Coolclub.it - Luglio 2016

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GRATUITO Anno XIII Numero 84 Luglio 2016

Ogni mese un mondo di cultura in Puglia



SOMMARIO EDITORIALE - 5

CINEMA/TEATRO - 40/43

Sud Est Indipendente

Un’estate in residenza - Vive le cinéma Cinema del Reale

INTERVISTA - 6/11 SuperOnda - Valerio Mattioli

MUSICA - 12/33 Livio Minafra - Mino De Santis - Ifad Michele Cortese - Moods - Keep Cool BlogFoolk - Mascarimirì - Rosamarino Speciale Sud Est Indipendente Tre Allegri Ragazzi Morti - La Notte I Ministri - Niagara

LIBRI - 34/39 Lorenzo D’Alò - Stefano Cristante Coolibrì

Piazza Giorgio Baglivi 10 73100 Lecce Telefono: 0832303707 Cell: 3394313397 e-mail: redazione@coolclub.it sito: www.coolclub.it fb: Coolclub.it - tw: Coolclublecce Anno XIII Numero 84 - Luglio 2016 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Collettivo redazionale Pierpaolo Lala (Direttore responsabile), Osvaldo Piliego, Dario Goffredo, Chiara Melendugno, Antonietta Rosato, Toni Nisi, Cesare Liaci

ARTE - 44/47 Simone Cerio - Heroes Edoardo De Candia

BLOG - 48/53 Food Sound System - Vaffancool Brodo di frutta - Affreschi&Rinfreschi Stanza 105 - I Quaderni del senno di poi

EVENTI - 54/63 Locomotive Jazz Festival Locus Festival - PianOstuni Lastation - Niccolò Fabi

Hanno collaborato a questo numero la redazione di BlogFoolk (Salvatore Esposito, Ciro de Rosa), Alessandra Magagnino, Giulia Maria Falzea, Lorenzo Madaro, Donpasta, Adelmo Monachese, Mauro Marino, Mino Pica, Francesco Cuna, Daniele De Luca, Francesca Santoro, Simone Coluccia, Danilo Siciliano, Guseppe Calogiuri In copertina Sei Festival - Manifesto d’artista 2016 Illustrazione di Davide Toffolo (TARM) Progetto grafico e impaginazione Mr. Scipione Stampa Colazzo Srl - Corigliano d’Otranto (Le) www.colazzo.it Chiuso in redazione in un forno naturale



EDITORIALE

SUD EST INDIPENDENTE Negli ultimi anni la parola Xylella è entrata drammaticamente nel nostro vocabolario. Una parola difficile da pronunciare e ancora più difficile da comprendere. Qualcosa colpisce gli ulivi. Lo sappiamo. Ce ne accorgiamo. Milioni di piante che dalle colline sino alla riva del mare caratterizzano il nostro paesaggio potrebbero essere a rischio. Giornali, libri, televisioni, inchieste della magistratura, ricerche scientifiche hanno cercato di dare una risposta al disseccamento delle piante. Non tutti sono d’accordo nel merito e sul metodo. La battaglia politica e mediatica si è accesa con colpi di scena, accuse incrociate, minacce, testimonial importanti. I social, come spesso accade in questi casi, hanno fatto da cassa di risonanza. Purtroppo le discussioni sono sempre più semplici. Non esistono più le sfumature, le vie di mezzo. O sei a favore o sei contro. E purtroppo gli italiani hanno sempre impressa in mente la massima andreottiana che “A pensar male degli altri si fa peccato ma spesso ci si indovina”. Coolclub.it è un giornale che si occupa di musica e cultura. Da dieci anni organizziamo, tra gli altri eventi, un festival che nel 2006 abbiamo voluto chiamare “Sud Est Indipendente” (senza nessun riferimento a velleità secessioniste) che nel corso delle edizioni ha portato da queste parti nomi nazionali e internazionali di grande rilievo come Kings of Convenience, Jon Spencer Blues Explo-

sion, Cat Power, Baustelle, Vinicio Capossela, Gogol Bordello, Daniele Silvestri, Mannarino, Negrita, Calibro 35, Brunori Sas, solo per fare qualche nome. Tra gli amici del SEI ci sono i Tre allegri ragazzi morti. E proprio al leader del gruppo, cantante, musicista e fumettista Davide Toffolo abbiamo chiesto un “manifesto d’artista”. E lui cosa ci regala? Un manifesto legato proprio alla tragedia che ha colpito gli ulivi. «Quando ho sentito questa notizia ho pensato si trattasse di un argomento importante per realizzare un disegno che in qualche modo esprima anche la nostra posizione rispetto a un tentativo di difesa del territorio. Mi sembrava un’immagine forte questa dei Ragazzi Morti intorno a un ulivo secolare, pronti a difenderlo». Il quinto numero del nuovo Coolclub.it parte dunque dalla difesa del nostro territorio. Ognuno può difenderlo come può, come sa, come vuole. Scendendo in piazza contro il taglio dissennato degli alberi, facendo le ronde contro la costruzione della Tap, impegnandosi con gli avvocati contro la “Superstrada” 275. Noi lo abbiamo sempre fatto e continuiamo a farlo a modo nostro. Pensando, organizzando, promuovendo il bello e la cultura che arrivano o partono da queste latitudini. Nel giornale troverete interviste, approfondimenti e tante cose da andare ad ascoltare e vedere. Buona lettura, buon ascolto, buona visione. (pila)


INTERVISTA


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SUPERONDA La “storia segreta” della musica italiana raccontata dal giornalista Valerio Mattioli a cura di OSVALDO PILIEGO Quanto sappiamo di noi? Della nostra storia musicale. Come sempre, c’è una parte della memoria documentata, impressa nell’immaginario collettivo. E poi c’è una parte del racconto più nascosta quella che richiede uno sforzo, una fatica da esploratore. Il tassello mancante che unisce tutto e fornisce risposte a tante domande e riempie i puntini di sospensione. E spesso è anche il collegamento tra arti e generi, che trasfondono uno nell’altro creando un movimento, una direzione coesa e la dimensione di un determinato periodo. Gli anni ‘60 e ‘70 sono stati, per motivi diversi, cruciali in un tutto l’Occidente e non solo. Sono anni di liberazione espressiva, di sperimentazione, di arrivi e partenze. Anni che il cinema e la canzone hanno raccontato bene e a più livelli. Di questo e di tantissimo altro parla “Superonda (storia segreta della musica italiana)” edito da Baldini e Castoldi, di Valerio Mattioli. Un libro importante che esamina un periodo cruciale della nostra storia musicale da una prospettiva nuova. Cramps, Area, Luciano Berio, Piero Umiliani, Ennio Morricone, il Battisti di “Anima Latina”, il Canzoniere del Lazio, Franco Battiato, i Goblin sono solo alcuni dei nomi che animano le pagine di questa guida alternativa. Un libro che racconta non solo la musica di quegli anni ma anche il


cinema e in qualche misura il nostro Paese. Un libro che dal passato offre degli spunti per guardare al presente in modo diverso. Abbiamo fatto qualche domanda a Valerio permettendoci di spaziare un po’. Nel tuo libro indaghi una parte della nostra storia musicale nascosta ma importantissima. Ti concentri su un periodo nodale per quello che sarebbe poi stato lo sviluppo di musiche possibili. Da dove sei partito e perché? Le vicende di Superonda cominciano “ufficialmente” al 1964, che è l’anno della nascita dei primi gruppi beat, del Morricone western, della pop art alla Biennale di Venezia, e di tanti altri piccoli segnali che in qualche modo ne fanno uno snodo simbolico per lo sviluppo delle musiche trattate nel libro. Però c’è pure tutta una prima parte che racconta gli anni che precedono il 1964 e che in

qualche misura serve a preparare il terreno: sai, la situazione italiana del dopoguerra, le radici di fenomeni che poi esploderanno solo a tempo debito, la nascita di Sanremo, la musica da film, l’avanguardia colta, eccetera eccetera. La musica cosiddetta colta si è trasfusa in certi fortunati casi nella musica più popolare. Ci racconti gli esempi più fulgidi, secondo te di questa ibridazione? Forse il caso più eclatante è proprio Morricone: ha cominciato come compositore dell’avanguardia dura e pura, poi è passato ad arrangiare canzonette per la RCA, poi si è dato alle colonne sonore, e intanto non ha mai smesso di lavorare assieme al Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, che a un certo punto provarono pure a fare un disco “rock”. Ma ci sarebbero comunque tanti altri casi: per dire, è difficile immaginare il


gici” tracciati da Morricone si siano evoluti in questi anni. Cos’è cambiato? Allora, in Italia tendiamo a considerare Morricone come questo intoccabile senatore della musica italiana che vince gli Oscar e compone le colonne sonore di Tornatore. Però la sua lezione è stata di una certa influenza anche per tantissime correnti “di rottura” del pop internazionale: dall’acid rock californiano al dub, dal post-punk al post-rock, dal “desert rock” a certa elettronica sperimentale... Forse il suo insegnamento principale resta questo approccio libero a linguaggi sulla carta molto distanti: come dicevo prima, è uno che è passato come nulla fosse dalle melodie immortali di Se telefonando alle improvvisazioni atonali ultra-avantgarde delle colonne sonore dei film gialli.

primo Battiato senza il minimalismo di Riley e Reich, oppure gli Area senza John Cage. Il tuo racconto comprende un periodo limitato che si ferma al 1976, hai comunque lo spazio e il tempo per analizzare la nascita di alcune avanguardie, delle controculture. Una chiave di volta per quello che sarebbe il nostro Paese dopo… Sì, dopo il 1976 c’è il 1977 e lì prende il via quella che in effetti è un’altra storia; non solo a livello di musiche (e quindi il punk con tutto quello che ne consegue) ma anche in termini di movimenti, immaginari, riferimenti culturali... Ma è chiaro che, senza il “lavoro della talpa” inaugurato dalle controculture underground degli anni ‘60, difficilmente ci sarebbe stato alcun Settantasette... Da esperto, credi che alcuni scenari “mitolo-

Oggi sembra si siano affievoliti un po’ i confini. Le musiche cosiddette “indie” sembrano riappacificarsi con la musica commerciale attingendone a piene mani, penso ai Giornalisti con Vasco Rossi, il caso Calcutta, e tutta quella schiera di “nuovi” cantautori. Quanto hanno a che vedere con i predecessori degli anni 70? Cosa ne pensi? A me sembra che l’attuale indie italiano si inserisca in quella posizione storicamente occupata dalla vecchia “canzone d’autore all’italiana”, che a sua volta era un fenomeno comunque mainstream, mica un culto carbonaro-underground. Certo, cambiano i tempi e quindi anche i linguaggi: l’indie anni 2000 è molto più ironico e se vogliamo frivolo del suo antenato anni 70; di mezzo mettici pure l’incessante opera di “sdoganamento” (parola orrenda) di fenomeni o artisti considerati a suo tempo innominabili, tipo non so, gli 883. Ma insomma, ricordiamoci anche che già il De Gregori di Rimmel veniva accusato dalla critica underground di scrivere testi buoni per i Baci Perugina... È estate, tempo di festival, di tormentoni, un momento strano per la discografia e la musica. Hai scritto un’analisi illuminante sulla nostra canzone “mainstream” parlando di Sanremo. Ci riassumi la tua visione della “canzone” italiana? Cosa non funzio-

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na? Quanti mercati esistono se ne esistono? Non credo che la canzone italiana “non funzioni”. Anzi, per certi versi funziona fin troppo bene, visto che è ancora lì, sostanzialmente identica a se stessa, da quasi un secolo! E io veramente non ho proprio nulla contro di lei. Anzi, mi piacciono un sacco di “canzonette” sia vecchie che nuove, e mi pare evidente che – Sanremo o meno che sia – queste occupino una posizione importante nell’immaginario italiano e nella stessa “identità della nazione”, diciamo così. L’unica cosa che mi permetto sommessamente di suggerire, è che non possiamo ridurre la storia della musica italiana all’eterna diatriba Sanremo vs. cantautori, oppure canzonetta commerciale vs. canzonetta impegnata e così via. Insomma, ci sono stati – e continuano a esserci – percorsi altri, laterali e divergenti non meno importanti di quelli canonizzati dalla critica generalista. E forse alcuni di questi percorsi hanno aperto prospettive nuove, originali, e potenzialmente ancora in divenire. Il tuo è un lavoro importante per la “memoria” del nostro patrimonio culturale. Cosa resta oggi? Cosa dovremmo recuperare, conservare? Forse l’aspetto più interessante delle musiche trattate in Superonda è il loro rapporto con un contesto che non era solo e semplicemente musicale, ma anche genericamente culturale, artistico, in qualche caso politico. È ovvio che l’Italia del 2016 non è minimamente paragonabile a quella degli anni 70; ma la cosa bella di musicisti come Battiato, Claudio Rocchi, Alvin Curran, il giro Cramps, la scena napoletana eccetera, era anche il rapporto di scambio con espressioni extramusicali che pure, per vie traverse, finivano per influenzarne forme e suoni. Sarebbe stupendo se anche i musicisti di

adesso cominciassero ad annusare “che altro c’è in giro” al di fuori dello stretto recinto delle musiche più o meno pop. Che poi è quello che in effetti sta succedendo adesso, per esempio con alcuni musicisti elettronici perlopiù stranieri che sono molto addentro a un dibattito politico-filosofico non scontato e anche parecchio impegnativo. Potrà sembrare paradossale, ma una musicista come Holly Herndon ha molto più in comune con certa musica italiana degli anni 60/70, che non tanti emuli impegnati a replicare le atmosfere del Morricone western. Una domanda difficile. C’è stato un tempo in cui l’Italia era da “esportazione”. Cosa rappresenta, in questo periodo storico, la musica italiana nel mercato globale? Mah, quello che ha sempre rappresentato: un paese (musicalmente) piccolo e periferico da cui ogni tanto proviene qualche tormentone buono per le classifiche di ogni dove. Anche l’idea che in passato ci sia stata un’Italia da esportazione, è vera solo a metà: all’estero un disco come Fetus di Battiato ha più fan adesso di quanti ne aveva nel 1972, perlopiù grazie a una serie di (ehm) influencer che l’hanno scoperto e rimesso in circolazione a decenni di distanza dalla sua effettiva pubblicazione (mi vengono in mente tizi come Julian Cope e Jim O’Rourke, per dire). Una domanda stupida. Ci racconti le tue cinque canzoni perfette? Intendi canzoni “pop”? Più che stupida è una domanda impossibile! Facciamo che mi rimetto alle parole di uno che di pop ne sa come Paul McCartney, secondo il quale la canzone perfetta per antonomasia è God Only Knows dei Beach Boys. E se lo dice lui! Certo che però pure Se telefonando...

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MUSICA

LIVIO MINAFRA

La musica è tutto. Ma non è tutto. Il suo pianoforte non è mai “solo”. Livio Minafra, compositore e pianista barese, ha girato il mondo proponendo la sua musica. Ai tasti affianca spesso “giocattoli” di ogni tipo. Figlio del trombettista Pino e della clavicembalista Margherita Porfido, sin da piccolo ha respirato in casa l’amore per la musica. Vincitore del prestigioso premio Top Jazz nel 2005, 2008 e 2011, ha collezionato numerosi lavori discografici e partecipazioni come pianista, compositore, arrangiatore e fisarmonicista nei progetti MinAfric Orchestra, Municipale Balcanica, Canto General, Radiodervish (per citarne alcuni) e collaborazioni con importanti nomi nazionali e internazionali. Recentemente ha pubblicato due lavori discografici, entrambi realizzati con il sostegno di Puglia Sounds Record. “Born Free” in duo con il batterista Louis Moholo e “Sole Luna”. To Play in inglese significa sia giocare che suonare. Credo che sia il verbo che più si addice alla tua musica. Suoni giocando o giochi suonando. Nel tuo “Sole Luna” questa “scelta programmatica” entra anche nel sottotitolo. Piano, toys (giocattoli appunto) e loop station. Come nasce l’idea di questo disco solitario ma non in “piano solo”? La risposta non sarà sorniona ma onesta. Se avessi avuto dieci mani avrei già suonato come il cd Sole Luna. Chi come me si sente prima compositore e poi musicista sa che avere un’idea in

mente non significa per forza poterla suonare da solo. Perché a volte due mani non bastano. Ecco perché non è un cd in piano solo ma, come dici tu, in solitario. L’ausilio, infatti, della loop station a 3 piste (tradizionalmente è a una) fa la differenza. Con essa riesco a gestire due zone armoniche differenti ed una cuscinetto di percussioni. Ed è proprio grazie a quella percussiva che riesco a migrare dove voglio non morendo col primo loop. Naturalmente tutti i possibili e immaginabili toys e strumentini del caso li ho finalmente inseriti nel “piano solo” ed il risultato è che non voglio quasi più suonare ora senza loop. Credetemi, mi mancano le altre 8 mani, la mia orchestra. Sole e Luna. Una stella e un satellite. A volte l’una oscura l’altra nel gioco di rotazione dei pianeti. Qual è il senso di questo titolo e perché hai deciso di proporre un doppio cd? Il senso del cd è proprio che viviamo di opposti. Fame e sazietà, giorno e notte, acqua calda e fredda, esaltazione e depressione. Ogni sensazione e condizione non è mai fissa ma cangiante in opposizione e grazie all’altra (è un concetto di Eraclitea memoria). Ed è la terza volta che uso un ossimoro. “La dolcezza del grido” (Leo 2002), “La Fiamma e il Cristallo” (Enja 2007) e ora “Sole Luna” (Incipit 2016). La novità è che ho voluto scindere l’ossimoro! Sole da una parte e Luna dall’altra. Perché? Un motivo molto semplice. Chi segue la mia musica spesso ama


