidente Salaberry, ex rivoluzionario amico di Hugo e ora sanguinoso e temuto dittatore. Salaberry pone una condizione alle nozze, Maria Teresa dovrà riportare in patria il leggendario Hugo Almendros. E qui comincia il viaggio a ritroso nel tempo e in giro per il mondo della giovane donna alla ricerca delle tracce lasciate da suo padre nel passaggio da un Paese all’altro, da una stagione all’altra, da una rivoluzione all’altra.

Etgar Keret è nato a Tel Aviv nel 1967. Tra i suoi romanzi pubblicati in Italia dalle Edizioni e/o ricordiamo P i z z e r i a Kamikaze (2003) e Io sono lui (2005). Capitoli 13 e 26. Yasmina Khadra è lo pseudonimo dietro il quale si cela un ex ufficiale dello Stato maggiore algerino, che solo dopo avere abbandonato l’esercito ha potuto rivelare la sua identità. Il suo Morituri è stato pubblicato in Italia dalle Edizioni e/o nel 1998. Capitoli 3 e 19. Pavel Kohout è nato a Praga nel 1928. Dal 1956 scrive per il cinema, il teatro e la televisione. Consigliere del presidente Vàclav Havel, i suoi romanzi sono tradotti in italiano da Fazi. Capitoli 8 e 14. Ingo Schulze è nato a Dresda nel 1962. Ha esordito nel 1995 con 33 attimi di felicità (Mondadori 2001). Vive a Berlino. Capitoli 11 e 21. Antonio Skármeta è nato nel 1940 in Cile, che ha abbandonato nel 1973 in seguito al colpo di Stato, per farvi ritorno nel 1989. Suo il celebre romanzo Il postino di Neruda. Dal 2000 è ambasciatore del Cile in Germania. Capitoli 1 e 18. Ghiorgos Skourtis è nato nel 1940. Considerato uno dei maggiori drammaturghi g r e c i contemporanei, vive e lavora ad Atene. Capitoli 6 e 28.

pagina a cura di Dario Goffredo


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Christopher Coake Siamo Nei Guai Guanda Il dualismo amore-morte gioca da sempre un ruolo centrale nella tradizione artistica e letteraria; non fa eccezione l’esordio editoriale di Christopher Coake, scrittore statunitense il cui stile narrativo non ha tardato a riscuotere ampi consensi tra critica e colleghi, uno fra tutti l’ormai blasonatissimo Nick Hornby. Siamo nei guai è una raccolta di racconti; storie, personaggi e ambientazioni differenti, legati però indissolubilmente da un unico filo conduttore costituito dalla continua lotta tra la morte e l’amore per il sopravvento sulle vicende umane, una battaglia senza tregua in cui il confine tra vittoria e sconfitta è spesso labile e indefinibile. La morte come fine di ogni speranza, progressivo deterioramento, solitudine estrema, termometro impietoso dello scorrere inesorabile del tempo, che riporta l’uomo alla consapevolezza della sua caducità e ne soggioga ogni pensiero e azione in nome della paura. L’amore come unica via di scampo, attimo di fugace immortalità, di fronte al quale ogni cosa acquista un senso. In un universo dominato da queste due forze, che si alternano in perfetto equilibrio tra sfondo e primo piano, si svolgono le vicende dei vari personaggi, personaggi anche molto diversi tra loro ma tutti ugualmente in grado di suscitare un profondo senso di immedesimazione. In tale contesto il più bieco dei tradimenti appare di una purezza disarmante e la scelta di vivere una continua sfida con la morte sembra l’unica via percorribile. Coake si muove con sorprendente abilità, facendo uso di diverse tecniche narrative, destreggiandosi tra il racconto e il romanzo breve, utilizzando indifferentemente la voce narrante e il racconto in prima persona. L’accuratezza dei particolari nella descrizione dei momenti che precedono e seguono la morte e la profondità con cui l’autore sviscera l’emozione sorprendente e trascinante della nascita dell’amore rendono questo libro altamente sconsigliabile a chi soffre di attacchi d’ansia e di pene d’amore. Giacomo Rosato Preethi Nair 100 sfumature di bianco Polillo Editore La trentaquattrenne indiana ma trapiantata in Inghilterra Preethi Nair torna con un romanzo interessante. In 100 sfumature di bianco Nalini ha lasciato un villaggio dell’India per seguire il marito Raul a Londra con i loro

Michel Houellebecq La possibilità di un’isola Bompiani di Antonio Iovane

C’è la scena in cui il protagonista (Daniel 1) e Isabelle si lasciano. Lei aspetta il taxi fuori dalla villa dell’ex amante. E mentre aspetta, nell’imbarazzo delle dolorose frasi di circostanza che tutti prima o poi si rassegnano a conoscere, dice: “Oh, la vita passerà in fretta”. È uno dei momenti narrativi che hanno fatto di Houellebecq il narratore che è. Ma sono anche il suo grande limite. Per questo geniale francese gli uomini sono animali soli e bugiardi mossi dal solo istinto sessuale. E “quando l’amore fisico sparisce, sparisce tutto; un’irritazione cupa, senza profondità, viene a riempire la serie dei giorni”. Vabbè, tocca starci. Del resto è una chiave di lettura che vanta padri numerosi e autorevoli. Ma nessuno si sognerebbe mai di camparci di rendita, senza una buona storia. E finora Houellebecq aveva sempre avuto tra le mani buone storie. La sua filosofia era egregiamente inserita nel contesto storico delle comuni anni ‘70 delle Particelle elementari; era superba nella contemporaneità dei turismi sessuali e del terrorismo del riuscitissimo Piattaforma, con quella miracolosa scena finale. Poi questo contestato scrittore francese pensa di avere un’idea: uomini clonati e svuotati dell’istinto sessuale che dal futuro leggono le memorie del loro predecessore. Così Houellebecq alterna il piano di Daniel1 a quelli di Daniel24 e

Daniel25. Il risultato? La noia ci ha sopraffatti e sconfitti. Daniel1 è un comico patetico e provocatore. I suoi spettacoli sono Si preferiscono le troione palestinesi o Mangiami la striscia di Gaza (mio grosso colono ebreo), e a chi conosce le vicende extraletterarie dell’autore - a processo per i suoi attacchi all’Islam - tutto tornerà. Ma anche quello del comico triste, che concede solo qualche tiepido sorriso, è un tema stantio e prevedibile. Fanno più ridere Daniel24 e Daniel25, coi loro commenti imbarazzanti mentre leggono le vicende del loro predecessore, tipo: Oh, questo doveva essere l’amore. Insomma, un libro ambizioso, spesso imbrigliato in tecnicismi e pieno di presunzione; ma quello che non perdoniamo a Houellebeq è di voler raccontare il futuro in modo così sgangherato e privo di ironia, con quelle ambiziose quaranta pagine finali che ci farebbero confessare qualsiasi omicidio, se lette da un qualsiasi commissario di polizia. No, davvero, una tortura. Ma che ti è successo, Houellebecq? Perché ti fissi sugli elohimiti (i raeliani del futuro) inventando, udite udite, un futuro in cui saremo tutti clonati. Ma non è più interessante la nostra epoca? Oh, sì, lo è. E infatti gli unici momenti di felicità del libro sono proprio qui. Nel tempo presente dell’infelicità.

Witold Gombrowicz Pornografia Universale Economica Feltrinelli di Anna Puricella Circa due anni fa sono entrata in una delle librerie storiche di Lecce, mi sono messa in coda ed ho aspettato con un po’ di impazienza il mio turno. Ero da poco tornata dal mio Erasmus in Polonia, e non vedevo l’ora di avere tra le mani quello che molti (anche Alias) avevano definito “il capolavoro della letteratura del Novecento”, opera di uno scrittore polacco. Mi sono quindi avvicinata alla proprietaria della libreria senza vergogna per quello che stavo per chiederle, anzi sicura di avere la sua approvazione per la mia scelta sofisticata. “Vorrei una copia di Pornografia di Gombrowicz”, ho detto a voce alta. Poi è successo tutto in un attimo: il suo sopracciglio destro si è sollevato, gli occhialetti sono scesi accusatori lungo il naso, lo sguardo ha oscillato tra l’indagatore e lo schifato. “Ma signorina, che libri legge?” Sono uscita dalla libreria indignata, pensando che per me pornografico è il solito polpettone di Natale di Boldi e De Sica che lei certo va a vedere, non un testo osannato dal mondo intero. Che poi è inconcepibile che una libraia non sia informata, questo è pornografico, ho pensato. Ho pazientato per circa un anno. Ogni tanto pensavo alla figuraccia rimediata in quella libreria. Pornografia non si trovava, è in ristampa, dicevano, ma dall’ultima ristampa erano passati quasi trent’anni, e io pensavo che questo era davvero pornografico. Poi ho visto il film, diretto da un regista

polacco e ignorato al Festival del Cinema di Venezia 2003, un vero capolavoro. Dove di pornografico, nel modo in cui comunemente si utilizza il termine, non c’è nulla. La pornografia, nel libro come nel film, è nei gesti, nello sfiorarsi degli sguardi, nella mente di due uomini di mezz’età che per fuggire dalla noia di un soggiorno in campagna costruiscono una realtà inesistente e conducono tutti gli altri abitanti della villa, in un continuo gioco di sospetti e presunte corrispondenze, ad accettare quella realtà come l’unica possibile. Il progetto dei due uomini sta nel far cadere in una trappola amorosa due adolescenti, Carlo ed Enrichetta, del tutto indifferenti l’uno all’altra. Ed è qui la pornografia, nella morbosità dei pensieri degli adulti, nella estrema bellezza della gioventù e nell’equazione, alla base del pensiero di Gombrowicz, Giovinezza = Inferiorità, Giovinezza = Bellezza, e quindi Bellezza = Inferiorità. Il lettore si ritrova così spesso incapace di capire se quello che legge avviene nel mondo reale o nei pensieri deviati dei due uomini. Quest’estate, finalmente, ho appreso con gioia che il libro era rientrato nel catalogo Feltrinelli, insieme alle altre opere dello stesso autore. E l’ho comprato. Ma non sono andata mica nella stessa libreria di due anni fa.

due figli, Satchin e Maya, ma nel cuore conserva i colori e i profumi della sua terra, la magia delle spezie e delle tradizioni millenarie. I suoi bambini, invece, affascinati dalle novità del mondo occidentale, dagli hamburger di McDonald’s e dalla televisione, desiderano solo integrarsi nella nuova, eccitante realtà londinese. Neil Strauss The Game Canongate Ma è proprio vero che “la regola dell’amico non sbaglia mai”? GQ lo venera come un credente la Bibbia, il Sunday Times lo considera come la solita serie di luoghi comuni che mette in guardia le donne dall’evitare certi uomini, più che di cadergli tra le braccia. Si piazza comunque al secondo posto della classifica di vendite dopo solo quindici giorni dall’uscita, The Game, il libro che promette un cambiamento radicale nella vita dell’uomo medio, o meglio dello sfigato che non acchiappa mai. Parola dell’autore (noto anche con l’originalissimo alter-ego di Style), giornalista al seguito di band come i Motley Crue e Marylin Manson e, per sua stessa ammissione, poco attraente, calvo e anche abbastanza basso. Eppure… Eppure la sua vita è cambiata quando gli è stata commissionata un’indagine al seguito del cosiddetti “pickup artists” (o “esperti nell’arte del cuccare”), una comunità operante soprattutto sul Web, che col passare del tempo ha elaborato delle dettagliate teorie (spesso frutto di dura, sudata pratica) fino a scoprire la giusta “combinazione per schiudere il cuore – e le gambe – di qualsiasi donna”. Seguendo i suggerimenti di Mystery, Rick H, David D’Angelo e numerosi altri maestri dell’amore, mandando a memoria i loro precetti ed applicandoli in ogni occasione, Strauss si è trasformato in uno degli uomini più desiderati del momento. Perché, a quanto pare, una donna non bada all’incipiente calvizie quando le ci si avvicina con un certo savoir-faire, facendole capire di desiderarla, ma allo stesso tempo di avere tutte le qualità per farsi desiderare. “Due passi avanti ed uno indietro”, è quello che fondamentalmente Style pensa ogni volta che si avvicina al bancone di un bar di Los Angeles per beccare il fatidico momento in cui una supermodella ha appena consumato il suo drink e alza gli occhi dal bicchiere per volgerli attorno a sé. La verità è che, capelli a parte, Strauss resta comunque un uomo attraente. Sfido io un laido


Coolibrì sessantenne soprappeso, magari con la forfora ed i peli che fuoriescono dalle orecchie a comportarsi allo stesso modo e garantire di aver ottenuto lo stesso risultato. Mordecai Richler La versione di Barney Adelphi di Massimo La Fronza “Non so raccontare una storia senza distorcerla. Per dirla tutta, sono un contaballe nato. Ma del resto cos’altro è uno scrittore, anche se alle prime armi come me?”. Evitando di raccontare l’irracontabile, mi limiterò a fornire tracce appena visibili tra macchie di Macallan e ceneri di Montecristo n°4. La divagante storia della ‘vita dissipata’ di Barney Panofsky mette in imbarazzo l’esistenza di chiunque ne entri in contatto, lasciandogli attorno una pregnante sensazione di smemoratezza. Impossibile, parlando di questo libro, non abbandonarsi al gusto della digressione. George Withman, personaggio molto più che secondario, per esempio, è ancora oggi a Parigi nella sua libreria, di fronte Notre Dame, ‘Shakespeare & Co.’ (per due ore di lavoro al giorno potete anche dormirci dentro). Alla fine del libro ci si arriva con due certezze e un dubbio. La prima certezza è che Panofsky abbia scritto una lettera anche per me nella quale il sedicente Presidente della Fondazione Autori Ebrei che Subiscono Recensioni da Giovani Illetterati ringrazia per l’interesse e chiede un contributo di sostentamento per scrittori canadesi sconosciuti che vogliono restare tali. La seconda certezza è che alle Olimpiadi Invernali di Torino 2006 farò il tifo per Jose Theodore, Sheldon Souray e Michael Ryder, i tre giocatori di hockey dei Montreal Canadiens che militano nella nazionale canadese. Il dubbio: “Com’è che si chiama quell’arnese per versare la minestra?” Andrea Bocconi La tartaruga di Gauguin Guanda – 2005 Il tema dei viaggi continua ad essere al centro della narrazione di Andrea Bocconi. Dopo il successo di Viaggiare e non partire e Il giro del mondo in aspettativa lo scrittore e psicoterapeuta toscano torna con un volume di racconti. La tartaruga di Gauguin è una raccolta di storie ambientate tra est e ovest, tra Italia e resto del mondo. Guardando gambe, che ci consegna un punto di vista molto particolare, quello di un uomo menomato e costretto a guardare tutti dal basso, apre il sipario su una serie di personaggi a dir poco singolari: un gangster

25 Guglielmo Pispisa Città perfetta Einaudi di Rossano Astremo

Guglielmo Pispisa, uno dei membri dell’ensamble narrativo Kai Zen, non è nuovo alla fantascienza sui generis. Già nel suo esordio, Multiplo (Corso Bacchilega Editore) esplorava questo terreno letterario eterodosso e ricco di opportunità in un iperbolico crescendo di situazioni surreali. Una piccola azienda di software viene venduta alla Morgan Holding, enorme corporation. Il gruppo di amici che formano la Simpliciter crede di poter portare dentro la Morgan le proprie idee. E la Morgan deve riuscire a vendere al pubblico il suo più grande investimento, non solo immobiliare: la mirabolante Città Perfetta. Una trama fitta e avventurosa, sullo sfondo di scenari che riguardano tutti: la rivoluzione che diventa conformismo, il lavoro come creatività o schiavitù, la sfida perenne della ribellione individuale. I protagonisti sono dei nerds, vagamente disadattati, che si ritrovano a fronteggiare una realtà molto più grossa di loro. In un mondo in cui la rivoluzione non è altro che marketing e prodotto l’unica forma di dissenso possibile è quella dell’uomo in rivolta. Non si tratta di ideologie o prese di posizione politico sociali ma di qualcosa di molto più profondo, quel tipo di rivolta che ha a che fare con l’essenza stessa dell’individuo, che a che fare con la dignità di fronte all’assurdo.

