Il Libero Professionista Reloaded #31

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PRIMO PIANO

L'insostenibile dipendenza dei camici bianchi

PROFESSIONI

La nuova geometria del lavoro

CULTURA

Quando il paesaggio diventa tela

DAZI AMARI

PER LEGGERE L’ARTICOLO

(clicca sul titolo dell’articolo per accedere ai link)

Le porte girevoli della Trumpeconomy

di Alessia De Luca

L'ago della bilancia tra Usa e UE di Andrea Di Giuseppe

L’Eurozona nel mirino dei dazi Usa

di Tommaso Monacelli

Una calamita per attrarre investimenti

di Alessandro Cianfrone

L’insostenibile dipendenza dei camici bianchi

di Alessandro Dabbene

Si fa presto a dire Risiko di Matteo Arrigoni

Banche, maneggiare con cura di Alessandro Guzzini

Cripto-valute: bolla o oro digitale? di Ferdinando Ametrano

I tecno padroni del vapore digitale

di Claudio Plazzotta

L’unità del Belgio nelle mani di un separatista

di Theodoros Koutroubas

PROFESSIONI

La nuova geometria del lavoro di Vivaldo Moscatelli

AI, una partnership da costruire di Raffaele Loprete

Deontologia, fattore critico di successo di Andrea Arrigo Panato

Dove stiamo andando? di Francesco M. Renne

Studi professionali nel mirino dei private equity

di Corrado Mandirola e Giangiacomo Buzzoni

Miraggio Stem

di Nadia Anzani

Le fragilità invisibili: minori e povertà educativa di Rosanna Mura

La prevenzione inizia sui banchi di scuola

Tommaso C. Camerota e Benedetta M. C. Liberali

Quando il paesaggio diventa tela di Romina Villa

L’irresistibile fascino del vinile di Carlo Bertotti

Doppio slalom di Roberto Carminati

L’Editoriale di Marco Natali

News From Europe a cura del Desk europeo di ConfProfessioni

Pronto Fisco di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi

Welfare e dintorni

Un libro al mese di Luca Ciammarughi

Recensioni di Luca Ciammarughi

In vetrina in collaborazione con BeProf

Post Scriptum di Giovanni Francavilla

Cofondatore e amministratore delegato di CheckSig, e cofondatore e direttore scientifico del Digital Gold Institute e del Crypto Asset Lab (iniziativa di ricerca congiunta del Dipartimento di Impresa e Giurisprudenza dell'Università di Milano-Bicocca). Professore a contratto in diverse università italiane e europee dove insegna Bitcoin and Blockchain Technology. Innovatore nel campo fintech, è autore di pubblicazioni scientifiche e collabora con molteplici organi di informazione. È regolarmente invitato a parlare di Bitcoin e blockchain in eventi e TEDx, organizzati anche a Montecitorio, dalle Nazioni Unite, da diverse banche centrali e numerose università. In passato è stato Head of Blockchain and Virtual Currencies in Intesa Sanpaolo, membro del Comitato Organizzatore della conferenza “Scaling Bitcoin”.

Ricercatore in Diritto dell’economia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove insegna nei corsi di Principles of European Financial Regulation, Diritto europeo dell’economia, EU Law for Financial Economists e Principi di diritto e gestione delle banche. Autore di pubblicazioni in materia di diritto finanziario e di due libri sulle informazioni privilegiate e sul credito cooperativo, collabora con il Centro di Ricerca sul Credito Cooperativo (CRCC) presso l’Università Cattolica ed è associate researcher dell’European Banking Institute (EBIARG). Socio dell’Associazione dei docenti di diritto dell’economia (ADDE), ha conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale alle funzioni di professore universitario di II fascia per il settore concorsuale 12/E3, diritto dell’economia e dei mercati finanziari IUS/05.

Medico Chirurgo, Specialista in Urologia, Dottore di Ricerca in Ricerca Biomedica Integrata presso l’Università degli Studi di Milano. Coordinatore del Servizio di Urologia della casa di cura San Camillo di Milano. Già Primario del Reparto di Urologia dell’IRCCS Maugeri di Pavia. Ha effettuato studi di economia a Lugano. Curatore del libro Adolescenti e Salute, FrancoAngeli 2024.

Deputato di FdI, imprenditore, componente della commissione Affari esteri e comunitari. Cittadino Americano dal 2011, nel 2022 è stato eletto nella circoscrizione Estero ripartizione C (America Settentrionale e Centrale). Nel 1997 è entrato a far parte del Gruppo vicentino Bisazza, successivamente ha co-fondato il gruppo Trend, con il ruolo di Vice President of Sales fino al 2007 per poi diventare Ceo di RockSolid Granit per il Nord America, Regno Unito e Australia, un sistema di franchising globale chiamato Granite e Trend Transformations specializzato nella ristrutturazione di case. Oggi dirige anche la consociata E-Stone Corporation, guidando lo sviluppo delle superfici in pietra ricostituita etherium® By E-Stone. Attualmente divide il suo tempo tra Miami Beach e Vicenza.

«L’intelligenza artificiale è uno degli elementi chiave dell’innovazione tecnologica che permea la nostra vita quotidiana. I professionisti che operano tra le imprese e le esigenze del pubblico devono necessariamente essere all’avanguardia per sfruttare queste nuove tecnologie, per incrementare la loro produttività e garantire la sicurezza dei dati»

— Valentino Valentini, viceministro delle Imprese e del Made in Italy, al 1° forum Consulta Giovani Confprofessioni

Ferdinando Ametrano
Tommaso C. Camerota
Andrea Di Giuseppe
Matteo Arrigoni

Professoressa associata di Diritto Costituzionale, Università degli Studi di Milano. Già Assistente di Studio presso la Corte Costituzionale. Autrice di tre monografie (Il reato di atti persecutori. Profili costituzionali, applicativi e comparati, FrancoAngeli 2012; Problematiche costituzionali nelle scelte procreative, Giuffrè 2017; Un processo bifronte. Stato e Regioni davanti alla Corte Costituzionale, Giappichelli 2022) e di numerose pubblicazioni sui diritti fondamentali, sul rapporto fra scienza e diritto e sulla giustizia costituzionale.

Avvocata è iscritta all’albo del Foro di Cagliari dal 2001. È Segretaria di ANF Cagliari e componente del Direttivo Nazionale di ANF. È Presidente del Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari e componente esterno della Commissione Pari Opportunità del CNF. Si occupa di diseguaglianze di genere e pari opportunità.

Il Libero Professionista

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Benedetta M. C. Liberali

EDITORIALE

La presunta riforma che vorrebbe spingere i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta a timbrare il cartellino è un castello di fantasiose suggestioni che solleticano il ventre molle dell’opinione pubblica. Fiumi di inchiostro sono stati versati sui dolori della sanità e fiumi di denari (circa 7 miliardi di euro) sono stati stanziati nel tentativo di ridisegnare l’impalcatura della nuova Sanità territoriale, poggiata sulle case di comunità che rischiano di trasformarsi in cattedrali nel deserto, prima ancora di nascere. È il caso di ricordare che i soldi del Pnrr non sono sempre a fondo perduto, ma per la maggior parte debito che lasceremo in eredità alle future generazioni. Al di là della cronica carenza di camici bianchi, tra le maglie di una riforma dai contorni indecifrabili traspare lo sforzo di mettere un giogo alla autonomia professionale di medici e pediatri, ridefinendo il loro inquadramento giuridico e contrattuale in un rapporto di lavoro subordinato. In altre parole, significa smantellare il rapporto fiduciario che lega il professionista al paziente e limitare l’accesso alle cure primarie soprattutto per i pazienti più fragili. Concentrare 35 mila medici e pediatri di libera scelta in 1.350 case di comunità significa perdere la capillarità degli oltre 60 mila ambulatori medici e pediatrici su tutto il territorio. La levata di scudi della Federazione italiana dei medici di medicina generale è sacrosanta e trova il pieno sostegno nel nuovo corso della nostra Confederazione, che si fonda sullo “spirito di appartenenza”, sull’autonomia e sulla libertà della professione: valori essenziali per consolidare il rapporto di fiducia col cittadino. Ci siamo posti l’obiettivo di difendere gli interessi legittimi dei professionisti con il dialogo e il confronto su tutti i tavoli istituzionali in Italia e in Europa. E se necessario siamo pronti a dare battaglia in ogni ambito per arginare la deriva di chi vuole ridurre la professione a mera manodopera a basso costo.

NUMERO

I fatti, le analisi e gli approfondimenti dell’attualità politica ed economica in Italia e in Europa. Con un occhio rivolto al mondo della libera professione

COVER STORY

LE PORTE GIREVOLI DELLA TRUMPECONOMY

Dalla Nato all’Ucraina; dal commercio ai valori condivisi, sembra ormai chiaro che Usa ed Europa abbiano prospettive differenti. Non è la prima volta che accade nella storia. Ora di diverso c’è la sensazione che la frattura non sia più ricomponibile. Per accrescere la sua autonomia e recuperare influenza il Vecchio continente sarà costretto a reinventarsi

di Alessia De Luca

Nessuna strategia “a prova di Trump” avrebbe potuto preparare l’Europa all’uragano che l’ha travolta negli ultimi tempi. Nell’arco di poche settimane la Casa Bianca ha umiliato i vertici europei come mai prima d’ora: Washington li ha di fatto esclusi dai negoziati per la pace in Ucraina, decisi al telefono con Vladimir Putin; ha annunciato a Monaco di Baviera che la sicurezza del Vecchio continente non è più una priorità americana, e ha accusato gli alleati di scorrettezza a livello commerciale. Mancano solo i dazi, ma arriveranno. Anche se l’Ue non può dire di essere stata colta di sorpresa e in qualche modo si stava preparando al ritorno di Donald Trump da almeno un anno, nemmeno nei suoi incubi peggiori avrebbe pensato di dover fronteggiare un presidente americano che mette in discussione la sovranità territoriale di paesi membri della Nato (Danimarca); che dichiara che un domani gli ucraini “potrebbero diventare russi” e che ipotizza una visita di Putin a Washington quando non ha ancora fatto una telefonata né programmato un incontro con nessun leader europeo.

Il fondo si è toccato il 14 febbraio scorso con il discorso del vicepresidente Usa JD Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco: «La minaccia che più mi preoccupa, parlando dell'Europa non è la Russia, non è la Cina, non è nessun altro attore esterno», ha dichiarato Vance, secondo cui il vecchio continente non sta declinando a causa di Putin, ma della classe politica che lo governa. Un establishment che «ha aperto le porte a un’immigrazione incontrollata», finalizzata a scardinare le identità nazionali, che «ha cancellato la libertà di parola» con la giustificazione di contrastare le notizie false e l’incitazione all’odio, che «ha messo addirittura in discussione i risultati elettorali (in Romania) con l’alibi che erano stati condizionati dall’ester-

no (dalla Russia)». Se l’Europa «teme gli elettori», ha concluso Vance «non c’è nulla che l’America possa fare per lei». Finito il discorso, il vicepresidente statunitense ha snobbato il cancelliere tedesco Olaf Scholz per incontrare Alice Weidel, la leader del partito neonazista Alternative für Deutschland, l’unica che, a detta di Vance, «può salvare la Germania». La sua invettiva è stata accolta da un misto di sdegno e incredulità. Ma di fatto quello che il presidente francese Emmanuel Macron ha definito «l’elettroshock» di Trump all’Europa, almeno chiude il dibattito: d’ora in poi è chiaro che il Vecchio continente non potrà più contare sugli Stati Uniti per la sua sicurezza. Finito il tempo delle illusioni e delle speranze malriposte, l’Europa è chiamata a fare i conti con una nuova realtà internazionale, che stravolge paradigmi e alleanze consolidate e proietta i 27 in un futuro incerto.

Donald Trump

LA FINE DI UN’ERA

Passato lo shock iniziale, la Conferenza ha fornito agli europei verità dolorose ma importanti: Trump ha chiarito che amici e alleati non contano nulla. Ha svilito l’impalcatura Nato e il principio di difesa reciproca su cui il continente ha basato la sua pace e sicurezza negli ultimi 75 anni ed esplicitato che l’America First, inteso come il perseguimento dell’interesse immediato degli Stati Uniti, non è solo uno slogan da campagna elettorale, ma la bussola del nuovo ordine politico voluto da Washington. Il danno - nel contesto delle relazioni transatlantiche - è fatto, e sarà con ogni probabilità più longevo della stessa presidenza repubblicana. Anche dopo che Trump avrà lasciato l’incarico, ci vorranno anni, se non decenni, per ripararlo.

Proiettati, loro malgrado, in una nuova era di tumulti geopolitici i paesi dell’Ue si trovano a prendere decisioni immediate e difficili: come supportare l'Ucraina; come difendere il continente europeo, militarmente e commercialmente parlando in caso di una ‘guerra dei dazi’ che sembra imminente; e quale forma dovranno assumere le relazioni con gli Stati Uniti.

Per questo, Emmanuel Macron ha convocato un vertice urgente dei capi di Stato e di governo europei a cui parteciperà anche il premier inglese Keir Starmer e il segretario generale della Nato, Mark Rutte. «È chiaro che l'Europa deve assumere un ruolo più importante nella Nato mentre lavoriamo con gli Stati Uniti per garantire il futuro dell'Ucraina e affrontare la minaccia che affrontiamo dalla Russia», ha affermato Starmer.

LE PRIORITÀ: UCRAINA E DIFESA

Il vertice è la risposta all’accelerazione impressa da Trump sui negoziati con Mosca a cui – come confermato dall’inviato Usa Keith Kellogg – la partecipazione dell’Ue non è prevista. In questo conte-

Emmanuel Macron, presidente della repubblica francesce con il cancelliere tedesco uscente Olaf Scholz

Alice Weidel, leader del partito neonazista Alternative für Deutschland

sto, un faccia a faccia Trump-Putin fa temere il peggio: preannuncia un accordo di pace che consenta al presidente Usa di incassare i benefici politici e poi disimpegnarsi dall'Ucraina e perfino dall’Europa, ma senza fornire garanzie di sicurezza per il futuro, consentendo alla Russia di tornare alla carica quando vuole, con qualsiasi pretesto.

Sul tema, gli europei hanno già puntato i piedi: «l’Europa e Kiev dovranno sedere al tavolo dei negoziati», hanno fatto sapere i leader Ue, ma è chiaro che sul dossier, su cui pure si gioca la propria credibilità, l’Europa è all’inseguimento: Trump - il timore è condiviso nelle cancellerie europee - pretenderà che siano gli alleati a farsi carico delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina. «Per essere chiari, non ci saranno truppe statunitensi dispiegate in Ucraina», ha affermato il Segretario

alla Difesa Pete Hegset, confermando che gli Usa non intendono partecipare ad alcuna forza di peacekeeping dopo un cessate il fuoco.

Hegseth ha anche ribadito le richieste di Trump agli alleati di aumentare al 5% del Pil la spesa per la difesa affermando che il 2% «non è sufficiente» e sottolineando che Washington «resta impegnata nell’alleanza Nato e nella partnership di difesa con l’Europa», ma che gli Stati Uniti non tollereranno più «una relazione sbilanciata che incoraggia la dipendenza».

Detto altrimenti, i paesi europei dovranno farsi carico di gestire una futura linea di cessate-il fuoco, stabilita a un tavolo a cui non saranno ammessi, aumentando la spesa per la difesa se vorranno proteggersi dalla minaccia russa. Per farlo dovranno considerare l’allentamento delle regole fi-

JD Vance, vicepresidente Usa

scali oltre a massicce riforme interne senza le quali, allo stato attuale, è impossibile che i 27 eserciti europei possano coordinarsi per combattere insieme. E dovranno farlo in fretta, affrontando scelte politiche dolorose e divisive come il taglio ai sussidi di welfare, sanità e pensioni, da destinare alla difesa.

BRUXELLES AFFILA LE ARMI

Mentre cercano di elaborare una strategia su Ucraina e difesa comune, gli europei non perdono di vista l’altro dossier su cui la collisione con Washington sembra ormai imminente. Agli osservatori del commercio transatlantico, i dazi statunitensi sulle importazioni di acciaio e alluminio annunciate da Trump nei giorni scorsi hanno provocato l’effetto di un déjà vu.

Già nel corso del suo primo mandato infatti, Trump aveva imposto dazi su entrambi i metalli a cui i 27 avevano risposto con tariffe contro i principali prodotti Usa importati nel continente. Un’intesa, raggiunta con l’amministrazione Biden, aveva introdotto una tregua fino a marzo 2025.

Stavolta, però, le misure imposte dal presidente Usa sembrano essere solo l’inizio di un nuovo capitolo del conflitto: «Se i dazi annunciati in fase pre-elettorale fossero attuati e accompagnati da misure di ritorsione, la crescita del Pil globale si ridurrebbe di 1,5 punti percentuali. Per l’economia statunitense l’impatto supererebbe i 2 punti. Per l’area euro le conseguenze sarebbero più contenute, intorno a mezzo punto percentuale», avverte il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, ma dietro questi dati, prevede «effetti maggiori per Germania e Italia, data la rilevanza dei loro scambi con gli Stati Uniti».

Un allarme a cui fanno eco le parole di Mario Draghi che sul Financial Times avverte l’Europa dell’urgenza di cambiare

rotta: «L’Europa ha imposto con successo dazi su sé stessa», avverte l’ex presidente della Bce ed ex primo ministro italiano. «È necessario un cambiamento radicale», scrive nell’editoriale in cui sollecita l’Ue ad attivarsi per incentivare gli investimenti produttivi, abbattendo le barriere interne così da favorire l’innovazione e ridurre la dipendenza da esportazioni.

Primi, timidi segnali giungono dalle capitali europee. Ursula von der Leyen ha fatto sapere che «le tariffe ingiustificate contro l’Ue non rimarranno senza risposta», aggiungendo che l’Europa «agirà per salvaguardare i propri interessi economici». Ma l’azzardo è dietro l’angolo e ogni mossa va calibrata per evitare – finché possibile –una guerra commerciale con gli Usa da cui l’Europa avrebbe solo da perdere.

A tale proposito, Bruxelles ha già segnalato la disponibilità ad aumentare le importazioni di gas naturale liquefatto (Gnl) dagli Usa in modo da ridimensionare

Mark Rutte, segretario generale della Nato

il proprio surplus commerciale. E l’offerta potrebbe allargarsi al settore auto. Ma se, al contrario, il presidente americano dovesse estendere i dazi, ad esempio, su auto e farmaci la Commissione ha già pronte contromisure.

Bruxelles potrebbe reagire scongelando i contro-dazi adottati nel 2018 su Bourbon, jeans e Harley-Davidson. A differenza del 2018, inoltre, l’Ue avrebbe uno strumento aggiuntivo a disposizione per colpire gli interessi Usa: si tratta dell’Aci, o strumento anti-coercizione, un meccanismo in vigore dal 2023 e concepito per contrastare ricatti economici e pressioni indebite da parte di paesi terzi.

L’Aci consentirebbe a Bruxelles, qualora fosse bersaglio di azioni commerciali coercitive, di rispondere con un’ampia gamma di misure di ritorsione, come la revoca della protezione dei diritti di proprietà intellettuale o il loro sfruttamento commerciale, come ad esempio download di software e servizi di streaming.

Il dossier è delicato: la politica commerciale è competenza esclusiva dell’Ue, ma deve incassare il via libera all’unanimità e non tutti i 27 sono esposti alle intemperie di Washington allo stesso modo. Il timore è che il tycoon adotti una strategia del divide et impera approvando dazi selettivi come grimaldello per dividere i paesi europei e indebolire la loro risposta ad un’offensiva tariffaria. L’imperativo per l’Ue è chiaro: restare uniti sarà l’unico modo di proteggere i propri interessi.

Ma le mosse e gli annunci del presidente americano causano già i primi effetti: molti mercati azionari stanno reagendo negativamente, con listini in calo in tutto il continente. Il timore è quello di una guerra commerciale prolungata che potrebbe durare oltre l’estate, innescando una recessione economica.

Dalla Nato all’Ucraina e dal commercio ai valori condivisi, sembra ormai chiaro che Stati Uniti ed Europa abbiano prospettive profondamente diverse. Non è la prima volta che accade, e anche in passato ci sono state occasioni in cui tra le due sponde dell’Atlantico ci sono state fratture.

Di diverso, c’è la sensazione che questa volta non siano ricomponibili. L’Europa oscilla tra la volontà di emanciparsi da Washington e quella di compiacere Trump per evitare guai peggiori. In entrambi i casi, per accrescere la sua autonomia e recuperare influenza, il Vecchio continente sarà costretto a reinventarsi. Non sarà facile, ma se davvero l’Europa «si fa nelle crisi», come diceva Jean Monnet, questo è il momento di dimostrarlo. ■

Keir Starmer, premier inglese

L' AGO DELLA BILANCIA TRA USA E UE

Al di là dei dazi e delle eventuali conseguenze sull’export europeo una cosa è certa: l’elezione di Trump ha sancito definitivamente la fine della globalizzazione come l’abbiamo conosciuta negli ultimi anni. Un ritorno al protezionismo economico che contagerà anche altre aree geografiche mettendo in difficoltà soprattutto le grandi industrie ma non le Pmi e i liberi professionisti. L’Italia dunque corre meno rischi rispetto ad altre nazioni Ue. Anche grazie alla sua crescente credibilità a livello internazionale

Da quando Donald Trump è stato eletto per la seconda volta presidente degli Stati Uniti d’America e ha fatto del protezionismo economico uno dei pilastri della sua amministrazione, in Europa è scattata la fobia dei dazi doganali. E l’Italia non ha fatto certo eccezione. Sulle prime pagine dei principali mezzi di informazione nazionale, infatti, gli articoli su quanto peserebbero i dazi americani sulle nostre esportazioni Oltreoceano e su quelle di altri Paesi europei si sprecano. Ma al di là delle proiezioni, siamo proprio sicuri che il provvedimento a cui sta pensando l’amministrazione Trump impatterebbe in modo così determinante sul business delle nostre aziende e di quelle di altri Paesi Ue? Per tentare di dare una risposta obiettiva bisognerebbe evitare di considerare l’applicazione dei dazi come un provvedimento isolato inserendola, come è giusto che sia, in un programma più ampio di politica industriale e commerciale di un Paese. Se per esempio l’andamento monetario del dollaro continuasse a rafforzarsi sull’euro, come sta accadendo da alcuni mesi a questa parte, anche se dal governo Trump venisse confermato un dazio doganale del 10% sui prodotti italiani, i nostri imprenditori risulterebbero meno penalizzati rispetto a quanto verificatosi negli ultimi 20 anni, periodo in cui hanno dovuto operare in un regime di cambio mediamente sfavorevole del 20-25%. Consideriamo inoltre che il valore di cambio di una moneta è legato allo stato di salute di una economia e che un mercato a stelle e strisce sano e un dollaro forte spingerebbero ulteriormente la domanda di prodotti made in Italy.

MENO RISCHI PER L’ITALIA

Non va poi dimenticato che i dazi operano su codici doganali focalizzati su specifiche gamme di prodotto e anche da questo punto di vista l’Italia, rispetto ad altre nazioni europee, è messa meglio visto che il nostro tessuto industriale è fatto

prevalentemente da Pmi specializzate nella produzione di eccellenze in tutti i settori merceologici. Eccellenze che negli Usa non si trovano e che il mercato continuerà a richiedere anche in presenza di una politica economica protezionistica. Al contrario un paese come la Germania, che ha un’economia basata prevalentemente sull’industria automobilistica e meccanica è molto più a rischio visto che uno dei comparti più importanti degli Usa è proprio quello delle quattro ruote. Basti dire che nel 2024 è arrivato a valere qualcosa come 0,98 trilioni di dollari e che le previsioni per l’anno in corso si aggirano sui 1,04 trilioni di dollari (fonte mordorintelligence.it).