i brani lenti e salta quelli inquieti poiché infastidito. O al contrario si annoia a sentire i miei brani neoimpressionisti e va sulla carne viva. Per evitare questo zapping musicale ho scisso il cd in due inventando la possibilità dell’ascolto rispetto allo stato d’animo del momento. Se piove fuori, metti Luna. Se stai guidando metti Sole. Sei sei triste metti Luna o addirittura Sole se vuoi riprenderti! E così via... Nei brani ci sono numerose citazioni e molte dediche speciali. Come nascono questi pezzi? Sono pezzi di vissuto sublimati al pianoforte. Non lo faccio apposta ma quando una cosa mi colpisce e ferma un attimo - la vita è una corsa allora spontaneamente scrivo. è il caso del mio maestro di jazz tradizionale Davide Santorsola, che non c’è più. è il caso di Aylan, il bambino simbolo dell’immigrazione. è il caso di Han Bennink e Misha Mengelberg o “Pierrot” dedicata al mio figlioletto Sol o “Sarajevo” dedicata all’assedio omonimo e ai miei amici Divanhana che me l’hanno raccontato, sul posto. è la mia vita. La musica la racconta, sinceramente e dolentemente. Io sono anche un compositore contemporaneo (mi laureo con Vito Liturri il 13 luglio in Composizione al Conservatorio Duni di Matera, sarà la quarta laurea) e so cosa significhi scrivere con la testa, con rigore e con calcolo. Ho studiato Schönberg, Berio, Messiaen. Ma come ho detto all’inizio i miei brani sono delle sublimazioni e delle esorcizzazioni “inconsapevoli” nate al piano. So di fare una domanda scontata e forse banale. Ma sono molto curioso della tua risposta. Cos’è per te il jazz? Be yourself and talk about you. Pochi mesi fa hai pubblicato un progetto che ti vede duettare con un mito della musica sudafricana e internazionale come Louis Moholo. Come nasce l’idea di “Born Free” e cosa ci puoi raccontare della collaborazione con lui? Abbiamo collaborato sin dal 2004 con progetti dedicati alla musica dei Sudafricani e i loro storici collaboratori (Mongezi Feza, Dudu Pukwana, Harry Miller, Chris McGregor e molti altri). Louis Moholo è l’unico sopravvissuto e non perché abbia 100 anni, perché ne ha 75, ma perché tutti i suoi compagni sono morti giovanissimi. Lasciando cd perle con la Ogun Records. L’a-

mico Riccardo Bergerone da tempo suggeriva a mio padre di fare qualcosa al riguardo. Nel Talos Festival del 2004 nacque questa collaborazione che non si è mai interrotta. Con la variante che un giorno Louis stesso mi ha chiesto di fare un duo. Duo che abbiamo realizzato nel 2014 a Ruvo e nel 2015 in Germania raccogliendone audio e video e realizzando “Born Free” con la Egea e il sostegno di Puglia Sounds (che sostiene anche Sole Luna). Un percorso di totale improvvisazione che mi ha riacceso dentro l’improvvisatore puro, figlio di Cecil Taylor, Antonello Salis e Sergey Kuryokhin. Attendiamo nuovi concerti! Recentemente sei stato con la Minafrìc Orchestra a Ravenna. Un progetto nato tanti anni fa dalla vulcanica mente di tuo padre Pino. Qual è il vostro rapporto artistico e qual è stato il tuo apporto in questi anni ai suoi progetti e al ritorno del Talos Festival? La cosa è sia filosofica che artigiana. Se tuo padre è falegname terrà suo figlio piccolo in bottega a far dei lavoretti sia per fargli passare il tempo e sia per trasmettere ciò che è la sua vita. Tali sono tanti casi di musicisti figli di musicisti. Non comprendo e non condivido infatti miei colleghi che non portano mai con sé le proprie compagne e i propri figli. Quella è la cosa migliore che sanno fare e non è possibile che sia estranea ai loro cari. Così infatti non è stato per me. La musica era una stanza dei giochi. Trovesi, Gaslini, Schiano erano i miei zii. Ed io che volevo fare il cuoco ma stavo nella bottega di mio padre (e anche mia madre, clavicembalista di musica antica e contemporanea) forse non ho potuto non fare il musicista. Oggi continuiamo a fare delle cose insieme con mio padre - la MinAfrìc Orchestra, Canto General - ed altre son divise. Il Talos idem. L’ho vissuto fin da piccino e quando ormai era spacciato non ho esitato a buttarmi in politica nel 2011 per riprenderlo. Ci sono riuscito ed ora con gli sforzi dell’amico Pasquale De Palo e del nuovo sindaco Ninni Chieco siamo alle soglie di una nuova ripartenza, speriamo definitiva ed adulta verso una prospettiva di stabilità. La vita di un musicista non è solo suonare ma creare armonia intorno. Insegnando, componendo, facendo il papà (e il marito), con la politica per fare qualcosa di concreto. Perché la musica è tutto. Ma non è tutto.

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MINO DE SANTIS Petipitugna è il nuovo disco del cantautore salentino Forse vi sarà capitato di imbattervi in uno dei suoi live in giro per il Salento. Mino De Santis è un uomo schivo e di poche parole. Nel corso degli anni aveva accumulato un “canzoniere” composto da centinaia di brani. Sollecitato dagli amici ha iniziato a esibirsi. Prima per pochi intimi e poi via via per platee sempre più numerose. La sua passione per la musica d’autore in dialetto, sferzante, ironica, poetica, in alcuni capitoli, si è trasformata nel suo lavoro principale. Dopo “Scarcagnizzu” (Fondo Verri, 2011), “Caminante” (Ululati, 2012) e “Muddhriche” (Ululati, 2013), e dopo circa tre anni di pausa e di riflessione musicale Mino De Santis torna con “Petipitugna”. Prodotto da Abac Edizioni di Andrea Baccassino, curato musicalmente dal chitarrista e compositore Marcello Zappatore, il disco contiene tredici nuovi brani. La tua scrittura e la tua voce sono ormai inconfondibili. Le tue canzoni narrano storie di vita quotidiana. Cosa c’è in questo nuovo disco? Quali le differenze con i precedenti? È un disco molto vario nel senso che le tematiche affrontate sono di diversa natura: dalle canzoni più intimistiche a quelle più ironiche e irriverenti. Rispetto ai dischi precedenti questo è sicuramente molto più curato e studiato.

Cosa è la Petipitugna del titolo? Petipitugna è un termine che mi riporta indietro nel tempo, una filastrocca, un gioco che facevamo da bambini. Un ritorno ai ricordi, ai tempi dell’infanzia. Il disco è arrangiato da Marcello Zappatore che arriva da percorsi artistici molto differenti dai tuoi. Com’è nato il vostro incontro? In che modo avete lavorato sui brani? È stata un’esperienza molto costruttiva e utile, in Marcello ho visto la precisione, la perfezione, la tecnica, la bravura, la serietà, il talento più autentico di un musicista stellare. Tutti requisiti che non ho io. Sono approssimativo, istintivo, estemporaneo, impreciso, emozionale e incasinato. Credo che sia stato un incontro che ha arricchito entrambi, diciamo che ci siamo completati. Credo che questo connubio abbia dato risultati molto positivi, questo è ciò che penso. Spero sia anche ciò che avvertono coloro che ascolteranno il disco. È un disco corale con molti musicisti e molti ospiti. Come ti trovi in questa nuova veste dopo aver lavorato a lungo solo con la tua chitarra o con pochi compagni di viaggio? Mi sento quasi protetto, al sicuro, sento le parole che canto come avvolte dalla musica


“vera”, le canzoni vestite con gli abiti giusti per essere presentate a un pubblico più vasto e competente. Io non sono un musicista. Arrangio con la chitarra con tutti i limiti che ho, cercando di dare il meglio di me, ma in questo disco ci sono la chitarra di Marcello Zappatore, il contrabbasso di Stefano Rielli, la batteria di Dario Congedo, la fisarmonica di Pantaleo Colazzo, il violino di Valentina Marra, l’arpa di Angela Cosi, il mandolino di Mauro Semeraro, le percussioni di Ovidio Venturoso, la tromba di Massimo Marcer, le “posate” di Giuseppe Delle Donne, la voce di Emanuela Gabrieli, il basso tuba di Andrea Doremi. Cosa dovrei volere di più? Un’altra collaborazione è quella con il produttore Andrea Baccassino, un altro autore che ha fatto del dialetto la sua cifra stilistica. Come vi siete scelti? È stato casuale, anche se io al caso ci credo molto poco. Lui ed io per certi aspetti ci somigliamo molto, nel senso che utilizziamo il dialetto per raccontare delle storie con leggerezza e ironia (che non sono sinonimo di superficialità, anzi..), due linguaggi differenti

ma che allo stesso modo mettono in risalto chiari e scuri della stessa realtà. A volte non ci si sceglie consapevolmente. A volte per dirla biblicamente si compie la profezia per la quale “paru cerca paru e paru pija” . Hai iniziato a suonare in pubblico abbastanza tardi ma con un repertorio già molto ampio e rodato. Cosa è cambiato in questi anni? In questi anni credo di essere maturato, vuoi per l’esperienza che ovviamente si fa a furia di suonare e cantare davanti alla gente, vuoi per le persone che s’incontrano e grazie alle quali si cresce e si apprende, per la capacità di mettersi sempre in discussione (cosa che mi riconosco tra i mille difetti che ho). Oggi non ho più quell’ansia che mi attanaglia alla gola prima di ogni spettacolo ma un’altra consapevolezza riguardo le mie capacità e anche riguardo i miei limiti, affronto tutto molto più pacatamente e mi sento più sereno di prima. C’è tantissima gente che mi segue che mi trasmette affetto e stima, tutto ciò mi aiuta e mi fa sentire motivato e all’altezza delle situazioni che mi si presentano.

IFAD Malazioni Rivolta Records “Malazioni” è un esordio deflagrante che ci presenta il lato più rock della Rivolta Records. Quello degli IFad è un disco claustrofòbico, nel suono e nel senso. Granitico nel riprodurre sonorità tipiche del cross over anni ‘90, senza sconti nei testi che scandagliano la realtà, le sue contraddizioni, la posizione dell’uomo di fronte al teatro dell’assurdo che si vive quotidianamente. E la cura è urlarla questa rabbia, alzare il volume, spingere fino al limite. Il disco è sicuramente ispirato, la band gira

benissimo, ha ben metabolizzato la scuola dei Deftones e ha fatto tesoro della lezione dei pionieri come i Linea 77. Un disco poco trasversale, per gli amanti del genere. Gli IFad sono tra gli esponenti di una Puglia “metal-hardcore” che non dorme mai, l’ennesima conferma di una scena rock varia e viva che si rigenera. Gli IFad tutti classe 1987 sono cinque ragazzi di Ginosa, in provincia di Taranto. Ascoltate “Malazioni” rigorosamente a volume altissimo. (O.P.)

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MICHELE CORTESE

Dopo l’esperienza in Cile il cantautore (ex Aram Quartet) torna con un nuovo singolo Vincitore al Festival Internazionale della Canzone di Viña del Mar, co-coach della prima edizione della versione cilena di The Voice e poi ancora collaborazioni, concerti, fiere in tutto il Sud America. Michele Cortese, ha vissuto un sacco di “partenze” dal Salento. Ma nel Salento finisce sempre con il tornarci, forse spinto dalla necessità di rinsaldare il legame con una terra che gli ha dato gioie e, forse, qualche delusione. Un luogo dove continua a condividere la sua musica con gli amici di sempre e da dove decide di far partire il suo nuovo tour che, non a caso, si chiama Km0. Michele, alla fine riparti sempre da casa e la prima data del tuo nuovo tour è proprio a Gallipoli. A conti fatti devi comunque molto al Salento?

Certamente! Al Salento devo gran parte dell’ispirazione di cui mi sono nutrito sin da ragazzino ed anche in questi anni per fare musica, scrivere cose, soffrire, gioire, partire e tornare. Dopo l’esperienza di X-Factor (sembra ormai passata una vita) hai intrapreso una carriera da solista pubblicando due album, tanti singoli e ti sei tuffato nel progetto “Il teatro dei Burattini”. Poi è arrivato l’incontro con Franco Simone che ti ha aperto nuove prospettive. Raccontaci... Come tutte le cose più belle e vere nel mondo dell’arte la collaborazione con Franco è iniziata per caso: lui era un grande sostenitore degli Aram Quartet all’epoca della nostra partecipazione a XFactor e così ci siam cono-


sciuti la prima volta dopo la trasmissione. Poi nel 2012 ho intrapreso il mio percorso solista e di lì a poco con Franco abbiamo iniziato a cantare insieme in varie occasioni, a lavorare ad importanti progetti discografici comuni che dall’anno scorso ad oggi hanno iniziato a portarci alcuni importanti risultati. Quando si è concretizzata la possibilità di fare delle esperienze nel Sud America cos’hai pensato? Ha scelto subito di buttarti in questa nuova avventura oppure no? Sì, immediatamente. Questo è successo tra l’altro in un periodo in cui mi rendevo conto di quanto in Italia il mondo dello show business fosse impallato, corrotto, monopolizzato, per cui non ho avuto neanche un attimo di esitazione. Sul palco del Festival Internazionale della Canzone di Viña del Mar eri visibilmente emozionato. Questo non ti ha impedito di ottenere un meritato successo. Qual è il tuo ricordo di quei giorni? Li ricordo come tra i giorni più belli, emozionanti ed intensi della mia vita artistica. In pochi giorni mi sono ritrovato dal sud Italia al sud del mondo travolto da una bufera mediatica, con tutte le critiche migliori a mio favore e accolto stupendamente da un pubblico di cui ancora conoscevo a malapena la lingua. Lì ho compreso ancora di più la magia del linguaggio universale della musica! Vincere quel Festival ti ha permesso di “giocarti” altre carte. Sono nate opportunità e collaborazioni importanti, come ad esempio il singolo “Madrugada” con Rita Cammarano. Ma, sopratutto, hai imparato a conoscere un pubblico nuovo.... Con Rita è stata un’esperienza sui generis, molto divertente e stimolante, lei rappresentava per me l’emblema del bel canto italiano che ho studiato e da cui sono sempre stato affascinato, per cui questa contaminazione tra il rock e la lirica nel brano “Madrugada” è stata una gran bella avventura artistica. Che dire invece del pubblico cileno e sudamericano in genere. Un popolo che ha conosciuto il dolore, la sottomissione, la repressione delle idee fino a non molto tempo fa non può che avere fame di arte e di cultura, voglia di

riscatto, idee nuove, conoscere la maniera migliore di regalare affetto e rispetto ad un artista. Non è mai un pubblico distratto, qualunquista, maleducato, è incredibile. Anche in Italia e in Europa ovviamente, quando non è vittima di sporcizia che i media propongono o impongono come fatto artistico, è un pubblico capace di regalare bei silenzi e grandi emozioni. In Italia la collaborazione e l’amicizia con Franco Simone si è suggellata anche nell’esperienza dello “Stabat Mater” un’opera rock sinfonica che per te è stata una novità assoluta. Sì, una novità assoluta nel mio percorso artistico fino ad ora ma anche un ritorno al mio primo amore musicale: da ragazzino infatti ho iniziato ad amare la musica e a cantare grazie ad una forte passione per la rock opera Jesus Christ Superstar di Andrew Lloyd Webber. Lo Stabat Mater di Franco è qualcosa del genere che racchiude rock, sinfonia, teatralità, vocalità. Io ho avuto il piacere di curarne anche gli arrangiamenti vocali e mi sono divertito moltissimo. Tra l’altro è la prima opera pop che ottiene il patrocinio del Ministero dei Beni Culturali italiano. Nel frattempo non ti sei fermato continuando a lavorare sul tuo nuovo tour con il quale torni a suonare le tue canzoni in giro per l’Italia. Ci anticipi qualcosa del tuo nuovo spettacolo? È un viaggio tra canzoni vecchie e nuove, brani inediti dei miei due dischi, cover che ho sempre amato e che in qualche modo hanno fatto da colonna sonora a tappe importanti della mia vita artistica. Azzerare i chilometri e ripartire per nuovi viaggi, nuove storie, nuove emozioni, è il vizio dei sognatori come me. Sarà un’estate sicuramente “calda” per te. Cosa “bolle” invece in pentola per il futuro? Un nuovo singolo “Prendimi la mano” proprio per l’estate e dopo un disco per tornare alle sonorità proprie di una band che sono sempre state le mie predilette e a raccontare storie vere, inquietudini, passioni, rock’n’roll. Io non vedo l’ora! Simone Coluccia Esco di Radio - Mondoradio