Paolo Di Stefano Aiutami tu Feltrinelli di Giancarlo Greco Quella di Pietro è un’adolescenza torbida, carica di quel senso di assoluto che distorce e ingigantisce ogni cosa: avvenimenti, emozioni, sentimenti, sogni, delusioni. I suoi affetti familiari sono devastati dalla separazione dei genitori, occupati più a star dietro alle loro proprie infelicità che alla vita dei figli. Così la quotidiana esistenza di Pietro, tredicenne primo della classe perennemente preso in giro dai compagni, non trova altro sfogo se non la scrittura: centosessantaquattro lettere indirizzate a Marianna, una donna adulta che conosce appena ma che elegge a suo unico interlocutore. Ma Marianna non risponde mai alle sue lettere; sfugge a Pietro come al lettore fino a scomparire, a diventare mero pretesto per continuare a scrivere. Questa è la realtà come appare dagli occhi di un adolescente: fate e demoni, paure e speranze come in una fiaba moderna. E questo è Aiutami tu, ultimo bel romanzo di Paolo di Stefano, scrittore e giornalista del Corriere. Un romanzo originale e felice nello stile, che diviene notevole nel modo con cui l’autore riesce a dar voce al soffocato grido di dolore di Pietro costruendo un linguaggio verosimile a cui viene affidato totalmente il compito di tratteggiare la psicologia del protagonista, la sua sorprendente maturità, la sua inettitudine, le sue comprensibili e tenere ingenuità.

Massimo Carlotto, Marco Videtta Nordest Edizioni E/O

Questa volta di nero più che la storia c’è l’ambientazione. Un Nordest che non la scia spazio alla speranza. Che brucia tutto, dai rapporti familiari, alla morale, ai rifiuti tossici. Una illegalità diffusa che non ha nulla da invidiare alle illegalità più tristemente famose come la mafia o la camorra. Un’insaziabile voglia di arricchimento che non si ferma di fronte a nulla e nessuno. Questo è il ritratto, severo, del Nordest italiano che viene fuori dall’ultima fatica letteraria di Massimo Carlotto. Nordest scritto a quattro mani con Marco Videtta, pubblicato da E/O, come gli altri romanzi di Carlotto, non è solo la storia di un delitto. È la storia di una generazione, quella degli imprenditori veneti che negli ultimi anni hanno creato quel cosiddetto miracolo economico del Nordest che gli autori ci mostrano costruito sulla corruzione, la truffa, la collusione con la malavita e reati anche peggiori. Per raccontare questa vicenda viene scelta la forma della saga familiare. Tutto ruota attorno alle tre grandi famiglie di un piccolo paese del Veneto, alle fortune alterne e agli imperi da queste costruiti, agli illeciti mascherati da tutela dell’ambiente e da politiche filantropiche, il tutto condite con le solite, piccole e meschine, storie di corna, sesso e invidia che non guastano mai.

Vincenzo Cerami L’incontro Mondadori

di Fulvio Totaro

C’è un professore, stanco dei suoi allievi e colleghi, che sparisce dalla circolazione. C’è una crittografia, un gioco bizzarro pubblicato su una rivista di enigmistica, che forse è l’unica traccia per trovare l’accademico. C’è Lud un giovane universitario che, solo per il gusto del gioco, prova a risolvere l’indovinello. Ma chi è il vero protagonista dell’ultimo libro Vincenzo Cerami? Chi troverà cosa alla fine del romanzo? Mentre cresce la tensione per un incontro sempre incerto e rimandato ogni volta al capitolo successivo, il giovane Lud, alle prese con il suo rompicapo, non può non confrontare la fredda bidimensionalità dell’enigmistica con la durezza, a volte l’indecenza dell’esistenza vera. Attraverso una crittografia Lud conosce per la prima volta, alcuni frammenti dolorosi della storia d’Italia e due figure importanti nella storia personale e professionale dell’autore: Attilio Bertolucci e Pier Paolo Pasolini. I percorsi previsti dal gioco, scoprirà presto Lud, non sono pura geometria, ma una serie di tappe dentro un’idea della vita. Così, attraverso l’enigmistica che è insieme fredda e leggera, Lud brucia le tappe del suo percorso di formazione e trova significati nuovi della non-storia d’amore che accompagna la sua ricerca.

di professione in un hotel di Singapore, un bambino poco loquace le cui prime parole sono “frigorifero, assimatico, penalty, culo e fax”, un Maestro nepalese che sta per lasciare l’ultimo dei suoi corpi, un pazzo che a Bali cammina per i campi di riso alla ricerca di sacchetti di plastica con cui fare aquiloni, uno strano elfo che compare sulle spiagge della Turchia, un “presunto” Dio che lascia in giro appunti. La raccolta si chiude con il racconto che dà il titolo e che narra la storia della “fuga” di un professore di storia dell’arte dal suo matrimonio preannunciato e si mette sulle tracce dell’amato Gauguin in Polinesia. Infine si torna in Italia a Forte dei Marmi, invasa dai turisti (Pedroso). Francesco Niccolini Racconti Civili, d’amore e di guerra Manni – 2005 Dalla Via crucis laica contro l’attentato agli Uffizi al Porto di Marghera infestato da Montedison ed Enichem di Tutto in una bottiglia, dal ricordo di Pierpaolo Pasolini di Sogni dismessi ad un omaggio a Franco Martone, una vittima della mafia meno nota, in Uomo morto che cammina: in Racconti Civili, d’amore e di guerra Francesco Nicolini ci delinea un brutto pezzo d’Italia, forse quello meno nobile. L’autore è noto al grande pubblico per aver collaborato con Marco Paolini all’adattamento televisivo dello spettacolo Vajont 9 ottobre ’63 che sconvolse gli italiani nell’anniversario della tragedia che costò la vita a migliaia di abitanti dei paesi vicini alla diga. Sempre con l’attore veneto ha scritto Il milione, Appunti foresti, Parlamento chimico (tutti per la trasmissione Report) e il libro Teatro Civico. Completano l’opera L’ombra della Torre e Il Segreto del barbiere. Come si legge nella quarta di copertina: “Storie di uomini e di città. Uomini che quelle storie hanno vissuto, provocato o subito. Citta’ che di quelle storie sono state trama e sfondo, spesso silenzioso, sofferente, per poi diventare fantasmi di se stesse, dismesse, stravolte: Bagnoli, Porto Marghera, Babilonia, Firenze, Foggia”. Un libro che ti fa incazzare e ti fa maledire di vivere in Italia (Scipione). Florent Latrive Sul buon uso della pirateria DeriveApprodi di Giancarlo Bruno Vi siete mai chiesti cosa sarebbe successo se Pitagora avesse brevettato il suo famoso teorema? Vi siete mai chiesti come potrebbe crescere economicamente e


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culturalmente un continente come l’Africa se i brevetti sui farmaci contro l’Aids fossero, almeno in parte, sbloccati e i medicinali fossero venduti a prezzi più bassi? Il libro di Floret Latrive racconta l’universo dei copyrights (dalla medicina alla musica, dal teatro al cinema), la privatizzazione selvaggia delle idee e i veri e propri furti a danno delle tradizioni popolari e di noi tutti; il capitalismo, secondo l’autore “si è precipitato verso una nuova frontiera: la conquista dell’intangibile, l’appropriazione dell’impalpabile”. Il libro scorre via liscio e rende l’idea degli argomenti trattati senza la necessità di particolari conoscenze informatiche o giuridiche e si spinge oltre la semplice descrizione dei fatti, cercando di scavare in fondo alle cause che generano “battaglie” combattute a colpi di avvocati. Il campo più battuto da Latrive è quello del file sharing su internet; tanti spunti sui quali riflettere, tanti quesiti ai quali cercare di rispondere, ma non molte soluzioni concrete da parte dell’autore, che forse confida troppo nella buona fede e nei puri principi dei downloader e lascia un po’ troppo spesso “soli” e a tasche vuote gli autori delle opere che, non potendo contare su un aiuto concreto da parte delle istituzioni, costruiscono la propria carriera con i guadagni derivanti dalle vendite. AA.VV. Il volo del calabrone Giulio Perrone Editore È da poco uscito Il volo del calabrone, antologia di poesia contemporanea curata da “Gli Ammutinati” per i tipi della Giulio Perrone Editore di Roma. Presenti nel volume i seguenti autori:

I dolori del giovane Paz! Coniglio editore

Chi è Andrea Pazienza? Il genio della matita e del pennello? Il tossico sempre alla ricerca di una dose per sentirsi meglio? L’amico che tutti avrebbero voluto? L’uomo emotivo fantasioso che era sempre pronto a farti ridere fuggendo via subito dopo? L’unico fumettista che poteva permettersi di chiedere un assegno prima di poggiare la matita sul foglio? Andrea Pazienza è tutto questo e molto molto di più! A differenza di molti autori che nascono e muoiono col fumetto, Pazienza è un continuatore della grande tradizione pittorica europea. Dietro di lui c’è il nostro Rinascimento, ma anche la Pop-Art e Disney. Paz era un confusionario che impastava tutto e lo rovesciava sulla carta con l’occhio del narratore. È uno degli autori di fumetti più conosciuti e amati, sono in molti a millantare una stretta amicizia con l’illustratore dello smarrimento di una generazione, quella del ‘77, persa tra la guerriglia e l’eroina. Questo libro raccoglie le dichiarazioni di una serie di persone che lo hanno conosciuto bene; Jacopo Fo, Filippo Scozzari, Claudio Lolli, Vincenzo Sparagna, Bifo, Roberto Vecchioni, Marina Comandini e tanti altri personaggi che raccontano la loro verità sul grande Paz. Verità a volte scomode, sbronze comuni in improbabili Jean-Bernard Pouy Spinoza Incula Hegel Castelvecchi

Un testo completato nel 1979 e pubblicato per la prima volta in Francia nel 1983 dietro la spinta di Daniel Pennac ed altri giovani intellettuali parigini. Contemporaneo all’uscita nelle sale di Mad Max, accusato ingiustamente di plagio, immutato nel linguaggio come afferma lo stesso autore nella prefazione all’edizione italiana, Spinoza Incula Hegel rappresenta un ottimo romanzo da leggere tutto d’un fiato. Attuale e dissacrante, colmo di richiami a nomi illustri della letteratura, descrive il pensiero filosofico come una guerra tra bande ben schierate. Sulle ombre del Maggio ‘68, come nel migliore filone cinematografico cyber-punk, si affrontano, su moto di grossa cilindrata per le strade di una Parigi futura, zombie neo-punk, gang cripto-staliniste e numerosi paladini della filosofia pronti ad uccidere per difendere la propria scuola filosofica degli Spinoziani e degli Hegeliani. Efferata e beffarda satira del mondo culturale francese, grido di speranza e di vitalità gettato come un sasso contro le barricate dell’intellighenzia, questo romanzo di guerriglia metropolitana da anni è un cult puro della gauche francese.

osterie, scopate svogliate per riempire il tempo, b u c h i stupefacenti su arti esili come matite, amore, amicizia, sogni e realtà che in alcuni casi si uniscono. Dalle parole di Marina Comandini sposa di Pazienza leggiamo “...Per me, da sempre, il capolavoro di Andrea è Pompeo, è il racconto universale di un disagio esistenziale, in particolare quello dell’artista. Il fatto che si parli di eroina è marginale, lui non ci ha scritto la sua morte, parlava anzi della sua vita.” Marginale ma importante, è giusto parlare dell’eroina, perchè è una tragedia personale che non può essere scissa dall’uomo, non c’era un Jekyll e un Hide, ma un’unica vita vissuta intensissimamente. Andrea diceva che i fumetti potevano arrivare a tutti e che invece i quadri finivano nei salotti dei farmacisti. Se Paz vedesse quello che i critici e gli editori stanno facendo adesso con le sue opere cosa farebbe secondo voi? Dall’eroina si esce, dalla mediocrità no.