LA FINE DELLA GLOBALIZZAZIONE

Al di là dei dazi e delle eventuali conseguenze sulle esportazioni europee una cosa è certa: l’elezione di Trump ha san-

cito definitivamente la fine della globalizzazione come l’abbiamo conosciuta negli ultimi anni. Il problema degli Usa oggi sono i 500 miliardi di deficit commerciale verso l’Europa. Una cifra importante che in qualche modo va ridotta e la regionalizzazione dell’economia aiuterà a raggiungere l’obiettivo facendo rimanere la ricchezza all’interno del Paese. Trend che contagerà anche altre nazioni mettendo in difficoltà soprattutto le grandi industrie ma non le medio piccole realtà imprenditoriali e i liberi professionisti in grado di aggiornare le loro competenze per offrire consulenze in linea con le nuove esigenze delle aziende.

RELAZIONI INTERNAZIONALI

Uno scenario internazionale decisamente in evoluzione che vede il governo italiano impegnato a preparare il terreno per sostenere la crescita e la competitività delle imprese nazionali. Diverse sono le azioni messe in campo a cominciare dall’intensificazione delle relazioni diplomatiche ed economiche con Paesi strategici per la nostra economia che vanno ben oltre gli Usa. Basti pensare al viaggio di Stato negli Emirati Arabi fatto da Giorgia Meloni subito dopo la sua nomina a primo ministro e destinato a sbloccare affari con l’Italia per oltre 4 miliardi di euro. Le buone doti diplomatiche della premier sono destinate a migliorare la credibilità dell’Italia a livello internazionale, ad aprire nuove strade commerciali alle nostre imprese e a intensificare quelle già in essere. Non è un caso che Trump abbia scelto Meloni come suo punto di riferimento in Europa. E Bruxelles ne deve prendere atto anche perché oggi l’Europa si trova davanti a un bivio: continuare ad evolvere o implodere su sé stessa correndo il rischio di essere presa d’assalto da Ovest, da Est e da Sud. Evolvere significa per forza di cose cambiare quelle regole che oggi impediscono al suo popolo e alle sue imprese di prosperare, a cominciare dal Green Deal,

Giorgia Meloni, Primo ministro italiano

che così come è stato concepito mette a rischio la competitività delle imprese del vecchio continente rispetto a quelle asiatiche e non solo. La decarbonizzazione non può e non deve essere inseguita a prezzo della deindustrializzazione, deve essere un processo graduale da effettuarsi nel lungo periodo.

IL RUOLO DELLE BANCHE CENTRALI

Ma va rivisto anche il rapporto debito pubblico/Pil, che dovrebbe attestarsi attorno al 6 -7%, altrimenti non ci potrà esserci alcuna crescita economica. La Banca centrale europea deve essere al servizio della politica e non agire in modo indipendente da questa. Lo deve essere nella sua funzione di controllo e operativa, ma non assolutamente strategica. Altrimenti è come se un’azienda dicesse al suo CEO che il CFO non dipende da lui e dal board ma da sé stesso e quindi può avere un’agen-

da divergente. Inutile precisare che una struttura simile non può più sostenersi di fronte a banche centrali come l’americana Fed e la Banca Popolare Cinese, entrambe dirette dai rispettivi governi centrali.

Questo è un aspetto molto importante sia per sostenere lo sviluppo europeo e italiano, sia per evitare che le iniziative politiche di un paese europeo corrano il rischio di essere annullate da una politica monetaria che invece di essere al servizio dei cittadini e delle imprese gioca contro di loro. Un principio che in scala differente vale anche per la Banca d’Italia, che non può avere partecipazioni private ma deve esser libera da conflitti di interesse ed essere al servizio del governo. In altro modo sarebbe utopistico continuare a crescere perché verremo schiacciati da politiche monetarie a supporto di quelle strategiche dei governi USA e dei Paesi Brics in primis. ■

L’EUROZONA NEL MIRINO DEI DAZI USA

È probabile che l’amministrazione Trump imponga un aumento delle tariffe anche sulle esportazioni europee negli Usa. L’apprezzamento del dollaro e i movimenti del tasso di cambio possono neutralizzare in parte gli effetti dei dazi. Ma nello scenario peggiore la Bce potrebbe trovarsi a fronteggiare contemporaneamente il rallentamento dell’attività economica e il rialzo dell’inflazione.

L’accelerazione indotta dall’amministrazione Trump alla cosiddetta “guerra dei dazi” sembra potersi estendere anche alla zona euro. A prima vista, dazi statunitensi sulle esportazioni dell’Eurozona agirebbero come uno shock dal lato dell’offerta, aumentando il prezzo post-dazio delle esportazioni europee e causando possibili interruzioni nelle catene di produzione. In realtà, un aumento dei dazi influenza direttamente la domanda di esportazioni e le catene di approvvigionamento.

Nel 2023, gli Stati Uniti hanno rappresentato circa il 15% delle esportazioni dell’Eurozona, per un valore vicino a 450 miliardi di dollari in beni e servizi. Settori chiave come l’automobilistico, i macchinari e il farmaceutico sono particolarmente vulnerabili, con le esportazioni di automobili che da sole ammontano a 60 miliardi di dollari all’anno. Il settore dei macchinari rappresenta circa 120 miliardi di dollari di esportazioni, mentre il farmaceutico contribuisce con ulteriori 80 miliardi di dollari. Dazi del 10% su tutte le esportazioni dell’Eurozona verso gli Stati Uniti potrebbero ridurne il volume totale del 20%, con una perdita annua di 90 miliardi di dollari, pari a circa l’1,27% del totale dell’export dell’Eurozona a livello globale.

A ciò seguirebbero effetti sulle catene di approvvigionamento, con conseguenti perdite occupazionali, specialmente nelle regioni più dipendenti dal commercio internazionale, a cominciare dall’Italia. Le stime suggeriscono che il numero totale di posti di lavoro persi nei settori più colpiti (automobilistico, farmaceutico, macchinari) potrebbe superare le 250mila unità. Le stime più recenti enfatizzano poi i possibili effetti sugli investimenti. Un aumento del 10% dei dazi potrebbe ridurre gli investimenti settoriali nell’Eurozona dell’1,5-2,5% nel

primo anno, con impatti sproporzionati nei settori più orientati alle esportazioni, come la produzione di macchinari e l’automobile.

COSA SUCCEDE AL TASSO DI CAMBIO?

La contrazione di esportazioni e investimenti avrebbe una ricaduta sul Pil europeo. Il risultato finale dipende però dallo scenario che si assume riguardo alla risposta del cambio euro-dollaro.

A tasso di cambio invariato, l’Eurozona subirebbe l’intero impatto della riduzione della domanda di esportazioni. In tal caso, il Pil dell’area potrebbe ridursi di circa 45 miliardi di dollari all’anno, pari allo 0,3% del totale.

In realtà, movimenti del tasso di cambio possono neutralizzare in parte gli effetti dei dazi. La loro introduzione porterebbe certamente a un apprezzamento ulterio-

I dazi americani avrebbero ricadute anche sull’inflazione europea e sulla condotta della politica monetaria della Banca centrale

re del dollaro rispetto all’euro. Negli Usa, l’aumento dei prezzi dei beni importati spingerebbe al rialzo la domanda di lavoro nei settori domestici, perché i consumatori americani sostituirebbero beni importati con beni locali. Ciò spingerebbe al rialzo l’inflazione interna. Che a sua volta produrrebbe un aumento dei tassi di interesse americani, generando un apprezzamento del dollaro.

Un relativo indebolimento dell’euro del 5% potrebbe compensare il 30-50% dell’aumento dei prezzi indotto dai dazi, attenuando la contrazione delle esportazioni a 45-60 miliardi di dollari. In tal caso, la riduzione del Pil varierebbe tra 22,5 e 30 miliardi di dollari, ovvero tra lo 0,15 e lo 0,2% del Pil dell’Eurozona. Un effetto sostanzialmente piccolo.

I dazi americani avrebbero ricadute anche sull’inflazione europea e sulla condotta della politica monetaria della Banca centrale. Gli effetti sull’inflazione nell’Eu-

rozona dipendono dal rallentamento dell’attività economica. A tasso di cambio invariato, il calo delle esportazioni porterebbe a una riduzione della produzione, con pressioni deflazionistiche.

Le stime suggeriscono che un calo del 10% della domanda di esportazioni potrebbe ridurre l’inflazione nei prezzi dei beni domestici di 0,1-0,2 punti percentuali nei settori più esposti. Con un probabile deprezzamento dell’euro, parte dell’aumento dei prezzi indotto dai dazi verrebbe compensato, diminuendo la necessità per le imprese di abbassare i prezzi. Un deprezzamento del 5% potrebbe attenuare l’effetto deflazionistico a soli 0,05-0,1 punti percentuali.

L’impatto sui prezzi al consumo nell’Eurozona sarebbe minimo, poiché i dazi colpiscono principalmente i prezzi alla produzione e i mercati di esportazione. Tuttavia, in questo caso, il deprezzamento dell’euro potrebbe aumentare leggermen-

te il prezzo dei beni importati (sia finali che intermedi), con un possibile effetto inflazionistico di 0,05-0,1 punti percentuali.

LA RISPOSTA DELLA BCE

La risposta della politica monetaria della Bce a un possibile incremento dei dazi deve tenere conto di due fattori. Innanzitutto, il probabile rallentamento dell’attività economica legato alla contrazione della domanda di esportazioni. Secondo, l’indice di inflazione più appropriato a cui rispondere. Di fronte al rallentamento dell’attività economica, la Bce dovrebbe attuare una politica monetaria più espansiva, perciò accelerando la discesa dei tassi già in atto da diversi mesi.

L’indice di inflazione sui cui calibrare la risposta della Bce avrebbe però una certa importanza. Tipicamente, la Banca centrale europea cerca di tenere stabile l’inflazione nei prezzi al consumo. L’indice include anche la dinamica dei prezzi dei beni importati, che aumenterebbero a causa del deprezzamento dell’euro.

Ciò porterebbe la Bce ad aumentare i tassi di interesse, o comunque a essere meno espansiva di quanto necessario per sostenere l’attività economica. In altri termini, la Bce dovrebbe concentrarsi su un indice di inflazione ristretto ai beni domestici, così da non ostacolare il deprezzamento del cambio, permettendo alla domanda di esportazioni di contrarsi solo in minima parte. Solo in questo modo, la Bce riuscirebbe a sostenere adeguatamente l’attività economica dell’Eurozona.

LA GUERRA COMMERCIALE

Lo scenario delineato finora non tiene conto di un probabile esito che dazi unilaterali imposti dagli Usa produrrebbero: una risposta simmetrica da parte delle economie europee, con una conseguente guerra commerciale. In tal caso, l’Eurozona risponderebbe innalzando dazi sulle

importazioni dagli Usa, il che produrrebbe un aumento dei prezzi dei beni importati, a scapito dei consumatori europei. In questo scenario, gli effetti inflazionistici sull’indice generale dei prezzi al consumo sarebbero molto più consistenti.

Una guerra commerciale muterebbe la natura dello shock a cui sarebbe sottoposta l’economia europea. Da uno shock di domanda – nel caso di dazi asimmetrici imposti dagli Usa – a uno shock stagflazionistico – nel caso di guerra commerciale.

Cioè la Bce fronteggerebbe un contemporaneo rallentamento dell’attività economica e un rialzo generalizzato dell’inflazione. Un dilemma molto costoso, soprattutto nella situazione attuale, in cui la Bce cerca di mantenere stabile il sentiero di allentamento della politica monetaria. (lavoce.info). ■

Una calamita per attrarre investimenti

Il mondo delle libere professioni può contribuire attivamente a rendere l’Italia più attraente per investitori esteri, accelerando la crescita economica del sistema imprenditoriale nazionale. Le strategie e le opportunità messe in campo da Confprofessioni e Apri International

di Alessandro Cianfrone L

’attrazione di investimenti esteri rappresenta un’opportunità strategica per la crescita economica nazionale e delle imprese che vi investono, favorendo sia l’integrazione delle imprese straniere nel contesto locale sia valorizzando le potenzialità del territorio. Per gli operatori economici stranieri, un traguardo di rilievo consiste nella piena sinergia con il “local content”. La grande diversità e eterogeneità del tessuto italiano, con la sua pluralità di realtà produttive e contesti territoriali, non costituiscono un ostacolo bensì un’eccezionale opportunità per gli investitori esteri. Grazie a diversi cluster di competitività e a una varietà socio-economica che si estende dal Nord al Sud, l’Italia offre un panorama ricco di potenzialità per chi desidera stabilire nuo-

Ceo di Apri International

ve collaborazioni e rafforzare la propria presenza internazionale. Gli investitori esteri cercano solidità, incentivi economici e un ambiente regolamentare chiaro. Inoltre, è indispensabile che il sostegno sia di natura intersettoriale e trasversale, in grado di rispondere in modo flessibile alle trasformazioni dei mercati globali. In questo ambito, Confprofessioni e la società in-house dedicata all’internazionalizzazione Apri International, si integrano in questo processo sostenendo, attraverso la rete di professionisti, le relazioni fra operatori economici stranieri e contesti produttivi locali. Consapevoli che la formazione rappresenta un altro strumento fondamentale per favorire l’apporto di nuovi investimenti stranieri, Confprofessioni e Apri International applicano un modello di cross skills agevolando lo scambio di competenze e networking tra i vari stakeholders. Secondo il principio Trainer of Trainers, attraverso tavole rotonde e missioni istituzionali, si favorisce lo scambio delle esperienze, rispondendo così al bisogno degli investitori di assicurare la loro radicata presenza nelle filiere e nei distretti produttivi territoriali, conoscendone gli aspetti e gli attori. Le

missioni delle delegazioni e gli incontri internazionali hanno anche la funzione di mantenere alta l’attenzione sul panorama italiano come ambiente stimolante dove convogliare risorse finanziarie.Parallelamente, è indispensabile fornire un’assistenza mirata e capillare ai potenziali investitori attraverso reti strutturate. A tale scopo, Confprofessioni e Apri International collaborano con partner strategici come Ice, Simest, Sace e Assocamerestero per garantire un supporto efficace. Il tema dei finanziamenti è il punto focale del processo, questi partners assicurano e garantiscono l’ingresso e l’espansione degli investitori stranieri in Italia. Insieme ad un team di esperti vengono condivise nuove visioni strategiche in un’ottica di coinvolgimento e di messa disposizione delle risorse economiche. Con l’intento di semplificare l’accesso ai servizi professionali di supporto agli investimenti potrebbe essere necessario, a breve, prevedere strumenti finanziari adeguati. Una delle possibili soluzioni individuate sarebbe l’introduzione di un credito d'imposta per le aziende che si avvalgono di servizi di consulenza professionale nelle fasi di ingresso nel mercato italiano. ■

Le storie, i personaggi e le notizie di primo piano commentate dalle più autorevoli firme del mondo della politica, dell’economia, dell’università e delle professioni

PRIMO PIANO

L’INSOSTENIBILE DIPENDENZA DEI

CAMICI BIANCHI

Si riapre il dibattito sull’inquadramento contrattuale di oltre 40 mila liberi professionisti, oggi in convenzione con il SSN. Bocciata dai medici di medicina generale, l’ipotesi di trasformare i camici bianchi in lavoratori dipendenti rischia di portare al collasso l’assistenza sanitaria territoriale. Il Governo vuole vederci chiaro e apre al confronto con le categorie professionali di Alessandro Dabbene

Vicesegretario nazionale della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale

Ad ogni stormir di foglia torna a galla l’annoso dibattito sulla riforma della medicina generale. Da quando il Pnrr ha stabilito che entro il 2026 dovranno essere attivate 1.350 “case della comunità”, pilastro della riforma dell’assistenza sanitaria territoriale che, sulla carta, dovrebbero migliorare l’offerta di servizi socio-sanitari ai cittadini su tutto il territorio italiano, rispunta ciclicamente l’idea di ridefinire l’inquadramento giuridico e contrattuale di oltre 40 mila liberi professionisti, oggi in convenzione con il Servizio sanitario nazionale.

L’ipotesi di trasformare i medici di medicina generale in dipendenti, sostenuta da alcune Regioni pressate dalla necessità di raggiungere gli obiettivi del Pnrr e quindi la gestione delle case della comunità, porterebbe al collasso dell’assistenza sanitaria territoriale. Con buona pace della prossimità delle cure, in un Paese con una popolazione sempre più anziana e quindi portatrice di malattie croniche e di disabilità che in un futuro assai prossimo rischia l’isolamento sanitario. Non solo, l’inquadramento dei medici in un rapporto di lavoro subordinato smantellerebbe una rete di circa 60 mila studi di medicina generale che oggi garantiscono un’assistenza sanitaria capillare su tutto il territorio italiano, mettendo in discussione i principi fondanti del Ssn.

Tutto nasce da una fantasiosa narrazione del medico di famiglia fannullone che lavora 2-3 ore al giorno. Eppure uno studio recente condotto dal “Cergas-Bocconi” ha stimato che un medico di famiglia

ha mediamente 35 contatti diretti e 70 indiretti al giorno con i pazienti (telefonate, gestione delle richieste via mail e altre attività di supporto incluse). Basterebbero questi numeri per avere un’idea chiara sull’intensità del lavoro quotidiano di un medico, che si divide tra l’attività ambulatoriale e il fardello di una soffocante burocrazia in back office. Mansioni che superano di gran lunga le 38 ore settimanali previste dai contratti della dipendenza. Senza contare poi che oggi un medico assiste fino a 1.800 pazienti, di cui 700 anziani, rispetto al cosiddetto “ottimale” che prevede 1.000/1.300 cittadini per ogni medico.

I DUBBI

C’è poi un altro aspetto, non banale, che fa vacillare la sostenibilità economica del progetto. Il

passaggio del medico di medicina generale a dirigente pubblico avrebbe un impatto economico esorbitante sull’ente di previdenza e sulle casse dello Stato, che dovrebbero sostenere le spese organizzative, oggi in carico al medico convenzionato, di circa 60 mila studi professionali (con relativa strumentazione clinica e informatica), di circa 30 mila collaboratori e 20 mila infermieri oggi assunti dai medici e su cui pende lo spettro di un licenziamento di massa. I medici di medicina generale, come liberi professionisti convenzionati, generano secondo la Cgia di Mestre un volume d’affari di circa 7 miliardi di euro, che salgono a 16 miliardi considerando l’indotto e le ore di lavoro. Risorse che rischiano di andare in fumo.

Già in passato la Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg) aveva criticato aspramente l’idea di un rapporto di lavoro subordinato per i camici bianchi, ma oggi il braccio di ferro che coinvolge il ministero della Salute, le Regioni e i medici di medicina generale rischia di stravolgere l’attuale impianto del Sistema sanitario nazionale.

APRIRE IL CONFRONTO

Al momento, il progetto di riforma della medicina generale si consuma più sul piano mediatico che su quello istituzionale: una bozza che non ha sostanza né paternità e che non convince neppure il ministro della Salute, Orazio Schillaci. Tuttavia, il dibattito continua a salire di intensità, tanto da finire al centro di un recente vertice di Palazzo Chigi alla presenza del presidente del consiglio Giorgia Meloni, che

ha chiesto una pausa di riflessione per ascoltare le categorie professionali. Una posizione accolta con favore dalla Fimmg, che non ha mai interrotto il dialogo e il confronto costruttivo con il ministro Schillaci, con i presidenti delle Regioni e con i segretari di partito.

Il Governo si muove dunque per cercare di sbrogliare una matassa che, al di là dell’organizzazione delle cure primarie sul territorio e del ruolo sociale della medicina generale nel nostro Paese, presenta profili giuridici ed economici abbastanza netti. A legislazione vigente, infatti, i medici di medicina generale non hanno i requisiti di legge per il passaggio dal rapporto convenzionato al rapporto di lavoro dipendente, come conferma l’ampia giurisprudenza della Corte costituzionale e della Cassazione.

L'ACCORDO

I rapporti di lavoro dei medici di medicina generale sono infatti disciplinati da accordi collettivi nazionali (Acn) e hanno natura giuridica di rapporti di lavoro autonomo libero-professionale, che di fatto esclude l’assoggettamento del medico al potere direttivo del datore di lavoro che è tipico del lavoro subordinato.

Occorre poi sottolineare che l’Accordo collettivo nazionale attualmente vigente prevede già 4 milioni di ore previste per le Case della Comunità, finanziate nel fondo sanitario, tra le 20 milioni di ore già garantite dai medici di medicina generale; di fatto, ha già assorbito il progetto delle case della comunità previste dal Pnrr e pone tutte le basi per raggiungere

un nuovo livello di organizzazione che garantisce un salto di qualità per l’assistenza sia nella rete degli studi dei medici sia nella case della comunità. Tuttavia, il rinnovo dell’Acn 2021-2024 è fermo da oltre un anno e si attende l’emanazione dell’atto di indirizzo per introdurre i correttivi necessari per offrire alle Regioni la certezza operativa delle case della comunità. Per migliorare l’assistenza sanitaria territoriale occorre investire sull’organizzazione. Bisognerebbe dotare tutti i medici di famiglia di personale amministrativo e infermieristico, favorire il lavoro in team nelle medicine di gruppo. Già oggi più di un terzo dei medici lavora in maniera sinergica, e queste realtà sono le più solide.

Il lavoro in gruppo consente una gestione condivisa dei pazienti, una maggiore efficienza organizzativa e una migliore qualità della vita per pazienti e medici. Inoltre, questo modello riduce il rischio di abbandono della professione, che purtroppo sta diventando sempre più frequente a causa delle condizioni di lavoro insostenibili. Come confermano i dati della Struttura interregionale sanitari convenzionati (Sisac) che indicano come dal 2016 al 2023 i medici di famiglia siano passati da 44.436 a 37.860. Sta tutta qui la vera emergenza della medicina generale. ■

Pagina a cura di Fimmg

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SI FA PRESTO A DIRE RISIKO

Ricercatore in Diritto dell’economia, Università Cattolica del Sacro Cuore

Le Opa nel settore bancario intrecciano dinamiche di mercato e complessità giuridiche che influenzano le strategie delle parti coinvolte. Istituzioni e governi giocano un ruolo chiave nel mantenere l’equilibrio tra le forze in campo. Ma anche le regole vanno riviste. E in vista della riforma del Testo unico della finanza il dibattito è aperto

Negli ultimi mesi diverse offerte pubbliche di acquisto o di scambio (Opa-Ops) hanno scosso il panorama bancario italiano. Banche offerenti puntano a ottenere il controllo su intermediari bersaglio, per poi procedere con le fusioni. Unicredit intende acquisire Bpm, mentre Illimity è nel mirino di Banca Ifis. Il successo di un’Opa dipende in larga misura dalla volontà degli azionisti di aderire all’offerta. Allo stesso tempo, le norme impongono limiti per tutelare tutti gli interessi in gioco. Un ruolo centrale in questo quadro è svolto dalla passivity rule, che vieta agli amministratori della società bersaglio di adottare misure contro l’Opa, senza l’autorizzazione degli azionisti. L’idea è semplice: evitare che gli amministratori, potenzialmente in conflitto di interessi, prendano decisioni contrarie al volere degli azionisti, effettivi destinatari dell’offerta.