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Foto Flavio & Frank

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MOODS

Chemical lover, nuovo video per la band che si muove tra pop rock ed elettronica Nuovo singolo e video per i Moods, band salentina che si muove tra pop rock ed elettronica. “Chemical Lover” è un brano estratto da “Wailing”, album di esordio uscito qualche mese fa. Una traccia decisamente più elettronica rispetto ai precedenti singoli, con sonorità che passano dallo step alla techno in un viaggio sonoro cupo ma che sa far incantare e ballare. Nella scrittura e nell’esecuzione del brano la band - composta da Stefano Scuro (voce/chitarra). Errico Carcagni Ruspa (synth, tastiere, programmazioni), Antonio De Marianis Dema (batteria, drum programming) e Dario Ancona (basso) - è affiancata dal cantautore e musicista Carmine Tundo (La Municipàl, Nu-Shu e altri progetti). «Il brano nasce quasi per gioco una notte di un po’ di tempo fa mentre Carmine e “Dema” stavano registrando un brano per La Municipàl. Dopo è entrato in scaletta e nel nostro disco. La conferma di aver fatto un’ottima scelta l’abbiamo avuta testandolo al RockInRoma in apertura ai Chemical Brothers», ci racconta Stefano Scuro. Il videoclip, firmato da Guglielmo Bianchi, è stato girato a Berlino. «Berlino è da sempre una delle nostre città preferite ed è un punto di riferimento per la musica elettronica. A differenza degli altri singoli, questo ha un sapore più cupo e delle sonorità appunto più “electro” per cui ci sembrava adatto dare al video un’ambientazione nord-europea. Possiamo dire di aver soddisfatto un desiderio che avevamo da un bel po’ di tempo», pro-

segue il cantante. Un video che sembra creato per essere al passo coi tempi: narra uno dei nuovi possibili modi di “fare” e “vedere” l’amore. «Guglielmo ha letto il nostro brano in questa maniera, tirando fuori questa visione e portandola fino alle soglie dell’ossessione e della perversione». Nella realizzazione del cd i Moods hanno seguito un percorso al contrario: prima suonando in giro per l’Italia e l’Europa e poi registrando. «È stato azzardato ma piacevole testare i nostri brani dal vivo e i risultati sono stati incoraggianti. Abbiamo creato aspettativa e quando l’album è uscito lo hanno ascoltato e comprato in tanti (il primo giorno siamo volati al primo posto della chart elettronica su I-Tunes e al 36esimo posto della classifica generale italiana). Il nostro è un progetto che nasce per gioco, rivisitando cover alla nostra maniera e agli inediti ci siamo arrivati dopo un percorso, un po’ come si faceva negli anni ’90. Abbiamo avuto modo nel frattempo di affinare uno stile personale e di crearci la nostra cerchia di pubblico; è complicato ma ci vuole perseveranza e se poi quello che scrivi piace, i risultati pian piano si vedono». La band si definisce Pump Rock. «In effetti, abbiamo intitolato così anche il nostro singolo d’esordio che un po’ ci descrive. È una definizione nata per scherzo e che non significa praticamente nulla ma noi ne siamo orgogliosi e fieri e lo consideriamo un po’ come un marchio di fabbrica». Francesca Santoro


KEEP COOL - Dall’Italia e dal mondo a cura di OSVALDO PILIEGO Paul McCartney Pure Hear Music Cosa si può aggiungere intorno a una figura mastodontica come quella di Paul McCartney? Molto di quello che siamo e che la musica è diventata deve qualcosa a lui. E allora non possiamo che festeggiare i suoi 74 anni “suonati”. E il modo migliore è naturalmente la musica e questa selezione di brani tratti dalla sua produzione sterminata. Atmosfere, decenni diversi, ma uno stile e un senso della melodia unici e inimitabili caratterizzano “Pure”. Ennesimo feticcio per gli appassionati e sunto per i marziani che non lo hanno mai ascoltato.

James Blake The colour in anything Polydor Capita veramente a pochi musicisti di essere capostipiti di un genere. James Blake è uno di quelli. Il suo soul-step ha decisamente cambiato il suono di questi ultimi anni e tracciato un nuovo percorso che celebra l’essenziale, un approccio minimale e intenso alla canzone che torna protagonista. Questo ultimo lavoro spinge proprio sulla dimensione cantautorale. Diciassette canzoni, una dimensione musicale ancora nuova, la costruzione di un linguaggio proiettato nel futuro.

Jake Bugg On my one Virgin Il bambino prodigio della canzone inglese arriva dopo un esordio folgorante al giro di boa della terza prova, chiave di volta per la carriera di un artista. In lui c’erano e continuano a esserci una capacità di sintesi incredibile, l’eleganza acrobata di un giovane Dylan e la sintesi del meglio del britpop (Verve, Suede), il country, il blues. In questo disco si addentra in nuovi territori (“Gimme the love”, potrebbe essere un brano della Manchester anni ‘90). A volte sbaglia ma è giusto che sia così.


The Kills Ash and Ice Domino Records Mi è sempre piaciuta la riproposizione dei modelli, soprattutto quando non è imitazione ma prosecuzione, evoluzione. Quando ho visto per la prima vota i Kills ho pensato subito alla coppia Birkin Gainsbourg, alla figura della musa e dell’artista. Quel legame erotico che scorre tra uomo e donna innesca sempre una tensione musicale speciale. “Ash and Ice” - che riprende la formula collaudata di blues, rock ed elettronica minimale - non aggiunge né toglie niente al loro percorso. Sinceramente preferisco la Mosshart con i Dead Weather.

Samuele Bersani La fortuna che abbiamo (live) Sony Music Tra i cantautori italiani ce ne sono alcuni meno rumorosi. Discreti percorrono decenni collezionando grandi successi, scrivendo canzoni importanti, mantenendo sempre un profilo basso con umiltà. Questo, oltre a tante canzoni, mi è sempre piaciuto di Samuele Bersani. Esce in questi giorni “La fortuna che abbiamo” album live (con un inedito) che ripercorre i suoi 25 anni di carriera. Un disco che ci restituisce alcuni dei suoi brani più belli in versioni inedite che svecchiano gli arrangiamenti e pieno di duetti sorprendenti.

BUGO Nessuna scala da salire Carosello Records Quando ascoltai per la prima volta “Sentimento Westernato” capii che Bugo era uno diverso, lontano da tutto quello che c’era in giro. Uno “fuori”, un “outsider” come si dice, capace di un guizzo che ne faceva una voce originale in Italia. Un talento notato subito dalle major con cui, mantenendo la sua integrità e libertà ha pubblicato una manciata di dischi. Oggi Bugo torna con un nuovo percorso discografico e lo fa con un disco che fa i conti con il rock italiano di sempre (Vasco, Grignani, Carboni, Battisti). Brani che sembrano già dei classici.

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MAscarimirì

“Pizzica Dance Hall Party” è il nuovo progetto del gruppo salentino di Tradinnovazione Prodotto da Claudio “Cavallo” Giagnotti e Dilinò con il sostegno di Puglia Sounds e distribuito da Kurumuny, “Pizzica Dance Hall Party” è il nuovo progetto discografico di Mascarimirì. Ne abbiamo parlato con Alessio “Franza” Amato, producer della band salentina il quale ci ha portato alla scoperta della genesi di questo disco, delle collaborazioni che lo caratterizzano e dei prossimi progetti in cantiere. Come nasce il progetto “Pizzica Dance Hall Party”? Questo progetto è nato circa cinque anni fa dall’esigenza di poter portare quelle che erano le sonorità e i ritmi di Mascarimirì anche in contesti diversi da quelli dove solitamente andiamo a suonare. Avevamo intenzione di avvicinare il nostro sound a quello dei club internazionali dove passa solitamente musica differente da quella

nostra e quindi abbiamo iniziato a fare le prime sperimentazioni cominciando a lavorare con l’elettronica e i ritmi tradizionali in modo tale da poter dare un impatto più da sound system, più coinvolgente, più dancefloor”. Qual è stato il criterio con cui avete scelto i brani da inserire nel disco? In realtà questi brani si sono fatti scegliere da soli, in modo naturale. Voglio dire con questo che sono delle tracce che fanno parte del nostro bagaglio personale e che ascoltiamo e riascoltiamo da ormai tanto tempo. Nel momento in cui abbiamo deciso di fare un vero e proprio disco con il quale proporre il progetto Pizzica Dance Hall Party le nostre scelte sono subito ricadute su questi brani, perché li avevamo in mano e li analizzavamo da tempo per vedere cosa potevamo trarne.


Quali sono stati i vostri riferimenti e le vostre influenze musicali nell’approccio a questo progetto? Tendenzialmente nel lavorare in studio e nel curare le produzioni spesso e volentieri non ho fatto altro che rielaborare quelle che sono le tendenze della musica elettronica attuale in una chiave Mascarimirì. I nostri riferimenti possono essere le ultime sperimentazioni fatte con la Puglia con il Balkan o le musiche africane tribali, perché molto spesso l’elettronica di oggi è farcita di queste sonorità etniche. Personalmente mi sono chiesto il perché rielaborare sonorità che vengono dall’Africa o dai Balcani quando invece posso utilizzare i campioni della tradizione del Sud Italia che appartiene a luogo in cui sono nato e mi sono più vicini e familiari. In ogni caso, nella lavorazione del disco è stata coinvolta tutta la band perché abbiamo voluto che ogni strumento fosse suonato realmente. Al disco hanno collaborato i Totarella e i Telamurè… I Totarella li abbiamo incontrati un paio di estati fa in un festival. Claudio li conosceva già ma per me sono stati una splendida scoperta, per altro in una serata nella quale non mi sarei mai aspettato. Sono un gruppo che hanno un impatto sonoro particolare. Sono dei ragazzi più o meno miei coetanei e mi fa sempre piacere interfacciarmi con persone che affrontano queste tematiche artistiche con una certa vitalità ed emotività che non è quella semplice e pura reiterazione dei canti tradizionali. I Telamurè sono grandissimi amici con i quali ci conosciamo da un bel po’ di anni e che lavorano a Parigi, tanto è vero che quando siamo in Francia spesso ci ospitano anche a casa loro. Oltre ad essere degli ottimi artisti, sono anche degli amici con i quali abbiamo trascorso tante giornate insieme. Non abbiamo potuto fare a meno di prendere una loro traccia e remixarla. E poi Dj Click che aveva lavorato con voi già in “Tam!” e Dj Kayalik… Dj Click partecipò con un remix a “Tam!” del 2013 ma anche con lui ci conosciamo da tempo, avendo suonato spesso in vari festi-

val insieme. Non dimenticherò mai quando lo abbiamo ospitato al nostro festival “Ballati” e dopo la nostra performance lui iniziò a suonare con il suo dj set dall’altra parte della piazza, mentre io gli rispondevo con la mia tastiera sul palco. Prese vita un botta e risposta. Fu una cosa fantastica che mi esaltò tantissimo e da allora abbiamo cominciato a collaborare in modo più intenso e questo con tutte le difficoltà del caso. Puoi immaginare come sia difficile lavorare con una persona che vive tra Parigi e l’Andalusia a migliaia di chilometri di distanza. Per questo disco tutto è avvenuto via Skype, Facebook ed email, con i file che viaggiavano dal Salento alla Francia. è sempre molto divertente lavorare con lui perché è una persona open mind e a lui puoi fare le richieste più assurde come ho fatto durante la lavorazione di “Pizzica Dance Hall Party” e lui è stato tanto pazzo da assecondarle. Insieme a lui non poteva mancare Dj Kayalik, altro grande personaggio e producer dei Massilia Sound Sistem. Mascarimirì difficilmente sceglie di collaborare con un artista dal nulla. Prima c’è sempre un percorso personale di avvicinamento che poi sfocia in una collaborazione artistica. Ci sono tante altre collaborazioni in cantiere, che verranno fuori nei prossimi mesi, ma tutte sono il coronamento di una conoscenza e di una frequentazione personale prima ancora che professionale. Noi non produciamo musica tecno o suoni standardizzati, e dunque abbiamo esigenza di conoscere bene i nostri collaboratori. Quali sono i vostri progetti per il futuro? C’è l’estate che ci aspetta e faremo tante feste con il progetto Pizzica Dance Hall Party e tante ne abbiamo già fatte. Si sta rivelando un’avventura entusiasmante e divertentissima, la gente lo ha accolto benissimo perché abbiamo portato la musica “per terra” evitando il palco, riprendendo il concetto di Sound System giamaicano. Alterneremo a queste performance che facciamo io e Claudio “Cavallo”, ai concerti con la band al completo con la quale portiamo sul palco i classici della tradinnovazione. Salvatore Esposito

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GIANLUCA PETRELLA Cosmic Renaissance SpaceBone Records

RADICANTO Memorie Di Sale AreaLive

PIZZICATI INT’ALLù CORE Sciamu Shelve

Talentuoso trombonista barese, Gianluca Petrella vanta un percorso artistico costellato da numerosi riconoscimenti, collaborazioni di prestigio e tanti progetti che lo hanno visto protagonista. In questi anni il musicista ci ha regalato pagine di grande jazz, attraverso le quali ci ha svelato il suo approccio eclettico alla tradizione trombonistica. Dopo l’esperienza con la Cosmic Band, ha intrapreso un nuovo percorso di ricerca rinnovando e riducendo l’organico in forma di quintetto con il nome Cosmic Renaissance. Hanno preso vita, così, nuove composizioni basate essenzialmente sul rapporto tra strumenti acustici ed elettronici, in cui spicca il dialogo tra il trombone di Petrella e la tromba di Mirco Rubegni. Naturale è stato, quindi, l’approdo al lavoro in studio per cristallizzare le nuove rotte musicali individuate. In attesa del primo cd è uscito in anteprima un EP in vinile, nel quale sono raccolti cinque brani. Salvatore Esposito

Venti anni di carriera, dieci album, tra viaggi immaginifici mediterranei e approdi sicuri nella poetica del Sud Italia, tra sodalizi, confronti ed incontri. La band pugliese Radicanto ritorna con un disco, come sempre raffinato nelle sonorità e nelle liriche, in equilibrio acustico tra passato e contemporaneità, dove ci si muove tra colori timbrici variegati, accostando mondo medievale, canzone d’autore, stilemi world ed espressioni musicali tradizionali del Sud, dove armonie di umore jazz incontrano improvvisazione e spunti prog. Un lavoro costruito e arrangiato sull’intreccio delle corde e delle belle voci, su cui si innestano i flauti e le percussioni. Come nel precedente “Oltremare”, la città di Bari è al centro della narrazione. I Radicanto di questo nuovo disco sono Maria Giaquinto, Fabrizio Piepoli, Giuseppe De Trizio, Adolfo La Volpe, Francesco De Palma, Paolo Pace, Gianni Gelao. Ciro De Rosa

A tre anni di distanza dal disco di debutto “RonDanDò”, i Pizzicati Int’Allù Core CJS tornano con “Sciamu”, secondo album che segna una nuova fase nel loro percorso artistico, evidenziando la loro piena maturazione. Se nella loro opera prima proponevano in modo piuttosto didascalico brani della tradizione, questo nuovo lavoro li vede proporre nove brani originali, ispirati alla tradizione musicale dell’area Jonico Salentina, nei quali si intrecciano storie che raccontano la loro terra attraverso le sue problematiche, la vita quotidiana, la lunga scia di morti e disoccupazione che ha lasciato la piaga dell’ILVA di Taranto. Dal punto di vista prettamente musicale si evidenzia un sound più ricco e senza dubbio più attento alla definizione di una cifra stilistica originale come dimostra l’utilizzo anche di strumenti di area world. Un disco trascinante e al tempo stesso non banale che certamente promette di essere perfetto per i prossimi live estivi. Salvatore Esposito


Steve McCurry iconS

otranto castello aragonese

19giugno 2ottobre2016 mostra promossa da

cittĂ di otranto

stevemccurryicons.it prodotta da

in collaborazione con

media partner


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ROSAMARINO

Un progetto che coinvolge le voci di Rachele Andrioli, Ninfa Giannuzzi, Simona Gubello e Meli Hajderaj Ideato e prodotto da Ninfa Giannuzzi, cantante tra le più apprezzate della scena musicale salentina, il progetto “Rosamarino”, uscito poche settimane fa per Kurumuny, nasce dal desiderio di esplorare il patrimonio ritmico-sonoro del Mediterraneo partendo dalla riscoperta della centralità del canto, matrice comune di tutti i popoli per i quali le acque di questo mare hanno rappresentato occasioni importanti di scambi, relazioni e influenze culturali reciproche. In questo senso non è stata casuale anche la scelta del nome che rimanda al nome antico della pianta di rosmarino, una delle spezie più diffuse sulle rotte del Mare Nostrum, evocando suggestioni emotive ed olfattive intense. Accanto alla Giannuzzi in questa nuova avventura musicale troviamo le voci della talentuosa cantante salentina Rachele Andrioli, del soprano Simona Gubello e della cantante albanese Meli Hajderaj. Il sorprendente incontro tra queste quattro straordinarie interpreti ha dato vita a sorprendenti quanto complesse architetture vocali nelle quali le diversità stilistiche e di background musicale diversificati trovano il loro punto di forza in alchimie, collisioni, intrecci e dialoghi di rara intensità. A cristallizzare e documentare questo progetto è il disco omonimo, realizzato e promosso con il sostegno di Puglia Sounds Record 2016, nel quale hanno raccolto dieci brani provenienti da diverse tradizioni musicali, i cui particolari arrangiamenti sono stati curati da musicisti differenti, ed alla cui realizzazione hanno preso parte Vito De Lorenzi alle percussioni, Giorgio Distante all’elettronica e Rocco Nigro alle percussioni.