Marco Gigliotti Sexy Kids Dario erotico degli adolescenti italiani Castelvecchi Un libro che nessun genitore vorrebbe vedere sul comodino del proprio figlio o figlia, un viaggio attraverso l’intimità e l’erotismo adolescenziale, non una guida alla scoperta della libido bensì l’esperienza raccontata della normale evoluzione dei corpi e delle menti. Da Torino a Vignacastrisi alle prese con la tanto sofferta verginità, con i centimetri che non sono quelli giusti, con le defaiance da condom e con lo schifo della saliva del proprio partner. Alla sua prima esperienza editoriale, il giovanissimo autore, racchiude sotto forma di intervista aperta, le storie vere di venticinque teen-ager italiani. Utilizzando come filo conduttore il sesso, scivola negli aspetti più disparati del mondo degli adolescenti, da una testimonianza all’altra si viene sballottati in giro per l’Italia, tra paesini e città, tra spiagge e montagne, al seguito di ragazzi e ragazze che si arrabattano in tutti i modi per raggiungere i loro obiettivi, per vincere le loro paure, per esternare la voglia di affetto e comprensione. Alla ricerca di un qualcosa che sia vero e vitale: più vero di un videogioco, di un sms, di internet.

Dome Bulfaro, Matteo Danieli, Florinda Fusco, Luigi Nacci, Luciano Pagano, Furio Pillan, Christian Sinicco, Sara Ventroni. La postfazione del volume è scritta da Gabriele Frasca, la copertina è di Ugo Pierri. La presentazione ufficiale è prevista a Trieste per la prima settimana di dicembre, seguiranno le altre presentazioni in tutta Italia. Vertigine 6 – Politicamente Scorretto Periodico di scrittura e critica letteraria Politicamente Scorretto offre il suo punto di vista sull’Italia d’oggi, e non solo, e lo fa raccogliendo l’intervento di dodici autori, Giordano Meacci, Luciano Pagano, Flavio Santi, Gianluca Morozzi, Laura Pugno, Cristiano de Majo, Elisabetta Liguori, Andrea Inglese, Sergio Rotino, Davide Bregola, Elio Paoloni, Gianluca Gigliozzi. All’interno testi in grado di proiettare il naso al di fuori del proprio condominio di riferimento, testi in grado di “aggredire” il reale, di smascherarlo attraverso procedure formali differenti. Personaggi reali che dominano il nostro immaginario collettivo, come il Presidente del Consiglio, Benedetto XVI, Bob Dylan, Saddam Hussein, si mescolano a trame fittizie dando vita a reality show impensabili, omicidi utopistici, crisi familiari irreversibili. Per tutte le informazioni visitare il blog http://vertigine. clarence.com o scrivere a rossanoastremo@libero.it. Pierfrancesco Majorino Dopo i lampi vengono gli abeti peQuod di Rossano Astremo Pierfrancesco Majorino è il giovane segretario dei Ds milanesi. Con Dopo i lampi vengono gli abeti dà vita ad un esordio narrativo davvero notevole. Il nucleo centrale della narrazione è determinato dalla confessione che il detenuto Riccardo Filippucci, detto Jason, fa alla psicologa Pinardi prima del suo ennesimo processo d’accusa, dal quale emerge la mente di un uomo costretto a scavare nei meandri della propria memoria in un estenuante corpo a corpo tra i ricordi immersi nella coscienza. C’è un’unica via d’uscita: la morte imposta a chi non riesce più a trovare le fila di un’anima persa alla ricerca di una verità inesistente. Un libro che senza ombra di cinismo o facile ironia apre riflessioni sulla stratificazioni dei sentimenti umani e sulla deriva esistenziale di una generazione in crisi d’identità, vissuta dal protagonista rinchiuso in prigione in attesa di un processo per omicidio. Nel silenzio della cella ripensa


Coolibrì al passato, all’infanzia, all’adolescenza, a emozioni, scelte, amori e rimpianti di tutta una vita. Nonostante l´introspezione psicologica, però, Majorino non perde mai di vista la realtà. E attraverso l´esperienza individuale, s´interroga sui cambiamenti sociali degli ultimi decenni, sulla memoria condivisa dei trentenni, sui propri legami e sulle radici culturali. Antonio Moresco Zio Demostene. Vita di randagi Effigie di Rossano Astremo Lo zio Demostene, ritratto in copertina, disertore, comunista ed esule, con il suo volto scarnificato e tipizzato da un paio di baffi lucidi e ben leccati lungo l’estremità, assomiglia tremendamente al nipote scrittore, a quell’Antonio Moresco che ha violentato a tal punto la nostra immacolata prosa, che essa non potrà più rifarsi una verginità. In quest’ultima fatica letteraria di Antonio Moresco, Zio Demostene. Vita di randagi, edita da Effigie, si passano in rassegna le esistenze ai margini dei familiari più vicini allo scrittore mantovano. Non si rievoca e ricostruisce, quindi, solamente la vita dello zio Demostene, ma anche quella del nonno Antonio, autodidatta esaltato, del padre militare, reduce dalla guerra d’Africa e da un campo di prigionia in India, della madre, ragazza affamata in cerca di un posto da servetta, che bussa alla porta di una villa di nobili presso i quali resterà per tutta la vita, del cugino Ferdinando, abbandonato dalla madre naturale di fronte alla porta dei nonni ed emigrato in Brasile, e di altre vicende familiari accomunate da un destino di randagismo e di diaspora. Con questa rievocazione di un’epoca che non è più, Moresco aggiunge un ulteriore tassello alla costruzione della sua personale ricerca sul tempo narrato. Jack London Pronto soccorso per scrittori esordienti Minimum fax “Leggi il meglio, e soltanto il meglio. Non finire un racconto solo perché lo hai cominciato. Ricorda che sei uno scrittore, per prima cosa, per ultima cosa e per sempre”. È solo uno dei consigli contenuto nel Pronto soccorso per scrittori esordienti di Jack London uscito nella collana Filigrana di Minimum fax che ha già ospitato analoghi volumi di Checov, Miller, Carter, La Capria, La Porta. Il volume raccoglie una selezione di lettere, articoli apparsi su riviste e brani tratti da romanzi

27 John Dos Passos Davanti alla sedia elettrica Edizioni Spartaco di Dario Goffredo Here’s to you Nicola and Bart Rest forever here in our hearts The last and final moment is yours That agony is your triumph! (Joan Baez/Ennio Morricone) Le parole in corsivo sono il testo di una celebre canzone di Joan Baez ed Ennio Morricone, dedicata a Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. La storia di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti è una di quelle Storie che tutti, universalmente, conoscono, e che molti, come chi scrive, si portano stretta nel cuore e nel cervello. Una di quelle storie che quando la conosci, ti segna a lungo, indelebile, come il simbolo che i due amici italiani rappresentano. I due anarchici italiani (immortalati per il grande schermo dall’indimenticato Gian Maria Volontè e da Riccardo Cucciolla nel film del 1971 diretto da Giuliano Montaldo e di cui ora Mediaset sta mandando in onda un remake in forma di sceneggiato tv), furono uccisi dal governo americano la notte tra il 22 e il 23 agosto 1927, in quanto accusati di terrorismo. Si trattava in realtà di una vera e propria crociata contro il pericolo comunista e anarchico rappresentato dagli immigrati e dal nascituro movimento operaio. Nel 1921 si costituì il Comitato SaccoVanzetti per la difesa dei due anarchici italiani e la mobilitazione coinvolse tutto il mondo democratico, non solo gli intellettuali e i militanti radicali, ma anche uomini dalle idee moderate. John Dos Passos, dopo aver ricostruito Franco Limardi Anche una sola lacrima Marsilio Black di Daniele Lala Un bel libro che si legge tutto d’un fiato. La storia si snoda con l’inesorabile progressione di un meccanismo che, una volta messo in moto, procede implacabile fino a stritolare nei suoi ingranaggi gli stessi che l’hanno azionato. In primis il protagonista, Lorenzo Madralta; nascosto dietro una coltre di fredda indifferenza verso tutto e tutti, e di efficienza con cui espleta il suo lavoro (capo della sicurezza di un supermercato di una cittadina di provincia) c’è il bisogno disperato di un mondo migliore, sotto altri cieli dove si stendono mari più azzurri e spiagge più bianche. Ci si accorge così che dietro tanto cinismo c’è un sognatore che non sopporta più una realtà divenuta asfissiante. Nell’illusione di poter raggiungere quei mari e quelle spiagge, spinto dalla giovane donna che poterebbe essere il suo amore tanto atteso, si lascia coinvolgere in piano criminoso che dovrebbe concludersi senza imprevisti e senza sangue. Ma qualcosa sembra andare storto…. sembra… e subito la vicenda acquista violenza e gli eventi tendono verso l’inevitabile rovina dei coinvolti, con imprevedibili colpi di scena e fino all’inaspettata conclusione, resa ancor più triste dal tono sofferente con cui l’io narrante racconta la vicenda.

le vicende processuali, aver smontato i capi di accusa e aver raccontato il suo incontro con i due uomini in carcere, rilanciava l’appello per salvarli. Accusava i giudici di essersi mossi in un clima di furore ideologico talmente cieco da identificare la giustizia con la difesa a oltranza, anche per mezzo di prove false, delle istituzioni e della stessa “americanità” contro “i rossi”, “i fannulloni” (ovvero coloro che scioperavano per conquistare diritti), “gli stranieri”. La mistificazione era tanto evidente che se il movimento di un’opinione pubblica libera da pregiudizi fosse stato sconfitto, se quei due uomini venivano davvero uccisi, la colpa sarebbe ricaduta su tutti: nessuno avrebbe potuto giustificare il proprio silenzio dicendo di non aver saputo. Questo libretto è la traduzione, per la prima volta in italiano, del suo pamphlet Facing the chair del 1926, raccolta degli articoli pubblicati da Dos Passos in quegli anni apparsi sulla rivista radical New Masses. Un libro, amaro duro e lucido, che rispecchia perfettamente l’atmosfera di quel periodo e celebra in maniera del tutto dovuta uno dei miti immortali del secolo scorso. Her’s to you Nicola and Bart.GG

AA.VV. Salentu - Agenda 2006 Manni

Scandire i giorni al ritmo del racconto. Ritrovare di domenica in domenica la prosecuzione di una storia che inizia e finisce nello stesso mese. L’agenda Salentu della Manni torna in libreria nel 2006 per il secondo anno consecutivo con la formula tipica dei diari/agenda corredati da testi, barzellette, massime della saggezza popolare. Qui lo scritto è rappresentato da racconti sul Salento che delineano una terra piena di ricchezze e di contraddizioni, seria e ironica, austera e divertita. Il Salento viene raccontato attraverso le storie inedite di dodici autori dell’aria salentina nel senso più ampio del termine. Provengono da Lecce, Brindisi e Taranto gli scrittori, attori e giornalisti che si sono cimentati nei brevi componimenti (le domeniche sono solo quattro o cinque al mese): Marta Ampolo, Cosimo Argentina, Renata Asquer, Ippolito Chiarello, Rosalba Conserva, Azzurra De Razza, Antonio Errico, Francesco Lanzo, Elisabeta Liguori, Maddalena Mongiò, Elio Paoloni, Antonio Prete. La novità di quest’anno è rappresentata dalla cartonatura della copertina rossa (che ospita il geco), dal laccetto di seta come segnalibro e dall’aspetto grafico più essenziale. (P.L.)

dai quali emerge un prontuario nel quale London sintetizza la difficile arte di scrivere, pubblicare e guadagnarsi da vivere scrivendo. London (18761916) è una delle figure più singolari della letteratura americana del primo Novecento, ed è autore di numerosi romanzi come Il richiamo della foresta (1903), Zanna Bianca (1906), Il tallone di ferro (1908) e Martin Eden (1909). Francesca Celi Alice chi? Bevivino Apro la prima pagina e per un attimo penso ad una parodia di Jovanotti, il motivetto che ha rimbombato (sob!) per un’intera estate nella mia testa. Superato il primo momento di stordimento e dopo essermi convinta di non soffrire di manie di persecuzione comincio a chiedermi il perché di un libro simile. Provo a spiegarmi: scrittura gradevole e ironica, a tratti accattivante, con strizzata d’occhio a vari clichè generazionali, che purtroppo ultimamente sono un po’ abusati, sul filone Bridget Jones. Aliche chi?, romanzo di esordio della ventottenne Francesca Celi, racconta la storia di Alice, copywriter in cerca di lavoro in una Bologna studentesca. Libro perfetto da portare in spiaggia tra una chiacchiera sulla Lecciso ed un torneo di Sudoko, mi rammarico solo di averlo letto mentre già iniziavano a cedere le prime foglie. (Silvia Visconti) Vincenzo Camerino Nelle utopie del Sud e del cinema Icaro Che cosa è il cinema del Sud, ammesso che esista, e quali sarebbero le sue prerogative ed eventualmente le sue prospettive? A questa e ad altre domande tenta di dare una risposta il nuovo libro di Vincenzo Camerino, docente presso l’Unviersità di Lecce, che grazie ad una prosa ricca di spunti e riflessioni analizza con lucidità un cinema sempre sul punto di esplodere, ma che nutre un bisogno primario di comprendere prima le radici dal quale nasce, in uno scenario saturo di contraddizioni e di speranze. Durante un percorso interessante e avventuroso, Camerino passa da Marx a Winspeare, senza dimenticare politica e imprese, vero volano di un possibile movimento. Fra le righe la costante ricerca di una critica aspra ed assieme affettuosa e propositiva ad una terra che sembra amare profondamente. Con l’augurio che fare cinema al sud non sia più, come recita il titolo, soltanto un’utopia. (Michele Pierri)


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Fernandel via Col di Lana, 23 48100 Ravenna Tel./Fax 0544 401290 Redazione Giorgio Pozzi Direttore editoriale Elena Battista Ufficio stampa Elisa de Portu Segreteria di Redazione Collane La rivista Un trimestrale nato nel 1994 che ospita racconti, recensioni e interviste nell’ambito della narrativa italiana. Fernandel

La collana della casa editrice dedicata alla narrativa. Illustorie. Racconti a fumetti

Curata dall’illustratore Gianluca Costantini, non solo comunica con le parole, ma anche con le immagini. I libri di “Illustorie” sono luoghi in cui si intrecciano illustrazione e scrittura, in cui segno grafico e parola si fondono per raccontare il tempo in cui viviamo. Laboratorio Fernandel

Uno spazio in cui i temi della scrittura e della lettura vengono approfonditi attraverso progetti legati al territorio e alla sperimentazione narrativa. Per esempio i libri di Giulio mozzi dedicati alla didattica: Lezioni di scrittura (2001) e Parole private dette in pubblico (2002).

