Coolclub.it - Novembre 2016

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GRATUITO Anno XIII Numero 88 Novembre 2016

Ogni mese un mondo di cultura in Puglia



SOMMARIO EDITORIALE - 5

CINEMA/TEATRO - 38/41

La rete, i buoni e i cattivi

Arash Abbasi - Fibre Parallele The Unquiet - Ippolito Chiarello

INTERVISTA - 6/9 Mario Desiati

MUSICA - 10/29 Tobia Lamare - Adria - Luigi Bruno Tropical Party - Misga - Ainè Massimo Donno - Carolina Bubbico Keep Cool - Mentana - Dente The Giornalisti - BlogFoolk

LIBRI - 30/37 Livio Romano - Diego Dantes Simona Cleopazzo - Officine della Fotografia - Valentina Farinaccio Coolibrì

Piazza Giorgio Baglivi 10 73100 Lecce Telefono: 0832303707 Cell: 3394313397 e-mail: redazione@coolclub.it sito: www.coolclub.it fb: Coolclub.it - tw: Coolclublecce Anno XIII Numero 88 Novembre 2016 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Collettivo redazionale Pierpaolo Lala (Direttore responsabile), Osvaldo Piliego, Dario Goffredo, Chiara Melendugno, Antonietta Rosato, Toni Nisi, Cesare Liaci

ARTE - 42/47 Kiasmo - Fernando De Filippi Giuseppe LaSelva

BLOG - 48/53 Food Sound System - Brodo di frutta Affreschi&Rinfreschi - Stanza 105 I Quaderni del senno di poi

EVENTI - 54/62 Conversazioni sul futuro - TedxLecce TimeZones - Fortezza In Opera Ci vuole un fiore - Cristiano Godano Città del Libro

Hanno collaborato a questo numero la redazione di BlogFoolk (Salvatore Esposito, Ciro de Rosa, Marco Calloni), Alessandra Magagnino, Giulia Maria Falzea, Lorenzo Madaro, Donpasta, Adelmo Monachese, Mauro Marino, Mino Pica, Francesco Cuna, Daniele De Luca, AnnaChiara Pennetta, Matteo Tangolo, Laura Rizzo, Giuseppe Arnesano. In copertina Moana Pozzi Progetto grafico e impaginazione Mr. Scipione Stampa Colazzo Srl - Corigliano d’Otranto (Le) www.colazzo.it Chiuso in redazione per miracolo!


SABATO 5 NOVEMBRE 2016 LECCE

H. 15.30

TEATRO POLITEAMA GRECO

tedxlecce.it | info e ticket: tedxlecce@gmail.com

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EDITORIALE

LA RETE, I BUONI E I CATTIVI Spesso le storie si intrecciano casualmente. Come quella del milanese Dario Fo e dello statunitense Bob Dylan. Il primo morto il 13 ottobre a novant’anni e il secondo, nello stesso giorno, insignito di un Premio Nobel per la letteratura che, nel 1997, era andato proprio allo scrittore, pittore, attore e regista. Non possiamo aggiungere altro sulla figura dell’autore di Mistero Buffo, sulle sue contraddizioni, sul suo impegno politico e sulle censure subite, sugli spettacoli e sui libri, sui dipinti e sull’amore infinito con Franca Rame. E non potremmo davvero dire altro sulle parole e la musica del cantautore al quale in tanti si sono ispirati. “Da oggi la nostra poesia è nei jukebox di tutta l’America” è la frase che il poeta Allen Ginsberg avrebbe pronunciato ascoltando la musica di Dylan. Il cerchio si chiude. Anche se le polemiche non si placano. Prima perché in molti non hanno riconosciuto la “congruità” di questo premio. Ma come, il Nobel per la Letteratura a un menestrello? La seconda, ancora più succosa, per il silenzio prolungato (che prosegue mentre chiudiamo questo numero) del premiato nei confronti dell’Accademia svedese. Gente precisa che mette l’educazione prima di tutto. Dylan non si smentisce e continua a far parlare di sé. Non sappiamo come andrà a finire, non sappiamo se alla fine il Premio sarà accettato e consegnato, sappiamo solo che il 3 e 4 dicembre alle Officine Cantelmo di Lecce, nell’ambito di Officine della musica, torneremo a parlare del rapporto tra poesia, letteratura, parole e musica con la rassegna “La poesia nei jukebox” che proprio prendendo ispirazione da quella frase di Ginsberg, una decina di anni fa,

decidemmo di ideare. Ma il premio a Dylan e la morte di Fo ci hanno confermato, qualora ce ne fosse ancora bisogno, come ci sia un odio sopito e diffuso nella società (mi fermo a quella italiana) che nei social, nella rete ha trovato la sua massima deflagrazione ma che si alimenta anche sui giornali e sui media tradizionali. Così il buonismo (stucchevole a dire il vero degli anni ‘90), si è trasformato in cattiveria gratuita. Dario Fo è stato massacrato e leggendo commenti in giro sembra un attore in vernacolo abituato a calcare i palchi di parrocchia, mentre Dylan ha scritto solo qualche canzoncina senza importanza ed è pure stonato, oltre che cafone. Di questo “odio online”, che nei casi più drammatici ha portato anche alla morte di giovani ragazzi e ragazze, parlerà a Lecce un avvocato, Giovanni Ziccardi. È uno degli oltre 150 ospiti della rassegna Conversazioni sul futuro che dal 3 al 6 novembre proporrà in 20 location di Lecce circa 50 appuntamenti (workshop, incontri, presentazioni di libri, musica, proiezioni, confronti, dibattiti) e la quinta edizione di TedxLecce (5 novembre) sul tema della memoria. Qualche settimana dopo (26 novembre) il Tedx tornerà anche a Bari con la seconda edizione dedicata, invece, al Deserto. Infine qualche piccola indicazione per i nostri affezionati lettori. Nel giornale troverete qualche novità. Quelle che erano delle rubriche man mano si trasformeranno in “sezioni” con sempre maggior spazio alla musica e ai libri italiani e stranieri. Dopo il ritorno del cartaceo (da marzo) abbiamo sempre cercato di venire incontro alle richieste e alle vostre esigenze. Sbagliando ma provandoci. Buona lettura. (Pila)


INTERVISTA


IL “CANDORE” DEL PORNO Lo scrittore Mario Desiati ci parla del suo nuovo romanzo che si muove tra Pasolini, Rocco Siffredi e un’inedita Roma a cura di OSVALDO PILIEGO C’è una generazione di intellettuali in grado di raccontare il mondo che attraversiamo, la storia recente e il presente di questo paese da una prospettiva nuova. Figure nuove, giovani che stanno disegnando i profili di una nuova letteratura che non si affranca dal passato ma che si nutre di contemporaneità in tutte le sue forme. Negli strumenti che usa per arrivare alla gente, nel suo essere non solo scrittura ma tante altre cose, contenuto dell’editoria ma anche motore della stessa, nel suo utilizzare mezzi un tempo lontani dalla cultura, capace di uscire dalle pagine per poi tornare al libro. Sono giorni strani ed esaltanti, per certi versi, quelli in cui scriviamo. Muore Dario Fo, Bob Dylan vince il Nobel per la Letteratura, Nicola Lagioia viene nominato direttore del Salone del Libro di Torino. Storie che finiscono, consacrazioni, aperture al nuovo, tutti input che accolgono l’uscita di un libro importante. “Candore” di Mario Desiati è un’opera che apre la strada a una nuova forma di “classico”. Della normalizzazione della pornografia, del suo valore sociologico è stato scritto tanto, il suo cambiamento formale è sotto gli occhi di quasi tutti. Ma nessuno ha mai osato sperimentare quanto questo possa raccontare la nostra realtà e la nostra storia recente. Non si tratta di un atto provocatorio e neanche di artificio narrativo, la scelta di Mario definisce i tratti del romanticismo più estremo che abbiamo mai letto. Martino Bux il protagonista non è eroe e neanche esattamente un anti eroe, è una sorta di spettatore, di inetto, di sapiente di una

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conoscenza che interessa a pochi. Un ignavo, ma non tanto, un voyeur sicuramente, che fa di tutto per proteggere questa sua marginalità, in una città che è forse il vero amore di Martino. Le donne sono ideali, patinate di carta, relegate a una stagione del porno che non c’è più. E invece Roma c’è e Martino ne esplora le viscere gli angoli più scuri. Non è la Roma degli ultimi e neanche della perversione, non è una Roma corrotta dal peccato ma semplicemente un’altra città, fino ad oggi inedita. A risultare volgare è invece la “normalità”, la convenzione, l’apparenza, la quotidianità in cui si imbatte. Non c’è niente di scandaloso in “Candore” ma una disamina della diversità umana profonda e spiazzante, si parla di sesso per tutto il libro non lo si pratica, in una società che è profondamente sessualizzata ma poco sessuale. Alla soglia dei quaranta il pugliese Mario Desiati è autore di saggi, poesie romanzi, antologie, ha lavorato come editor, è tradotto in varie lingue, è una figura centrale per il “rinascimento” della cultura italiana. Questa sua profondità e, al contempo, questa sua fascinazione per la cultura pop ci hanno sempre affascinato. Abbiamo approfittato della sua gentilezza tra una presentazione e l’altra di “Candore” per parlare del suo libro e non solo. Pasolini e Rocco Siffredi si incontrano nelle pagine del tuo libro, è un’immagine stranian-

te ma che racchiude alcuni dei temi affronta “Candore”. La pornografia è una chiave di lettura dell’uomo e del suo stare al mondo, una proiezione esplicita della nostra storia, un patrimonio che ci racconta da una prospettiva inedita. Nelle tue pagine il porno diventa elemento centrale e culturale… È anche un modo per raccontare i nostri tempi da un’angolazione inedita e poco narrata, sono sceso in un campo minato e per me anche un po’ doloroso per le conseguenze che di solito libri su questi temi possono portare. Il rapporto con la pornografia è il rapporto con la trasgressione, ma anche la prima volta con cui molti uomini e donne conoscono il sesso e quindi ciò che influenza nelle vite private. Saper guardare un porno non è facile. È anche un romanzo d’amore, per una città, Roma, che il protagonista attraversa negli anni, a cui non rinuncia nonostante tutto, aggrappato con le unghie alla sua vita, intento a esplorare i “sotterranei fuori dal Vaticano”. Cosa ne pensi? Roma è una città meravigliosamente sulfurea, che vive su quel confine tra senso di colpa e voglia di illecito, il lato oscuro è perennemente oscurato e allo stesso tempo vissuto ed esaltato, un confine fecondo, fatto chiese interiori anche nei più spregiudicati libertini.


amatoriali sono allo stesso livello di alcuni porno che girano con etichette e produzioni mainstream. Il porno eterosessuale invece va verso quella direzione che Bux stigmatizza, un porno sempre più violento, e dove la sottomissione è univoca a a volte addirittura non consensuale, da uomo a donna. Tempo fa ho avuto il piacere di intervistare Luciano Funetta. Il suo “Dalle Rovine” racconta anche se in modo più estremo e oscuro il sesso. C’è però un elemento che ritorna, sono opere “notturne”, di lunghe veglie, di solitudini… Si scrive da soli… e anche la pornografia, oggi si consuma da soli, non più gesto comunitario come era trenta anni fa quando si andava nei cinema a luci rosse o si trattava con l’edicolante il proprio senso del pudore. Racconti di un antieroe che ama il sesso ma non lo pratica, di uno che la vita preferisce guardarla da fuori, mai viverla veramente, tantomeno da protagonista. Ci parli di Martino Bux? Un romantico disperato, ha la storia del porno cucita addosso, è come se lui portasse il peso della storia della trasgressione, è uno a cui si può fare di tutto, viene sempre messo in mezzo, come i protagonisti delle sue amate gangbang. Leggendo il romanzo quello che è l’immaginario dell’oscenità a cui siamo culturalmente abituati si normalizza pagina dopo pagina, lo sentiamo vicino, parte di una consa che si avvicina di più all’intimità. È invece il quotidiano ad essere sempre più scabroso e volgare… Ho impiegato anni a trovare questa maledetta voce, che non cadesse nel morboso e non cadesse nel moralismo, ossia la presa di distanze. Un lavoro molto difficile. La ricostruzione della storia del porno che fai nel libro è molto accurata. È interessante il passaggio in cui la poetica delle prime produzioni hard viene sostituita da un approccio più sportivo. Cosa ha perso il porno in questi anni secondo te e dove si sta dirigendo? Dove si sta dirigendo il porno è sotto gli occhi di tutti. Il porno diventa sempre più amatoriale, anzi con le tecniche che esistono molti

In questi giorni sono successe tante cose che hanno scosso il mondo della cultura italiana a più livelli. In ordine: Nicola Lagioia è il nuovo direttore della Fiera del libro di Torino, un segno di cambiamento e svecchiamento. Cosa ne pensi? E di Chiara Valerio a Milano? Premio Nobel a Dylan e la polemica di Baricco. Cosa ne pensi? Muore Dario Fo, cosa ha rappresentato per la cultura italiana secondo te? Sinceramente non mi interessano le polemiche letterarie sui premi, il nobel o altri premi non tolgono niente agli scrittori che non li vincono, anzi a volte servono proprio a quelli che non vinceranno mai un premio (in fondo Kafka, il più grande di tutti non vinse neanche un ambo alla tombola). Posso dire che sono triste per Dario Fo anche per il modo con cui è stato vissuto il lutto del nostro più grande scrittore di teatro di questi anni, accuse da morto, nessun lutto nazionale, neanche un minuto di silenzio sui campi di calcio che è l’unico evento che ancora oggi richiama un po’ di attenzione. Posso fare gli in bocca al lupo agli scrittori Nicola e Chiara che hanno un compito difficile, ma non ho dubbi sulla loro visione e diplomazia che sono ciò che dovranno usare in questi mesi per far rilanciare e lanciare le due fiere. Poi io spero soprattutto di leggere presto i loro nuovi romanzi poiché sono scrittori che apprezzo molto.

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TOBIA LAMARE

Dj, cantante, musicista produttore e anima dell’etichetta Lobello Records. “Summer Melodies” è il nuovo disco del salentino influenzato dalla recente passione per il surf Stefano Todisco, in arte Tobia Lamare è un grande amico della nostra redazione. Anche l’inizio di Coolcub è una propaggine della sua prima esperienza musicale: gli PsychoSun. Sono passati tanti anni, la scena musicale pugliese e italiana è cambiata e con lei la visione musicale di Tobia. Dagli inizi indie e punk, alla fascinazione per il folk con i Sellers, la scelta di fare le cose da solo con la sua Lobello records e infine oggi questa nuova formula musicale che riversa in sala prove decenni di ascolti e chilometri di 45 giri suonati da dj nelle balere più scalmanate del Salento. Esce in questi giorni “Summer Melodies” e tra una surfata e un’altra abbiamo avuto il piacere di ascoltarlo in anteprima.

Questo disco è la tua nuova evoluzione, la nuova stagione del tuo sound, che nasce e cresce dall’idea di pubblicare cinquantaquattro canzoni in un anno. Ce ne parli? I due dischi precedenti hanno avuto una promozione live molto intensa per essere un’artista indie, nel senso di indipendente. Dopo le ultime date avevo bisogno di schiarirmi le idee. Stavo già provando a cambiare suono ma non capivo in quale direzione andare. Così ho deciso di aprire un blog dove pubblicare un brano inedito ogni settimana per 54 settimane. è stato molto divertente ed anche molto seguito. Soprattutto negli Stati Uniti, che era il posto da cui mi arrivavano la maggior parte di visualizzazioni. Ho messo il mio song writing alla prova e ho


sperimentato con strumenti e sonorità per me inusuali. è stato un diario sonoro. A ogni brano era legato un racconto o una riflessione. Durante questa maratona ho conosciuto nuovi musicisti con cui ho potuto sperimentare nuovi suoni e nuove soluzioni di arrangiamento. Da qui la decisione di entrare di nuovo in studio di registrazione e fare prendere vita a un nuovo disco. Il retaggio indie da musicista in questo album sembra incontrare e fondersi al tuo bagaglio da dj. Quindi il rock e il soul, il surf e il folk si incontrano… Ascolto la soul music da sempre e comporre le melodie per i fiati era il mio sogno proibito. In realtà aver avuto un’attitudine indie negli anni mi ha aiutato a non avere preconcetti, ad avere la leggerezza per sperimentare “nuovi” strumenti e sonorità e a lasciarmi sedurre dal sound della mia collezione di 45 giri. A me piace definirlo un soul o surf rock molto bastardo. Se fossi un cocktail probabilmente mi piacerebbe essere chiamato il “Jack Johnson sbagliato”. Pe fare questo hai messo su una super band. Chi ha suonato con te in queste tracce e chi ti accompagna dal vivo? Ho avuto la fortuna di suonare e confrontarmi con grandissimi musicisti. Nel disco hanno suonato Francesco Pennetta alla batteria, Roberto Pisacane al basso, Emanuele Coluccia al sax, Alessandro Dell’Anna al piano, Mauro Tre ospite all’Hammond, Antonio Candido Jr all’armonica, e poi le special guest: la canadese Random Recipe, la britannica Mara Simpson e Sofia Brunetta. Dal vivo rimangono sempre Roberto Pisacane e Alessandro dell’Anna e invece cambiano alla batteria Andrea Miccoli e Salvatore Pasca o Dario Stefanizzi al sax. La musica è parte integrante della tua vita e inevitabilmente la racconta. In particolare il mare è un elemento che ti ha aperto un nuovo mondo, ce ne parli? è stato quasi casuale l’incontro con una

tavola da surf qualche anno fa. Sono stato sempre legato al mare, ma il surf mi ha fatto conoscere un mare diverso, solitario, misterioso e generoso. Le mareggiate invernali, l’acqua color ghiaccio che si trasforma in forme perfette e lisce quasi come fosse fatta di vetro. Il mare mi ha aiutato in momenti molto difficili e mi ha regalato tonnellate di buone vibrazioni, oltre che di acqua sulla testa! Il legame con la musica è stato subito forte, tanto da spingermi, insieme al mio amico e maestro Carlo Morelli, a produrre un documentario e una residenza artistica (“Singing on water”) che hanno alla base la ricerca del legame tra le onde e la musica. Quelle ore che passiamo in acqua a prendere le onde sono il momento in cui riusciamo a togliere i tuoi problemi dalla testa e lasciarli sulla spiaggia. Confrontarti con le onde del mare, oltre a essere un divertimento pazzesco, ha un valore terapeutico impagabile e il mio buon umore ormai si misura da quante volte riesco ad andare in spiaggia con gli amici. Il viaggio ma anche la casa, la famiglia e gli incontri, l’amicizia e l’amore, sono questi i temi di “Summer Melodies” ? Sono gli elementi fondamentali della mia vita. Abitare in provincia ti da l’opportunità di avere intorno l’affetto degli amici. Gli amici sono da sempre un elemento importante anche della casa dove abito insieme a mia moglie e mia figlia, e sono anche la famiglia che ho scelto e con cui ho passato la metà della mia vita. La mia città, con la sua piccola dimensione, mi permette di avere tutti questi affetti e di fare le pause pranzo a mare. Mi permette di avere una casa dove suono, compongo e registro e mi ha sempre permesso di viaggiare molto spesso. “Summer Melodies” è uno stato mentale, è l’estate che non finisce mai, è l’estate come grande dispensatrice di emozioni. Il calore del sole, il blu dell’acqua, questo disco è una dichiarazione d’amore verso i luoghi e le persone che mi fanno stare bene.