Ma c’è un problema. Questa regola, richiedendo un intervento dell’assemblea più frequente, può “ingessare” l’operatività della società target, come dimostra il caso Unicredit-Bpm, dove Bpm ha espresso preoccupazioni sulla riduzione della propria «flessibilità strategica», in operazioni quali l’acquisizione di Anima Holding o l’aumento della partecipazione in Mps. Per bilanciare la tutela degli azionisti con la necessità di preservare l’operatività delle società bersaglio, il legislatore italiano distingue tra decisioni deliberate prima e dopo il lancio dell’offerta. Le decisioni successive al lancio dell’offerta sono soggette a vincoli stringenti, poiché il rischio che

gli amministratori della società target perseguano i propri interessi in conflitto con la società è elevato: senza approvazione assembleare, ogni atto che comprometta l’Opa è vietato (art. 104, co. 1, Testo unico della finanza - Tuf). Per le operazioni decise prima del lancio ma non ancora realizzate, invece, il principio è meno rigido, perché il conflitto di interessi è solo eventuale: l’autorizzazione assembleare è necessaria solo se le misure adottate sono idonee a contrastare l’offerta e vanno oltre «il corso normale dell’attività» (art. 104, co. 1-bis, Tuf). In quest’ultima ipotesi, l’interpre-

tazione di quale misura rientri nel corso normale dell’attività è decisiva, perché da essa dipende la necessità o meno di ricorrere all’autorizzazione assembleare.

REGOLE COMPLESSE

La complessità delle Opa è amplificata dalla struttura dell’azionariato, che raramente è un blocco monolitico e spesso riflette interessi multipli, anche extrasociali. Gli investitori istituzionali, ad esempio, possono detenere partecipazioni in più banche per diversificare il portafoglio e mitigare i rischi specifici di ciascun emittente. È il caso di Black Rock, azionista di Unicredit e Bpm. Alcune banche, inoltre, detengono partecipazioni in enti concorrenti: Credit Agricole è azionista di Bpm, mentre Mediobanca e Unicredit hanno azioni Generali. L’Opa di Mps su Mediobanca è, a sua volta, caratterizzata da «rilevanti intrecci azionari», come sottolineato da quest’ultima: Delfin e Caltagirone hanno partecipazioni sia in Mps che in Mediobanca. Infine, l’Opa di Bper su Banca Popolare di Sondrio vede come azionista di riferimento comune Unipol. Le sovrapposizioni azionarie possono influenzare le scelte in assemblea da parte di questa tipologia di azionisti, che potrebbero valutare le difese del management considerando l’impatto complessivo delle operazioni e non solo i benefici per la singola banca, a scapito degli altri azionisti. A gestire questa dinamica dovrebbe provvedere, di per sé, la disciplina sui conflitti di interesse. Nel caso del diritto di voto da parte di un socio, tuttavia, tale strategia non risulta sempre efficace. In assenza di un obbligo di motivazione, infatti, la discreziona-

lità nell’esercizio dei diritti di voto rimane assai ampia, purché non danneggi la società partecipata.

RISCHIO EFFETTI SISTEMICI

Le fusioni, spesso conseguenti all’Opa, non riguardano solo le società coinvolte, ma possono produrre effetti sistemici. La crescente concentrazione del mercato bancario solleva anzitutto questioni di concorrenza. Per questo, l’Antitrust e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) hanno il compito di valutare tali operazioni, la cui bontà dipende dai criteri adottati. In generale, resta aperto il dibattito se la concorrenza interna debba essere ridotta a favore di una maggiore competitività globale. In secondo luogo, mentre da un lato la formazione di grandi gruppi bancari può rafforzare la competitività europea rispetto ai colossi statuni-

tensi e generare economie di scala utili a contenere i costi fissi imposti dalla normativa prudenziale, dall’altro lato le fusioni possono accrescere la complessità organizzativa e generare diseconomie di scala, soprattutto se guidate da logiche diverse dalla creazione di valore. Si pensi al caso di due banche che, anziché ridurre i costi operativi, si trovano a dover gestire il problema di integrare sistemi informatici incompatibili. Nel sistema finanziario, le inefficienze strutturali possono compromettere la stabilità, motivo per cui l’autorizzazione di queste operazioni spetta alla Bce o alla Banca d’Italia e, in presenza di un’impresa assicurativa, all’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass). Oltre a effetti su governance, concorrenza e stabilità, le Opa possono toccare ambiti di rilevanza strategica nazionale. Il timore che un “campione nazionale” diventi oggetto di offerte predatorie ha spinto molti governi a introdurre meccanismi di protezione, come il golden power, che consente all’esecutivo di bloccare le acquisizioni in presenza di «una situazione eccezionale» di «minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici» specificamente individuati (art. 2, co. 3, d.l. 15 marzo 2012, n. 21). Ad esempio, il tentativo della cinese Shenzen Invenland Holdings di acquisire la società di semiconduttori Lpe è stato impedito nel 2021, mentre l’offerta dell’olandese Asm per la stessa società italiana è stata autorizzata l’anno successivo. Dal 2020, il golden power si estende anche al settore finanziario, alimentando il dibattito politico, come nel caso Unicredit-Bpm in cui si è discusso sull’opportunità di utilizzare questo strumento. Tuttavia, essen-

do una deroga al libero mercato, il suo impiego richiede cautela, in particolare perché la giurisprudenza europea e l’esperienza italiana dimostrano che, specie quando le operazioni coinvolgono soggetti europei, l’onere di motivazione per l’esercizio del potere è aggravato. Il caso Microtecnica-Safran è emblematico: il veto iniziale è stato poi revocato dopo l’impugnazione della decisione.

IL RUOLO DEI GOVERNI

Infine, vi sono casi in cui gli Stati possono intervenire non solo come regolatori, ma anche come azionisti. La Germania, ad esempio, possiede una partecipazione in Commerzbank - potenziale obiettivo di Unicredit - e potrebbe così influire sull’eventuale lancio dell’Opa votando in assemblea. L’Italia, invece, è azionista di Mpsinteressata a Mediobanca - e si trova in una situazione più delicata: da un lato, deve gestire la cessione della sua quota in Mps, frutto della ricapitalizzazione precauzionale del 2017; dall’altro, può esercitare poteri di ingerenza, come il golden power. Questa duplice veste solleva ulteriori interrogativi sui potenziali conflitti di interesse e sull’efficacia delle norme in vigore. In sintesi, le Opa nel settore bancario intrecciano dinamiche di mercato e complessità giuridiche che influenzano le strategie delle parti coinvolte. Consob, Bce, Banca d’Italia, Ivass, Autorità Antitrust, Agcm e governi nazionali giocano un ruolo chiave nel mantenere l’equilibrio tra le forze in campo. Allo stesso tempo, il dibattito sulla revisione delle regole resta aperto, soprattutto in vista della riforma del Testo unico della finanza. ■

Banche, maneggiare con cura

Negli ultimi tre anni il settore bancario è stato il comparto che ha performato meglio a Piazza Affari e tra quelli che hanno reso di più in Europa, sostenuto dal rialzo dei tassi di interesse. Ma, anche alla luce degli ultimi annunci di operazioni di M&A, resta un segmento dove gli investitori dovrebbero muoversi in punta di piedi

a cura di Alessandro Guzzini

Ceo, Finlabo SIM

Il risiko bancario è un campo dove si scontrano interessi industriali e politici. E ogni volta è molto difficile per gli investitori capire cosa prevalga e che direzione prenda il mercato. Oggi ogni Paese in Europa teme di perdere le proprie grandi banche. E quando vede operazioni ostili alza le barricate. Così, è il protezionismo a guidare in una direzione invece che in un’altra le operazioni di fusione e acquisizione all’interno del settore. In quest’ottica, andrebbe inquadrata anche la recente operazione di Banca Mps con Mediobanca. Un deal che è sembrato guidato più da logiche di governance, con un forte connotato politico, che da decisioni prettamente industriali. L’obiettivo è sembrato, da un lato quello di blindare il controllo delle due banche italiane, che in questi

anni erano percepite come facilmente contendibili sul mercato – lo scorso anno si è tentato, tra l’altro, di fondere Mps con Bpm per creare il terzo polo bancario italiano. Dall’altro, con l’operazione Mediobanca-Mps si vorrebbe aumentare la presa sul gruppo Generali, di cui Mediobanca è azionista assieme ad altri azionisti di Mps, in vista della maxifusione nell’asset management con i francesi di Natixis. Il timore è che l’equilibrio di Generali, già presente in Francia, si sposti ancor di più verso Parigi. Diversa appare la strategia di Unicredit, che sembra muoversi più come una banca che è salita tanto in Borsa e che in effetti ha esaurito le possibilità di crescere in maniera organica. E che, quindi, si guarda intorno per fare acquisizioni. Le sue mosse sembrano seguire più una logica industriale, come nel caso dell’offerta su Commerzbank in Germania necessaria per rafforzarsi in un mercato, dove già la banca italiana controlla un istituto bavarese, che rimane tra i più frammentati in Europa, ma anche l’unico dove si possono realizzare operazioni importanti, rispetto alla Francia e all’Italia, Paesi in cui il settore bancario risulta da anni piuttosto concentrato.

OPERAZIONI OSTILI

Inoltre, il fatto che tutte le ultime operazioni finite sui titoli dei giornali siano considerate “ostili”, è un ulteriore segnale di come i player europei, e anche la politica, non siano ancora pronti a nuove grandi operazioni transfrontaliere. Anche se il mercato ha un’opinione differente, è comprensibile, tuttavia, che i governi preferiscano mantenere all’interno del Paese

il controllo degli istituti, ritenuti strategici. In questo scenario, gli investitori dovrebbero muoversi con molta cautela in un settore che è strettamente connesso a variabili macroeconomiche su cui è difficile fare previsioni. Il settore bancario, inoltre, negli ultimi tre anni è andato molto bene. È stato il comparto che ha performato meglio a Piazza Affari e tra i più performanti in Europa, sostenuto dal rialzo dei tassi. Dallo scorso giugno, però, la Bce ha iniziato ad allentare la politica monetaria e il calo dei tassi potrebbe avere un impatto negativo sul rendimento degli attivi e sul margine di interesse. Una risalita delle sofferenze, inoltre, peggiorerebbe il quadro. Il meglio, quindi, in un certo senso è passato e molto dipenderà da come andrà l’economia. Certamente, il risiko bancario contribuisce a mantenere viva l’attenzione sul settore, ma non mancano i rischi. Sul settore bancario attualmente siamo un po' meno positivi rispetto a un paio di anni fa. Le banche continuano a registrare utili e i bilanci sono stati abbastanza ripuliti. Il repricing però è stato significativo e vediamo poco spazio per un’ulteriore crescita. Il grosso dell'upside, insomma, a nostro avviso c’è già stato, con molte banche che ora valgono anche il 20% in più del patrimonio netto. A livello di portafoglio, manteniamo una selezione di pochi titoli europei, tra i quali Deutsche Bank e Santander. In portafoglio, abbiamo mantenuto anche una banca austriaca, Raiffeisen, molto sottovalutata negli ultimi anni per via dell’esposizione al mercato russo, ma che potrebbe beneficiare da probabili future distensioni geopolitiche. ■

CRIPTO VALUTE: BOLLA O ORO DIGITALE?

Il prezzo di Bitcoin continua la sua corsa. Ma la sua volatilità non spaventa. Ad allarmare, semmai, è la presenza significativa di un circo di truffatori e ciarlatani che confondono la scena e rafforzano i pregiudizi. Alla fine, però, mercato e Rule of Law beneficeranno degli anticorpi di libertà che Bitcoin sta facendo inesorabilmente crescere

Il 2024 è stato un anno decisivo per Bitcoin: il 10 gennaio la Sec (la Commissione federale degli Stati Uniti che vigila sulla borsa americana) ha autorizzato l’Etf Bitcoin, proposto dai principali asset manager internazionali come BlackRock e Fidelity, che ha poi frantumato tutti i record di raccolta. A giugno è entrato in vigore il regolamento dell’Unione europea “Mercati in Cripto-Attività”. A novembre Donald Trump ha vinto le elezioni schierandosi a favore di Bitcoin. A dicembre Bitcoin supera la quotazione storica di 100 mila dollari e Jerome Powell, il presidente della Federal Reserve, lo definisce l’equivalente digitale dell’oro. A febbraio di quest’anno il presidente della banca centrale della Repubblica Ceca ha proposto di acquisire Bitcoin nelle riserve.Ma cos’è Bitcoin? È una bolla o l'equivalente digitale dell’oro? È un artefatto digitale trasferibile ma non duplicabile, cioè “spendibile” una sola volta (a favore di Tizio) ma non due volte (a favore di Caio). Questa scarsità gli consente di acquisire valore economico e il mercato glielo riconosce per la capacità di trasferire valore economico in maniera sicura, veloce e con costi trascurabili. A oggi se vogliamo trasferire i pochi byte che rappresentano parte dei nostri risparmi, per esempio con un bonifico internazionale, possiamo tipicamente farlo solo dal lunedì al venerdì, tra le 9.00 e le 17.00, con operazioni che ci mettono due giorni (o più) ad essere finalizzate, solo a favore di chi è identificato e bancarizzato, pagando una commissione ad un intermediario. Questa situazione è paradossale: la domanda non è se, ma chi e quando regalerà all’umanità

una rete globale peer-to-peer di pagamenti istantanei e gratuiti. Il premio Nobel Milton Friedman aveva osservato in una intervista del 1999 che «ciò che manca, ma che sarà sviluppato a breve, è un contante elettronico affidabile, un metodo per trasferire fondi su internet da A a B, senza che A conosca B o B conosca A, allo stesso modo in cui io posso prendere una banconota da 20 dollari e darla [ad uno sconosciuto]». Bitcoin sembra aver realizzato questa profezia.

PERMISSIONLESS INNOVATION

Bitcoin è un esempio di permissionless innovation, l’innovazione che non chiede il permesso: non ha meccanismi di sicurezza centralizzati, non ha barriere all'ingresso, non ha controllo editoriale. Non si tratta di un programma anarchico

Il prmio Nobel per l'Economics Milton Friedman raffigurato in un francobollo

o velleitariamente rivoluzionario, la permissionless innovation ha già dimostrato di essere gentile ed efficace: la posta elettronica non è stata progettata da un consorzio di uffici postali, internet non è stata sviluppata da un consorzio di società di telecomunicazione. È alquanto implausibile che una nuova moneta e il suo network transazionale siano disegnati da un consorzio di banche e governi. L’economista Friedrich Hayek sosteneva che «non vedremo più una buona moneta se prima non la togliamo dalle mani dei governi; e siccome non vogliamo farlo con la violenza dovremo allora farlo con un astuto stratagemma, introducendo qualcosa che non possano fermare». Bitcoin è proprio questo, un inarrestabile stratagemma. Di per sé non è una buona moneta, non decolla il suo uso transazionale: non ha fatto un buon affare chi ha comprato due pizze nel 2010 pagando diecimila bitcoin, cioè un miliardo di dollari al cambio attuale. Ma Bitcoin è, o perlomeno vuole essere, l’equivalente digitale dell’oro; un oro che ha inoltre incorporato un network transazionale veloce, sicuro e incensurabile. Se consideriamo il ruolo dell’oro nella storia della civiltà, della moneta e della finanza, possiamo intuire che l’emergere del suo equivalente digitale potrà essere dirompente nell’attuale civiltà tecnologica e nel futuro della moneta e della finanza. Il futuro vedrà monete private con riserve denominate in Bitcoin: un Bitcoin standard che potrebbe rilanciare il gold standard in versione digitale. E queste monete potranno essere la realizzazione del sogno hayekiano di concorrenza tra monete non governative.

UNA CORSA INARRESTABILE

Non stupisce quindi la crescita incredibile del prezzo di Bitcoin che anzi, probabilmente, non è ancora arrivata a maturazione; né spaventa l’intrinseca volatilità della dinamica del prezzo, cioè del processo con cui il mercato tenta di metterne a fuoco il valore.

In questa corsa all’oro digitale disturba, infatti, ancora la presenza significativa di un circo di fuorilegge, furfanti, truffatori e ciarlatani che confondono la scena, creano confusione, rafforzano pregiudizi. Ma come San Francisco è stata edificata quando la polvere del Far West si è posata, così si può essere confidenti che mercato e Rule of Law beneficeranno alla fine degli anticorpi di libertà che Bitcoin sta facendo inesorabilmente crescere. ■

I tecno padroni del vapore digitale

Facebook conta circa 3 miliardi di utenti attivi al mese, YouTube 2,5 miliardi, TikTok 1,6 miliardi e X 500 milioni. L’intera galassia dei social network nel 2024 ha incassato circa 260 miliardi di dollari in sola pubblicità. Una potenza di fuoco al servizio del potere politico, soprattutto negli Stati Uniti. Che rischia di sgonfiarsi incalzata

dall’intelligenza artificiale

di Claudio Plazzotta

Ogni abitante del mondo passa, in media, quasi due ore e mezza al giorno suoi social network, col Brasile ai vertici di questa graduatoria (tre ore e 50 minuti). Se però analizziamo le abitudini della Gen Z, ovvero di quelli tra i 15 e i 30 anni che rappresentano le generazioni del prossimo futuro, si sale a quattro ore al giorno. E non c’è assolutamente partita: la televisione, ad esempio, è guardata dalla Gen Z

appena per 33 minuti medi al giorno. Non ci si deve stupire, perciò, che i grandi imprenditori dell’universo digitale, i tecno-miliardari di Google, Meta, Amazon, TikTok, Tesla e SpaceX, Nvidia, OpenAI o Apple fossero tutti in prima fila il giorno dell’insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Nè che Elon Musk, proprietario (oltre che di Tesla e di SpaceX) della piattaforma social X che ha dato una grande spinta

a Trump in campagna elettorale, sia proprio entrato ufficialmente nella stanza dei bottoni con un incarico governativo come capo del Dipartimento per le efficienze (Doge-Department of goverment efficiency). E neppure che una delle prime decisioni del presidente Trump sia stata quella di riaccendere il social TikTok (non poteva permettersi di tenerlo spento, è quello preferito dalla Gen Z, che lo usa per quasi 90 minuti medi al giorno) e di cercare di bypassare il problema della proprietà cinese (non più tollerata negli Stati Uniti per problemi di raccolta dati) creando un fondo sovrano americano che provveda ad acquistare il social sul mercato.

CRIPTO$TRUMP

Il potere corteggia i potenti, e viceversa. Succede da sempre. Prima erano i grandi editori di giornali, i petrolieri, gli immobiliaristi, i boss dei più importanti network televisivi, i fabbricanti di automobili. Adesso sono i padroni del vapore che passa in rete. E lo sa molto bene proprio Trump, che nel 2022 ha fondato un suo social network, Truth, dopo essere stato cacciato dalle allora progressiste (poi i tempi cambiano) Twitter e Meta, e che a fine marzo 2024 ha debuttato alla borsa di New York con il suo Trump Media & Technology Group (azienda che gestisce proprio il social Truth), per una capitalizzazione che attualmente è di 6,6 miliardi di dollari. Non solo.

Lo stesso Trump, in gennaio, due giorni dopo essersi insediato alla Casa Bianca, ha lanciato pure la sua criptovaluta $Trump e quella della moglie $Melania, con una ca-

pitalizzazione di oltre 20 miliardi di dollari considerando solo i pezzi di cripto circolanti (Trump e Melania ne hanno altri 54 miliardi di riserva e ancora da rilasciare). Peccato che a distanza di poco più di un mese gli 800 mila investitori abbiano accumulato perdite per due miliardi di dollari.

PANCETTA DI MAIALE

L’abbraccio presidenziale (ricambiato) alla cosiddetta Silicon Valley potrebbe però pure essere una stretta mortale. Come infatti scrive Will Jager su Bitcoin Magazine, adesso «sono in molti a gioire perché Donald Trump vuole fare degli Stati Uniti la capitale mondiale delle criptovalute. La maggior parte degli esponenti della sua amministrazione hanno Bitcoin, Ethereum e altre altcoin nei loro portafogli. La Fed, la Sec e il Congresso non sono più ostili, anzi. Ma dopo l’iniziale euforia, un dubbio comincia a serpeggiare: il Bitcoin non rischia di trasformarsi dal sogno originario dei cyberpunk di una valuta decentralizzata peer-to-peer in un ennesimo banale asset finanziario? Come asset del Tesoro, Bitcoin, infatti, non è diverso dall’oro, dalla pancetta di maiale o dai titoli garantiti da ipoteca: solo un’altra merce da confezionare, derivare e scambiare all’infinito. E non più come denaro della libertà che può essere detenuto privatamente e transato senza permesso, sfidando lo status quo come potente strumento per l’uguaglianza finanziaria».

ASPETTANDO L’AI

Quanto ai social network, il loro potere è ancora sconfinato: Facebook ha circa 3 miliardi di utenti

attivi al mese, YouTube 2,5 mld, Instagram e Whatsapp 2 mld ciascuno, TikTok 1,6 mld, WeChat 1,34 mld, Reddit 1,2 mld, Messenger di Facebook 1 mld, Telegram 900 milioni, Snapchat 800 mln, X 500 milioni. E, nel solo 2024, hanno incassato circa 260 miliardi di dollari in sola pubblicità. Tuttavia molti analisti hanno individuato nel 2025 l’anno di picco, dopo il quale sarà difficile espandere ancora il numero di iscritti.

E alla finestra c’è sempre tutto il mondo della intelligenza artificiale pronto a scalzare il vecchio per il nuovo: i motori di ricerca tradizionali, Google in primis, sono già piuttosto preoccupati della concorrenza che potrebbe arrivare da ChatGPT e soci. In un sistema, tuttavia, ancora molto fragile: basti vedere quanto accaduto al colosso

Nvidia, leader nei processori per l’intelligenza artificiale, che in un solo giorno, a fine gennaio 2025, ha perso in borsa quasi il 17%, ovvero l’equivalente di 590 miliardi di dollari di capitalizzazione, per il solo fatto che la start-up cinese DeepSeek potrebbe essere una concorrente letale, con stessi prodotti e servizi a prezzi più bassi.

L’Europa, arretrata tecnologicamente, in questa partita sta a guardare, nonostante le ingerenze di Musk nelle elezioni di molti stati (Germania su tutti). Tutto si gioca invece sull’asse Usa-Cina: Pechino è assai agitata per la vicenda TikTok e pure per i dazi imposti da Trump. E se il Dragone dovesse decidere per la battaglia commerciale e digitale senza confine, c’è da scommettere che la Casa Bianca perderebbe più di un amico. ■

L’UNITÀ DEL BELGIO NELLE MANI DI UN SEPARATISTA

A distanza di quasi otto mesi dalle elezioni del 9 giugno, il candidato premier e leader della destra fiamminga De Wever, ha raggiunto un accordo per formare un governo di coalizione con le forze riformiste della Vallonia, i socialisti fiamminghi e i cristiano-democratici. Ma la coabitazione tra federalisti e nazionalisti rischia di spaccarsi sulle politiche di austerità e sull’immigrazione

di Theodoros Koutroubas
Direttore generale Ceplis

Habemus Primo Ministro!

Dopo quasi otto mesi di negoziati tra i partiti che hanno vinto le elezioni federali dello scorso 9 giugno in Belgio, il governo di coalizione guidato dal fiammingo Bart De Wever ha giurato davanti a re Filippo. Leader e membro del gruppo fondatore della “Nuova alleanza fiamminga” (Nva) dal 2004, il premier nazionalista, carismatico storico dell’Università Cattolica di Leuven (Lovanio), ha avuto un ruolo determinante nel deviare a destra la bussola ideologica del suo partito per trasformarlo abbastanza rapidamente nella forza politica dominante del Nord del Belgio.

Il fascino personale di De Wever, la fervente retorica anti-progressista e il convinto sostegno al liberalismo economico, sono stati eguagliati nei lunghi e difficili colloqui per la formazione del governo con il suo omologo vallone, il 38enne Georges-Louis Bouchez, che presiede il “Movimento riformista” (Mr) francofono dal 2019. Conosciuto per aver guidato il suo partito verso la destra della scena politica, Bouchez condivide totalmente le opinioni di Bart De Wever riguardo alla necessità di severe restrizioni alle troppo generose politiche belghe in materia di disoccupazione e previdenza sociale, nonché alla sua visione su immigrazione e cittadinanza.