LA PASSIONE DI SCOPRIRE NUOVI AUTORI Paolo Nori, Gianluca Morozzi, Grazia Verasani, Piersandro Pallavicini sono solo alcuni degli scrittori partiti dalla scuderia Fernandel e approdati in case editrici più grandi e blasonate. La casa editrice di Ravenna, fondata dieci anni fa da Giorgio Pozzi, ha maturato una grande esperienza nel campo della narrativa italiana diventando in pochi anni un punto di riferimento soprattutto per gli scrittori più giovani. Non si tratta, per quel poco che ho conosciuto gli usi e i costumi di Pozzi e di Elena “La redazione” Battista, di una casualità. Molti giovani autori sanno che a Fernandel i libri vengono letti, discussi e che la pubblicazione giunge solo per reali meriti letterari. “Non credo che il sogno di un piccolo editore sia quello di porsi come editore di servizio nei confronti della grande industria; non è il mio sogno, almeno”, sottolinea il direttore editoriale. “Non lavoro a Fernandel semplicemente per fare scouting nei confronti dei grandi gruppi: in realtà è capitato che il nostro lavoro si incrociasse con l’attività di altri editori più importanti, e questo indubbiamente porta un prestigio dovuto ai numeri che i grandi editori possono produrre. D’altra parte mi fa molto piacere quando autori che hanno esordito con Fernandel hanno poi l’occasione di pubblicare con editori più importanti. Mi fa piacere per loro, perché hanno fra le mani un’opportunità davvero importante, in grado di dar loro una visibilità che è fuori dalla mia portata”. Gianluca Morozzi, ad esempio, dopo l’esordio fernandelliano ha iniziato una vita da “bigamo”. La sua prolificità letteraria consente la pubblicazione contemporanea di romanzi per Guanda e per Fernandel. La poliedrica Grazia Verasani (attrice, cantante, scrittrice) dopo L’amore è un bar sempre aperto, Fuck me mon amour e Tracce del tuo passaggio nel 2004 ha pubblicato per Mondadori Quo vadis baby che è diventato anche un film diretto da Gabriele Salvatores. Paolo Nori dopo Le cose non sono le cose è approdato in casa Einaudi prima e Feltrinelli poi, mentre Piersandro Pallavicini, redattore della rivista Fernandel, pubblica con Feltrinelli. Scrittori che partono, scrittori che

arrivano il cantiere Fernandel è sempre in movimento. Il catalogo Fernandel annovera una settantina di titoli e nel 2005 è partita una nuova collana di romanzi illustrati dal titolo “Illustorie. Racconti a fumetti”, che non solo comunica con le parole, ma anche con le immagini. Curata dall’illustratore Gianluca Costantini, la collana prevede come novità, per i primi mesi del 2006, i diari a fumetti dell’americano James Kochalka (Sketchbook Diaries n.1) e il romanzo di Pablo Echaurren Chiamatemi Pablo Ramone, dedicato al gruppo rock dei Ramones. Coolclub.it ha deciso di avviare questa rubrica dedicata alle piccole case editrici perché le ritiene laboratori per nuove scritture sebbene corrano molti rischi economici. “La situazione dell’editoria italiana in generale non è buona, almeno in questo momento, non si respira una bella atmosfera, si ha paura di fare passi azzardati. Credo però che, rispetto alla grande editoria, il vantaggio di essere un piccolo editore consiste soprattutto nella libertà di scelta, almeno da un punto di vista operativo. Si è molto più liberi quando il “mercato” non è una catena così soffocante, come avviene nell’industria: si possono inseguire degli obiettivi che non hanno la necessità di essere immediatamente monetizzabili, di portare un guadagno certo e rapido. È per questo motivo che si può investire su scritture giovani o esordienti, su una storia o su un autore. È tutto sommato un atto di fiducia che testimonia la passione dell’editore nei confronti del proprio lavoro, anche se, come dicevo all’inizio, bisogna sempre continuare a confrontarsi con le esigenze reali, cioè con i soldi e con i numeri”. Nel corso del tempo la struttura della casa editrice si è arricchita di nuovi collaboratori, per far fronte al costante ampliamento dell’attività, potenziando la redazione e in particolare l’ufficio stampa che, oltre al classico lavoro con i giornalisti, si occupa anche con crescente successo dell’organizzazione di numerose presentazioni e reading in tutta Italia. Pierpaolo Lala

Gianluca Morozzi… pensieri sparsi su Fernandel

...il 30 novembre 2000 ho mandato il mio primo manoscritto a questo misterioso editore di Ravenna chiamato Fernandel. Il 30 dicembre mi ha telefonato un uomo dalla voce da doppiatore. Diceva di chiamarsi Giorgio Pozzi, di essere l’editore di Fernandel, e di voler pubblicare il mio libro. Il primo bacio, la prima volta, lo garantisco, non sono paragonabili a una telefonata del genere. Allora, siccome, c’era da sistemare il finale del romanzo, abbiamo deciso di vederci a Ravenna. “Vediamoci domani!” ho urlato, ormai completamente folle. “Domani è l’ultimo dell’anno”, mi ha detto lui. “Domani l’altro!” ho gridato. “È capodanno”, ha detto giustamente lui. Il 2 gennaio sono sceso dal treno a Ravenna. Quando ho visto Giorgio Pozzi col mio manoscritto sotto braccio, ho pensato che l’editore aveva mandato suo figlio. Alla mia primissima presentazione, a novembre, alla Feltrinelli di Bologna, ho conosciuto Elena. Che all’epoca era appena diventata la fidanzata di Giorgio e si era trasferita da Bari a Ravenna. Ora è la moglie di Giorgio, l’ufficio stampa e la redazione. Ora c’è una terza persona in Fernandel, alias Elisa detta Duracell per l’instancabile energia. La rivista è diventata molto più bella, sta per cambiare il distributore, e stiamo per andare a una nuova fiera di Roma... Come direbbero i Diaframma, Il futuro sorride a quelli come noi. I miei libri nuovi... L’era del porco (Guanda) è un romanzo ironico e romantico su tre modi per rovinarsi l’esistenza: pubblicare per un editore malato e psicopatico, suonare in una scalcinatissima band, innamorarsi di una donna dal nome incestuoso e impegnativo. Le avventure di zio Savoldi (in uscita a gennaio per Fernandel), scritto a quattro mani con Paolo Alberti, ultrà del Bologna, raccoglie una serie di racconti sulla passione per il Bologna, appunto.


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Anche una sola lacrima Nato a Roma nel 1959, Franco Limardi insegna Storia e Letteratura Italiana in un istituto superiore. Ha esordito con il noir L’età dall’acqua (DeriveApprodi, 2001), menzione speciale all’edizione 2000 del Premio Calvino. Nel 2005 è uscito nella collana ‘Black’ della Marsilio Anche una sola lacrima, il suo secondo romanzo. La tua opera prima è uscita nel 2001 per la casa editrice romana DeriveApprodi, come sei arrivato alla Marsilio e alla collana ‘Black’ curata da Jacopo De Michelis? Grazie alla preziosa opera della mia agente e alla sua fiducia nel mio lavoro. Il meccanismo narrativo di Anche una sola lacrima vive di dialoghi secchi, di descrizioni essenziali ma efficaci, privo insomma di barocchismi immaginifici. Difficile non chiamare in causa Jean-Patrick Manchette per la letteratura e Takeshi Kitano per il cinema, regista al quale tu per primo dichiari un debito d’ispirazione. Hai altri maestri eccellenti? Questi sono dei riferimenti molto lusinghieri. I maestri sono molti; da tantissimi autori ho da imparare cose che riguardano la costruzione di una struttura narrativa o di dialoghi veri, credibili, che riproducano la realtà della comunicazione. Devo citare nomi quasi scontati, Hammett, Chandler, Woolrich, ma anche Mishima, Durrenmatt, Céline e autori italiani che amo particolarmente come Pavese e Buzzati. Lorenzo Madralta, il protagonista del tuo libro, conduce un’esistenza solitaria all’interno di un microcosmo di “gente per bene”. È l’ex soldato che oggi si ritrova a fare il cane da guardia alla merce, ai soldi, ai sogni che gli altri possono realizzare, poi però succede qualcosa che lo mette in condizione di fare una scelta di campo radicale: per amore, non per avidità... Madralta ha scelto una vita “blindata”, al sicuro dai pericoli, dalle delusioni che l’esistenza ci riserva, in sostanza la sua scelta di “sicurezza” è quella di chi ha avuto grandi delusioni; non vuole più farsi illusioni per poi soffrire al loro disfacimento, ma non vive bene, non si ritrova nel mondo in cui si muove e quando gli si presenta l’occasione di vivere, forse per la prima volta, delle emozioni reali, allora è disposto a rischiare, a giocarsi il tutto per tutto. Madralta è un outsider romantico che riesce a mantenere uno sguardo lucido, ragionevole, quando la paranoia degli altri si spinge ad immaginare il personale addetto a sventare un banale taccheg-

Intervista a Franco Limardi di Nino G. D’Attis

gio pistola in pugno. Grottesco ma vero. Anzi: grottesco proprio perché mutuato da una realtà in cui molti auspicano un ritorno alle regole del vecchio West... Lorenzo non è né un giustiziere della notte, né un Rambo in sedicesimo. Conosce la violenza reale, l’ha vissuta e la vive, perchè anche una rissa da discoteca o bloccare un ladro, significa immergersi in un grado di essa. Così detesta chi auspica l’uso indiscriminato delle armi, ne ha paura, come chiunque sia consapevole del potere terribile che esse hanno. Tu alla fine salvi (non dirò come) l’idea dell’amore, del donarsi agli altri. E salvi anche, nel caso di Giovanni, chi riesce a riscattarsi da un passato ingombrante, dalle brutte storie che spingono alcuni oltre i limiti della legalità. Chiuso il libro, si prova la sensazione di aver letto un noir atipico proprio per via di questi tenui spiragli di luce... Questa tua impressione mi stupisce un po’; nel senso che nelle mie intenzioni invece, questa speranza, questi barlumi di luce non c’erano. I miei personaggi cercano solo di conquistarsi una dignità, una coerenza con se stessi. Però questo è il bello di un romanzo: quello che tu scrivi non è solo tuo, quando viene letto diventa opera anche del lettore, che mette in esso un apporto personale che lo trasforma, lo fa diventare altro; in qualche modo lo restituisce a chi lo ha scritto modificato, nuovo, come se, a mia volta mi trovassi davanti ad una nuova storia. Sono stanco di sentir parlare di “Via italiana al noir” o di “Tendenze del poliziesco italiano”. Per me esistono solo le storie che uno vuol raccontare, indipendentemente da ciò che tira sul mercato. Sei d’accordo? Sì, sono d’accordo. Io scrivo le storie che mi piacerebbe leggere o vedere al cinema; se queste sono storie noir...beh allora scrivo storie noir; nel senso che non so se le mie storie rispondano così esattamente ai canoni del genere, anche se sono perfettamente consapevole di aver usato dei topos narrativi che sono ormai quasi degli archetipi della letteratura “nera”. Non vorrei solo raccontare di rapine o uccisioni, ma usare queste situazioni per parlare di come vedo la realtà, augurandomi di riuscirci in modo decente. Sei già al lavoro su un’altra storia? Sì. È ancora una storia “nera”, perchè ho ancora voglia di raccontarmi una vicenda di questo tipo. È una storia corale stavolta, anche abbastanza complessa, tanto che so cosa succederà, come andrà a finire, ma adesso, in “media res” la storia ha acquistato una propria autonomia e io devo un po’ “disciplinarla”.

Intervista a Massimo Carlotto di Dario Goffredo

Dal 1994, anno del suo esordio letterario con l’autobiografico Il fuggiasco (nel quale raccontava la sua incredibile vicenda giudiziaria poi diventata anche un film), il padovano Massimo Carlotto ha inanellato una serie di romanzi di successo che lo hanno portato ad essere considerato uno dei migliori scrittori noir in Italia e in Europa. Celebre soprattutto la saga dell’Alligatore - La verità dell’Alligatore (1996), Il mistero di Mangiabarche (1997), Nessuna cortesia all’uscita (1999), Il corriere colombiano (2000), Il maestro di nodi (2002) – un ex cantante di blues, ex galeotto, una sorta di investigatore privato che ha sete di verità e giustizia. Nel 2004 pubblica L’oscura immensità della morte. È recente l’uscita per la casa editrice e/o di Nordest scritto a quattro mani con Marco Videtta. Ti consideri più uno scrittore di gialli o di noir? Gialli, nel senso più comune del termine, non ne ho mai scritti. Anche la serie dell’Alligatore che ha una struttura più vicina al poliziesco, ne usa i codici ma si discosta dal senso consolatorio e socialmente ricompositivo del genere. E qual è la differenza tra i due generi? Il poliziesco si basa sulla struttura crimine - indagine - soluzione con un finale consolatorio. Il noir sovverte questa struttura e non ha mai finali positivi. Sei sempre stato definito un autore “sociale”. Ti riconosci in questa definizione e perché? Sì, raccontare una storia criminale per me è una scusa per raccontare altro e cioè la realtà sociale, economica, storica che circondano la trama. Più che il sottoscritto è il genere ad avere una connotazione “sociale”. Per quanto mi riguarda sono uno scrittore politicamente schierato. Che posto hanno la vita reale e le vicende di cronaca nella costruzione delle tue storie? Le mie storie prendono sempre spunto da fatti realmente accaduti.

Sono uno scrittore politicamente schierato E trama e personaggi devono avere una forte dimensione di “verità”. Prima di scrivere ho sempre la necessità di investigare a fondo. Leggendo i tuoi libri si resta sempre con una sensazione amara di sconfitta, quasi di ineluttabilità delle cose. Sembra che i tuoi personaggi si trovino ad affrontare sfide che anche se superate portano con sé troppo dolore e troppe pene. Sei d’accordo con questa lettura? Nei miei romanzi è sempre la storia a “comandare”. E il realismo delle mie trame mi porta a descrivere certe situazioni e certi ambienti dove la spensieratezza non è di casa. Ormai in Italia siamo di fronte ad un vero e proprio boom del giallo e del noir. Credi che la qualità dell’offerta delle case editrici sia sempre di buona qualità, o c’è una rincorsa al genere di moda? Indubbiamente c’è una rincorsa al genere di moda e questo sta danneggiando il poliziesco italiano che inizia a vivere momenti di crisi. Editori e molti autori ritengono che sia sufficiente sfornare libri decenti. Credo sia un errore. Bisogna sempre chiedersi che cosa è importante raccontare. C’è uno scrittore italiano che consideri il tuo maestro? Due. Per la scrittura Luigi Pintor, per il poliziesco Loriano Macchiavelli. E uno straniero? Jean Claude Izzo. Ha ispirato il noir mediterraneo che per me è la nuova frontiera del genere. E tra gli scrittori della nuova generazione c’è qualcuno che consideri particolarmente valido e interessante? Ce ne sono molti. Mi piace molto Osvaldo Capararo. Né Padri, né figli è un gran bel romanzo.