Ogni brano conserva integra la propria matrice tradizionale ma al tempo stesso viene proiettato verso il futuro nell’incontro tra le quattro voci e l’elettronica. Tradizione e contaminazione diventano un tutt’uno nella contemporaneità e nel confronto tra le diversità stilistiche. Ad aprire il disco è lo splendido arrangiamento per sole voci di Eliseo Castrignanò del tradizionale madrileno “Los Cuatro Muleros” il cui testo è stato ripreso anche da Garcia Lorca, ed alla quale segue l’intensa versione del tradizionale salentino “Damme Nu Ricciu” dove scopriamo le quattro voci ad evocare i canti alla stima nel contrasto riuscito con le increspature elettroniche di Valerio Daniele. Se Ninfa Giannuzzi è protagonista del canto sefardita “Yo m’enamori d’un aire”, la successiva “Barcarolle” di Jacques Offenbach curata da Vanessa Sotgiu è una delle perle del disco con il soprano Simona Gubello a guidare le tessiture vocali. Attraversiamo il Mediterraneo ed approdiamo in Turchia con “Üsküdar’a gider iken” per poi far ritorno in Andalusia con “Lamma bada yatathanna” nell’arrangiamento di Alessandro Aloisi. Non manca uno sguardo verso la tradizione napoletana con “Vulesse addiventare nu brigante” con le percussioni di Vito De Lorenzi a tessere la trama ritmica su cui si muovono le quattro voci, e uno all’Est europeo con le belle versioni del tradizionale yiddish “Tumbalalaika” e di quello serbo “Niška banja” con l’arrangiamento di Stefano Luigi Mangia. Un’intensa e struggente versione di “Bella Ciao” suggella un disco di rara intensità che ci mostra in piena luce tutto il talento di queste quattro voci. (S.E.)


TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI La band guidata da Davide Toffolo torna sul palco del Sud Est Indipendente Tre Allegri Ragazzi Morti, Go!Zilla, I Ministri, La Notte, La Municipàl, Niagara, Lim, Giorgio Tuma sono alcuni degli ospiti della decima edizione del Sud Est Indipendente, festival ideato e organizzato da CoolClub, con la direzione artistica di Cesare Liaci, e con il patrocinio del Comune di Lecce. Dal 15 al 17 luglio appuntamento all’Ostello del Sole di San Cataldo di Lecce, per una tre giorni di musica in riva al mare. Si parte venerdì 15 luglio (ore 21 - ingresso 10 euro) con Telepathic Dreambox e Plof. Sul palco arriveranno poi i Go!Zilla, una fuzz psychedelic punk band formata nel tardo 2011 a Firenze che propone un suono che prende ispirazione dalle atmosfere Grunge degli anni 90 e i singoli garage / surf 60s mixando il tutto con un’attitudine di matrice punk durante i live. Protagonisti al Sud Est Indipendente già nel 2007 e nel 2010, i Tre Allegri Ragazzi Morti tornano al Festival nel decimo anno dalla sua nascita per concludere la prima serata. La band mascherata friulana arriva in Salento con il nuovo “Inumani”, ottavo album in studio, uscito per La Tempesta a marzo. A chiacchierare con noi Davide Toffolo, frontman dei TARM, fumettista e amico di Coolclub,

che celebra il compleanno della rassegna realizzando il manifesto d’artista del 2016. Partiamo dal titolo del nuovo lavoro. Gli appassionati di fumetto non potranno fare a meno di pensare agli eroi Inumani di Jack Kirby e Stan Lee (per Marvel Comics). Chi sono i protagonisti del vostro album? Il nome Inumani in effetti è rubato proprio a loro. Si tratta di un ricordo legato alle letture da bambino; in questo caso però il termine viene usato con un’accezione più ampia. In fondo gli Inumani del disco siamo noi: ancora una volta si tratta di un racconto su me e i miei amici “ragazzi morti”, tutti bellamente speciali. Restando in argomento, nel caso dei TARM le canzoni sono già associate a un’immagine o meglio a un immaginario. Visivo e sonoro sono legati nella vostra produzione... Inumani è stato un disco particolare perché abbiamo prima lavorato alla musica della quale ero da subito molto contento - le parole, invece, sono arrivate in seguito. In realtà, c’è voluto più tempo del solito. Per quanto riguarda la dimensione visiva dei miei brani, penso sia dovuta semplice-


mente al fatto che faccio il disegnatore; i miei testi sono quasi degli “schizzi”. Il nuovo lavoro è realizzato da “tanti allegri ragazzi morti”. Il vostro nucleo finisce sempre con l’espandersi, coinvolgendo nuovi musicisti. Mi racconti l’importanza di questi contributi? In effetti ci sono molte collaborazioni nel disco. I nostri album sono sempre realizzati in una dimensione collettiva. Inumani è un lavoro speciale da questo punto di vista, con autori che stimiamo e che in qualche modo hanno avuto a che fare con l’immaginario dei Ragazzi Morti, come Alessandro (Pietro Alessandro Alosi, Pan Del Diavolo, ndr), Vasco Brondi, Maria Antonietta... Con Lorenzo (Jovanotti, ndr) la miccia si è accesa a New York. Siamo andati in America per un concerto proprio nel periodo delle registrazioni di Inumani; siamo rimasti lì una settimana assieme al nostro produttore e speravamo di non interrompere la concentrazione necessaria. Abbiamo immaginato che il viaggio a New York potesse essere un momento utile per continuare il lavoro e così è stato: lì è nato l’incontro con Lorenzo, con Monique (Mizrahi, ndr) e con Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion. A proposito di Monique “Honeybird” Mizrahi, nel disco e nel tour estivo c’è anche la sua presenza. Come cambierà il live show assieme a lei? L’incontro con un musicista nuovo cambia sempre l’assetto del live. Sono molto contento perché siamo riusciti a darle la luce giusta; Monique è una musicista spettacolare, suona anche degli strumenti inusuali come il charango. È un’artista che porta una visione nuova nel nostro sound. E poi sul palco è vestita come una farfalla; vedrete, sarà interessante. L’album musicalmente attraversa molti generi e dentro c’è anche la vostra prima cumbia. Da dove arrivano queste influenze sonore? Dipende, i dischi sono la registrazione di quello che ci succede tra un album e un

altro. Dentro a Inumani ci sono tanti tipi di musica. La cumbia, in particolare, è stato anche quello un regalo arrivato a New York, alla fine della registrazione. Per noi è importante restare con le orecchie aperte; io poi sono sempre stato sensibile a ciò che riesce ad accendere in me una scintilla. Anche se siamo in giro da tanti anni, inoltre, credo non ci sia nulla di nostalgico in quello che facciamo. Il nostro è un viaggio a tempo zero, nel momento in cui esistiamo: non c’è prima e non c’è dopo. In qualche modo ci rimane la possibilità di essere ugualmente “imbranati” a far la musica; come all’inizio, quando suonavamo punk. Nel 2016 il SEI – Sud Est Indipendente festeggia il suo decimo compleanno. È la vostra terza volta al festival e in molte altre occasioni i TARM sono stati con noi. Come ricordi le esperienze vissute in Salento? Ho sempre trovato un’affinità forte tra noi e i ragazzi di Lecce in particolare. Veniamo da due situazioni eccentriche, di provincia. La prima volta che sono venuto a suonare a Lecce, ad esempio, ho incontrato dei ragazzi che avevano una passione fortissima per la musica Mod, una cosa che è anche tipica della città da dove arrivo io. Direi che esiste una certa affinità nel gusto. Sono molto legato alle sensazioni che ho provato nel Salento, perciò sono sempre felice di tornare. Ultima domanda, che contiene anche un ringraziamento. Hai realizzato il bellissimo manifesto d’autore del Sud Est Indipendente festival 2016. Un modo stupendo per festeggiare la nostra amicizia. Ci racconti l’idea creativa che lo ha ispirato? L’idea di base è legata alla tragedia che ha colpito gli ulivi. Quando ho sentito questa notizia ho pensato si trattasse di un argomento importante per realizzare un disegno che in qualche modo esprima anche la nostra posizione rispetto a un tentativo di difesa del territorio. Mi sembrava un’immagine forte questa dei Ragazzi Morti intorno a un ulivo secolare, pronti a difenderlo. Chiara Melendugno

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I MINISTRI

La “Cultura generale” è sempre in tour Sabato 16 luglio, ospiti principali della seconda giornata del Sud Est Indipendente saranno I MInistri, la band milanese fondata nel 2003 da Davide Autelitano (voce, basso), Michele Esposito (batteria) e Federico Dragogna (chitarra). Da sempre fedeli a un certo stile, autori potenti nei contenuti ed esplosivi nel suono. Una band capace di anticipare quello che sarebbe stato un certo ritorno al rock duro in italiano. Nel 2006 l’esordio “I Soldi Sono Finiti”, uscito per Otorecords, diventa subito un caso discografico: nel disco la band inserisce una moneta da un euro e l’intero progetto ha un impatto forte su pubblico e critica. Grazie a questo esordio fortunato, I Ministri riescono a esibirsi su palchi prestigiosi (dal Mi Ami, a Italia Wave, sino allo Spaziale Festival) e collezionano più di un centinaio di live in due anni. Nel febbraio del 2009 esce l’album “Tempi Bui”, prodotto da Universal Music, e in tour per l’Italia con 90 date. Un anno dopo arriva “Fuori”, disco della consacrazione. Dopo una breve pausa, I Ministri tornano a esibirsi dal vivo il 10 agosto del 2012, in occasione dello Sziget Festival di Budapest. Il 2013 è

l’anno del nuovo progetto discografico per Godzillamarket/Warner dal titolo “Per Un Passato Migliore”. Il disco viene accolto, ancora una volta, con grande entusiasmo di pubblico e critica, aggiudicandosi un posto di diritto nella top ten degli album più venduti in Italia. “Per Un Passato Migliore” porta in giro I Ministri con più di 50 date in 6 mesi e nell’aprile del 2014 la band va in tour all’estero nei club di alcune delle principali città europee. Nel 2015 esce “Cultura Generale”, quinto album della loro carriera pubblicato a settembre per Warner Music/ Godzillamarket. Un mese a Berlino negli storici studi della Funkhaus, un produttore come Gordon Raphael (The Strokes, Regina Spektor) per un disco registrato quasi totalmente in presa diretta e con cui i Ministri entrano al terzo posto della classifica degli album più venduti in Italia. Dopo aver registrato una serie di sold out in locali quali Alcatraz, Estragon, Obihall, Hiroshima Mon Amour, I Ministri proseguono anche nel 2016 il tour di “Cultura Generale” confermandosi come una delle band rock italiane più seguite ed apprezzate.


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LA NOTTE

La giovanissima band fiorentina sul palco del Sud Est Indipendente proporrà i brani del disco d’esordio Prima dei Ministri sabato 16 luglio la seconda serata del Sud Est Indipendente ospiterà i tarantini A Morte l’amore, La Municipàl - band in copertina nello scorso numero di Coolclub.it che proporrà i brani dell’album di esordio “Le Nostre Guerre Perdute” - e La notte, band fiorentina (evoluzione dei Two More Canvases). Il loro omonimo disco d’esordio (Tirreno Dischi, 2015) con la produzione artistica di Karim Qqru (The Zen Circus, LNDLC), registrato e mixato da Manuele Fusaroli (Tre Allegri Ragazzi Morti, Nada, Management del dolore post operatorio) rappresenta la loro nuova direzione in lingua italiana che si avvicina a suoni più saturati e psichedelici. «Il passaggio dall’inglese all’italiano è stato probabilmente il momento più importante della nostra breve carriera: eravamo di fronte ad un bivio e abbiamo deciso di assumerci la responsabilità di usare la nostra lingua per raccontare la nostra musica» raccontano. «è stata una scelta bellissima, molto naturale, ma anche molto coraggiosa: non è semplice a 17/18 anni sentirsi in grado di esporsi al pubblico, è molto più semplice nascondersi dietro ad una lingua non tua. Ci è sembrata una presa di coscienza e un grande atto di crescita. Anche dal punto di

vista musicale il nostro sound si è scurito molto». I testi sono molto cinici che però lasciano sempre spazio alla possibilità. «Siamo contenti che si capisca questa cosa che per noi è molto importante. è un disco molto pesante, perché parla di giudizi personali e degli altri, delle convenzioni, delle illusioni, della solitudine, delle sofferenze e delle emozioni positive e negative. Però si, c’è anche la volontà di far trasparire le possibilità e le sfumature che la vita può offrire, è un disco che lascia tanta speranza». “Ma credo che la mia generazione/ non ne voglia più sapere di provare a volare/solo per pura paura di cadere e farsi male/ma poi che avrai da raccontare se ti riduci a camminare?”. Questa strofa riassume poeticamente una generazione, che ha evidentemente l’intento di spronare al cambiamento ma ha il sapore dell’illusione. «Noi combattiamo la paura scrivendo un disco che parla dei “disagi” e della speranza che può avere un qualsiasi giovane di oggi. Esternare le proprie paure crediamo sia il miglior modo per liberarsene; si tratta di prendere in mano la propria situazione e di non lasciarsi travolgere da ciò che di negativo di circonda». Francesca Santoro


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NIAGARA

Il duo torinese ci parla di “Hyperocean”

Da qualche anno a questa parte il Sud Est Indipendente ha una quota elettronica, una serata non propriamente rock, che esplora generi nuovi e scandaglia le novità più interessanti del panorama nazionale e non solo. Domenica 17 Luglio il festival si concluderà con una lunga giornata di musica che partirà dal tardo pomeriggio con Elektrojezus, Heidi for president, Giorgio Tuma, tornato a cinque anni di distanza dal precedente album con “This Life Denied Me Your Love”, Lim aka Sofia Gallotti, progetto di musica ambient evocativa che combina spazi esoterici con atmosfere esistenzialiste e sognanti. In chiusura ci saranno anche i Niagara, duo torinese composto da Davide Tomat e Gabriele Ottino (già assieme in progetti

come N.A.M.B. e Gemini Excerpt) che con il nuovo album “Hyperocean” ha convinto ulteriormente critica e pubblico. Un viaggio sonoro alla scoperta di quella zona di confine dove la macchina e l’uomo entrano in comunione con la natura, in questo caso la sua parte liquida. Un disco che si affranca dalla classica melodia per esplorare nuove zone della musica più emotiva. C’è stato un tempo in cui guardavamo oltre la Manica per trovare un suono capace di interpretare gli anni che vivevamo, erano gli anni 90. Adesso è tutto intorno a noi, siamo circondati dal suono del tempo in cui viviamo. Come si miscelano il passato e il presente nella vostra musica?


Davide - Un po’ come si miscelano passato e presente nella nostra mente. Senza passato e senza presente non esiste futuro. Un po’ come recita la frase “the past inside the present” del brano dei Boards of Canada “Music is math”. Io non riesco ad immaginare un futuro senza una percezione spontanea, chiara e intuitiva del presente e del passato. Ammetto di preferire la scoperta di cose nuove rispetto alla riscoperta delle cose “vecchie”, ma credo nasca da un esigenza personale di bilanciare il passato “esperienziale” e strutturale con una conoscenza del nuovo: il presente è il trampolino mediante il quale tuffarsi nel futuro. La suggestione da cui prende il nome il vostro progetto è un film (Niagara del 53, con Marilyn Monroe e Joseph Cotten), l’immaginario cinematografico fa parte delle vostre composizione o comunque parte da lì? Gabriele - è partito da li e ha influenzato tutta la nostra produzione. Ogni singola traccia di “Hyperocean”, ad esempio, è stata abbozzata musicalmente e in seguito chiusa dopo aver avuto chiara un’immagine del brano. Creiamo suggestioni musicali libere che ci suggeriscono visioni. Le visioni si trasformano in immagine chiara e definita che serve a noi per chiudere il brano, dargli un senso, inserirlo in uno spazio e in un tempo e aggiungere parole. La scintilla iniziale sommata all’immagine cristallina sono il cuore immateriale del brano tutto il resto è colore e forma che serve a dargli vita. La forma canzone, il pop sono elementi centrali nelle vostre composizioni, l’ossatura da cui poi partite per spingervi il più oltre possibile… Davide - In verità credo che a volte il processo sia l’opposto. Capita che si parta da un’idea dall’ossatura pop, ma forse più spesso partiamo da suoni e intuizioni nebulose per costruire la nostra musica. Ci siamo più volte resi conto che nel processo creativo ci viene abbastanza naturale e facile trasformare e organizzare suoni e suggestioni in modo che siano più fruibili di quanto non lo siano in partenza. Non è qualcosa che facciamo volutamente, ma è un processo similare al riconoscere una forma in una nuvola o in un

blocco di marmo e levigarla e plasmarla solo per portare in evidenza quella forma che abbiamo visto in modo che la possano riconoscere anche gli altri. Un po’ come avere un concetto astratto in testa, un’intuizione che senti concreta, una risposta a qualche domanda che avevi espresso chissà quando, insomma che non si tratta solo del solito divagare astratto senza meta, e allora provi ad organizzare quel concetto e a cercare di fare in modo che sia richiudibile se stesso, un po’ come i lavori di Escher. Che ruolo hanno i suoni presi dalla natura per questo disco liquido? Come nasce Hyperocean? Gabriele - Hanno un ruolo centrale assieme all’utilizzo della sintesi elettronica. Io a posteriori l’ho interpretata come un gioco in cui materia ed antimateria prendono l’uno le sembianze dell’altro. I suoni presi dalla natura sono esclusivamente acquatici. L’acqua del mare, di una piscina, ghiaccio ecc. Questi sono stati utilizzati molto spesso come campioni per creare delle trame ritmiche o processati per creare delle campiture sonore; quindi snaturate in un certo senso, amalgamate al tipo di suono elettronico. Molti dei synth pad e delle ritmiche utilizzati invece sono stati concepiti con l’idea di rendere suoni sintetici organici e fluidi. È una specie di inversione delle parti in cui la realtà catturata viene processata e snaturata, resa quasi inorganica e fredda, mentre la sintesi prende spunto ed ispirazione dal mondo organico e si scalda. Torino è una delle città che mantiene viva una scena musicale, almeno è questa la nostra percezione dall’esterno. Che ne dite? Davide - Chi meglio di colui che vede dall’esterno può avere una percezione oggettiva delle cose? Forse colui che dall’interno è talmente illuminato da poter mantenere una visione oggettiva delle cose? O forse uno scambio costruttivo fra questi due individui? Io mio malgrado non rientro in nessuno degli esempi citati e quindi non posso fare altro che fidarmi della tua tesi avvalorandola con il fatto che conosco tanta gente in gamba qui a Torino che fa musica interessante! (O.P.)