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ADRIA

Con “Ogni goccia” continua il viaggio del progetto guidato dall’organettista e cantante Claudio Prima Dopo alcuni concerti di presentazione in Germania esce “Ogni goccia” nuovo disco del progetto Adria. Guidato dall’organettista, compositore e cantante Claudio Prima, il quartetto è composto dal sassofonista Emanuele Coluccia, dalla cantante Rachele Andrioli e dal batterista Francesco Pellizzari. Il disco sarà presentato ufficialmente sabato 5 novembre (ore 22 - ingresso libero) alle Officine Cantelmo, in collaborazione con Officine della Musica, nell’ambito dell’articolata programmazione della rassegna “Conversazioni sul futuro”. Ne abbiamo approfittato per parlare con Claudio Prima di questo disco, delle sue esperienze a teatro con La Fabbrica dei Gesti e dei progetti futuri con Bandadriatica e Giovane Orchestra del Salento.

La tua voglia di indagare il Mediterraneo e le musiche di confine non si ferma mai. Qui però abbandoni la “abbondanza” sonora della Bandadriatica lasciando spazio ad arrangiamenti essenziali per organetto, sax e batteria con influssi balcanici ma con i piedi ben piantati nel jazz. Come nasce l’idea di Adria? Inizialmente Adria è nato come progetto di indagine delle assonanze fra musica tradizionale del Sud Italia e musica tradizionale albanese (con Redi Hasa al violoncello), ma si è subito dimostrato, soprattutto dopo l’ingresso di Emanuele Coluccia, un progetto con una vocazione molto più moderna. Ha quindi accolto le nostre composizioni inedite, lasciando ampio spazio all’estro compositivo, all’esigenza di spingersi oltre


e di sperimentare nuove sonorità, un nuovo modo di intendere la musica tradizionale. è un progetto che ha contenuto da sempre il nostro lato più riflessivo, più intimo e, quindi, fa da perfetto contraltare all’esuberanza della BandAdriatica. La musica tradizionale in Adria prende una forma totalmente originale, facendo da spunto a musiche e testi che in qualche modo la contengono, come una radice, e che, allontanandosi da essa e rifiorendo, la tengono in vita. Noi intendiamo la musica tradizionale come una musica in continuo movimento e Adria è per noi l’espressione di questa trasformazione. I nuovi apporti di Rachele e Francesco, si muovono esattamente in questa direzione. Rachele ha una voce totalmente mediterranea e si sposta con agilità dal fado ai balcani. Negli arrangiamenti di questo disco la sua voce è spesso strumento (come in Ogni goccia, Garrote, Una rosa), all’unisono con organetto e sax. Francesco usa la batteria in maniera percussiva e l’elettronica. Siamo quattro musicisti e ascoltatori curiosi e in questo progetto ci sentiamo liberi di dar voce a questo istinto, senza alcun vincolo di genere. La tracklist ospita brani originali e alcune cover, una dedica a Mia Martini e alla versione italiana di un pezzo di Chico Buarque, Garrote del brasiliano Hermeto Pascoal e un brano tradizionale salentino. Cosa cercate di raccontare nei vostri brani originali, qual è l’immaginario che vi guida e perché la scelta di quelle cover? Siamo alla ricerca di una forma canzone essenziale, asciutta, che trovi nei testi e nella loro interpretazione una naturale evoluzione delle sonorità dei nostri strumenti, i cui accoppiamenti spesso sono inconsueti. Raccontiamo quindi, con un lavoro di trasposizione che interessa sia le scelte musicali sia i testi, il tessuto emotivo complesso nel quale tutti ci muoviamo, spesso con la difficoltà di non saperci definire. La musica quindi assume su di sè il ruolo di rappresentare e di orientare, e cerca di placare questa

sorta di inquietudine, rendendola manifesta. Valsinha, nella versione italiana che fu di Mia Martini è perfetto in questa chiave. Da qui la scelta di farne una cover. Il contatto col Brasile, invece, nasce da una mia esperienza diretta di poco tempo fa con lo spettacolo Arrivi e partenze. In quel viaggio mi sono reso conto che l’organetto, portato lì centocinquantanni anni fa dai nostri emigranti, nei repertori moderni rappresenta in maniera perfetta l’evoluzione che subisce la musica quando si confronta con culture diverse, la capacità che ha di trasformarsi e di accogliere nuove influenze, conservandosi e sapendosi al contempo rinnovare. In Garrote, Hermeto Pascoal suona l’organetto e la sua musica, che è totalmente brasiliana, contiene il seme della nostra tradizione. Quantu me pari beddha te luntanu è un grande classico della tradizione polifonica salentina, noi lo reinterpretiamo con una soluzione armonica moderna, restituendo l’emozione che ad oggi questo canto ci suscita, con un linguaggio al quale ci sentiamo vicini. Dai palchi nelle piazze e nei club ti sei spostato anche nei teatri con La fabbrica dei Gesti. Un paio di mesi fa avete conquistato il “CrashTest - Collisioni di Teatro Contemporaneo” con lo spettacolo “Oltremundo” nel quale teatro, danza e musica convivono. Avete creato una “lingua” che non esiste ma che si comprende molto bene. Qual è la tua esperienza a teatro, come ti approcci a quel tipo di composizione? Ci sono nuovi spettacoli in arrivo? L’esperienza teatrale è stata rivoluzionaria per me. L’opportunità di utilizzare il corpo per creare partiture di movimento e improvvisazioni che potessero dar voce ad un certo tipo di pensiero o di emozione, mi ha fatto riconsiderare il mio modo di fare musica. Il corpo si esprime in maniera istintiva, permettendo l’accesso ad un mondo archetipale che ti conduce ad una relazione, con te stesso e col pubblico, naturalmente condivisa. Anche l’utilizzo della lingua im-

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Claudio Prima (foto Luigi Burroni)

Rachele Andrioli

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Francesco Pellizzari

provvisata in scena, del ‘grammelot’, si muove nello stesso senso. Ho cercato quindi di comprendere cosa mi permetteva di realizzare questo stesso processo per mezzo della musica. Questa esperienza mi ha portato quindi ad un nuovo modo di scrivere, che in questo momento definirei più funzionale. La musica in teatro è al servizio della scena, non si autodefinisce, ma si completa nella relazione scenica. Essere autore delle musiche degli spettacoli teatrali di cui io stesso faccio parte come attore, come in Oltremundo, in Arrivi e partenze con Stefania Mariano o nel recente VersoTerra di Mario Perrotta, mi ha dato l’opportunità di indagare le possibilità ‘relazionali’ della musica, il suo ruolo di sostegno di una scena, di amplificatore o latore di emozioni precise, definite. Le idee per i nuovi spettacoli ci sono e di certo ora anche nei concerti per me è diventato necessario il pensiero teatrale, una logica che lega la musica e la presenza dei musicisti sul palco, il loro essere in scena, ciò che li circonda, i costumi, la scenografia. Tutto insieme per dare forza e precisione al messaggio che la musica sottende. Gli altri due progetti Bandadriatica (che ha compiuto dieci anni anni) e la Giovane Orchestra del Salento (con un cd all’attivo e la ripresa delle audizioni e dei corsi) procedono a gonfie vele. Quali sono i progetti futuri? Con la BandAdriatica abbiamo iniziato il percorso che ci condurrà verso il prossimo disco, il quinto. L’intenzione è quella di indagare nuove strade, nuove sonorità, probabilmente ci sposteremo in uno spazio di indagine completamente nuovo per noi sia dal punto di vista musicale che geografico, c’è già una bella idea in merito, ma non vi voglio rovinare la sorpresa. Con la Giovane Orchestra stiamo progettando il concerto di fine anno e la costruzione di un nuovo repertorio. Abbiamo avuto molti nuovi ingressi, tanti nuovi ragazzi che vogliono condividere l’esperienza del fare musica insieme all’interno di una vera orchestra e questo ci darà la possibilità di far muovere nuove idee, di continuare a chiedere loro di esprimersi liberamente, di portare degli spunti da sviluppare in gruppo, per proseguire una delle più belle esperienze che finora abbiamo avuto la possibilità di fare. Dirigere un’orchestra di giovani musicisti è come rivivere tutti i passi che ci hanno portato ad essere musicisti adulti oggi, cercando di proporre ai ragazzi tutto quello che noi stessi al posto loro avremmo desiderato, è uno stimolo continuo a dare il meglio di noi. Dopo 5 anni di vita questo sforzo dà dei risultati notevoli, ora molti ragazzi sono autonomi nei loro progetti e trasferiscono il sistema di valori appreso in orchestra. In futuro cercheremo di reiterare il progetto, rendendoli parte attiva anche nei ruoli direttivi, in modo che l’esperienza si possa riprodurre in maniera ricorsiva, estendendo al massimo il raggio d’azione, nell’obiettivo di diffondere l’idea che la musica è libera, non ha vincoli, è uno strumento puro e privilegiato per esprimersi ed entrare in relazione nel migliori dei modi.


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Luigi Bruno & MPO Assud Bajun Records/Irma Records

Tropical Salento Party Tropical party dub mix Autoprodotto

MISGA Micamicapisci Freecom

Lo chansonnier gitano che canta “Ayo ne ne”, traccia numero tre del disco “Assud”, dell’esplosivo Luigi Bruno e della multiforme Mediterranean Psychedelic Orkestra, rappresenta solo una delle molteplici anime che abitano un lavoro decisamente spiazzante. La fine di ogni pezzo trasporta in un mondo totalmente differente rispetto al precedente, in un altro luogo e in un altro tempo. Anche se si tratta sempre di sud. Sud del Mediterraneo, sud dell’America, sud dell’Africa, sud dell’Italia, sud dell’Europa. I meridioni del globo si danno appuntamento in nove tracce, a partire da una scatenata “Surfinikta” rock e ska, che, arricchita della featuring di Nandu Popu, s’innalza a singolo deputato del cd. E poi il rock balcanico e psichedelico di “Balkan brown” come preludio a un “Santu Paulu tou” che riabbraccia forte l’amato/odiato Salento prima di tuffarsi in un “Sonido Amazonico” che vira su altre metriche. Direzione è il mondo intero, voracità e istintività compositiva sono le vele spiegate verso rotte ancora da scoprire. Matteo Tangolo

L’estate non sta finendo, perlomeno a giudicare dal groove che straborda dal “Tropical party dub mix”, prima compilation a marchio Tropical Salento Party. La crew, dopo aver fatto ballare il Petra del Sol di San Foca per tutto il mese di agosto, lancia diciassette remix in free streaming e free download (su Soundcloud e Mixcloud), curati per l’occasione da Dubin, dj e producer degli Insintesi, e No Finger Nails, anche lui producer di dub music. Dal roots “old style” di Little Roy con “Touch no my locks” e Carlton Livingston con “Tale of two cities”, a diversi brani originali dei due musicisti salentini, da featuring con artisti locali (vedi Insintesi e La Marina con “Quannu ni dai lu core”) a pezzi di Zion Train, Monkey Jahyam e molti altri ancora. Il tutto sotto la luce rosso fuoco di un tramonto sul mare, preludio di una grande festa senza fine, di un’estate perenne e circolare dove si danno appuntamento grandi hit ska, house, electro, hip hop, dub, jungle e reggae. (M.T.)

Dopo un lungo periodo di lavorazione, tra showcase e un mini tour europeo realizzato grazie a Puglia Sounds Export 2016, la band pugliese Misga debutta con “Micamicapisci” (Freecom). Il disco, disponibile ufficialmente dal 14 novembre, è stato anticipato dal singolo che dà il nome all’intero progetto artistico e che viene definito un «brano-denuncia sul mondo della comunicazione digitale che spesso compromette la comprensione tra le persone». La band originaria di Andria sceglie come pseudonimo quello formato dall’acronimo del nome del frontman Michele Sgaramella (cantante polistrumentista, autore, tra le altre cose, di Andriamata, attuale inno della Fidelis Andria). Con lui Marco Sgaramella (chitarra), Davide Suriano (basso) e Francesco Santoro (batteria). L’Ep che insieme realizzano si snoda attraverso sette tracce scanzonate e pop ed ospita anche la collaborazione con Puccia (from Après la Classe) che dà il suo contributo nel brano “Fame”. (C.M.)


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AINè Il venticinquenne esordisce con “Generation One” nel quale mescola sonorità nu-soul e hip hop Classe ‘91, faccia pulita e figura esile, Arnaldo Santoro con lo pseudonimo Ainè esordisce con “Generation One” (Totally Imported). Arnaldo sfida la sua giovane età anagrafica con un importante bagaglio di studi musicali e una determinata passione. Il risultato è condensato nelle tredici tracce dell’album, un prodotto discografico interessante nel panorama della musica italiana emergente, anche per la sapiente abilità nel mescolare sonorità nu-soul e hip hop, tradizione e innovazione. Originario di Foggia e nipote di Gegè Telesforo, Ainè cresce e studia tra Roma e gli Stati Uniti, in un confronto continuo con ispirazioni differenti. «La musica ha avuto da subito un ruolo centrale nella mia vita, così come nella mia famiglia. In casa abbiamo sempre pensato che fosse un linguaggio indispensabile nella nostra quotidianità», ci racconta in una pausa dal tour negli Stati Uniti, tra il Festival SOAR di Boston e l’Hit Week Festival di Miami, dove è stato special guest di Max Gazzè. «A Roma ho avuto la possibilità di studiare e di vivere a stretto contatto con grandi musicisti ed artisti; l’Italia per me rappresenta sempre una grande fonte di ispirazione: la gente, i luoghi, il modo di vivere le cose così intensamente. Ho iniziato a scrivere quando avevo quindici anni; in quel periodo sentivo il bisogno di trasformare in parole ciò che mi accadeva». Nella Capitale Ainè ha frequentato il college “Saint Luiss” e l’Accademia di Musica. La sua formazione si completa a Los Angeles dove, invece, frequenta la prestigiosa Venice Voice Accademy. Non basta. «A gennaio andrò al Berklee College of Music di Boston – ci confida – grazie ad una borsa di studio vinta l’anno scorso; un sogno per ogni musicista». Sembra chiaro che Ainè abbia scelto un percorso tradizionale, in un periodo nel quale

molto spesso l’affermazione di un giovane artista arriva mentre lui stesso ancora si sta formando; basti pensare alle webstar che spesso finiscono con il professionalizzarsi in corsa. A spingerlo nella direzione giusta una convinzione: «che la musica ti colpisce e poi è difficile liberarsene. Scrivere canzoni è da sempre la cosa che mi fa stare bene, il linguaggio che mi permette di arrivare alle persone; ho deciso di farne una professione con tutte le difficoltà del caso, senza mai dimenticare lo studio». Così arriva “Generation One”, un disco variegato, interessante per la capacità che potenzialmente esprime di legare idealmente l’Italia ad alcune sonorità RnB e soul americane. L’album si trova in qualche modo in bilico tra il classico jazz di Sergio Cammariere e le giovani leve rap, da Ghemon a Gemello; e ancora, appunto, tra l’Italia e l’America, con Alissia Benveniste e Kyle Miles. A definire meglio il tutto «il mio manager e produttore esecutivo Francesco Tenti, che ha creduto in me e nella mia arte», ci spiega Ainè. «Questo album è frutto di un costante dialogo con l’amico e produttore artistico Pasquale Strizzi che trovo sia uno dei produttori più visionari e preparati che ci siano in giro. La realizzazione del disco non sarebbe stata di così alto livello senza i miei “fratelli” musicisti Seby Burgi, Dario Panza, Emanuele Trigli ed Alessandro Donadei». Ainè sarà in tour in Italia in questo mese e farà tappa anche al Kabuki Club di Bari il 25 novembre. «La Puglia è una regione che, oltre ad appartenere alla mia famiglia, ogni volta mi dà energia. Quando ci suono percepisco che la gente apprezza e capisce ciò che sto facendo. La musica in Puglia sta avendo davvero un respiro positivo e questo non può che inorgoglirmi». Chiara Melendugno


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LE PARTENZE DEL CANTAUTORE MASSIMO DONNO

Due nuovi video con la big band per Carolina bubbico

è disponibile su Youtube da alcuni giorni “Partenze”, brano che dà il titolo all’ultimo lavoro discografico del cantautore salentino Massimo Donno, prodotto dall’organettista Riccardo Tesi. Realizzato da Meditfilm, diretto da Fabrizio Lecce, il nuovo singolo è tradotto in immagini come una sorta di diario di viaggio, dove il paesaggio rurale delle campagne salentine incontra le coste dell’Albania, i palazzi e le strade di Tirana, i mercati di Kruja e Durazzo. E poi il mare che unisce le due coste, dove ad ogni nuova partenza c’è sempre un nuovo approdo. Tra i luoghi individuati per le riprese, anche la sede dell’associazione Art&Lab Lu Mbroia di Corigliano d’Otranto, fonte d’ispirazione come racconta il cantautore. «È il luogo in cui il brano è nato, dove io ho vissuto effettivamente l’infanzia, la natura ed i luoghi attraverso gli occhi di mio nonno. Ci passava, e ci passa, il treno e per me è sempre stato l’unico elemento che legava, e lega, quel luogo sospeso ed isolato, alla modernità», sottolinea Donno. «Poi un giorno il treno l’ho preso davvero e con gli occhi ancora permeati da quella dimensione ho iniziato a descrivere quello che ho vissuto, e vivo, immerso in una realtà molto diversa da quei tempi e luoghi, da quel respirare lento e da quei colori».

Carolina Bubbico, lo diciamo da anni, è un talento cristallino. Con all’attivo due album (“Controvento” e “Una donna”) e tantissime esperienze in giro tra cui la partecipazione al festival di Sanremo - come direttrice d’orchestra del trio “Il volo” - è senza dubbio tra le artiste pugliesi più interessanti in circolazione. Oltre alle conclamate doti canore e compositive Carolina è una musicista virtuosa e poliedrica. Ed è per questo che è la dimensione live quella in cui si esprime al meglio. Escono in questi giorni in contemporanea due video live, registrati presso il Sudest studio di Guagnano che ci restituiscono tutta la sua bravura di performer. Per l’occasione ha scelto un suo brano “Etilady” e una cover riproposta con un arrangiamento esplosivo “Prendila Così” di Lucio Battisti. A impreziosire la session live insieme a lei una super big band composta da Luca Alemanno al basso, Filippo Bubbico alle tastiere, Dario Congedo alla batteria, Clara Calignano, Cristiana Verardo, Daniele Vitali ai cori, Emanuele Coluccia, Giovanni Chirico, Raffaele Vecchio ai sax, Alessandro Dell’anna e Antonio Macchia alla tromba, Cristian Bevilacqua e Gaetano Carrozzo al trombone.