ARIZONA DREAM

Chiamata “Arizona” dai colori della bandiera dello stato americano dell’Arizona, la coalizione De Wever – Bouchez comprende anche i cristiano-democratici fiamminghi (Cd&v), e i loro lontani fratelli, gli

“Engagés” di lingua francese, che rappresentano un elettorato tradizionalmente centrista e che hanno ottenuto risultati elettorali relativamente buoni. Il piccolo partito socialista fiammingo Vooruit completa con riluttanza la squadra. La sua leadership, molto preoccupata per la storica sconfitta della sinistra in Vallonia, non era entusiasta della prospettiva di far parte di un governo dominato dal centro-destra, dove i socialisti francofoni (Ps) hanno regnato come padroni indiscussi fino a giugno 2024.

La presenza di Vooruit ha infatti alleggerito l’impatto di alcune delle misure economiche più dure che Nva e Mr speravano di adottare, ma non ha nemmeno cercato di allentare il progetto di limitare l’immigrazione e l’accesso alla cittadinanza belga. L’immigrazione è Filippo re del Belgio

stata infatti il tema dominante della campagna elettorale. Nonostante sia accusato da molti sia nelle Fiandre che in Vallonia di politiche troppo permissive nei confronti della numerosa e piuttosto religiosa comunità marocchino-turca del paese, il partito socialista, uno dei principali partner della coalizione di governo uscente, ha proposto nelle sue liste elettorali un numero molto elevato di candidati musulmani (a Bruxelles erano in realtà la maggioranza dei suoi candidati) e abbracciare apertamente le loro rivendicazioni di ispirazione islamica. Una mossa che è stata ovviamente cavalcata dal partito separatista fiammingo di estrema destra Vlaams Belang (Vb), ferrei sostenitori di una repubblica indipendente e priva di immigrazione nel nord del Paese, denunciando il Belgio come un’entità corrotta e al servizio degli stranieri che deve cessare di esistere affinché le Fiandre possano prosperare. Poiché molti sondaggi d’opinione prevedevano una vittoria di Vlaams Belang nelle Fiandre, il pericolo di vedere il Paese esplodere, soprattutto se i socialisti fossero risultati vincitori in Vallonia, era tangibile.

Alla fine, ciò non è avvenuto, con sollievo di quasi tutti. Anche re Filippo I, di solito rigorosamente neutrale, ha indirettamente espresso soddisfazione per i risultati delle elezioni. Anche la Nva di De Wever, ufficialmente a favore di una Repubblica fiamminga indipendente, ma in un lontano futuro, è considerata una forza politica non estremista, pragmatica e aperta ai negoziati con il sud. La sconfitta dei socialisti in Vallonia e il trionfo del Mr hanno quindi age-

volato la formazione di un governo stabile e hanno spazzato via il pericolo di un caos politico. Il partito fiammingo di De Wever e i valloni di Bouchez avrebbero infatti formato abbastanza rapidamente un governo con il Centro se non avessero avuto bisogno dei seggi dei socialisti di Vooruit per formare la maggioranza in Parlamento.

Come previsto, l’accordo di coalizione, approvato con un voto di fiducia dal nuovo governo, prevede sul piano politico misure drastiche per frenare l’immigrazione e il dritto d’asilo, per tagliare significativamente l’assistenza sociale ai nuovi immigrati e rendere più difficile l’acquisizione della nazionalità belga (le tasse per la richiesta di cittadinanza, ad esempio, sono state aumentate da 150 a 1.000 euro).

Il primo ministro belga Bart De Wever

MANOVRA LACRIME E SANGUE

Anche a livello finanziario, i partner dell’Arizona hanno concordato un pacchetto di misure piuttosto stringenti per contenere il crescente deficit di bilancio del Paese attraverso una manovra di 23 miliardi di euro entro la fine del mandato nel 2029. Si va dall’indennità di disoccupazione ridotta a due anni (ad eccezione degli over 55 che hanno già lavorato per un periodo di 30 anni), all’imposta sulle plusvalenze ricavate dai titoli azionari; dalle sanzioni pecuniarie per le pensioni anticipate fino al bonus finanziario per coloro che lavorano oltre i 67 anni.

Queste misure hanno ovviamente suscitato la bocciatura dei sindacati a maggioranza socialista che, insieme al popolare Partito comunista belga (Ptb), hanno organizzato uno sciopero generale per opporsi alla svolta a destra del nuovo governo e difendere i servizi pubblici. Tuttavia, per il momento il governo, che conta tra i suoi membri pochissime donne e nessun ministro proveniente dall’immigrazione musulmana, sembra godere di un notevole consenso politico in entrambe le parti del Paese. Bart De Wever impressiona tutti parlando positivamente del Belgio e trattando la monarchia con grande deferenza, mentre Bouchez, che ha rifiutato un incarico ministeriale per restare presidente del suo partito, usa le sue eccellenti doti retoriche e la presenza sui social media per raccogliere consensi.

Quanto durerà questa luna di miele? Il successo del governo, soprattutto sul fronte dell’immigrazione,

è cruciale per tenere lontano lo spettro di una futura vittoria dei separatisti di Vlaams Belang. E l’ironia della sorte è che il destino del Paese e della corona dipende dal buon lavoro di un repubblicano separatista! ■

Il Parlamento federale a Bruxelles

Lo sciopero generale contro le politiche di austerity

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NEWS FROM EUROPE

Le

news più rilevanti dalle istituzioni europee selezionate dal Desk europeo di ConfProfessioni

Missione a Bruxelles Confprofessioni incontra Letizia Moratti

Innovazione, previdenza, formazione e valorizzazione delle competenze femminili nel comparto libero professionale sono stati i temi al centro dell’incontro tra i vertici di Confprofessioni e l’eurodeputata, Letizia Moratti (Ppe/Fi), che si è svolto il 4 febbraio scorso durante la missione istituzionale della Confederazione a Bruxelles. «Con il presidente, Marco Natali, e il direttore, Luigi Carunchio – ha spiegato l’on. Moratti – abbiamo approfondito la situazione di una realtà che rappresenta più di venti associazioni professionali pari a circa il 13% del Pil italiano. Al centro del confronto – ha aggiunto la parlamentare europea – la necessità di valorizzare e tutelare le professioni in termini di sostegno all’innovazione e alla formazione, ma anche con riguardo agli aspetti previdenziali. Collaboreremo per dare voce al settore in

Italia e in Europa». A margine dell’incontro, il presidente Natali ha dichiarato: «È stato un momento di dialogo e confronto costruttivo sulla tutela delle professioni e sul valore che i liberi professionisti apportano alla società. È stata anche l’occasione per presentare gli ultimi dati elaborati dall’Osservatorio delle Libere Professioni, che confermano un trend di crescita significativo della presenza femminile nel mondo professionale. Dal 2009 al 2023, infatti, le donne professioniste sono aumentate di circa 157.500 unità (+49%), mentre gli uomini nello stesso periodo hanno registrato un incremento di 53.500 unità (+6,5%). Numeri che testimoniano – ha concluso Natali – un cambiamento importante e che impongono una riflessione sulle politiche di sostegno e valorizzazione delle competenze femminili nel settore».

Al via il bando

Lavoro a distanza, Eurofound 2024: calano le opportunità

Msca Cofund 2025 Aperte le candidature per il Young European Entrepreneur Award

Con un budget di 101,8 milioni di euro destinato al cofinanziamento di programmi di formazione e ricerca per dottorandi e post-dottorandi, si apre ufficialmente il bando Marie Skłodowska-Curie Actions (Msca) Cofund 2025. La Commissione europea punta a supportare progetti innovativi che favoriscano lo sviluppo della carriera dei ricercatori, promuovendo opportunità di mobilità e sviluppo interdisciplinare e intersettoriale. Le organizzazioni pubbliche e private che desiderano partecipare al programma devono integrare il finanziamento europeo con risorse proprie e sono incoraggiate a sfruttare sinergie con altri fondi, come quelli della politica di coesione e il Recovery and Resilience Facility (Rrf). Il Msca include due principali tipologie di progetti: programmi di dottorato e programmi post-dottorato. I primi sono pensati per fornire una formazione avanzata, sviluppando competenze specifiche e trasversali e portando al conseguimento di un titolo di dottorato. Quelli post-dottorato offrono borse individuali per ricercatori, focalizzandosi sulla formazione avanzata, la crescita professionale e la mobilità internazionale. Sebbene i progetti possano riguardare qualsiasi disciplina di ricerca, possono anche concentrarsi su tematiche specifiche.

Un sondaggio condotto da Eurofound nel 2024 rivela che, le opportunità di lavoro remoto stanno diminuendo. Dallo scorso anno, la percentuale di chi lavora esclusivamente da casa che è scesa, mentre è aumentata quella di chi lavora solo in ufficio, passando dal 36% del 2023 al 41% del 2024. L’indagine “Living and working in the EU” ha anche messo in luce preoccupazioni legate alla pandemia. Tra queste, l’aumento del costo della vita, i problemi di salute mentale, le difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari e l’equilibrio tra lavoro e vita privata. Tra il 2022 e il 2024, la percentuale di donne che lavora esclusivamente da casa è passata dal 14% al 10%, mentre quella degli uomini è scesa dal 10% al 7%. Malgrado ciò, il modello di lavoro ibrido resta molto diffuso. Le differenze di genere continuano a emergere anche nelle opportunità di lavoro remoto. Gli uomini, infatti, hanno maggiori probabilità di poter lavorare in modalità ibrida rispetto alle donne. Inoltre, sebbene sia uomini che donne desiderino lavorare da casa almeno alcune volte alla settimana, la preferenza per il lavoro remoto è aumentata dal 13% nel 2020 al 24% nel 2024.

La Commissione europea ha aperto le candidature per il premio per i giovani imprenditori europei, un’iniziativa che mira a dare visibilità alle idee innovative dei giovani imprenditori provenienti da tutta Europa. Il premio per i giovani innovatori consiste nella possibilità di accedere al tutoraggio e a finanziamenti che li aiuteranno a far crescere le loro iniziative. Il concorso è destinato agli imprenditori under 40 anni e premia i progetti che rispecchiano le priorità dell’Unione europea, come la sostenibilità, la trasformazione digitale e l’impatto sociale positivo. Le iscrizioni sono aperte fino al 14 marzo 2025. I finalisti del premio potranno presentare i loro progetti a leader del settore, responsabili politici e potenziali investitori di tutta Europa. Inoltre, ciascuno dei 10 finalisti riceverà consulenze di esperti del settore, accesso a reti professionali e strumenti pratici per garantire il successo a lungo termine del loro progetto, oltre a un finanziamento fino a 20 mila euro. Le presentazioni finali si terranno il 5 giugno 2025 durante la Giornata Europea dell’Industria.

MAGGIORI
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COMUNICATO STAMPA EUROFOUND

Analisi, tendenze e avvenimenti del mondo professionale, raccontati dai protagonisti delle professioni

PROFESSIONI

LA NUOVA GEOMETRIA DEL LAVORO

L’IA sta rivoluzionando i processi decisionali e operativi degli studi professionali. Un trend irreversibile che va governato con nuove competenze e un nuovo mindset. Perché l’IA non livella il valore professionale ma lo amplifica dove c’è competenza e lo svuota dove manca

L’intelligenza artificiale (IA) non è più una tecnologia di frontiera ma un cambiamento in atto che si sta progressivamente integrando nei processi decisionali e operativi degli studi professionali. Non si tratta solo di strumenti più avanzati, ma di una trasformazione che sta ridefinendo il lavoro e le competenze.

Se il valore del professionista non è in discussione, il modo in cui esso si esprime è destinato a evolvere: la vera domanda non è più se l’IA avrà un impatto sulle professioni, ma in che modo ogni professionista potrà comprenderla, governarla e trasformarla in un’opportunità di crescita.

NUOVA LOGICA DEL LAVORO

La trasformazione è chiara: l’IA non sostituisce il professionista ma gli consente di dedicarsi ad attività a più alto valore aggiunto. Il lavoro di routine si automatizza, ma il pensiero critico, il giudizio esperto e la creatività restano imprescindibili; devono, anzi, essere potenziati per favorire questa transizione.

Veniamo da una consolidata suddivisione di compiti tra noi e gli strumenti digitali che abbiamo usato finora, ma questi confini stanno cambiando in modo radicale: stiamo andando verso un’interazione non deterministica con le tecnologie che si utilizzano per automatizzare il lavoro. Bisogna passare dall’uso di procedure e programmi che fanno le cose sempre nello stesso modo ad assistenti virtuali che, pur se dotati di grandissime capacità di elaborazione e di elementi di creatività,

possono sbagliare: un cambio di paradigma che richiederà un riposizionamento del professionista e una riconfigurazione delle sue attività e dei suoi processi di lavoro.

LARGO ALLE PARTNERSHIP

L’intelligenza artificiale non è un semplice strumento di supporto, ma un sistema adattivo complesso che apprende e migliora nel tempo, trasformandosi in un vero partner strategico per il professionista.

Non basta più “usare l’IA”, bisogna imparare a collaborare facendo le giuste domande, validandone i risultati, intervenendo con l’esperienza per correggerne le distorsioni e guidare il processo decisionale.

Ma questo nuovo scenario deve essere abitato, come tutti gli scenari complessi, per acquisirne le nuove regole, i nuovi comportamenti che dobbiamo sviluppare e, in definitiva, il nuovo mindset che dovrà caratterizzare la nostra azione.

EVITARE LA MEDIOCRITÀ

Agli inizi della rivoluzione innescata dall’IA generativa, si sentiva spesso il claim: «l’IA non ti ruberà il lavoro, lo farà chi la saprà usare»; anche se la verità di fondo di questa frase si conserva, se tutti hanno accesso agli stessi strumenti, dove si gioca, ora, la partita?

Nell’uso strategico di questa tecnologia. L’IA può democratizzare l’accesso ai dati e alla capacità di analisi, ma non livella il valore professionale: lo amplifica dove c’è competenza e lo svuota dove manca. Un avvocato che si affida solo alle ricerche legali automa-

tizzate senza aggiungere analisi e creatività al suo lavoro, perderà rilevanza; un medico che non sa interpretare criticamente un referto elaborato dall’IA rischia di diventare un semplice validatore di output. La mediocrità è il vero pericolo dell’IA: chi si appiattisce sulle risposte fornite dalla macchina sarà facilmente rimpiazzato o marginalizzato.

È fondamentale riuscire a interagire in modo competente per ottenere risultati che superino la media, che contemplino soluzioni innovative, che siano a valore aggiunto: in questo la formazione è l’arma finale.Per restare al vertice della professione, serve un uso consapevole e sapiente dell’IA, che la integri come un amplificatore delle proprie competenze, non come un sostituto del ragionamento critico.

IL VALORE UMANO

L’intelligenza artificiale non ha esperienza, non ha intuizione, non ha visione. Può processare enormi quantità di dati, riconoscere schemi, aldilà di ogni possibilità umana ma non ha la capacità di comprensione profonda che ci contraddistingue. E qui si gioca la partita: dobbiamo evitare il rischio di abdicare all’uso acritico e mediocre che questo strumento può favorire e rimanere al centro dell’azione di produzione e governo delle informazioni. La tecnologia è un moltiplicatore di capacità, lo è sempre stato, dal fuoco fino al digitale ma la capacità umana resta quello che fa la differenza, oggi ancora di più: l’Ai potenzia il lavoro ma il valore lo crea sempre il professionista che la sa guidare.

IL PENSIERO CRITICO AL CENTRO

Non basta saper usare gli strumenti: bisogna comprenderli per governarli. Gli algoritmi di Ai possono sbagliare, possono ereditare bias dai dati con cui sono stati addestrati, possono generare output erronei o fuorvianti ma estremamente verosimili. La vera competenza del futuro è saper validare le informazioni, (ri)conoscendo i limiti della tecnologia e intervenendo con il proprio giudizio professionale.

Per questo, il pensiero critico diventa la skill centrale nella collaborazione che dobbiamo instaurare con l’IA: dobbiamo essere in grado di verificare i risultati forniti e non accettare acriticamente, delegando anche la capacità di giudizio alla macchina. Diventa quindi

fondamentale essere in grado di intervenire quando l’algoritmo genera distorsioni, quando si manifestano le, cosiddette, allucinazioni: essere in grado di riconoscerle per correggerle e superarle.

Da ultimo, ma non per questo meno centrale, dobbiamo imparare a guidare l’uso della tecnologia in modo etico e responsabile affinché resti uno strumento al servizio della qualità e della correttezza e non un rischio per la professionalità.

L’IA fornisce possibilità immense ma chi non sviluppa capacità di interpretazione e analisi diventa un esecutore passivo rischiando il depotenziamento, la sostituzione o, peggio, di essere spazzatoi via dal mercato.

RESPONSABILITÀ

ED ETICA

L’introduzione dell’IA negli studi professionali non è solo un tema tecnologico ma anche una questione di fiducia e responsabilità. Chi è il responsabile ultimo di un errore prodotto da un algoritmo? Come si può garantire la trasparenza nelle decisioni basate sull’IA? Come è possibile evitare che l’uso crei discriminazioni o distorsioni nel mercato professionale? Le professioni regolamentate – dall’avvocatura alla medicina, dalla consulenza fiscale all’architettura – devono affrontare con urgenza questi interrogativi. Integrare l’IA in modo etico significa garantire che resti uno strumento al servizio della qualità e non un fattore di rischio per il cliente.

La sfida dei prossimi anni sarà bilanciare innovazione e responsabilità, efficienza e tutela della professionalità: solo chi saprà muoversi con consapevolezza potrà trasformare l’IA da rischio a opportunità.

L’IA È QUI PER RESTARE

Il vero valore, oggi come sempre, resta nel lavoro e nel contributo del professionista e, se la tecnologia sta ridisegnando la mappa delle competenze e dell’attribuzione di compiti, la differenza la faranno sempre coloro che sapranno guidare il cambiamento, anziché subirlo.

E, dopo tutto, il futuro delle professioni non è un destino già scritto: è una partita aperta che dipenderà da come sceglieremo di giocarla e per la quale abbiamo bisogno di nuove regole, nuove competenze e un nuovo mindset. ■

AI, una partnership da costruire

di Raffaele Loprete

Delegato Giunta Nazionale Confprofessioni alle politiche Giovanili

“L’intelligenza artificiale e le professioni: sfide e opportunità”. Nel 2024, il mercato italiano dell'AI ha registrato una crescita del 58%. La tecnologia sta influenzando ogni settore: dalla cultura, alla finanza, con il crollo storico del 16,86% in borsa di Nvidia. La clonazione vocale, che ha ingannato imprenditori in un caso recente, e l’uso improprio dell’Ai in ambito universitario sono solo alcuni dei segnali di una tecnologia in rapido sviluppo, che solleva questioni etiche e pratiche. Ma come reagiscono le professioni? Il 19 febbraio, Roma ha ospitato il primo forum della Consulta Giovani di Confprofessioni, intitolato “Nuovi Scenari Professionali”, focalizzandosi sull’impatto dell’Ai sulle professioni autonome. L’evento

ha sottolineato il ruolo centrale di Confprofessioni nel promuovere il dibattito politico sulle implicazioni dell’Ai per il settore professionale. L’intelligenza artificiale sta trasformando il mondo del lavoro, offrendo opportunità per aumentare efficienza e produttività.

Per i professionisti autonomi, fornisce strumenti avanzati per semplificare compiti complessi, come l’analisi dei dati, la gestione delle relazioni con i clienti e la pianificazione. Automatizzare attività ripetitive consente di dedicare più tempo a compiti strategici e creativi, creando valore aggiunto per il cliente. Tuttavia, l’introduzione dell’Ai solleva anche timori, tra cui la paura che l’automazione possa sostituire alcuni lavori. Tuttavia, sebbene l’Ai possa

supportare determinate funzioni, non sostituirà mai le competenze insostituibili dell’uomo, come le capacità relazionali, la creatività e il pensiero critico. Questo è stato un punto centrale del forum, dove si è sottolineata l’importanza della formazione continua per consentire ai professionisti di adattarsi alle nuove tecnologie e sfruttarne appieno il potenziale.

COMPETENZE EMERGENTI

Durante il Forum, si è discusso anche dei nuovi ruoli professionali che l’Ai sta creando. Figure come data analyst, consulenti di Ai ed esperti di cybersecurity sono in forte espansione. Questi professionisti devono possedere competenze specifiche e una solida conoscenza delle tecnologie digitali. Confprofessioni ha riba-

L’intervento del viceministro delle Imprese e del Made in Italy, Valentino Valentini, al I Forum della Consulta Giovani Confprofessioni “Nuovi scenari professionali”

dito la necessità di investire nella formazione e nell’aggiornamento professionale per preparare i giovani a queste nuove opportunità, assicurando una preparazione adeguata alle sfide future.

PERSONALIZZAZIONE E FIDUCIA

L’Ai consente una personalizzazione senza precedenti dei servizi offerti dai professionisti autonomi. Grazie all’analisi dei dati, è possibile comprendere meglio le esigenze dei clienti e offrire soluzioni su misura. Questo approccio non solo migliora la soddisfazione dei clienti, ma favorisce anche la fidelizzazione, creando nuove opportunità di business e consolidando la posizione dei professionisti sul mercato. Un dialogo costante per il futuro digitale. È emersa anche la necessità di un dialogo continuo tra

professionisti, istituzioni e mondo accademico. Solo attraverso una collaborazione sinergica sarà possibile affrontare le sfide poste dall'IA e cogliere le opportunità che essa offre. Confprofessioni si è impegnata a promuovere iniziative che favoriscano tale scambio, creando un ambiente favorevole all'innovazione e alla crescita professionale.

L'intelligenza artificiale rappresenta, dunque, sia una sfida che un'opportunità per le professioni autonome. Il Forum "Nuovi Scenari Professionali" ha offerto spunti fondamentali su come affrontare questa trasformazione. Con la giusta preparazione e un approccio proattivo, i professionisti non solo potranno adattarsi ai cambiamenti, ma anche prosperare in un futuro sempre più digitale e connesso. ■

L’intervento del viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, al I Forum della Consulta Giovani Confprofessioni “Nuovi scenari professionali”

DEONTOLOGIA, FATTORE CRITICO DI SUCCESSO

Nel panorama economico, geopolitico e tecnologico attuale, in cui regnano incertezza e rapidi mutamenti, la deontologia professionale è un elemento determinante per garantire il rispetto delle normative e per sostenere un approccio etico e sostenibile al business. Ma è ancora troppo sottovalutata

Le imprese si trovano ad affrontare con maggiore frequenza eventi di discontinuità strategica, come operazioni di M&A, passaggi generazionali, situazioni di crisi e processi di risanamento. In queste circostanze, spesso nuove per l’imprenditore, diventa fondamentale potersi affidare a un professionista la cui deontologia ispiri fiducia e trasparenza. In un contesto caratterizzato da rapidi mutamenti, è frequente imbattersi in scenari imprevedibili e in territori ancora inesplorati.

Queste circostanze possono andare ben oltre la semplice asimmetria informativa, la stessa che, almeno nelle intenzioni, ha motivato l’adozione di codici deontologici a tutela del cliente. Oggi, sia il professionista sia l’imprenditore si trovano spesso a operare con risorse informative limitate, rendendo cruciale l’adozione di un approccio collaborativo e l’apprendimento continuo “sul campo”.

È qui che una consulenza basata su principi etici solidi diventa la bussola necessaria per navigare con successo in mercati sempre più complessi.