MUSICA

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LIBRI

ILVA FOOTBALL CLUB Un libro amaro che spiazza e fa riflettere, in cui il calcio è un meraviglioso pretesto L’Ilva è lavoro e morte. È un pezzo della storia industriale del Mezzogiorno e anche un buco nero di polveri, acciaio e dolore. è benessere ipocrita, è una pugnalata alle spalle di Taranto e dei tarantini, è un monito. Ed è persino un giacimento di ispirazione inesauribile per chi ama scrivere, sciogliendo i grumi delle vicende umane e della storia. Lorenzo D’Alò, ad esempio, cronista sportivo de La Gazzetta del Mezzogiorno, tarantino di Tamburi, che ha sentito il dovere di recuperare la memoria personale e collettiva degli anni Settanta all’Ilva attraverso la parabola della gloriosa Labor (in cui lui ha giocato insieme al fratello Gianni), la squadra in maglia grigia dei tornei amatoriali sul campo polveroso accanto allo stabilimento siderurgico. Grigia? Già grigia, come il cielo plumbeo sopra Tamburi. Che beffa. Una sto-

ria di pallone che diventa inchiesta, che esce dal romanzo per farsi cronaca, per stimolare interrogativi su cosa abbia rappresentato il calcio in quegli anni, quando l’ingenuità lasciò il posto al consapevole pericolo che l’Italsider, la prima Ilva, era ed è rimasta veleno nei polmoni e sulla pelle. A portare il racconto “oltre” la memoria è un collega di D’Alò, Fulvio Colucci, anch’egli tarantino, giornalista de La Gazzetta e profondo conoscitore delle storie dell’acciaio a Taranto. Hanno intrecciato le penne per tirare fuori “Ilva Football Club”, un libro duro (appena uscito per Kurumuny), uno schiaffo, una sveglia per riflettere. D’Alò, cos’è l’Ilva Football Club? è una squadra ideale di undici operai del siderurgico, tutti uccisi dal cancro, dall’aria


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Come nasce questo libro? Nasce da una necessità tutta personale, da artigiano della scrittura, cioè raccontare la storia della Labor e di questa singolare maglia grigia. O meglio, la storia del calcio nel quartiere operaio. Una necessità che ho condiviso con Fulvio Colucci e che lui ha insistito per portare oltre la memoria mia personale e collettiva del quartiere. Un po’ è romanzo, un po’ è inchiesta, certamente utile a denunciare cosa è e cosa è stata la fabbrica dell’acciaio a Taranto. Tra vite perdute e vite che resistono, abbiamo cominciato a denunciare tardi, ma è meglio non fermarsi. Un libro amaro che spiazza e fa riflettere, in cui il calcio è un meraviglioso pretesto. Sì, il proposito è stato quello di spiegare come il calcio in quegli anni sia stato un’occasione, una forma di evasione o di difesa dalla realtà della fabbrica o della strada, cioè dalla criminalità. E l’esempio di Don Franco o di Gino Vinci e delle altre piccole storie di calcio di questo libro sono lì a descriverlo. Basti pensare che negli anni Settanta al quartiere Tamburi c’erano ben 32 società sportive, altrettanti poli di attrazione per i giovani, che non avevano molte alternative di vita. Il confronto con la realtà odierna è tristissimo: i due campi sui quali si giocava sono murati perché avvelenati dalla diossina, dal berillio e da altre polveri nocive e persino per strada è vietato giocare per-

ché un’ordinanza del sindaco lo impedisce. Almeno in teoria, perché i bambini ci giocano lo stesso. Quella “disperata vitalità” di Tamburi, quindi, non esiste più. Forse è una vitalità diversa, trasformata. Tamburi non è più Taranto, nel senso che la “tamburinità”, il senso di appartenenza a questo quartiere, ha una dimensione diversa rispetto al resto della città. Naturalmente, perché l’Ilva ha inciso profondamente. Ha insegnato qualcosa l’Ilva? Certo, il passato insegna. Anche se un ex sindaco di Taranto amava ripetere che “potessero tornare indietro, i tarantini ricostruirebbero l’llva al centro della città”. Purtroppo, esiste un rapporto strano tra la gente di Taranto e la fabbrica. A dispetto del controsenso del boom economico e dopo anni di dolore e verità giudiziarie, l’illusione del benessere e del progresso è rimasta viva. Come se la faccenda del ricatto occupazionale funzionasse ancora. Quel patto d’acciaio agli inizi degli anni Sessanta tra chi comanda e il popolo non è stato ancora infranto. Eppure, posso assicurare che l’Ilva ha cambiato il Dna morale e spirituale dei tarantini. Pessimista sul futuro di Taranto? No, anzi, sono ottimista molto oltre la generalità degli scenari catastrofici che vengono dipinti, anche abbastanza giustamente. Io sono convinto che l’Ilva debba servire per costruire un futuro diverso. Perché un futuro a Taranto esiste, va solo individuato, al di là della scelta drammatica e ristretta tra salute e lavoro, eterna contraddizione di Taranto. Occorre stare tutti dalla stessa parte e far valere le risorse di questa città. Una cosa è certa, indietro non si può tornare. Danilo Siciliano

LIBRI

respirata in acciaieria. Undici campioni che hanno lasciato gli anni migliori della propria vita sul terreno del campo sportivo Tamburi vecchio, accanto alla fabbrica più inquinata d’Europa. Undici eroi della Labor, che hanno condiviso gol e veleni, dribbling e colpi di tosse, illusioni ed emozioni. Undici uomini che rappresentano simbolicamente tutti i morti per colpa dell’aria malata a Taranto, compreso mio padre.


CORTO MALTESE

La poetica dello straniero nel personaggio ideato da Hugo Pratt nel nuovo libro del sociologo Stefano Cristante In copertina un viandante in bianco e nero. Bianco come la luce, nero come la pece. Già dalla prima immagine, “Corto Maltese e la poetica dello straniero. L’Atelier carismatico di Hugo Pratt” di Stefano Cristante presenta la dicotomia che permea l’intera opera di Pratt, analizzata cronologicamente in questo lavoro pubblicato da Mimesis. È un Hugo Maltese (o un Corto Pratt) quel che emerge da queste pagine, ideale guida alla lettura di un personaggio che in Francia è riverito come le più importanti “bande dessinée” nazionali. Pratt, come Corto, è un cittadino del mondo, persona intrisa di libertà e che di questo valore ha fatto una bandiera, permeando il proprio principale personaggio di un impianto valoriale che attinge ai quel trinomio libertà-uguaglianza-fratellanza sì francese, ma di fatto universale e che si va ad affiancare al concetto di “straniero”, qui analizzato con quel gusto malinconicamente retrò di chi ha tra le mani un vecchio feuilleton intriso di nostalgia e profumo di polvere da sparo. In “Corto l’Initié” il saggista Joël Gregogna pone l’attenzione su valore simbolico e misterico di quei diafani non-luoghi che appaiono sfumare tra le vignette del feuilleton Prattiano. All’Utopia di Thomas Moore, alla Xanadu di Coleridge, è quindi possibile affiancare la Venezia nella Sirat al Bunduqiyyah

delineata dall’artigiano Pratt? Distinguerei tra apparizioni mediate dalla letteratura e apparizioni di contesto. In Corte Sconta il marinaio di Pratt cerca di leggere l’Utopia di Moore in ben due occasioni e in due diversi continenti, ma ammette di non riuscire a ultimarlo. Nella stessa avventura Corto invece recita un alcuni versi di Coleridge. Qui si tratta di giocare con mode e saperi culturali. Quelli di Pratt sono giochi intellettuali, da cui traspare anche il suo giudizio sulla pesantezza della saggistica della modernità in fondazione (Utopia). Coleridge è invece uno dei poeti dell’anima per Pratt, una dimostrazione rapsodica delle visioni di un personaggio che matura storia dopo storia. Diverso il caso di Venezia: patria reale di Pratt, diventa una sorta di meta-patria per Corto Maltese, la patria instabile per definizione, perché le sue radici affondano nell’acqua. Un apolide non può che avere patrie unicamente letterarie, e così sono Malta e Venezia. La prima sparisce senza evocare ricordi, la seconda è un ricordo in atto partorito nelle nebbie del sogno e rivissuto da Pratt per tutta la sua vita. Corano, ebraismo, gnosticismo, kabbalah, oriente. Corto Maltese pare racchiudere in un unico personaggio le figure narrate nella Porta Alchemica di Kremmerz. Qual è l’approccio allo studio e alla comprensione simbolica di


un personaggio così complesso ed in evoluzione da una pagina all’altra? Studiare Corto Maltese è un esercizio di una certa complessità, specie da quando Pratt lo vincola a una discorsività ermetica e a una tracimazione esoterica. A Pratt interessavano i repertori nascosti dei saperi iniziatici, e quindi per comprenderlo occorre seguirlo nelle sue citazioni, via via più specialistiche. Sapersi destreggiare tra kabbalah e sufismo, tra Paracelso e medioevo fantastico è il minimo che si possa richiedere a chi voglia entrare nel tentativo prattiano di investigare sul lato nascosto della conoscenza, non solo occidentale. Non ho mai visitato la biblioteca di Pratt (che alcuni considerano formata da più di 30 mila volumi), ma è evidente che l’artista ha tratto ispirazioni e informazioni dai testi in suo possesso. Per il lettore è possibile inserirsi in una full immersion letteraria anche semplicemente seguendo le citazioni presenti in Corto Maltese e navigando liberamente tra i riferimenti. Dall’Hugo-libero muratore al Corto-libero marinaio: entrambi viandanti verso un miraggio chimerico irraggiungibile, ma che, tuttavia, induce al cammino il ricercatore. Qual è il messaggio universale del Corto-straniero, narrativamente incastonato in un preciso periodo storico, ma che arriva a noi come un insegnamento moderno? L’Occidente non ha solo messaggi etnocentrici e colonialisti. L’Occidente è anche curiosità di andare per andare, è anche ossessione culturale per il tentativo di comprensione dell’altro e degli altri. Chi arriva da non si da dove ma conserva nello sguardo e nell’eloquio un’intensità priva di pregiudizi e di stereotipi ecco che diventa il simbolo di un’avventura universale, dove tutti sono stranieri per tutti. Chi, come Corto, possiede i codici comunicativi per un’interlocuzione continua con chiunque, è destinato ad attraversare le culture, forse l’azione più esaltante per un intellettuale e per un artista come Pratt. Hugo Maltese - Corto Pratt: quanta compenetrazione biografica c’è tra l’Autore e la sua Creatura?

La compenetrazione è spesso molto evidente. D’altronde Pratt aveva già sperimentato intrusioni della propria personalità in fumetti precedenti. In Wheeling, per esempio, il rinnegato Simon Girty, controversa figura di personaggio storico all’epoca della guerra d’indipendenza americana, ha il volto di Hugo Pratt. In Corto Pratt proietta però un carattere più flemmatico del proprio. Un carattere che “raffredda” con la cautela e con l’ironia alcune scelte dell’artista. Ad esempio Pratt aderì nel 1976 alla Massoneria, mentre Corto Maltese, pur affascinato dall’ermetismo, resta un “libero marinaio” e non si affilia ad alcuna loggia. Corto Maltese, nella sua primissima apparizione, è un naufrago legato su una chiatta, barba incolta, in balia del mare. Il suo essere un ultimo, uno straniero lo rende un archetipo deandreiano? Corto come “ultimo” ha un’entrata spettacolare, ma tale resta il suo contributo in questa direzione. Lo straniero di Pratt non è affatto un ultimo: non ha problemi di denaro né di identità. Corto Maltese è piuttosto lo straniero cosmopolita radicale, cioè l’apolide. Liberato dalle zavorre identitarie conformistiche si manifesta come la punta avanzata di un Occidente critico, consapevole delle calamità generate dall’etnocentrismo e sprezzante verso il dominio politico e culturale del capitalismo. Per questo i suoi compagni di viaggio sono spesso personalità e piccoli popoli che si oppongono allo sfruttamento economico e al colonialismo nelle sue diverse forme. A Corto riesce di orientarsi nel mondo perché il suo atteggiamento non è fatto di granitiche certezze e di ideologie in senso classico. Corto accetta lo spaesamento ma lo domina: non è un idealista sconfitto. È un “post-eroe” che riannoda i fili di un mondo realistico che egli protesta di non voler cambiare. Ma mentre afferma la sua distanza, la distanza con l’altro si colma nelle parole e nelle azioni. E in questo modo il mondo cambia, perché cambia l’antropologia dei suoi interlocutori. E anche di Corto. Giuseppe Calogiuri

LIBRI

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COOLIBRì - altre letture

a cura di DARIO GOFFREDO

ALESSANDRO BErtante Gli ultimi ragazzi del secolo Giunti Un doppio memoir per questo romanzo che ripercorre in parallelo il passato dell’autore e protagonista. Un viaggio a Sarajevo, sette mesi dopo la fine della guerra dei Balcani, diventa l’occasione per rievocare l’adolescenza nella Milano da bere degli anni ’80, tra bande di quartiere, droga e violenza. Lo sguardo di Bertante, scrittore di razza, si poggia, tagliente e spietato sulle trasformazioni sociali che avvennero in quegli anni. Un annebbiamento che paghiamo ancora oggi, perché davvero, nessuno è uscito vivo dagli anni ’80.

Davide Morosinotto Il rinomato catalogo Walker & Dawn Mondadori Un gran bel romanzo d’avventura per ragazzi. Siamo in Louisiana, 1904, e un gruppetto di ragazzini profondamente diversi tra loro e ancor più profondamente amici vive un’esperienza che segnerà per sempre le loro esistenze. Un romanzo italiano, dalla penna di uno scrittore, Davide Morosinotto, di grande esperienza nella narrativa per ragazzi, che avrebbe sicuramente divertito il Mark Twain di Tom Sawyer, una storia appassionante e divertente, anche per un lettore vecchio e scafato.

EROS ALESI Che Puff Stampa Alternativa “I mille lire” (che adesso costano un euro, segno dei tempi) sono una collana di libri leggendaria, ma avere in mano questo volumetto mi crea una gioia e un’ansia del tutto particolari. Ho conosciuto la poesia di Eros Alesi nel 2004, grazie a un’altra immensa poetessa italiana, Mariangela Gualtieri, che mi fece leggere la sua lettera al padre, con quel “che” ossessivamente ripetuto e quello sprofondare nel nero più assoluto di un’esistenza bruciata troppo presto. Stampa alternativa propone per la prima volta il quadernetto di appunti di Alesi, che rimarrà per sempre un giovane poeta, morto a vent’anni nel 1971, un poeta che dovreste conoscere.


ADA NEGRI Le Solitarie MusicCaos Musicaos è una piccola casa editrice, guidata da un uomo coraggioso e colto, che fa il suo mestiere con passione e dedizione e grande intelligenza. E questa non è una sviolinata, perché in un periodo come questo proporre libri di poesia e, come in questo caso, grandi classici della letteratura italiana caduti nel dimenticatoio presuppone quantomeno tanto coraggio. “Le solitarie” di Ada Negri è una raccolta di racconti di una delle voci più forti e originali del ‘900 italiano, e poterla rileggere oggi ci restituisce tutta la contemporaneità e il valore di una scrittrice che merita decisamente di essere riscoperta.

AA.VV. Stesso Sangue Einaudi Cinque nomi importanti del giallo e del noir (Francesco Guccini & Loriano Macchiavelli, Joe R. Lansdale, Jo Nesbø e Marcello Fois) si confrontano sul tema inquietante del male che ci abita accanto. Quattro racconti scuri, duri e cattivi, in cui l’assassino arriva da vicino, striscia come un serpente tra gli affetti, pronto a colpire quel che gli era più caro. I veleni sono sempre gli stessi: gelosia, denaro, potere, rancore. Le penne in questione una garanzia. (A.M.)

ANTONIO MANZINI 07- 07- 2007 Sellerio Se avete già letto gli altri romanzi della serie con Rocco Schiavone, sarete impazienti come me di avere tra le mani il nuovo libro di Manzini. Se non lo conoscete, ecco l’occasione buona per cadere in una nuova dipendenza. Il vicequestore più ruvido e affascinante del giallo italiano ci racconta come è finita la sua epoca romana, quella felice, prima del trasferimento d’ufficio ad Aosta, prima che Marina diventasse il fantasma del rimorso. (A.M.)