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AL VIA I CORSI LA NUOVA APP DEL DELL’ACADEMY DEI KM97: La SALa PROVE LABORATORI MUSICALI A PORTATA DI CLIC Chitarra jazz, chitarra moderna, chitarra classica, basso, contrabbasso, canto, batteria, piano moderno, piano classico, tromba, sassofono, clarinetto, violino: sono alcuni dei corsi dell’Academy dei Laboratori Musicali di Trepuzzi, in provincia di Lecce. Una struttura che ospita tre sale prove, due sale registrazioni, due sale regia, nove stanze per la didattica, una sala eventi, la sede etichetta discografica La Rivolta Records e gli studi di Zero Web Radio. Per la prima volta, quest’anno, spazio ad un insegnamento interamente dedicato alla musica elettronica a cura di Pierpaolo Leo. Non mancheranno lezioni di gruppo, corsi di Propedeutica, Ear training, Grammatica Musicale, corsi di Songwriting a Musica D’insieme. Tra i docenti Agnese Perulli (canto), Paola Cannoletta (propedeutica), Alex Longo, Giancarlo Del Vitto e Alessandro Dell’Anna (chitarra), Giancarlo Dell’Annna (tromba), Stefano Compagnone (basso), Stefano Rielli (basso e contrabbasso), Francesco Negro, Daniele Dell’Anna e Alessandro Casciaro (piano), Roberto Gagliardi (sassofono), Fabrizio Gualtieri, Francesco Pennetta e Diego Martino (batteria). Info e iscrizioni laboratorimusicali.it

Km97 è la nuova applicazione per Android (completamente gratuita) che consente di verificare in tempo reale la disponibilità delle sale prova dell’ex casello ferroviario in via della Ferrandina a Lecce. Km97 nasce nel 2010 grazie alla passione e al lavoro dell’associazione Sum. Un vecchio casello in disuso ristrutturato dove – oltre a rosmarino, fichi e rampicanti – si coltivano musica, creatività e cultura indipendente. Km97 mette a disposizione due sale prove e sale di registrazione con regia e studio di postproduzione, a uso di musicisti, professionisti e appassionati. Grazie a questa nuova app si potrà avere sempre a portata di mano il calendario e contattare lo staff per prenotare la sala. L’interfaccia è stata progettata per essere quanto più intuitiva e semplice possibile. In un’unica schermata si avrà a disposizione il calendario organizzato in colonne scorrevoli, dove ogni colonna rappresenta una giornata, con una grafica da tipico calendario vecchio stile; per ogni giorno visualizzato dei riquadri colorati evidenzieranno quando una sala è già occupata. Info km97.it


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MENTANA

Robin-Joël Cool, frontman della cinematic folk band canadese ci racconta “Inland Desire” All’Ammirato Culture House di Lecce prosegue la terza edizione de “Il club dell’ascolto live”, rassegna nata dalla collaborazione tra il centro culturale, Coolclub.it e Uasc! e con il sostegno della Fondazione Musagetes. Un breve viaggio intimo e acustico alla scoperta dei nuovi suoni provenienti dal resto del mondo, con particolare attenzione al folk, alla parola cantata, alle storie, alla musica delle radici. Venerdì 25 novembre (ore 21 - ingresso libero) appuntamento con la folk band Mentana, in tour con il nuovo “Inland Desire”. Per scoprire il sound e la poetica del gruppo canadese abbiamo intervistato il frontman Robin-Joël Cool. La vostra produzione musicale si lega al cinema. Robin, oltre ad essere autore di quasi tutti i testi, sei anche attore e sceneggiatore; lo stesso vale per Viviane Audet, la tua compagna, che è musicista e attrice. A che punto della vostra vita artistica sono nati i Mentana? In che modo le due anime si sono unite nel gruppo? Le esperienze, la conoscenza, le persone che

abbiamo incontrato, i posti che abbiamo visitato durante la nostra vita, tutto questo arricchisce la musica che scriviamo. Naturalmente, per quanto riguarda Viviane e me, appartenendo al mondo del teatro e del cinema di Montreal, abbiamo una nostra modalità di composizione e di racconto di una storia. Il nostro bassista, invece, lui viene dall’Argentina dove ha lavorato come fumettista e dove ha suonato per molti anni in un’orchestra di tango. Il chitarrista, poi, lavora nei cantieri edili e viene dalle campagne occidentali; infine il nostro batterista ha studiato jazz e letteratura. In definitiva, direi che si tratta di amicizia e di mescolare I nostri backgrounds insieme. Il vostro sound è stato definito “cinematic folk” e le vostre canzoni come dei “cortometraggi musicali”. Come viene realizzato un brano dei Mentana? E quale evoluzione ha seguito la vostra produzione dal primo Ep sino a “Inland Desire”? Scrivo testi nello stesso modo in cui scrivo film. Mi piace raccontare storie. E compongo


canzoni come compongo colonne sonore. La musica deve essere al servizio della storia che stiamo raccontando. Questo è ciò che amo del folk: la semplicità, la purezza. Non si tratta mai di aggiungere, ma di sottrarre. La semplicità per me è come cucinare cibo di qualità: ha bisogno di tempo per fiorire. Odio dirlo, ma l’EP fu una sorta di demo. In quel periodo non avevamo un’etichetta e fu l’occasione per costruirci un’opportunità. Fu realizzato qui e là, senza soldi e spesso senza un ingegnere del suono. Quando firmammo il nostro primo contratto discografico, giunse il momento finalmente di realizzare l’album che avevamo sempre voluto. Tutto ciò ci ha dato più tempo per rivedere gli arrangiamenti. Dall’altro lato, invece, avere troppo tempo diventa un’arma a doppio taglio. Alcune canzoni hanno solo bisogno di un migliore studio e di un po’ d’amore. Quale filo rosso lega il viaggio musicale delle 12 tracce dell’album? Quale racconto attraversa il disco? Il titolo “Inland Desire” si ispira al libro di Émile Zola “La bestia umana”. Io sono da sempre un grande amante dei lavori di Zola. Ha la capacità di ritrarre la condizione umana in una maniera che mi dà i brividi e mi ha ispirato per molti miei progetti. Amo pensare che il naturalismo francese abbia degli aspetti simili alla musica folk. Quindi, direi che il fil rouge che lega l’intero album sia: 12 tracce come 12 personaggi che combattono con la loro bestia interiore. Mi piace ricordare che Toni Hamel, l’artista che ha realizzato la copertina del disco, è originario della Sicilia. Potete guardare I suoi lavori qui: www.tonihamel. net. In “Shutdown” cantate: - He spends a long time/ Working for a living-. Il video ritrae in effetti il senso di solitudine e alienazione che accompagna un lavoratore momentaneamente di ritorno nel suo paese natale, dopo mesi via. A latitudini diverse, mi colpisce l’universalità di questa tematica, anche in relazione alla situazione che vive un lavoratore del Sud Italia. Perché avete scelto di raccontare questa storia? Vengo dalla costa orientale del Canada, da una piccola città di pescatori. In Canada ci

sono due culture francesi, i “Quebeckers” e gli “Acadians”, conosciuti anche come “Cajun” (che possiamo trovare in Louisiana). Io sono un “Acadian”. Negli ultimi decenni, la crisi dell’economia ha colpito duramente i comuni orientali, costringendo un sacco di lavoratori ad andare ad ovest a lavorare nelle raffinerie di sabbie bituminose. Mio padre, i miei fratelli e un sacco di miei amici hanno dovuto trasferirsi là per trovare lavoro. Quanto a me, mi sono trasferito a Montreal, nel cuore del Quebec (in via Mentana). Mi ricordo di avere avuto numerose discussioni con i “Quebeckers” circa il disastro ambientale dell’Ovest. Le loro critiche nei confronti dei lavoratori dell’Est erano dure. Come in molti paesi in tutto il mondo, la recessione non ha colpito ovunque allo stesso modo. Sono d’accordo, la vicenda delle raffinerie dell’ovest è un disastro ambientale in Canada, ma credo che gli “Acadians” abbiano sofferto molto; non posso giudicare le decisioni che hanno dovuto fare per portare il cibo in tavola . Ho voluto raccontare la loro storia senza pregiudizi. Io non sono un attivista ambientale (vorrei esserlo), scrivo di persone che conosco, della loro bestia interiore e dei loro desideri. Tornando alla musica vera e propria, quali artisti vi ispirano di più? Sono tutti anglofoni? Sono cresciuto ascoltando Gordon Lightfoot, un cantante folk canadese che mio padre suonava tutto il tempo. Solo anni più tardi, ho riscoperto la sua musica e i suoi testi. Ha questo modo di scrivere di tragici eventi senza prendere posizione, riuscendo a immortalare un momento nel tempo. Essendo acadiano, ho ascoltato un sacco di musica folk Cajun come i 1755 e Zachary Richard e Clifton Chenier. Naturalmente, ho ascoltato Bruce Springsteen e Johnny Cash, e credo che si veda nella musica che scrivo. Sono anche un fan di Philip Glass, Schubert, Satie e Ennio Morricone. Nella mia adolescenza, mentre tutti ascoltavano i Nirvana e The Doors, mi ricordo di aver avuto questo nastro di Paolo Conte (questa è una storia vera), e di averlo messo su in ogni festa alla quale andassi. Mi ricordo anche un gruppo di noi, bambini, su una vecchia barca da pesca cantare “Via con me” con enfasi! Chiara Melendugno

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THE GIORNALISTI

La Roma “gigantemente pop” della band guidata da Tommaso Paradiso Roma vive una nuova stagione d’oro. Dopo i fasti del folk studio, dopo la generazione di Gazzè-Fabi-Silvestri, si fa strada oggi quella che forse non è una scena ma rappresenta comunque un movimento, una tendenza musicale capace di interessare le major e attingere pubblico tra gli hipster e i neoromantici e gli ex punk. I Cani, Calcutta e The Giornalisti sono sicuramente trai gruppi nel momento, protagonisti di un’ascesa veloce e inarrestabile. La formula vincente sembra quella di non aver più paura di essere pop, usare un sound immenso e smaccatamente anni 80 e raccontare in modo diretto e appassionato la vita di tutti i giorni. Esce “Completamente Soldout” il nuovo album dei The Giornalisti e noi abbiamo scambiato qualche battuta con Tommaso Paradiso.

Sono mesi, anzi anni, molto intensi per voi. Tante cose sono cambiate intorno a voi e nella vostra musica, “Fuoricampo” è stato un azzardo che ha ribaltato la prospettiva su quello che facevate, una piccola rivoluzione copernicana che dal suono si è trasfusa anche nell’immaginario… Beh sì. È come se a un certo punto da Wes Anderson la gente si fosse alzata in piedi ad urlare: “vediamo pure i film di Natale, le commedie rosa, i romanticoni, e ci piace la bruschetta, la pasta al pomodoro e un vino sincero, buono, pulito”. Noi non facciamo altro che proiettare quello che siamo e fortunatamente molte persone si ritrovano in questa miscela. Voi, insieme ad altri gruppi, avete in qualche modo riacceso l’attenzione sulla “sce-


na romana”, una lettura nuova della città, il racconto di una generazione, cosa pensi stia succedendo? Non so se sia un caso o meno che venga da Roma questa cosa. Diciamo che forse è una città che trasuda pop, facilità, immediatezza. Cioè Sorrentino ci ha vinto l’Oscar con Roma. Magari questo suo essere gigantemente pop si trasferisce anche nella musica. Diciamo che non abbiamo da una parte quella tendenza ad essere per forza “cool” nordici, quindi non dobbiamo per forza avere un’estetica forzata del minimal glaciale freddo posato. Dall’altra non abbiamo quello spirito così stragonfio di passione, terra, sangue del sud. Cioè siamo dei paraculi in fondo. Siete la dimostrazione che definizioni a cui eravamo tanto legati come “indie” e “mainstream” stanno piano piano avvicinandosi. Non ci si vergogna più di pronunciare la parola pop e si rispolverano artisti e sonorità definiti fino a poco fa “commerciali”. Penso alla vostra passione per Venditti… Ne è la dimostrazione la tua recente collaborazione con Luca Carboni. Non è forse il senso della musica quello di arrivare a più persone possibili? Per me si. Lo ripeto sempre. È difficile essere per tutti, è facile essere di nicchia. Ora l’equilibrio sta nell’essere per tutti ma senza snaturarsi, senza poi diversi pentire. Essere veri e sinceri, pop, ma per più persone possibili. E comunque sono pensieri che uno non si deve porre quando scrive qualcosa, un testo, una canzone. Basta essere onesti e poi vediamo quello che succede. “Completamente sold out” esce in questi giorni e sembra muoversi sul solco del precedente disco: arioso e confidenziale, come una serenata in piena notte. Cosa racconta questo disco? Parla proprio della notte. Parla banalmente di amore, di storie, di persone. Parla precisamente delle sensazioni scaturite in alcuni particolari momenti e da alcuni particolari incontri. Ecco. (O.P.)

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IL RITORNO DI DENTE A due anni di distanza da “Almanacco del giorno prima” Dente torna con le “Canzoni per metà”, quasi un “one man album” composto da venti brani da lui stesso scritti, arrangiati e suonati; sua anche l’etichetta indipendente Pastiglie, scelta per la pubblicazione. Il cantautore di Fidenza prova a riproporre l’essenzialità dell’esordio “Anice in bocca” e del successivo “Non c’è due senza te”(entrambi del 2007), album nei quali si cristallizza il paradigma dei suoi stilemi: sonorità semplici, atmosfere e tematiche intimiste, giochi di parole. L’idea iniziale di registrare il disco in casa, proprio come era avvenuto per “Anice in bocca”, non viene in questo caso perseguita, così l’attitudine lo-fi del progetto si ricrea grazie alla collaborazione con Andrea Appino (frontman degli Zen Circus) che lo ospita nel 360 Music Factory di Livorno. “Canzoni per metà” propone uno schema del “Less is more” (meno è meglio, ndr) che si spinge sino a inglobare la struttura stessa del formato-canzone, con brani che si risolvono in pochi minuti (“Fasi lunatiche”, ad esempio, dura 50 secondi). Del resto, è lo stesso Dente a dichiarare: «il disco raccoglie canzoni un po’ anomale, apparentemente non sviluppate. Resta il fatto che nella mia visione della musica queste non siano ovviamente canzoni incompiute, ma che hanno una loro dignità indipendentemente dal numero di strofe e ritornelli che contengono». “Canzoni per metà” scivola via in un lampo e rimane un disco godibile per chi continua ad amare lo stile di Dente che resta fedele a se stesso. (C.M.)


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Bon Iver 22, a million Jagjaguwar Lontano anni luce dai suoi esordi terrosi e folk questo nuovo disco di Bon Iver sembra invece liquefarsi. Quell’idea di prossimità dei primi album è sostituita da spazi siderali, grandezze artificiali. La composizione classica e solida del cantautore si disintegra in frammenti musicali stranianti. Tutto questo senza perdere neanche un grammo di bellezza. Perché al centro di questo nuovo universo c’è sempre l’uomo Justin Vernon. È forse questo il folk del futuro, la nuova musica da camera, una chitarra una voce un laptop. (Op)

Aa Vv Say yes! A tribute to Elliot Smith. Alr Elliot Smith è uno di quelli che manca. Nei pochi anni precedenti il suo suicidio ha espresso tantissimo musicalmente, intriso della sensibilità di Drake, visionario come i Beatles, contemporaneo come il grunge che lo circondava. Artisti come lui ne nascono pochi, ecco perché non bisogna perdere l’occasione per ricordarlo. Esce “Say yes! A tribute to Elliot Smith” un album che contiene quindici cover realizzate da tanti che a lui devono molto (Amanda Palmer, Jesu/Sun Kil Moon, Lou Barlow e J. Mascis, Yuck). (Op)

Jamie Lidell Building e beginning Jajulin Ondivago il percorso artistico di Jamie Lidell, dagli esordi più sperimentali ha attraversato l’elettronica glitch per poi abbandonarsi a una smodata passione per il soul, una scappatella berlinese con Beck a fare sintesi delle sue passioni e oggi un nuovo inizio. Affrancatosi dalla vecchia casa discografica Jamie è libero di dedicarsi al suo vero amore che in questo disco trasuda da ogni traccia. Scritto con la moglie, “Building a beginning” è una dichiarazione d’amore a Stevie Wonder, Al Green, Bill Withers. (Op)


Keaton Henson Kindly Now Pias Questa storia comincia qualche hanno fa con “Dear…” una manciata di canzoni. Piccole dediche, lettere d’amore appunto (Cara…) di un amante troppo timido per dichiararsi apertamente. Sul filo dell’emozione si muove la poetica di Keaton Henson, straziante in alcuni frangenti, così vicina da sembrare epidermica, tangibile e per questo intima. Questo nuovo album aggiunge qualcosa dal punto di vista strumentale pur rimanendo minimalista nella struttura. Consigliato agli amanti di Damien Rice. (Op)

Pixies Head Carrier Pias Rimetterti con la fidanzatina delle scuole superiori non ti farà tornare giovane. È più o meno quello che ho pensato ascoltando l’ultimo disco dei Pixies. Voglio dire che ci sono cose bellissime, che mai dimenticheremo, che hanno fatto di noi quello che siamo adesso, ma che erano perfette per quel momento della nostra vita. I Pixies mi hanno cambiato la vita, e quella di tanti altri, senza di loro forse non ci sarebbero stati i Nirvana (giusto per esagerare) ma preferisco ricordarmi di loro ai tempi di “Surfer Rosa”. (Op)

Solange A seat at the table Columbia Qualcuno si ricorderà di Minnie Riperton una cantante incredibile degli anni ‘70: ho pensato subito a lei ascoltando il nuovo album di Solange Knowles sorella della iconica Beyoncè, che con questo nuovo disco si consacra come una delle artiste soul più abbaglianti degli ultimi anni. In questo disco tutto sembra stare al posto giusto come succedeva ascoltando le prime cose di Erika Badu. Un disco coeso intorno ai temi dell’indipendenza, della lotta e del dolore reso speciale dal tocco magico del grandissimo Raphael Sadiq. (Op)

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OTELLO PROFAZIO

L’ultimo dei cantastorie dal Premio Tenco alla carriera all’album di “cover” di Peppe Voltarelli Ottanta anni di età e più di cinquanta di carriera, uno dei padri della riscoperta della musica popolare del sud Italia, autore di canzoni talmente famose da essere sovente considerate a loro volta brani tradizionali. Otello Profazio è stato definito l’ultimo dei cantastorie. Partiamo dal Premio Tenco alla Carriera: cosa ha provato quando l’hanno chiamata per annunciarle che quest’anno sarebbe andato a lei? Sono rimasto contentissimo, anche perché con me è stato premiato con la Targa Tenco anche Peppe Voltarelli che ha fatto un disco dedicato a me, “Voltarelli canta Profazio”, che ha sconfitto perfino Peppe Barra e Francesco De Gregori. La contentezza lì per lì non mi ha fatto dire però che io questo premio me lo aspettavo quindici anni fa. Non è che è cambiato niente, però allora c’erano gli antropologi e gli etnologi che avevano delle remore sulla mia attività, mi accusavano di edulcorare. Mi dicevano che la mia attività

più importante è stata quella di ricercatore, perché io ho registrato 300 ore di documenti audio autentici, oltre alle cose che ho poi riproposto io. E poi ho fatto trasmissioni alla radio (“Quando la gente canta”) e alla televisione per venti anni. Ho tenuto a battesimo cantastorie eccezionali, come Matteo Salvatore, Rosa Balistreri, il Duo di Piadena Molto importante è stato anche il lavoro su Ignazio Buttitta, uno dei primi esempi in Italia in cui un cantante decide di scrivere sui testi di un poeta. Non solo sui suoi, ho scritto anche sui versi di Quasimodo, in particolare ho musicato L’alto veliero. Per quanto riguarda Buttitta, per me è veramente un grandissimo poeta, e chiamarlo poeta dialettale è vergognoso. Per me è il Dante Alighieri siciliano. Quando io prendo nel mio repertorio un testo, deve “essere mio”. Buttitta scriveva di getto, e scriveva delle cose immusicabili. Io, tranne alcune che ho lasciato integre come le aveva scritte Buttitta, ho sintetizzato i suoi te-