NESSUN LIMITE

La deontologia è stata talvolta percepita come un insieme di vincoli che limitano la competizione tra professionisti. Eppure, se interpretata in modo proattivo e moderno, può costituire un vantaggio distintivo e di grande valore. In questa prospettiva, la deontologia crea un ecosistema professionale capace di promuovere innovazione e crescita. I valori fondanti della professione – competenza,

trasparenza, correttezza e fiducia – meritano di essere rivalutati e rafforzati per rispondere alle sfide del mercato odierno. Anziché essere vissuta come un mero codice di regole, la deontologia diviene uno strumento strategico per instaurare rapporti di lungo periodo con clienti, colleghi e istituzioni.

Codice etico, Esg e società benefit Tutto questo le imprese lo hanno ben compreso. Negli ultimi anni hanno manifestato una richiesta sempre più pressante di etica e correttezza. L’adozione dei principi Esg (Environmental, Social & Governance) è progressivamente cresciuta tra le aziende, non solo per motivi di sostenibilità, ma anche come leva competitiva.

Lo stesso si può dire per la diffusione di società benefit, codici eti-

ci... Nel mondo professionale, tuttavia, la consapevolezza di essere stati precursori di tali valori non sempre è stata adeguatamente valorizzata, generando una certa distanza tra la sfera consulenziale e quella imprenditoriale.

Le riflessioni di Aswath Damodaran nel campo Esg sono illuminanti: la sostenibilità deve fungere da strumento per generare valore e mitigare i rischi di lungo termine, anziché essere un semplice atto di filantropia. Se sostituiamo il concetto di “sostenibilità” con “deontologia”, otteniamo una visione che attribuisce all’etica professionale un ruolo di leva competitiva e di differenziazione.

I GIOVANI PROFESSIONISTI

Per molti giovani, l’accesso alla professione rappresenta una fase sfidante, spesso caratterizzata da dinamiche che si discostano dai principi deontologici tanto proclamati. Mentre da un lato si sottolinea l’importanza di etica, meritocrazia e rispetto reciproco, dall’altro la pratica quotidiana mette in luce contraddizioni e ostacoli.

Ricordo ancora la mia esperienza, risalente ai primi anni 2000, quando per un neolaureato era estremamente complesso raccogliere informazioni sugli studi che cercavano praticanti (i siti internet erano sostanzialmente vietati ai professionisti), poiché ci si poteva affidare quasi esclusivamente alla banca dati dell’Ordine.

Quando chiesi di poter consultare i CV dei possibili dominus, mi sentii rispondere che la procedura fun-

zionava all’opposto: erano i commercialisti a selezionare i praticanti, non viceversa. Un sistema che certo non incentivava la crescita professionale dei giovani.

Quando chiesi, in assenza di linee guida proprie del mio ordine, alla commissione deontologica se fosse opportuno adottare come riferimento per la creazione del nostro sito le linee guida dell’Ordine degli Avvocati, ricevetti un’accusa di mancanza di rispetto verso l’Ordine dei Dottori Commercialisti. Mi fu ribadito il principio secondo cui “se non è consentito, è proibito!”, in aperto contrasto con una tradizione giuridica e liberale che dovrebbe spingere invece a un confronto costruttivo. Alcune rigidità burocratiche lasciavano allibiti: durante la pratica, spesso

Per i più giovani il tirocinio non dovrebbe configurarsi come un sentiero impervio e poco gratificante, ma come un’occasione di crescita effettiva capace di favorire l’apprendimento e la costruzione di un forte senso di appartenenza alla comunità professionale

mi trovavo in Tribunale con il mio dominus e l’Ordine, in quegli anni, si limitava a telefonare solo ai numeri fissi di studio per i controlli, ignorando completamente l’uso dei cellulari.

A causa di questa norma, la mia pratica venne sospesa per un paio di mesi e reintegrata solo dopo che, all’ennesima chiamata sull’utenza mobile (riuscì a strappare questa concessione), un magistrato presente in udienza confermò la mia effettiva attività. Questi episodi, frutto di un approccio corporativo, riflettevano un forte disallineamento tra principi dichiarati e azioni concrete.

UN NUOVO APPROCCIO

Tali esperienze appartengano ormai a un passato remoto, ma rimangono una testimonianza di

quanto sia importante ripensare l’intero percorso di formazione dei giovani. La coerenza tra i valori enunciati e la pratica quotidiana è essenziale per creare un ambiente trasparente, meritocratico e capace di attrarre nuovi talenti.

Per i più giovani, il tirocinio non dovrebbe configurarsi come un sentiero impervio e poco gratificante, bensì come un’occasione di crescita effettiva capace di favorire l’apprendimento sul campo e la costruzione di un forte senso di appartenenza alla comunità professionale. L’idea che la professione si rafforzi nella cooperazione e nella crescita condivisa dev’essere il principio ispiratore delle nostre azioni.

CRITICA COSTRUTTIVA

Gli ordini professionali hanno spesso inteso la deontologia più come uno strumento di controllo e limitazione della concorrenza che non come un motore di eccellenza, innovazione e tutela del cliente e dei giovani professionisti. In un mercato che evolve rapidamente, gli ordini rischiano di perdere rilevanza se non riconoscono la necessità di un cambio di paradigma: occorre vedere la deontologia come una leva strategica per far crescere il valore della professione, migliorarne la reputazione e creare un ambiente più giusto e meritocratico.

QUALCOSA NON FUNZIONA

Ecco alcune domande che ritengo dovremmo tornare a farci:

▪ I giovani laureati desiderano figure di mentor, che le multinazionali (e non solo) si af-

frettano a offrire. Perché non cercano più un “dominus”?

▪ La formazione è in crisi e si sperimentano modelli incentrati sul “fare insieme”. Perché il praticantato, che potrebbe essere l’emblema dell’apprendimento sul campo, è spesso percepito come una penalizzazione anziché come un’opportunità?

▪ Nell’attuale mondo degli affari, l’etica e la fiducia stanno tornando in primo piano. Perché molti professionisti continuano a vedere la deontologia come un freno?

▪ Tutti parlano di networking. Perché la deontologia non viene sfruttata come un

valore aggiunto anche in quest’ambito?

▪ Nell’economia della conoscenza, il dipendente somiglia sempre più a un professionista (smart working, approccio imprenditoriale, formazione continua, ecc.). Perché allora cresce il desiderio, tra molti professionisti, di diventare dipendenti (ad esempio presso l’Agenzia delle Entrate)?

Non puntando sui valori fondanti della professione, si finisce per perdere quel vantaggio competitivo che un tempo apparteneva in modo naturale ai professionisti stessi, lasciando spazio ai competitor e ad altri nuovi attori del mercato.

LA VERA SFIDA

In un panorama in costante evoluzione, la deontologia non va considerata come un limite, bensì come una preziosa opportunità per distinguersi e creare valore aggiunto.

Un approccio etico e sostenibile alla professione rafforza non solo la fiducia dei clienti, ma contribuisce a migliorare l’intero sistema economico e sociale.

La vera sfida, oggi e per il futuro, consiste nell’integrare i principi deontologici nella pratica quotidiana, dimostrando che etica e competitività non solo possono coesistere, ma costituiscono insieme il presupposto fondamentale per costruire mercati più solidi e innovativi. ■

DOVE STIAMO ANDANDO?

L’atto di indirizzo per la politica fiscale 2025/2027 indica la rotta del Governo per stabilizzare la pressione fiscale, per misurare il fabbisogno delle finanze pubbliche e per contrastare l’evasione. Un documento che punta alla certezza del diritto, ma che genera una preoccupante estensione dei poteri del binomio Mef/Agenzia

Nel corposo “Atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale per gli anni 2025-2027”, presentato recentemente dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sono fissate le intenzioni del Governo in materia fiscale e, analizzandolo, si può meglio comprendere in quale direzione e con quale intensità si vuole agire in termini di peso del prelievo fiscale, in termini di fabbisogno delle finanze pubbliche e, al contempo, di quale contrasto all’evasione e di quale rapporto Stato-contribuente si vorrebbe creare.

“Continuità” del trend di riduzione del tax gap (dimezzato dal 2004 in rapporto al Pil, ridotto di un terzo rispetto al gettito potenziale stimabile, ma pur sempre quasi 82 miliardi); “stabilizzazione” della pressione fiscale (42,3% sul Pil), che non scenderà a breve; “pragmatismo” nell’affrontare gli impegni di bilancio, anche in ottica europea (sfruttando la finestra temporale di sette anni invece che di quattro, data dal nuovo Patto di Stabilità e Crescita concordato in sede Ue); “volontà” di completamento della (timida) riforma fiscale (accelerandone i tempi di attuazione delle parti mancanti).

E ancora, “digitalizzazione” anche con ricorso all’intelligenza artificiale e a data analysis più evolute (oltre che con ricorso a massicce nuove assunzioni e, ove necessario, al riordino della “geografia” territoriale della giustizia tributaria, seduta su 260 mila giudizi pendenti per quasi 24 miliardi di valore in discussione); “disintermediazione” progressiva nel

rapporto fisco-contribuenti (promuovendo il ricorso a istituti preventivi/deflattivi, di compliance e di servizi giuridici consultivi). Questi, in sintesi, sono gli “highlights” più rilevanti del documento.

FISCO BIFRONTE

Gli obiettivi di un approccio più collaborativo fra amministrazione finanziaria e contribuenti, attraverso maggiori, auspicate e spesso disattese, semplificazioni e strumenti di compliance volontaria (dall’ampliamento dei contenuti del “cassetto fiscale” e delle “lettere” informative al ricorso agli interpelli, dal concordato biennale

- per piccole imprese, professionisti e autonomi - al tax control framework), si incrociano con obiettivi opposti e più “temibili”. Si pensi al “passaggio” da verifiche ex-post a verifiche ex-ante, anche con analisi di profili di rischiosità grazie al ricorso a strumenti di intelligenza artificiale, e l’accelerazione delle procedure di riscossione coattiva, quest’ultima mitigata con l’incentivo a forme spontanee di regolarizzazione a costi ridotti.

In termini di azioni specifiche di contrasto all’evasione, poi, vengono confermati obiettivi di intervento contro le frodi Iva, le esterovestizioni della residenza fiscale, la presenza di stabili organizzazioni estere non dichiarate e l’occultamento dei patrimoni all’estero, oltre che maggiori limitazioni alle compensazioni

orizzontali, riduzione (progressiva) dei regimi premiali e delle tax expenditures (agevolazioni e deduzioni/detrazioni varie) e maggiore analisi preventiva sui rimborsi richiesti dai contribuenti per fattispecie ad alta rischiosità di irregolarità normativa.

SQUILIBRIO FISCO / CONTRIBUENTE

Insomma, un rigoroso programma di (doveroso) consolidamento dell’esistente, con pochi spiragli di margini di riduzioni del peso tributario complessivo. Fatto salvo quanto già in nuce con la riforma fiscale in corso di attuazione: Ires premiale a date condizioni, agevolazioni a nuovi investimenti strumentali, revisione della disciplina sugli interessi passivi, semplificazione della base imponibile del

reddito d’impresa e delle soglie delle società di comodo (nulla ancora, si dice, invece, sulla generica previsione – già inserita nella legge delega e non ancora attuata – dell’unificazione fra redditi di capitale e redditi diversi). Occorre però affermare come talune previsioni, al di là del morbido enunciato rubricato sotto la voce “fisco amico”, mostrino un progressivo squilibrio tra fisco e contribuente. In particolare, il (futuro) ricorso a strumenti di intelligenza artificiale predittiva, di cui non si conoscono ad oggi le “chiavi” di funzionamento e il “training set” che verrà utilizzato (dalla previsione dell’estensione surrettizia del valore delle circolari ministeriali a quella della non applicabilità di sanzioni qualora ci si uniformi alle prescrizioni dell’Agenzia. Secondo il testo del documento, strumenti tesi a generare “certezza del diritto”, che però generano una preoccupante estensione dei poteri del binomio Mef/Agenzia, che già oggi di fatto legifera, interpreta, accerta, escute, transa e coordina la funzione del Garante del contribuente.

Un potenziale conflitto di attribuzioni (e di interessi) a scapito del contribuente, che potrebbe essere controbilanciato solo dall’introduzione di una vera e propria Authority fiscale di garanzia, indipendente dal Mef, che, inglobando il Garante, abbia poteri interdittivi (nelle fasi endoprocedimentali), sospensivi (della validità di circolari/interpelli, ove non rispondenti allo Statuto del contribuente) e consultivi (“bollinatura” di sussistenza, nella nuova normazione fiscale, del rispetto dei principi dello Statuto stesso). ■

Giancarlo Giorgetti, ministro dell'Economia e delle Finanze

PRONTO FISCO

Le novità tributarie e il loro impatto sulle professioni nel commento di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi

Reddito: meglio autonomo o d’impresa?

La Riforma fiscale ha dirottato la tassazione dei professionisti verso la tassazione del reddito d’impresa. Pregi e difetti, in attesa dei nuovi modelli che il primo banco di prova concreto per l’applicazione delle nuove regole

La riforma del reddito di lavoro autonomo, prevista dalla legge delega di Riforma fiscale (Legge n. 111/2023), è stata attuata con gli articoli 5 e 6 del Decreto legislativo 13 dicembre 2024, n. 192, in Gazzetta Ufficiale n. 294 del 16 dicembre 2024. La riforma, con decorrenza 1° gennaio 2024 ha dirottato la tassazione dei professionisti verso quella del reddito d’impresa. Infatti, numerose disposizioni contenute negli 8 articoli (da 54 a 54-octies) in cui è stato spacchettato l’articolo 54 del vecchio Tuir attingono a storiche e ben collaudate regole di determinazione del reddito di imprese individuali e società commerciali. In alcuni casi, addirittura, le novità apportate dalla Riforma vanno anche oltre fornendo (ammirevolmente) soluzioni su talune fattispecie comuni ad entrambe i comparti impositivi prive di indicazioni nella determinazione del reddito delle imprese e delle società.

Per effetto della Riforma, dunque, l’individuazione del reddito dei lavoratori autonomi, anche nell’esercizio dell’attività in forma associata (società semplici e associazioni tra artisti o professionisti) ne esce profondamente modificata. In questo contributo mettiamo a raffronto taluni componenti di reddito che sono tassate nello stesso modo (o quasi) nel reddito di lavoro autonomo e nel reddito d’impresa. Certo, la differenza sostanziale tra i due comparti resta la tassa-

zione per cassa del lavoratore autonomo contro quella per competenza dell’impresa, ma tali differenze si vanno via via smussando con uno sbilanciamento del lavoratore autonomo verso l’impresa.

I CRITERI

STORICI

Si pensi alla conferma di alcuni criteri storici, quali gli ammortamenti dei beni strumentali materiali, la deducibilità dell’accantonamento del TFR dipendenti e IFR collaboratori, la partecipazione al reddito per competenza dei canoni di locazione finanziaria, e alle novità riferite all’ammortamento dei costi pluriennali e dei beni immateriali strumentali, all’ammortamento dei costi di acquisizione della clientela fino a ieri interamente deducibili all’atto del pagamento e dal 31 dicembre 2024 soggetti ad ammortamento, la rivisitazione dei criteri di deducibilità delle spese di ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli immobili utilizzati per l’esercizio dell’attività. Resta prerogativa solo delle imprese, al ricorrere dei presupposti, di rateizzare la plusvalenza fino ad un massimo di cinque periodi d’imposta.

Viene codificata anche ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo la regola già prevista ai fini del reddito d’impresa dall’articolo 164, comma 2, del Tuir secondo cui le plusvalenze e le minusvalenze rilevano nella stessa proporzione esistente tra l’ammontare

dell’ammortamento fiscalmente dedotto e quello complessivamente effettuato che si rende applicabile, ad esempio, per i beni mobili, per i mezzi di trasporto a motore a deducibilità limitata di cui all’articolo 164, comma 1, lettera b), del Tuir e per le apparecchiature telefoniche.

ARDITA NEUTRALITÀ

Ma il passo più ardito della Riforma è l’introduzione della neutralità delle operazioni di riorganizzazione professionale: attingendo a piene mani alla disciplina dei conferimenti d’azienda, fusioni e scissioni societarie il legislatore nel decreto legislativo di attuazione della delega ha introdotto - forzando e per certi versi travolgendo i principi cardine della rilevanza fiscale ogni volta che un cespite cambia comparto impositivo - la neutralità nel passaggio da un soggetto che dichiara reddito di lavoro ad uno che dichiara reddito d’impresa e viceversa. L’ingrediente che consente questa alchimia è il professionista o, meglio, lo svolgimento dell’attività professionale ordinistica che già dal 2011 è possibile svolgere in forma societaria sotto forma di STP.

IN ATTESA DI CHIARIMENTI

Ne esce un quadro composito non sempre del tutto coerente e, comunque, restano aspetti che richiedono un chiarimento ufficiale. Queste novità riguardano già il periodo d’imposta 2024, dunque, con impatto nella dichiarazione dei redditi i cui Modelli sono in corso di predisposizione. Presumibilmente le istruzioni al Modello che dovrà recepire le novità della Riforma costituiscono il primo banco di prova concreto per l’applicazione delle nuove regole. ■

STUDI PROFESSIONALI NEL MIRINO DEI PRIVATE

EQUITY

La finanza strutturata guarda con crescente interesse al mercato delle libere professioni. L’obiettivo dei fondi di investimento è quello di creare, acquisizione dopo acquisizione, operatori su scala nazionale. Così l’ingresso dei capitali non stravolgerà la natura della professione, ma anzi può rappresentare un’opportunità per rafforzarla

di Corrado Mandirola

e Giangiacomo Buzzoni founder e ad MpO partner MpO

Se fino a pochi anni fa le aggregazioni nel mondo delle professioni erano autofinanziate e guidate principalmente dai professionisti stessi, con obiettivi di passaggio generazionale, oggi il settore sta sempre più attirando l’attenzione di investitori finanziari, sebbene con alcune differenze settoriali. Questo fenomeno, già consolidato in altri ambiti come quello odontoiatrico con le catene dentali, sta ora prendendo piede anche tra i commercialisti, trainato da tre fattori principali: la necessità di capitali per finanziare la crescita, l’inevitabile consolidamento del mercato e il ruolo sempre più rilevante della tecnologia e della digitalizzazione.

L’attenzione degli investitori per gli studi professionali non è dunque uniforme:

▪ Dentisti: il settore odontoiatrico è stato il primo ad essere interessato dal mondo della finanza, con l’affermazione delle catene dentali già circa 15 anni fa. Da allora, la standardizzazione dei processi, l’utilizzo di marchi riconoscibili e il ruolo crescente dei manager hanno trasformato il settore. Oggi il private equity continua a finanziare le acquisizioni ma i principali attori rimangono sostanzialmente gli stessi.

▪ Avvocati: al contrario, il settore legale rimane ancora poco permeabile agli investitori esterni. Le società tra avvocati (sta) rappresentano un primo tentativo di favorire l’aggregazione, ma la scar-

sa cultura aggregativa del settore e i vincoli normativi hanno finora limitato l’ingresso di capitali finanziari.

▪ Commercialisti e consulenti del lavoro: è il settore più dinamico in questo momento e su questo occorre concentrarsi.

Gli studi di commercialisti offrono servizi essenziali e continuativi, come la gestione della contabilità, le dichiarazioni fiscali e l’elaborazione delle buste paga (che in realtà sarebbe di competenza dei consulenti del lavoro). Questi servizi garantiscono entrate costanti e ripetitive, molto attraenti per gli investitori finanziari.

Inoltre, l’adozione crescente di strumenti tecnologici – software gestionali avanzati, intelligenza artificiale e automazione dei processi contabili – rende il settore più scalabile e adatto a strategie di crescita industrializzata. Infine, ma forse il fattore più importante, il mercato italiano è ancora dominato da una miriade di piccoli studi, con fatturati limitati e poca capacità di investimento. Il private equity vede in questo scenario un grande potenziale di aggregazione, con la possibilità di creare operatori di riferimento su scala nazionale attraverso una molteplicità di acquisizioni successive.

LA SVOLTA PANDEMICA

Queste condizioni, da sole, non sono state tuttavia sufficienti a riscuotere un interesse concreto da parte del mondo della finanza per diversi anni. Allo stesso tempo, anche i professionisti fino a qualche anno fa non erano interessati

a ricercare capitali all’esterno. Poi la pandemia ed è stato proprio il Covid a segnare la svolta. Come conseguenza della crisi sanitaria, ci si attendeva una risposta più forte da parte degli studi mono professionali, i più colpiti.

Ma così non è stato, sono stati invece gli studi di più grandi dimensioni ad essere più reattivi ed a voler sperimentare nuove strategie di crescita. Dopo la pandemia, il volume delle operazioni di aggregazione tra studi è aumentato significativamente, e con esso le dimensioni degli studi coinvolti. Così, mentre in passato le fusioni riguardavano prevalentemente piccole realtà con un obiettivo di passaggio generazionale, oggi gli studi più interessati all’aggregazione sono quelli di medio-grandi dimensioni. Questo cambiamento

ha reso evidente l’insufficienza dell’autofinanziamento e la necessità di ricercare capitali all’esterno, spingendo molti studi a guardare oltre i tradizionali canali bancari e a considerare l’ingresso di fondi d’investimento, club deal, venture capital e singoli investitori privati. In sintesi, la dimensione delle operazioni è aumentata, le strategie dei professionisti si sono aperte al coinvolgimento di soggetti esterni e i capitali hanno quindi iniziato ad affluire in maniera più significativa.

L’EVOLUZIONE NORMATIVA

A rendere il quadro ancora più favorevole, si aggiunge ora la recente riforma sulla neutralità fiscale delle operazioni di aggregazione e riorganizzazione degli studi professionali, che potrebbe rappresentare la vera ciliegi-

na sulla torta. Questa evoluzione normativa, unita alla crescente disponibilità di capitali, potrebbe accelerare ulteriormente il processo di trasformazione del mercato, facilitando l’ingresso di investitori istituzionali e la creazione di nuovi poli aggregatori su scala nazionale.

Negli ultimi anni, abbiamo potuto assistere a numerose operazioni di investimento ed abbiamo potuto seguire l’evoluzione del settore degli studi di commercialisti e consulenti del lavoro. In questo settore, molti studi hanno scelto di aprirsi a investitori privati e venture capitalist per sostenere i propri piani di crescita. In questo modo si sono creati dei primi “mini-gruppi” di studi, con fatturati entro i 10 milioni di euro.

INIEZIONE DI CAPITALI

Nell’ultimo anno abbiamo partecipato ad una delle prime operazioni di rilievo a livello nazionale, con un investimento di oltre 25 milioni di euro da parte di un club deal per finanziare l’acquisizione di studi professionali nel Centro-Nord Italia. L’operazione si è sviluppata su due direttrici principali: da un lato, l’ampliamento della rete attraverso una strategia di buy & build; dall’altro, l’implementazione di strumenti avanzati di intelligenza artificiale e digitalizzazione per migliorare l’efficienza operativa. L’iniezione di capitali ha permesso di strutturare un piano di crescita con l’ambizione di quintuplicare il fatturato in pochi anni.

Per chi sta vivendo da vicino queste operazioni, è evidente come la complessità sia aumentata: il coin-

volgimento di investitori finanziari, le dimensioni delle aggregazioni e l’evoluzione normativa hanno reso ogni operazione più articolata e strutturata.