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AI FILLOV Racconto di Jimi Kozik Jimi Kozik è nato ad Oldenburg, nel nord della Germania, da padre rumeno e madre senegalese. Vive in Italia dai primi anni Settanta e ha scritto poesie, saggi, racconti ispirati da una vita nomade che lo ha portato a cimentarsi coi mestieri più disparati (portiere di notte ad Amsterdam, barista ad Ibiza, attrezzista sul set di pellicole hard). Abita a Roma, in una casa occupata al Quarticciolo. Suona la tromba, è un fanatico delle arti marziali e fa colazione con bourbon e panpepato. Mi chiamo Tony Pertescia e a vedermi adesso stentereste a credere che una volta, con decenza parlando, anche solo sentire il mio nome vi avrebbe fatto pisciare sotto anca anca. Una volta ero l’angelo della morte al servizio di Cosa Nostra, il chirurgo dalla mano ferma incaricato di rimuovere tradimenti e fallimenti nei modi più fantasiosi, lo spazzino più apprezzato della penisola sorrentina. Tony naso rotto. Tony sopracciglia folte. Tony cappello marrone e cappotto cammello. Tony ‘o ‘ntrucchiato. Tony che a tredici anni sognava di friggere in olio d’oliva purissimo la patanella di Mamie Van Doren e a quattordici, per festeggiare il primo baccalà sciolto nell’acido, si fece la sorella e la mamma di Peppe Chiafèo (uomo ‘e sfaccimma) in una botta sola. Annetta e Gabriella, grandi maestre d’armi. Grandissimie zompaperete, ancora me lo ricordo come se fosse stato ieri. Una parola detta a Tony non era mai fessarìa ‘e cafè. Una parola di troppo trasformava la pioggia in grandine e i sorrisi in lacrime di sangue. Chiedetelo a Joe Benzola. Chiedete ai fratelli Massella, a Joe Martucci, a Roy Garret, a Tiffany Million o a chi cazzo vi pare. Già che ci siete, girate pure la domanda alla Beretta Cougar 9mm che ho in tasca: canna martellata a freddo e cromata internamente per offrire resistenza e durata eccezionali. Puntamento rapido. Impugnatura anatomica arrotondata e leggermente incavata nella parte posteriore alta per accogliere meglio la mano del tiratore e garantire una presa istintiva dell’arma. Vattecòre, cacarèlla, zefiérno. Con questa appresso ho girato tutto il mondo e adesso potrei anche godermi la pensione qui dove mi trovo, in Venezuela, sull’isola di Santa Margarita, riverito come un pascià da una femmina di nome Dolores. Venticinque anni, Dio la mantenga così forever. Dolores che mi crede un commercialista a riposo e dice: «Tu hai fatto troppi conti, amore mio. Tanti conti e adesso è tempo che devi riposare.» Si capisce. Un po’ di sole bello, una macedonia di frutta e un caffè. E questo culo che mi balla davanti notte e giorno, non lo voglio tenere presente? Tutti guardano Dolores. Quando balla sulla pista del bar Xibalbay, quando appoggia le tette sul bancone mentre ti serve un cocktail e una nuvoletta di allegria. Tutti invidiano il dottore che all’alba, finita la musica, la riporta a casa. L’italiano in gessato, vestito come un mafioso del cinematografo. Dieci anni che vivo qui, e modestamente sono ancora un mistero per i duemila indigeni del posto. «Sei geloso?» «Attenta quando parli di gelosia con me.» Dolores mette via la maglietta celeste, i sandali celesti, i pantaloncini e le mutandine celesti. Dolores dice che vuole saperlo sul serio se sono geloso, perché Gato, il figlio di Erminia la macellaia, si è permesso di guardarla in un certo modo. Un moccioso, fino all’altro ieri. Mi sembra di vederlo nel campetto dietro la chiesa di Santa Esmeralda, con le ginocchia sbucciate, il pallone sotto braccio e la madre che lo tira per le orecchie. «E tu che hai fatto, gli hai parlato?» Dolores piega la maglietta e i pantaloncini, infila le mutandine nel cesto della biancheria sporca e non risponde. «Gli hai parlato o no? Confessa!» «Hai fatto troppi conti, amore mio. Tanti conti che adesso la testa comincia a non funzionarti più come una volta.» «Troglia!» Lo scroscio della doccia. La sua voce cristallina che si mette a cantare I feel love meglio di Donna Summer. I vecchi nervi di Tony Pertescia che tornano a intostarsi come una volta. Più duri della Cougar che ho in tasca, mannaggia San Moroder. Ahhh-ai fillov, ai fillov, ai fillov… Ahhh-ai fillov, ai fillov, ai fillov… «Dolores?» «Che c’è?» «Amore mio, tu una risposta me la devi dare. Prima che esco veramente pazzo, hai capito?» Silenzio. «Prima che ti faccio una strage!» Silenzio. Poi la porta si apre. La porta del bagno. Piano. «Hai settantadue anni, Tony, e ancora hai voglia di giocare a ‘o malamente?» «Dolores?» «Addolorata, prego!» La porta del bagno si apre e la donna che amo follemente viene fuori tutta nuda, scopabilissima, e con una cazzo di pistola in pugno. Una .38 a canna corta, per la precisione… PUM! «Addolorata Martucci, figlia di Joe, l’uomo che tu assassinasti impunemente a Brooklyn, l’otto gennaio millenovecentosettantanove.» «Maronna mia, che memoria ‘e fierro!» PUM! PUM! PUM! PUM! E lacrime. Incredibile. Io ho ammazzato centinaia di persone e non ho pianto mai. Che sono ‘ste lacrime di femmina? «Ci ho messo tanto a trovare il coraggio, perché alla fine io mi ero veramente innamorata di te…» PUM! Mi chiamo Tony Pertescia e vi prego a tutti di non dire niente, di uscire alla svelta da questa storia dimmerda come se niente fosse. Lo so, lo so: a vedermi adesso, steso a faccia in giù dopo avere incassato sei confetti nella panza, stentereste a credere che una volta avrei sicuramente evitato di farmi sparare addosso da una cretina sentimentale con un gran culo e una sete di vendetta parecchio arretrata. Sei confetti. Maronna! Che sono ‘ste lacrime di femmina? Portate i miei omaggi sinceri ad Annetta e Gabriella, grandi maestre d’armi.

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Be Cool Filmografia essenziale 1985 - Pee-wee’s Big Adventure Pee Wee Herman, dopo che la sua amata bicicletta viene rubata, attraversa tutta l’America per cercarla. Durante l’avventuroso viaggio incontra tante strane persone.... Esordio del ventisettenne Burton sulla lunga distanza. 1988 - Beetlejuice - spiritello porcello Seconda prova e Oscar per il trucco con uno dei più divertenti e spiritosi film nel filone “fantasmi”. Adam e Barbara Maitland vivono serenamente le loro giornate di giovani sposi a Winter River, una cittadina del Connecticut, in un’accogliente casa con giardino. Finché un banale incidente d’auto non li sbalza d’improvviso in un curioso “al di là”. L’ambiente è ancora quello della loro casa, ma la loro esistenza è comicamente incorporea. Essi ritengono tuttavia di poter riprendere in qualche modo... 1989 – Batman Torna al cinema la saga dell’uomo pipistrello. Tim Burton firma i primi due episodi. Il protagonista e Michael Keaton. 1990 - Edward mani di forbice Prende il via il sodalizio tra il regista e Johnny Depp. Un ragazzo con le mani a forma di forbice, rimane solo dopo la morte dello scienziato che lo ha creato, ma una famiglia lo adotta e lo porta con sè in una piccola cittadina. La gente del paese però lo evita a causa della sua diversità. 1992 - Batman - il ritorno 1993 – Nightmare before Christmast Come per La sposa cadavere pupazzi in movimento. Jack Skeletron, il sovrano della città di Halloween, vuole riprodurre la magia della città di Natale, naturalmente a modo suo, e per fare ciò rapisce proprio Babbo Natale, mettendo in pericolo il naturale equilibrio fra le festività. Riuscirà Sally, con il suo amore, a far ritornare Jack sui propri passi ed evitare così questo disastro? 1994 - Ed Wood 1996 - Mars Attacks! 1999 - Il Mistero di Sleepy Hollow Ancora Johnny Dep in questo film ambientato sul finire del 1700. Il poliziotto Ichabod Crane viene inviato nel piccolo paese di Sleepy Hollow per indagare su una serie di omicidi commessi da un presunto cavaliere senza testa. 2001 - Planet of the Apes - Il pianeta delle scimmie 2003 - Big Fish Poesia, sogno, narrazione, personaggi improbabili. William Bloom (Billy Crudyp) sta cercando di conoscere meglio la storia del padre morto, grazie a tutte le storie che è riuscito a mettere insieme durante tanti anni. Attraverso queste storie comincia a conoscere le grandi imprese e i grandi fallimenti del padre. Burton firma una vera epopea dell’immaginazione. 2005 - La fabbrica di cioccolato

Noir, Commedia, Italiano, Sperimentale, Drammatico

di Loris Romano A breve distanza dal film La fabbrica di cioccolato, arriva nelle sale La sposa cadavere (titolo originale Corpse bride). L’ultimo film di Tim Burton firmato con Mike Johnson è realizzato con pupazzi di plastilina e in tecnica “stop motion” come il precedente del genere Nightmare before christmas. La grande e sostanziale differenza tra le due pellicole è nella tecnica di movimento dei pupazzi. Il film è ambientato nell’Europa del XIX secolo. Il giovane e impacciato Victor (con la voce e le fattezze di Johnny Depp) sta per sposare la fidanzata Victoria, ma durante le prove del matrimonio non

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il cinema secondo coolcub

riesce a pronunciare la formula del voto coniugale. Costretto dal sacerdote ad imparare a memoria le parole del giuramento, Victor vaga per la foresta declamando la formula ed è qui che si imbatte in un ramoscello, simile ad un dito, su cui infila la fede nuziale pronunciando la fatidica frase. Il ramoscello si rivela essere il dito di una giovane promessa sposa assassinata, che improvvisamente ritorna come zombie e pretende di essere legalmente sposata all’incredulo Victor. Il ragazzo viene così trascinato nel mondo dei Morti, un universo certamente più vivace rispetto alla severità dell’ambiente vittoriano in cui è cresciuto, ma basta poco tempo

a far capire a Victor che niente e nessuno potrà mai tenerlo lontano dal suo vero amore... Il film, ispirato ad un racconto tradizionale russo, è, come detto, ambientato in un villaggio europeo del diciannovesimo secolo, in un’atmosfera assolutamente dark e con le strepitose musiche di Danny Elfman (c’è anche un frame in memoria di Ray Charles, un pupazzo pianista con gli occhiali…) che fanno apparire il tutto un musical di un racconto di E.A.Poe. Tim non ce la fa proprio a staccarsi da questo mondo, realizzando un’opera di una raffinatezza assoluta, impeccabile. C’è tutto, anche il lieto fine, perfetto…forse troppo.


Be Cool Judd Apatow 40 anni vergine Direttamente dagli USA arriva la commedia dell’anno, un mix di risate ed equivoci che hanno per tema centrale il sesso. Andy Stitzer ha un lavoro sicuro in un negozio di elettronica e una buona vita sociale, ma ha un ‘problema’: a quarant’anni è ancora vergine, roba da arrossire. La situazione di certo non è facile e quando i suoi colleghi lo scoprono, faranno di tutto per portarlo al fatidico obiettivo e fare di lui un “vero uomo”. Fatto su misura per due ore di svago. Abel Ferrara Mary Fresco di Premio Speciale della Giuria all’ultimo festival di Venezia, Abel Ferrara ci propone il suo ultimo lavoro, Mary, che vede nel cast fra gli altri Stefania Rocca e Forest Whitaker. Tony (Matthew Modine), regista indipendente, interpreta il ruolo di Cristo nel suo nuovo film. Al termine delle riprese, l’attrice interprete del ruolo di Maria Maddalena (Juliette Binoche), anziché rientrare con Tony a New York va a Gerusalemme per continuare il viaggio spirituale cominciato col film. Mike Newell Harry Potter e il calice di fuoco Ennesimo capitolo tratto dalla saga letteraria che ha reso famosa (e ricchissima) J.K. Rowling e che continua ad appassionare mezzo mondo. Il piccolo Harry è ormai cresciuto; ha compiuto 14 anni e si appresta a cominciare il suo quarto anno da studente di alta stregoneria di Hogwarts. Tra le varie discipline c’è il Quidditch ed Harry viene suo malgrado coinvolto nel torneo. Ci saranno numerose prove da superare ed i rischi non mancheranno, anche perché qualcuno sembra tramare nell’ombra. Luca Guadagnino Melissa P. C’è chi sostiene che bastava un libro povero di contenuti e se vogliamo anche inutile a far stancare gli italiani della giovane autrice siciliana. Ma evidentemente così non l’hanno pensata Claudio Amendola e Francesca Neri che hanno deciso di farci un film, per giunta girato a Lecce. Tratto dal discusso best-seller 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire, il film parla di una sedicenne, Melissa, che scopre il mondo della perversione sessuale a causa delle delusioni patite col suo ragazzo.