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Un altro dei suoi tanti capolavori è stato “L’Italia cantata dal Sud”, ristampato qualche anno fa per il quarantennale dell’uscita... Prima di tanti altri, che poi hanno scritto libri spiegando come l’intervento piemontese sia stato distruttivo per il Sud, io già prima, negli anni ’60, ero uscito con il disco “L’Italia cantata dal Sud”, che era piaciuto tanto a Carlo Levi che ne aveva fatto la presentazione. Un disco in cui si parla di Garibaldi, emigrazione, brigantaggio, e si dice, violentemente, che “li piemontesi so come li pulci, vannu unni vonnu e sucanu a unni ponnu”. Un altro dei temi importanti è quello dell’emigrazione. Ne La canzone dell’emigrante descriveva la società dei primi del ‘900, ma sembra che parli di oggi. Ce ne sono in realtà due. Una antichissima, La canzone dell’emigrante, che fu ripresa da Ennio Morricone come colonna sonora di un film in cui si parlava anche di emigrazione, e poi c’era, famosissima, la ballata epica dell’emigrazione, come l’ho chiamata io, che ha come titolo “Mannaja all’ingegneri”, “Mannaggia all’ingegnere che ha inventato la ferrovia” dicevano i nostri emigranti, “che se non faceva i mezzi, all’America non se ne ia”. E poi se la prendevano con Cristoforo Colombo: “Cristofiru Culumbu, chi facisti? La mugghi giuvintù tu rruvinasti. Ed èu chi vinni ‘mi passu lu mari Cu chiddu lignu niru di vapuri!/L’America ch’è ricca di danari/è girata di paddi e cannuni, e li mugghieri di li “meri-

canni”/chianginu forti chi rristarusuli. Nelle sue canzoni ha sempre usato molto più l’arma dell’ironia che non quella della retorica. C’è anche nostalgia dell’emigrante per il proprio paese? Io credo di essere il più anti retorico che si possa essere. Noi del sud ci vantiamo e diciamo sempre di essere nostalgici, quasi fossimo i proprietari della nostalgia. è vero, c’è la nostalgia, ma non per il sud com’è oggi, ma del paese di una volta, e della gente che c’era una volta, quando eravamo bambini. Siamo nostalgici della fanciullezza, ancorché povera. Ma non siamo i proprietari della nostalgia. Io ho visto Americani piangere di nostalgia per New York. La nostalgia è proprietà di tutti. Un altro tema che non è mai mancato nelle sue opere, ed è un tema centrale non solo per il sud Italia ma per tutto il nostro paese, è quello della mafia. è cambiato qualcosa da cinquant’anni fa ad oggi? No, purtroppo io da Calabrese, credo che non sia cambiato granché, e che sia difficile che cambi qualcosa, perché anche la classe politica non aiuta. Intendiamoci, non è che la classe politica del sud sia peggiore di quella del nord, quella del nord magari è più fine. Un po’ come la DC di una volta, in cui le ruberie non si vedevano, invece quelle del PSI erano evidenti. Voglio aggiungere che io, di ideologia, sono socialista, non comunista, ma sono forse il cantante che più si è esibito nei festival dell’Unità, compresi quelli nazionali di Firenze, Milano e Torino, e perfino quello di Novellara, il più grande festival dell’Unità al quale ho partecipato. Io non sono comunista, e non credo al comunismo, però mi hanno sempre commosso quelli che ci credevano, non i “dalemi”, parlo dei comunisti veri, come Pietro Ingrao. Il mio prossimo disco si intitola La Storia, e inizia con la ballata consolatoria del popolo rosso: “non t’avvilire compagno, quanto ti sembra di arrivare, sei ancora all’inizio”. Ecco, per cambiare le cose ci vuole del tempo, secondo me è difficile arrivare al comunismo, ma sono lodevoli quelli che ci credono. Salvatore Esposito

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sti, e se non erano già capolavori prima, lo sono diventati dopo. Tra l’altro, i traduttori di Buttitta hanno tradotto le sintesi che io ho fatto di Buttitta stesso, il quale era contento di questa mia manipolazione, di questi abbellimenti. Però ci sono dei capolavori di Buttitta, come “Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali”, che poi dopo di me incise anche Ciccio Busacca, oppure “Il treno del sole”, che riguarda la tragedia di Marcinelle, dove morirono moltissimi italiani nella miniera in Belgio, e tante altre bellissime ballate, che erano dei poemi, e io le ho ridotte a canzone. Una di queste, tra le più belle, con una musica che poi è stata la colonna sonora de “Le terre del sacramento”, la canta anche Voltarelli nel suo nuovo disco.


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MARCO MASSA Sono cose delicate Tranquillo 2016 Almamegretta EnnEnne Sanacore Records / GoodFellas A tre anni da “Controra”, che ha segnato il rientro nella band di Raiz, gli Almamegretta tornano con il loro dodicesimo album. “EnnEnne” già nel titolo, preso in prestito dall’acronimo di Nescio Nomen utilizzato per registrare all’anagrafe chi nasceva da genitori ignoti, rimanda tanto alla natura meticcia della loro espressione musicale, quanto all’esigenza di raccontare il Sud, e Napoli in particolare, come incontro e scontro tra lingue, suoni e culture differenti. Finalista all’ultima edizione delle Targhe Tenco come miglior album in dialetto, il disco è stato arrangiato da Paolo Polcari e mixato da Adrian Sherwood (già con gli Almamegretta in “Sanacore”) e vede il nucleo storico composto da Raiz (voce), Gennaro “T” Tesone (batteria) e Paolo “Pablo” Polcari (tastiere), integrato dagli immancabili Federico “Fefo” Forconi (chitarra), Mario “4Mix” Formisano (basso), Salvatore Zannella (percussioni), Albino D’Amato (live dubbing), ed arricchito da alcuni featuring d’eccezione come Adriano Viterbini e Michele Montefusco (chitarre), Paolo Baldini (basso), Maurizio Capone (percussioni) e le voci dell’indimenticato Carlo D’Angiò, Cristina Donadio, Lucariello e della talentuosa cantante casertana Wena (backing vocals). La versione in vinile, aggiunge al disco un 7” con “Curre Core” nella versione AMS Dub e l’inedito “Enne dub”, che dal punto di vista sonoro completano idealmente l’album, rappresentandone la chiave di volta nascosta. “EnnEnne” è un lavoro intenso e musicalmente ricchissimo, nel quale il passato, il presente e il futuro della band napoletana sembrano incontrarsi tra le trame di una ricerca sonora sempre ricca di belle intuizioni e sorprese. Marco Calloni

Formatosi in ambito jazz con Renato Sellani e Franco Cerri, Marco Massa è un cantautore milanese dal ricco background musicale e con alle spalle sei album tra cui il live “A volte arriva il jazz”, registrato al Blue Note. Il suo nuovo album “Sono Cose Delicate” giunge a quattro anni di distanza da quest’ultimo e lo vede proporre dieci brani, incisi con uno straordinario cast di strumentisti in cui spiccano Tullio De Piscopo (batteria), Faso (basso), Greg Lamy (chitarre), Luca Colombo (chitarre), Massimo Moriconi (contrabbasso), Paolo Brioschi (pianoforte), Marco Brioschi (tromba), Ivan Ciccarelli (batteria), Tito Mangialajo (contrabbasso), Nicola Stilo (flauto), Massimo Tagliata (fisarmonica) e Stefano Barzan (pianoforte, piano Fender, synth) che ha curato la produzione e gli arrangiamenti. Nel disco disponibile unicamente in vinile su Amazon - è presente un codice che permette l’accesso a tre bonus track in digitale. (S.E.)


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GIOVANNI SOLLIMA Sonate di terra e di mare Almendra Music Ci sono lavori che detengono un’innata e immediata forza, che pretendono cura e dedizione dall’ascoltatore restituendo in cambio appagamento e completezza non comuni… è il caso di “Sonate di Terra e di Mare” un progetto di spessore decisamente superiore frutto dell’incontro artistico/spirituale tra diversi musicisti guidati da intento comune, inventiva e voglia di diversità. Il violoncello di Giovanni Sollima è una voce che riveste e comunica con brani composti da Giacomo Cuticchio, Marcello Bonanno, Pietro Bonanno, Giovanni Giannone e Gianluca Cangemi entrandone profondamente in contatto pur rispettando spazi e modalità espressive di ognuno; aspetto di gran pregio che denota la capacità di sapersi ascoltare. In questa dedica alla città di Sollima, Palermo, si incontrano molte strade, la gioiosa apertura che profuma di forme antiche di “Scherzo” e appunto “Variationes super Ave Maris Stella”, che convivono pacificamente con la promenade elettronica, “Bauci”, parte di un quartetto di composizioni affini composte da Luca Rinaudo a.k.a Naiupoche dedicate ad altrettante “città invisibili”, come denominate nella presentazione stampa dell’album, tra cui “Armilla”, “Ottavia” e “Cecilia”. Questi brani (si noti il riferimento Calviniano) sono posti in alternanza alle cinque composizioni acustiche introducendoci alle stesse con piacevole soluzione di continuità. Da sottolineare la deliziosa qualità esecutiva e resa sonora del progetto, con un personale accento su “Vag Mut Al Nua” di Pietro Bonanno, particolarmente apprezzata dal sottoscritto. In definitiva un tragitto trasversale incontro di passato e presente mediante una musica consapevole dell’importanza della dimensione emotiva, libera da schematismi e forzata autorefernzialità. Sinceramente lodevole. Marco Calloni

Michele Gazich La Via del Sale FonoBisanzio Artista in continuo movimento e incarnazione contemporanea dell’ebreo errante, Michele Gazich con “La Via del Sale” ha dato vita al suo disco più intenso e maturo di sempre, intessuto su storie ispirate, raccolte o semplicemente immaginate sugli antichi tracciati seguiti da coloro che commerciavano il sale, elemento allora fondamentale per conservare ed insaporire il cibo. Il musicista bresciano ha ripercorso questi sentieri portando alla luce storie toccanti di viaggi, fughe, persecuzioni, e culture calpestate, riscoprendo di pari passo musicisti e strumenti tradizionali come il piffero dell’Appennino e la Zampogna a chiave del Sannio o quella zoppa della Sabina, che nel dialogo con gli strumenti contemporanei compongono una suggestiva tavolozza di colori musicali folk-rock. Accanto a Michele Gazich, che si divide tra voce, violino, viola, pianoforte e tubular bell, troviamo un folto gruppo di strumentisti. Salvatore Esposito


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LIVIO ROMANO

“Per troppa luce” segna il ritorno dello scrittore salentino tra narrativa, provincia, cronaca e impegno sociale Livio Romano è sicuramente una delle voci più autorevoli della narrativa pugliese. Classe 1968, vive e lavora a Nardò, in provincia di Lecce. Insegnante di italiano per stranieri, dopo alcuni racconti nelle raccolte “Sporco al sole” (Besa) e “Disertori” (Einaudi), il suo fortunato esordio arriva all’inizio del millennio con “Mistandivò” (Einaudi). Il suo personale scaffale si arricchisce con “Per troppa luce”, il terzo romanzo pubblicato da Fernandel dopo “Il mare perché corre” e “Diario elementare”.

Per troppa luce è una girandola di affari loschi, avventurieri dell’economia e politici che si scambiano favori intorno al progetto di sfruttare il territorio e la sua storia per intascare un ingente finanziamento europeo. Di certo le cronache italiane saranno state un ottimo spunto per il tuo lavoro. Sì, naturalmente. È il mio modo di impegnarmi politicamente: denunciare, raccontare, mettere in scena l’Italietta eterna, le conventicole, gli accordi sottobanco, i potenti e le loro mille finzioni. Questo è un giornale puglie-


Foto Sara De Carlo

se, possiamo parlare senza fraintendimenti, pure se gli intrallazzi del potere sono simili a ogni latitudine nell’Occidente. Qualcuno ci sarà che ricordi di un architetto portoghese che voleva fare un parco tematico al Rauccio. Ecco, quello fu un primo input che mi fece fantasticare sull’architettura di questa storia. Quel progetto mi sembrava simile, altrettanto grottesco e pittoresco quanto l’altro faraonico Circo Barnum che racconta Montesano in “Di questa vita menzognera”. Poi ci sono i baroni universitari con le mani in pasta in tante

piccole e grandi miniere di denaro pubblico, e i Berlusconi locali che provano a far televisione in un posto in cui l’impresa, e dunque la pubblicità, è miseramente in crisi, ammesso sia mai decollata. Però, vedi, il mio sguardo, anche nei confronti di personaggi che raffiguro laidi, assetati di denaro, resta indulgente, al limite dell’affetto. In filigrana ognuno potrà vederci chi gli pare, ma mi sembra che l’idea di fondo, alla fine, sia che siam tutti sotto lo stesso cielo. Che una redenzione arriva per chiunque, e che non riesco a esser davvero cattivo con questi personaggi di carta cui, col passar delle pagine scritte e degli anni e delle riscritture, mi affeziono come a fratelli un po’ stravaganti. È anche la travagliata storia d’amore tra Simona e Antonio, due quarantenni complicati, che cercano un equilibrio sentimentale tra lavoro, famiglia allargata e voglia di riscoprire i sentimenti e la fisicità. Volevo mostrare anche questo. Non son capace di fare discorsi profondi, né oralmente né per iscritto, e davvero mi sta stretta questa attività, chiamiamola così, di esegesi letteraria che da ultimo mi capita di fare. Ma so “mostrare”. Prender dei soggetti umani e farli interagire sulla pagina. Trovo che la provincia italiana sia uno sterminato serbatoio di storie libertine, come ha definitivamente attestato Piero Chiara. La nostra non fa eccezione. Ormai i rapporti di coppia son fluidi, cangianti, aperti alla possibilità di ricerca di una qualche forma di felicità. E l’erotismo è un mezzo, non un fine, per provare a condurre una vita che rassomigli il più possibile a quella per la quale ci sentiamo portati. Antonio e Simona escono entrambi da matrimoni fallimentari e insieme, come si dice, fanno faville: sia dal punto di vista fisico che intellettuale. Ma Antonio è anche un paladino della giustizia, uno dominato dal Super Io, e uno che se la racconta meglio di qualsiasi romanziere, che fa fiction con sé stesso ogni giorno della sua vita. Vuole salvare tutto, il rapporto con la figlia in primis, e non si fa scrupoli a diventare amico degli affaristi. Sarà il primo, e anzi l’unico, a soccombere. Mi ha colpito molto la dicotomia tra il lusso di Nardelli e dei suoi compari, ostentato e ca-

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fone, e la semplicità accogliente della casa di Simona, un’oasi di pace nella quale Antonio cerca rifugio. È bello che tu colga questo aspetto, è molto femminile soffermarsi su quella casa. Che non a caso si chiama Ogigia: luogo di rifugio dalle brutture del “fuori”, luogo materno, come materna, ma anche volitiva e forte e piena di verve, è Simona. Però, nonostante un’infanzia deprivata, nonostante il suo grande bisogno d’amore, Antonio, come Ulisse, a un certo punto salpa dall’isola per ritornare nei marosi: è una storia antichissima. Si compromette, si butta via, intrallazza con donne molto più giovani di lui, diventa amico di un ricercatore precario che per arrotondare si prostituisce. Gli resta dentro la nostalgia di quella casa, la voglia di tornarci per sempre. Ma la spinta a impugnare la spada e risolvere la matassa di intrighi di Neripoli è troppo più forte di quell’amore che non sa apprezzare, non sa reggere. Antonio immagina la vita come un libro contabile a partita doppia in cui le entrate sono le buone azioni e le uscite le malefatte. Ad un certo punto però, lui, cresciuto in oratorio, comprende che Dio perdona tutti. Ti riconosci in questa visione della vita? Ti ringrazio di cuore per questa domanda che mi fa moltissimo sorridere. I primi lettori della Luce, direi anzi le prime lettrici, ché solo di donne mi fido, quelle che mi hanno accompagnato in questi anni di composizione del romanzo, ogni tanto, mescolando finzione e realtà, mi dicono: “Ah già, tu sei quello delle azioni probe da contrapporre a quelle cattive”. No no. Niente di tutto ciò, per fortuna. Fui molto colpito da una mia amica (sempre donne, fra le mie amicizie!) che, in un momento di crisi andò a parlare con un sacerdote il quale le disse: “Dio non ha mica un registro di partita doppia aperto innanzi a sé”. E lì mi sono inventato questo fatto del dare e avere, per l’ispettore del lavoro Antonio Congedo, tutore della legge. Sistema che prevede an-

che che se ti succede qualcosa di bello, devi aspettarti una controazione spiacevole da parte del Fato, o Dio o come lo si voglia chiamare. La lingua che usi è agile, a volte tagliente, con incursioni di dialetto ben dosate, che non risultano stucchevoli. L’ironia, i personaggi grotteschi, i momenti intimi descritti con leggerezza. Hai dei modelli letterari? Sollievo, Alessandra! Meraviglioso sollievo, a sentirtelo dire! È che tu sei una lettrice forte, avveduta, colta. Altri vi vedranno una lingua ardua, ipotattica, come si dice, eccessivamente elegante se non barocca. Ho molto lavorato sullo stile. Volevo riprovare a misurarmi col pastiche con cui esordii nel 2001, e, mandando al diavolo gli editori italiani che mi continuavano a dire “Bravo, bravissimo, ma chi lo vende un libro così?” mi ero detto: “Ok, allora adesso scrivo davvero come piace a me”. E però, poi, ho limato, appianato, segmentato periodi troppo complessi, depurato il lessico che in origine era ben più “prezioso”, aulico. Ho l’impressione che in questo romanzo sì, ci sia la mia solita ironia, e che a volte il grottesco diventa proprio comico, ma lo sguardo! Eh, lo sguardo cambia con l’età, ahimè. Non rileggo mai le mie vecchie cose, ma se provo a sbirciare dentro, chessò, a Porto di mare, vi trovo il ragazzo incantato che ero. E invece nella Luce c’è spesso cinismo. Non esasperato, dicevo. Un cinismo bonario, che salva anche il peggiore dei malvagi, ma niente di paragonabile alle prove giovanili. Lo dico sempre: il mio maestro è Gaetano Cappelli. Da lui ho imparato che la commedia umana è uno scatenato concatenarsi di delizie e spietatezze, e che non dobbiamo vergognarci di sentirci narratori meridionali con questo mood un po’ da tu vuo’ fa’ l’americano, pure se a cercar dei modelli esteri indicherei la leggiadria di Hornby che ho tanto amato anche quando ha fatto romanzi bruttini. Alessandra Magagnino


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DIEGO DANTES Parole per un futuro possibile I quaderni del Bardo

SIMONA CLEOPAZZO Irene e Frida Musicaos

OFFICINE DELLA FOTOGRAFIA Borgo Pace Autoprodotto

L’imminente referendum costituzionale ha riacceso un dibittito politico abbastanza violento (almeno nei toni, soprattutto sui media e tra le bacheche social) e inasprito polemiche all’interno del Partito Democratico con la “minoranza” che osteggia la riscrittura della carta costituzionale guidata dal Premier (e segretario dello stesso partito) Matteo Renzi. La discussione su cosa sia la “sinistra” in Italia è aperta da anni. Porta il suo contributo anche il leccese Diego Dantes (da sempre attivo e attivista) con l’agile pamphlet “Parole per un futuro possibile”, edito dalla piccola casa editrice I Quaderni del Bardo. Il libro nasce dall’idea di elencare, in una sorta di piccolo vocabolario orientato a sinistra (appunto), alcune parole utili a riflettere sul mondo di domani. Beni comuni, democrazia partecipativa, integrazione, alternativa: parole che tentano di fornire una rotta per un’idea di sviluppo delle nostre comunità.