Tuttavia, i principi fondamentali dell’aggregazione professionale restano immutati: l’affiancamento del cedente o dell’aggregato continua a essere un elemento chiave per garantire una transizione fluida, così come il principio di continuità gestionale, che si realizza mediante il mantenimento dello staff e di tutti quei processi interni che mirano a conservare il rapporto fiduciario con il cliente. Riteniamo quindi che l’ingresso dei capitali non stravolgerà la natura della professione, ma anzi può rappresentare un’opportunità per rafforzarla. ■

MIRAGGIO STEM

Secondo le stime nei prossimi

5 anni il fabbisogno di nuovi occupati in ambito tecnico scientifico e matematico è destinata ad aumentare in modo consistente. Ma solo il 26,6% degli studenti europei è iscritto a corsi di formazione in questi settori. Di essi solo il 31,9% è rappresentato da donne. E in Italia la situazione non si differenzia di molto. Il mismatch tra la domanda e l’offerta di lavoro è destinato, quindi, a restare ancora alto per anni. Perché invertire la rotta richiede tempo, investimenti mirati e un profondo cambiamento culturale

Li chiamano future-ready worker e rappresentano la forza lavoro del futuro per le loro doti di proattività, resilienza, adattabilità e solide competenze tecnologiche avanzate, caratteristiche fondamentali per affrontare le sfide future e rispondere alle veloci trasformazioni del mondo del lavoro. Non è un caso che le aziende ne siano già oggi in costante ricerca seppur con qualche difficoltà. Già perché le persone con queste skill e con competenze Stem sono ancora poche e non solo in Italia.

Secondo l’Osservatorio Stem 2024 di Deloitte, infatti, solo il 26,6% degli studenti europei è iscritto a corsi di formazione in ambito scientifico, tecnologico, matematico e ingegneristico, e di questa fetta solo il 31,9% è rappresentato da donne, dato che, a livello di Unione, non ha visto incrementi negli ultimi 10 anni. Non solo. Nonostante le proiezioni fatte da diversi Studi che vedono la domanda di professionalità in ambito tecnologico in crescita nel prossimo futuro, la classe di laurea Stem meno diffusa in Ue è proprio quella che riguarda l’Informatica e le Tecnologie (ICT), specializzazione scelta solo dal 19,5% degli studenti europei .

In Italia la situazione non si differenzia di molto: secondo il Report Istat sui livelli di istruzione e ritorni occupazionali 2023, solo il 25% dei giovani tra i 24 e i 35 anni possiede una laurea in discipline tecnico scientifiche e anche se negli ultimi anni la situazione è leggermente migliorata il gap resta ed è destinato ad alimentare il mismatch tra

la domanda e l’offerta di occupazione ancora per diversi anni. Già oggi la situazione è critica. Stando ai dati dell’ultimo studio Osservatorio delle Competenze Digitali, solo nel nostro Paese circa il 50% delle aziende denuncia difficoltà nel reperire profili Stem, con picchi che superano il 60% nei settori legati all’Information Technology e all’ingegneria.

Dati avvalorati da una ricerca di Confindustria, in base alla quale la domanda di professionisti con competenze tecnico-scientifiche è in continuo aumento, tanto che nei prossimi 5 anni si stima un fabbisogno di oltre 2 milioni di nuovi occupati in questi ambiti. Trend che si conferma anche a livello Ue dove le competenze Stem più ricercate dalle aziende

Sì, prevedo di cambiare la tipologia di attività (es...

Sì, prevedo di lasciare il mio attuale impiego per...

Sì, prevedo di cambiare sia datore di lavoro sia la...

Sì, prevedo di cambiare datore di lavoro, ma nell...

Sì, prevedo di lasicare il mio attuale impiego senz...

Non saprei, ad oggi sono indeciso/a

No, non prevedo cambiamenti lavorativi

PROFESSIONE NON STEM
PROFESSIONE
CAMBIAMENTI LAVORATIVI PREVISTI ENTRO I PROSSIMI 3 ANNI
Fonte: Deloitte

L'INFLUENZA

STUDENTI

Docenti della scuola precedente

Amici

Influencer

Servizi di orientamento esterni

Media di diversa natura

Servizi di orientamento

LAVORATORI

Familiari

Docenti della scuola precedente

Amici

Influencer

Servizi di orientamento esterni

Media di diversa natura

Servizi di orientamento

Fonte: Deloitte

sono nel campo dell’ingegneria, seguito da Scienza e Tecnologia. Più di 1 azienda europea su 2, stando ai dati Deloitte, ha riscontrato difficoltà medio-alte nel trovare i profili STEM di cui aveva bisogno, sebbene le grandi aziende appaiano più sicure delle proprie capacità di reperire le competenze STEM desiderate (53% vs. 51%), anche grazie al maggior numero di canali da loro attivati (inclusa l’assunzione dall’estero).

LE CAUSE DEL GAP

«Le cause di questo fenomeno sono più d’una e sono principalmente di origine psicologica e culturale», afferma Raffaella Cagliano, docente ordinaria di People Management and Organization presso la School of Management del Politecnico di Milano e direttrice del Dipartimento di Ingegne-

Raffaella Cagliano, docente ordinaria di People Management and Organization presso la School of Management del Politecnico di Milano e direttrice del Dipartimento di ingegneria gestionale

ria gestionale. «In cima alla lista c’è indubbiamente la percezione di difficoltà dei corsi Stem, spesso considerati troppo complessi dai giovani, con carichi di studio elevati e per questo anche con un tasso di abbandono più elevato. I ragazzi e le ragazze spesso faticano a percepire l’utilità e l’importanza delle discipline Stem per il loro futuro lavorativo e per la loro carriera e tendono a scegliere la disciplina che piace loro di più. Possiamo dire che nella scelta del percorso di studi da fare, sia nella scelta delle scuole superiori sia a livello universitario, continua a pesare maggiormente la passione per una determinata materia piuttosto che il futuro lavorativo». Aspetto su cui impatta anche la scarsa informazione dei giovani e delle loro famiglie sulle ampie

opportunità di carriera e di guadagno futuro che una laurea o un diploma in ambito Stem può offrire. E sicuramente la bassa percentuale di donne presente nei corsi di formazione tecnico scientifica e matematica non contribuisce a colmare il mismatch.

«Purtroppo, e non solo in Italia, le donne continuano a essere sottorappresentate in questi ambiti di studio, spesso scoraggiate da modelli culturali e da pregiudizi, anche se negli ultimi anni la situazione è leggermente migliorata».

I dati della Fondazione Bruno Kessler, infatti, indicano che dal 2012 al 2020 le donne italiane iscritte a corsi universitari scientifici e tecnici sono passate dal 35 al 58,1%. «Aumento che si è registrato soprattutto in alcuni ambiti di studio», spiega Cagliano.

«Presso il Politecnico di Milano, per esempio, i corsi di Architettura hanno un numero di iscrizioni femminili decisamente buono (56,9% alla laurea triennale e 61,9% a quella magistrale). Lo stesso vale per Design dove il 62% delle immatricolazioni alle lauree triennali e il 64,9% di quelle magistrali è costituita da donne. Ingegneria, invece, continua ad avere una bassa presenza femminile in tutte le specializzazioni. Ma anche qui non manca qualche segnale positivo, ad esempio corsi di ingegneria biomedica (dove oltre il 55% degli iscritti è rappresentato da ragazze), ingegneria chimica, ingegneria per l’ambiente e il territorio, e alle magistrali anche Building and Architectural Engineering, Food Engineering

e Ingegneria Gestionale sono in equilibrio di genere. Ancora scarsa, invece, la presenza femminile nelle altre specializzazioni di ingegneria, dove nel 2023 rappresentava solo il 24,2% degli iscritti alla laurea triennale (+0,4% sul triennio) e il 28,5% a quella magistrale, in crescita di più di 1 punto percentuale negli ultimi tre anni».

PIÙ FONDI PER ATENEI STEM

Ma c’è anche un altro fattore importante che limita la possibilità di incrementare il numero di iscritti a corsi Stem e di migliorare l’efficacia dell’insegnamento ed è l’assenza di politiche di investimento diversificate per gli atenei nazionali che favoriscano in qualche modo le discipline Stem rispetto ad altre.

«Spesso negli atenei tecnici italiani i docenti si trovano a fare lezione in aule da 250- 300 persone. In condizioni come queste si riesce a fare una formazione limitata rispetto a quella che si potrebbe fare avendo a disposizione aule più piccole e un numero di docenti maggiore», precisa Cagliano.

«Per raggiungere l’obiettivo l’entità dei fondi che ogni anno il Ministero dell’Università e della Ricerca eroga è vitale. Su questo fronte, ultimamente, qualche passo in avanti è stato fatto, visto che uno degli ultimi stanziamenti di fondi del Ministero ha previsto risorse leggermente più elevate per le università Stem rispetto ad altri atenei. Ma c’è ancora molta strada da fare per raggiungere i livelli degli atenei competitor esteri, dove il rapporto tra studenti e docenti è decisamente più basso».

Un quadro che pesa sulla capacità delle università tecnico scientifiche Italiane di fare una formazione efficace attirando un numero maggiore di ragazzi. Del resto, che siano necessari maggiori investimenti in formazione, lo aveva evidenziato anche il Rapporto Draghi in base al quale l’Unione Europea destina solo il 4,7% del Pil al finanziamento dei programmi educativi e formativi, includendo sia le scuole che le università.

Percentuale che nel nostro Paese scende al 4,2%, come riportato dall’Istat. Un livello nel suo insieme inadeguato, soprattutto se ci si concentra in ambito Stem, tanto che, sempre secondo il Rapporto Draghi, solo l’8% degli studenti Ue raggiunge alte competenze in matematica, dato inferiore rispet-

ESISTONO STEREOTIPI E FORME DI DISCRIMINAZIONE VERSO LE DONNE CHE LIMITANO E OSTACOLANO

La preparazione delle bambine in ambito matematico-scientifico, sin dai primi anni d'infanzia

La partecipazione delle donne a corsi di studio o formazione in ambito STEM|

La partecipazione delle donnea a opportunità lavorative in ambito STEM

Fonte: Deloitte

LAVORATORI NON STEM LAVORATORI STEM
STUDENTI STEM
STUDENTI NON STEM

to ai coetanei asiatici, che vede in testa Singapore (secondo i dati OCSE-PISA), seguita da Giappone, Estonia e Repubblica di Corea. L’Italia si trova poco sopra la media europea, trascinata soprattutto dal Nord Italia, ma questo certamente non è sufficiente per affrontare le sfide future.

CHE FARE

«Per promuovere l’educazione Stem l’orientamento scolastico e il coinvolgimento dei comparti specializzati nella produzione di messaggi, contenuti e servizi dedicati, in particolare, alle famiglie e agli studenti, sin dall’infanzia è fondamentale», suggerisce Cagliano. «Questo significa ad esempio per i genitori scegliere attività ludiche e di intrattenimento che aiutino a sviluppare competenze tecnico scientifiche; per i docenti delle materne e delle elementari e medie, invece, la priorità deve essere quella di appassionare i bimbi e i ragazzi alle materie tecnologiche e scientifiche per sfatare il mito che siano più difficili rispetto alle altre e soprattutto per cancellare i bias di genere, purtroppo ancora molto diffusi. La matematica, la scienza e la tecnologia sono materie adatte a tutti e per tutti».

Un passaggio culturale che richiede tempo e costanza ma necessario per affrontare le transizioni tecnologia e green in atto a cui tutti, istituzioni, scuole e università sono chiamati a partecipare in modo attivo.

«Come Politecnico stiamo facendo la nostra parte», dice Cagliano. «Da qualche anno andiamo nei licei non solo per raccontare

Innovazione

Trasformazione digitale

Salute e benessere delle persone

Transizione sostenibile

Competitività

Scienza, salute

Autonomia energetica

Intelligenza artificiale

Economia circolare

Trasformazione digitale

Fonte: Deloitte

la nostra università ma anche per e far capire ai ragazzi come potrebbe essere strutturata una lezione presso il nostro ateneo. Durante il mese di giugno, invece, organizziamo i TechCamp: cinque giorni interamente dedicati ai liceali con laboratori e lezioni teoriche su tematiche tecnico scientifiche. Il tutto per avvicinare i ragazzi alle discipline Stem».

E per ridurre il gender gap in quest’area di studio è fondamentale pensare a iniziative dedicate come mentorship e role modelling, senza dimenticare di spingere progetti per garantire equità nelle prospettive di carriera, eliminando pratiche salariali inique e rafforzare l'implementazione di politiche pubbliche a supporto della genitorialità in modo da rendere più accessibili le opportunità

professionali per le donne. A livello europeo, invece, come suggerisce la ricerca firmata da Deloitte, ci vorrebbero più azioni per spingere la mobilità studentesca intra-europea in modo da favorire una maggiore integrazione e diffusione delle competenze Stem (come Erasmus, EU degrees etc). Così come incentivare corsi di laurea interdisciplinari che combinino discipline Stem e umanistiche. ■

LE PRIME
LEGGI IL RAPPORTO
OCSE PISA 2022
I risultati degli studenti italiani in matematica, lettura e scienze

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LE FRAGILITÀ INVISIBILI: MINORI E POVERTÀ EDUCATIVA

Il tema delle fragilità è sempre più oggetto di discussione tra chi si occupa di diritto, di salute, di politiche sociali. Dal contrasto alla povertà educativa, passa la speranza di incidere su pesanti situazioni di marginalizzazione sociale e innescare un percorso di superamento di molti gap oggi esistenti, non ultimo, quello di genere. Un tema che è ancora troppo poco presente nella agenda politica nazionale

di Rosanna Mura

Ha destato grande preoccupazione, soprattutto nel mondo associativo e scolastico, la decisione di non inserire nella Finanziaria 2025, il Fondo per il contrasto alla povertà educativa che, costituisce uno degli interventi di lungo respiro per il contrasto alle fragilità. La mobilitazione di molte associazioni e del terzo settore, seguita a tale mancata previsione ha portato a rivedere la scelta seppure con una dotazione di fondi minore rispetto al passato.

Il tema è fondamentale perché, dal contrasto alla povertà educativa, passa la speranza di incidere su situazioni pesanti di marginalizzazione sociale e innescare un percorso di superamento di molti gap oggi esistenti, non ultimo, quello di genere. La povertà educativa è un fenomeno multidimensionale una fragilità destinata ad avere effetti di lungo periodo: una condizione di privazione di futuro così pesante da diventare limitante del libero sviluppo della persona.

COMPETENZE RELAZIONALI

Nella analisi dei primi dati raccolti in una ricerca dedicata svolta dall’Istat nel 2024 è emerso un carattere multidimensionale della povertà educativa. Quest’ultima si riferisce a diversi ambiti e, in particolare, alla povertà di risorse definita come “una condizione che deriva da una carenza di risorse educative e culturali della comunità di riferimento intesa in senso lato” e di esiti identificata nel “non avere acquisito le competenze non cognitive (sociali ed emotive) e quelle cognitive necessarie” (M. Pratesi, Primi risultati della misu-

RELAZIONI TOSSICHE

Colpisce la dimensione di fragilità nelle competenze relazionali che la povertà educativa porta con sé e che costituisce un elemento di rischio nella costruzione delle relazioni personali. Per questo appare necessario dedicare tempo e risorse al contrasto della povertà educativa soprattutto se si tiene conto della frequenza degli episodi di violenza, compresa quella di genere, che riguardano sempre più spesso minori sia come vittime che come autori di reato. Preoccupa la formazione della consapevolezza della necessità del rispetto, nelle relazioni interpersonali, e della indisponibilità a subire comportamenti invasivi e che limitino la libertà del singolo.

L’assenza di questa consapevolezza può esporre al rischio di relazioni tossiche e malsane che, abituano ad una forma diseguale e asimmetrica della relazione affettiva consentendo così il permanere, nel nostro Paese, di una forte discriminazione di genere.

Save the Children ha recentemente pubblicato, in collaborazione con Ipsos, un dossier sul tema dal titolo “L’educazione affettiva e sessuale in adolescenza: a che punto siamo?” I dati raccolti permettono di ragionare su come i giovanissimi ricevano una educazione affettiva e sessuale e di che percezione abbiano della violenza in una relazione. Il ruolo della famiglia, quale prima agenzia educativa, è di enorme importanza e i dati indicano che quest’ulrazione della Povertà educativa, Conferenza Nazionale di Statistica 3-4 luglio 2024).

tima fornisce una educazione sessuale nella maggior parte dei casi all’esordio della adolescenza e incentrando l’attenzione sugli aspetti di prevenzione.

La scuola, altra agenzia educativa fondamentale, registra molte disparità nella offerta formativa in materia di educazione affettiva e sessuale, con una più incisiva disponibilità al nord mentre sud e isole registrano numeri meno significativi, con una tipologia di approccio comunque sporadico e al massimo concentrato in qualche lezione o giornata senza quindi gli interventi continuativi e sviluppati su più anni che sono invece raccomandati dalla Guida sulla Comprehensive Sexuality Education (CSE) del World Helth Organization (WHO).

I LIMITI DELLA SCUOLA

Manca nel nostro Paese una risposta strutturale della scuola, pianificata per poter affrontare in modo sistematico ed efficace, l’educazione sessuale e affettiva e insieme le cause più importanti della violenza. La risposta statale alle violenze che trovano spesso radice in una relazione malsana, appare quasi esclusivamente concentrata sulla risposta sanzionatoria periodicamente inasprita senza che questo, tuttavia, serva a contenere il fenomeno.

Questo approccio non è tuttavia sufficiente: la violenza, ormai riconosciuta come un fenomeno culturale, ancor prima che giuridico, deve essere affrontata in tale ambito per poter essere contrastata efficacemente. Proprio qui emerge però la difficoltà maggiore

a predisporre interventi efficaci. Per quanto attiene ai minori si riscontra, l’assenza di una normativa che affronti il tema della violenza, prevedendo la necessaria inclusione nelle scuole di ogni ordine e grado della educazione affettiva e sessuale.

Tale tematica è sviluppata nella maggior parte dei Paesi europei fin dall’accesso alla scuola primaria mentre nel nostro Paese, come in alcuni altri, è opzionale e inizia molto più tardi, ovvero dai 14 anni.

L’attenzione in Italia è focalizzata sugli aspetti biologici e la conoscenza del corpo mentre negli altri stati (sia in quelli che la prevedono obbligatoriamente che quelli che invece la hanno come opzionale)

ci si sofferma anche sulla parte legata ai diritti umani, alle relazioni sentimentali, alle tematiche lgbti, alla contraccezione, al consenso.

COSTRUIRE LA PREVENZIONE

La possibilità di affrontare a scuola, temi come quelli legati alla sessualità e alla affettività, permetterebbe di affrontare il tema centrale della relazione poiché su questo occorre intervenire.

Le norme penali del codice rosso, quelle dedicate alla sanzione della omotransfobia quando saranno previste, possono e potranno punire chi ha commesso condotte odiose ma poco potranno sulla prevenzione delle stesse. Per arrivare a costruire una prevenzione concreta occorre portare l’attenzione sul rispetto reciproco nelle relazioni, sulla capacità di accettare un no o un rifiuto senza per questo sentirsi autorizzati a reagire con violenza, sul rispetto della propria integrità fisica e mentale, sul rispetto delle differenze di genere.

Occorre uno spazio dove si impari a gestire le emozioni senza esserne sopraffatti. Questo spazio è quello della educazione sessuale e affettiva e riconoscerlo come necessario con una legge da più parti invocata potrà contribuire a invertire un destino di violenze annunciate e che paiono inarrestabili. Prevedere un intervento obbligatorio, garantisce la uniformità in tutto il paese della possibilità di accedere a questa risorsa culturale ed educativa senza lasciare che sia il caso, o la buona volontà, a decidere del destino di molte e molti giovani. ■

Contrastare le disuguaglianze, un corso ad hoc dell’Anf

L’Associazione Nazionale Forense da tempo si occupa del tema delle fragilità attraverso incontri e corsi dedicati alle diverse problematiche che emergono, e si impongono, alla attenzione come fenomeni che riducono l’area dei diritti della persona, rendendola appunto fragile ed esposta al rischio di esclusione sociale. Se tempo addietro esisteva una condizione sociale di emarginazione legata prevalentemente alle condizioni economiche, oggi la fragilità può non coincidere con la povertà in senso economico, ed avere invece a che fare con la povertà culturale ed educativa, affettiva ed emotiva, abitativa, con una condizione fisica o psichica di fragilità, con una diseguaglianza legata al genere o alla identità di genere.

Quando una di queste condizioni si realizza, spesso travolge la vita di chi si trovi ad affrontarla, portando con sé un fenomeno di marginalizzazione che finisce per avere un effetto moltiplicatore. Il contrasto alle diseguaglianze sociali attraverso il diritto, con l’obiettivo, della piena attuazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione, rappresenta il filo conduttore della seconda edizione del Corso dedicato alle Fragilità che si terrà nei prossimi mesi e che proverà ad affrontare gli aspetti giuridici e sociali delle fragilità. ■

LA PREVENZIONE INIZIA SUI BANCHI DI SCUOLA

di Tommaso C. Camerota e Benedetta M. C. Liberali

Investire in iniziative di prevenzione primaria è l’unico strumento che possiamo mettere in campo da subito per garantirci una società del domani più sana e più produttiva. Come dice anche la Costituzione

La sostenibilità di lungo periodo del Servizio Sanitario Nazionale sta vacillando. Da un lato il progressivo invecchiamento della popolazione generale richiede maggiori prestazioni sanitarie e terapie, dall’altro il basso tasso di natalità condurrà ad una minore capacità di finanziamento del sistema; nel mezzo si pongono la necessità di efficientare la spesa economica e la possibilità di mantenere la copertura dei servizi con un numero di professionisti sempre più ridotto. Questo impone la urgente necessità di ridisegnare il sistema, possibilmente in una prospettiva nella quale una dinamica finanziaria mirata alla efficienza non finisca per danneggiare irrimediabilmente ciò che dovrebbe avere come obiettivo primario l’efficacia delle cure.

PREVENZIONE PRIMARIA

La parola chiave diventa allora: prevenzione primaria, ovvero stimolare iniziative volte alla rimozione dei fattori di rischio che possono contribuire nel tempo allo sviluppo di determinate patologie (tipicamente quelle croniche ad andamento evolutivo, che sono peraltro le patologie che più gravano in termini di spesa). La popolazione target che maggiormente può beneficiare di tale approccio è quella degli adolescenti, che sono tendenzialmente sani e non hanno ancora acquisito abitudini difficilmente eliminabili nel corso della vita futura. Comunicare loro il ruolo fondamentale che rivestono taluni comportamenti – che sono poi di buon senso (non fumare, fare attività fisica regolare, evitare il sovrappeso, curare l’igiene del sonno, avere cura degli aspetti

psicologici, ecc.) – significa coinvolgerli e responsabilizzarli. Si tratta di un processo lento, che richiede solide basi culturali, e che non è al momento per nulla scontato. Basti riflettere sui seguenti dati:

▪ in Italia spendiamo circa lo 0,4% del PIL in prevenzione (o meglio: in prevenzione secondaria, cioè in esecuzione di accertamenti volti alla diagnosi precoce di una patologia che già esiste, in forma asintomatica);

▪ il 22% degli under 17 fuma, e di questi l’11% fuma più di mezzo pacchetto di sigarette al giorno;

▪ tra i tabagisti abituali di ogni fascia di età, oltre il 44% dichiara di avere iniziato a fumare prima dei 18 anni;

▪ nel 2005 è stato abolito il servizio di leva obbligatorio e con esso anche la visita di leva militare, che rappresentava il momento di screening sanitario più importante per il giovane uomo. Tale momento sanitario non è stato sostituito con nessun altro strumento;

▪ i disturbi d’ansia e le patologie psichiatriche raggiungono una incidenza fino a circa il 20% tra gli adolescenti.

Investire in iniziative di prevenzione primaria - iniziando dai banchi di scuola - è pertanto l’unico strumento che possiamo mettere in campo da subito per garantirci una società del doma-

ni più sana e, conseguentemente, più produttiva.