LIBRI

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CINEMA -TEATRO

UN’ESTATE IN RESIDENZA Non c’è luogo dove meglio si respiri una salutare aria di crisi estiva come il teatro. Ai primi di questo mese un rigurgito di giurisprudenza in merito alle questioni riguardanti il decreto di riforma del settore prosa ha generato qualche pallido interesse nell’opinione pubblica non specializzata nei confronti di quella che dovrebbe essere linfa vitale e prospera di questo Paese. I luoghi, quelli non strettamente teatrali, sono quello che vive e resiste. Nel 2014 la riforma del teatro prevista dal Decreto Legge “Valore Cultura” ha innescato una serie di rimodellamenti e ridefinizioni anche di grossi teatri. Il Fondo Unico per lo Spettacolo serve a stabilire i “nuovi criteri per l’erogazione e modalità per la liquidazione e l’anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo”. Il 2 luglio il Tribunale Regionale del Lazio ha accolto il ricorso dell’Elfo di Milano e della Fondazione Teatro Due di Parma contro il decreto Franceschini bloccando i finanziamenti triennali ai teatri, comprese le tranche in pagamento, poi sbloccati dal Consiglio di Stato. La riforma non aveva accontentato nessuno. Il

teatro, così, sembra sempre alla fine dei suoi giorni, in un’agonia centellinata degna della sua storia tragica. Ma il teatro è ancora capace di esprimere se stesso in termini di presenza e dimora quasi fissa, in quel sistema ramificato e ben funzionante che sono le residenze. Le regioni ne sono il fulcro, e in Puglia, in particolare, ancora si progetta, si promuove e si sostiene il teatro. Le Residenze Teatrali aprono anche nuove forme di sostenibilità, dimostrano buone pratiche: non mettono in campo risorse eccessive, valorizzano le realtà già esistenti, non generano sprechi gestionali. Si tratta di laboratori intensivi di una settimana o più in cui un gruppo di attori, anche non professionisti, vivono e crescono insieme e con loro cresce anche il territorio. Le province, i luoghi piccoli, non conosciuti sono il centro d’interesse delle residenze. Laddove l’importanza dei luoghi, in teatro, è tanto fondamentale quanto la presenza degli attori è necessario occuparsene e farne parte in modo coerente e costruttivo. Lo spazio scenico diventa, in questo caso, non solo luogo da occupare ma residenza occupata.


I Cantieri Teatrali Koreja, da anni, occupano questi spazi, organizzando il ritorno ai luoghi dell’origine della sua storia. Aradeo, ad esempio, con Palazzo Grassi è stato il centro del Teatro dei Luoghi, e nel 2016 invece tre le cittadine impegnate a farsi luoghi da narrare: Nardò, Galatina e Leverano. “Del Sacro e del Profano” è soprattutto un percorso di conoscenza e condivisione dei sistemi codificati di ritualità semi pagane: i finali di laboratori, nei primi giorni di settembre, raccontano le storie del centro storico di Galatina, delle vie strette di Leverano, della palude del Capitano di Nardò e parlano con la terra dei padri ai figli. “Ti Racconto a capo” è il progetto residenziale di Ippolito Chiarello (nella foto a sinistra) che quest’anno compie sette anni. Dal 31 luglio al 9 agosto un asilo nido diventa casa di venti attori: uno scambio di storie su un tema predefinito e il lavoro del barbonaggio teatrale. La terra rossa è quello del 2016: un lavoro intenso, minuzioso nel piccolo paese natale di Chiarello, Corsano, che diventa non solo contenitore ma anche ispirazione del lavoro che si fa insieme, sfidando le difficoltà e la fatica, per diventare gruppo. Tra le neonate residenze, invece, a Lecce dal 4 al 29 luglio al Fondo Verri il primo workshop sulla Meisner Techniqu tenuto dall’americano Alex Taylor. Piergiorgio Martena, attore salentino formatosi nella sua scuola di Los Angeles, ha organizzato questo laboratorio internazionale che si focalizza su due elementi principali: l’ascolto e la poco autoreferenzialità degli attori. Ancora, ad Ostuni, la Casina Settarte offre molti laboratori e residenze: dalla danza alle performance creative. Poco distante dai confini pugliesi, nella capitale della cultura, Matera, per la prima volta, “Nessuno Resti Fuori”, esperienza di festival e residenza teatrale che propone tre laboratori incentrati sulla città e i suoi luoghi misconosciuti. È il linguaggio del teatro che si fa spazio sgomitando e cercando la sua dimora, in residenze scomode, faticose e in quella pratica della condivisione che tanto manca nella maggior parte della quotidianità e quel che resta, tra un decreto ministeriale da riscrivere e un altro mestiere da inventare, è proprio la voglia di risiedere in questa temuta ma vitale precarietà. Giulia Maria Falzea

LA FABBRICA DEI GESTI E L’ARTE INTERDISCIPLINARE Dal 17 al 24 luglio al Teatro Paisiello di Lecce, La Fabbrica dei Gesti propone un percorso di studio e formazione interdisciplinare sulla danza con Simona Bertozzi, Paolo Cingolani, Antonella Boccadamo, Stefania Mariano e con i musicisti Claudio Prima ed Emanuele Coluccia. Una settimana per approfondire e perfezionare le differenti pratiche legate al corpo riservata a performer, danzatori, attori, musicisti e a tutti coloro che hanno già intrapreso percorsi di training o di lavoro sul corpo. Il programma si concluderà domenica 24 luglio alle 21 (sempre sul palco del teatro leccese) con uno spettacolo di fine percorso che coinvolgerà in un’inedita performance tutti i partecipanti. Dopo questa anteprima le attività formative interdisciplinari della Fabbrica dei Gesti partiranno ufficialmente da settembre. Info e iscrizioni lafabbricadeigesti.it.

“DANZARE LA TERRA” PER IL PROGETTO DAMA

Prosegue l’articolata programmazione del progetto Dama - Danze e musiche del Salento. Dal 31 luglio al 6 agosto tra Lecce e Corsano appuntamento con Danzare la Terra, residenza artistica e didattica diretta da Maristella Martella con le insegnanti della scuola Tarantarte (Silvia de Ronzo, Manuela Rorro, Laura De Ronzo, Sara Colonna). La residenza ospiterà una serie di laboratori, corsi, atelier e due spettacoli a Corsano e nel Teatro Romano di Lecce. Iscrizioni info@damasalento.it


VIVE LE CINéMA

Il Castello di Acaya ospita il primo festival del Sud Italia interamente dedicato alla Francia. Tra gli ospiti l’attrice Chiara Mastroianni e il regista Philippe Faucon Cinque giorni di proiezioni, presentazioni, master class, incontri, musica: da mercoledì 13 a domenica 17 luglio tra Vernole e Acaya, piccolo borgo della provincia di Lecce, appuntamento con “Vive le cinéma”, primo Festival di cinema francese del Sud Italia organizzato da Apulia Film Commission, ideato e diretto da Alessandro Valenti, Angelo Laudisa e Brizia Minerva. Tra gli ospiti alcuni dei più importanti nomi della scena audiovisiva francese: l’attrice Chiara Mastroianni (presidente della giuria dei lungometraggi), il regista Philippe Faucon (vincitore del Premio Cèsar 2016), lo sceneggiatore Thomas Bidegain (tra gli autori del fortunato film “La famiglia Bélier”), il giovane regista e sceneggiatore Eric Forestier (presidente della giuria di corti e documentari) e molti altri attori, registi e produttori. Le pellicole saranno presentate e proiettate (in lingua originale con sottotitoli in italiano) per la prima volta nel nostro paese. Il Festival nasce, infatti, per consolidare i legami creativi con il Sud Italia e segnare il primo passo verso un vero e proprio “patto culturale” tra

la Puglia e la Francia, prima industria cinematografica Europea e terza al mondo con quasi 300 film prodotti ogni anno e oltre 200 milioni di spettatori. «Il nostro obiettivo è quello di presentare ogni anno la più recente selezione di film francesi inediti in Italia e di far nascere e migliorare le relazioni tra produzione francese e italiana sviluppando le coproduzioni tra i due Paesi», sottolineano gli organizzatori. «Il festival costituisce un’occasione per costruire una relazione privilegiata con il cinema francese e con la Francia», proseguono. «Tra gli obiettivi del festival c‘è la volontà di invogliare i produttori francesi a venire in Puglia a realizzare i loro film. Questo comporterebbe occupazione, sviluppo, partecipazione internazionale dato il notevole spessore artistico degli ospiti. “Vive le cinéma” non si esaurirà nei cinque giorni di programmazione. L’idea per il futuro è, infatti, quella di costruire ad Acaya una fattoria delle idee in cui i più importanti produttori e sceneggiatori italiani e francesi». Info e programma vivelecinema-festival.com


arte

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CINEMA DEL REALE

Nel borgo di Specchia quattro giorni per capire cosa succede “realmente” nel mondo all’insegna del cinema più spericolato, curioso e inventivo Da tredici anni l’estate salentina propone anche la Festa di Cinema del reale, una rassegna interamente dedicata al documentario che, edizione dopo edizione, ha saputo ritagliarsi un suo pubblico di appassionati e curiosi. Organizzata da BigSur con la direzione artistica di Paolo Pisanelli, la rassegna quest’anno indagherà tre parole chiave voci, incanti e tradimenti. Proiezioni, incontri con gli autori, dibattiti, mostre e installazioni, performance ed eventi speciali, omaggi e oltraggi, seminari e laboratori: dal 20 al 23 luglio a Specchia, piccolo borgo del Sud Salento, quattro giorni per capire cosa succede “realmente” nel mondo all’insegna del cinema più spericolato, curioso e inventivo che coinvolge il territorio e si apre al dialogo con la fotografia, la scrittura, la performance e i linguaggi creativi. Sperimentali, film-saggio, diari personali, film di famiglia, grandi reportage, inchieste storiche, narrazioni classiche. Tra gli ospiti di questa edizione, il regista tedesco Klaus Voswinkel e autrici e autori italiani tra cui Pier Francesco Li Donni, Alberto Saibene,

Marco Antonio Pani e Paolo Carboni, Letizia Caudullo, Mario Sesti e Matteo Cerami, e i pugliesi Mattia Epifani, Gianni De Blasi, Claudia Mollese, Mattia Soranzo. Tra i film in programmazione “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi (Orso d’Oro al Festival di Berlino 2016), e “87 ore” dell’apprezzatissima regista palermitana Costanza Quatriglio (Premio Speciale ai Nastri d’Argento 2016). Sul fronte internazionale, invece, in collaborazione con “Wanted – cinema ricercato”, verranno presentati alcuni dei film che hanno riscosso un grande successo all’estero come “Banksy does New York”, pellicola di Chris Moukarnbel sul celebre street artist. L’Albania è il paese protagonista di un altro focus importante di questa edizione 2016 con la presentazione del film inedito S.P.M. Sue proprie mani di Adrian Paci e Roland Sejko, l’inaugurazione del progetto Adriatik Cinema/Cinema Mobile Mediterraneo e la sonorizzazione live del film in progress Albania on the road ad opera di Admir Shkurtaj. Info e programma cinemadelreale.it


ARTE

DAI MIGRANTI AGLI EROI

Il Castello di Gallipoli ospita per tutta l’estate la mostra del fotografo Simone Cerio e una collettiva coordinata da Renzo Buttazzo e Lara Bobbio Dopo il grande successo della personale di Michelangelo Pistoletto che l’estate scorsa ha coinvolto oltre 35mila visitatori, sino al 2 ottobre le sale del Castello di Gallipoli ospitano due interessanti mostre e una serie di appuntamenti. Info castellogallipoli.it

ne identifica la condizione attuale. Gli oggetti, per lo più trovati nel luogo di transito, diventano simboli della dignità quotidiana che questi protagonisti tentano di recuperare, una volta chiusa la fase di separazione dalla propria terra».

LA PRIMA AURORA Inaugurata da Alessandro Bertani, vicepresidente di Emergency, quella di Simone Cerio è una mostra fotografica composta da venticinque storie di migranti sbarcati sulle coste siciliane. Un viaggio tra oggetti recuperati, portati da Paesi lontani, abbandonati per strada e reinterpretati che offrono al visitatore la possibilità di un’approfondita riflessione sulla condizione di migrante. «La Prima Aurora – sottolinea Cerio - è un corpo di fotografie “ritagliate” dal contesto in cui il soggetto è inserito che sposta l’attenzione dalla drammaticità dell’evento alla persona come essere unico ed esclusivo, scevro di qualsiasi caratterizzante, come lo spazio che

HEROES Dal 26 giugno, inoltre, nel Castello spazio a un percorso di visioni e racconti, un pulsare di simboli e atti simbolici. Eroi tra arte e design ad opera di Renzo Buttazzo e LRJLB[[]]Lara Bobbio. Segni, assemblamenti, fusioni, opere che si legano, si animano, in un dialogo in continuo mutamento. Testimonianza tangibile di un linguaggio contemporaneo immerso nel contemporaneo stesso e le sue criticità. Heroes coinvolgerà, oltre alle opere dei due curatori, anche gli artisti Ada Mazzei, Andrea Buttazzo, Andrea Epifani, Daniele dell’Angelo Custode, Giuseppe Maietta, Massimo Maci, Oronzo de Stradis, Peppino Campanella, Paolo Guido, Tonio Pede.


arte

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dal 10 luglio al 23 luglio Castello - Conversano (Ba) GIORGIO DE CHIRICO Dopo la mostra di alcuni anni fa al Castello di Otranto tornano in Puglia le opere di Giorgio de Chirico (1888 – 1978), pittore e scrittore italiano, principale esponente della corrente artistica della pittura metafisica. La mostra che accoglierà oltre 50 opere sarà ospitata nelle sale del Castello di Conversano. Curata dalla Fondazione Giorgio e Isa De Chirico rientra nella programmazione del “Libro possibile”.

dal 2 luglio al 30 settembre Lecce, San Cesario di Lecce, Bitonto

LEANDRO UNICO PRIMITIVO A 35 anni dalla sua scomparsa “Leandro unico primitivo” è un percorso sull’artista salentino Ezechiele Leandro che si muove tra la Distilleria De Giorgi e il Santuario della Pazienza a San Cesario di Lecce, il Museo Sigismondo Castromediano di Lecce e la Galleria Nazionale di Bitonto. La mostra è una retrospettiva dedicata all’autore che si era mosso tra pittura, disegno, scultura, assemblaggio, collage, installazione. Info 0832683503

dal 19 giugno al 2 ottobre Castello Aragonese - Otranto (Le) STEVE MCCURRY ICONS Per tutta l’estate il Castello Aragonese di Otranto ospita gli scatti di Steve McCurry, uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea, punto di riferimento per un larghissimo pubblico che nelle sue fotografie riconosce un modo di guardare il nostro tempo. Steve McCurry Icons è una mostra che raccoglie in oltre 100 scatti l’insieme e forse il meglio della sua vasta produzione, per proporre ai visitatori un viaggio simbolico nel complesso universo di esperienze e di emozioni che caratterizza le sue immagini. Con le sue foto ci consente di attraversare le frontiere e di conoscere da vicino un mondo che è destinato a grandi cambiamenti. La mostra inizia infatti con una straordinaria serie di ritratti e si sviluppa tra immagini di guerra e di poesia, di sofferenza e di gioia, di stupore e di ironia. In una audioguida Steve McCurry racconta in prima persona molte delle foto esposte. In mostra viene proiettato un video di National Geographic dedicato alla lunga ricerca che ha consentito di ritrovare, 17 anni dopo, “la ragazza afghana” ormai adulta. All’inaugurazione oltre al fotografo ha partecipeto anche lo scrittore Roberto Cotroneo.La mostra è organizzata da Civita Mostre in collaborazione con SudEst57. Ingresso 10 euro. Info www.stevemccurryicons.it


DIARIO CRITICO

a cura di Lorenzo Madaro Edoardo De Candia e Antonio Massari in via Monte Sabotino a Lecce, 1983 ca. Fotografia di Francesco Porpora

EDOARDO DE CANDIA Disperato, eroico, erotico?