Dopo la scrittura autobiografica del suo primo romanzo “Tre noci moscate nella dote della sposa” (Lupo Editore), Simona Cleopazzo sceglie per questo libro di esplorare una nuova forma, di sperimentare più linguaggi. È un lavoro di scandaglio nelle profondità dell’animo umano, che contempla il sogno e la sua disillusione, la frustrazione e la curiosità, la ricerca della felicità e il gusto amaro della sconfitta. Per parlare di donne sceglie di portarle in un confessionale. Le due protagoniste Irene e Frida si raccontano attraverso le pagine di un diario, una scrittura che ha moti e modi diversi. Si sente il tempo leggendo queste storie che si muovono parallele. Il tempo che passa e quello che intercorre tra le due, la differenza di etàche è una visione diversa del mondo, della vita e l’amore. Nella distanza i punti di contatto sono tanti da tracciare una costellazione che racconta ancora una volta la ricchezza della galassia femminile.

Lecce è conosciuta soprattutto per il suo centro storico. Ha periferie degradate ma non “devastate” e anche le zone più distanti dal centro riservano scorci di socialià interessanti. Borgo Pace, ad esempio, sorge su Via Taranto e nelle sue traverse. Qui, negli anni ‘90 - in una ex fabbrica - trovarono casa anche i Cantieri Teatrali Koreja. Dal progetto Officine della Fotografia, guidato da Valeria Potì, referente per il Salento di Afip International, nasce l’idea di un libro su questo quartiere con scatti di Daniele Argentiero, Andrea Chiffi, Adriano Nicoletti ed Ernesto Nuzzo. “Questo racconto è nato proprio lì, perché altrove non poteva esistere, altrove sarebbe stato altro, avrebbero avuto altri nomi i cantastorie per immagini che abbiamo scelto per accompagnarci durante il viaggio, avrebbero avuto altri colori, altre sfumature e soprattutto un’altra luce le emozioni che abbiamo chiuso in queste pagine”, si legge nell’introduzione. Il libro è arricchito da un intervento di Denis Curti, direttore della rivista “Il Fotografo”.


COOLIBRì - altre letture

VALENTINA FARINACCIO “La strada del ritorno è sempre più corta” è il romanzo d’esordio della giornalista e critica musicale La sua passione è la scrittura, è del segno dei Pesci e mangia la pizza consumando prima la crosta e poi il centro. È Valentina Farinaccio, giornalista e critico musicale, autrice di “La sindrome di Bollani” (2009) e di “Yesterday. Storia di una canzone” (2015). E “La strada del ritorno è sempre più corta” (2016) è il suo primo romanzo appena uscito per Mondadori. Parlare del tuo romanzo senza svelare nulla è una sfida dura ma necessaria, perché La strada del ritorno è sempre più corta ha bisogno di essere sfogliato come si fa con i veli di una cipolla: lentamente, con cura e versando lacrime. Proviamoci, partendo dall’incipit. Dirompente. Perché hai subito buttato nel ring la materia incandescente? Mi piacciono le sfide, mi piace sempre capovolgere le cose. Annunciare nell’incipit che quell’uomo, quello intorno a cui tutto gira, sarebbe morto, mi ha permesso di far posare gli occhi del lettore sull’attesa. Quello stato densissimo della vita di tutti in cui pare che nulla accada, e che invece, a guardare bene, contiene un sacco di cose meravigliose da osservare e raccontare. Ho da subito deciso che la domanda motore della mia storia dovesse essere: «E ora, che cosa s’inventeranno

queste donne strampalate per superare tutto questo dolore?» e non: «Chissà se alla fine Giordano Lorenzini muore davvero». In un’altra intervista hai dichiarato (la curiosità è femmina ma anche maschio, molto spesso, e quindi giochiamo subito il jolly) che i tre elementi autobiografici sono: la perdita di tuo padre da piccina, il mestiere di tuo nonno e Campobasso. Del primo si sa da subito, sul secondo lasciamo il mistero, mentre parliamo del terzo, la tua città, quel buco di Alice, così ben raccontata, tra donne chiatte, un misto di bigotto e perbenismo e un prepotente colore ocra che campeggia ovunque, sul caciocavallo, sul grano e persino sul giallissimo sottomarino di Ringo Starr, qui nelle vesti di amico immaginario di Vera, bimba cinquenne… Campobasso è una bellissima, e calda (ma freddissima, dal punto di vista climatico), e piccola città: i suoi tic, i suoi difetti, i suoi pettegolezzi, le sue comodità sono tipici di quasi tutte le città di provincia italiane. Ho raccontato la mia, ovviamente, perché è quella che conosco meglio. Volevo farcire la storia di dettagli, di profumi, di sapori; più che immaginabili, volevo che i luoghi del romanzo fossero visibili. E dunque, solo quella terra così


vicina a me, da cui il mio romanzo parte e in cui poi, alla fine, ritorna, poteva fornirmi gli indizi necessari per far precipitare il lettore proprio lì, nel misterioso Molise (che esiste, eccome se esiste!). I personaggi, come nell’Orient Express, dicono ognuno la propria verità. E tu, perfetta Poirot, li ascolti, gli dai voce, corpo, anima, urla, pattine, pagine da scrivere, sguardi, merendine, malattie, codini, tradimenti, parole d’amore e canzoni. Li curi e li trascini in un lungo viaggio tra dolore e presa di coscienza. Come ti sei mossa tra tutti loro? E, se possiamo dirlo, a chi hai voluto più bene? Sono loro che si sono mossi dentro di me facendo un gran casino, a dirla tutta. Sono partita da un dato di fatto: che il dolore accomuna tutti. Poi mi sono messa lì ad osservarlo, questo dolore, da diverse angolazioni, cercando di capire ogni volta da dove potesse arrivare e fin dove si potesse spingere. Senza giudicare mai, così come ci insegna Carver. E alla fine, forse, mi sono affezionata al più insopportabile fra i miei personaggi, quello di Santa. Perché è l’unica, lei, ad esser davvero senza speranza. C’è una parte molto buffa che riguarda gli oroscopi, una struggente sull’amore (e qui gli Scorpioni non ci fanno bella figura) e un costante occhio di bue piantato sulla scrittura, la tua passione, il tuo mestiere. Shakerando i tre elementi, che viene fuori dal bicchierone? Viene fuori che della vita non si butta via niente. Gli oroscopi servono a Vera per ingannarsi, per vendicarsi, per campare, per esercitare la scrittura, anche. E sono divertenti, dunque indicano a chi li legge una curiosa fuga dalla realtà. Ma allo stesso tempo credo che siano un mondo in cui tutti ci rifugiamo, di tanto in tanto, per raccontarci qualche bugia o per farci dire che tutto andrà bene. Ecco, la scrittura serve a legare tutto questo, ed è incredibilmente terapeutico. Molto affascinante è l’intreccio, che si snoda, manco a dirlo, in maniera musicale, alternando tempi pari e dispari, allegri, fortissimi e adagi sostenuti. Raccontaci come hai tessuto questo ordito, aiutando il lettore ad arrivare al “singolare” finale. Io sono indisciplinata per natura, non faccio scalette, non ho orari, non seguo metodi, non so mai che cosa accadrà nella pagina successiva, e il mio romanzo credo rispecchi questa mia irrequietezza. Ci sono dei giorni allegri come una canzone dei Beatles del primo periodo, e certi altri struggenti come un pezzo di Umberto Bindi: la vita è così. E la storia che ho raccontato anche: se ne va dove deve, fra leggerezza e strazio, attenta solo a non perdere mai il tempo. Laura Rizzo

Paolo Gresta One shot band Arcana

In tempo di cambi di stagione è necessario tirare fuori dagli armadi quello che è rimasto lì per molto tempo. E che spesso abbiamo dimenticato. La sorpresa è sempre grande, pur trattandosi del tuo gurdaroba. Ritrovi meraviglie che ancora ti calzano a pennello (spesso). La stessa cosa è capitata a Paolo Gresta, giornalista romano, che ha imbastito, sull’onda di una canzone balenata fuori dalla radio, come un calzino a scacchi degli anni ’90 saltato fuori da quell’armadio, un libro dal titolo “One shot band”, edito da Arcana. Il calzino, meglio: la canzone, era Strange World, di Ké, mentre l’idea, assolutamente mirabile, quella di parlare di gruppi scomparsi tra gli scaffali, ma che un segno forte e soprattutto seminale, hanno lasciato nella scena del rock, con una sola apparizione. La lettura, affascinante, procede con scansione cronologica per un trentennio, dal 1965 al 1998, e racconta aneddoti incredibili da gustare spesso con l’aiuto di youtube, per rintracciare perle rare e personaggi strampalati. Citarne qualcuno sarebbe controproducente, forse: la bellezza sta proprio nella scoperta. E già la copertina, da sola, basta a chiedersi parecchie cose: che ci fanno cinque monaci, con tanto di saio e chierica, su un libro che parla di rock? La risposta non soffia nel vento, ma è in queste pagine. Provare per credere. Laura Rizzo

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COOLIBRì - altre letture SIMONE SARASSO Da dove vengo io Marsilio

Neil Gaiman Trigger Warning Mondadori

Simone Sarasso è uno di quegli scrittori a cui sono abbonato. Aspetto i suoi libri come si aspetta la parmigiana della mamma la domenica o i regali di Natale. E non rimango mai deluso. Sarasso riesce sempre ad appiccicarti alle pagine dei suoi libri come la carta moschicida fa con le mosche. E non ne esci vivo. “Da dove vengo io” è il primo volume di un progetto ambizioso che fa lavorare le ghiandole salivarie del mio cervello: raccontare cent’anni di criminalità in America. E parte alla grande: raccontando le malefatte di quattro tra i protagonisti assoluti della scena malavitosa d’oltre oceano. Incontriamo i quattro, ancora ragazzini, nei loro Paesi di origine e li seguiamo sulle navi che li condurranno, poveri emigranti, in America, la Merica, il paese dei sogni. È una vita difficile ma la affrontano a modo loro, a muso duro e pugni alzati. Il Lower East Side è la culla per questi quattro criminali in erba che si annusano, si riconoscono e si uniscono a formare una delle più temute bande di tutti i tempi. Tra sangue (molto), gioco d’azzardo, alcolici di contrabbando e avventure amorose seguiamo i nostri nella loro ascesa verso la cima del mondo criminale americano. (D.G.)

Dalla sua capanna nel bosco Gaiman ci avvisa che i racconti di questa raccolta sono pericolosi, possono turbare “come botole spalancate sotto i nostri piedi”. Il titolo stesso del libro riprende l’espressione, che potremmo tradurre con attenti al grilletto, usata in rete per mettere in guardia lo spettatore ingenuo da contenuti difficili da maneggiare. Ogni brano di questo volume suscita un’emozione. Stupore, come in Arancione o in Un’avventura, o terrore, come in La mia ultima affittacamere. Oppure tenerezza per il ragazzo invecchiato che perde parti di memoria ma non l’affetto per il suo mentore, come in L’uomo che dimenticò Ray Bradbury. L’Almanacco di racconti, regala una storia per ogni mese dell’anno e, a sorpresa, poesie e filastrocche sono sparse tra le pagine. Dovendo scegliere le pagine che preferisco, non avrei dubbi: l’introduzione è una commovente perla di scrittura, in cui l’autore ci si siede vicino, ci guarda negli occhi e ci racconta come nascono le storie, come andrebbero lette, e soprattutto che la vita, quella vera, resta l’unica cosa su cui non possiamo mettere l’etichetta “Maneggiare con cautela”, perché non ci avviserà mai quando sarà sul punto di ferirci. (A.M.)


DON DE LILLO Zero K Einaudi

Ha sfiorato il Nobel. E lo avrebbe meritato. Almeno quanto lo avrebbe meritato Philip Roth e quanto lo meriterebbero altri grandi narratori. Don De Lillo è un cavallo di razza, di quella razza incredibile e meravigliosa che sono gli scrittori americani. Quelli che sono capaci di raccontare storie e lo fanno con una apparente facilità che ogni volta mi lascia frastornato. Storie che ti rapiscono, ti fanno riflettere, ti tengono attaccato alla pagina. Non è uno scrittore dallo stile facile, i suoi libri non sono quel tipo di libri che si leggono in un’ora sotto l’ombrellone per passare il tempo. Sono libri intensi, zeppi e densi. Zero K, l’ultima fatica letteraria di De Lillo tratta un argomento assai caro allo scrittore americano: la morte. Che cosa ci aspetta dopo la morte? Di cosa siamo fatti noi esseri umani? C’è altro oltre al corpo, ai nervi, alle cartilagini, alle ossa e ai muscoli che ci compongono? Esiste l’anima? E di cosa è fatta? Dove vanno i nostri ricordi? Il libro è narrato in prima persona da Jeffrey Lockhart. Suo padre Ross è un milionario sposato con Artis Martineau, una donna più giovane, un’archeologa, che è malata e sta per morire. Ross Lockhart è il principale finanziatore di una clinica segreta, Convergence, dove la morte viene controllata e i corpi vengono conservati nell’attesa che la scienza scopra il modo di farli tornare in vita in futuro. All’inizio del romanzo Jeffrey raggiunge Ross e Artis nella clinica, che si trova in un luogo sperduto vicino al Kazakistan, per salutare la matrigna prima che muoia. La visita al capezzale della matrigna è l’occasione per fare i conti con la propria vita, per affrontare il rapporto con il padre, con la propria infanzia, i propri progetti, le aspettative deluse. Ma anche per porsi domande esistenziali sul rapporto tra scienza e religione, tra vita e morte. Secondo alcuni critici non è il miglior romanzo di De Lillo, secondo altri è il suo capolavoro. Una cosa è certa: non è un libro che lascia indifferenti. (D.G.)

Rebecca Traister All the single Ladies. Il potere delle donne single Fandango Libri Non è il classico “Falli soffrire”, che dà consigli su come sedurre un uomo, né un inno anti maschio che vieta di innamorarsi, ma uno studio sulle ragazze di tutte le età che hanno superato l’dea di realizzarsi attraverso il matrimonio, senza per questo diventare delle acide zitelle. Una serie di ritratti e di interviste a donne che danzano intorno alla libertà emotiva, intellettuale e sessuale e che sono portatrici di grandi mutamenti sociali. E, sorpresa, alcune di queste virago, alla fine si sposano. Traduzione a cura di Valentina Nicolì. (A.M.) Rowling - Thorne – Tiffany Harry Potter e la maledizione dell’erede Salani Nel 2008 usciva in Italia “I doni della morte”, il settimo e ufficialmente ultimo libro della saga del maghetto più famoso del mondo. Eravamo tutti con l’anima in pace quando la Rowling ha tirato fuori dal cilindro il testo dello spettacolo teatrale diviso in due parti, in scena a Londra per la prima volta il 30 luglio 2016. La storia è stata scritta da J.K. Rowling con lo sceneggiatore Jack Thorne e il regista dello spettacolo, John Tiffany. Da quei testi è stato tratto questo libro, un pezzo davvero imperdibile per chiunque abbia i sette romanzi della saga. La storia parla di un Potter ormai adulto e padre di famiglia e Albus Potter, a cui spetta la difficile successione della dinastia di maghi. (D.G.)

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CINEMA -TEATRO

CUORE DI PERSIA

Ai Cantieri Koreja di Lecce il progetto del gruppo Moj Theathr guidato dal regista iraniano Arash Abbasi La diversità è un confine: se la si usa per limitare, per costringere in uno spazio è la più letale delle armi umane. C’è però un luogo in cui oggettivamente la diversità è l’unico mezzo per sopravvivere: il teatro. È la diversità, quella che include, il cuore della nuova stagione dei Cantieri Teatrali Koreja di Lecce. C’è un cuore, lontano geograficamente e culturalmente, che pulsa per due giorni di Novembre, il 18 e il 19 ed è quello di Persia. La Persia, cioè l’Iran, per questo lato di mondo è la diversità: religiosa, culturale, socio - economica, politica. E qui entra in gioco il teatro, che unisce senza omologare, racconta senza giudizio, non mistifica, è materia viva, corpi in movimento, relazione, sostanza. “Cuore di Persia” è un progetto che dura due giorni, con due spettacoli, “Padri, madri e figli”, “La Signora”, e una mostra fotografica “All about me, nicknamed crown giver” ma è soprattutto la precisa attenzione di Koreja, in collaborazione con i Teatri di Vita di Bologna, di guar-

dare al teatro in Iran e potercisi specchiare. Una storia diversa eppure comprensibile, una strada che non si interrompe, il coraggioso tentativo di colmare le distanze. È la prima volta che si parla di Iran in teatro a Lecce, ma Koreja ha portato i suoi spettacoli più volte nella terra persiana e ci tornerà a dicembre. Sono le storie di donne, di guerra e migrazione, e di utero in affitto recitate in italiano dal gruppo Moj Theater guidato da Arash Abbasi, regista iraniano che vive in Italia e racconta il suo controverso e amato Paese attraverso il teatro. È un esilio voluto il suo, forzato dall’impossibilità di parlare il suo linguaggio registico e drammaturgico in Iran. «Le condizioni lavorative in teatro in Iran sono difficili: il teatro privato non esiste. Tutto passa da un ente governativo. E questa è solo la prima fase: poi il regista deve riuscire a convincere un’assemblea che esamina il contenuto del testo dello spettacolo, controlla persino i dialoghi perché


non si parli di sesso o di tematiche erotiche. Se il testo va bene la compagnia teatrale deve affrontare e superare una terza fase in cui ci sono dei responsabili che vengono a controllare i movimenti degli attori in scena, che devono sottostare alle regole previste dallo stato. Il teatro fisico non esiste, e nelle migliori condizioni si può lavorare sul corpo degli attori in modo molto limitato e solo con gli uomini. Con le attrici non si può lavorare». Abbasi, invece, in “Padri, Madri e figli” mette in scena tre attrici Marta Anian, Judith Moleko, Sanam Naderi, che sono la memoria di un naufragio in cui si perde tutto, il contrasto con un padre passato dalla parte del nemico, e una madre che tenta di strappare la figlia alla jihad, la guerra santa. Ne “La Signora” Sanem Naderi è la voce muta di molte donne che per campare diventano madri surrogate, concede il proprio utero per una famiglia benestante che non può avere figli. Abbasi usa il teatro in modo spregiudicato: «Il linguaggio teatrale è un linguaggio speciale», dice. «In teatro quello che conta di meno sono la lingua e la cultura da cui deriviamo. Non intendo dire che la cultura non conti, ma il teatro è universale. Credo che la mente di tutti registi e drammaturghi segua la stessa linea: fare teatro per cambiare il mondo e influenzare la storia». Sceglie di parlare di donne perché è uno specchio dei problemi sociali, uno dei suoi testi “Vietato l’ingresso agli uomini” è stato censurato e mai andato in scena nella versione integrale. Nonostante tutto Abbasi sostiene il superamento di questa fase storica e l’importanza vitale del teatro in Iran. E sono gli occhi di un’altra donna iraniana, la fotografa Tahmineh Monzavi, che con la sua mostra “All about me, nicknamed crown giver” squarcia sempre più a fondo il cuore di Persia, portando negli spazi di Koreja donne bellissime, ferite e circondate dalla distruzione, potenziali Miss Iran in abiti lunghi, con i capelli coperti e una coroncina in testa. “Cuore di Persia” è la diversità che ci fa sentire fragili, ignoranti e impotenti e poi apre una nuova strada, ci prende per mano e ci porta in un cuore diverso dal nostro, lontano chilometri e tradizioni ma che in teatro ha lo stesso battito. Giulia Maria Falzea

Fibre parallele RILEGGE “ORGIA”

Avete mai fatto caso al vostro applauso? Provateci. La mano che comanda batte sull’altra e la sua intensità varia a seconda dell’emozione. Clap, clap. Forte per incidere a fuoco il gradimento, lieve se nulla di ciò che si è visto ha fatto tremare i polsi. Di fronte ad Orgia, riscrittura dello spettacolo pasoliniano ad opera di Fibre parallele, le nostre mani erano martello su un’ incudine. Vigorose, si aggrappavano l’una all’altra per approvare la forza dirompente e per spezzare la commozione di questo dramma esistenziale messo in scena. Nessun trucco, niente inganno, solo due microfoni, un quadrato in cui muoversi, come un ring, una felpa col cappuccio e poi carne e sangue e occhi grandi e un coraggio da vendere. E una voce, perfettamente modulata a seconda della scena, bipartita tra uomo e donna, tra realtà e disperazione, tra anfibi e sottoveste, tra desiderio e paura. In mezzo, al centro della scena, la virtù, Licia Lanera, regista e protagonista, spogliata di ogni velo, capace di mostrarci per intero la fragilità di chi non sa stare al mondo. Non si risparmia, non fa sconti la Lanera. Irrompe, tiene la scena per circa un’ora e mezza, alternando stati d’animo e prendendo sulle sue spalle tutto il peso della dualità, frapponendosi tra la moglie e il marito, tra gli spettatori e la paura, tra la sua irruenta fisicità e un ripieno friabilissimo. Bisogna avere scorza dura per assistere a questo spettacolo. Non sono ammessi tentennamenti. E mani deboli. Clap.Clap. Applausi. E chapeau. (L.R.)