Roberto Benigni La tigre e la neve Melampo Cinematografica di C. Michele Pierri

Riscattarsi non era facile, ma con lui non c’è mai niente di certo. Ripetersi (dopo un Oscar) era forse impossibile, ma mai porre limiti alla provvidenza. Evidentemente si parla di Roberto Benigni che con il suo La tigre e la neve continua a registrare incassi da record sull’onda di un entusiasmo annunciato e di una campagna pubblicitaria che fino all’ultimo non ha permesso che trapelassero indiscrezioni. Distribuito in ben 900 copie e girato fra l’Italia e il Nord-Africa, il nuovo lavoro del comico toscano non manca come sempre di dividere critica e appassionati. Da una parte c’è chi sostiene che il solito copione già visto e rivisto ha stancato. Dall’altra c’è chi osanna la premiata ditta Benigni-Cerami-Piovani (rispettivamente regista, sceneggiatore e autore della colonna sonora), che tante soddisfazioni ha regalato al cinema italiano. Insomma a chi credere? Senza dubbio c’è tanto del Benigni che abbiamo imparato ad amare in questo film, che racconta gli orrori della guerra (questa volta in Iraq) sotto una luce nuova. A fare da legante fra le varie vicende c’è la poesia, protagonista indiscussa sia del racconto che delle immagini, forti ed allo stesso tempo evocative e delicate nella loro drammatica semplicità. Nel cast anche un impeccabile Jean Reno, una ormai consolidata Philippe Garrel Les amants réguliers Maia Films di Stefania Azzollini Parigi 1968-69. Barricate, scontri notturni con la polizia, corse sui tetti, dissoluzioni familiari si risolvono e concludono in giorni lenti e vinti dalla tentazione dell’arte e delle droghe, oziosi e simili. Forse utopia di trasformare il mondo con l’idea assoluta del bello ma forse, anche, ritratto di gioventù anarchica che narcisisticamente si guarda allo specchio. In questa cronaca intima e pubblica di quegli anni, vive l’amore “fou” ma “réguliers” tra l’aspirante poeta François (Louis Garrel, figlio del regista e già in The Dreamers di Bertolucci) e la scultrice Lille (Clotilde Hesme). Amore intenso, “libero”, salvifico, fatale. Leone d’Argento per la miglior regia a Venezia, Garrel ci regala con indubbio rigore stilistico uno squarcio fascinoso dell’atmosfera della contestazione parigina, con immagini in bianco e nero prive di ogni artificialità, intensissimi primi piani, ritmo dilatato, azione narrata con precisione documentaristica, dialoghi essenziali, sequenze dense e suoni caldi. Eccellente l’attenzione maniacale per ogni singola inquadratura grazie al superbo William Lubtchansky, premio per la miglior fotografia. Film squisitamente generazionale che però ci consegna un ritratto troppo onanistico-intellettual-borghese. Forse a Parigi era cosi. Altrove no. Tre ore per un film che si pregia di sequenze elegantissime e ci restituisce l’immagine di una umanità in ricerca.

Nicoletta Braschi e uno straordinario Tom Waits, in questo caso pianista d’eccezione e autore della dolce canzone che fa da tema all’intero film, la splendida You can never hold back spring. In uno scenario devastante il protagonista Attilio si troverà spaesato e inorridito, costretto a fare i conti con una realtà che ci sembra tanto lontana ed improbabile, che quando ci viene a toccare assume la forza di un fiume in piena che tutto travolge. Qui fra macerie e cadaveri però non perderà il suo spirito e la voglia di portare poesia anche laddove in superficie c’è solo disperazione. In definitiva un film ben riuscito, anche se forse troppo “studiato”, tanto da perdere quell’impatto emotivo e quel senso di disarmo che hanno fatto de La vita è bella un vero e proprio capolavoro. Ma nonostante ciò questo è un lavoro che brilla di luce propria e che lancia un messaggio chiaro ed importante, una colomba di pace in un mondo sopraffatto dall’odio. E solo scrutando attraverso gli occhi di Attilio, un uomo che nel dolore non ha ancora perso la voglia di sognare, possiamo godere di questo film permeato di speranza e di un amore che possiede la forza di sciogliere ogni bruttura del mondo in cui viviamo, proprio come fosse neve al sole.

Chris Nahon L’impero dei lupi Medusa di C. Michele Pierri Non convince molto questa opera seconda del giovane regista Chris Nahon che propone sullo schermo il romanzo di Jean-Christophe Grangè. Anna è la giovane moglie di un ufficiale di polizia francese. Da qualche tempo soffre di orribili allucinazioni e amnesie, al punto di non riconoscere il volto del marito. Ma la donna inizia a sospettare di non essere pazza, ma la pedina di una macchinazione terribile. Per questo si rivolge alla psichiatra Mathilde (Laura Morante). Nel frattempo il giovane capitano Paul Nerteaux (Jocelyn Quivrin) sta indagando sull’assassinio di tre giovani donne turche e chiede aiuto a Schiffer (Jean Reno), un ex collega con la fama di corrotto e violento. Le premesse sono ottime e nella prima mezz’ora il film pare addirittura eccitante. Ma poi accade qualcosa. Quello che doveva essere il trampolino di lancio per un’opera esaltante diventa l’occasione per mettere in scena una serie di cose già viste ed efferatezze insensate. Un po’ Seven, un po’ I fiumi di porpora, questo film non riesce mai a costruirsi una identità propria. La storia in ogni caso incontra l’attualità cercando di entrare nei meccanismi complessi di una comunità turca e delle sue contraddizioni e questo è uno dei pochi meriti di un film che ha l’amaro sapore di un’incompiuta.

Roman Polanski Oliver Twist Torna Polanski e lo fa con un adattamento a suo dire originale del classico di Dickens. D’eccezione il cast che può vantare su Ben Kingsley e su altri attori di livello internazionale e le scenografie, ricostruite in maniera minuziosa e faraonica. La trama è quella già nota: l’orfanello Oliver fa amicizia, nelle vie di Londra, con un ladruncolo e da questo viene instradato a far parte della famiglia di ladri addestrati dal perfido Fagin. Da un regista controverso un nuovo kolossal sentimentale. James McTeigue V for vendetta Chi si aspetta un nuovo Matrix da questo film prodotto e sceneggiato dai già noti fratelli Wachowski forse rimarrà deluso. Ma questo film, passato un po’ in sordina ha una trama intrigante e una Natalie Portman in splendida forma. Cosa sarebbe successo infatti se la Germania avesse vinto la seconda guerra mondiale? In un immaginario futuro, la Germania ha trasformato l’Inghilterra in un paese nazista. Un uomo cerca di ritrovare la libertà dalla dittatura con atti di estremo terrorismo. Antonio Capuano La guerra di Mario Tra le scarse produzioni italiane spicca a novembre questo film di Antonio Capuano che vede la presenza della sempre più attiva Valeria Golino e dell’emergente Anita Caprioli. Anche il tema è importante e d’attualità. Mario, un bambino con una brutta storia di abusi familiari alle spalle, viene affidato dal tribunale ad una coppia alto-borghese che da tempo cercava di adottare un bambino. Catapultato in una nuova realtà, Mario, dovrà abituarsi ad un uovo stile di vita e con lui i nuovi genitori. Jacques Audiard Tutti i battiti del mio cuore Orso d’argento all’ultimo festival di Berlino arriva finalmente in Italia questo film francese a tinte drammatiche che tanto è piaciuto nel resto d’Europa. La storia ha per protagonista Tom, uomo di 28 anni la cui vita sino a questo momento non ha preso una bella piega e rischia di finire a fare l’agente immobiliare, come suo padre. Poi l’occasione della vita, un incontro casuale lo spinge a credere che potrebbe essere il pianista di talento che ha sempre sognato di diventare. Per seguire le orme di sua madre.


CoolClub .it Il viaggio ricomincia - cronaca di una partenZa 33

di Chiara Caputo

Sabato 15 ottobre cinque esemplari di tartaruga marina della specie Caretta caretta hanno ripreso il largo dalle coste dello Ionio, all’altezza di Punta della Suina. Dopo mesi di forzata inattività in una vasca di vetroresina, il viaggio è ricominciato. Pinne un po’ incriccate, emozione a fior di pelle che sfiora la paura: si torna in mare. Gli animali sono arrivati da Napoli alla Capitaneria di Porto di Gallipoli nella stessa mattinata; qui, sono stati presi in consegna per essere trasferiti sulla spiaggia di Punta della Suina da Sandro Panzera, responsabile dell’Osservatorio Faunistico Provinciale e dal dottor Giorgio Cataldini dal Responsabile Regionale del Centro Studi Cetacei. Dopo le foto e i saluti di rito, come si fa prima di un lungo viaggio, le tartarughe sono state lasciate libere sulla sabbia, in modo che potessero riprendere il controllo della situazione, in autonomia. Impresa non facile visto l’entusiasmo di tutti coloro che si erano recati sulla spiaggia per assistere a questo piccolo grande spettacolo. Le cinque tartarughe si erano spiaggiate lo scorso inverno in vari tratti della costa salentina ed erano state recuperate dalla Capitaneria di Porto, dalla Polizia Provinciale, da pescatori o da persone che si trovavano a passeggiare sulla spiaggia. Sono state ricoverate presso l’Osservatorio Faunistico Provinciale annesso al Museo di Storia Naturale del Salento di Calimera e, una volta stabilizzate, trasferite a Napoli presso la Stazione Zoologica “Anton Dohrn”. Il recupero di questi animali è lento, anche perché subiscono molto lo stress della cattività. A due delle tartarughe, Kalimerina e Musorotto, è stato applicato un trasmettitore satellitare (progetto sponsorizzato dall’UNEP ovvero il Programma Ambientale delle Nazioni Unite) che permetterà lo studio delle rotte migratorie percorse da questi animali. Insomma, il cerchio si è chiuso, tutto è tornato al suo posto. Buon viaggio… A chi rivolgervi se ne trovate una… Se un giorno, facendo una passeggiata sulla spiaggia, doveste inciampare in una Caretta caretta in difficoltà (ma non solo) potete rivolgervi all’Osservatorio Faunistico Provinciale, che altro non è che un Centro di Accoglienza per la Fauna Esotica e Selvatica; oppure potete telefonare alla Capitaneria di Porto o alla Polizia Provinciale che provvederanno a prelevare l’animale e trasferirlo presso il centro suddetto. L’Osservatorio Faunistico Provinciale è situato presso la struttura del Museo di Storia Naturale del Salento di Calimera e svolge un’opera di tutela e salvaguardia delle Caretta caretta da più di 15 anni, nel corso dei quali oltre 3000 esemplari sono transitati presso il centro. La sezione riservata alle tartarughe marine, negli anni, si è aggiornata secondo le nuove norme europee; attualmente il centro consta di cinque vasche per animali adulti, una nursery per i neonati in grado di mantenersi a galla e un’incubatrice per quelli che sono troppo debilitati per farlo. A questo si aggiungono le vasche per la degenza degli animali più deboli, che sono di dimensioni ridotte rispetto alle precedenti e che prevedono un livello d’acqua molto basso e una sorta di “doccia” che bagni gli animali, evitando la disidratazione, ma che non li costringa a nuotare per mantenersi a galla. Chiunque sia interessato può prendere parte in prima persona all’attività del centro. L’Osservatorio e il Museo, oltre al Centro di Primo Recupero per le tartarughe marine, ospitano una sezione Ornitologica e un rettilario, vari esemplari di fauna esotica affidati o abbandonati dai proprietari, sezioni di Malacologia, Entomologia, Paleontologia e Mineralogia. La struttura è aperta tutti i giorni (escluso il lunedì) dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 17.30 alle 20.30. Info 0832/875301 - 3204826584 – 3206586556. www.museocalimera.it Carta d’identità Le tartarughe marine non sono né pesci, né mammiferi, bensì Rettili appartenenti all’ordine dei Cheloni. Un antico mito greco narra che Ermes invitò al matrimonio di Zeus ed Era non solo gli dei, ma anche animali e uomini. Una ninfa un po’ snob, di nome Chelone, decise di non unirsi alla allegra combriccola e restò nella sua casa in riva ad un fiume a fare i fatti suoi. Ermes, infuriato a causa dell’affronto, gettò Chelone, con la sua casa, nell’acqua. Fu così che Chelone si trasformò in una tartaruga, inseparabile, come lei, dalla sua dimora. La popolarità delle tartarughe ai tempi di Zeus è una prova delle antiche origini di questi animali. Esse risalgono all’epoca dei dinosauri ai quali sono sopravvissute (chi va piano…). Nella loro triplice versione (tartarughe marine, d’acqua dolce e di terra), le tartarughe si sono adattate ad ogni forma di habitat. Le Caretta caretta, nello specifico, sono rettili marini molto longevi (anche più di 100 anni), che assorbono ossigeno dall’aria, essendo dotate di polmoni, al contrario dei pesci che lo assorbono dall’acqua tramite le branchie; la vita subacquea è resa possibile dalla loro capacità di compiere lunghissime apnee. Le tartarughe marine passano in mare tutta la loro esistenza, eccezion fatta per le femmine che raggiungono la terra ferma, solo ed esclusivamente, per nidificare per poi tornare in mare. Alla nascita i piccoli potranno fare affidamento solo sulle loro forze e sulla luce della luna che li guiderà verso l’acqua (le uova si schiudono di notte). Una volta raggiunta la maturità sessuale, le femmine della nidiata torneranno nella stessa identica spiaggia in cui sono nate per deporre le loro uova. Il resto della loro vita è scandito da partenze e ritorni. Le tartarughe che arrivano nelle nostre acque in primavera-estate, provengono dal bacino orientale del Mediterraneo ove, dopo essersi sfamate, torneranno in autunno, attraverso lo Stretto di Messina, dirigendosi verso la Grecia e la Turchia. Come riescano ad orientarsi in queste lunghe migrazioni è parzialmente un mistero: prive di una vista particolarmente acuta, non sono in grado di orientarsi tramite le stelle, viceversa riescono a sfruttare il sole e le correnti marine. I loro tragitti variano da un minimo di 1000-1500 km ad un massimo di 6000 km. Il maggiore problema di questi animali, attualmente, è azione dell’uomo: il commercio di prodotti “a base di tartaruga” (ufficialmente vietato in Italia dall’ormai lontano 1977) vede l’Italia in pole position dopo Francia ed Inghilterra; la distruzione degli habitat naturali, le catture accidentali, l’inquinamento, la presenza antropica in senso lato, fanno il resto.