Sono trascorsi quasi venticinque anni dalla morte di Edoardo De Candia (Lecce, 19321992), l’artista salentino che più di ogni altro ha incarnato – suo malgrado – il cliché dell’artista libero ed estremo. Se molti dei suoi compagni di strada e dei suoi sostenitori hanno preferito il comodo calore medioborghese, De Candia fino alla fine ha vissuto da uomo libero, eroe di una piccola provincia svagata e bigotta. Ma ha avuto energia, un incontenibile afflato di poesia e visualità che gli hanno consentito di concepire un numero sterminato di opere, spesso dense di una forza espressiva che lascia il segno nel suo essere sintetica e pregnante, immediata e eroica. Una produzione – di dipinti su carta e tela, in particolare – che attende di essere catalogata, studiata e pubblicata. Dalle pareti dello storico Bar Martinica nel centro storico, alle case di pochi attenti collezionisti e sostenitori autentici, le sue carte sono disseminate un po’ ovunque in città. Ma non mancano le opere di dubbia autenticità, su cui bisognerà intervenire prima o poi. Il rapporto con la natura è un punto di partenza imprescindibile per comprendere buona parte della sua ricerca, il legame con il mare e il paesaggio costiero è infatti determinante. Così come quello con il corpo

che nel corso degli anni Ottanta approda a una dimensione visibilmente erotica ed estrema. La tecnica non è un valore, spesso dipinge su fogli o manifesti, i colori sono quelli industriali, e talvolta per diluirli adotta l’acqua di mare. Non c’è tempo e non ci sono i soldi, c’è l’urgenza. Tanti si sono confrontati attraverso la scrittura con l’universo creativo ed umano di De Candia, ma sono molto rare, rarissime, le letture critiche sul suo complesso percorso, contrassegnato da un numero incalcolabile di opere, a volte anche poco riuscite, com’è accaduto per molti artisti generosi e molto produttivi. Siamo nel 2016 e rimane una figura troppo marginale nel dibattito di area salentina. Le copie di una foto che lo ritrae davanti a Porta Rudiae, a Lecce, campeggiano talvolta in luoghi inappropriati per un artista della sua levatura, e la memoria del suo segno pittorico erotico rischia di essere dimenticata, a favore degli innumerevoli aneddoti legati al suo quotidiano: i bagni, nudo, a San Cataldo, le opere cedute in cambio di un bicchiere di vino, i toni esasperati. Sarebbe invece ora di tralasciare questi aneddoti per molti versi secondari per concentrarsi con rigore sulla sua Opera. Ma d’altronde chi dovrebbe garantire statutariamente queste attenzioni preferisce


arte

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Edoardo De Candia, Nudo femminile, olio su tela, cm 119 x 99,5. Lecce, Museo Provinciale “S. Castromediano”

Edoardo De Candia, Sacro cuore di Gesù, 1988, olio su tela, cm 119 x 80. Collezione privata

concentrarsi – con apparente peso filologico, tante volte professato – di nomi del tutto estranei al dibattito culturale, sfornando tesi di laurea universitaria su artisti che non sono tali. Un primo tentativo di ricostruzione del percorso artistico e biografico di Edoardo De Candia è stato tracciato dal poeta Antonio Verri in “Edoardo, un cavaliere senza terra” edito nel 1988 sulle pagine di “Sudpuglia”. Verri – che gli è stato a lungo amico – esordisce accennando al falò che – in una sera d’estate del 1954 – è appiccato alle spalle del Castello Carlo V di Lecce da De Candia e Francesco Saverio Dòdaro, suo amico. Gesto estremo che per i due è metafora di liberazione dal proprio passato artistico: De Candia brucia dipinti eseguiti sotto l’influenza di Michele Massari, mentre Dòdaro brucia le sue opere informali per dedicarsi completamente alla ricerca poetica sperimentale; secondo quest’ultimo: «da quelle ceneri iniziò la rinascita di Edoardo». L’attenzione di Verri per l’operato di De Candia è frutto di una duratura frequentazione e collaborazione che ha coinvolto anche altri operatori culturali. Nel 1992 De Candia muore. L’alcool, i continui ricoveri in manicomio l’hanno annientato. Aldo Bello gli dedica due pagine sul Televideo della Rai: «Amico degli estima-

Edoardo De Candia, Ritratto di Marcella, 1966, olio su tela, cm 68 x 47, 5. Collezione privata

tori d’arte e ostile agli speculatori, ha creato una situazione borgesiana, dipingendo una parte delle marine con acqua di mare; tele, dunque, destinate all’autodistruzione nel giro dei prossimi dieci anni»; parole queste che vengono riportate da Silvia Cazzato, la quale evidenzia fondatamente un richiamo ad «un fauvismo tutto suo, eppure di valore universale». Nel 1998 vengono pubblicati due libri: “Edoardo De Candia. Considerazioni inattuali” di Stefano Donno e “Edoardo” di Antonio Massari. L’attenzione di Donno e Massari è incentrata sul dato biografico, che viene a tratti romanzato; ma d’altronde, per dirla con Ennio Bonea, De Candia era «un personaggio romanzesco, di quelli […] perseguitati dalla sorte ma felici di vivere, emarginati dal consesso civile conformista». Molte sono state le mostre e gli articoli, pubblicati anche in tempi recenti: ma oggi si avverte l’urgente necessità di una ricostruzione storico-critica del suo lavoro, una schedatura delle opere, un regesto delle esposizioni a cui ha partecipato, una bibliografia esauriente. Il suo – insieme a quello di Ezechiele Leandro – è un percorso autentico nella sua irregolarità, perciò è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e attivarsi. Chi comincia?


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LELAND DID IT: è “Tempo” di un carpaccio di vitello con rucola grana limone e olio C’è una nuova onda pugliese, emersa dal fiume in piena di etichette, club, festival, gruppi e artisti che, dal tacco, sta invadendo lo stivale. Consiglio a tutti di surfarla. Pensiamo a Inude, Matilde Davoli, Sofia Brunetta, Populous, Jolly Mare, Giorgio Tuma e avremo un’idea della scena musicale dalla quale emerge il progetto Leland Did It. “Tempo” è il loro album di esordio, nel quale la band barese si muove tra strutture rock e composizione elettronica, forma canzone e sperimentazione, in una formazione a cinque, con due chitarre elettriche, basso, batteria, voce e tanti sintetizzatori. Il lavoro esce per Piccola Bottega Popolare, sostenuto da Puglia Sounds e ispirato, già nel nome, dalle trame sonore pensate da Angelo Badalamenti per il surrealismo cinematografico di David Lynch. «Ascoltando molta musica è impossibile specializzarsi in un solo genere, piuttosto ci è sempre sembrato bello “rubare” stili e suoni da vari artisti (anche molto diversi fra loro). La nostra musica e la Puglia

hanno qualcosa in comune: la necessità e l’esigenza. Tutto ciò che ha a che fare con il progetto Leland did it, prima di essere una soluzione artistica/estetica, è stata una necessità (come Cake ad esempio, nato per poter eseguire dal vivo i nostri pezzi, senza far ‘smadonnare’ gli amici fonici). Prendi la Puglia: la sua bellezza è affascinante proprio perché necessaria. I trulli ad esempio servivano a non pagare le tasse». È forse la prima volta in cui c’è una vera scena credibile fuori dal paese. «Immaginiamo che sia dovuto al fatto che si tende a identificare la musica italiana con un certo tipo di pop che un po’ ha stufato anche chi lo suona. E allora capita che quando una band o un artista italiano, proveniente dalla giungla della musica indipendente, arriva all’estero porta con sé l’effetto sorpresa. Un bagaglio di influenze che può stupire e creare grandi aspettative. Pensiamo a Jolly Mare (che ha curato il mastering del nostro disco): lui ha portato all’estero pura musica italiana, ma lo ha fatto con

un linguaggio contemporaneo, davvero interessante. Questo fa innamorare il pubblico. Per noi è ancora presto per parlare di estero, ma ci stiamo lavorando». Nel gruppo ci sono grafici, video-artisti, produttori. Leland Did It è una sorta di factory più che una semplice band. «In questo periodo storico il concetto di live set è diventato più vasto. Non basta più suonare su un palco, la gente (super stimolata a livello visivo) ha bisogno di uno show che contenga più linguaggi. I visual, le grafiche, la luce rossa, il nostro tavolo. Sono tutti elementi che hanno richiesto un lavoro diverso da quello del musicista. Siamo anche falegnami: Il tavolo l’abbiamo costruito noi. Sì, un giorno ci piacerebbe trasformare Leland did it in una crew immensa che gira il mondo». Musica e cucina. Tre gruppi e tre ricette che amate. «Nine Inch Nails, Pink Floyd, Lucio Battisti. Gin Tonic, Pizza funghi freschi e senape, patate riso e cozze. La nostra musica potrebbe essere un carpaccio di vitello con rucola grana limone e olio».


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Mauro Marino

LEGGENDO IL DIARIO DI ANTONIO LEONARDO VERRI È stato pubblicato il “Journal” (il diario) di Antonio Leonardo Verri (1949-1993), curato per Spagine da me e da Maurizio Nocera. Un diario privato, la prima pagina è del 7 ottobre 1983 e via fino all’8 luglio del 1992 (i giorni della scomparsa di Edoardo De Candia) con in mezzo una lunga pausa. Giorni travagliati e mai facili. Scrive in apertura della sua agenda Verri: “Pare proprio che di un Journal non se ne possa fare a meno. Per un po’ ho resistito. Ma poi… Affascina, come sempre, la pagina o il posto che, guarda guarda, è unico, è necessario: mah! L’arsura, poi, per lo scritto: tanti bei righi uno sotto l’altro (l’ardore si aggiunge all’arsura), la possibilità di andare a braccio, il tempo che sai che azzanna il narciso che sei”. Pagine utili per comprendere quale era il clima del fare culturale negli anni Ottanta - Novanta, nel Salento in una dimensione molto diversa da quella a noi contemporanea. Avventure, progetti, scazzi, malumori, entusiasmi e non se la prenda chi, citato,

potrà sentirsi vilipeso nel suo sentimento di amicizia verso Antonio Verri; su tutto domina l’inquietudine, compagna e generatrice del suo fare, della sua inesauribile costanza. Scrive Verri il 7 novembre 1983: “Accidenti, mi corrono i giorni così, quasi per niente. Oggi finalmente un po’ di tempo per scrivere qualcosa. Mi sto accorgendo che tempo per il «Journal» lo trovo. Rabberciamenti e spunti sul ‘racconto’, su me (ma mi vado a genio come operatore di cultura, per altro sono un fallimento!), non mi è difficile, ma ho il vizio di distrarmi”. Il nostro “delicato ma sfortunato poeta, iniziò la sua storia con la voglia di fare letteratura, con la voglia di dare vita ad una “nuova poesia” in una periferia d’Italia (il Salento leccese), che allora più sperduta non si poteva credere. Fu così che cominciò a pubblicare una rivista «Caffè Greco» (1977-1981)”, “come una formica piena di sogni”; l’inizio poi tante cose sono venute, una storia ancora inesplorata piena di iniziative, di incanti e di

stupore. Scrive Verri il 13 ottobre 1983, pochi giorni prima della presentazione di un suo libro: “Ma se è vero che niente, proprio niente, è nell’intelletto che prima non sia stato nel ‘senso’, posso dire di aver chiuso nel “Pane sotto la neve” la vita che ho fatto e che esce dal libro, una vita di incontri e scoperte, di magici passaggi, che sul serio mi appartiene. Su quanto mi appartiene avrei da dirne! Avrei da raccontare della mia sofferta deliziosa avventura, di quanti alibi, di quante scelte ‘candide’, di quanto un ragazzo per niente sveglio ha sempre rincorso la scrittura. È pochissima cosa il libro, questo lo so ma per me è veramente un ‘miracolo’. Una ‘fortuna’. Sono pronto a rileggerlo tranquillamente: sono pronto a fare dell’altro, a riprendere voli e cadute; un progetto che poi si vedrà. I libri che mi interessano, intanto, sono ancora belli e chiusi. Sono stremato e faccio disegni sulla cenere. Verrà qualcosa?”.

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AFFRESCHI&RINFRESCHI


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BRODO DI FRUTTA BLOG

Adelmo Monachese

#DISCOLIBRO/1 Un ombrellone non diventa il nostro ombrellone fino a quando non lo consacriamo con la nostra borsa mare: quel concentrato di beni e piccole proprietà che rende il metro quadro di spiaggia conquistato la mini ambasciata di casa nostra. La borsa contiene chiavi, cellulari, teli, costumi, prodotti per proteggersi dal sole (il sole utilizza prodotti per proteggersi da noi?), prodotti per assorbire il sole, settimane enigmistiche vecchie anche di dieci anni, portafogli, sigarette&accendino e, ma sì dai, mettiamocelo un libro. In caso di allontanamento dall’ombrellone, quali di questi oggetti è meno soggetto a furto? E noi di quello vogliamo parlare: i libri. Forzieri di gioie, risate, commozione ed evasione che aspettano solo di essere aperti. L’estate sta finendo e i libri che ci siamo portati in vacanza ancora no. Forse perché siamo riusciti a concedere meno tempo del previsto alla lettura in favore del sonno, dei piaceri della tavola e dei selfie. E allora rimane da sperare che “leggere di più” sia uno dei

propositi post vacanzieri, insieme a Mai più in vacanza con questo o quello, Imparo le lingue, e Mi iscrivo in palestra perché, come pensano in molti, “Il vero capodanno è il 1° settembre”. Ed ecco che potremmo realizzare un evento per questo vero capodanno con l’utopica intenzione di unire divertimento sfrenato e lettura, notti folli e incontri culturali, il pubblico della notte e quello delle librerie, categorie troppo spesso divise e ostili. Una serata con luci stroboscopiche e il patrocinio dell’assessorato alla cultura è possibile, basta trovare il punto di incontro e allora ecco la mia proposta per la Opening Start Night Summer Book 2016: #Discolibro/1 Libro special guest della serata: il capolavoro della letteratura americana Moby Dick di Herman Melville. Dj Set: Moby, genio visionario della musa elettro-dance-techno e pronipote proprio di Melville. Vocalist: uno qualsiasi, tanto se i dj dicono “vado a suonare”, i vocalist allora possono dire “vado a presentare un

libro”. Intro serata: Boys and girls….this is a special night Benvenuti marinai del Pequod…l’unica vera disco oceanica. Welcome everybody on the ocean beach Attenzione alle sirene danzate in pista! Stasera c’è Achab che va a caccia grossa con il suo arpione… Ragazzi per voi c’è l’unica, super, grandissima cubista…Se la chiami balena non si offende mai… sul cubo: ecco a voi: la candida Moby Dick! (Voce solenne da citazione della serata) Così pare ci sia una ragione in tutto, persino nella legge - La legge della notteeeeeeeeeee dello special guest Herman Melville from New York! Se le casse fossero cannoni, Achab vi sfonderebbe il cuore. Stanotte fate l’amore in riva al mare e ricordate: “Meglio dormire con un cannibale astemio che con un cristiano ubriaco”. E per questa notte… chiamatemi Ismaele.


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Daniele De Luca

LASCIATE STARE VITTORIO BODINI LASCIATE STARE “TU NON CONOSCI IL SUD” E va bene, sì, vi piace il Sud! A chi non piace il Sud? Ah, il sole... ah, il mare... ah... le mamme vostre! Sì, quelle che avrebbero dovuto – come novelli Mosè – abbandonarvi nel Nilo (o a Barbarano) da piccoli e che, invece, vi hanno lasciato scorrazzare ovunque per dispensare, non richieste, perle immani di ignoranza sopraffina. Magari non ve ne siete accorti, ma il Sud è una cosa seria. La storia del Sud è una cosa seria. E se Vittorio Bodini o Tommaso Fiore vi vedessero adesso, mentre ignobilmente pubblicate quelle foto di campagne assolate, di ulivi o di pale di fichi d’India (foto meravigliosamente ritoccate dai vostri programmi da #faccioilfotografoemelaprofumo) come fossero il paradiso in terra e accompagnate dalle loro parole, beh, di certo vi avrebbero preso a calci nel culo da qui a Rignano Garganico (nelle cui solitarie campagne, tra l’altro, mi piacerebbe tanto vedervi trascorrere le vacanze estive, indaffarati nella raccolta di ortaggi dal

vermiglio colore). La stagione è iniziata, le spiagge vi stanno già accogliendo numerosi (tanto, cazzo avete da fare?) ma – mentre vi avviate verso il rinfrescamento delle uniche parte nobili dei vostri corpi – vi prego, non aggiungete didascalie a membro di canide alle vostre immagini di paesaggi assolati e lunari. Soprattutto, non coinvolgete Bodini nelle vostre brutture. Non si addice alla tranquillità Bodini. Non raccontava Arcadia Bodini. Lasciate stare “Tu non conosci il Sud [...]”. Non aggiungete questo incipit a niente, ancor meno a mari cristallini e a voi che vi sollazzate con un calippo. Vi invito fortemente, però, a leggerla. Rubate cinque minuti al vostro nulla e potreste scoprire cosa significhi Sud. No? Come volete, mica vi obbligo... “Quando tornai al mio paese nel Sud, dove ogni cosa, ogni attimo del passato, somiglia a quei terribili polsi di morti che ogni volta rispuntano dalle zolle […]. Quando tornai al mio paese al Sud, io mi sentivo morire”. E, ancora,

“cade a pezzi a quest’ora sulle terre del Sud un tramonto da bestia macellata. L’aria è piena di sangue [...]”. Ricordatevele queste parole mentre pontificate sul Meridione, sulla Puglia, sul Salento. Tenetele a mente ad ogni singolo tramonto che passerete con un mojito in mano, avvolti nello scirocco, e stracolmi (quasi a esplodere) della vostra ignoranza. Facciamo così, vi lascio Vasco Rossi, sì? In fondo, è quello che vi meritate e che potete comprendere. Versi gutturali degni del miglior lobotomizzato. Magari, poi, accompagnateli con l’ansioso e lassativo suono dei tamburelli (che, a breve, riempiranno le nostre calde serate, e che auspico un giorno si possano costruire con la pelle dei vostri penduli attributi). Già, i tamburelli, i santi e le madonne, i ragni e le malote... ma questo è un altro discorso che mi riservo per tempi migliori. Mi basta, per il momento, lasciarvi con il mio più afoso, meridionale e cafone... MaffanCool!