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The Unquiet: LA SERIE SALENTINA AL TORINO HORROR FILM FESTIVAL L’anima dark del Salento sorprende al Torino Horror Film Festival. In platea lo hanno notato subito, il paesaggio delle immagini è il Salento ma non sembra il Salento con quella luce fredda, le inquadrature lunghe dall’alto sulla fitta vegetazione della costa di Santa Caterina, il carattere gotico di una villa settecentesca nell’entroterra di Monteroni. Niente barocco, centri storici soleggiati, mare cristallino. Il biglietto da visita di “The Unquiet”, la puntata pilota della prima serie horror ambientata a sud di Lecce, scritta e diretta dal regista James Kendall, usa un registro espressivo inconsueto. Kendall, 32 anni, papà inglese, mamma salentina, formazione british alla London film school del Premio Oscar Mike Leigh, ha presentato in anteprima il suo progetto nella sezione speciale del ToHorror Film Festival. “Ho provato a declinare il paesaggio in chiave di genere – racconta Kendall – con uno sguardo oggettivo e scarico di giudizio sulla scelta delle ambientazioni e sul modo di raccontare la storia”. Il suo viene definito cinema delle sensazioni, con uno storytelling espressivo originale carico di suggestioni grazie anche alla scelta di una delle protagoniste Ylenia Caputo, giovane attrice teatrale brindisina con una capacità di immedesimarsi nella parte che buca il video. La fotografia è di Sergio De Lorenzis, presidente della Prime Film, la sezione cinema della casa di produzione televisiva salentina Video Prime che firma il progetto, e di Valerio D’Elia. Un’ispirazione inedita che punta al mercato internazionale per una sfida tutta da giocare. Anna Chiara Pennetta

TO BE DETERMINATE: IL BARBONAGGIO TEATRALE DI IPPOLITO CHIARELLO APPRODA IN CANADA TBD (to be determinate) letteralmente, “in attesa di essere definito”. Questo il titolo del progetto di ricerca collettiva e residenza di investigazione performativa - condotta da Ippolito Chiarello con la curatela di Alessandra Pomarico - che partito il 24 ottobre prosegue sino al 5 novembre a Vancouver, nel difficile quartiere Down East Side, della seconda città più importante del Canada. La ricerca, come recita il titolo, è un processo aperto alle collaborazioni e alle istanze locali e si costruisce a partire dalla pratica del Barbonaggio Teatrale che l’attore e regista Ippolito Chiarello porta avanti dal 2008 con un vasto seguito in Italia e in Europa e riproposta, come metodo di lavoro e di investigazione, ad un gruppo eterogeneo di partecipanti, alcuni dei quali artisti e performer, altri semplici residenti del quartiere. Info ippolitochiarello.it


ARTE

KIASMO

Il Made in Puglia oltre i confini nazionali Settembre, ottobre e novembre sono dei mesi decisamente caldi per il microclima del mondo dell’arte. Dopo i festival di Helsinki e Bruxelles, dedicati al design, e in attesa di Artissima a Torino (dal 4 al 6 novembre), in questo nuovo numero dialoghiamo con Vincenzo D’Alba (architetto, designer ed illustratore) che, insieme a Francesco Maggiore (ingegnere e direttore creativo) e Mauro Melissano (amministratore delegato), è tra i fondatori di Kiasmo, progetto raffinato del saper fare e di ricerca stilistica che unisce trasversalmente arte, design, artigianato e moda attraverso l’uso di tecnologie innovative, il senso del lusso e la cultura mediterranea. Da un piccolo comune del Sud Salento (Ruffano, sede istituzionale del brand) a Milano, Kiasmo continua la propria riflessione progettuale riconoscibile anche oltre i confini nazionali. Dal 2011 ad oggi, data di nascita di Kiasmo, qual è stata l’evoluzione del progetto? L’evoluzione di Kiasmo è avvenuta tramite la scelta e l’incremento di nuovi oggetti da produrre legati alla moda, all’arte e al design. In parallelo, il progetto per l’ampliamen-

to della sede e la commissione di altre opere architettoniche ha permesso di verificare ed evolvere il valore trasversale della nostra impresa. Nella produzione in che modo si mescolano la tradizione e la contemporaneità? Solo la classicità permette di mescolare tradizione e contemporaneità. Questa evidentemente non è una pratica formale; al contrario è una capacità di resistenza ai fenomeni quotidiani che attraversano in maniera temporanea e semplicistica arte e architettura. A livello stilistico come nasce il vostro immaginario figurativo? L’immaginario figurativo di Kiasmo è costituito sia dalla grande tradizione medievale, bizantina e medio orientale, sia dalla più attenta cultura della contemporaneità. A partire da Arnolfio di Cambio, Giovanni Pisano, Tino di Camaino, ovvero dal primo grande rinascimento italiano, da dove scaturiscono le più grandi suggestioni iconografiche, passando per il simbolismo letterario di Luis de Gongora, fino a giungere all’assolutezza


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A settembre si è conclusa la design week di Helsinki, quali sono le differenze con le fiere milanesi del Salone del Mobile e Fuori Salone e qual è lo stato del design in Italia? Le città con una certa vocazione alla contemporaneità si sono o si stanno dotando di una settimana del design. Questo fenomeno non è semplicemente legato ad una tradizione produttiva. Sono sempre più le scelte politiche e di marketing che decidono il corso di questi avvenimenti. Tuttavia neppure la tradizione può garantire la continuità o la qualità dei progetti. Oggi una città considerata per un anno capitale del design, della moda o della letteratura può lasciare il primato ad un’altra città l’anno seguente. Questo non può essere un metro di giudizio rispetto al design, da sempre fondato sulla sedimentazione di una cultura artigianale e industriale. Riguardo lo stato del design: questa è un’epoca di talenti quindi il design è appiattito in una monotona qualità. Ma, come scrive Pessoa: “dieci talenti non fanno un genio, un’epoca di molti talenti non è, né vale, un’epoca di un solo genio”. Secondo te quali sono i limiti e le potenzialità che caratterizzano il Salento “creativo”? I limiti del Salento risiedono in una sbagliata identità in cui si riconosce: l’autocompiacimento geografico, una promozione turistica quasi esclusivamente fondata sul folklore musicale, letterario e gastronomico, una architettura vittima di uno sterile opinionismo, una creatività patetica e quotidiana. Riguardo invece le potenzialità: si dovrebbe riconoscere il Salento non più come un luogo ma come una scuola; avere una visione astratta; fondare una prospettiva; riprendere quella straordinaria umiltà della tradizione salentina e renderla intangibile e assoluta per un futuro dove l’epoca e il luogo in cui viviamo siano in accordo; perché oggi abbiamo altro da dire e soprattutto altri modi per dirlo! Giuseppe Amedeo Arnesano

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antica di Louis Kahn, al mito della linea di Saul Steinberg e ai racconti miniaturistici di Orhan Pamuk. Tutti riferimenti, che seppure distanti tra loro, sono traducibili nella geografia in cui Kiasmo ha avuto origine.

sino al 20 dicembre Galleria Doppelgaenger - Bari

DOMINGO MILELLA

La mostra del trentacinquenne fotografo barese ospita centonovanta scatti (in ordine cronologico) che mappano un viaggio lungo oltre quindici anni tra geografie e storie, architetture e archeologia, ma anche volti e paesaggi di periferia. Soggetti principali degli scatti sono “il tempo, la memoria e la smemoratezza, l’ignoranza, la bellezza e la violenza. L’ironia e la brutalità del Tempo”, come sottolinea lo stesso Milella.

sino al 29 gennaio Museo Pino Pascali - Polignano a Mare (Ba)

Christiane Löhr

Sino al 29 gennaio il Museo Pino Pascali di Polignano a Mare, in provincia di Bari, ospita la mostra di Christiane Löhr. La commissione composta dalla direttrice Rosalba Branà e dai critici Dobrila Denegri e Antonio Frugis ha infatti assegnato all’artista tedesca il Premio Pascali perché “crea raffinate opere e installazioni con elementi della natura”.


DIARIO CRITICO

a cura di Lorenzo Madaro

FERNANDO DE FILIPPI

La ricerca dell’artista leccese nei lunghi anni Settanta, quanto mai attuale perché incentrata sul rapporto tra arte e società e arte e politica, nella sua declinazione più articolata


Nato a Lecce nel 1940, l’artista Fernando De Filippi attraversa da mezzo secolo linguaggi e visioni con un approccio decisamente plurale. A Milano dal 1959 – per gli studi all’Accademia di Brera, di cui è stato docente e a lungo direttore –, in particolar modo negli ultimi anni ha rinsaldato il legame con la sua città, dove tra l’altro ha esposto sin da giovanissimo. Da sperimentatore qual è, nel corso di questi lunghi anni si è mosso con disinvoltura nella pratica artista, anche cambiando rotta repentinamente: tra le esperienze più significative, la ricerca dei lunghi anni Settanta, quanto mai attuale perché incentrata sul rapporto tra arte e società e arte e politica, nella sua declinazione più articolata. Sono opere che negli ultimi anni stanno avendo ulteriori riscontri, anche per una generale attenzione – e riscoperta – dei fenomeni artistici italiani di quegli anni, attraverso mostre e pubblicazioni di ricognizione. Gli anni Settanta di Fernando De Filippi sono intensi e paradigmatici, un decennio della sua produzione a cui guardare con attenzione. «La tua pittura dal 1963, da quando cioè ti conosco, è una pittura che propone immagini multiple, cioè composte di diversi elementi tendenti ad avere un valore sostanzialmente analogo; sono cioè sullo stesso piano e compongono una immagine corale. Evidente invece in questo gruppo di dipinti nuovi è la presenza di un elemento protagonista, preciso, singolo». Le immagini multiple dipinte da De Filippi nei Sessanta a cui fa riferimento Enrico Crispolti – con cui De Filippi ha avuto un sodalizio significativo, che ha dato vita a La rivoluzione privata, volume di Prearo edito nel 1974 che documenta il lavoro di questo periodo specifico – sono veri e propri compendiari di scene, personaggi, guerriglie urbane, con inserti anche verbali che poi ritorneranno nei dipinti su Cuba e Lenin del decennio successivo. L’impostazione dei dipinti dei Sessanta è di ascendenza Pop, almeno sotto il profilo formale: c’è un’attenzione alla ripetizione delle immagini, a una scansionata stesura pittorica. Questa premessa è paradigmatica per comprendere ciò che avverrà nei Settanta, che nel lavoro di De Filippi avanzano con un flusso ininterrotto e liquido, dalla pittura all’azione performativa, dalla fotografia all’installazione, dal video all’intervento nello spazio della socialità. Nel 1972 avvia il ciclo

sull’Autobiografia, grandi dipinti che ritraggono Lenin nel suo studio, a Gorky, culminato poi ne Il grande lenzuolo del 1972. Nel 1974 con Sostituzione l’artista si trasforma – attraverso una lenta operazione di trucco – in Lenin, avviene così il cambiamento dei connotati, c’è un vero e proprio identificarsi nella figura del russo tanto che negli ultimi istanti del video c’è solo lui, Lenin. La continuità tra pittura e linguaggi performativi è netta, d’altronde De Filippi è pienamente concentrato sulla figura di questo personaggio, pesca anche da un repertorio iconografico di regime riproducendo interi scenari del Lenin “pubblico”, senza poi tralasciare di ritrarre momenti di vita privata, recuperando immagini famigliari dagli archivi fotografici. D’altronde De Filippi non ritrae Lenin, ritrae i documenti che lo riguardano. La Rivoluzione Russa del 1917, la statura anche mediatica del personaggio – il suo essere un rivoluzionario in piena regola – e anche in questo caso i parallelismi con la contemporaneità e la situazione di fermento sociale e politico attivo in Italia, l’hanno pertanto reso un punto di riferimento sostanziale per l’immaginario dell’artista. Seguiranno le trascrizioni, in cui De Filippi – come avverrà alla Biennale di Venezia del 1976 – traccerà con la medesima scrittura di Lenin i suoi testi teorici su grandi fogli di carta. Nel 1976, comprendendo l’alto valore della pubblicità nelle strade e quindi dei messaggi di comunicazione di massa nei luoghi del vivere quotidiano, De Filippi dà vita agli slogan, le frasi tratte da testi teorici di Marx e di altri autori vengono stampati su ampi fogli di carta, veri e propri striscioni che vengono incollati abusivamente a New York, Parigi, Milano e in altre città d’Europa. Contestualmente prende in prestito le riflessioni sull’ideologia dei grandi ideologi e teorici per costruire un frasario momentaneo sulla riva delle spiagge francesi, e non solo, con la sabbia. Dopo pochi secondi le scritte scompaiono sotto lo sguardo del loro autore e unico spettatore dell’azione. Terminata la fase concettuale, De Filippi – avvertendo anche un generale clima di “ritorno all’ordine” – comprende che deve tornare al disegno, alla manualità, perciò il decennio successivo si caratterizza per una riflessione sul mito e la storia, il tempo e i fondamenti stessi dell’arte.

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GIUSEPPE LASELVA “Mi definisco un artigiano digitale, perché ci vuole molta pazienza nel fare un lavoro così minuzioso” È un vero artista delle immagini, uno di quelli che riescono a farti tornare indietro nel tempo, come se entrassi in una scatola di balocchi, ma anche volare a mille all’ora su un’astronave verso il futuro. Unisce pezzi, li incolla e ne tira fuori video meravigliosi e l’aggettivo non è proprio casuale, perché da Polignano, attraverso le gesta di Domenico Modugno, questo omino scapigliato e sfuggente, sta lanciandosi nei cieli d’Europa. Si chiama Giuseppe Laselva. E vi conviene non perderlo di vista. Usi la tecnica del collage per realizzare la maggior parte delle tue opere di animazione. Da dove nasce? La tecnica del collage è una tecnica che si diffonde a metà degli anni ’60 e le prime trasposizioni nell’animazione le hanno fatte i Monty Python. All’interno di un documentario, finanziato dall’Apulia Film Commission, dal titolo “Mimmo, Mimino e Mimì”, scritto da Gianni Torres, con la regia di Michele Roppo e Antonella Sibilia, realizzato qualche anno fa, raccontasti la vita del Mimmo nazionale, dando vita a quell’icona inafferrabile. Questa estate ne hai riproposto le gesta, con Luigi Lo Console, per il concerto di Polignano Meraviglioso Modugno, in un video bellissimo, con qualcosa di rivisitato rispetto al precedente progetto. C’è una evoluzione in termini di tecnica: c’è un uso più complesso delle camere, e quindi rispetto a 5 anni fa, queste animazioni di Modugno hanno come obiettivo quello di trascinare lo spettatore in un mondo fatto di note, ricordi, mare, attraverso dei cambi di scena. Ma soprattutto sei movimenti di camera particolari, per cui gli oggetti e i personaggi sembrano quasi fluttuare leggeri.