LO DICE LA COSTITUZIONE

Unico fra tutti l’art. 32 della Costituzione definisce espressamente come “fondamentale” il diritto alla salute sia nella sua accezione individuale (inteso quindi come diritto di essere curato, con correlativo obbligo per il nostro ordinamento di costruire il Servizio Sanitario Nazionale fino a garantire cure gratuite agli indigenti), sia quale interesse della collettività

(che può giustificare, in presenza di determinate condizioni, anche l’imposizione per legge di determinati trattamenti sanitari). La tutela della nostra salute, anche e forse soprattutto in chiave preventiva, porta una serie di indubbi vantaggi diretti, dando anche adempimento ai doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale che legano l’individuo alla collettività (art. 2 Cost.) e consentendo di ridistribuire anche in termini finanziari le risorse a tale fine necessarie.

SCUOLA, FAMIGLIA E...

parli diffusamente di prevenzione delle maradiofonici, giornali, Web, social media, podcast informazioni – addirittura troppe, o frammentarie migliorare la nostra qualità di vita e curare il nostro informati, addirittura di saperne abbastanza. Ma o, a mala pena, abbiamo intuito l’utilità della (apparentemente) semplice domanda: «Coazioni da mettere in atto per prevenire patologie avete bisogno di un pratico e fondamentale necessario parlare di prevenzione innanzitutto ai più adolescenti. Perché? potenziale per assimilare abitudini salutari, con il nel lungo periodo. Come? cassetta degli attrezzi – così è pensato questo conoscere e ad affrontare ambiti e concetti che non ambulatori ospedalieri ma alla vita di tutti i giorni. propri genitori, insegnanti o famigliari, per crescita condivisa, consapevole, matura e

chirurgo specialista in Urologia, è Primario dell’Udell’IRCCS Maugeri di Pavia, dove ha avviato nel in precedenza non esistente. Ha ottenuto da Rel’accreditamento formale del Reparto che, sotto la riconoscimenti che ne attestano l’elevato standard speciale per l’impegno e l’attenzione profusi nella gepostoperatorie nel tumore della prostata rilasciata da di Reparto di eccellenza dalla guida indipendencura di la Repubblica in collaborazione con l’Istituto Dottore di ricerca in Ricerca biomedica integrata Medicina , presso l’Università Victor Babe ș di Timi ș oara, coordina l’iniziativa Prevenzione e educazione alla sadel territorio di Pavia. È Professore a contratto in Magistrale in Infermieristica dell’Università di Pavia.

Per concretizzare questo disegno costituzionale, occorre intervenire in una fase della vita che risulti realmente efficace: si rivela essenziale in tale prospettiva, allora, il ruolo svolto da alcune formazioni sociali in cui si sviluppa la nostra personalità (art. 2 Cost.), quali la scuola in cui viene in rilievo il rapporto fra docenti e studenti (art. 34 Cost.); la famiglia, nella quale emerge innanzitutto il dovere di cura dei genitori nei confronti dei figli e, dunque, la responsabilità genitoriale, non più intesa come patria potestà o potestà genitoriale (art. 30 Cost.); e ogni tipo di associazione anche professionale (art. 18 Cost.), che con competenza e autonomia è in grado di fornire le adeguate nozioni e i relativi strumenti. Del resto, è la stessa Costituzione a valorizzare la posizione dei nostri giovani, quando, nell’obbligare il legislatore a tutelare l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi (con ciò rafforzando ulteriormente l’interesse della collettività a un ambiente salubre che, con ogni evidenza, incide sulla nostra salute), fa diretto riferimento alle future generazioni

(art. 9 Cost.). I nostri giovani e le future generazioni, peraltro, sono destinatari di una ulteriore presa in carico da parte del nostro ordinamento, che riconosce espressamente il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva, in tutte le sue forme (art. 33 Cost.). Prendersi cura della nostra salute, anche e forse soprattutto in chiave preventiva e a partire dalla più giovane età, contribuisce sostanzialmente, come si è visto, a intercettare numerose disposizioni

costituzionali che rispecchiano i nostri più profondi valori e i nostri principi supremi, legando inscindibilmente il singolo individuo (che non può bastare a sé stesso) all’intera collettività (che dai singoli individui è, in fondo, animata). ■

ISBN 978-88-351-6184-4

9 788835 161844

Adolescenti e Salute (FrancoAngeli, 2024, Il volume, curato da Tommaso C. Camerota, fornisce pratici e utili consigli per la tutela della salute, stimolando il dialogo tra i giovani, i loro adulti di riferimento (genitori, docenti) e i professionisti.

ADOLESCENTI E SALUTE

AIUTIAMO I NOSTRI FIGLI

CRESCERE SANI

WELFARE E DINTORNI

Il Contratto collettivo nazionale degli studi professionali ha costruito un’articolata rete di tutele intorno a tutti coloro che operano all’interno di uno studio professionale. In questa rubrica le ultime novità dalla bilateralità di settore

Gestione

professionisti, nuova convenzione psicologo di base

Da gennaio 2025 Gestione Professionisti e BeProf hanno attivato una convenzione con Psicologo di Base®, un progetto di Mind Group s.r.l., Associata Collettiva di PLP Psicologi Liberi Professionisti, per offrire ai titolari di copertura GP/BeProf tariffe agevolate per le spese sostenute in caso di consulenza psicologica o psicoterapia. Gli psicologi e psicoterapeuti PLP, iscritti al progetto, garantiscono una tariffa ridotta (40 euro) per ciascuno dei primi tre colloqui e, per quelli successivi, applicano tariffe calmierate. Lo psicologo/psicoterapeuta può decidere una tariffa più bassa, considerando le specifiche necessità e possibilità economiche di ogni singola persona, mentre non può

superare il tetto massimo stabilito: 70 euro per consulenza individuale, fino a 120 euro per sostegno di coppia o alla famiglia e 40 euro per consulenza a gruppi di massimo 12 persone. La nuova convenzione affianca il Rimborso spese per consulenza psicologica, una delle garanzie del pacchetto Prestazioni liquidate direttamente da Gestione Professionisti. La garanzia è ancor più interessante visto l'aumento dei massimali di rimborso: rivolgendosi a psicologi/psicoterapeuti della rete PLP: 50% della spesa fino al massimale di 350 euro; non appartenenti alla rete PLP: 30% fino al massimale di 200 euro. La domanda di rimborso può essere effettuata autonomamente dalla propria area riservata BeProf.

Fondoprofessioni ripartono le domande per i corsi on the job

Dal 13 marzo fino al 18 aprile 2025 gli studi professionali iscritti a Fondoprofessioni potranno presentare la richiesta di finanziamento per un piano formativo personalizzato rivolto al personale, con possibilità di docenza on the job. Le risorse saranno assegnate attraverso l’Avviso 04/25. La progettazione su misura del piano formativo, la presentazione della richiesta al Fondo, la gestione dell’attività e la rendicontazione dovranno avvenire tramite un ente attuatore accreditato. L’elenco degli enti attuatori è pubblicato sul sito fondoprofessioni. it «L’opportunità rappresenta una delle specificità del nostro Fondo», ha spiegato Franco Valente, direttore di Fondoprofessioni. «Le risorse sono dedicate alla realizzazione di attività formative orientate all’applicazione di conoscenze e abilità all’interno del proprio contesto professionale e organizzativo». Ogni corso dovrà avere una durata di almeno 16 ore e potrà coinvolgere da uno a tre allievi provenienti dallo studio. Fondoprofessioni erogherà all’ente attuatore un contributo massimo di 4 mila euro per piano formativo, mentre lo studio coinvolto potrà formare il personale negli ambiti di maggiore interesse senza sostenere costi.

Ebipro, tre prestazioni una sola finestra

Con la pubblicazione del Regolamento Unico e delle “Istruzioni in sintesi” delle prestazioni dedicate ai lavoratori dipendenti, Ebipro ha reso disponibili, le nuove finestre temporali di presentazione delle domande di accesso alle misure. Lo spostamento e uniformazione dei termini temporali riguarda l’edizione 2025 delle seguenti garanzie: attività sportive; trasporto pubblico; tasse universitarie. Per tutte e tre queste prestazioni, i nuovi termini per la presentazione delle domande di rimborso decorrono dal 1° febbraio fino al 31 maggio 2025. Scaduto tale intervallo di tempo non è più possibile inviare richiesta di rimborso. Resta confermato il principio di cassa delle misure “Attività sportive” e “Trasporto pubblico” per il quale nell’edizione 2025 sono ammessi al rimborso i soli documenti di spesa emessi nell’anno 2024 (data indicata in fattura). Resta altresì fermo il principio di competenza nella misura “Tasse universitarie” in virtù del quale nell’edizione 2025 vengono presi in considerazione le sole ricevute di versamento delle tasse e rate universitarie relative all’anno accademico 2024/2025.

Cadiprof, dal 2025 nuove prestazioni

Dal 2025 il Piano assistenziale Cadiprof si arricchisce di nuove prestazioni e servizi. La novità più rilevante riguarda il pacchetto di Prestazioni Odontoiatriche. Dal 1° gennaio, tutte le prestazioni odontoiatriche e ortodontiche vengono riorganizzate, ampliate e gestite con un unico canale da Fondazione Andi Salute (FAS). Le risorse destinate alle prestazioni sono “a consumo” e vengono vincolate alla finalità odontoiatrica: le somme non utilizzate in un anno, sono riportate all’anno successivo. Tra le nuove prestazioni: il rimborso dell’ortodonzia dei figli esteso fino ai 18 anni, cure dentarie in seguito a infortunio per gli iscritti e i loro figli, visita dentistica e sigillature dentali per i figli, rimborso protesi mobile per i genitori fragili “over 65”. Anche il Pacchetto Famiglia Cadiprof amplia le sue coperture dirette prevedendo il rimborso delle spese pediatriche dei figli fino a 14 anni ed estendendo il rimborso per le lenti da vista anche ai figli minorenni. Prorogati anche per il 2025 i progetti sperimentali: Assistenza a figli non autosufficienti senza connotazione di gravità; Plantari ortopedici per l’iscritto; Trattamento dell’emicrania cronica.

Gli eventi, le mostre, i film e i libri del momento in Italia e all'estero da non perdere per fare un pieno di cultura e di bellezza

CULTURA

Photo adicorbetta
Velasco Vitali, Sabìr - Ph Giacomo Bianchi - © Arte Sella 2024

Quando il paesaggio diventa tela

Si chiama Land art ed è una forma d'arte contemporanea che vede l’artista intervenire direttamente sul territorio naturale.

Deserti, laghi, boschi, campi diventano luoghi ideali per installazioni, sculture e decorazioni varie. Nata negli States è arrivata anche in Italia, dove oggi si contano diverse opere di questo genere sparse in tutte le regioni

di Romina Villa
Nella pagina a fianco: Edoardo Tresoldi, Simbiosi

Verso la fine degli anni Sessanta, a New York, un gruppo di artisti diede inizio a una forma d’arte che aveva, come scopo principale, il ricongiungimento con la natura e i suoi spazi incontaminati, rigettando i limiti fisici imposti da musei e gallerie.

Da dove nasceva questa aspirazione? I temi del consumismo e dei progressi della tecnica, veicolati alla società come medicina miracolosa per dimenticare gli orrori dell’ultima guerra mondiale, cominciavano a scricchiolare nei pensieri di alcuni, ma erano anche gli anni delle missioni spaziali e la percezione del nostro pianeta, ovvero dei suoi paesaggi e della sua grandezza, non solo fisica, era diventata improvvisamente più forte.

Non era, dunque, semplicemente un interesse verso i temi ecologisti che, nel frattempo, stavano prendendo piede ovunque, ma molto di più. Robert Smithson, Michael Heizer, Walter De Maria e Dennis Oppenheim furono i principali artefici di questa nuova

corrente artistica e di pensiero, che prenderà successivamente il nome di Land Art. Pronti a rinunciare al comfort di un atelier e ai panorami urbani, cominciarono a guardare alla natura non solo come soggetto passivo.

La natura era senza dubbio un soggetto, ma diventava allo stesso tempo l’ingrediente principale - il mezzo - per praticare la propria arte. Questi artisti dovevano diventare degli esploratori e viaggiare, alla ricerca, spesso spasmodi-

ca, di un luogo ideale. In alcuni casi, intervenendo direttamente sul paesaggio utilizzando solo i materiali naturali ritrovati in loco, si derubricava il valore dell’opera, innanzitutto quello monetario (e qui sta la critica ai mercanti d’arte), ma ne aumentava il valore intrinseco e simbolico, perché la natura non è mai barattabile. Il paesaggio era la nuova tela su cui lavorare, terra, fango, cristalli di sale, roccia e acqua, erano i materiali. Walter De Maria una volta disse “Il caterpillar è il mio pennello”.

INIZI ED EVOLUZIONE

La realizzazione delle prime opere di grandi dimensioni, che vennero alla luce negli immensi e vuoti spazi dell’Ovest americano e che hanno fatto la storia della Land Art, fu anticipata da lunghi periodi di studio da parte di questi artisti, che usarono mezzi quali fotografia e video, per sensibilizzare il panorama culturale newyorchese. Erano definiti Earth workers e di conseguenza si cominciò a parlare di Earth Art. Perlopiù erano incompresi, fino a quando si interessò

a loro una delle più influenti galleriste dell’epoca, Virginia Dwan. Nata nel 1931 a Minneapolis ed erede di uno dei più grandi gruppi industriali nel paese, Virginia si dedicò al collezionismo per il solo piacere di assistere, da una posizione privilegiata, all’evoluzione del mondo artistico. Negli anni ’50 era già a Los Angeles, dove aprì una galleria. Non era interessata a guadagnare, era già ricchissima, ma cominciò a farsi un nome. Una donna giovane, bella e ricca stava lasciando il segno in un mondo,

Nella pagina a fianco

Henrique Oliveira, Radice comune

Ph Giacomo Bianchi

© Arte Sella

Aeneas Wilder, Senza titolo #169

Ph Giacomo Bianchi

© Arte Sella

quello dei galleristi, comandato da maschi attempati. Arrivarono i primi anni Sessanta e una leggendaria mostra nella sua galleria lanciò la Pop Art. Nel 1965 si trasferì a New York dove per anni sostenne le attività degli artisti della Minimal Art e dell’Arte Concettuale E’ il decennio che consacra New York a capitale mondiale dell’arte.

Con la mostra Earth Works, organizzata nel 1969 alla Dwan Gallery, iniziò il suo concreto sostegno alla Earth Art, che porto Virginia a sovvenzionare e a promuovere le complesse opere degli Earth Workers. Come “Double Negative” (1969) realizzata da Michael Heizer in Nevada. O “Spiral Jetty” (1970), l’opera icona di Robert Smithson, una gigantesca spirale di roccia e sale, costruita nelle acque salmastre del Great Salt Lake in Utah.

Opere invendibili perché prima o poi saranno destinate a scomparire, riassorbite dall’ambiente che ha contribuito a crearle. Heizer, Smithson, De Maria e Oppenheim, divennero i protagonisti di “Land Art”, il film del 1969, girato dal regista Gerry Schum, che consacrò la nuova corrente e ne decretò definitivamente l’appellativo.

Per una maggior comprensione di questi quattro antesignani della Land Art, dei significati e della genesi delle loro prime grandi opere, è utile guardare il documentario “Troublemakers: The Story of Land Art”, girato da James Crump nel 2015 (si trova facilmente in rete). Crump fa un ritratto per ognuno di loro, evidenziando i loro percorsi di vita e di formazione, i differenti modi di lavorare e di

utilizzo dei materiali. Qualcuno di loro, come già detto, intervenne sul paesaggio, utilizzando solo materia naturale, trovata in loco, altri invece introdussero elementi artificiali. Come fece De Maria con “The Lightning Field”, che inserì in una porzione di terra nel deserto del New Mexico, quattrocento aste di acciaio inossidabile alte sei metri, in modo che queste interagissero con i fenomeni atmosferici, come i fulmini, creando, ogni volta che si presentasse un temporale, effetti sempre nuovi e diversi.

Già pochi anni dopo, la Land Art avrebbe attecchito in Europa, sempre con diversi e singolari approcci. E così è stato nel corso dei decenni. Per questo motivo è azzardato parlare di movimento artistico, appunto perché la Land Art ha sempre avuto teorizzazioni e pratiche sfumate dalle personalizzazioni dei vari artisti. Oggi, per parlare di Land Art, termine utilizzato a volte come specchietto delle allodole, una regola da rispettare c’è: devono essere opere create per un luogo preciso, in natura, ma la natura non deve rappresentare un mero contenitore. L’opera deve ispirarsi e rapportarsi ad essa. Installazione o scultura, materiali naturali o artificiali, ciò che conta è la creazione di questa indissolubile e fondamentale unione.

LE OPERE IN ITALIA

Nel nostro Paese la Land Art sembra aver trovato il suo Paradiso, grazie anche ai nostri paesaggi, che cambiano di continuo da nord a sud. E’ quell’ingrediente unico, di cui si parlava, che rende straordinarie opere e installazioni. I siti di Land Art in Italia oggi

Edoardo Tresoldi, Simbiosi

Ph Giacomo Bianchi

© Arte Sella

Kristof Kintera, Memoriale della luce che fu

Ph Giacomo Bianchi

© Arte Sella 2021

Nella pagina a fianco in alto Arcangelo Sassolino, Physis

Ph Giacomo Bianchi

© Arte Sella 2022

In basso

Arne Quinze, Trabucco di montagna

Ph Giacomo Bianchi

sono numerosi e se ne trovano in tutte le regioni. Due sono gli antesignani dell’arte ambientale di casa nostra. Perché hanno alle spalle più di tre decenni di storia e poi perché, dopo così tanto tempo, continuano ad avere un grande influenza, per il pensiero che veicolano e per l’impatto emotivo che esercitano. Il Grande Cretto, meglio conosciuto come il Cretto di Burri, è una delle opere contemporanee di Land Art più conosciute al mondo.

Realizzato quasi per intero tra il 1984 e il 1989, è stato completato nel 2015. Il suo autore è Alberto Burri (1915-1995), artista che con le sue ricerche sull’uso di nuovi materiali, ha anticipato i più significativi movimenti d’avanguardia italiani. Dopo il disastroso terremoto che colpì la Valle del Belice, nella Sicilia orientale, l’allora sindaco di Gibellina, uno dei centri completamenti distrutti, chiamò a raccolta molti artisti noti, perché contribuissero con una loro opera a decorare la città di Gibellina Nuova, sorta a circa venti km dal vecchio paese.

Risposero in tanti, anche Alberto Burri, il quale però volle concentrarsi sulle rovine della Gibellina terremotata e abbandonata. Il Grande Cretto è un’opera monumentale. Si tratta di una grande colata di cemento che ha ricoperto interamente Gibellina Vecchia. Le macerie degli edifici furono ingabbiate e poi ricoperte, lasciando liberi vicoli e strade, che si possono percorrere, come una volta facevano gli abitanti, quando c’era ancora vita. Il cemento ha cristallizzato per sempre la memoria di questo

Michele de Lucchi, Dentro Fuori

Ph Giacomo Bianchi

© Arte Sella

Stefano Boeri, Tree Room

Ph Giacomo Bianchi

© Arte Sella 2020

Nella pagina a fianco in alto

Velasco Vitali, Sabìr

Ph Giacomo Bianchi

© Arte Sella 2024

In basso

Proserpina, Quayola

Ph Giacomo Bianchi

© Arte Sella

luogo perduto, così come si è cristallizzato il ricordo, nella mente degli abitanti, di quella maledetta notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968. Il Grande Cretto è visibile anche da molto lontano, una grande macchia bianca sulle verdi alture della Valle del Belice.

Da grande distanza, sembra un violento squarcio o uno scherzo della natura, ma giunti sul luogo, l’esperienza si fa straniante. Nel silenzio della valle, si percorrono le vecchie vie, larghe circa un paio di metri. Accanto, i blocchi di cemento, alti circa un metro e sessanta, sono la tomba delle vecchie case. L’effetto è quello di un labirinto. 80 mila metri quadrati di ricordo, da vedere assolutamente una volta nella vita.

Dalla Sicilia al Trentino per conoscere il secondo sito che ha aperto la via alla Land Art italiana. Si tratta di Arte Sella, un’esposizione permanente, nata nel 1986, in Val di Sella, valle laterale della Valsugana. Da quasi quarant’anni, è un laboratorio creativo che ha visto il passaggio di oltre trecento artisti che nel corso del tempo hanno lasciato il loro segno, con opere in stretto dialogo con la natura di questa magica valle.

Hanno agito non da protagonisti, ma assecondando, di volta in volta, le pieghe del luogo, il cambio delle stagioni, il trascorrere dei giorni e delle notti. Nulla rimane mai uguale. Non passano da qui solo artisti in senso stretto, ma hanno dato il loro contributo anche architetti e designer, provenienti da tutto il mondo. Arte Sella è un centro della contempo-

raneità, dove si affacciano continuamente altri linguaggi artistici, come poesia, fotografia, letteratura e danza. E’ un museo a cielo aperto che prevede due percorsi di visita, aperti tutto l’anno, con orari diversi a seconda delle variazioni di luce dovute dallo scorrere delle stagioni. Al contrario del Cretto di Burri, dove tutto è fermo ad una terribile notte, qui è tutto perennemente in continua trasformazione. Due differenti visioni, che da una capo all’altro, raccontano l’essenza della Land Art. ■

MAGGIORI INFORMAZIONI
ARTESELLA

L’irresistibile fascino del vinile

Non è una moda passeggera, ma una tendenza sempre più consolidata. Il ritorno in grande stile dei dischi in vinile poggia il suo successo sulla qualità del suono e sul valore emozionale che trasmette.

E oggi rappresenta il supporto fonografico più venduto in Italia, nonostante l’inflazione e la musica liquida. Fenomenologia di un mercato che appassiona sempre più i giovani

di Carlo Bertotti

tornato il vinile e anche se per qualcuno non se n’era mai andato via del tutto, sembra sia ritornato per restare: una tendenza sempre più consolidata e non una semplice moda passeggera. A determinare questo successo concorrono diversi fattori: da un lato, una qualità del suono che per gran parte degli audiofili risulta più calda e realistica dei normali supporti digitali; dall’altro, un valore più profondo ed emozionale in un oggetto che non è solo un supporto per l’ascolto ma rappresenta, ad esempio nella sua fisicità o nelle copertine, un legame con il mondo dei ricordi e del proprio senso di appartenenza. Infine un pubblico sempre più giovane per cui l’acquisto di un vinile è diventato un modo con cui esprimere compiutamente il proprio stile.

DA BERLINER ALLA TECHNO

Il fascino del vinile ha radici profonde che risalgono alla fine dell’800 con il primo disco in gommalacca realizzato dall’inventore Emile Berliner. Da allora il vinile ha attraversato cambiamenti epocali, rivoluzioni culturali e tecnologiche, e se i primi dischi vennero messi in commercio nel 1948 negli Stati Uniti dalla Columbia Records, la vera e propria esplosione del vinile è avvenuta qualche tempo dopo, negli anni ‘60, per poi svilupparsi sempre più negli anni successivi fino al passaggio di consegne con il Compact Disc negli anni ’90.

Nel periodo successivo il vinile ha resistito soprattutto grazie ai DJ e ai produttori di musica Dance che, grazie alla loro attività, hanno permesso alle ul-

time case d’incisione di vinile di rimanere in piedi e continuare a lavorare. Senza la musica House, la Techno e l’Hip-Hop probabilmente il vinile oggi sarebbe solo un cimelio del passato.