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VAFFANCOOL


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STANZA 105 BLOG

Mino Pica

METTIAMOCI DA PARTE Nell’ultimo Coolclub Live, ospitato a giugno dal Km97 di Lecce, mi ha colpito una battuta del musicista e compositore Valerio Daniele che rifletteva sulla forte presenza di progetti artistici nel territorio, ma al contempo sulla profonda distanza fra la qualità di poche realtà e la povertà di tante. La difficoltà di distinguere le opere d’arte da quelle da mettere da parte, non appartiene esclusivamente alla nostra epoca di certo, ma oggettivamente la condizione dell’uomo della nostra società è sottoposta ad un duro lavoro in questo senso. Viviamo sedati da mille stimoli, impulsi, scene e colori, in cui la molteplicità rende anonime le identità espresse e le rappresentazioni riflesse. Un terzo millennio incentrato sulla comunicazione subisce l’incapacità di gestirla, e l’uomo sembra sempre più incapace di orientarsi nella complessità della tecnologia che lo governa. Perché l’interattività dei social, dei mezzi di informazione, delle applicazioni, di smartphone, kindle e gps generano un

linguaggio in cui il pubblico è autore protagonista invece di spettatore utilizzatore. Questo comporta, di riflesso, anche nell’arte, ad una molteplicità infinita di prodotti musicali, artistici, letterari e non solo, in cui è davvero difficile individuare la qualità e coglierne bellezza, ispirazione ed utilità. Una miscela di ignoranza diffusa, a cui nessuno ci ha preparato, ha ribaltato anche i parametri di riconoscimento estetico ed etico, sedando persino la curiosità, prima ancora della bellezza stessa rappresentata. Sempre recentemente leggevo di uno studio secondo cui ben presto (omettiamo che questo avviene già) anche l’informazione adatterà la sua forma ai suoi destinatari: la stampa sarà sostituita da algoritmi che, analizzando la posizione e la condizione dei lettori, confezioneranno automaticamente post, articoli e titoli col solo scopo di attirare l’attenzione, che si riduce tra l’altro sempre più. Stessa notizia presentata diversamente in base ai destinatari. Di certo questo mio pezzo non risponde a questi para-

digmi, anzi dovrei infilare qualche battuta qua e là ma dai, manca poco alla fine. Mettendo da parte questa nota, anche l’arte tende già a preoccuparsi più del destinatario che del messaggio. Se a questo aggiungiamo una imitazione della realtà a discapito della creazione, siamo messi abbastanza male. L’arte imitativa, che Hegel definiva “pericolosa”, occupa abusivamente i nostri spazi, le nostre domande e la centralità sociale dell’arte non esiste ormai da tempo. L’artista abusato ed abusivo è travolto da questa esplosione di riferimenti e si rifugia nel proporre delle superficiali trovate, delle battute, delle intro musicali già sentite, delle copertine di libri standardizzati e foto riscattate. Le idee, le visioni, l’impulso creativo e l’arte come anticorpo, come anticipo della realtà, è riposta tristemente nel nostro armadio. Apriamolo e mettiamoci da parte, perché ha bisogno di nuova luce: sarà più semplice per noi distinguere la qualità nella quantità.


I quaderni del senno di poi di Francesco Cuna | facebook: quadernidelsennodipoi


EVENTI

a cura di CHIARA MELENDUGNO

LOCOMOTIVE JAZZ FESTIVAL Un viaggio musicale e artistico lungo undici giorni Dal 25 luglio al 4 agosto torna il Locomotive Jazz Festival. La rassegna, organizzata dall’associazione Locomotive con la direzione artistica del sassofonista Raffaele Casarano, giunge alla sua undicesima edizione allungando la programmazione fino a undici giorni: sette date itineranti (gratuite) e quattro nell’Anfiteatro Romano di Lecce (prevendite nel circuito Bookingshow). Tra gli ospiti della prima parte Marco Bardoscia, Mirko Signorile, Carolina Bubbico, Simona Bencini e Mario Rosini, Javier Girotto & Aires Tango feat. Peppe Servillo, un Omaggio a Lucio Dalla con William Greco e Antonio Maggio. Alle prime luci del 31 luglio sulla scogliera di Marina

Serra si rinnova l’appuntamento dell’Alba in jazz che, dopo Paola Turci e Fiorella Mannoia, quest’anno ospiterà Noemi affiancata sul palco da Raffaele Casarano (sax), Michele Papadia (piano e tastiere), Maurizio De Lazzaretti (batteria), Marco Bardoscia (basso/contrabbasso) e Alessandro Monteduro (percussioni). L’Anfiteatro Romano accoglierà invece Gianluca Petrella Trio feat. John De Leo (1 agosto), il pianista Gonzalo Rubalcaba e Sean Noonan con “Zappanation” (2 agosto), Enrico Pieranunzi e Irene Grandi (3 agosto), Musica Nuda, il duo composto da Petra Magoni e Ferruccio Spinetti (4 agosto). locomotivejazzfestival.it


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EVENTI

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dal 9 luglio Tuglie (Le)

TuGLIE INCONTRA Fabio Canino, Massimo Giletti, Franco Causio, Catena Fiorello, Rita Dalla Chiesa, Paolo Mieli, Roberto Giacobbo, Toni Capuozzo, Don Antonio Mazzi sono alcuni degli ospiti di “Tuglie Incontra”, festival nazionale del libro giunto alla sesta edizione. Dal 9 al 22 luglio con un’appendice il 12 agosto una serie di incontri e concerti con il coordinamento del giornalista Gianpiero Pisanello. Info tuglieincontra.it

8 e 9 luglio San Cesario di Lecce

IO NON l’HO INTERROTTA Il programma della rassegna dedicata al giornalismo e alla comunicazione politica ospiterà seminari mattutini (dalle 9.30 alle 12.30 nel Palazzo Ducale) e incontri serali (dalle 20 alle 23.30 nella Distilleria De Giorgi) che coinvolgeranno, tra gli altri, Marco Damilano, Stefano Bartezzaghi, Alessandro Gilioli, Eva Giovannini, Giovanna Pancheri. Ingresso libero. Info iononlhointerrotta.com

dall’8 al 29 luglio Kurumuny, Martano (Le)

SENTIERI A SUD

Da venerdì 8 luglio a venerdì 29 luglio a Martano, località Kurumuny, in provincia di Lecce, torna puntuale come ogni estate “Sentieri a Sud”, la rassegna dedicata alle produzioni e agli attraversamenti culturali, tra musica e poesia, documentario e racconto, cultura antica ed evoluzioni moderne. Uno spazio di confronto in un luogo ricco di storia e di storie. “Sentieri a Sud” nasce con l’idea di offrire, in uno spazio fisico e un luogo dell’anima, idee e visioni su una terra che è lembo estremo ma anche crocevia di popoli: raccontare un territorio mutato, percorso da numerose correnti che cercano espressione. La rassegna - organizzata dalla casa editrice Kurumuny e patrocinata dal comune di Martano all’interno del cartellone estivo - propone quattro “sentieri” che ospiteranno, Silvia Rizzello e il suo recente libro “Favola agrodolce di riso fuorisede” e Nabil Bey dei Radiodervish (8 luglio), Francesca Malerba con “Salento rock. Andati via senza salutare” (14 luglio), Mimmo Epifani, José Barros e Mascarimirì (22 luglio), Franco Ungaro con il suo ultimo libro “Vado a Lecce. Artisti, storici e scrittori in giro per la città” e Pino Ingrosso, tenore salentino storico collaboratore del Premio Oscar Nicola Piovani (29 luglio). Inizio ore 21. Ingresso libero. Info kurumuny.it



TUTTI GLI EVENTI DEL MESE SUL SITO COOLCLUB.IT dal 9 luglio Ostuni (Br)

dal 15 luglio Locorotondo (Ba)

PianOstuni è il festival dedicato al piano, alle sue incredibili sfumature espressive e ai suoi grandi interpreti di scena nel comune pugliese. La rassegna prevede cinque concerti a ingresso libero in diversi luoghi della Città Bianca e nei dintorni, un grande piano ludico per il divertimento di grandi e piccoli in Piazza della Libertà, due postazioni free-piano a disposizione del pubblico nel centro storico ed, infine, l’esibizione di due grandi stelle del pianoforte in due eventi speciali. Sul palco venerdì 22 luglio il musicista e compositore inglese Michael Nyman, uno dei più celebri esponenti della corrente del minimalismo, mentre mercoledì 17 agosto di scena sarà Ezio Bosso con The 12th Room. Ospiti della rassegna sabato 9 luglio anche i musicisti Cesare Picco, Ivan Donchev e L’Orchestra della Magna Grecia, Giacomo Anglani, Alfredo Lofino; il 10 luglio, invece, le esibizioni di Rita Marcotulli, Mirko Signorile, Claudio Filippini, Giovanni Guidi. L’ingresso è libero per gli eventi del 9 e 10 luglio. Ingresso con biglietto per i concerti di Michael Nyman ed Ezio Bosso. Prevendite su bookingshow.it Infoline 3939639865

Lo spazio è il tema della dodicesima edizione del Locus Festival, che si sviluppa attraverso percorsi musicali avventurosi, l’arte e il design d’avanguardia, fra grandi performance e installazioni di luce in uno dei borghi più belli d’Italia: Locorotondo, nel cuore della Valle d’Itria, magico angolo di Puglia fra le colline non lontano da bellissime spiagge. Dal 15 luglio al 27 agosto il festival ospiterà Jacob Collier, Dj Premier & The Badder, Snarky Puppy, Andreya Triana, Jordan Rakei, Submotion Orchestra, Jelani Blackman, Floating Points, Theo Parrish, Kamasi Washington. Una line-up di alto livello internazionale che rispecchia le tendenze più evolute ed attuali della musica mondiale di quest’anno in ambito soul, jazz, black, ed elettronico. Il programma artistico si svolgerà attraverso cinque weekend, ed è focalizzato essenzialmente in due scene musicali: New York e Regno Unito, oggi più che mai straordinariamente vitali e innovative. Oltre ai grandi concerti sul main stage il festival proporrà altri eventi in città. Domenica 17 luglio Ernesto Assante e Gino Castaldo saranno i protagonisti di una lezione di rock dedicata a David Bowie. Info e programma completo su www.locusfestival.it

Locus Festival EVENTI

PIANOSTUNI

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EVENTI

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15/30 luglio - 7 agosto Bar Fellini - Erchie (Br)

TransEuropa Express Transeuropa Express è il Festival estivo all´insegna del rock and roll e dello scambio culturale internazionale curato dal batterista fasanoberlinese Nico Lippolis in collaborazione con Fabio Margheriti e Daniele Maggiore, gestori del Bar Fellini di Erchie. Venerdì 15 luglio appuntamento con Banda Veleno, sabato 30 luglio con Rob Ryan e lunedì 7 agosto con The Graveltones. Ingresso libero.

23 luglio Lecce

NIccolò Fabi Fabi torna dal vivo nelle principali città italiane con l’ultimo “Una Somma di Piccole Cose”, ottavo album in studio da solista, uscito per Universal Music a quattro anni di distanza dal suo acclamato “Ecco” e a due anni dalla fortunata esperienza del trio FabiSilvestriGazzè. Anche nel Salento il cantautore romano ha scelto di farsi accompagnare sul palco dal giovane autore Bianco insieme alla sua band. Ingresso 22/27 euro. Info www.niccolofabi.it

luglio/agosto Gagliano del Capo (Le)

LASTATION

Una ricca estate di eventi per Lastation di Gagliano del Capo, in provincia di Lecce. L’ultima stazione ferroviaria d’Italia, di recente trasformata in un centro culturale, ospiterà una serie di appuntamenti tra musica, arte, cinema, incontri. Dopo Gianni De Blasi (6 luglio), la rassegna “Terre estreme: visioni d’autore” ospiterà i lavori cinematografici “Di chi sei figlio” di Corrado Punzi (13 luglio), “Rock Man” di Mattia Epifani (19 luglio), “Italian Sud-Est” dei Fluid Video Crew (27 luglio). Nella notte tra il 22 e il 23 luglio spazio allo “sleep concert” di Canedicoda, un artista multidisciplinare attivo in ambito musicale (con l’alias di Ottaven), performativo e in quello del design e della moda. Ha sviluppato un universo autoriale ricco, cangiante ma sempre immediatamente riconoscibile. Dal 30 luglio al 21 agosto – con varie attività collaterali - appuntamento con la mostra “Caverne, pietre e luci” di Carlos Casas, artista visivo e filmaker spagnolo, a cura di Ramdom. Nel suo lavoro di ricerca all’interno del progetto “Indagine sulle Terre Estreme” l’artista è rimasto affascinato dalla storia millenaria di queste rocce e di chi, assieme al mare, le ha modellate: gli spaccapietre. Info ramdom.net


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EVENTI

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Dal 30 luglio Sud Salento

30/31 luglio Borgo Piave - Lecce

Nel Sud Salento “Esco di Radio”, trasmissione di Mondoradio, propone un festival itinerante. Sabato 30 luglio ad Alessano con Crifiu e Mino De Santis, lunedì 8 agosto a Lucugnano con Anna Cinzia Villani, Treble Lu Professore & The Dangeroots e martedì 9 agosto a Tricase con Carolina Bubbico Quartet, Moods e Bundamove. Previste altre date anche ad agosto. Info facebook.com/escodiradiolive

Nella piccola frazione di Lecce, a pochi km dal mare di Frigole, una breve rassegna dedicata alle nuove produzioni di giovani registi e registe salentini. Nel corso delle due serate saranno proiettati i recenti lavori di Andrea Ferrante e Marco Gernone, Lara Napoli e Alessandro Salvini, Corrado Punzi, Giuseppe Pezzulla e Mattia Epifani. La rassegna è organizzata da Cooperativa Agricola Terrae Ficulae e Associazione Latte & Miele.

ESCO DI RADIO TOUR

BORGO PIAVE IN CORTO


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EVENTI

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dal 2 agosto Castello Carlo V - Lecce

ANALOGHIA

Le sale del Castello Carlo V di Lecce - che da alcune settimane ospitano 72 opere di Andy Warhol e 12 fotografie di Maria Mulas - dal 2 agosto accoglieranno anche Analoghìa, mostra con le opere di Matteo Fato, Luigi Massari e Luigi Presicce, a cura di Lorenzo Madaro. L’esposizione resterà aperta fino al 18 settembre. Info castellocarlov@gmail.com

4 agosto Villa Comunale - San Vito dei Normanni (Br)

ROCKINDAY

Decima edizione del RockinDay di San Vito dei Normanni che festeggia questo importante traguardo ospitando Pierpaolo Capovilla e Il Teatro degli Orrori. “La macchina live più devastante dell’indie rock nazionale” è stata definita. In apertura spazio ai brindisi Moustache Prawn che proporranno i brani del loro ultimo cd “Erebus”. Ingresso 10 euro. Info rockinday.com

dal 1 al 5 agosto Maglie (Le)

MERCATINO DEL GUSTO Vino, olio, birra, cibo di strada, formaggi, salumi, dolci, gelati, frutta, verdura, fritture, pesce e carne sono solo alcuni degli ingredienti del ricco menù del Mercatino del Gusto che da lunedì 1 a venerdì 5 agosto tornerà nel centro storico di Maglie, in provincia di Lecce. Dopo “La cura” sarà “La gioia” il tema intorno al quale si muoverà la diciassettesima edizione di una delle manifestazioni dedicate alla cultura enogastronomica più longeve e importanti d’Italia. Il Mercatino del Gusto – organizzato dall’omonima associazione con il sostegno di numerosi partner pubblici e privati - sarà arricchito e impreziosito, come ogni anno, da laboratori e incontri di approfondimento, presentazioni di libri, degustazioni guidate e musica dal vivo, cocktail e dj set, appuntamenti dedicati ai bambini e spettacoli di danza. Una vera esperienza dei sensi che coinvolge gli appas-

sionati e i cultori del buon cibo, i curiosi e i turisti provenienti da tutto il mondo. In agosto migliaia di turisti scelgono il Salento e le sue bellezze paesaggistiche, culturali e architettoniche anche per non perdere l’occasione di partecipare a questo vero e proprio raduno del gusto. Chi visita il Mercatino del Gusto ha la possibilità di fare un viaggio da nord a sud della regione passeggiando tra le circa 100 bancarelle allestite nel centro storico di Maglie, incontrando gli espositori, dialogando con loro e soprattutto assaporando i prodotti eccellenti dell’enogastronomia. Info mercatinodelgusto.it


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EVENTI

dal 5 al 7 agosto Melpignano (Le)

SO WHAT FESTIVAL Tre giorni di incontri, mostre, uno spettacolo teatrale, una serata dedicata ad Emergency, quattordici concerti e dj set con ospiti italiani e internazionali: dal 5 al 7 agosto a Melpignano, in provincia di Lecce, appuntamento con la terza edizione del So What Festival. Si parte venerdì 5 agosto con una serata interamente dedicata a Emergency. Dalle 18.30 nell’ex Tabacchificio di via Roma appuntamento con una conferenza su Movimenti migratori e Programma Italia di Emergency con la partecipazione di Cecilia Strada e della giornalista Valentina Petrini (La7). A seguire lo spettacolo “Viaggio teatrale”, scritto e diretto da Patrizia Pasqui. Dalle 22 (ingresso 12 euro + dp) al via i concerti (che si terranno tutti sul palco allestito nel piazzale dell’Ex Convento degli Agostiniani) con le band salentine Tobia Lamare & 54 Songs Band e Boundless Ska Project

che apriranno l’atteso live del gruppo culto The Skatalites. Sabato 6 agosto (ore 22 - ingresso 10 euro + dp) la seconda serata si aprirà con Electrojezus e Float Flow. A seguire il progetto che vede insieme M1, componente del duo hip hop newyorkese “Dead Prez”, e Bonnot il pluripremiato DJ e produttore degli “Assalti Frontali” che si esibiranno subito dopo. In chiusura tornano nel Salento i 99 Posse. Domenica 7 agosto (ore 22 - ingresso 10 + dp), infine, So What Festival si concluderà con le esibizioni di Uncle Jungle, No Finger Nails, gli spagnoli Iseo & Dodosound e i francesi Panda Dub.


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