di Mirko Grasso

CoolClub .it 2 novembre 1975 Pierpaolo Pasolini. Una storia sbagliata

“Una storia vestita di nero, una storia da basso impero, una storia mica male insabbiata una storia sbagliata.” Con questi versi Fabrizio De Andrè scolpisce e descrive il delitto Pasolini. Un delitto che pesa, ancora oggi, nel panorama culturale italiano, per il vuoto generato, e sulla storia della giustizia di Stato per la “particolare” gestione delle indagini. “Cominciò con la luna sul posto e finì con un fiume di inchiostro”. Sempre De Andrè. La scomparsa di Pasolini non è stata solo la dolorosa perdita di un grande intellettuale; prima di Pasolini scomparvero improvvisamente Elio Vittorini, Beppe Fenoglio, stroncati da crudeli malattie, e ancora prima, Cesare Pavese, anch’esso in maniera tragica. La morte di Pasolini, tuttavia, è stata avvertita, e lo è ancor oggi, come la perdita di qualcosa di incolmabile e di irripetibile. Per quale motivo? Sicuramente non solo per l’aspetto letterario o artistico. Anche Pavese e Vittorini, ad esempio, sono stati scrittori eccellenti, intellettuali impegnati e, gramscianamente, “persuasori” culturali. Pier Paolo Pasolini ha significato e rappresenta qualcosa in più. Ha concretizzato come non mai la figura dell’intellettuale che analizza, sviscera il presente. Spesso si è parlato della valenza profetica di alcune analisi condotte dallo scrittore. In realtà è stato uno sguardo attento e lucido sull’attualità e sulla contemporaneità. Che è una delle capacità di analisi più difficile e di cui sembrano essere carenti i “commentatori” a noi contemporanei. La descrizione del cambiamento della società italiana, delle degenerazioni politiche e sociali, dell’imbarbarimento e dell’omologazione culturale, unita ad un non comune e poliedrico senso artistico, hanno portato lo scrittore ad esercitare un grande fascino ed una rilevante influenza culturale. Fabrizio De Andrè scrive Una storia sbagliata dove, illustrando le contraddizioni e le ambiguità di fondo nella scomparsa di Pasolini, rileva, anche in quell’ultima e maledetta notte, il carattere dirompente ed “eccezionale” dell’artista: “storia diversa per gente normale, storia comune per gente speciale”. Gli avversari di Pasolini, ed erano tanti, hanno trovato in quella morte un modo, perbenista e tipicamente italiano, per far passare dalla parte del torto una voce autenticamente critica ed indipendente. Sì, perchè uno scrittore “speciale” non può morire come “gente normale”. Così, in una celebre canzone di De Gregori è Pasolini stesso a narrare l’ultima sua notte. Nei versi e nella musica di De Gregori, il corsaro rivede le cose a lui più care e ricche di “disperata vitalità”: Roma, le notti passate a cercar brandelli di autenticità, le marine laziali, i suoi “ragazzi di vita”: “non mi ricordo se c’era la luna né che occhi avesse il ragazzo, ma mi ricordo quel sapore in gola e l’odore del mare come uno schiaffo”. Versi questi che scavano nell’animo, fanno riflettere aprendo strada ad altri ricordi e suggestioni. Come il viaggio di Nanni Moretti in vespa sul lungomare di Ostia, l’orazione funebre di Alberto Moravia - lo stato deve difendere i poeti - !, la faccia di Pino Pelosi ritornato celebre in questi ultimi tempi, il volto soddisfatto, e oggi quasi beato, di quell’Andreotti che Pasolini voleva vedere sotto processo già nel 1975. “Non lo nascondo, se nulla ho mai nascosto; l’amore non represso, che mi invade, l’amore di mia madre, non dà posto a ipocrisia e viltà! [...] Io sono un uomo libero. Candido cibo della libertà è il pianto: e allora piangerò”. Una libertà, questa, pagata sulla propria pelle.

Corriere della Sera, 14 novembre 1974 Cos’è questo golpe? Io so di Pier Paolo Pasolini

Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ‘68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”. Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neofascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. […] [Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi. Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo “diplomaticamente” di concedere a un’altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.

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CoolClub .it musicali Smaterializzazioni 35

di Giancarlo Bruno

Lo scorso secolo è stato attraversato dall’evolversi dei supporti sui quali si sono appoggiate le registrazioni musicali e sonore in genere. Si iniziò con il vinile introdotto nella prima metà del novecento (in uso ancora oggi), sostituito poi dalla musicassetta a cui fece seguito il compact disc che negli anni ’90 diede inizio alla svolta digitale. In queste naturali innovazioni tecniche il dato di fondo sta nel fatto che la musica è sempre stata legata ad un oggetto concreto, a qualcosa di tangibile (LP, MC, CD). La nascita del formato mp3 si schianta contro tutti gli assiomi precedentemente assodati e genera una nuova concezione di fruizione musicale in base alla quale non esiste più un supporto sul quale risiede la musica, ma il contenitore e il contenuto convergono nella stessa cosa. Il mare nel quale meglio nuota questo formato, è naturalmente rappresentato da internet che consente di scambiare in tempi ormai sempre più ridotti discografie intere di artisti con alle spalle decine di album; il mezzo attraverso il quale si muovono i file mp3 sono i software peer to peer che mettono i partecipanti nella condizione di condividere file tra persone che si trovano dall’altro capo del mondo; i nomi sono noti un po’ a tutti, Napster, Kazaa, Winmx (oscurato di recente), Gnutella, DC++ etc. Napster è stato, per così dire, il martire e, toccando i nervi scoperti dell’industria discografica, se n’è andato mostrando ai suoi eredi i punti

deboli del sistema. In sostanza Napster è stato devitalizzato, diventando un sistema a pagamento, perché risultava un tramite tra due utenti e consentiva di far sapere ad entrambi cosa era disponibile nell’hard disk dell’altro; questo ha rappresentato una violazione certificata del copyright, in quanto facilitava lo scambio di materiale per il quale normalmente un utente avrebbe dovuto pagare. Consapevoli di ciò, i creatori dei successivi software hanno concepito delle reti (network) nelle quali la ricerca dei file (brani musicali o film che siano) non sarebbe più passata da server centrali che sono facilmente controllabili, ma sarebbe andata a interrogare direttamente il computer del nostro amico cinese o australiano, togliendo così un’arma fondamentale alle autorità predisposte alla tutela dei diritti d’autore. A questo punto il caos esplode…nasce un paradosso che vede le case discografiche, rappresentate dalla Recording Industry Association of America (RIIA) contro i consumatori, o meglio, l’offerta che dà battaglia alla domanda, il che è quantomeno singolare; non si trova più uno strumento valido per bloccare questo enorme flusso di materiale illegale e si pensa perciò di prendere qualcuno nel mucchio, si decide di dare l’esempio, senza compassione se si tratti di denunciare una ragazzina dodicenne che scarica i Backstreet Boys e senza comprensione se si tratti di denunciare un distinto signore di ottanta anni che ascolta Frank Sinatra. Tutto questo nasce dal fatto che il download risulta essere un fenomeno di natura transnazionale perseguito da leggi prettamente nazionali, e anche se passi da gigante sono stati fatti nella definizione comune del reato di violazione del diritto d’autore, ciò rimane legato a realtà politiche e sociali troppo differenti tra esse. Il problema più concreto risiede però nella difficoltà di cumulare, in un unico eventuale processo, le singole violazioni; se la ragazzina dodicenne, oltre ai Backstreet Boys, decide di scaricare anche l’ultimo dei Blue sta ledendo i diritti di due differenti autori, con tutte le complicazioni legali che ne derivano. Il decreto Urbani che ci

viene ricordato tipo “cura Ludovico” ogni volta che andiamo al cinema, non chiarisce i limiti legali e non del file sharing ma serve solo come spauracchio per intimorire i più. Diventa quindi naturale che la musica da prodotto debba diventare un servizio; voglio ascoltare quel brano che mi piace tanto? Vado sul sito del cantante e lo ascolto in streaming, cioè in diretta, senza la possibilità di copiarlo sul mio pc, voglio proprio avere quella canzone e ascoltarla quando meglio credo? Vado su “itunes” e la scarico a 99 centesimi senza spendere 18 euro per tutto il cd; i gusti degli ascoltatori sono sempre più segmentati e particolareggiati (su internet proliferano ormai centinaia di web-radio per gli ascoltatori più esigenti) e l’accessibilità alla rete diventa sempre più facile; è un ciclo che si chiude…probabilmente dopo quasi un secolo dalla nascita della musica registrata, possedere un cd o un disco diventerà un lusso o una passione per pochi.


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ogni martedì - musica Jam sassion jazz al Willy Nilly di Squinzano (Le) ogni mercoledì – musica High fidelity al Caffé Letterario Il nuovo appuntamento in musica del Caffé Letterario di Lecce si chiama High Fidelity. Ogni settimana un dj diverso si alternerà in consolle per selezionare un personale percorso alla scoperta di un genere musicale, un periodo, una etichetta o un gruppo. ogni sabato – musica Open bar sino alle 00.30 al Willy Nilly di Squinzano (Le) I dj di Coolclub all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) mercoledì 9 - cinema Super size me (rassegna Politicamente scorretto) presso Sala di cultura Basilica Santa Caterina a Galatina (Le) giovedì 10 – musica Artemisia all’Heineken green stage di Tricase (Le) venerdì 11 - musica Apres la classe al Planet di Lequile (Le) Giovanni Sollima & Mauro Pagani (TimeZones) al PalaMartino di Bari N.a.m.b e Madaski allo Zenzero di Bari venerdì 11 - teatro Vita mia di Emma Dante ai Cantieri Koreja di Lecce

La rassegna Strade Maestre prosegue con lo spettacolo Vita mia di Emma Dante. Entriamo in una stanza vuota con un letto al centro. Cos’è quel letto ci chiediamo: un riparo? Una pace pigra? Un termine? C’è un viaggio nel tempo e nello spazio attorno a quel catafalco e ciò che muove tutto è qualcosa che non possiamo comprendere. Vita mia è il tentativo folle e disperato di ritardare fino allo stremo delle forze l’ultimo giro prima della morte. Quel letto è una nave di pietra e quella stanza è il mare che ci risucchia e sparisce (spettacolo con posti limitati, prenotazione obbligatoria). Sipario ore 20.45. Ingresso 10 euro. Ridotto under 25 e over 60 7 euro. Cantieri Teatrali Koreja 0832.24.2000 - www.teatrokoreja.com. sabato 12 - musica N.a.m.b e Madaski al Candle di Lecce Musica dal vivo e un dj d’eccezione per il sabato del Candle di Lecce. Sul palco si esibiranno i torinesi N.A.M.B. La nascita del gruppo può

essere datata 1992: la formazione, chiamata all’epoca Superbudda, prevedeva Andrea Ghio, Canna e uno storico delay per chitarra nel quale processare ogni tipo di sorgente sonora. Dopo numerosi esperimenti è del 2005 l’album d’esordio omonimo uscito su etichetta Mescal che contiene la cover di Black Hole Sun dei Soungarden. I N.A.M.B. riescono a scrivere un’equilibrata combinazione d’elettrico ed elettronico. A seguire selezioni musicali a cura di Madaski eclettico musicista fondatore degli Africa Unite. Ingresso 5 euro. Inizio ore 22.30. Info www.coolclub.it – 0832303707. Luigi Grechi alla Saletta della Cultura di Novoli (Le) Il suo brano più famoso è sicuramente Il bandito e il campione portato al successo dal fratello minore Francesco De Gregori ma la carriera di Luigi Grechi è punto di riferimento per un paio di generazioni di cantautori. La rassegna Tele e ragnatele della Saletta della cultura Gregorio Vetrugno di Novoli ospita il musicista in compagnia della sua Bandaccia per presentare i brani di “Campioni senza valore”. Inizio ore 21.30. Ingresso 10 euro. La Saletta della Cultura Gregorio Vetrugno è in Via Matilde 7 a Novoli. Info 347 0414709 – marioventura3@virgilio.it Arto Lindsay trio (TimeZones) al Palamartino di Bari sabato 12 – teatro Carnezzeria di Emma Dante ai Cantieri Koreja di Lecce Ho visto nelle facce della gente occhi di lucertola, seminascosti dalle palpebre; occhi di cavallo, iniettati di sangue; e occhi di mucca, luminosi e bagnati, con una struggente dolcezza interiore. Erano uomini strappati a se stessi, scannati da una vita insulsa. Animali impauriti e pericolosi che con la propria profonda capacità di partecipare alla sofferenza andavano perdendo col tempo ogni parentela umana. Carnezzeria è la storia di una di queste famiglie di carne da macello, con i suoi legami morbosi, con le sue fughe isteriche e paralizzanti, con la sua aria ristagnata di odore di fumo. L’appuntamento rientra nella rassegna Strade Maestre. Sipario ore 20.45. Ingresso 10 euro. Ridotto under 25 e over 60 7 euro. Cantieri Teatrali Koreja 0832.24.2000 - www.teatrokoreja.com.

domenica 13 - musica The Hospitals (Usa) al Target club di Bari Dopo il successo del precedente tour, torna in Europa la cult band di San Francisco più spiritata ed insana del rock’n’roll USA. The Hospitals nascono come assalt duo dalla irruente

personalità di Adam Stonehouse, vocal e batterista tra i più selvaggi mai visti, ispirato dalle noise bands giapponesi nonché da The Scientists, Flipper, Electric Eels. Ingresso 5 euro. martedì 15 – cinema Tartarughe sul dorso di Stefano Pasetto al Cinema Santalucia di Lecce mercoledì 16 novembre - musica Cocorosie (TimeZones) al Pala Martino di Bari

Le sorelle Sierra e Bianca Casady sono uno dei fenomeni musicali del momento. L’incontro di due percorsi musicali diversi: una proveniente dalla musica classica con un’esperienza da cantante lirica e l’altra dal mondo dell’hip-hop. Inizio ore 21, ingresso 15 euro. mercoledì 16 e giovedì 17 - musica Paul Jeffrey al Ueffilo di Gioia del Colle (Ba) da martedì 15 a giovedì 17 – cinema C’è un posto in Italia (in anteprima nazionale) al Cinema Elio di Calimera (Le) mercoledì 16 - musica Cosmic al Caffé Letterario di Lecce giovedì 17 – musica Adel’s all’Heineken green stage di Tricase (Le) Il gruppo siciliano è tra le più importanti band italiane di rockabilly. Gli Adel’s nel 2004 hanno fatto circa 180 concerti in tutta Italia. Un record per una band che suona una musica di nicchia che in Italia ha difficoltà a trovare spazi e produttori. giovedì 17 - musica Giuliano Palma & Bluebeaters a Lequile (Le) venerdì 18 - musica Super Elastic Bubble Plastic all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) The Swindler rappresenta l’esordio discografico del trio mantovano Super Elastic Bubble Plastic. Il gruppo presenterà il cd in una serata firmata Coolclub. Un disco “d’amore e d’odio”, tra politica e relazioni interpersonali, senza mezze misure. Partorito con l’urgenza del condannato. Un bel esempio di indie rock’n’roll. Inizio ore 22.30. Ingresso 5 euro. Info www.coolclub.it