LE CIFRE DEL SORPASSO

A testimoniare la graduale, ma costante affermazione del vinile in questi ultimi anni possiamo vedere come nel 2022, successivamente alla pandemia di Covid 19 e alla conseguente crisi dell’industria musicale, le vendite dei vinili negli Stati Uniti hanno superato per la prima volta quelle dei CD, con 41,4 milioni di unità per un importo di 1,2 miliardi di dollari.

Nel mercato italiano invece i primi segnali di crescita del comparto dedicato ai vinili si ebbero nel 2012 con un importante + 46%

rispetto all’anno precedente. Si trattava di una rincorsa che ha visto la quota di mercato dei vinili superare nel 2021 quella dei CD: dopo 30 anni anche qui il “vecchio” LP è tornato ad essere il supporto fisico più venduto.

Il primo semestre del 2024 ha chiuso in positivo per il mercato musicale italiano segnando una crescita complessiva del 15,1% con un fatturato di oltre 200 milioni di euro trainato dallo streaming premium (ricavi +23%) e una crescita del comparto fisico che grazie al vinile da solo ha segnato il +16%.

PREZZI DA CULT

Il prezzo dei vinili, tutt’altro che a buon mercato, è un altro elemento di distinzione ed esclusività in un’offerta musicale pressochè dominata dal digitale e dalla sua

immaterialità. Alcuni vinili, come ad esempio quelli in edizione limitata, possono poi diventare veri e propri oggetti da collezione rappresentando in certi casi una vera e propria fonte d’investimento. Il prezzo di un vinile può variare abitualmente in un range compreso tra i 20 e i 70 euro ma, ad esempio, la colonna sonora di “Grease” autografata da John Travolta e Olivia Newton John si può trovare su ebay a 6.500 euro mentre un vinile del 1973 di “Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd con poster e adesivi ne costa “solo” 2.500.

CANALI ALTERNATIVI

Analizzando invece il mercato dal punto di vista degli artisti si può evidenziare come la vendita dei vinili possa diventare una discreta risorsa economica soprattutto per chi ha un calendario di esibizioni live nutrito e costante, una consolidata fan base e un buon seguito sui social network: un’opportunità di guadagnare di più rispetto allo streaming, offrendo nel contempo alle stesse etichette discografiche un canale di vendita alternativo. Un dato significativo è che una band internazionale conosciutissima come i Metallica abbia deciso di acquistare la Furnace Record Pressing, una delle più grandi società produttrici di vinili americane.

I canali distributivi per i dischi in vinile sono diversi e includono sia punti vendita fisici che piattaforme online. Tra i primi, i negozi di dischi sono da sempre i principali canali di vendita per i vinili offrendo una vasta gamma di titoli, comprese edizioni rare e a tiratura limitata: tanti di questi punti vendita ap-

partengono ad appassionati e intenditori di musica che forniscono consigli e informazioni sui vinili. Ci sono poi i mercatini dell’usato e le Fiere del disco dove spesso si possono trovare dischi rari a prezzi competitivi. Questi eventi attraggono collezionisti e appassionati, offrendo una vasta scelta di titoli inclusi vinili da collezione. Per quanto riguarda invece le piattaforme online esistono siti web (EMP, Recordsale, Passione Vinile) e portali di e-commerce che offrono anche, tra nuovi arrivi e bestseller, un importante range di dischi.

IL VALORE DEL SUONO

Il disco in vinile è un oggetto affascinante sotto molti aspetti: la copertina spesso è il primo elemento che attira l’attenzione del collezionista e può diventare una vera e propria icona, così come il

La colonna sonora di “Grease” autografata da John Travolta e Olivia Newton John viene venduta su ebay al prezzo di 6.500 euro.

Nella pagina a fianco

Il disco "Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd raggiunge quotazioni fino a 2.500 euro.

prezioso booklet o come i codici incisi sui bordi del vinile che identificano la stampa specifica e l’edizione del disco e che possono aiutare a riconoscere eventuali edizioni speciali o limitate.

Generalmente di colore nero, nel corso degli anni il vinile è stato realizzato anche in colori differenti, oppure con un effetto “marmorizzato” o con delle macchie di colore applicate in maniera casuale e per questo chiamate Splatter e infine come picture disc: un esempio di questi ultimi è “As You were” (2017), primo album solista di Liam Gallagher.

Molti amanti del vinile preferiscono il suono analogico, percepito come più ricco e dinamico rispetto a quello digitale anche se in realtà anche il vinile non è esente

"As You were” del 2017 è stato il primo album solista di Liam Gallagher.

da difetti avendo ad esempio un rumore di fondo caratteristico e una gamma dinamica limitata. Eppure, sono proprio queste “imperfezioni” a renderlo unico, quasi come se il vinile aggiungesse una vena più emotiva alla musica.

Addirittura alcuni produttori, negli anni in cui il CD era diventato il supporto incontrastato sul mercato, cercavano di aggiungere nei mix delle canzoni su cui stavano lavorando alcuni effetti che potessero “scaldare” il suono richiamando la resa dei vinili.

LA RISCOPERTA DEI MILLENIALS

I vinili non sono soltanto per i collezionisti o per un pubblico over 50, in Italia la fascia d’età con i maggiori acquirenti di vinili si colloca infatti tra i 24 e i 35 anni (11%). Molte delle persone che acquistano dischi hanno infatti meno di 30 anni: sono ragazzi che sanno tutto di tecnologia ma che apprezzano il suono particolare e unico che lo streaming e i supporti digitali non possono riprodurre, cercano rap e hip hop ma anche rock classico, anni 70 e i classici cantautori da Fabrizio De André a Francesco Guccini. È soprattutto cambiata l’attitudine di chi li acquista: prima con i vinili si scopriva musica, ora si cristallizza quella che piace, quasi a consacrarla.

IL PESO DELL’INFLAZIONE

Ipotizzare un futuro per il mercato del vinile non è però un’equazione così scontata: dopo un decennio di crescita costante il mercato internazionale nel 2024 ha infatti registrato un calo nelle vendite di vinili rispetto all’anno precedente. Pur rimanendo il formato principale

per gli album acquistati, i dati parziali di Billboard relativi ai primi dieci mesi del 2024 hanno evidenziato infatti una flessione con 23,3 milioni di vinili venduti a fronte dei 34,9 milioni del 2023: le ragioni sembrerebbero però essere più macroeconomiche che specifiche.

Come ipotizzato dalla piattaforma di business audio Headphonesty, questa contrazione delle vendite non ha infatti tanto a che fare con la specificità del vinile, quanto piuttosto con fattori economici come l’inflazione, i tassi di interesse più alti e l’aumento del costo della vita che rendono l’acquisto di più dischi in vinile da 40 dollari o di cofanetti e ristampe dal prezzo compreso tra 50 e 200 dollari, meno accessibile per molti appassionati di musica nel 2024. Rimane il fatto che se il mercato

discografico nel suo complesso ha mostrato nell’ultimo ventennio dinamiche decisamente variabili influenzate dagli sviluppi tecnologici, il comparto del vinile è sembrato invece seguire un andamento indipendente di crescita più costante e lineare. E oggi il vinile è comunque il supporto principale per ogni ristampa dei cataloghi e per ogni nuova uscita con classifiche settimanali di vendita dedicate ai soli vinili. ■

Nel 2024 il mercato del vinile ha registrato una crescita del 16%

Doppio slalom

La passione per lo sci era iscritta nel Dna di Fabio Verdoni, specialista in Ortopedia pediatrica che da quasi 50 anni è anche maestro di questo sport. Galeotto fu il supporto offerto, già da matricola universitaria, al responsabile di un centro di Pronto soccorso in un paese montano della provincia bergamasca

di Roberto Carminati

Nella pagina a fianco: Fabio Verdoni

Nel corso dei decenni le cose sono senz’altro cambiate ma ancora alla metà degli anni Settanta il lavoro dell’istruttore di sci era appannaggio pressoché esclusivo di quanti in montagna erano nati e cresciuti: ai residenti nelle città l’accesso al ruolo risultava invece quasi inevitabilmente precluso. Se non il primissimo, certamente uno fra i primi abitanti delle pianure a ottenere il riconoscimento ufficiale della Federazione degli sport invernali come maestro di sci è stato nel 1976 un personaggio avviato poi a una brillante carriera sia sulle piste sia - soprattutto - in ambiti completamente diversi.

PETTORALE NUMERO 52

Si tratta del dottor Fabio Verdoni (nella foto a fianco), che attualmente è il responsabile dell’unità operativa di Chirurgia ortopedica pediatrica dell’Irccs Ospedale Galeazzi - Sant’Ambrogio di Milano e la laurea in Medicina e Chirurgia l’ha conseguita sempre nel capoluogo lombardo nel 1985. Nove anni prima era una semplice matricola. «La mia», ha esordito Verdoni, «è una storia bellissima ed è iniziata quando proprio sui campi da sci che già frequentavo da amatore ho avuto la fortuna di imbattermi nell’ortopedico professor Renato Facchini. È stato senza dubbio il mio modello e un’autentica fonte di ispirazione: devo a lui sia la scelta della professione di medico sia la mia stessa specializzazione. La scintilla si è accesa quando come iscritto al primo anno della facoltà di Medicina ho cominciato ad assisterlo nel soccorso a chi si infortunava sulle piste presso il suo ambulatorio di Piazzatorre». Quello che sarebbe diventato più avanti presidente del-

la Società italiana di Traumatologia e ortopedia pediatrica o Sitop continuava nel frattempo a coltivare la passione - trasmessagli per via ereditaria - per le discipline sportive invernali. Anzi, essa acquisiva via via una sempre maggior concretezza. «Mentre adesso la formazione degli insegnanti di sci è gestita da centri dedicati a livello regionale», ha ricordato, «una cinquantina di anni fa il percorso era centralizzato e faceva capo alla Federazione (Fisi) attraverso l’apposito Comitato scuola maestri di sci o Coscuma. La selezione vedeva in lizza iscritti da tutta Italia e prevedeva varie manche fra nozioni teoriche e prove pratiche, culminanti in un immancabile esame finale. Per dar l’idea di quanto precocemente sia riuscito a ottenere la qualifica basta pensare al fatto che il mio tesserino porta il numero 52».

PROVE PARALLELE

Tuttora il dottor Verdoni affronta con successo a cadenza triennale i corsi di aggiornamento obbligatori ed è abilitato a un insegnamento che esercita giocoforza con minor frequenza che non in passato e per lo più come supplente. Ha passato il testimone al figlio Davide che è a sua volta maestro, mentre la figlia Benedetta si è impegnata come «agonista di buon livello». D’altra parte, dato il giuramento d’Ippocrate, non di rado ha dovuto svolgere in alta quota un vero e proprio doppio slalom mettendosi al servizio degli infortunati. «L’ho fatto», ha detto, «in tempi in cui ancora non era contemplata sulle piste la presenza delle forze dell’ordine né esisteva alcunché di paragonabile agli attuali “trauma center”. Le comunicazioni avvenivano solamente via radio e si

doveva esser capaci di agire con tempestività analizzando prontamente le situazioni e prestando nei limiti del possibile la dovuta assistenza. Ma fra maestro e clinico, per me l’integrazione è totale». Le due vocazioni si sostengono insomma reciprocamente e per Fabio Verdoni, che ha gareggiato nel nuoto ed è a dirla tutta anche un collega in qualità di columnist della testata Sciare, esser sciatore oltre che maestro significa anche molto altro. «È motivo di supporto», ha osservato, «nei momenti critici della vita e della professione. Agevola l’instaurazione di relazioni e stimola l’empatia: è legata a questo anche la decisione di lavorare in pediatria. Senza dimenticare che in quanto medico, le patologie e disturbi cui vanno incontro tanto i professionisti –che pure ho formato – quanto i dilettanti mi risultano ben presto chiare e pertanto più facilmente e più chiaramente spiegabili».

LE VETTE DELLA PSICOLOGIA

Un’ulteriore partita doppia l’intervistato - specializzato anche in Chirurgia della mano - l’ha giocata quando negli anni dell’università si è diviso fra lo studio e un training sciistico che diveniva preziosa sorgente di reddito. Tutto ha contribuito al raggiungimento di diversi traguardi. «Allo sci», ha commentato, «mio padre mi ha avviato anche perché imparassi a dominare le mie ansie di bambino timido e timoroso. Con le competizioni ho imparato a far fronte allo stress e convivere con la paura e i blocchi psicologici e sull’aspetto psicologico lavoro sulle piste come in clinica. Essere in montagna non significa stare nel rifugio ma restare esposti

a condizioni estreme e fatica. Ed esser svelto di testa e fisicamente performante; sapere amministrare le forze è utile in ambedue i campi». A maggior ragione quando nel quotidiano ci si confronta con i delicati pazienti pediatrici le capacità psicologiche servono quanto quelle tecniche, secondo Verdoni, che in più circostanze si è trovato ad applicarle seguendo il percorso terapeutico e di recupero di alcuni atleti di caratura internazionale. Non da ultimo, il ruolo di maestro di sci è garanzia di un approccio singolare e propositivo ai rapporti umani. «Anche da questo punto di vista», ha confermato il chirurgo, «fra la professione di medico e quella di trainer c’è un’osmosi continua. In sala operatoria il coinvolgimento dell’equipe dei colleghi dev’essere completo, non diversamente da quello del praticante sulle piste.

Tanto che si abbia a che fare con il classico uomo della strada quanto che invece si stia affiancando, come mi è capitato, un divo dello spettacolo, in tuta e con le racchette fra le mani tutti sono sullo stesso piano». Se poi per chiunque lavori in ambito assistenziale ripensare al biennio più caldo della pandemia da Covid-19 non può non significare anche ripiombare in un incubo, la dedizione allo sport permette fortunatamente a Fabio Verdoni di aggiungere a quelle più drammatiche anche memorie di altro tenore. «Il ricordo indelebile di quel periodo», ha concluso, «è quello delle discese e dello sci alpinismo praticati nella quasi assoluta solitudine e in piena comunione con il paesaggio e con la natura, familiarizzandosi ancor più con la fatica ma muovendosi in una dimensione davvero unica». ■

UN LIBRO AL MESE

Le novità editoriali che non possono mancare nella libreria di un professionista

Lo spirito rivoluzionario di Wagner

titolo : Richard d Wagner. Il cane e il pappagallo. Una biografia emotiva

autore : Valerio Vicari

editore : Edizioni ETS

prezzo : 18 euro

Forse solo su Gesù Cristo sono stati scritti altrettanti libri che su Richard Wagner, eppure questo nuovo contributo di Valerio Vicari, ideatore e direttore artistico di Roma Tre Orchestra, è prezioso. Non solo perché in Italia, se si eccettua un volume di Carlo Lanfossi appena uscito per le Edizioni Curci e un prezioso focus di Nicola Montenz sul rapporto fra il compositore e Ludwig II, il lato biografico della costellazione-Wagner ha una bibliografia piuttosto scarna in questi ultimi decenni; ma anche perché l'obiettivo che si pone Vicari è squisitamente divulgativo: l'autore parla agli appassionati più che agli addetti ai lavori e a quell'ampia fetta di persone “di cultura” che hanno però spesso le idee poco chiare riguardo a chi fu davvero Richard Wagner. Nelle discussioni, talora superficiali, che animano bacheche social più o meno colte, spesso si sottolinea che sarebbe im-

portante “separare l'uomo dall'artista”: Wagner l'antisemita, lo scialacquatore, l'approfittatore, il manipolatore, l'egocentrico, il megalomane è anche colui che ha scritto pagine musicali da pelle d'oca, di bellezza atemporale. Eppure, fu lo stesso Wagner ad affermare – come ben ricorda Vicari – che chi non lo comprendeva come uomo non poteva comprenderlo come artista.

È da questo punto cruciale che l'autore di questo volume, scritto con chiarezza e stile avvincente, parte per farci capire che l'uomo non può essere liquidato attraverso un'aneddotica che ne evidenzi solo i lati negativi, soprattutto se additati senza conoscere il contesto. Ciò non significa che il ritratto tracciato sia agiografico: al contrario, Vicari è giustamente spietato quando si tratta di analizzare con onestà le idiosincrasie o le vere e proprie colpe dell'uomo.

«È Wagner che ci ha insegnato cos'è un ebreo», disse Goebbels a Hitler, riferendosi evidentemente a quel brutto libello che è Il giudaismo in musica. Se Vicari non nasconde che Wagner si schierava per la “non mescolanza della razza”, prendendo spunto dalle nefaste idee di Gobineau, e credeva nella superiorità delle tribù germaniche su quelle latino-semitiche, d'altro canto evidenzia anche

che nel 1880 il compositore si rifiutò di firmare una petizione contro gli ebrei. Se a prima vista Wagner può apparire un personaggio incoerente, è invece proprio una certa coerenza (seppur talvolta folle!) a emergere da questo ritratto: essa affonda le sue radici, come ben mette in evidenza Vicari fin dalle prime pagine, nella matrice rivoluzionaria del pensiero (e quindi della musica) di Wagner – evidente nella sua adesione ai moti di Dresda e per molti versi vicina al pensiero marxista. Come ben notò Baudelaire in occasione del Tannhäuser che tanto scandalo fece a Parigi nel 1861, questo spirito rivoluzionario si manifesta in Wagner come eccesso vitale, come straripare della volontà. È in tal modo, per esempio, che il suo disaccordo con Meyerbeer e con le convenzioni del grand opéra si tradurrà nell'eccesso dell'antisemitismo.

In fondo, ciò che emerge con tragica evidenza è una certa predisposizione wagneriana a crearsi ostacoli esistenziali: lo stesso nichilismo schopenaueriano che troviamo nel Ring sembra attraversare la vita di Wagner, per esempio quando egli riesce a gettare quasi alle ortiche il rapporto idilliaco con l'amico-mecenate Ludwig II di Baviera, a causa di richieste di denaro sempre più deliranti – seppur per la buona causa dell'Arte. Eppure, anche chi gli voltò le spalle come Nietzsche non potè fare a meno di rimanere ossessionato da lui fino alla morte, riservandogli un “amoroso odio”. ■

RECENSIONI

Cinema, balletto, musica e libri. Un vademecum per orientarsi al meglio tra gli eventi culturali più importanti del momento

a cura di Luca Ciammarughi

«Percorrendo le pagine del Morand si prova quel sentimento di disagio che si avverte guardando certe istantanee nelle quali un amico indiscreto ci ha colti sotto una luce troppo viva in un momento di nostra assoluta naturalezza. Scopriamo rughe ignorate»: così scriveva nel 1962 Giuseppe Tomasi di Lampedusa. E, in effetti, la Londra raccontata da Paul Morand non è certo idealizzata: è, piuttosto, una brillante cavalcata attraverso

SEIJI OZAWA & BERLINER PHILHARMONIKER

usi, costumi, eccentricità e durezze dell'How to be British. Morand a Londra non fu turista, ma addetto all'ambasciata dal 1913: eppure, nel libro non affronta nessuno dei grandi problemi politici di quegli anni, troppo lontani dal piacere di vivere, dalla club-life, dalla varietà degli incontri, dall'ebbrezza del momento. Forse non il libro più perfetto di Morand tra le due guerre, ma probabilmente il più affascinante.

LE INCISIONI DI PICASSO AL BRITISH MUSEUM

Circa un anno fa, il 6 febbraio 2024, ci lasciava il grandissimo direttore d'orchestra giapponese Seiji Ozawa: a lui rende omaggio l'etichetta Berliner Philarmoniker Recordings con un pregevole cofanetto (6 cd, un Blu-ray disc, ampio booklet con allegate foto rarissime e anche un ricordo del famoso scrittore Haruki Murakami, che di Ozawa fu amico), in cui sono contenuti i live del maestro nipponico con i Berliner. Da Haydn fino a Hindemith, passando per Beethoven e Mendelssohn, Bruckner e Richard Strauss, Berlioz e Čaikovskij, Mahler e Bartók, l'arte di Ozawa, ammirata sia da Karajan sia da Bernstein, si rivela in tutto il suo perfezionismo zen, ma anche nella spontaneità del suo respiro. Colpo di fulmine: il Concerto in Sol di Ravel con Martha Argerich.

Oltre alla congerie di dipinti, sculture e disegni, Pablo Picasso realizzò durante la sua carriera oltre 2.400 incisioni. Dai primi anni come artista a Parigi fino alla vecchiaia nel Sud della Francia, l'incisione ha offerto all'artista di Malaga l'opportunità di sviluppare idee e intraprendere nuove vie creative. La mostra Picasso printmaker del British Museum di Londra mette in connessione l'arte dell'incisore con la sua vita: i rapporti con le donne, i tipografi, gli editori e gli altri artisti. Avvalendosi della collezione di stampe picassiane più ampia del Regno Unito, il British espone litografie e stampe su lineolum in cui sono esplorati temi quali il circo, la corrida, l'amore e il sesso. Fino al 30 marzo.

LUGANSKY ALLA SCALA

Per la serie Grandi Pianisti alla Scala, lo scorso 27 gennaio abbiamo ascoltato il virtuoso russo Nikolai LuganskY, proveniente dalla quintessenziale scuola di Tatiana Nikolayeva: apollineo ma con una sottile inquietudine appassionata, ha suonato con gusto eletto una selezione delle Romanze senza parole di Mendelssohn, per poi tratteggiare con cura sopraffina delle sonorità il Beethoven della Sonata La tempesta, particolarmente centrata nella nitida cantabilità del secondo movimento e nell'ipnotico finale (eseguito giustamente a tempo “Allegretto”, senza l'agitazione che gli conferiscono troppi pianisti).

La dimensione para-orchestrale del pianismo di Lugansky è emersa poi nelle trascrizioni elaborate dal pianista stesso di alcune scene dalla Götterdämmerung di Wagner, con una differenziazione timbrica e una chiarezza polifonica da manuale.

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POST SCRIPTUM

Frammentata, vulnerabile e poco competitiva l’Europa è nuda di fronte alla strategia del caos di Donald Trump. I negoziati tra Stati Uniti e Russia per porre fine alla guerra in Ucraina e l’aumento dei dazi che incombe sulle esportazioni europee in Usa sono il riflesso di un’inerzia politica che rischia di condannare l’Unione europea alla più assoluta irrilevanza nel nuovo scenario geopolitico internazionale. Spettatori paganti nel gioco di forze che va delineandosi tra i grandi blocchi - Stati Uniti, Cina e Russia - del nuovo ordine mondiale. L’immagine che traspare dai vertici dei leader europei è, francamente, uno spettacolo poco edificante. L’incapacità di individuare una strategia comune per reagire all’alleanza tra Trump e Vladimir Putin sul fronte ucraino è la dimostrazione plastica delle divisioni politiche che tengono insieme l’Unione europea, sempre più costretta a inseguire l’agenda imposta dal tycoon americano e senza la forza di incidere in maniera determinante sul suo stesso destino. I tentennamenti di una politica balbettante sul piano delle relazioni internazionali possono tranquillamente iscriversi nel tafazzismo che, da oltre 30 anni, accompagna il processo di integrazione del mercato unico. La mancata integrazione economica e fiscale rappresenta oggi un limite strutturale alle potenzialità di sviluppo di un’area commerciale comparabile a quella degli Stati Uniti. Ma se gli scambi intra-Ue rappresentano appena il 26% del Pil, negli Usa il valore degli scambi sale al 60%. Il sogno del mercato unico sembra infrangersi contro l’inossidabile ortodossia dei trattati Ue e le contrapposizioni (spesso ideologiche) tra i Paesi membri, che puntellano anacronistiche barriere interne soffocando l’espansione della capacità tecnologica e produttiva delle imprese Ue. Terreno fertile per la fuga dell’industria europea verso tasse più basse, energia più economica e deregolamentazione del mercato americano o per le scorribande del made in China in quel che resta dell’Europa.

di Giovanni Francavilla
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