Recentemente hai iniziato una felice collaborazione con Diego Mancino, curando la parte grafica del suo ultimo disco, Un invito a te. Che hai fatto materialmente e quanto di quello che avevi fatto per Modugno c’è in questo progetto? Ho curato le immagini del booklet, collaborando con l’artista Maura Esposito e con la fotografa Viola Damiani. C’è sempre lo stesso filo conduttore: far convivere immagini vintage, ritagli assemblati, con un intervento grafico più contemporaneo. Due anime che convivono portando ad un risultato sempre diverso. Quando inizio qualcosa non so dove la fantasia mi porterà. Mi lascio suggestionare da quello che percepisce, una sorta di teoria della deriva di Debord. Tu come ti definisci? E cosa invece c’è scritto alla voce professione sulla tua carta d’identità? Io mi definisco un artigiano digitale, perché ci vuole molta pazienza nel fare un lavoro così minuzioso, soprattutto nella fase propedeutica. Per il resto del mondo sono un graphic designer e un animatore. E io mi sento un ibrido. Chiusura d’ordinanza: progetti attuali e per il futuro. Mi hanno affidato la realizzazione di una scenografia fatta completamente con le mie animazioni per un nuovo progetto teateale dell’attore e regista Vito Facciolla, che vedrà la luce nella primavera prossima. E poi, insieme all’amico e collega Luigi Console, sono presente con una serie di progetti di videoinstallazione in alcuni paesi europei. Ma tutto nel 2017. Laura Rizzo


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ANDREA MI E LA SUA MIXOLOGY: Per CHi HA fame di conoscenza Ho nella vita una serie di spacciatori musicali di informazioni di prima mano. Smarrito lo slancio rivoluzionario delle fanzine, ad esclusioni di pochi coraggiosi casi, come questa testata, informarsi sulle cose imprescindibili da conoscere è sempre più difficile nella pletora di prodotti e siti della rete. Ecco che entra in gioco Andrea Mi e la sua piattaforma, Mixology. Lui non è propriamente un artista, ma un dj, giornalista, organizzatore di eventi, docente. Ma ha una cosa di assai profondo che ha a che vedere con l’arte: sa scovarla negli anfratti nascosti, metterla a sistema, raccontarla, valorizzarla. Scopre le cose dieci anni prima che gli altri se ne accorgano, che poi è il grande cruccio peraltro degli avanguardisti, esser spesso troppo avanti per poter profittare dei giusti meriti. Ragion per cui, per continuare a sopravvivere in un mondo dell’arte sempre più ortodosso e spesso mediocre, c’è un solo modo: restare sempre una spanna davanti agli altri, continuare a restar curiosi, attenti a ciò che succede. Mi racconti la tua passione per la musica? Ce l’hai un numero monogra-

fico di Cool Club da dedicarmi? Scherzi a parte la storia è assai lunga. Con un amico investimmo i nostri risparmi per comprare due piatti Lenco, un mixerino da battaglia e qualche disco: tra questi ricordo che c’erano ‘Licensed to ill’ dei Beastie Boys e una raccolta house con alcune produzioni che arrivavano da Chicago. Sarà stato il 1987. Se pensi a quello che propongo ora nei miei dj set puoi prenderlo come un segno del destino. Arrivato a Firenze per studiare architettura mi imbattei subito in Controradio. Da allora la mia vita non sarebbe più stata la stessa. La radio ha avuto, ha e avrà sempre un ruolo fondamentale nel mio rapporto d’amore assoluto con la musica. Un altro contesto fondamentale sono certamente stati i centri sociali italiani tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90. Non avevo i soldi neanche per pagare gli espressi notturni (ai tempi erano i treni più economici) quindi mi chiudevo in bagno per arrivare al Forte Prenestino di Roma o all’Isola Nel Cantiere di Bologna. Se restavo a Firenze andavo al CPA o all’Ex Emerson. Dopo l’ubriacatura di Punk Har-

dcore mi invaghì del suono hip hop e reggae che sentivo negli appuntamenti Ghetto Blaster curati da DeeMo o nei primi concerti di Onda Rossa. Il cosiddetto periodo delle Posse, per me, era la saldatura tra le feste raggamuffin sulle spiagge salentine in compagnia dei Sud Sound System e lo spirito militante che respiravo “al Nord”. Continua ad alimentarsi senza sosta. Abbiamo avuto l’onore di poter partecipare alle dance-hall dei Sud Sound System sin dagli inizi. Cosa hanno rappresentato per te? Me la ricordo ancora una delle prime volte. Era una serata al Cinema Elio di Calimera, alla fine degli anni ’80. Prima c’era un concerto punk di una band nella quale militava il mitico Dario Troso aka Gopher D (un pezzo granito della storia dell’underground italiano). Poi mettevano i dischi GGD, War e il resto del nucleo primigenio dei Sud Sound System. Dall’osmosi tra quei due mondi musicali sarebbero scaturite tante delle mie passioni sonore. Le dance-hall salentine davanti agli scogli delle Due Sorelle di Torre dell’Orso (che fatica trasportare quelle enormi casse sulla


sabbia!), quelle sulla scogliera di Sant’Andrea ad aspettare l’alba per vedere il sole sorgere dietro le montagne dell’Albania. Sono emozioni che non dimenticherò mai, che porterò nel mio cuore e dentro la mia memoria fino al mio ultimo giorno su questo pianeta. Credo che una delle cose che accadono a chi, per molti anni vive di musica sia che continui ad andare ai concerti, continui a suonare nelle dance hall cercando qualcosa che ti faccia venire la pelle d’oca come in quei momenti. Quel pezzo che ti fa salire dei brividi dal fondo della schiena su, fino al midollo. Ovviamente capita sempre meno. È uno dei prezzi che si paga con la vecchiaia. È lo scotto che si paga ad aver sentito troppi concerti, ad essere stati compulsivi con le notti nei club. L’esperienza, spesso, è antitetica alla poesia perché impedisce l’incanto. Quello delle prima volte. Quella gioia tutta nuova che fa vibrare ogni cosa. Ma ogni tanto, ancora, accade. E allora capisci che vale sempre la pena. Che piatto abbini a quelle feste ineguagliabili? Rischio di essere banale ma dico una buona e sana ‘frisella’ d’orzo. È scura. Ha il sapore della fatica di chi, duramente, lavora la terra. Il contadino la portava in tasca in campagna perché il pane bianco era un lusso da latifondisti. Per essere buona richiede pochi e semplicissimi ingredienti che però devono essere veri e buonissimi: il pomodoro d’estate che ha dentro la dolcezza del sole, il sale della terra, l’olio dei nostri olivi millenari, la rucola amara e selvaggia che gioca a contrasto. E poi la frisa va

consumata veloce. È gioia del momento. Richiede d’esser morsa subito. Se si “sponza” (se assorbe troppa acqua diventando troppo morbida, per i non salentini) non è più la stessa cosa. Cosa è per te Mixology e che piatto è? Potrei risponderti con un piccolo aneddoto. Alla fine del 2011, subito prima della nascita di mio figlio Milo, andai da un amico a farmi tatuare qualcosa che mi ricordasse l’intensità del momento. Lui mi rispose che non si fa mai un tatuaggio dedicato al figlio prima che il figlio nasca. Non ci avevo pensato ma aveva molto senso. La cosa più logica fu tatuarsi qualcosa legata proprio alla mia trasmissione radio alla quale mi dedico con maggiore costanza. Mixology è come un figlio, nato nel 2003 e che quindi si avvicina alla maturità. Richiede cure e attenzioni costanti, un’attitudine indefessa e una vocazione che deve rinnovarsi ogni settimana. L’idea di partenza ha retto il passaggio del tempo, almeno dal mio punto di vista: ospitare un mix diverso ed esclusivo per ogni puntata. Come recita il sottotitolo: from dub to club in the mix. A me interessano la varietà, la diversità e la continuità. Ecco perché penso che il mix sia una forma artistica assoluta. Il lavoro di ricerca che faccio come dj, quello di divulgazione che faccio come giornalista radiofonico, quello curatoriale in seno a festival e rassegne. Sono tutti modi per tenere viva quella fiamma. Un esercizio spirituale, filosofico, che mi ha insegnato ad avere continua fame di conoscenza perché nella musica i fili rossi

che collegano culture, scene, ambiti sonori si sentono e si vedono. Si respirano e ti insegnano ad accogliere, sempre. Tre dischi per te fondamentali e tre dischi freschi freschi e imperdibili. Vado random dato che me ne servirebbero 3000 per fare una lista sensata. Tiro fuori dallo scaffale quei vinili che stanno nel posto della heavy rotation. Partiamo dai tre fondamentali: Don Cherry & Latif Khan, Music/Sangam: A Parigi, nel 1978, l’incontro magico fra la migliore musica afroamericana e la tradizione mistica indiana. Massive Attack & Mad Professor, No Protection. Il trip hop, in stato di grazia, dichiara la propria dipendenza dalla matrice dub. Ed è subito magia. The Congos, Heart of the Congos: Lo sciamano Lee Scratch Perry sintetizza il gospel, le percussioni Nayabinghi, il soul, il reggae e tre voci scese nel ghetto giamaicano direttamente dal paradiso. Sul freschissimo mi viene più facile: Mala, Mirrors. Il mago del dubstep fa un viaggio tra le vette del Perù e torna con un inestimabile tesoro in forma di disco. Garantisce Gille Peterson. Gaika, Security: Un giovane giamaicano, che potrebbe essere il figlio di Tricky, va a Brooklyn e innesta la tradizione della spoken word su una scurissima trama bassosa. Il mixtape esce in free download e vale al giovanotto un contratto con la Warp. Dj Earl, Open your eyes: Il cuore del nuovo suono di Chicago batte a 160 bpm, centrifugando jazz, soul e hip hop in un ricamo ritmico intricatissimo e poeticamente ossessivo.

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BRODO DI FRUTTA BLOG

Adelmo Monachese

L’attore più nudo del cinema italiano Buone notizie dal Ministero dei Beni Culturali. è stato istituito il primo gruppo di studio antropologicoculturale-cinematografico focalizzato sulla carriera di un grande attore, forse l’ultimo, del cinema italiano: Massimo Boldi e la sua nudità come storytelling di un Paese. Lo sviluppo dello studio è visibile sulla pagina Facebook: Boldi Nudo. Abbiamo fatto qualche domanda al direttore del progetto. Sig. Rossi, come è nato questo osservatorio? L’idea è nata mentre lavoravo a una ricerca commissionata dal Governo Renzi sull’impatto che ha avuto la crisi economica sui personaggi vanziniani. Alla prima apparizione di Boldi senza vestiti sono rimasto folgorato, il suo corpo nudo racchiudeva tutta la bellezza del mondo. Dopo quell’apparizione mi sono ritrovato a guardare i suoi film come se fossero dei porno: saltavo le parti di trama alla ricerca delle sue nudità. Ma senza trarne piacere sessuale, si trattava di qualcosa di molto più elevato. Oserei dire divino.

Boldi rifiutò il ruolo di protagonista in un film Disney. Se avesse accettato quel ruolo la sua nudità cinematografica ne avrebbe risentito? Credo di no. La sua voglia di apparire come mamma l’ha fatto è qualcosa che non si può fermare (rasenta quasi l’esibizionismo). Posso però affermare con certezza che avremmo potuto godere di film Disney molto più interessanti. Come distinguete un Boldi nudo autentico da un falso? Non servono strumenti. Un nudo originale del Maestro regala emozioni e sensazioni che un falso non è in grado di suscitare. è vero che sono venuti dagli USA a studiarvi? Confermo. Siamo stati contattati da alcune persone vicine a Quentin Tarantino che erano interessate al nostro studio. Ci hanno chiesto tutte le immagini raccolte finora perché pare che il regista, da sempre grande fan del nostro cinema, sia intenzionato a dirigere un film sulla vita del Cipollino. Nel 1997 Nobel per la

letteratura va Dario Fo. nel 2016 a Bob Dylan, a conferma della volontà dell’Accademia svedese di allargare il concetto di Letteratura ad uno più ampio di Cultura. Un riconoscimento del genere potrà andare a premiare la carriera di un attore che ha fatto del suo corpo letteratura come Massimo Boldi o i tempi non sono ancora maturi per coglierne il genio? Non solo è possibile, ma direi che è anche doveroso. Voglio svelarvi una cosa di cui sono a conoscenza soltanto pochissimi intimi di Boldi: già nel 2001 ha sfiorato il Nobel per la letteratura grazie al suo capolavoro “Bestia, che dolore!”. La delusione per la mancata vittoria lo aveva portato a ritirarsi dal mondo della scrittura. Fino a quest’anno, quando ha deciso di raccontarsi in “Le mie tre vite – Ridere, piangere, ricominciare”. Ecco, il valore artistico di questa opera dimostra una volta per tutte che il Cipollino è uno scrittore da Nobel.


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Mauro Marino

Leandro, unico primitivo Di Ezechiele Leandro (1905 - 1981) ho sempre amato la vertigine decorativa: riguarda chi contempla le sue opere ma anche certamente l’artefice. Il sistema costruttivo delle sue opere sembra impossessarsi del Tempo. Lentamente, con costanza, spinto, sollecitato dal furore della “creazione”, Ezechiele compie l’atto dell’essere al mondo, crea legami in omaggio alla sua originaria orfananza. Il giardino-opera da lui realizzato nello spazio aperto della sua casa - in via Cerundolo, a San Cesario di Lecce - indica già nella titolazione la virtù intrinseca dell’uomo, Santuario della Pazienza, si chiama, ed è vertigine pure questo. La pazienza è dote di chi sa il Tempo e con le cose del Tempo sa instaurare la giusta misura: la prossimità e la distanza, la tenuta immaginativa, quella dell’affinamento dello stile e della ricerca compiono la complessità di un’opera, nel caso di Leandro, lunga quanto tutta la sua esistenza. Vita da “raccoglitore” la sua, antesignano, in questo,

della nostra contemporaneità vocata al ri-uso. Il ferro, i resti ceramici, fino ai più piccoli finimenti, la materia del suo “andar guardando” per dare compimento a un immaginario capace di un profondo contatto con le più intime pulsioni dell’umano. C’è il sacro al centro della sua figurazione, della sua scultura e della sua scrittura con l’attenzione sempre volta al dono, da sé agli altri, al paese, dimostratosi non certo benevolo, per lungo tempo, nei suoi confronti, incapace di accogliere la “brutta bellezza” dell’opera dell’eccentrico, del diverso, del pazzo Leandro costruttore di “mostri”. Ah!, quei mostri, quanto son vicini alla trasfigurazione che l’umano fa della natura, al tradimento delle sue istanze. Il furore creativo di Leandro s’è spinto sempre oltre il “giudizio”, mai esausto, sempre presente al dettato espressivo, atto vitale e vitalistico di chi nell’arte trova declinazione e compimento. La sua vertigine oggi ha trovato la giusta cele-

brazione (e sistemazione) in “Leandro - unico primitivo”, uno straordinario e completo catalogo curato da Antonella Di Marzo, Lorenzo Madaro, Brizia Minerva, Tina Piccolo e edito da Claudio Grenzi a compimento di una mostra retrospettiva che ha abitato gli spazi dell’ex Distilleria De Giorgi di San Cesario, le sale del Museo Sigismondo Castromediano di Lecce e quelle della Galleria Nazionale della Puglia di Bitonto dove sono state esposte le opere - dipinti, carte, sculture - appartenenti ai collezionisti Girolamo e Rosaria Devanna loro sì capaci di cogliere l’importanza dell’opera di Leandro quando molti si mostravano dubbiosi e sufficienti. Un grande libro dalla copertina candida che dona al maestro una regalità meritata, conquistata, conferma di un esistenza interamante destinata al Credo dell’Arte, ispirata, presa, posseduta. Così è stato e ciò che resta è certamente santo, il resto di un’esistenza eroica a cui finalmente s’è dato onore.

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AFFRESCHI&RINFRESCHI


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STANZA 105 BLOG

Mino Pica

SEI FUORI

Probabilmente se ne è già parlato troppo, visto che tutti hanno ormai la verità assoluta da dire su qualsiasi argomento, anche sulla musica chiaramente. Parlo di una scelta discussa, sorprendente ma che forse dovremmo più rispettare in silenzio, approfittandone per riflettere più che per sentenziare. Forse lo dovrei fare anch’io ma non riesco a trattenermi. Come non avrete certamente capito, non sto parlando di Dylan (siamo certi che poi lo ritirerà?) ma di Ciro Nacci, tastierista dei Lenula, che a fine settembre su facebook ha annunciato di esser fuori dal trio, dopo 9 anni. Non conosco i motivi, francamente non mi interessano, in quanto ovviamente non ho minimamente il diritto di conoscerli. Magari avrà semplicemente finito la scorta di incensi che accendeva durante i suoi live. Ciò che mi frulla da

allora però è una domanda, una semplice riflessione: i Lenula hanno ricevuto davvero ciò che han dato in questi anni? Abbiamo dato loro abbastanza? Noi ascoltatori e fruitori della loro espressione, intendo. Parto e parlo di questo trio di Villa Castelli, che rappresenta senza dubbio uno dei migliori prodotti musicali di questi anni, e che ora si appresta a vivere una nuova veste, probabilmente semplicemente diversa da quella espressa finora. La pagina segnata da Ciro mi fa però continuamente frullare questa domanda. Abbiamo fatto abbastanza? La Puglia in questi anni ha regalato fortunatamente diversi progetti musicali di indubbia qualità, ma siamo sufficientemente attenti per continuare a meritarceli? E se un giorno finisse senza avviso alcuno. Ci sono locali che chiudono o riducono i loro live e ci sono

i dischi che non si vendono come un tempo; stanno per istituire il crowfounding per il crowfounding e si moltiplicano le rassegne che si rassegnano; non è così strano affermare che si fa più fatica a suonare a quindici minuti da casa piuttosto che a 9671 chilometri. E poi c’è lei, la sensazione che la musica diventi sempre più liquida, causale, piuttosto che traccia solida e scelta nella nostra quotidianità. Tutto questo induce persino dubbi sull’importanza di lasciar traccia. Se poi tutti hanno da dire su tutto, il dubbio si fortifica. Fortunatamente c’è chi continua a crederci, Lenula I in testa, Ciro Nacci in testa, Lenula II in testa. Stiamo facendo abbastanza per non correre il pericolo di non meritarci più la qualità delle cose? Non abbiamo fatto, ad esempio, abbastanza per i Lenula? Seguiteli. “Niente di più semplice”.


I quaderni del senno di poi di Francesco Cuna | facebook: quadernidelsennodipoi


EVENTI

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CONVERSAZIONI SUL FUTURO A Lecce quattro giorni con 150 relatori coinvolti in oltre 50 appuntamenti tra workshop, incontri, dibattiti, confronti, lezioni, proiezioni, musica, presentazioni di libri e TedxLecce Da giovedì 3 a domenica 6 novembre torna a Lecce “Conversazioni sul futuro”, rassegna di conoscenza e innovazione a cura di Gabriella Morelli, organizzata dall’associazione “Diffondere idee di valore” in collaborazione con numerose associazioni, la preziosa partecipazione di decine di volontari e volontarie e il sostegno di partner pubblici e privati. Quattro giorni di workshop, incontri, dibattiti, confronti, lezioni, proiezioni, musica, presentazioni di libri, l’Officina dei bambini e delle bambine e la quinta edizione di TedxLecce. Oltre 150 tra giornalisti, imprenditori, attivisti, blogger, ricercatori, musicisti, docenti universitari, scrittori, amministratori pubblici, scienziati saranno i protagonisti di oltre 50 incontri disseminati in 20 location di Lecce su economia e impresa, politiche giovanili e open data, diritti e inclusione sociale, satira, attivismo digitale, comunicazione politica, scienza, arte, giornalismo e molto altro. Con-

vitto Palmieri e Palazzo Turrisi accoglieranno l’articolata programmazione di workshop e incontri per i più piccoli a cura di Boboto. Tra gli ospiti coinvolti Antonio Sofi (autore di Gazebo - Rai3), Tonia Cartolano e Tiziana Prezzo (SkyTg24), Antonio Iovane (Radio Capital), Amedeo Balbi (astrofisico), Marco Cattaneo (direttore di National Geographic Italia), Teresa Bellanova (viceministro dello Sviluppo Economico), Stefano Prezioso (Ricercatore Senior Svimez ), Andrea Conte (Project Leader Commissione Europea), Stefano Micelli (docente di Economia e Gestione delle Imprese presso l’Università Ca’ Foscari e direttore della Venice International University), gli artisti Bianco-Valente, Daniela Marcone (vicepresidente di Libera), Edoardo Novelli (sociologo), Massimo Bray (direttore editoriale Treccani), Giampaolo Colletti (communication manager e storyteller digitale), Giovanni Boccia Artie-


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Foto ShotAlive

HUMAN LO SGUARDO SUL MONDO DI Arthus-Bertrand

ri (docente di Sociologia dei media digitali e Internet studies dell’Università di Urbino Carlo Bo), Dino Amenduni (comunicatore politico e pianificatore strategico di Proforma), Annibale D’Elia (esperto di innovazione nelle politiche pubbliche), Vera Gheno (responsabile Twitter dell’Accademia della Crusca), Alex Giordano (ideatore e direttore scientifico di Rural Hub), Augusto Valeriani (ricercatore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Bologna), Paolo Venturi (direttore di AICCON centro studi dell’Università di Bologna), Human Safari (YouTuber), alcuni docenti dell’Università del Salento (Stefano Cristante, Luca Bandirali, Stefano De Rubertis, Daniele De Luca), gli scrittori Livio Romano, Simona Cleopazzo e Fulvio Colucci e molti altri giornalisti e giornaliste pugliesi che modereranno, introdurranno o condurranno gli incontri. In programma anche le proiezioni di This changes Everything, film documentario di Avi Lewis tratto dal libro di Naomi Klein, “Una rivoluzione ci salverà”, e di Login, il giorno in cui l’Italia scoprì internet di Riccardo Luna e Alice Tomassini. La rassegna sarà ecofriendly grazie alla richiesta della certificazione volontaria “Ecofesta Puglia”, premiata nel 2012 dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per la sua carica innovativa. Info e programma conversazionisulfuturo.it

Giovedì 3 novembre (ore 21) alle Officine Cantelmo di Lecce la rassegna sarà aperta dalla proiezione di “Human” di Yann Arthus-Bertrand. Prima del film (dalle 19 alle 21) spazio all’incontro “Esistono limiti alla crescita?“. Moderato dalla giornalista freelance Paola Moscardino (La7 – Corriere del mezzogiorno), ospiterà Stefano Liberti (giornalista freelance), Valerio Calzolaio (coautore con Telmo Pievani di “Libertà di Migrare”) e Ferdinando Boero (docente dell’Università del Salento).