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CoolClub.it Morgan allo Zenzero di Bari

Dopo il successo del suo album di debutto solista, Morgan può a tutti gli effetti essere considerato un astro nascente fra i cantautori della nuova generazione. Intimamente affascinato da Bob Dylan come da De Andrè e Pink Floyd, il leader dei Bluvertigo prepara un live intenso e spigoloso. Ingresso 13 euro. venerdì 18 - cinema The agronomist (rassegna Politicamente scorretto) presso Sala di cultura Basilica Santa Caterina a Galatina (Le) domenica 20 – musica My way my love (Giappone) + Frantic (emocore - Bari) al Target Club di Bari Da Tokyo, Yukio Murata, Takeshi Owaki, e Dai Hiroe hanno ormai raggiunto un’ottima reputazione in Giappone come My Way My Love. Sono un trio di un noise sperimentale, hanno alle spalle diversi tour americani e nel resto del mondo, ora incidono per la File 13 Records di Chicago (Usa). lunedì 21 – musica My way my love ai Sotterranei di Copertino da martedì 22 a venerdì 25 - teatro Orgia di Pier Paolo Pasolini ai Cantieri Koreja di Lecce La compagnia bolognese Teatri di vita mette in scena questo spettacolo di Andrea Adriatico tratto dal testo di Pasolini. Un’orgia di parole, passioni, ricordi travolge un Uomo e una Donna, in un sacrificio rituale fatto di sesso e violenza. Fra tutte le opere teatrali di Pasolini, anzi fra tutte le sue opere, Orgia è forse quella più “astratta” e forse la più emozionante e poetica, che il suo stesso autore portò in scena nel 1968 a Torino per l’interpretazione di Laura Betti. Tragedia del sadomasochismo ma anche denuncia dello sradicamento di una società lanciata verso un abbagliante e infido progresso; e sono proprio quelle radici di “un passato felice che ha prodotto persone infelici” a portare verso la fine i due protagonisti, schiacciati dalla memoria di un tempo perduto e sincero. Lo spettacolo è a posti limitati ed è sconsigliato ai minori di 18 anni. Sipario ore 20.45. Ingresso 10 euro. Ridotto under 25 e over 60 7 euro. Cantieri Teatrali Koreja 0832.24.2000 - www.teatrokoreja.com. da martedì 22 a giovedì 24 - cinema Nemmeno il destino di Daniele Gaglianone al Cinema Elio di Calimera (Le) martedi 22 - musica A hawk and a hacksaw (Usa) al Santo Graal di Trani (Ba) A Hawk and A Hacksaw è il progetto (su Leaf) di Jeremy Barnes (già batterista nella cult band di indie-rock psichedelico Neutral Milk Hotel e poi nei Bablicon e nei Broadcast). Dal vivo AHAAH è un duo: Jeremy suona contemporaneamente, accordion, tastiera, percussioni, drumkit, Heather

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Trost lo accompagnerà al violino e al glockenspiel. Uno spettacolo tutto da vedere! Ingresso libero martedì 22 – cinema La piccola Lola di Bertrand Tavernieral Cinema Santalucia di Lecce mercoledì 23 - musica Tob Lamare al Caffé Letterario di Lecce giovedì 24 - musica Ivan Segreto al Jubilee Club di Corato (Ba) U2 Tribute all’Heineken green stage di Tricase (Le) venerdì 25 - musica Baustelle al Candle di Lecce Una “macchina sonora” inconfondibile. I Baustelle fin dai loro esordi hanno impressionato per la loro “unicità”. Venerdì 25 novembre al Candle di Lecce, evento firmato Coolclub, presenteranno i brani del nuovo cd, La malavita (vedi intervista a pagina 8). In apertura si esibiranno i salentini Superpartner. Inizio ore 22.30. Ingresso 5 euro. Info www.coolclub.it – 0832303707. Happy Birthday TimeZones con Konkiduet (Francia) e Antica pasticceria digitale al PalaMartino di Bari venerdì 25 - cinema The corporation (rassegna Politicamente scorretto) presso Sala di cultura Basilica Santa Caterina a Galatina (Le) venerdì 25 – domenica 27 – musica Meeting etichette indipendenti a Faenza. Programma ricco di appuntamenti con centinaia di espositori, musicisti, giornalisti. Un punto di riferimento per la musica indipendente. Tutte le informazioni su www.meiweb.it sabato 26 - musica Paul Gauguin. Spettacolo di jazz multimediale alla Saletta della Cultura di Novoli martedì 29 novembre - musica Zeena Parkins and Ikue Mori (Timezones) al Valliva di Bari Blonde Redhead allo Zenzero di Bari Zenzero e Coolclub organizzano una delle due date italiane di questo tour invernale dei Blonde Redhead. Inizio ore 22.30. Ingresso 15 euro. Info prevendite 0832303707 – 080.503.45.80. martedì 29 – cinema 9 vite da donna di Rodrigo Garcia Cinema Santalucia di Lecce da martedì 29 a giovedì 1 - cinema Piccola pesca di Enrico Pitzianti al Cinema Elio di Calimera (Le) mercoledì 30 – musica David Liebman e Paola Arnesano al Ueffilo di Gioia del Colle (Ba) SkaccoMatto al Caffé Letterario di Lecce Dicembre giovedì 1 - musica U.D.E. Rock ( rassegna di varie band emergenti salentine) all’Heineken green stage di Tricase (Le) venerdì 2 - musica Renato Sellani al Ueffilo di Gioia del Colle (Ba) Perturbazione allo Zenzero di Bari sabato 3 - musica Perturbazione all’Istanbul Cafè di Galatina (Le) Perturbazione è la storia di un nucleo di persone, una piccola famiglia nata a Rivoli, alle porte di Torino. Un collettivo di sei musicisti impegnati da anni a tracciare una via di fuga dalla musica che gira intorno, una “terza via” che esprima al meglio ciò che sta in mezzo tra la vivacità del mondo indipendente e la canzone d’autore italiana. Il loro ultimo album è Canzoni allo Specchio. Ingresso 5 euro. Info www.coolclub.it

La redazione di CoolClub.it non è responsabile di eventuali variazioni o annullamenti. Gli altri appuntamenti domenica 4 – musica Supersystem allo Zenzero su www.coolclub.it Per segnalazioni: di Bari redazione@coolclub.it sabato 3 e domenica 4 - teatro Dovevamo vincere ai Cantieri Koreja (Lecce) La rassegna Strade Maestre celebra i venti anni di Koreja con il primo spettacolo messo in scena dalla Compagnia. Dovevamo vincere è uno spettacolo che riannoda i fili dispersi dei riti, delle tradizioni e dei miti del paese che abitiamo, attraverso l’esperienza di una generazione che riparte dal passato per dare una risposta ai bisogni del presente. Tracce di un vissuto ancora attuale a distanza di vent’anni dalla prima messa in scena di questo spettacolo reinterpretato per l’occasione da quattro giovani attori. In scena Pierpalo Bisconti, Angela De Gaetano, Carlo Durante, Vito Greco. Regia e drammaturgia: Cesar Brie. Ripresa e “fissazione”: Salvatore Tramacere. Sipario ore 20.45. Ingresso 10 euro. Ridotto under 25 e over 60 7 euro. Cantieri Teatrali Koreja 0832.24.2000 - www.teatrokoreja.com. News Segnale_di_cortofilm festival 2005 È il 19 novembre il termine ultimo per l’iscrizione alla prima edizione del Segnale_di_cortofilm festival 2005 che si terrà a dicembre a Erchie (Br). Info a danielemorleo@libero.it; l.a.i.t.3@hotmail.it; 3495825399. Il bando è scaricabile sul sito www. coolclub.it sezione download. L’Urlo di Galati Ogni mercoledì, dalle 21 alle 22.30, su PrimaVeraRadio (107.3 e 98.0 per Taranto, 95.1 per Lecce) va in onda l’Urlo – settimanale di musica (+o-) indipendente italiana condotto da Ilario Galati. Arezzo Wave Avete tempo sino al 15 dicembre per iscrivervi ad Arezzo Wave. Per partecipare al bando di concorso basta spedire il materiale a uno degli oltre 200 punti di raccolta (antenne) in tutte le regioni d’Italia elencati sul sito www.arezzowave. com. Ogni regione avrà 1 o 2 band vincitrici (a seconda della grandezza del territorio) che potrà esibirsi durante la prossima edizione di Arezzo Wave Love Festival che si terrà dall’11 al 16 Luglio 2006. Per info Coolclub 0832303707. Seconda uscita per L’O È alla sua seconda uscita L’osservatore in cammino, trimestrale d’informazione libera e cultura ideato e curato dal gruppo Artlab (Big Sur, Salomè Onlus e Fondo Verri). Dopo il fortunato esordio, il cammino de L’Osservatore continua con un numero dedicato al disagio psichico. Chi sono, nella epoca contemporanea i “matti”? Qual è l’atteggiamento della società nei loro confronti? E come rispondono i luoghi deputati alla cura alle esigenze di queste persone? Info 0832/346903; e-mail: bigsur@bigsur.it


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Crimini e Misfatti: Nuvole In Giallo di Roberto Cesano

La produzione fumettistica vanta una lunga tradizione di titoli gialli: in Italia Diabolik divenne negli anni ’60 un fumetto di culto ed il prototipo di una serie di personaggi con la K (vero e proprio marchio di fabbrica di una generazione di fumetti) tra i quali spiccano Satanik e Kriminal del duo Max Bunker-Magnus. Queste serie avevano in comune ambientazioni da “crimes stories” e dei protagonisti ambigui (ladri, spie ed assassini professionisti) sempre in odore di censura a causa di gesta afferrate. La casa editrice Bonelli, la più affermata in campo nazionale, presenta una nutrita schiera di collane che spaziano nel genere giallo: il poliziesco Nick Raider (ora approdato su altri lidi editoriali) e Napoleone. Persino Dylan Dog ed il futuribile Nathan Never (Asinov docet) sconfinano spesso in tale genere. A mio avviso, la migliore tra le storie gialle della scuderia Bonelli è Julia, nata dalla penna di Giancarlo Berardi, già uno dei creatori di Ken Parker, uno dei fumetti più amati e seguiti dell’ ultimo ventennio. Ken Parker mostrava una prospettiva originale dell’ epopea western americana, mentre Julia è stata una piacevole novità nel poliziesco grazie ad un mix di ingredienti

ben dosati. Julia Kendall è una docente universitaria di criminologia chiamata spesso a collaborare con la polizia nelle indagini più complicate, per le sue spiccate doti professionali. La forza del personaggio è insita nell’approccio umano verso il crimine dietro al quale si nasconde una persona, prima che un criminale; nell’assenza di una retorica facilona riguardo temi scabrosi e nell’intensa personalità con cui Julia è tratteggiata. Berardi, col suo stile garbato, ha partorito una donna tridimensionale divisa tra vicende private e pubbliche indagini. Confrontandosi con i delitti e la violenza umana Julia scruta nel fondo del proprio animo tormentato, ponendosi quesiti universali nei quali il lettore facilmente si immedesima, coinvolto da trame avvincenti e mai scontate. Dall’altra parte del mondo in Argentina, vi sono dei fumettisti che si sono dedicati al genere hard-boiled, offrendo dei prodotti molto diversi dalla produzione nostrana. Tra di essi si evidenzia Chicanos di Carlos Trillo (cyber-six) ed Eduardo Risso (100 bullets) che ha per protagonista una donna, Alessandrina Y. Yalisco, la quale vive una situazione molto differente dalla Julia di Berardi: è un’immigrata messicana riciclatasi a New York come detective privata ed invischiata continuamente in situazioni grottesche ed ironiche. Trillo attua un ribaltamento totale dei clichè del genere , presentandoci in un ruolo maschile una donna e caratterizzandola con una bruttezza accentuata. Se in Julia (che ha le fattezze della Audrey Hepburn) emerge l’umanità di Berardi, in Chicanos (edito da Coniglio editore) è lo sferzante umorismo nero di Trillo a dominare. La sua “eroina” è un personaggio marginale negli opulenti States, prova scomoda d’una realtà di brutture che non si gradisce vedere: il ghetto (il “barrio” per gli ispanici)

luogo in cui gli emarginati annaspano tra le rovine del sogno americano, del quale non faranno mai parte… La sua condizione di brutta e povera straniera, rende ancor più esilaranti i casi che Alessandrina segue: riesce a sopravvivere ad un agguato mafioso perché scambiata per la donna delle pulizie, è insultata da clienti splendide ed ignorata fisicamente dai teppisti. Julia e Alessandrina sono le due facce della stessa moneta: Julia è una W.A.S.P. un prodotto della ricca borghesia occidentale, con dubbi e fragilità da “declino dell’impero americano” che può però permettersi desideri alti. Alessandrina deve barcamenarsi per sopravvivere; non ha né tempo né interesse per le vicende umane dei criminali; per risolvere i propri casi non usa sensibilità o conoscenze tecniche, ma una grande fortuna ed una sgangherata furbizia. Esce incolume dalle storia più cruente perché ha imparato a salvare la pelle nelle strade alienanti di New York e questa rimane la sua aspettativa principale. Mentre Julia può concedersi di riflettere ed angosciarsi per la mancanza di un amore romantico intenerendo il lettore, Alessandrina percorre squallide periferie protetta solo dall’amicizia della gente del “barrio”, dimostrazione della solidarietà di classe. La prima incarna la fiducia, strenua, ma non cieca, nell’uomo e nelle sue istituzioni da parte di Berardi, la seconda testimonia il disincanto di Trillo verso essi. Non esistono autorità positive in Chicanos, solo singoli individui nobili d’animo. Il resto è un mucchio di merda in cui bisogna imparare a galleggiare, ridendo. Due fumetti in cui un genere, il giallo, diviene una metafora ora spiazzante e sarcastica ora commovente e delicata della condizione umana.

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