L’innovazione e il mondo dell’impresa al Sellalab Dal 4 al 6 novembre SellaLab, l’acceleratore d’imprese del Gruppo Banca Sella in viale De Pietro a Lecce, nell’ambito della rassegna Conversazioni sul futuro, sarà protagonista di una serie di appuntamenti dedicati all’innovazione e al mondo dell’impresa con, tra gli altri, Stefano Quintarelli (presidente del Comitato d’indirizzo dell’Agenda Digitale), Alessandro Delli Noci, Gianluca Dettori (venture capitalist), Antonio Perdichizzi (Vice Presidente ItaliaStartup), Laura Orestano (CEO di SocialFare).


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CONVERSAZIONI SUL FUTURO - 3/6 NOVEMBRE

TEDXLECCE

Sabato 5 novembre sul palco del Teatro Politeama Greco diciassette talk e performance sul tema della memoria

Il cantautore Daniele Silvestri, il giornalista Marco Damilano, la fisica Lucia Votano, la compagnia di danza verticale Il Posto, il medico Pierdante Piccioni, l’artista Hermes Mangialardo, la presidente dell’associazione italiana malattia di Alzheimer Patrizia Spadin, il “papà” del primo personal computer della storia Gastone Garziera, il “naso” professionista Laura Bosetti Tonatto, il giurista e scrittore Giovanni Ziccardi, il genetista Massimo Delledonne, il neuroscienziato Alessandro Treves, il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury, l’attore e regista Mario Perrotta, il service designer Vincenzo di Maria, il dj, economista, “gastrofilosofo militante” DonPasta, la coreografa Maristella Martella con le danzatrici di Tarantarte e Kore Ensemble saranno i protagonisti di TedxLecce. Dopo “Innovazione e imprenditorialità”, “Coraggio”, “Futuro” e “Revolutionary Roads” sarà “Memoria” il tema della quinta edizione della conferenza, promossa dall’associazione “Diffondere idee di valore”, che si terrà sabato 5 novembre (dalle 15.30) al Teatro Politeama Greco di Lecce. Il costo del biglietto (in prevendita e al botteghino) varia dai 7 euro (ridotto studenti - Poltrone II ordine) ai 15 euro (Poltrone I ordine e palchi II ordine) sino ai 28 euro (poltronissime). I biglietti sono disponibili nel circuito Bookingshow (online e punti vendita) e al botteghino del Teatro Politeama Greco. Info tedxlecce.it - 3331803375. TED è un’organizzazione no-profit che ha come obiettivo quello di diffondere idee di valore - ‘ideas worth spreading’. Iniziata come una conferenza di quattro giorni in California oltre 30 anni fa, TED è cresciuta nella sua “mission“ attraverso molteplici iniziative. Nella Conferenza annuale di TED i maggiori protagonisti del “pensare” e del “fare” a livello internazionale sono invitati a raccontare le loro idee in un tempo stabilito della durata massima di 18 minuti. Gli interventi sono messi a disposizione, gratuitamente, sul sito ted. com. Inoltre per rispondere alla sua mission, TED ha lanciato un programma di eventi locali, chiamato TEDx, che si propone di far rivivere un’esperienza simile a quella del TED, unendo persone e idee sotto l’auspicio di diffondere idee di valore all’interno della comunità locale. TEDx è un fenomeno internazionale, ad altissima visibilità. Dal 2015 si tiene anche TedxBari. La seconda edizione della manifestazione sarà ospitata sabato 26 novembre (dalle 18 - ingresso da 15 a 30 euro) al Teatro Petruzzelli di Bari sul tema “Deserto” (tedxbari.it).

Mario Perrotta (foto Luigi Burroni)

Daniele Silvestri

Marco Damilano

Il Posto


CONVERSAZIONI SUL FUTURO - 3/6 NOVEMBRE

Domenica 6 novembre (ore 10.30 – ingresso libero) alle Officine Ergot di Lecce appuntamento con la presentazione del volume Guida Pratica all’italiano scritto (senza diventare grammarnazi) di Vera Gheno, responsabile twitter Accademia della Crusca, edito da Cesati. Dialogheranno con l’autrice il linguista Massimo Arcangeli e la giornalista e scrittrice Loredana De Vitis.

EVENTI

Guida Pratica all’italiano scritto (senza diventare grammarnazi)

VERITà PER GIULIO REGENI Domenica 6 novembre (ore 20 - ingresso libero) la rassegna, in collaborazione con Amnesty International Italia, propone un incontro di approfondimento sull’omicidio del ricercatore Giulio Regeni. Interveranno Riccardo Noury (Portavoce Amnesty International Italia), Luigi Manconi (Senatore della Repubblica e Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani), Fabio Pollice (direttore dipartimento Storia, società e studi sull’uomo dell’Università del Salento). Modera Gabriele De Giorgi (LeccePrima.it).

ILARIA CUCCHI Domenica 6 novembre (ore 12 - ingresso libero) al Teatro Paisiello di Lecce, la rassegna, in collaborazione con Amnesty International Italia, ospiterà un incontro con Ilaria Cucchi. Dal 22 ottobre 2009, quando il fratello Stefano morì nel reparto carcerario dell’ospedale Sandro Pertini, la donna si è battuta per ottenere la verità e scoprire le cause del decesso. Rispondendo alle domande di Fulvio Totaro, giornalista del TgrPuglia, affiancata dall’avvocato Fabio Anselmo e con la partecipazione di Riccardo Noury (portavoce italiano di Amnesty International), la Cucchi ripercorrerà le varie fasi della vicenda e del processo. Nel corso di questi anni, grazie anche al sostegno dell’avvocato Anselmo, si è impegnata attivamente per l’introduzione in Italia di una legge contro il reato di tortura.

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STARMALE: Guida ragionata a un malessere consapevole Come da tradizione, Conversazioni sul futuro si conclude con un incontro dedicato alla satira. Quest’anno appuntamento con Emanuele Martorelli, direttore della rivista Starmale, che sviscera la nostra ossessione per il benessere, mettendo in risalto le storture editoriali e giornalistiche nell’affrontare le notizie. Emanuele Martorelli, musicista, video maker, giornalista e antropologo, è autore di colonne sonore per spot e documentari. Collabora con diverse riviste satiriche.


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TIME ZONES

Il festival delle musiche possibili torna a Bari Prosegue fino al 18 novembre tra l’Auditorium Vallisa e Anche Cinema Royal a Bari la trentunesima edizione di Time Zones, festival delle musiche possibili. Dopo l’apertura affidata ad Emanuele Arciuli e alle proposte emergenti della nuova sezione Off, la rassegna musicale itinerante della città metropolitana pugliese riparte con tre grandi concerti. Martedì 1 novembre sul palco dell’Anche Cinema Royal il duo di San Francisco Matmos che presenterà “Robert Ashley’s Perfect Lives”, unico concerto italiano dedicato al grande intellettuale americano. L’organico di Perfect Lives prevede una voce narrante, coro, pianoforte, percussioni ed elettronica; Matmos ne interpretano alcuni atti in tre differenti setting musicali. Secondo appuntamento di punta di Time Zones, quello in programma venerdì 4 novembre, sempre presso Anche Cinema Royal, con Theo Teardo & Blixa Bargeld Group (in foto) in “Nerissimo”; opening act Sergio Altamura. Tre anni dopo il celebrato debutto con “Still Smiling”, Teho Teardo e Blixa Bargeld tornano con un disco di canzoni nuove, cantate in tedesco, inglese e italiano. Sabato 5

novembre, poi, sarà la volta di Fernando Corona / Murcof con “Etna: A Portrait”, “ritratto audiovisivo” del vulcano attivo più grande d’Europa realizzato insieme al video-artista spagnolo Manu Ros. Opening act Jerusalem In My Hearth. La seconda parte di Time Zones proporrà, inoltre, interessanti appuntamenti per le sezioni “Literature” - 8 e 9 novembre all’Auditorium Vallisa con due narrazioni sceniche dell’attore Paolo Panaro realizzate assieme a Rosario De Gaetano e Pit Campanella – e per “Piano Zones”, una serie di concerti per pianoforte presso l’Auditorium Vallisa. In cartellone l’11 novembre lo spettacolo del fiorentino Antonio Breschi, con il progetto Nomadic Piano. Si prosegue il 12 novembre con Lubomyr Melnyk; il 13 con Craig Leon, produttore e compositore di fama internazionale, che presenterà la performance “Nommos”, uno dei suoi album più noti di avant-garde elettronica. Si chiude il 18 novembre con il duo del grande padre dell’ambient mitteleuropea: il tedesco Joachim Roedelius con lo svizzero Christopher Chaplin, il più giovane figlio del grande Charlot. Info ticket su timezones.it


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EVENTI

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5 novembre – ore 21.30 Eremo - Molfetta (Ba)

THE ZEN CIRCUS

sino al 23 dicembre - ore 21 All’ombra del Barocco - Lecce

BLUES SHADOW

Sino al 23 dicembre, All’Ombra del Barocco di Liberrima in Corte dei Cicala a Lecce la musica sarà protagonista con Blues Shadow. Una rassegna, con la direzione artistica del violinista e compositore Alessandro Quarta, che proporrà un viaggio tra standard jazz e nuove composizioni, bossa nova e tradizione argentina, improvvisazione e colonne sonore. Sabato 29 ottobre (ore 21) il trio composto da Paola Arnesano (voce), Franco Chirivì (chitarra) e Marco Calignano (basso) proporrà “Saudade do Brasil”. Una rivisitazione della musica popolare brasiliana partendo da Carlos Jobim, uno degli inventori del genere bossa nova, fino a Ivan Lins, musicista, compositore e cantante jazz brasiliano. Il programma proseguirà a novembre con Giuseppe Magnanino Trio (sabato 5), Carosello Bella Napoli con Alessandro Quarta 5tet e Alfonso Deidda (giovedì 10), Naima Trio con Fabrizio Savino, Bruno Montrone e Germana La Sorsa (sabato 12), Karabà trio con Alessandro Casciaro, Alberto Stefanizzi e Stefano Rielli (sabato 19), Ladies & Blues of Chicago con Serena Quarta, Melissa Cavalera, Giuseppe Magagnino, Franco Chirivì, Michele Colaci e Christian Martina (sabato 26). Info 0832242626 - liberrima.it

Il trio punk rock pisano celebra il nono album in studio e il ventiduesimo anno di attività invocando uno scenario apocalittico, in una guerra che non si vive in trincea ma sulla tastiera, che fa più danni della violenza e delle bombe. È “La terza guerra mondiale” quella a cui tentano di sopravvivere Appino, Karim e Ufo. Guerra non voluta però necessaria “per cominciare una nuova era”, “per vedere che faremmo ora”. Info 3495481754

10 novembre - dalle 17 Officine Cantelmo - Lecce

RED RONNIE

Il progetto Officine della Musica ospita Red Ronnie. Durante il pomeriggio il celebre giornalista, conduttore e speaker terrà un incontro sui mestieri della musica. In serata condurrà, Fiat Music il tour musicale che toccherà, cinque città in Italia con lo scopo di dare spazio a talenti musicali emergenti, che potranno così esibirsi su importanti palcoscenici per offrire al pubblico brani inediti. Info 0832303707


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11 novembre - ore 21.30 Doks - Locorotondo (Ba)

LORENZO KRUGER

dal 5 novembre Ipogeo Bacile - Spongano (Le)

FORTEZZA IN OPERA

Nell’Ipogeo Bacile di Spongano, in provincia di Lecce, prosegue la rassegna “Fortezza in opera” a cura di Fabio Bacile e di Salvatore Della Villa. Una lunga stagione di eventi tra teatro, musica, danza, letteratura, arte, incontri. Il programma di novembre prenderà il via sabato 5 con la presentazione di “Madame la Harpe”, nuovo disco di Davide Burani, che celebra il fascino tutto francese della musica per arpa dell’inizio del novecento, tra la Belle Epoque e Impressionismo, Art Dèco e Neoclassicismo. Sabato 12 e domenica 13 novembre Casa Usher di Témenos Recinti Teatrali, un percorso teatrale multisensoriale tratto da “I racconti del terrore” di Edgar Allan Poe. Domenica 20 novembre, dopo la presentazione di “Per troppa luce” di Livio Romano, spazio al concerto del chitarrista classico Stefano Sergio Schiattone. Venerdì 25 appuntamento con il trio guidato dal sassofonista Nino Cesari. Domenica 27, infine, la Compagnia DeLoi metterà in scena “I Corteggiatori. Amori a colpi di poesia” di e con Vito De Girolamo e Carlo Loiudice. Una Comedy d’Autore tutta italiana, fatta di dialoghi serrati e battute coinvolgenti, che riporta alla memoria la migliore tradizione della commedia dell’arte. Info e prenotazioni 327.9860420 salvatoredellavilla.teatro@gmail.com

Il cantante e autore dei Nobraino porta in questo tour solo la sua voce e i tasti del pianoforte a cui si immobilizza per mettere in scena canzoni alla loro essenza, ripulite da qualsiasi arrangiamento e postura scenica. Le canzoni più belle scritte per i Nobraino saranno ascoltabili quindi in una veste inedita: nella versione in cui sono state scritte. Ingresso libero. Info 3389426280

16 novembre – ore 21.30 Officine Cantelmo - Lecce

VINCENZO ASSANTE E I CONGIURATI Vincenzo Assante (ex Blackboard Jungle), Paco Maddalena (Frida), Giovanni De Leonardis e Danilo Ingrosso (questi ultimi entrambe ex membri della band brindisina Oisin), formano i Congiurati, band che fluttua tra gli anni 80 pop acidi, lo shoegaze dilatato e il garage onirico, a cui si aggiunge una forte dose di post rock. La band presenterà in scaletta acustica il prossimo album nell’ambito di Officine della Musica. Info 0832303707


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17 novembre – ore 21 Kabuki - Bari

LETIZIA ONORATI

Nuovo concerto di presentazione di Black Shop, disco d’esordio della giovane cantante Letizia Onorati. Prodotto dall’etichetta Dodicilune nella collana editoriale Koinè, il cd contiene tredici brani firmati tra gli altri da Duke Ellington, Chick Corea, Miles Davis, Thelonious Monk riproposti dal trio che coinvolge con la cantante anche il pianista Paolo di Sabatino (che ha curato gli arrangiamenti) e la violoncellista Giovanna Famulari.

dal 30 ottobre Teatro Comunale - Novoli (Le)

CI VUOLE UN FIORE

17 novembre – ore 20.45 Cantieri Teatrali Koreja - Lecce

LE VOCI DI GENOVA

Un progetto che nasce dalla volontà di ripercorre la vita dei cantautori genovesi dagli anni ‘50 ad oggi. Intellettuali, prima che cantanti, si ispiravano al jazz, alla filosofia esistenzialista e ai cantautori francesi ad essa legati, alternativi nei valori e negli stili. A riproporre i loro maggiori successi Serena Spedicato alla voce, accompagnata da Giuseppe Magagnino al pianoforte ed Emanuele Coluccia ai sassofoni.

Al via la quinta rassegna domenicale dedicata alle famiglie con spettacoli capaci d’incantare grandi e piccoli che ci accompagneranno dall’autunno a primavera nel piccolo gioiello del teatro comunale di Novoli. Ad aprire la rassegna dopo la festosissima Battaglia dei Cuscini di domenica 16 ottobre, una permanenza speciale con una piccolo focus dedicato al Teatro del Buratto, compagnia storica milanese del teatro per l’infanzia e la gioventù, presente a Novoli con ben due titoli nel cartellone domenicale ed altri appuntamenti serali e dedicati alle scolaresche. Il teatro del Buratto domenica 30 ottobre alle ore 17.30 presenta La lavagna Fantastica e domenica 6 novembre alle 17.30 Pierino e il lupo... in città, due spettacoli del loro repertorio che vengono riallestiti e presentati qui per la prima volta con nuovi attori provenienti dal corso di formazione svolto da loro nel Salento negli ultimi due anni. La rassegna prosegue l’11 dicembre con l’atteso ritorno di Daria Paoletta di Burambò con l’anteprima del nuovo spettacolo Il Fiore Azzurro. La programmazione proseguirà sino alla primavera. Info teatrocomunaledinovoli@gmail.com


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19 novembre - ore 21 Laboratori Musicali - Trepuzzi (Le)

25 novembre – ore 22 Arci Rubik - Guagnano (Le)

Gilad Hekselman

CRISTIANO GODANO

In esclusiva per il sud Italia, i Laboratori Musicali ospitano il concerto del trio guidato dal chitarrista newyorkese Gilad Hekselman che presenterà i brani del nuovo album “Homles”. Prima del live il musicista statunitense terrà una masterclass aperta a tutti gli strumentisti dedicata alle tecniche improvvisative più all’avanguardia, con particolare attenzione alle dinamiche dell’interplay nello swing. Info 0832 756021

Il leader dei Marlene Kuntz, band che ha scritto alcuni dei capitoli più importanti del rock in Italia, si mette a nudo davanti ai suoi fan con un evento che lo vedrà protagonista tra racconti e canzoni voce e chitarra, riportate nella loro veste più scarna ed intima. Godano ripercorrerà le collaborazioni e la sua storia in un appuntamento unico, a due anni di distanza dalle celebrazioni per il ventennale di “Catartica”. Info arcirubik@gmail.com

dal 25 al 27 novembre Campi Salentina (Le)

26/27 novembre Bari e Ostuni (Br)

CITTà DEL LIBRO

JACOB COLLIER

Dopo una pausa, molte polemiche, i conti in rosso e un’opera di risanamento torna la rassegna dedica ai libri e alla lettura partita alla fine degli anni ‘90 nel piccolo comune del Nord Salento. Il Mediterraneo sarà il tema attorno al quale ruoteranno incontri, presentazioni, dibattiti. Dalla Fiera in periferia, la Città del Libro tornerà nel cuore di Campi con stand e spazio riservato alle case editrici. cittadellibro.net

Il geniale polistrumentista e cantante Jacob Collier torna in Italia tra Ottobre e Novembre per otto date di supporto al suo esordio discografico “In My Room”. Doppia tappa anche in Puglia con live al Teatro Forma di Bari (26 novembre) e al Teatro Roma di Ostuni (27 novembre). Il disco, a pochi giorni dalla sua uscita, è schizzato al primo posto delle classifiche Jazz in ben 22 nazioni tra cui Usa, Italia, Australia.


EVENTI

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CONVERSAZIONI SUL FUTURO — dal 3 al 6 NOVEMBRE 2016 LECCE —

— 4 GIORNI 20 LOCATION 50 APPUNTAMENTI 150 RELATORI —

INGRESSO GRATUITO

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